#attivismo digitale
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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Partecipazione Politica e Cittadinanza Attiva: Il Ruolo dei Giovani nel Futuro del Paese. Di Alessandria today
Negli ultimi anni, i giovani si sono dimostrati protagonisti di un rinnovato fervore politico e sociale. Dai movimenti per il clima a quelli per i diritti umani, l’impegno delle nuove generazioni è cresciuto esponenzialmente, rendendoli un pilastro fondam
Una Generazione che Scolpisce il Domani Attraverso l’Impegno Sociale e Politico. Introduzione.Negli ultimi anni, i giovani si sono dimostrati protagonisti di un rinnovato fervore politico e sociale. Dai movimenti per il clima a quelli per i diritti umani, l’impegno delle nuove generazioni è cresciuto esponenzialmente, rendendoli un pilastro fondamentale per il futuro del Paese. Questo articolo…
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aaquilas-blog · 11 months ago
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Vecchi Ideali, Nuovi Orizzonti: Costruire Ponti nell'Era dei Social
Basta girare la faccia dall’altra parte ..Facebook (e anche social come Twitter e lo stesso Linkedin) è ormai un social in cui vive la stragrande maggioranza di vecchi (io compresa) italiani.Abbandonato da molti anni dai ragazzi che si sono ritagliati i loro spazi lontani da questo social che puzza di naftalina…Mi chiedo e vi chiedo: Dove avete messo i vostri ideali con cui siete…
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centurialabs · 3 months ago
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La nuova frontiera dell'intelligence: hackerare gli hacker
L’era digitale ha inaugurato una nuova era di spionaggio, dove la linea tra intelligence, criminalità informatica e attivismo è sempre più sfumata. La proliferazione degli attacchi informatici, innescati da conflitti geopolitici, attivisti digitali e semplici criminali, sta generando un flusso inarrestabile di dati sensibili che finiscono nelle mani di attori sempre più diversi. La miniera d’oro…
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carmenvicinanza · 1 year ago
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Mónica Mayer
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Mónica Mayer, artista, curatrice, critica d’arte e attivista femminista, ha esposto e tenuto conferenze in diversi paesi del mondo. 
Critica il sistema sociale patriarcale attraverso l’arte con performance, grafica digitale, disegno e fotografia.
Si è sempre posta in una posizione di rottura rispetto alle definizioni tradizionali di arte. La sua opera è caratterizzata da spirito irrequieto, spiccato senso critico e grande umorismo.
Ha iniziato con dipinti e collage per poi dedicare grande attenzione alle performance e installazioni. Negli anni, il suo contributo artistico si è sviluppato anche attraverso la scrittura, l’insegnamento, l’archiviazione e la partecipazione attiva nella comunità.
La maggior parte delle sue performance consistono in interventi sociali interattivi progettati per contesti specifici.
È nata a Città del Messico nel 1954 e si è laureata in Belle Arti all’Università Autonoma del Messico nel 1976.
Il suo attivismo è iniziato quando, ben presto, ha realizzato quanto fosse discriminante essere una donna nel mondo dell’arte. Nel 1975, ha preso parte al Movimiento Feminista Mexicano e al Colectivo Cine Mujer.
La sua prima esposizione è stata Collage íntimo nel 1977. L’anno successivo ha partecipato alla Muestra colectiva feminista. 
Nel 1978 alla biennale Salón 77–78: Nuevas tendencias al Museo d’Arte Moderna di Città del Messico, ha presentato l’installazione interattiva El tendedero (La corda da bucato), che ha inaugurato il suo stile e la ricerca di nuovi mezzi per comunicare attraverso l’arte. 
Nello stesso anno si è trasferita negli Stati Uniti dove, nel 1980, ha conseguito un master in Sociologia dell’arte al Goddard College, con una tesi intitolata Feminist Art: An Effective Political Tool (Arte femminista: uno strumento politico efficace). In quel periodo ha frequentato il  Feminist Studio Workshop presso il Woman’s Building di Los Angeles con pioniere del movimento artistico femminista statunitense come Suzanne Lacy, Leslie Labowitz e Judy Chicago.
Al suo ritorno in Messico, nel 1983, ha fondato il collettivo artistico Polvo de Gallina Negra diminutivo di Polvere di gallina nera per proteggerci dalla magia patriarcale che fa scomparire le donne, che combinava critica sociale radicale e umorismo e che è stato attivo per una decade.
