#attività in famiglia
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pier-carlo-universe · 22 days ago
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C'era una volta… I mestieri del passato in scena a Casalnoceto (Alessandria)
Un tuffo nella tradizione tra mestieri antichi, artigianato e sapori tipici
Un tuffo nella tradizione tra mestieri antichi, artigianato e sapori tipici La Pro Loco di Casalnoceto invita tutti gli appassionati di tradizione e cultura locale a partecipare all’evento “C’era una volta… I mestieri del passato in scena”. L’appuntamento è fissato per domenica 22 dicembre nella suggestiva Piazza Dante Alighieri a Casalnoceto. Una giornata pensata per far rivivere l’atmosfera di…
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marcogiovenale · 5 months ago
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alcune immagini dal camusac, cassino museo arte contemporanea
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diceriadelluntore · 1 month ago
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Il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, furono uccise tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), successivamente chiamate anche Las Mariposas (Le Farfalle), per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Quel giorno le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.
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Nel 1981, nel primo incontro femminista latinoamericano e caraibico svoltosi a Bogotà, in Colombia, venne deciso di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, in memoria delle sorelle Mirabal.
Nel 1991 il Center for Global Leadership of Women (CWGL) avviò la Campagna dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, proponendo attività dal 25 novembre al 10 dicembre nel ricordo, la discussione e la promozione di campagne per i diritti umani.
Nel 1993 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione per l'eliminazione della violenza contro le donne ufficializzando la data scelta dalle attiviste latinoamericane.
Penso non ci possano essere polemiche di alcun tipo nel credere che sia diritto di ogni donna non avere paura di essere seguita per strada, di subire attenzioni indesiderate, di essere pagata lo stesso per le stesse mansioni di un uomo, per essere considerata uguale se voglia o meno una famiglia, se vuole amare chi vuole. E non c'è nessuno dubbio che non può essere negoziato il fatto che c'è un delitto da combattere che avviene contro le donne in quanto donne, nella distorta mentalità di chi sosteneva di volerle bene.
Tutto il resto si può discutere (sui termini, sui tempi, sui modi). Ma quella parte no.
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raffaeleitlodeo · 2 months ago
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Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
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falcemartello · 5 months ago
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TRADERE
Published on 25 Luglio 2024 by Orgonauta
Un altro concetto, al pari di sessualità e psiche che non ha ancora trovato una definizione condivisa, oserei dire scientifica, è la libertà. Cosa si intenda esattamente con il termine libertà non lo sa nessuno, eppure chiunque parla di libertà; caso strano, però, riguarda sempre il proprio stile di vita e mai quello degli altri; se un’ideale di vita contrasta con quello di un altro individuo uno dei due è illiberale. Per non parlare di quell’affermazione che viene ribadita in continuazione: “la tua libertà finisce dove inizia la mia”.
Quindi questa libertà che deve essere limitata per fare tutti contenti sarebbe la libertà? E anche ammettendo che debba funzionare così, arriva la domanda da un miliardo di euro: chi decide questi limiti? Su cosa si basano? Mi si risponderà che esistono dei valori, questi sì condivisi, valori fondamentali che riguardano tutti gli individui come il valore della vita e quindi le necessità basilari per vivere; appurato che senza la soddisfazione di queste necessità un individuo non potrebbe dedicarsi ad altre attività o coltivare altri interessi e di fatto non sarebbe libero.
Fino a qua il ragionamento ha una sua logica ma entrando nel merito iniziano ad apparire altri meccanismi: le necessità vitali sarebbero la possibilità di nutrirsi, avere una dimora, creare una famiglia. (Continua)
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vaerjs · 4 months ago
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Vivo costantemente in una dimensione di aspettative altissime e fatico a tirarmene fuori.
Quando ero la figlia maggiore dovevo dare il buon esempio, assumermi compiti e responsabilità genitoriali che non mi sarebbero dovute competere, fare da mamma, sorella e figlia contemporaneamente. Con la preoccupazione che un mio sbaglio potesse fare crollare il castello in mille pezzi.
