#cultura per l’infanzia
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Buon Compleanno Bianconiglio: 10 anni di attività per il Centro Gioco di Spinetta Marengo. Alessandria today
Il Centro Gioco “Il Bianconiglio” di Spinetta Marengo, un servizio socio-educativo del Comune di Alessandria gestito dall’Azienda Speciale Multiservizi “Costruire Insieme”, celebra quest'anno i suoi 10 anni di attività con una serie di eventi e iniziative
Il Centro Gioco “Il Bianconiglio” di Spinetta Marengo, un servizio socio-educativo del Comune di Alessandria gestito dall’Azienda Speciale Multiservizi “Costruire Insieme”, celebra quest’anno i suoi 10 anni di attività con una serie di eventi e iniziative speciali. Il 19 ottobre 2024 sarà una giornata di festa per tutta la comunità, con attività dedicate ai bambini e alle famiglie, confermando il…
#Alessandria eventi#attività autunnali Bianconiglio#attività ludico-ricreative#attività per bambini Alessandria#celebrazioni decennale#centri gioco Alessandria#centro educativo Fraschetta#Centro Gioco Il Bianconiglio#comune di Alessandria#Costruire Insieme#cultura per l’infanzia#decennale Bianconiglio#educazione infantile#eventi culturali Alessandria#eventi per famiglie Alessandria#Fraschetta#giochi e apprendimento#giocoleria per bambini#Inclusione sociale#incontro genitori e figli#Marengo Hub Restart#prevenzione dispersione scolastica#riqualificazione urbana Alessandria#riqualificazione urbana Marengo Hub.#servizi socio-educativi#spettacoli di giocoleria#spettacoli per bambini#spettacolo DJ Grey Show#Spinetta Marengo#supporto alle famiglie
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«La stupidità è il motore del mondo. I politici, i personaggi dello spettacolo campano tutti, chi più chi meno, sulla stupidità umana.»
Avete mai letto da bambini La fabbrica di Cioccolato? Matilde? Il grande gigante gentile? Sono libri innocenti, starete pensando. Libri innocui. A chi mai verrebbe in mente di censurarli? Ebbene i moralisti di turno ancora una volta non si sono smentiti.
Lo scrittore di libri per bambini Nicola Pesce lo ha denunciato ieri sulla sua pagina Facebook: «In pratica tolgono le parole «grasso», «pazzo», «nano»... e persino espressioni come «donna delle pulizie» diventeranno «persona addetta alle pulizie. La società che detiene i diritti delle sue opere e l'editore inglese a trent'anni dalla morte dell'autore hanno ben pensato di fare questa cosa orribile.»
Il politicamente corretto ormai è diventato una religione. Dapprima hanno pensato di riscrivere i classici, poi hanno censurato Shakespeare, Shakespeare! Perché? Perché parla di passioni violente e faide familiari, ed è stato abbastanza per per giudicarlo «diseducativo». Accostarsi alla letteratura in questo modo significa ucciderla. E oggi nel mirino di questa penosa censura sono caduti anche i libri per l’infanzia.
Qualcuno, obietterà: ma cosa importa se facciamo a meno di questa o di quella parola? È così importante, in fondo? E perché allora non eliminare la parola tristezza, perché non fare a meno della parola dolore, della parola odio? Perché sì, se si continua su questa strada, arriverà il giorno in cui non si potrà esprimere più nessun pensiero, nessuna emozione, nessuno stato d’animo che il Potere abbia giudicato socialmente inaccettabile. Edulcorare il linguaggio, riscrivere la storia significa «entrare», come diceva Goethe, «in quel luogo della mente in cui il sonno della ragione genera mostri.»
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X Ai miei lettori, è da poco uscita la nuova ristampa del mio romanzo Clodio, se vi piacciono la storia e la filosofia, potete leggerne un estratto gratuito a questo link: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
#istruzione #cultura #filosofia #scuola
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Ágota Kristóf
Ágota Kristóf, scrittrice e drammaturga ungherese passata alla storia della letteratura mondiale col suo capolavoro La trilogia della città di K. che ha ricevuto numerosi premi letterari ed è stato tradotto in oltre trenta lingue.
I suoi romanzi, dalla scrittura asciutta e incisiva, la prosa austera e la narrazione senza fronzoli, esplorano, in maniera cruda e provocatoria, temi universali come la violenza, la guerra, l’infanzia e la natura umana. I personaggi dei suoi racconti sono spesso segnati dalla condizione esistenziale dell’erranza, di chi è costrettə ad abbandonare la propria terra per cercare rifugio in un paese straniero
Nata il 30 ottobre 1935 a Csikvánd, un piccolo villaggio in Ungheria, a quattordici anni scriveva le sue prime poesie mentre studiava in un collegio di sole ragazze.
Nel 1956, dopo l’intervento dell’Armata Rossa per soffocare la rivolta popolare contro l’invasione sovietica, è fuggita con il marito e la figlia in Svizzera stabilendosi a Neuchâtel, dove ha vissuto fino alla morte, avvenuta il 27 luglio 2011.
Quando è scappata aveva poco più di vent’anni e una bambina di undici mesi avvolta alla schiena. Ha dovuto imparare a ricostruirsi una nuova vita, una nuova lingua, che ha adoperato per scrivere sentendosi sempre analfabeta perché non la padroneggiava abbastanza. Ha lavorato come operaia in una fabbrica, poi è stata insegnante e traduttrice, ha divorziato e avuto altri due figli.
La sua fuga è stato un trauma da cui non si è mai ripresa, allontanata dagli affetti in un mondo totalmente diverso da quello a cui apparteneva. La condizione inesorabile della persona migrante che deve adattarsi a una realtà da cui si sente estranea.
Ha raggiunto il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier che, insieme a La preuve e Le troisième mensonge è confluito in quel grande capolavoro che è stato la Trilogie (Trilogia della città di K.). I tre libri ripercorrono il tema del distacco, la separazione di due gemelli, Klaus e Lucas, e il ritrovamento dopo la guerra.
La sua scrittura è scarna, crudele, reale. Un pugno nello stomaco di chi la legge. Quello che racconta non ha bisogno di fronzoli o abbellimenti, è il ritratto di una realtà dura che molto coincide con la sua biografia. Ha rappresentato le tragedie della guerra con una disperazione fredda e sorda, come se scrivesse attraverso gli occhi di un bambino che non giudica mai niente, che si limita a registrare quello che accade con spietata ingenuità.
Vari i romanzi e le opere teatrali che ha scritto consumando, con parole dure, la lotta per integrarsi in una nuova cultura, la continua guerra di chi ha perso la propria terra e non potrà mai più tornare indietro.