Nello stesso anno, ha tenuto un seminario su Donne e Arte presso la Escuela Nacional de Artes Plásticas, che ha poi portato alla creazione di un altro collettivo artistico femminista, Tlacuilas y Retrateras.
Nel 1989, col marito, Víctor Lerma, ha fondato Pinto mi Raya, spazio artistico indipendente e archivio online la cui funzione principale è stimolare il sistema dell’arte in Messico attraverso incontri, workshop e performance collettive di attivismo comunitario.
Un’esperienza che si è gradualmente trasformata in una piattaforma da cui lanciare progetti di arte concettuale applicata per cercare di trovare soluzioni. Per lubrificare il sistema dell’arte per farlo funzionare più agevolmente. 
Come estensione della sua pratica artistica, Mónica Mayer ha parlato e scritto ampiamente di arte, donne e femminismo.
Tra il 1988 e il 2008 è stata editorialista del quotidiano El Universal e ancora oggi scrive per diversi blog.
Ha pubblicato diversi libri, saggi e contribuito a creare riviste d’arte e dibattito femminista. 
Nel 2012 ha partecipato alla creazione del Sistema Nazionale di Artisti per il Finanziamento Nazionale per la Cultura e le Arti messicane.
Nel 2016 il Museo d’Arte Contemporanea dell’Università Nazionale Autonoma del Messico le ha dedicato la mostra “Si tiene dudas… pregunte: una exposición retrocolectiva de Mónica Mayer” (In caso di dubbio… chiedi: retrospettiva di Mónica Mayer).
Nello stesso anno, l’Istituto femminile di Città del Messico le ha conferito la Medaglia Omecíhuatl per la sua “eccezionale partecipazione all’istruzione, alle arti, alla cultura e allo sport, che hanno ispirato e influenzato lo sviluppo e l’empowerment femminile”.
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Festival del giornalismo, al centro Ucraina e digitale
(di Danilo Nardoni) (ANSA) – PERUGIA, 23 MAR – Giornalismo, soprattutto quello sul fronte di guerra e in esilio, attivismo, mondo accademico, nuove frontiere della tecnologia e del digitale: sono le “strade” che portano a Perugia, al Festival internazionale del giornalismo, “per una comunità sempre più allargata e interconnessa, unita dal bisogno di capire il presente per incamminarsi verso il…
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pangeanews · 4 years ago
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“Vogliamo vivere momenti di pura grazia… scrivo attraversando la nebbia”. Dialogo con Mariadonata Villa
Per chi segue le vicende della poesia italiana contemporanea, il nome di Mariadonata Villa non è sicuramente sconosciuto, benché si possa definirla una pacifica “appartata”. Tutt’altro che aliena dai rapporti artistici, certo, ma anche distante dall’affannoso presenzialismo e attivismo che in tante penne sembra surrogare la ricerca profonda, lo scavo del verso, la progettazione dell’architettura.
Poetessa fino ad oggi di un solo libro, quell’Assedio pubblicato nel 2012 con Raffaelli e finalista al premio Carducci, Mariadonata è anche un’eccellente fotografa e un’appassionata traduttrice di poesia anglo-americana, capace di mettere nella sua faretra autori come Seamus Heaney e Les Murray, con il quale ha condiviso anche un’amicizia epistolare decennale.
Autori, quelli citati, che rivivono nella sua poesia soprattutto nella facoltà immaginativa, nella capacità di restituire la presa dello sguardo in una rappresentazione rimeditata, a un tempo naturalistica e metafisica. Ecco perché, in occasione del suo secondo volume di versi, Verso Fogland (Minerva, 2020, 10 euro), è stato naturale chiederle non tanto di parlare del libro, quanto di raccontare invece quel suo esercizio dello sguardo che rende le cose immagini e le immagini poesia. (d.g.)
Uno dei tuoi poeti prediletti, Seamus Heaney, scriveva guardando la campagna venirgli incontro mentre guidava. Sia per temi, sia per luoghi, Verso Fogland ricorda un’elaborazione simile, una simile acquisizione delle immagini – l’attraversamento della campagna in macchina. È così? Anche tu scrivi guidando?
Sì, anche se, pur viaggiando spesso in auto, in realtà di solito sono il passeggero, e questo mi lascia gli occhi liberi. Però sì, senz’altro la pianura è il mio ambiente e la nebbia ne fa parte. Non solo quella intorno a Modena, perché per motivi famigliari mi capita molto spesso di attraversare la pianura tra Modena e Verona. Da un certo punto di vista, perciò, le immagini del libro sono tutte reali, anche se questo non fa di Fogland un luogo reale.