Ho lavorato, mi sono pagata l'università, almeno quel poco che mi è servito ad entrarci. E per farlo ho sopportato un capo viscido e molesto, con la mano lunga e e le nausee ogni mattina prima di uscire di casa, sapendo che non avrei avuto altra scelta: era l'unica azienda che aveva risposto a tutti i miei curriculum - ed erano amici della parrucchiera della mamma, non avrei mai potuto farle fare una brutta figura.
Poi sono arrivate le borse di studio. Ho lasciato il lavoro perché per ottenerla e mantenerla è fondamentale dimostrare di poter superare un certo numero di esami all'anno e con valutazioni alte per non perdere posizioni nelle graduatorie. Un solo sbaglio, un esame andato male, una giornata nera a laboratorio mi avrebbero lasciata in mezzo a una strada, senza soldi e senza posto letto, anche a metà anno.
Ho fatto l'Erasmus e sono riuscita a trovare un contatto in una scuola nella città che volevo io, per la prima volta. Così sono diventata il punto di riferimento e l'esempio a cui la mia tutor coordinatrice ha indirizzato chiunque volesse sperimentare la stessa esperienza. Ancora una volta la mia possibilità d'errore è stata messa sotto i riflettori, pronta ad essere amplificata a dismisura.
Ora lavoro a scuola e ho la fortuna di essere rimasta nello stesso istituto e nello stesso interclasse dell'anno precedente. La collega che ho affiancato lo scorso anno ha pregato in tutti i modi per ri-avermi con lei: a causa dei suoi improvvisi problemi in famiglia mi sono trovata da sola ad accompagnare una quinta pronta e preparata alla secondaria.
Quest'anno la situazione non è molto diversa. È finito il ciclo, siamo in classe prima - probabilmente la più impegnativa di tutte - con una docente in meno. Ho un posto sul sostegno, quello che speravo, ma mi trovo a occuparmi di tutto. Ho spiegato alla ragazzina a cui hanno assegnato la supplenza sulla classe per qualche settimana tutto quello che doveva fare e in che modo, non la posso lasciare da sola perché è la sua primissima supplenza e non si sa muovere a scuola. Ho preparato le attività della classe e raccolto, schedato e archiviato tutti i materiali perché la collega in cattedra ha ancora una situazione instabile in famiglia e non può dedicare tutto il tempo che vorrebbe alla scuola. Mi hanno assegnato un bambino complesso di cui voglio occuparmi nel miglior modo possibile nonostante la sua rete di professionisti non sia allineata nelle modalità di intervento e mi sia da subito sembrato di trovarmi tra due fuochi, con la mamma in balia di consigli contraddittori. Mi hanno affidato anche la commissione continuità "per il gran lavoro fatto l'anno scorso nelle quinte" che sarebbe bello replicare questo e i prossimi anni.
Ho chiamato i miei fratelli perché non li sentivo da un po', sono stata troppo stanca e mi sono sentita in dovere di giustificarmi per la mia vita raffazzonata. Sono molto stanca, e credo di sentirmi così a terra anche perché ancora non ho il privilegio di poter sbagliare senza che il mondo crolli.