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Sono 138 le opere donate dai 140 artisti (2 sono realizzate da artisti che lavorano abitualmente a “quattro mani”) che hanno aderito al progetto GrandArte 2013 – Artisti contemporanei per un progetto sociale in mostra dal 25/10/2013 al 06/01/2014 presso il Complesso monumentale di San Francesco a Cuneo.
L’ultimo lavoro di Domenico Olivero, l’opera “Reperto 00” presentata recentemente alla rassegna GrandArte, è il primo passo di un articolato percorso che l’artista sta elaborando fra storia del territorio e il suo vissuto, che si svilupperà nei prossimi anni.
Il manufatto, che fu trovato in una sacca di juta, realizza il parallelismo fra persona/popolo, nelle specifico l’io artistico e la cultura occitana, la cui bandiera è caratterizzata dai colori giallo e rosso, fra le più significative dell’ area di provenienza dell’artista.
I nastri assemblati (metafora di padre e madre) creano una coccarda che sviluppano una nuova forma. Ancestrale trasformazione di una lunghezza pari all’età dell’artista. La coccarda si avvolge a terra in forma di spirale, sensibile alle riflessioni materne che si affascinò alle forme evolutive. Osservandola da vicino si percepisce un lieve odore di lavanda, nota erbacea della terra dove il padre trascorse l’infanzia, la Provenza.
Tracce di vita in una forma semplice e lieve, soggetta alle necessità dell’ambiente.
Questo proposto nell’ evento espositivo è il primo di una decina di lavori che Domenico Olivero intende produrre, il prossimo che ho già avuto occasione di visionare è una serie di fotografie del gioco della petanque, in cui le bocce paiono ferme come alcune costellazioni più astrali.
#arte#arte contemporanea#contemporary art#domenicoolivero#oliverodomenico#art#olivero domenico#domenico olivero#domenico#olivero
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Comunicato stampa
Firenze, 11 dicembre 2023
Inaugurata questo pomeriggio dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano la mostra storico documentaria
"Giovanni Spadolini: gli anni dell’infanzia e della formazione (1925-1947)"
presso la sede della Biblioteca Spadolini Nuova Antologia di Firenze
Raccontare la vita di Giovanni Spadolini attraverso le immagini, i documenti, gli oggetti che lo hanno accompagnato per sessantanove anni, dal 1925 al 1994, per mostrare un aspetto più intimo e umano del compianto statista fiorentino.
Questo lo scopo della Fondazione Spadolini Nuova Antologia, che questa mattina ha inaugurato la prima delle tre mostre dedicate a Giovanni Spadolini, che da ora fino al 2025 anticiperanno le celebrazioni per il centenario dalla nascita del Professore.
A portare i saluti istituzionali il Presidente della Regione Eugenio Giani, la vice sindaca del Comune di Firenze Alessia Bettini e di Daniele Donati, sindaco di Rosignano Marittimo (Patria dell'anima dove Spadolini trascorreva le vacanze estive).
A tagliare il nastro dell’esposizione intitolata “Giovanni Spadolini: gli anni dell’infanzia e della formazione (1925-1947) è stato il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano:
“Spadolini è un esempio virtuoso di politico ma prima ancora di grande giornalista – sono state le parole del Ministro –.Direttore del Corriere della Sera, editorialista, grande storico; ha indagato soprattutto fasi fondamentali della nostra vita nazionale come il Risorgimento. Bisogna lavorare per provare ad avvicinarsi, sia pur lontanamente, al modello virtuoso che ha rappresentato. Spadolini era prima di tutto un intellettuale, riconosciuto in tutto il mondo per il suo valore come tale.
Ho voluto partecipare a questa mostra perché fa parte di un progetto che ho: riportare al centro dell'attenzione la figura di Giovanni Spadolini, anche in occasione dei cinquant'anni della fondazione del Ministero della Cultura."
Scopo dell’iniziativa è accompagnare i visitatori, anche con il supporto mediatico, nella vita intima dell’uomo pubblico. Una vita “napoleonica”, presentata in tre momenti, non in rigorosa successione cronologica, ma tenendo conto delle varie “anime”, come il Professore definiva le molteplici vocazioni: lo storico, il giornalista, l’uomo pubblico. Radice comune l’infanzia e la formazione. Dalla passione per la storia - innata in lui - alle prime esperienze del giornalista in erba, con il sogno coltivato già a otto-nove di diventare una “grande eccellenza”, come si legge in una dedica del padre Guido.
Il tutto all’interno di un ambiente familiare patriarcale, stretto intorno alla figura del nonno paterno, Luigi: genitori, fratelli, zii, cugini. Questa prima parte è essenziale per capire la personalità di colui che avrebbe rinnovato gli studi storici, dominato una lunga stagione del giornalismo, dato una svolta alla stagnante politica italiana.
“Quella inaugurata questa mattina dal Ministro Sangiuliano – spiega il Professor Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini – è la prima di tre mostre che, una ogni anno, allestiremo con l’intento di ricostruire la vita intima del noto statista fiorentino, quella lontana dai riflettori e che rappresenta il dietro le quinte dei ben più noti ruoli di giornalista e uomo delle istituzioni.
Attraverso oggetti, diari e documenti inediti scrupolosamente conservati, i visitatori impareranno a conoscere la sua umanità, approfondendone gli aspetti nelle tre mostre annuali che verranno allestita da ora fino al 2025, anno del centenario dalla nascita del nostro compianto Professore.
Come location è stata scelta la Biblioteca di Pian dei Giullari, che rappresenta il sogno del lascito della sua vita: qui gli studenti e gli studiosi di tutta Italia e non solo vengono ogni giorno a consultare quegli stessi volumi che Spadolini aveva raccolto in vita e che, con immenso amore verso la cultura, ha voluto divenissero un bene condiviso.”
La mostra, allestita da Donata Spadolini e Valentina Bravin, è visitabile gratuitamente dal lunedì al giovedì in orario 10-13 e 15-17, fino al 21 giugno 2024.
I gruppi possono prenotare visite guidate.
Info: 055.2336071
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Act N°1 a/i 2018: Show n°0, una riflessione attuale in codice sartoriale
Sembra una polaroid di questa nostra eclettica epoca fashionista: sì esatto, proprio quella fotografia concreta e maneggevole, non racchiusa nell’effimero digitale di una nuvola che si può vedere ma non si può afferrare, bensì fatta di sostanza e che prende vita al momento in cui viene scattata. Sì esatto, proprio quel genere di fotografia che apparteneva al secolo scorso, che sembrava estinta ma no, non lo è, perché le icone, così come la verve da sottocultura che invade le strade e lo stile di vita e di guardaroba, non si estinguono, ma si reinventano e ci accompagnano.