Un reale immaginato?
In parte. Ma quest’aspetto meditativo dell’andare e del vedere è un tratto che riconosco non tanto alla mia poesia, quanto a me come persona. Molto di quello che scrivo viene da queste grandi cavalcate nella nebbia. Di tante di queste poesie ti potrei dire l’immagine «corto-circuito» e dico «immagine» non a caso: perché negli ultimi dieci anni sono diventata un’accumulatrice di foto, ne ho 30000 nel mio archivio digitale; e perché, d’altra parte, le cose bisogna immaginarsele, bisogna che si facciano immagine.
Non è un caso che il libro si apra con un componimento che si intitola Cartografie e che racconta di un’antichissima mappa preistorica scolpita sulla pietra…
No, non è casuale, anche se io ho visto di persona quel posto solo dopo averne scritto, in maniera del tutto imprevista. È una delle più antiche rappresentazioni topografiche reali, non simboliche, a noi note, se non la più antica. Per vederla si percorre un sentiero che arriva a dominarla dall’alto, così che uno deve sporgersi e guardarla dall’alto in basso.
Quindi «l’uomo in bilico» della poesia è chiunque passi di lì?
Sì, è chiunque arrivi lì. Poi, in particolare, la poesia nasce da una foto molto di Franco Farinelli – uno dei più importanti filosofi del paesaggio – che guarda in giù a quella mappa di pietra.
Nella poesia, il corpo dell’osservatore che si sporge diventa un axis mundi: «e quell’uomo in bilico sul margine/ del mondo non si accorge/ che l’axismundi, la meridiana dell’oggi/ è il suo corpo fragile sul bilico/ è la polvere che sarà e il sangue che è/ è tutta la luce che passa». In che senso sporgersi per osservare diventa un modo di “reggere” l’universo?
Mi piaceva il corto circuito secondo cui l’uomo pensa che la rivelazione sia lo sporgersi su questa mappa, mentre invece la rivelazione è lui stesso, lui che esiste e che è lì, straniero a se stesso ma profondamente presente.
Quindi «l’uomo in bilico» è a un tempo sia l’uomo della foto, sia qualunque visitatore, sia qualunque uomo?
Sì, qualunque uomo, ma nella sua assoluta individualità.
Qualunque uomo, ma non un uomo qualsiasi…
Esatto: qualunque uomo nel suo coincidere con l’uomo tutto. Mi interessa l’aspetto per cui ogni uomo è un exemplum della specie homo, ma che per essere un exemplum deve incarnare interamente se stesso, la propria individualità.
È una questione che investe anche il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, mi sembra…
Sì, è così. C’è un saggio degli anni Ottanta di Luigi Ghirri, un fotografo che amo molto, in cui lui rimpiange il fatto che dalle fotografie di paesaggio sia scomparso «l’omino sul ciglio del burrone», e che questo è un peccato perché l’omino dava in qualche modo l’unità di misura del paesaggio fotografato.
Una specie di autocoscienza del paesaggio?
In un certo senso sì, visto che Ghirri diceva che in un giro in bicicletta si incontra più realtà e più novità che in una crociera intorno al mondo. Ma anche in senso inverso, visto che secondo lui, se mai l’omino del paesaggio dovesse tornare nella foto, dovremmo dirgli con Cézanne «affrettati a guardare, perché tutto sta per scomparire».
Mariadonata Villa in una fotografia di Lupe de la Vallina
Si resta sull’idea dello stare in bilico.
È un’idea in cui mi ritrovo molto. Tanto che c’è un altro artista di cui parlo nel libro, Gino Covili, che in uno dei suoi quadri più famosi dipinge l’eroe con una lupa morta sulle spalle, su una sorta di crinale con davanti a sé gli uomini nel buio e dietro sé il mondo dell’Appennino illuminato dalla Luna. Come fosse il crinale tra un tempo antichissimo – che può essere l’età dell’oro, o il tempo degli eroi – e il dramma storico dell’uomo.
Mi fai venire in mente un’altra delle poesie iniziali, Paesaggio marino con cane, in cui evidenzi una sorta di iato tra l’attesa di grandi avvenimenti, dove «qualcuno aspetta apparizioni/ su tavole meno traballanti,/ il lampo improvviso della luce/ al centro […]» e l’incapacità di riconoscere e accogliere l’avvenimento dell’essere nelle maglie banali e slabbrate del quotidiano, laddove «nessuno invece aspetta nella canicola/ l’apparizione tremolante/ il cane col fianco di salsedine/ che sembra sul punto di scrollarsi».