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francescosatanassi · 4 months ago
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FASCIO-BOOMERISMO CONSAPEVOLE
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Benvenuti a Forlì, l'unica città dove il sindaco promette di rivitalizzare il centro facendo chiudere le attività del centro. Come un bullo di quartiere, si vanta sui social di aver lasciato senza lavoro l'ennesima famiglia non italica e ringrazia il comitato di "orgogliosi forlivesi" per aver segnalato tutti i pericolosissimi negozi etnici. Sotto al post riceve ovazioni che non si vedevano dai tempi del Duce, ma due notti dopo il virtuale diventa reale: le vetrine dei suddetti negozi vengono tappezzate di manifesti xenofobi. Ops! Così il sindaco si ricorda che, prima di essere un alleato politico dei post-fascisti, è prima di tutto un trasformista democristiano, e sfodera l'arma dell'indignazione, mostrando solidarietà alle attività colpite. Nonostante il messaggio affisso contro lo straniero sia molto chiaro: BASTA FECCIA-DIFENDI LA ROMAGNA, i commenti alla notizia sono un triste spettacolo della più becera ignoranza. Siamo ben oltre l'analfabetismo funzionale, siamo al fascio-boomerismo consapevole, all'arroganza sbandierata a testa alta, alla giustificazione della minaccia e al fiero ed esplicito orgoglio razzista. Oggi Forlì è questa: un sindaco che ringrazia le ronde che come una milizia vanno a caccia dell'uomo nero, e che prosegue il suo piano di pulizia cittadina con un solo obiettivo: togliere di mezzo l'emarginato, il povero, il senzatetto, lo straniero. Tutto per una manciata di voti. Il tempo passa, ma il grande disagio messo in campo da ormai 5 anni non accenna a diminuire.
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papesatan · 1 year ago
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E già qualcuno fra i parenti ha osato chiedermi del concorso. Ma come, non partecipi? Vedo già le mie zie insegnanti partir gagliarde con le solite domande cui non saprò cosa rispondere. La verità porterebbe a una bruta discussione, meglio tentar la via della cieca ignoranza o, peggio ancora, della menzogna compiacente. Ogni volta resto muto e interdetto, incapace di soffrirne a voce, perché ho un lavoro, cristo, un lavoro creatomi dal nulla, MI SONO DATO un lavoro e per loro non è abbastanza, perché non è un posto pubblico. Forse chi ha visto Quo vado? ma vive al nord non ha ben chiaro quanto quel film ritragga fedelmente la gretta mentalità della mia terra, ma è davvero così e non fa ridere per niente. Ricordo ancora benissimo i mesi precedenti l’apertura, il silenzio dei parenti, il vuoto intorno, le risatine di mia nonna: “Ma verrà qualcuno?” e l’insistenza di mia zia: “Hai mandato le Mad? Dovresti provare col sostegno, da lì è più facile entrare” (e di questa immonda realtà parleremo un’altra volta). Ci litigai, speravo d’aver chiarito una volta per tutte le mie intenzioni, ma puntualmente dopo qualche mese tornò a chiedermi: “Allora, hai mandato le Mad? Nessuna supplenza?” “Eh, no” mentii “purtroppo nulla”. Ci rinuncio, perché quella dei nostri genitori ormai è una generazione totalmente slegata dalla realtà, convinta di vivere ancora gli anni ‘90, dove tutto era possibile, dove entravi dove volevi con l’aiuto di zio Cosimino, dove il politichino di turno sistemava gli amici di amici, dove una laurea e un concorso significavano qualcosa. Oggi la mia dipendente, povera crista che quando non lavora passa le giornate a studiare, mi ha rivelato che per la sua classe di concorso i posti messi a bando per la Puglia saranno 3. Come dovrei non incazzarmi? Come si può restare calmi di fronte a tanto schifo? Capite perché ho mandato tutti al diavolo, aprendo la MIA scuola? Non possiamo star qui a invecchiare all’ombra di mamma e papà, in attesa che lo stato ci permetta di fare ciò che abbiamo sudato e studiato decenni per fare. In famiglia nessuno sa che ad aprile ho rinunciato all'orale. Non li ritengo stupidi, è probabile che qualcuno abbia capito (forse mia madre?), dall’Usr dell’Emilia Romagna si sono fatti vivi dopo un anno (un anno!) dal superamento dello scritto, questo sì, ma è poco plausibile che venga indetto un nuovo concorso senza aver posto fine al precedente. Almeno il dubbio deve averli sfiorati. Ma non ho il coraggio di dirglielo, lascerò che lo capiscano da sé, se vogliono, non sopporterei la cenere di quegli sguardi delusi, il ricordo di mio padre che dopo lo scritto esulta al telefono: “Volesse Iddio che ti sistemi”, la segretaria dell’Usr che alla rinuncia insiste incredula al telefono ed io che le rispondo: “Non posso, ho cambiato vita”. No, la verità li ammazzerebbe, non so manco perché poi. E la cosa che mi fa più ridere è che proprio loro, le mie care zie insegnanti, gente del mestiere, non capiscono che non potrei affiancarlo in nessun modo a ciò che già faccio, perché è già un lavoro a tempo pieno. Come potrei mai dedicarmi il pomeriggio al doposcuola e preparare al tempo stesso le lezioni del giorno dopo? Partecipare ai consigli, collegi vari, attività pomeridiane ed essere ubiquamente al mio locale? Gestisco un’attività, cazzo, non è mica il lavoretto dell’estate. Ma non lo capiranno mai tanto, meglio che m’abitui sin da ora a ripetere: “Oh, sì, eccome se ho sentito! Non vedo l’ora di tentar la sorte anch’io alla lotteria!”    