Ecco, la collezione di Act N°1 a/i 2018-19 andata in scena su una passerella d’eccezione all’appena trascorsa edizione di AltaRoma, ovvero la Galleria Nazionale di Arte Moderna, ha il potere di una polaroid: un ritratto diretto, giovane eppur consapevole, schietto e intrigante nella sua imperfezione, della realtà nella quale siamo immersi e con la quale ci si diletta ad esprimersi.
Dopotutto s’intitola “Show n°0”: come fosse una messa in scena sincera dell’attualità senza alcun grado di separazione tra noi e gli abiti che han sfilato. E i vari mondi che la loro apparenza sartoriale composita e la loro ispirazione culturale complessa han raccontato.
Primo fra tutti, il mondo squisitamente personale della cultura d’appartenenza che ha intriso di ricchezza multiculturale l’infanzia dei due fashion designer, che del brand sono fondatori e anime creative: Luca Lin e Galib Gassanoff. L’infanzia e i ricordi saporiti che di essa ancora restano e che nutrono l’ispirazione dei due creativi: l’infanzia dunque, il primo atto dell’esistenza e la prima tessera del mosaico della propria identità, quando si creano le basi dello spettacolo che si protrarrà per tutta la vita e le sue evoluzioni. Eccolo qua, il primo atto: l’Act N°1!
Per comprendere al meglio è necessario fare un passo all’interno delle relative autobiografie: entrambi son giovanissimi, entrambi son cresciuti sul territorio emiliano-romagnolo e maturati nella moda a Milano, ma al contempo entrambi provengono da origini estere, Luca Lin è nato da genitori cinesi e Galib Gassanoff è nato e cresciuto in Georgia da genitori azeri.
Et voilà il fil rouge che dà forma e corpo alle collezioni del brand Act N°1 e che si riallaccia anche nella collezione a/i 2018-19: il bagaglio prezioso che viene dal métissage culturale personale è sottoposto all’attitude studiatamente scomposta di quel grunge anni ’90 che ancora esercita la sua attrazione, in questo caso creando un vero mash-up tra il pregio della materia lavorata e il cool dell’attitude streetwear. Il tutto è poi tradotto attraverso l’esattezza tipica della manifattura sartoriale italiana.
L’occhio e il gusto devono star bene attenti: quelli che sembrano esercizi di styling sono operazioni di stile molto sottili, dove il mix di provenienze provoca la stratificazione appassionata, che a scomporla rivela le stampe ricercate tratte da acquerelli originali cinesi, i jacquard preziosi dove sbocciano le peonie, i pattern grafici che ricreano i motivi dei tappeti orientali direttamente dall'arredamento post-sovietico degli anni ’90.
E via scomponendo si gode l’effetto che fa il collage di capi d’abbigliamento e d’icone prese da epoche stilose che sembrano lontane eppur son così recenti: patchwork di pezzi di vestiti decostruiti, ovvero smantellati per poter essere poi riassemblati, in particolare quelli dal gusto sporty come le felpe che si fondono negli abiti, i bomber military che s’incastonano nelle bluse, le due camicie che diventano minidress e il tulle lieve che ricopre l’aplomb del cappotto dritto e materico.
Passo dopo passo, anzi, strato su strato si va verso un’eleganza rivisitata con la stessa urgenza della mescolanza: le stampe delle vesti che rievocano il kimono han bisogno della grinta del denim che si affaccia da sotto, il velluto elegante degli abiti va annodato con rapida nonchalance in vita e l’invasione luminosa delle paillettes è da gran finale. Ma sempre intrise da quell’attitude casual che non fa rinunciare alla felpa, mai, nemmeno quando prende la voglia irrefrenabile d’indossare anche un bel paio di cuissard glitterati.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
{ Photo backstage ©Grey Magazine }
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21 nov 2023 10:06
“C’È UN’INCAPACITÀ MASCHILE DI SOFFRIRE PER UNA PERDITA CHE DIVENTA RABBIA E VIOLENZA” - LA PSICOTERAPEUTA STEFANIA ANDREOLI: “L’INCAPACITÀ A SOPPORTARE LA PERDITA RIGUARDA ANCHE PERSONE PIÙ ADULTE, NON SOLO GLI ADOLESCENTI. NON RIUSCIRE A REGGERE L’ASSENZA È FISIOLOGICO SOLO DURANTE L’INFANZIA: UN BAMBINO HA IL DIRITTO DI DISPERARSI SE PRIVATO DELL’ALTRO, NON UN ADULTO - IL PROBLEMA È L’INCAPACITÀ DI SOFFRIRNE. LA MANCANZA DI STRUMENTI AL MASCHILE PER PIANGERE, TROVARE PAROLE PER IL DOLORE, DIVENTA RANCORE…” -
Estratto dell’articolo di Micol Sarfatti per il “Corriere della Sera”
Dottoressa Andreoli, lei lavora molto con i giovani adulti. Esiste un problema di svincolo nei rapporti sentimentali nella generazione di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, soprattutto quando sono le ragazze a voler cambiare vita?
«[…] la spinta al cambiamento e al compimento del progetto di vita è spesso più femminile. Le giovani sono più predisposte a ripartire dando il via a nuovi capitoli della loro storia. Non sono ostacolate dalla mancanza di coraggio bensì dal timore di non essere prese sul serio, di lasciare dietro di sé le macerie dell’Altro. Mi dicono: “Non sono più sicura che sia la persona giusta, ma non sopporterei l’idea di farlo soffrire”».
Perché un giovane adulto, come Filippo Turetta, non è riuscito ad affrontare la perdita della fidanzata?
«[…] l’incapacità a sopportare la perdita riguarda anche persone più adulte. Non riuscire a reggere l’assenza è fisiologico solo durante l’infanzia: un bambino ha il diritto di disperarsi se privato dell’Altro, non un adulto. Non è questione di età, ma di genere. Il problema non è la perdita in sé, bensì l’incapacità di soffrirne. La mancanza di strumenti al maschile per piangere, trovare parole per il dolore, diventa rancore, rabbia e violenza».
Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, ha parlato con lucidità di patriarcato e violenza. Come è possibile che la consapevolezza su questi temi non sia bastata ad affrontare il rischio?
«[…] dobbiamo, tutti, operare la doverosa distinzione tra istruzione ed educazione, tra conoscenze e cultura. […] eppure non è sufficiente per fare prevenzione se lo sforzo del singolo si perde come una goccia nel mare di chi, a proposito di violenza di genere, indulge nel sarcasmo, nella superficialità, nella minimizzazione di chi fa vittimizzazione secondaria. Quello che so può non bastare, se quello che sento non mi sostiene, non costruisce insieme a me una civiltà del rispetto, ma insinua che siamo esagerate».