Riguardo a questo direi che ci sono due livelli. Da un lato, venendo da studi classici, ho molto presente, anche in senso pre-cristiano, il tema dell’epifania intesa come l’apparizione improvvisa del divino, mentre la mia poesia tratta molto più di quelle che sono epifanie per me. Quindi, in un certo senso, lo iato di cui parli tu. D’altra parte, però, vedo più in generale un senso di perdita del sacro anche nell’apparizione del terribile. È come se nella trama dell’oggi che viviamo si perda anche la statura del male, oltre alla percezione del fatto che anche noi partecipiamo di questo male, di quest’ombra.
E infatti la poesia si conclude con una presa d’atto di questa distanza: «non c’è dionisiaco in un cane/ col pelo che puzza di acqua salmastra, solo l’orrore/ delle apparizioni mediocri che costellano la vita».
Sì, è come se desiderassimo vivere solo quelli che anche in modo del tutto laico possiamo riconoscere come momenti di pura grazia, quei momenti di apparizione di altro da ciò che vediamo, in cui – per così dire – avvertiamo che cambia lo spessore dell’aria.
Bella questa immagine!
La mia amica Ewa Chrusciel, una poetessa che amo molto, usa in un suo testo l’immagine di un big moment yellow, uno di quei momenti in cui si ha a un tempo desiderio e paura dell’apparizione. A me sembra che questo senso della paura lo abbiamo perduto: abbiamo una grande rabbia verso il male, ma non abbiamo più il senso del fatto che il male, come la luce, è nel tessuto dell’oggi.
È la lotta di Giacobbe con l’Angelo che con la mediazione degli U2 citi in epigrafe a un altro componimento?
Sì, ed è una metafora perfetta per la poesia, è la lotta con lo sconosciuto da te che devi in qualche modo dire e che ti lascia stremato, se non è stato un esercizio di stile. Perché gli esercizi di stile non credo che ti possano lussare l’anca, mentre la lotta di tutta una notte con qualcuno che non sai chi è, quello invece sì.
Come entra in questa prospettiva quella mancanza di immaginazione di cui a volte abbiamo chiacchierato, della disabitudine a figurarci le cose?
Sicuramente c’entra un’incapacità di chiamare le cose con il loro nome, ma anche di dare loro un ordine di grandezza adeguato. Una delle cose di cui sento sensibilmente l’avanzare, anche nel mio lavoro di insegnante, è un restringersi della lingua. E questa restrizione ha sicuramente a che fare con la perdita dell’immaginazione, ma anche con la perdita del mondo. Dante diceva che nomina sunt consequentia rerum: noi abbiamo bisogno di nominare cose che arrivano alla nostra esperienza, e uno dei canali principali è la visione.
Parliamo quindi di una perdita di esperienza, anzitutto?
Sì. Il problema della contrazione della lingua non è drammatico perché “ci perdiamo una lingua ricchissima”… Questa non è che una conseguenza ed è anche, fammi dire, un problema da letterati. Il dramma vero è che si contrae l’esperienza, non che si contrae la lingua!
Vale lo stesso con l’immaginazione, credo…
È del tutto analogo. Amici antropologi mi dicono che una delle tesi più accreditate è che l’uomo del paleolitico sia sopravvissuto non solo per le scoperte tecniche, ma perché creava racconti e immagini. Che questa capacità creativa ha strutturato il nostro cervello in modo tale da permettere la sopravvivenza in un ambiente a lui ostile e a nemici per molti versi più forti e biologicamente più attrezzati di lui.
Serve un’educazione dello sguardo.
Un’educazione dello sguardo, ma vale quello che dicevamo prima della lingua: non è lo sguardo e basta, è lo sguardo di una persona. Quando avevo otto anni, per circostanze casuali, incontrai il pittore Bill Congdon. Un incontro di pochi minuti, quasi il tempo di uno sguardo, eppure ti assicuro che di tutte le persone che mi hanno voluto bene negli anni, mai più mi è successo di sentirmi guardata così. Era uno sguardo pieno di una presenza, in cui sono potuta entrare. Ed è quello che si vede nei suoi quadri, del resto: uno sguardo che nutre la persona e una persona che affina lo sguardo, che vede la realtà e che la mette in figura della realtà.