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fashionbooksmilano · 30 days ago
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Lo scultore della seta Roberto Capucci, il sublime nella moda
Gian Luca Bauzano
Fondazione Cologni Marsilio, Venezia 2018, 292 pagine, 16x21cm, ISBN 97 888317 27 105
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Roberto Capucci, tra i grandi padri della moda italiana, nasce a Roma nel 1930 e debutta a Firenze in occasione delle prime sfilate organizzate da Giovanni Battista Giorgini nella villa di famiglia. Le sue non sono solo creazioni "haute couture", abiti preziosi per star di Hollywood e rappresentanti di aristocrazia e jet set internazionali, ma vere e proprie sculture in tessuto. Già negli anni ottanta, egli è antesignano della contemporaneità: i suoi abiti sfilano in tutto il mondo e sono presenti nei musei e nelle istituzioni d'arte più importanti, dalla GNAM di Roma alla Schauspielhaus di Berlino, da Palazzo Strozzi a Firenze al Kunsthistorisches Museum di Vienna, alla Biennale d'Arte di Venezia.
Gian Luca Bauzano milanese, laureato in Lettere moderne, firma autorevole del «Corriere della Sera», è esperto di costume, moda, musica e spettacolo in tutte le sue espressioni. Segue da anni in particolare il mondo della moda e della musica classica. Dopo un decennio di attività a «Il Giornale» e numerose stagioni in radio (Radio Tre Suite dirette dalla Scala, teatri nazionali e internazionali) e televisione (Mediaset e Sky), nel 1999 entra in rcs Media Group. È curatore di mostre internazionali, autore di articoli, saggi e volumi sui suoi temi di elezione. Tiene conferenze e coordina dibattiti e presentazioni di libri. Conosce profondamente Roberto Capucci, avendo curato diverse mostre e pubblicazioni sull’opera del maestro.
09/12/24
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Alessandria: Presentazione del libro “Racconti Gentili” e Laboratorio Creativo per Bambini
Un pomeriggio dedicato alla lettura e alla creatività per i più piccoli
Un pomeriggio dedicato alla lettura e alla creatività per i più piccoli Un evento per i bambini e le famiglieSabato 16 novembre alle ore 18:00, presso la Galleria Universo in Via Dante ad Alessandria, si terrà la presentazione del libro Racconti Gentili, scritto da Marialuigia Girone e illustrato da Francesca Ludovica Girone. L’incontro, organizzato in collaborazione con l’associazione Impronta…
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susieporta · 1 month ago
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Abitare il vuoto.
Quanto è importante, per noi, per le nostre scelte, per le nostre decisioni, per la nostra gestione emotiva e per la realizzazione di sé, saper stare nel vuoto?
Molto, anche se mediamente non ce ne accorgiamo.