[…] L’educazione sentimentale nelle scuole sarebbe efficace? Come e quando andrebbe iniziata?
«Nel resto d’Europa, ad esempio in Francia, l’educazione all’affettività si fa dalla scuola dell’infanzia. L’amore e il non amore sono esperienze precocissime, non si può arrivare in ritardo. In Italia abbiamo il pudore perverso di temere che parlare delle cose le faccia succedere. È il contrario: pensarsi, nominare e riconoscere le emozioni, discutere le cause della violenza di genere concorrono a prevenirla. […]» .
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Gianfranco Berardi con “Io provo a volare” per la rassegna “SCIAPITO’ - Il Circo del Teatro” a Villa Bonelli a Roma Giovedì 2 novembre 2023 è andato in scena lo spettacolo di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari, all’interno della seconda edizione della rassegna teatrale “SCIAPITO’ - Il Circo del Teatro” - da mercoledì 25 ottobre a domenica 5 novembre 2023 a Villa Bonelli , via Camillo Montalcini, 1 a Roma. Io provo a volare è una drammaturgia originale che, a partire da cenni biografici di Domenico Modugno, racconta la vita di uno fra i tanti giovani cresciuti in provincia e che cercano di realizzare il sogno di diventare artisti. Ed è proprio attraverso la descrizione delle aspettative, delle delusioni e degli sforzi che si articola il racconto. La storia vede lo spirito di un custode di un teatrino di provincia che, a mo’ di vecchio capocomico, torna in scena ogni notte, a mezzanotte, in compagnia dei suoi musicisti all’interno del teatro in cui mosse i primi passi. Così, fra racconto, musica e danza, accompagnati dalle musiche di Modugno, interpretate da chitarra e fisarmonica, si rivivono episodi della sua vita: i sogni, gli incontri, gli stages, le prove, la fuga, la scuola, il primo lavoro e l’amaro rientro al paesino a cui, dopo aver provato tutte le strade possibili, è costretto a tornare. Il lavoro quindi, utilizzando la figura di Modugno come simulacro, rende omaggio agli sforzi ed al coraggio dei lavoratori in genere - e dello spettacolo in particolare -, i quali, spinti da passione, costantemente si lanciano all’avventura in esperienze giudicate poco dignitose solo perché meno visibili. Gianfranco Berardi è stato fra i vincitori dei Premi Ubu 2018, premi che fanno emergere un panorama teatrale che da anni produce alcune fra le esperienze artistiche più importanti. Artisti che, nel corso degli anni, hanno lavorato in modo continuativo e sotterraneo, modificando il sistema teatrale. I premi offrono conoscenza e stimolano il dibattito. I migliori attori/attrici del 2018 sono stati/state Ermanna Montanari, Lino Guanciale e Gianfranco Berardi appunto, che lavora con Gabriella Casolari nella compagnia Berardi Casolari. SCIAPITO’ - Il Circo del Teatro - dal 25 ottobre al 5 novembre 2023 Rassegna di quindici spettacoli di drammaturgia contemporanea a Villa Bonelli a Roma La seconda edizione del Festival SCIAPITÒ - Il Circo del Teatro, una rassegna che prevede dodici giorni di programmazione di spettacoli di drammaturgia contemporanea all’interno di uno chapiteau posizionato a Villa Bonelli (Municipio XI). Il Circo del Teatro propone quindici spettacoli, di cui quattro di teatro per l’infanzia in un variegato programma di performances teatrali, con una programmazione che ospita sia compagnie romane sia provenienti da tutta Italia, portando avanti la progettualità di decentramento della cultura e ponendo l’attenzione su luoghi periferici della città. Il festival si è aperto il 25 ottobre con uno spettacolo/reading della compagnia Tony Clifton Circus (Italia/Francia/Inghilterra), e proseguirà fino a domenica 5 novembre con artisti romani quali Daniele Timpano, Andrea Cosentino,Lorenzo Lemme, Teatro Forsennato, Rampa Prenestina e Teatro Rebis. In cartellone, a completare il programma serale, compagnie e artisti quali Francesca Sarteanesi, Compagnia Berardi/Casolari, Lucia Raffaella Mariani con la produzione di Trento Spettacoli, Teatro Segreto e Rossella Pugliese. Per gli spettacoli della sezione Infanzia il programma prevede Teatro Macondo, Illoco Teatro, Francesco Picciotti con la produzione di Florian Metateatro e Marco Ceccotti, e Simona Oppedisano. La scelta del titolo SCIAPITÒ - Il Circo del Teatro nasce dall’incontro fra le due anime del progetto: lo chapiteau ed una programmazione totalmente teatrale. Lo Chapiteau, utilizzato in modo non convenzionale, ospita esclusivamente spettacoli dal vivo non di circo, bensì di drammaturgia contemporanea, sia nella programmazione serale sia nella programmazione per bambini.
La manifestazione è promossa dall’ Associazione Culturale Teatro Macondo, la direzione artistica è curata da Dario Aggioli per conto dell’impresa di produzione Consorzio Altre Produzioni Indipendenti (C.A.P.I.). La manifestazione è raggiungibile con i mezzi pubblici: Linee bus 44, 775, 780, 781, C7, Treno FL1 (fermata Villa Bonelli). Il progetto è realizzato con il sostegno del Ministero della Cultura - Direzione Generale Spettacolo ed è vincitore dell’Avviso Pubblico Lo spettacolo dal vivo fuori dal Centro - Anno 2023 promosso da Roma Capitale - Dipartimento Attività Culturali.