È questo che dobbiamo cercare in Verso Fogland?
È quello che forse mi auguro di fare, tra le altre cose, scrivendo. Di creare uno spazio di visione in cui sia possibile entrare.
Daniele Gigli
*In copertina: Caspar David Friedrich, “Monaco in riva al mare”, 1810
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realgypsymama · 3 years ago
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Può esistere un attivismo digitale? | Silvia Semenzin | TEDxFerrara
Può esistere un attivismo digitale? | Silvia Semenzin | TEDxFerrara
I social danno potere individuale a chiunque riesca ad emergere sulle piattaforme. Basta questo per cambiare le cose? Silvia Semenzin Continue reading
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rpallavicini · 4 years ago
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Ancora sull' "attivismo digitale" dei miei coglioni.
Ancora sull’ “attivismo digitale” dei miei coglioni.
Uriel vaneggiò scrivendo Ancora sull’ “attivismo digitale” dei miei coglioni., uscitevi i commenti! Scovassero le scempiaggini! Nota: quel link porta alla copia personale privata di Raphael (che sarei io). Se volete entrare a far parte del ristrettissimo ed elitario club dei lettori della mia copia privata esiste un unico modo: chiederlo qui nei commenti. Ricordo che le copie private sono sempre…
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drking77 · 6 years ago
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"NOI SIAMO IMMORTALI" AL SOCIAL MEDIA MARKETING DAY 2019
“NOI SIAMO IMMORTALI” AL SOCIAL MEDIA MARKETING DAY 2019
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Oggi sono stato relatore durante l’evento “Digital Communication Strategy + Social Marketing Days Italia 2019” organizzato dal Social Media Marketing Day e andato in live in contemporanea sulla pagina dell’Agenzia ANSA.
“Noi Siamo Immortali – Attivismo digitale sui social per comunicare temi complessi” è stato il titolo del mio intervento. Come ho utilizzato il mondo Digitalper raggiungere i…
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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L'attivismo social: nuova forma di politica o semplice sostituto?
La rivoluzione digitale e il ruolo dei social media nel ridefinire l’impegno politico e civile
La rivoluzione digitale e il ruolo dei social media nel ridefinire l’impegno politico e civile Con l’avvento dei social media, il panorama dell’attivismo ha subito una trasformazione radicale. Piattaforme come Facebook, Instagram, Twitter (ora X) e TikTok sono diventate strumenti potenti per mobilitare le masse, diffondere messaggi e sensibilizzare su questioni sociali e politiche. Ma la domanda…
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snarkive · 8 years ago
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Le frontiere del community management (2017.02) (dal vivo, con responsabilità e creatività)
fare in modo che altri si diano visioni e pratiche condivise Negli anni abbiamo affiancato diverse comunità impegnate su temi e spazi di interesse collettivo. Siamo stati con loro ascoltando e rielaborando narrazioni, facilitando la definizione di obiettivi e strumenti, disegnando risorse e bisogni. Lo abbiamo fatto sia di persona, faccia a faccia, che da lontano, usando il web e i social media. Questo ci permette di portarci appresso strumenti e metafore, e una certa forma di cura e di attenzione, che alle volte diventava empatia.
le reti civiche Negli anni scorsi abbiamo seguito da vicino il percorso dell’agenda digitale di Bologna. Una città in cui civismo e attivismo sono portate avanti tanto con curiosità quanto con tattica. A fine 2014 all’interno della Rete civica Iperbole, il portale web cittadino, è stata messa on-line Comunità, una piattaforma per condividere progetti e bisogni di ambito civico, e insieme (in parallelo) uno strumento per la partecipazione a iniziative promosse dell’amministrazione comunale. Per tutto il 2015 ne abbiamo supportato le attività di community management, andando in giro per la città a raccontarla e discuterla con le persone impegnate a prendersi cura di ciò che hanno attorno: spazio pubblico, relazioni, memoria, ambiente e diritti. L’obiettivo nostro era scoprire come porla in relazione ai loro bisogni e coinvolgerli nella gestione della piattaforma: come accogliere pratiche e sviluppare nuovi strumenti digitali di cittadinanza secondo un approccio orizzontale?