Ci sono persone che saltano da uno smartphone a un altro, da una macchina a un'altra, da una vacanza a un'altra, da un ristorante a un altro, da una relazione a un'altra, pensando di aver trovato la felicità.
In realtà questa è l'immagine della ruota del criceto.
Attraverso la dipendenza compulsiva da cibo, da relazioni, da vacanza, da cose, da attività, scambiano la felicità con la dose di dopamina che viene rilasciata dalla novità in corso, unita al bisogno di riempire il proprio vuoto.
Infatti, non appena finisce una storia, molte persone si tuffano subito in un'altra, perché non sanno stare nel vuoto, nella solitudine.
Cioè con loro stesse fino in fondo.
Pensano di aver trovato l'amore della propria vita, ma in realtà spesso è solo un fuoco di paglia che nasce dalla fame di voler riempire quel vuoto, e dalle proiezioni che sviluppano per soddisfare quella fame.
Non appena viene a mancare qualcosa, colmano un bisogno, cercano di riempire uno spazio, un anfratto, un interstizio, che sentono rimasto vuoto.
E subito dopo se ne ripresenta un altro, e poi un altro e un altro ancora.
Schopenhauer diceva che la vita è come un pendolo che oscilla continuamente tra il dolore e la noia.
Il dolore di ciò che ci manca, e la noia di averlo trovato e esserci abituati ad esso.
Quando ci manca qualcosa proviamo infatti dolore; ma quando ce lo abbiamo, la nostra pancia è piena, sopraggiunge la noia, e quindi la ruota deve ricominciare.
È il meccanismo della dipendenza, il quale si basa sulla incapacità di stare nel vuoto.
Il vuoto, è come il silenzio: se c'è qualcosa al suo interno che ti disturba, nel vuoto viene amplificato diventando non solo disturbante, ma terrificante.
Se sei da solo in una stanza, in silenzio, e ascolti il vuoto che hai intorno, vedrai che in breve tempo i pensieri cominceranno a affollare la tua mente come un formicaio.
Eppure il vuoto, come ci insegna la fisica quantistica, rappresenta la maggior parte di noi e del nostro essere.
Siamo costituiti di vuoto, di nulla.
Se ad ogni bisogno insoddisfatto né sopraggiunge un altro, se ad una relazione né sopraggiunge subito un'altra, se a ogni desiderio o azione né arriva compulsivamente subito un altro, il rischio non è solo quello di non saper stare con il vuoto, e quindi di riempire costantemente il tuo essere.
Ma di abbracciare bisogni, desideri e convinzioni, che non sono veramente tue.
Convinzioni e bisogni di altri, della società, della famiglia, dettati dalle mode o dall'idea circolante sui social, in un determinato momento.
Tali contenuti emotivi, energetici, comportamentali, servono soltanto ad allontanare il nulla dentro di noi, a scacciarlo dalla nostra vita come fosse una mosca fastidiosa.
In realtà, il nulla, è il fondamento del nostro essere.
È il nostro essere.
Ma per saper stare con quel nulla capace di creare la nostra vita e di dare vita alle nostre azioni più sincere, le nostre scelte più vere e autentiche, dobbiamo imparare a stare con noi stessi.
In solitudine, in silenzio, senza pensieri.
A quel punto, dopo che ci saremo abituati stare con il nulla che siamo, senza fare niente, senza aver bisogno di cose per riempire la nostra vita attivando il circolo vizioso della dipendenza, cominciamo a scoprire che quel nulla contiene interi universi.
Perché ci può permettere di sentire tutto, realmente: ma davvero tutto, in tutta la sua purezza.
E non semplicemente come ciò che può riempire, in modo indifferenziato, il nostro fastidio nello stare con quello che ci manca.
Saper abitare quel vuoto, cioè non fare per forza qualcosa, non doverci relazionare a qualcuno, attaccarci a qualcuno o a qualcosa, ha l'effetto di una spugna su una lavagna sporca.