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"Caos": la mostra personale di Mark Cattaneo
"Caos": la mostra personale di Mark Cattaneo. Padova, promossa dall’assessorato alla cultura, l’esposizione si compone di circa cinquanta opere materiche che sposano l’utilizzo di resine, legno, ferro, sacchi e altro con la tecnica dell’ossidazione e corrosione di metalli provocata con acidi. Peculiare del percorso creativo di Cattaneo, che si colloca al centro di “Caos” è il tempo che caratterizza il processo di realizzazione delle opere esposte, che varia da 30 giorni per arrivare fino a 18 mesi. “La condizione umana è immersa in uno stato di meraviglioso equilibrio asimmetrico. In questo caos primordiale, dove il caos non è sinonimo di caotico ma di questo equilibrio asimmetrico, ogni scelta o accadimento, costituisce una variazione, che offre nuova linfa vitale in forma, non di risposte certe, bensì di altri punti di domanda che diventano il motore propulsore e per chi recepisce, momenti di silenzio - spiega l’artista - Nelle opere, moti inattesi. Partecipare ad un frammento di memoria esperienziale che ogni soggetto-oggetto conserva nelle proprie fibre, nelle superfici lavorate nel tempo, nelle pieghe nascoste dei gesti. Nel caos una visione. Una immagine ricca delle evoluzioni, nello spazio, nell’imprevedibile. In un informale astratto. Nel presente.” La mostra resterà aperta da sabato 23 settembre a domenica 5 novembre, ingresso gratuito. INFO: Caos - Personale di Mark Cattaneo Galleria Cavour di Piazza Cavour Dal 23 settembre al 5 novembre 2023 Orari: Me-Gio-Ve: h. 16-21, Sa e Do 10-13 e 15-22 . Chiuso lunedi’ e martedi’ Ingresso libero BIOGRAFIA DELL’ARTISTA: Mark Cattaneo, artista di origine padovana, diplomato in tecniche lignee all’Istituto D’Arte Corradini di Este, ha perfezionato la propria formazione attraverso la frequentazione di laboratori e botteghe per la lavorazione ed il restauro della pietra, dell’immagine visiva e fotografica nell’editoria, dell’illustrazione per l’infanzia, della lavorazione dei metalli preziosi e della tecnica della ceramica Raku. Costante del suo percorso di ricerca è la sperimentazione diretta di tecniche e materiali. A partire dal 2010 la sua produzione si colloca principalmente tra pittura materica, scultura e fotografia attraverso l’uso di metalli, resine, terracotta e legno, focalizzata in un processo di astrazione del soggetto, ricollocato ora in una dimensione di isolamento in cui le peculiari qualità esteriori rivelano le verità interiori della condizione terrena. Nel 2017, con la locuzione “artista abusivo”, inizia il ciclo di abbandono di opere, con la Serie 7, realizzate in ceramica raku con l'integrazione di legno, ferro e diversi filamenti, disseminandole tra gli spazi preposti all'arte nel contesto della Biennale di Venezia, oltre che sparsi lungo le calli della stessa città, liberandole a ignoto destino. Seguono altre versioni evolute come Serie 8 Venezia, Serie 9 Roma, Serie 1196 Veneto. In questi anni prende il via l'indagine ancora in corso sulla memoria esperienziale della materia attraverso l’intervento nel metallo, l'applicazione di objets trouvés o il loro spontaneo inglobamento, l'aggiunta di acrilici e terre e lo scorrere del tempo, in stratificazioni successive fino ai 18 mesi per le più materiche, unitamente alle interessanti condizioni atmosferiche del luogo di evoluzione. Ispirato dalla concezione fotografica di Mario Lasalandra, si approccia alla fotografia come progetto visivo. Ha esposto in numerose mostre, sia collettive che personali, a Padova ma anche a Venezia, Ferrara, Bienno (BS), Firenze, Roma, Sorrento, Palermo. Ha realizzato installazioni e murales a Udine, Padova e Trento.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Fiabe Italiane del Piemonte: un tuffo nella saggezza popolare tra passato e futuro
Le fiabe piemontesi rivivono con Paolo Menconi: tradizione e innovazione per grandi e piccini
Le fiabe piemontesi rivivono con Paolo Menconi: tradizione e innovazione per grandi e piccini. Nel libro “Fiabe Italiane del Piemonte”, l’autore Paolo Menconi ci guida in un affascinante viaggio tra le storie popolari della regione, reinterpretate e arricchite per il pubblico contemporaneo. Questa raccolta di 12 fiabe trasforma la saggezza antica in narrazioni moderne, utilizzando filastrocche e…
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Fritz von Herzmanovsky-Orlando, vivere sul Lago di Garda
Lo scrittore che visse la fine di un mondo e amava quelle zone tra l’Alto Adige e il Veneto… Fritz von Herzmanovsky-Orlando nacque a Vienna il 30 aprile 1877 da Emil Josef Ritter von Herzmanowsky, un funzionario regio impiegato presso il Ministero dell'Agricoltura, e Aloisia von Orlando, nata a Kosmonosy. Dopo che Friedrich visse l’infanzia nella casa paterna, al numero 3 della Marokkanergasse e nel distretto di Landstraße, frequentò il ginnasio viennese Theresianum, poi studiò ingegneria edile presso il Politecnico di Vienna tra il 1896 ed il 1903, dove conobbe l'illustratore, pittore e scrittore Alfred Kubin. In quel periodo Herzmanovsky-Orlando conobbe importanti figure della cultura del primo Novecento, come Karl Wolfskehl, Oscar A. H. Schmitz, Gustav Meyrink, Anton Pachinger. A Monaco di Baviera Fritz si unì al Circolo Cosmico di intellettuali e scrittori, legato alle figure di Karl Wolfskehl, Ludwig Klages e Alfred Schuler, e lavorò tra il 1904 ed il 1905 come dipendente presso una società di costruzioni, in seguito divenne architetto. Tra il 1911 ed il 1912 abbandonò definitivamente la sua attività professionale per una tubercolosi e poté dedicarsi a tempo pieno a diverse attività in ambito artistico e letterario, oltre a compiere una serie di viaggi. Nel 1913 viaggio sulla sponda nord orientale del mar Adriatico, in compagnia della moglie Carmen Maria Schulista, poi visitò l'Egitto, la Sicilia e l'Italia meridionale, in un viaggio di circa quattro mesi avvenuto nel 1914. A causa dell'aggravarsi delle sue condizioni Herzmanovsky-Orlando si stabilì nel 1916 a Merano, dove visse fino al 1918 ed ottiene il permesso ufficiale di aggiungere al proprio cognome quello materno. Dopo l'annessione dell'Austria da parte della Germania nel 1938, lo scrittore venne costretto ad abbandonare il Sud Tirolo per l'entrata in vigore delle Opzioni in Alto Adige e si trasferì a Malcesine, sul lago di Garda. Solamente nel 1949 Fritz tornò a Merano e visse nel vicino castello di Rametz, dove morì il 17 maggio 1954. Nel 1970 gli fu dedicata una via nel distretto viennese di Floridsdorf, la Herzmanovsky-Orlando-Gasse. Tutte le opere di Herzmanovsky-Orlando contengono diversi riferimenti al mondo fantasy Tarockei, con uno stile decadente, barocco, parodistico, omaggi a scrittori che raccontavano esoterico, come Adolf Lanz, fondatore dell'Ordine dei Nuovi Templari. Oggi dei lavori dello scrittore in italiano esiste solo la traduzione della novella Der Gaulschreck im Rosennetz. Eine Wiener Schnurre aus dem modernden Barock, considerata il suo capolavoro, con il titolo Lo spaventacavalli nel roseto, edita nella collana La Scala della Rizzoli nel 1962. Read the full article
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Sonia Sanchez
https://www.unadonnalgiorno.it/sonia-sanchez/
Sonia Sanchez poeta, scrittrice e accademica femminista pluripremiata, è un’importante protagonista del Black Arts Movement, nato per il rinnovamento della volontà, dell’intuizione, dell’energia e della consapevolezza delle persone nere.