on-line, perchè? Abbiamo anzitutto aiutato le persone a portare on-line quello che stavano facendo, i loro progetti e le loro risorse. Pubblicare (rendere pubblico) ha scopi diversi: per alcuni serve a esporre la propria storia e le proprie pratiche, a prendere posizione in uno spazio on-line cittadino, per altri serve ad attivare collaborazioni, sviluppare nuovi progetti, e condividere risorse. Da una parte c’è un’attenzione alla proprietà di un’idea o di una pratica, e dall’altra la volontà di aprirsi per cercare nuove occasioni di azione e di crescita. La collaborazione presuppone alcuni passaggi, tra i quali la narrazione dei motivi (perché collaboro) e la condivisione di risorse (cosa metto in gioco); mettendoli in fila siamo riusciti a sperimentare forme di facilitazione e supporto ibride, che accadevano tanto on-line quanto nello spazio fisico.
on-line, e poi? Abbiamo presto realizzato che per dare una risposta immediata alla volontà di contaminarsi e collaborare, mancando specifiche funzioni e strumenti, era necessario portare la progettazione dal vivo. Sono nate così riunioni, iniziative pubbliche, workshop e attività quotidiane, anzitutto creando spazi e opportunità di conoscenza alla pari, in contesti non formali e dove le cose stavano effettivamente succedendo. L’esperienza on-line, se può scatenare l’intuizione, offrire l’incrocio tra i processi, non ha la ricchezza e la serendipità che possiamo vivere dal vivo. Combinando i vari strumenti a disposizione, nei casi di successo siamo riusciti a creare delle occasioni di negoziazione e lavoro collaborativo, in cui proposte, istanze e bisogni potessero emergere in forma libera e sperimentale. È stato fondamentale assistere, poter osservare le persone provare ad appropriarsi degli strumenti e scoprire i limiti dei flussi di informazione e della user-experience progettata per / intorno a loro (le personas sono uno strumento utilissimo ma hanno bisogno di visione e iterazione!).
per strada, osservar facendo Il nostro approccio è stato tanto quello di osservatori che di partecipanti, con un equilibrio variabile: alle volte è stato più utile osservare, alle volte è stato prezioso dare consigli e strumenti di progettazione e di organizzazione. In questo modo abbiamo potuto scoprire spazi misti, riunioni trasformate in cene, officine condivise e distribuite, centri di riuso a mo’ di boutique, imprese sociali che sperimentano in pubblico e pratiche di civismo espanso. Non puoi prevederlo, né puoi esagerare con la classificazione a priori, perchè la diversità continuerà a sorprenderti, e devi accoglierla. Di più, devi fare in modo che ciascuno possa, con strumenti flessibili, produrre la propria narrazione e proposte di azione basate su bisogni precisi, come la creazione di un calendario condiviso tra più associazioni, o la raccolta di proposte per la trasformazione di uno spazio comune. A te che fai community management in un ambito che è soprattutto digitale, è richiesto di trovare la risposta con gli strumenti a disposizione (oltre a mappare e disegnare i processi per raccontarli a chi programma e sviluppa). E per farlo devi esserci soprattutto dal vivo, per strada, non solamente online, come abbiamo discusso in occasione della nostra presentazione del convegno IASC – The City as Commons del 2015. Qui con altri ricercatori e attivisti che partecipavano al panel sulle piattaforme collaborative abbiamo condiviso che non solo quello che succede nell’interazione dal vivo è complementare a quello che succede on-line, ma che parlare di attività off-line le definisce in negativo, per cui abbiamo fatto un’operazione di revisione lessicale radicale, raccontando questa azione di community management come un’azione sia dal vivo che on-line, in una modalità che è stata preziosa per definire la duplice dimensione di questa pratica.
Paula Segal & amy Laura Cahn taught us to remix the online/offline dicothomy: we, as community manager, go onland to make
#commons visible
— snark space making (@snarkive) 6 novembre 2015
osservare tutto Il bilancio ci ha fatto realizzare che attraversando una fase di avvio, abbiamo dedicato molto tempo ad aspetti di user-experience, monitorando problemi tecnici e difficoltà di comprensione e d’uso della piattaforma. Farlo dal vivo, se da un lato è particolarmente impegnativo in termini di tempi e processo, resta la pratica più efficace e ricca di opportunità per discutere bisogni e proposte. L’azione sul campo avrebbe meritato ancora più tempo, in condizioni ottimali si dovrebbe riuscire a osservare le persone all'opera, mentre organizzano corsi, discutono della gestione di uno spazio, si auto-organizzano per interventi di cura di beni comuni, osservando, entrando in empatia ma mantenendo una distanza etnografica. Spesso invece l’azione era, per ragioni di tempo, focalizzata sulla riflessione in merito a bisogni di comunicazione e di progettazione.