Pulisce la nostra mente e predispone l'anima a scegliere secondo le sue vere inclinazioni, realizzando se stessa.
Più imparerai a stare nel vuoto, più ti accorgerai che non hai veramente bisogno di nulla.
Perché sarai diventato capace di accogliere tutto, di sentire tutto, di provare tutto, di realizzare tutto.
Avrai sviluppato, in te, la capacità di fare e di essere tutto ciò che ti serve.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
#armaturainvisibile #vuoto #sistemidifensivi
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carmenvicinanza · 27 days ago
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Lina Poletti
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Lina Poletti, scrittrice e letterata, pioniera della liberazione sessuale e omosessuale, si è battuta per il suffragio e per l’emancipazione femminile.
Si è schierata contro perbenismo e fascismo e agito, in prima persona, contro l’analfabetismo e ogni forma di sopraffazione e limitazione delle libertà.
Dantista, poeta e grecista di immensa cultura, ha attraversato quasi un secolo di storia con onestà intellettuale, originalità creativa e coerenza. 
È stata una delle prime donne, in tutta Europa, a dichiarare apertamente di essere lesbica.
Nata a Ravenna il 27 agosto 1885, Cordula Poletti, era la penultima di quattro figlie di una famiglia di piccoli commercianti. Laureata in lettere all’Università di Bologna con Giovanni Pascoli nel 1907, con una tesi sulla poesia di Giosuè Carducci che viene ancora custodita nel Fondo Poletti della Biblioteca Classense di Ravenna.
Nonostante avesse sposato un uomo, Santi Muratori, suo amico d’infanzia con cui non ha mai vissuto, viene ricordata per le relazioni sentimentali che ebbe con Sibilla Aleramo e Eleonora Duse.
Nel 1908 ha partecipato al Congresso delle donne italiane in cui si chiedeva il suffragio, il riconoscimento della figura femminile nel diritto di famiglia e nei reati di violenza carnale. Vi erano presenti tutte le principali femministe italiane, tra cui la politica Anna Kuliscioff e Sibilla Aleramo, giovane scrittrice che, due anni prima, aveva pubblicato Una donna, romanzo che aveva fatto scalpore e scandalizzato, in cui raccontava l’abbandono del figlio e del matrimonio con il suo stupratore a cui era stata costretta dalla famiglia.
Tra le due era subito iniziato un intenso scambio epistolare e una grande passione.
In Lucida follia. Lettere d’amore a Lina, Sibilla Aleramo, l’ha definita, la fanciulla maschia, descrivendola come una giovane donna androgina, portatrice di comportamenti e caratteri svincolati dagli stereotipi sessuali, definibili come atteggiamenti culturali.
Insieme hanno partecipato ad attività suffragiste e filantropiche come quelle nelle scuole dell’Agro Romano e Pontino per portare l’istruzione nelle campagne dove abitavano popolazioni contadine analfabete, affette dalla malaria e costrette in condizioni di lavoro schiavistiche. Hanno anche prestato soccorso alle popolazioni terremotate di Calabria e Sicilia, nel dicembre 1908. 
Nell’autunno 1910 la loro relazione si concluse definitivamente e Lina Poletti visse una storia intensa e conflittuale con la più grande diva del tempo, Eleonora Duse che, in quel periodo stava attraversando una crisi creativa. Tra viaggi e celebri frequentazioni, aveva scritto, per il suo grande ritorno teatrale, un’Arianna che non è mai andata in scena e che era stata motivo di forte contrasto alla fine della loro relazione che aveva portato uno strascico di beghe legali per la restituzione dei manoscritti.
Nel 1918 ha pubblicato Poemetto della guerra, un’opera epica, animosa, forgiata ai modelli plastici dannunziani, capace di rappresentare, in modo aulico e appassionato, la catastrofe della Grande Guerra.