Ha scritto molti libri di poesie, testi teatrali e libri per l’infanzia e pubblicato saggi in storiche riviste come The Liberator, Negro Digest e Black Dialogue.
È conosciuta per la sua innovativa fusione di generi musicali, come il blues e il jazz, con forme poetiche tradizionali come haiku e tanka che utilizzano lo slang della comunità nera e una punteggiatura e ortografia sperimentale.
Attivista militante sin dagli anni sessanta, ha scritto di identità, razza, femminismo, amore, degrado, AIDS, dolore, emancipazione, orgoglio, cambiamento e senso comunitario.
Nata a Birmingham, Alabama, il 9 settembre 1934 col nome di Wilsonia Benita Driver, perse sua quando aveva solo un anno. Era stata, per questo, mandata a vivere con la nonna paterna, morta, anch’ella, quando aveva sei anni. Il trauma le fece sviluppare una balbuzie che la rendeva molto introversa, portandola a leggere molto e prestare molta attenzione al linguaggio e ai suoi suoni.
Nel 1943 si è trasferita ad Harlem per vivere con il padre, la sorella e la terza moglie del padre.
Col tempo ha imparato a gestire la balbuzie e trovare la sua voce poetica, nei corsi di scrittura creativa mentre frequentava l’Hunter College, dove si è laureata, nel 1955, in Scienze Politiche.
Ha completato il percorso post-laurea alla New York University e studiato poesia con Louise Bogan. In quel periodo ha formato un laboratorio di scrittori e scrittrici nel Greenwich Village chiamato Broadside Quartet.
Quando faceva parte del CORE (Congress of Racial Equality), ha incontrato Malcolm X.
Tra le pioniere del femminismo nero, ha iniziato a scrivere drammaturgie teatrali negli anni ’60. Le forti protagoniste delle sue opere sfidavano lo spirito patriarcale del movimento.
Per un periodo, all’inizio degli anni settanta, ha fatto parte della Nation of Islam, che ha poi lasciato per la conflittuale visione sui diritti delle donne.
Ha tenuto il cognome Sanchez dal suo primo matrimonio, anche se poi ha sposato il poeta Etheridge Knight. L’esperienza della maternità, ha una figlia e due figli, ha influenzato la sua poesia negli anni settanta.
Ha scritto molte opere teatrali e libri che raccontano le lotte e le vite dell’America nera e curato le due antologie We Be Word Sorcerers: 25 Stories by Black Americans e 360° of Blackness Coming at You.
Sonia Sanchez ha insegnato in otto università e tenuto lezioni in oltre 500 campus in tutti gli Stati Uniti, tra cui la Howard University. Ha sostenuto l’introduzione di un corso di studi sulla comunità e sull’arte nera in California.
È stata la prima, in tutti gli Stati Uniti, a tenere un corso universitario di letteratura femminile afroamericana e a ricoprire la carica di Presidential Fellow alla Temple University, dove ha iniziato a lavorare nel 1977 e terminato nel 1999, quando è andata in pensione. Attualmente è poeta residente dell’ateneo.
Ha utilizzato i Black Studies come una nuova piattaforma per lo studio della razza e una sfida ai pregiudizi istituzionali delle università americane, prevalentemente frequentate da persone bianche.
Ha fatto parte di importanti organizzazioni femministe per i diritti umani.
Nel 2012 è stata la prima poeta laureata di Filadelfia.
Nel 2015 è uscito, BaddDDD Sonia Sanchez, documentario sul suo lavoro e sull’influenza che ha avuto nella storia della cultura, che è stato proiettato in molti festival internazionali.
È tra le venti donne afroamericane che fanno parte di Freedom’s Sisters, mostra itinerante voluta dal Cincinnati Museum Center e dalla Smithsonian Institution.
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dal 6 marzo a bologna: "ababo boom!"
A partire dal 6 marzo 2023, l’Accademia di Belle Arti di Bologna promuove il programma ABABO BOOM!, realizzato in collaborazione con Hamelin, Canicola, Alliance Française e Istituto di Cultura Germanica, nell’ambito di BOOM! Crescere nei libri, il festival dei libri e dell’illustrazione per l’infanzia organizzato in occasione della Bologna Children’s Book Fair. ABABO BOOM! comprende un ciclo di…
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Sapete quanti libri di autori stranieri vengono pubblicati ogni anno in Italia? Non solo narrativa e letteratura per l’infanzia. Parliamo di saggi, ricerche, testi scolastici, manuali. Se non ne avete idea, siete in buona compagnia. Sappiamo però che nel 2020, ultimo dato disponibile, i nostri editori hanno comprato 9.127 titoli all’estero. L’Italia è uno dei paesi più «aperti» alla cultura del mondo. Tutto questo grazie a un piccolo, agguerrito e sfruttato esercito di traduttori. Che non è un mestiere che si improvvisa, ma in compenso viene affidato a volte con una certa leggerezza. Le stupidaggini da traduzioni dilettantesche formano una biblioteca a parte.
Dei traduttori professionisti sappiamo che sono circa 1500, guadagnano una miseria, in media 15.000-18.000 euro l’anno e l’85 per cento di loro sono donne. Ma professionalità alta e stipendi bassi, se parliamo di genere femminile, non stupisce nessuno. Ora i traduttori si sono stancati. Strade-Sindacato dei traduttori editoriali, insieme ad Autori di Immagini, Associazione Italiana Traduttori e Interpreti, Associazione Nazionale Italiana Traduttori e Interpreti e Associazione Italiana Scrittori Ragazzi, ha inviato una lettera ai componenti delle commissioni Cultura e Lavoro di Camera e Senato, e relativi ministri, con un appello per migliorare le condizioni in cui operano.
Le loro sono richieste pazzesche: «Compensi adeguati e proporzionati, partecipazione ai proventi, trasparenza sulle copie vendute e istituzione di un fondo di 5 milioni di euro finalizzato al sostegno dei traduttori e del libro». Il documento verrà presentato il 9 dicembre a Roma alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria «Più Libri più liberi». Dove una gran parte dei libri li potremo leggere grazie al loro lavoro, essenziale ma non proprio strapagato. E se tutti gli editori (pochi lo fanno) mettessero il nome del traduttore sulle copertine? Tanto per cominciare.