officine di comunità, digitali ma semplici Se l’attività di relazione e co-progettazione sul campo ha funzionato, nonostante il tempo limitato a disposizione, non siamo riusciti a fare in modo che i processi di discussione e co-progettazione entrassero in maniera significativa nella piattaforma. Per farlo ci sarebbe voluto sia più tempo che la disponibilità di alcuni strumenti che rispondessero ai bisogni che raccoglievamo in quei mesi: i gruppi e le pagine Facebook da una parte e la bacheca di strada rappresentano ancora le alternative più usate. Attivare una comunità rispetto a un bene comune, a una risorsa collettiva, richiede anche che questa sia aperta a forme di cura e gestione distribuita. Il fatto che questo sia (rimasto) nelle premesse più che negli strumenti pratici, ha rappresentato un freno alla creazione di pratiche di comunità on-line: è una delle ragioni per cui le comunità non hanno risposto all'opportunità di contribuire alla cura della piattaforma (sviluppando nuove funzioni, monitorandone funzionamento e contenuti, etc.). Ascoltare e dare risposte ai bisogni degli utenti più attivi non deve tralasciare le persone che hanno meno capacità di comprensione e di uso degli strumenti. Con queste ultime abbiamo lavorato molto per capire quali metafore, messaggi e strumenti potessero essere effettivamente di impatto, dalle bacheche di strada ai social-network. È lì che si capisce che la conoscenza dei linguaggi e dei dispositivi è un elemento di cittadinanza, che non si risolve con moduli intuitivi, ma con azioni (politiche) di capacitazione e responsabilizzazione delle persone. In occasione della presentazione al convegno di IASC ci è servita molto l’analisi di Mayo Fuster Morell, sulle condizioni di sviluppo di comunità on-line, in cui le persone possano attivarsi per la creazione di contenuti: queste ultime devono avere a disposizione strumenti di azione e forme condivise di governance (autogestione). Aprire gli strumenti e la governance sono anche tra le richieste che da subito sono emerse riguardo a Comunità. La nostra presentazione aveva un punto: se è nei fatti un social network con finalità civiche, non rappresenta ancora un bene comune digitale. Ma valgono per qualsiasi comunità cui ti rivolgi in una pratica a sua volta relazionale quale il community management: aprire spazi di azione e forme di autogestione. Senza queste la comunità si sposta dove può farlo.
ieri, oggi e domani Il nostro percorso è finito nel 2015, e le considerazioni fatte in occasione del convegno sono ancora valide a osservare la realtà cittadina e la piattaforma. I bisogni di condivisione e collaborazione orizzontale continuano a trovare spazio soprattutto sui social-network, e la piattaforma sembra tenere come spazio di partecipazione. Questo articolo è rimasto ad aspettare per tutto il 2016. L’anno di Cambridge Analytics e dell’emersione di molti limiti (della retorica) sui social network.
streaming e/o autogestione Discutendo di Comunità, di ciò che poteva offrire e di come era stata concepita, abbiamo spesso giocato con una citazione da Il cerchio (The Circle) di Dave Eggers, ‘Tutto ciò che succede deve essere conosciuto’ (‘All That Happens Must Be Known’). Perché anche Comunità è basata su un assunto simile: tutto ciò che è rilevante per l’impegno nella tua comunità deve essere conosciuto. La frase è uno dei principi del social network al centro del romanzo di Eggers, una piattaforma che mette la trasparenza totale prima di tutto, e ci costruisce sopra norme e ricavi. Questo principio da solo non basta per sostenere una piattaforma che cresca come bene comune digitale. Servono strumenti per usare le informazioni e produrre impatto, e serve un’opportunità di autogestione. michele restuccia x snark febbraio 2017
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wevuxmag · 5 years ago
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THE LAST STATEMENT T-SHIRT
THE LAST STATEMENT T-SHIRT #activism #AR #ARfashion #attivismo #augmentedreality #augmentedrealityproduct #carlings
Now that censorship seems to be back in fashion, this augmented-reality t-shirt collection by the Swedish retailer Carlings proves to be a good method for protesting and expressing yourself freely, without risking prison or even worse. Launched in 1980 and with stores across Scandinavia, Carlings prides itself on taking an innovative and sustainable approach to high-street fashion. In 2018, it…
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carmenvicinanza · 2 years ago
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Sambu Buffa
https://www.unadonnalgiorno.it/sambu-buffa-2/
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Sono una guida, una persona che ha il compito d’indicare la via da seguire per l’inclusione, un’intermediaria tra due elementi il marketing e l’inclusione, l’impatto e il cambiamento.