Grande studiosa di Dante, si ricorda una sua lezione alla Biblioteca Classense di Ravenna, il 9 maggio 1920, in cui si era presentata in abiti maschili. In giacca e camicia bianca, una camelia bianca appuntata al petto, aveva letto e commentato l’ultimo canto della Divina Commedia con passione esegetica accompagnata a un misurato controllo stilistico.
Il suo grande amore è stata Eugenia Rasponi Murat, nobile intellettuale femminista, con cui ha vissuto per 40 anni, dal 1918 fino alla morte della contessa, avvenuta nel 1958. Insieme hanno viaggiato tanto, attraverso la Grecia e l’Europa, spingendosi fino in Oriente. Hanno vissuto a Roma frequentando circoli teosofici e filosofici che le resero invise al regime che aveva mandato più volte a casa loro le autorità preposte al controllo e alla censura. Militanti culturali antifasciste, avevano organizzato seminari guidati dal filosofo Jiddu Krishnamurti che, per primo, ha divulgato il buddismo in Italia.
Lina Poletti ha scritto diversi saggi dedicati a Dante, Pascoli e Carducci e si è sempre occupata, sia nelle opere sia nella sua vita privata, dell’emancipazione delle donne.
In anni più recenti, la sua figura è stata approfondita per la sua visione sulla libertà delle relazioni tra i sessi che l’hanno resa un’icona queer.
Il suo ultimo lavoro è stato un vasto progetto di antropologia culturale che indagava su origini e fini comuni dei popoli dell’area mediterranea di cui non ci resta nulla, come poco è stato tramandato delle sue opere.
Si è spenta il 12 dicembre 1971 a Sanremo.
Selby Wynn Schwartz, studiosa di Stanford in After Sappho, libro segnalato dal New Yorker e nella longlist del Booker, di lei ha scritto: Ci guidava come un faro verso un futuro in cui non sapevamo ancora come vivere.
Lina Poletti è stata una visionaria voluttuosa, una ribelle intellettuale che ha trasgredito alle regole chiedendo libertà, amando apertamente altre donne. Ha scritto un manifesto mentre i fascisti si preparavano alla marcia su Roma, nel 1921.
Non ha avuto remore a esporsi e vivere come desiderava, nonostante le privazioni sociali e culturali dei tempi e spianato la strada alle rivendicazioni dei diritti umani.
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libriaco · 4 months ago
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Il duro lavoro
Un'amica e io condividiamo i calendari settimanali dei nostri impegni; ieri pomeriggio ho aggiornato le mie attività e lei ha subito commentato ironicamente: «Tu lavori come una bestia!»
Ho pensato alla mia famiglia, ai miei nonni… Le ho risposto: «Se non sudi e non hai i calli sulle mani quello che fai non è un lavoro».
[Io, al massimo, ho qualche sottile callosità sui polpastrelli.]
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3nding · 3 months ago
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Non ti scordar di me
L'ingombrante presenza di Ciccio Kim e di una guerra fratricida che ufficialmente non è mai finita spunta fuori nella vita quotidiana in vari modi:
Nei militari in uniforme che si incontrano in giro per la città.
Nei cartelli che indicano la presenza del rifugio più vicino.
Negli armadietti lungo il mezzanino della metro che contengono maschere antigas e altro materiale di emergenza.
Nei video della protezione civile nelle stazioni e sui treni che indicano che cosa fare a seconda delle diverse situazioni.
Poi come in Giappone è praticamente impossibile trovare dei cestini della spazzatura.
Oggi a causa della nuvola di Bonaccini (ci sarà sicuramente qualcuno in grado di dargli la colpa per la pioggia anche a queste latitudini) abbiamo dovuto optare per attività al chiuso, nello specifico gironzolare per la stazione di Gangnam.