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La cultura è inutile? E allora chiudiamo una buona volta le facoltà di lettere e filosofia.
È questa la provocazione che lancia la professoressa Federica Ricci Garotti su Repubblica. E non ha tutti i torti. Si perché è inutile prenderci in giro: le facoltà umanistiche vengono disprezzate, il pensiero viene continuamente snobbato in una società che ha fatto dell’ignoranza un vanto, della presunzione una virtù, una società che si eccita e va in visibilio davanti alle affermazioni di una Chiara Ferragni, che freme per scoprire quale concorrente del Grande Fratello vincerà la prossima edizione, che sa a malapena chi sia Leopardi, che crede che Moravia sia il nome di qualche strana malattia e che è convinta che Dostoevskij abbia combattuto durante la prima guerra mondiale.
Del resto chi ha la cattiva abitudine di leggere e pensare, non si presta a obbedire senza porre domande, a omologarsi quando dovrebbe, ad assentire quando gli viene richiesto. Lavorare, comprare, consumare, a questo deve ridursi l’uomo. La cultura è un impedimento a ciò, non soltanto è superflua ma perfino contro producente. Naturale che non venga incoraggiata. «E allora chiudiamole,»dice l’insegnante, «queste fabbriche delle illusioni che sono le nostre facoltà, che formano sì persone competenti, ma disoccupate, sotto occupate o emigranti questuanti come furono i nostri nonni negli anni Cinquanta».
Sì perché i giovani delle belle parole e delle vuote promesse non sanno che farsene. È inutile dire loro che la cultura è importante, quando i programmi di Maria di Filippi e Barbara d’Urso sono i più seguiti in Italia. Quando guardo la televisione sento una voragine che mi si apre nel petto, perché se trasmettono questa roba è perché la gente la guarda. Forse è il caso che le istituzioni e la sinistra si diano davvero una smossa e facciano qualcosa in favore della scuola e della cultura. Lo facciano ora o smettano di parlarne. E forse, dico forse, qualcosa anche noi possiamo farla.
Non regalate ai bambini smartphone e tablet ma un bel libro, non parcheggiateli il sabato pomeriggio davanti alla televisione, ma portateli a visitare un museo, una galleria, una mostra d’arte. Leggete loro fiabe e libri per l’infanzia, fateli appassionare insomma, fate delle loro menti “non dei vasi da riempire ma delle fiaccole da accendere”.
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X #cultura #scuola #istruzione
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DITTATURA SANITARIA E MODERNA RESISTENZA (presentazione libro - 1^ parte)
Il palcoscenico serale di un bel parco cittadino di Bergamo ha fatto da sfondo, in un giovedì di luglio, alla presentazione del libro “Dittatura sanitaria e moderna resistenza. La strategia della Rana Liberata”, di Emanuela Lorenzi, traduttrice poeta e scrittrice di grande spessore, accompagnata dal sottoscritto e Marco Locatelli. Libro che ripercorre la narrazione pandemica nelle fasi che, dall’inizio del 2020 (ma che ha radici ben più antiche), hanno condotto l’Italia nel precipizio di una dittatura sanitaria” di cui Emanuela porta alla luce incongruenze, menzogne e meschinità espressione di una comunità scientifica ed intellettuale completamente al soldo di big pharma nei protocolli che non esita a definire “assassini” e nella negazione delle terapie disponibili fin da subito grazie a medici non proni al sistema ed alla sua sceneggiatura.
Di fronte a una quarantina di persone, Marco Locatelli apre l'incontro-dibattito
MARCO :“Emanuela, quali sono state le tue sensazioni e motivazioni nello scrivere questo libro, come è nato?”
EMANUELA: Intanto la mia battaglia per la verità non è recente: da scrittrice, traduttrice e articolista mi occupo da anni di informazioni nell'ambito medico-scientifico, collaborando principalmente con portali non mainstream da ComeDonChisciotte” a “Informasalus”, ma ho iniziato a interessarmi dei vaccini a causa della “legge Lorenzin” del 2017 che mi ha portato ad avere una grandissima sensibilità al tema come mamma. Da qui ho cercato di veicolare quante più informazioni possibili ma mantenendo nel libro sempre la visione genitoriale e una sorta di “fil rouge” letterario che dia conto della complessità del reale e degli strumenti che devono esser forniti al lettore per decodificarlo.
La scrittura del libro è originata dalla richiesta di un primo editore indipendente il quale era stato colpito da un mio articolo intitolato Siamo in guerra: la dittatura degli affermazionisti” comparso su ComeDonChisciotte a settembre 2020 https://comedonchisciotte.org/siamo-in-guerra-la-dittatura-degli-affermazionisti/
su CDC riguardante i dispositivi e le assurde restrizioni come crimine contro l’infanzia e l’umanità, chiedendomi di trarne un libro, ma appena avute le bozze in un lavoro matto e disperatissimo di poche settimane secondo l'editore il linguaggio era troppo “aulico” e troppo “complesso”. Questo mi ha fatto pensare alla infantilizzazione e alla ipersemplificazione del linguaggio e della narrazione (perciò del pensiero) cui siamo stati sottoposti: ci hanno in effetti trattati da bambini in balia di uno Stato Leviatano
che deve etero-dirigerci, ma se da un lato la complessità è la cifra epistemica contemporanea, sono sempre più convinta che in realtà la capacità di parola sia capacità di pensiero e quindi di azione, come scrive un grande intellettuale bergamasco Gabrio Vitali per cambiare il mondo bisogna saperlo immaginare prima e per immaginarlo bisogna saperlo ‘dire’, le parole sono pensiero e sono azione.
Ovviamente il testo deve essere fruibile e ci tenevo a divulgare, a rendere comprensibile il pensiero e le riflessioni e gli studi dei medici fedeli al giuramento ippocratico e degli scienziati consci che la scienza non è episteme, non è metafisica, ma doxa. (NdR: e qui Emanuela non tralascia riferimenti alla cultura medico-scientifica di quei Medici che hanno pagato con la vita, professionale ma non solo, da Wakefield Di Bella a Di Bella o De Donno, passando per i coraggiosi whistleblowers come Dan Olmsted o Brandy Vaughan...ma anche agli scienziati oltreoceano che hanno sin dall’inizio avuto le stesse intuizioni mettendo in guardia sulla pericolosità del siero che era in preparazione, essere informatore è diventato pericoloso e come sottolinea Emanuela il caso di Julian Assange è dolorosamente emblematico).