Ovviamente ci siamo persi. Ovviamente abbiamo preso un montacarichi che ci ha portato in un non luogo dove non c'era niente e nessuno. Ovviamente faceva parte della sede della Samsung. In merito a questo ultimo punto, la famiglia che ha in mano l'impero Samsung non si occupa unicamente di tecnologia e elettronica ma gestisce una galassia di servizi ed è spesso ipotizzata influenzare l'agenda politica del Paese.
Se il quartiere dove abbiamo l'hotel in "centro storico" è sgarrupato, qui complice anche la sede della Samsung le cose sono radicalmente differenti, lo sono i negozi, le persone, il contesto.
Un contrasto che rispecchia fedelmente quello mostrato in "Parasite".
Bonus: gli anziani se ti vedono perso provano ad aiutarti nonostante la barriera linguistica. Le persone si sforzano di parlare inglese anche se non lo sanno bene (o non lo sanno proprio).
Per essere un Paese coi pagamenti digitali e app ovunque, la tessera ricaricabile dei trasporti può essere ricaricata alle macchinette nelle stazioni SOLO TRAMITE CONTANTI.
Eccheccazz.
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mandorloinfiore · 3 months ago
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Se avete esperienze con attività di famiglia e come vi ci siete rapportati nel tempo, posso chiedervi un consiglio? Purtroppo ultimamente a livello emotivo mi sento molto in difficoltà e mi farebbe piacere un confronto con chi magari ci è già passato 🌸
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nonhosbattii · 5 months ago
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Perdona la domanda, ho letto il discorso sulla difficoltà nel fare amicizia.
Comprendo la difficoltà ma tu senti di frequentare ambienti dove possa essere fattibile fare amicizia con persone con tuoi interessi comuni?
Spesso per i ragazzi della nostra fascia d’età (dai 24 ai 30) ci si lascia un po’ andare per quanto riguarda vita privata e non coltiviamo le vecchie amicizie né cerchiamo di crearne di nuove.
Ti faccio un’esempio ancora più pratico, molti vorrebbero un corpo più atletico ma pochi si applicano per ottenerlo.
Non è una critica ma semplice curiosità, sembri una ragazza che tende a stare sulle sue e probabilmente anche intelligente e questo purtroppo non ti aiuta
Partiamo dal fatto che mi sono dovuta trasferire 3 volte. Le elementari in un paese, le medie in un altro e le superiori da un'altra parte ancora. I miei sono stati abbastanza permissivi ma non tanto dal lasciarmi fare attività al di fuori della scuola. Essendo piccola e lontana dai miei vecchi amici, né mio padre né mia madre mi hanno incoraggiata a mantenere i rapporti perché - appunto - non potevo spostarmi tra i vari paesi da sola. Le poche amicizie che avevo alle superiori le ho un po' perse per vari motivi. Chi si è fidanzato ed è semplicemente sparito e chi, preso dagli impegni del lavoro, pur cercando di organizzare qualche uscita, ha sempre detto "si può fare" senza mai effettivamente realizzarlo. Due mie care amiche negli anni delle superiori sono completamente cambiate, una prendendo giri strani di droga e alcol e cose varie di cui non volevo fare parte e l'altra semplicemente stando molto sulle sue e dedicandosi al lavoro nel ristorante della sua famiglia. Sono riuscita a mantenere i rapporti con un'altra ragazza delle superiori con cui condivido alcuni interessi ma detesta uscire la sera (es. no a bere nei locali e no a ballare). Quindi perlopiù quando riusciamo ad incastrare impegni si tratta di colazioni o cose molto tranquille. Ho avuto colleghe sul lavoro che avevano già famiglia e altre che erano completamente svitate. Del tipo che mi chiedevano di uscire e poi all'ultimo mi bidonavano oppure cambiavano piano senza dirmelo e se ne andavano in giro con altra gente. Una si è perfino trasferita dal nulla, ha smesso di scrivermi e dopo mesi e mesi mi ha riscritto solo per dirmi che era incinta.
Cioè sinceramente io ci metto tutto l'impegno del mondo ma chissà perché va sempre a puttane😂
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