Interessante anche qui notare che non sono stati gli intellettuali a capire l’inganno “plan-demico”, ma le persone più semplici, il che ci ricorda Pasolini che metteva in guardia sui rischi dell’acculturazione borghese ... Il testo quindi fornisce armi per difendersi dall’inganno: informazioni di tipo giuridico, medico-scientifico ma sempre filtrate dallo sguardo materno, inteso come genitorialità diffusa, come visione necessariamente proiettata sul futuro. La genesi editoriale del libro, che è andato poi arricchendosi all’infinito vista l’evoluzione di eventi da un lato e di informazioni da processare dall’altro (Emanuela si riferisce qui alle numerose conferenze scientifiche dei medici e scienziati inclusi nella lista di proscrizione della disinformation dozen in particolare i “5 doctors” Dr Tenpenny , Dr Palevskij, Dr Merritt, Dr Carrie Madej, Dr Norhtrup) si somma a quella più intima, antropologica, personale: ho fatto l’azzardo di promettere a mio figlio un mondo di verità e bellezza.
MARCO: “Ma possiamo lasciare ai nostri figli questo inferno?”
EMANUELA: Certo che no, per questo dobbiamo lottare e dobbiamo cercarla, questa bellezza, nelle piccole cose mi viene in mente ciò che scrive Calvino sul finale de Le città invisibili,
in mezzo all’inferno di tutti i giorni perché se l'inferno dei viventi è quello che già abitiamo, due modi ci sono per non soffrirne: accettarlo e diventarne parte fino al punto di non vederlo più, che viene facile ai più, oppure cercare chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e dargli spazio. Dobbiamo coltivare la verità, la libertà e la speranza, è un lavoro quotidiano, come quello di coltivare la libertà anche in una dittatura. Nel climax de La Storia infinita c’è questo dialogo dove Atreiu chiede a Gmork perché Fantasia muore e Gmork risponde “perché la gente ha rinunciato a sperare, dimentica i propri sogni, così il Nulla dilaga, perché è più facile dominare chi non crede in niente”
E allora forse per contrastare l'esperienza del Nulla, in quella che anche il patriarca russo Kirill definisce una “guerra metafisica”, anche attraverso la capacità immaginifica e generativa delle parole che fondino o ri-fondino il suo opposto, ci accorgiamo che ciò cui questo Nulla si contrappone non è il Tutto ma il Poco, il Poco delle piccole grandi cose che ci rendono umani, i piccoli gesti di Zinn che sommati possono anche trasformare il mondo…
NdR: E qui la serata entra nel vivo: diversamente dai soliti contesti, nei quali si dà ampio spazio all'autore prima delle domande del pubblico, in questo caso, come richiesto dalla nostra scrittrice, è lo stesso pubblico ad essere protagonista della serata, rivolgendo questioni e domande anche provocatorie alle quali Emanuela non manca di rispondere con classe e discernimento. Forse per restare in tema fiabesco, sul tema della verità e bellezza da ritrovare arriva una osservazione molto singolare:
PUBBLICO: “Posso dire che mi sembri Biancaneve hai questa luce”
EMANUELA: Ebbene come Biancaneve cerchiamo di portare luce, Biancaneve è simbolo di purezza ma anche di resistenza e risveglio, la bellezza che secondo Dostoevskij salverà il mondo…quanto alla verità invece, è una ricerca infinita, citando il poeta Rumi è come uno specchio caduto dal cielo, ciascuno ne coglie un frammento e crede di possederla tutta, ma spesso bisogna essere disposti a cercarla in luoghi scomodi anche a costo di tagliarsi le mani con quei frammenti.
MARCO: "Emanuela, io sono sempre incuriosito dalla copertina, che in origine era diversa, ci racconti come è avvenuto il cambio?
EMANUELA: La casa editrice era partita con una immagine molto simbolica ma anche d’impatto politico con lo sguardo inumano di Draghi, il banchiere servo del WEF e di Schwab sopra un popolo che ribalta il piano, richiamandosi alla famosa frase di Bertrand Russell
(“Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata.”)
Tuttavia molto persone trovavano quello sguardo repulsivo, così approfittando di una delle tante integrazioni è stata elaborata una modifica alla copertina affidata alla grafica che ha optato per una immagine di luce, quella con i portuali in ginocchio sotto gli idranti con i cuori nei grani del rosario nei giorni della vergogna di Trieste, che è anche la mia città universitaria dove hi vissuto 4 anni e anche per questo porto nel cuore. Il simbolo è altrettanto forte ma sul versante di luce e…. forse ha anche smosso qualcosa visto che almeno di lui pare ci stiamo liberando anche se della sua agenda probabilmente no (ndr proprio in questi giorni ha presentato le dimissioni!): a Trieste nei moto di ottobre c'è stato un forte risveglio sul piano spirituale, da lì si è definitivamente esposta la guerra all'umano, una guerra verticale da parte delle élite transumaniste contro i popoli, con quelle cariche a danno di genitori e bambini e persone anziane e indifese, in pacifica e persino gioiosa protesta, suscitando lo sdegno in tutto il mondo.
Guerra all'umano che si manifesta in liste di proscrizione per chiunque metta in dubbio il Pensiero Unico (dubbio deriva dal sanscrito DVA cioè ‘due’, almeno due visioni, uscire dalla dottrina dell’Uno attraverso la complessità), a partire da medici non conformi ai vari protocolli mirati al depopolamento e al controllo della popolazione rimanente attraverso l’aggancio ad una smart grid attraverso nano-tecnologie già da decenni disponibile. Ascoltare questi medici e scienziati che citavo parlare di nano-tecnologia, di biologia della sterilizzazione e di vaccini auto-replicantisi per poi sentir dire che la risposta è nello spirito è stato per me, che vengo da una prospettiva agnostica o dostoevskiana, in qualche modo sconvolgente. Bisogna intendersi su cosa sia lo spirito, dove nasce l’amore che solo può contrastare l’altra forza motrice dell’universo: la paura, e la paura di perdere la ‘nuda vita’ ha prevalso nei più.
Spiritualità che non ha tanto che vedere con una religione quanto con la connessione con sé e con l’altro: dobbiamo ricordare che siamo esseri umani potenti e vibranti e capaci di risuonare e la risonanza è del cuore che anche i termini fisici emette energia 5mila volte più del cervello…
Proprio qualche giorno fa mio figlio, perché il bambino è maestro, mi ha chiesto “Mami ma non è che tutto questo è solo una grande prova per l’umanità?”
(fine prima parte)
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