Sambu Buffa è un’attivista digitale, femminista intersezionale, consulente in comunicazione e marketing D&I, che crea strategie di brand etiche e inclusive.
Forma e indirizza per un nuovo modo di comunicare, autentico e consapevole che, attraverso un diversity mindset crei spazi di lavoro diversificati e consapevolmente antirazzisti.
Designer del cambiamento, ha creato Inclusivo plurale il marketing per business ribelli, quelle attività che vogliono contribuire a cambiare la società anche attraverso il loro lavoro, riuscendo a ottenere crescita economica.
Specializzata nel lavorare nel mondo del fashion e beauty, crea strategie in grado di valorizzare le diversità culturali, etniche e di genere.
Si occupa anche di formazione per creare una cultura inclusiva a partire dall’interno di aziende, associazioni, agenzie, organizzazioni.
Insieme a Marilena Delli Umuhoza ha creato l’Academy dell’Antirazzismo.
Ha un canale YouTube in cui, in interviste chiamate L’audacia del cambiamento racconta di attività che creano valore, impatto e reale cambiamento sociale.
Ha un podcast che si chiama L’educazione antirazzista secondo Sambu, in cui racconta le sue esperienze di vita in Italia, da donna nera e adottata.
È convinta che l’inclusione sia un processo mentale e concreto che si può attuare se si cambia la narrazione e la rappresentazione.
Ha preso parte a diversi progetti per combattere razzismo e discriminazioni, è stata vice responsabile dello sviluppo per il collettivo del movimento Black Lives Matter Italia.
Col suo lavoro e il suo attivismo apporta un importante contributo per rendere questa società migliore nel rispetto di ogni differenza.
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salentipico-blog · 7 years ago
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Da oggi, giovedì 26 e fino a domenica 29 ottobre, circa 200 relatori tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, amministratori pubblici, scienziati, artisti, registi, hacker, maker, esperti, giuristi, economisti, architetti, paesaggisti, linguisti, social media manager, designer, innovatori racconteranno le proprie storie durante la quinta edizione del festival “Conversazioni sul futuro”, diretta da Gabriella Morelli. 
Oltre 90 appuntamenti disseminati in 20 location (teatri, centri culturali, librerie, luoghi pubblici, parchi e scuole) su economia, impresa, diritti, inclusione sociale, migrazione, attivismo digitale, lavoro, satira, comunicazione, politica estera, scienza, arte, giornalismo, rigenerazione urbana, editoria, food, education, cambiamenti climatici, sostenibilità, odio on line, bullismo, bibliopatologia, moda e molto altro.
Il Festival accoglierà, inoltre, il Climathon, organizzato da Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e Comune di Lecce, Omofobi del mio stivale, una manifestazione contro l’omofobia e per i diritti civili, Cinema sul Futuro, in collaborazione con Cineclub Universitario, Fondazione Apulia Film Commission e Corso di Laurea DAMS dell’Università del Salento, una serie di incontri dedicati al mondo dell’impresa al Sellalab, l’Officina dei bambini e delle bambine a cura diBoboto, un’intera sezione riservata all’Enogastronomia del futuro, una presentazione della Maker Faire di Roma, un omaggio a Pino Daniele e un dj set di Max Casacci.
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Giovedì 26 ottobre alle 17,30, dopo una breve introduzione, il Festival prenderà il via al Teatro Paisiello con “La verità vi prego sui migranti: il muro sul mediterraneo” con Marco Bertotto (Medici senza frontiere), Marta Serafini (Corriere della Sera), Marina Petrillo (Open Migration), Chris Richmond Nzi (Mygrants), Giacomo Zandonini (Giornalista FreeLance) e Antonio Iovane (Radio Capital). Di fronte a un’Europa inerte, il governo italiano firma un patto con la Guardia costiera libica e il numero di migranti sbarcati in Italia crolla. Ma a quale prezzo? E quali sono le altre rotte battute dai migranti per raggiungere il Continente? A seguire, l’incredibile storia del ballerino siriano palestinese Ahmad Joudeh. La sua voglia di danzare e il suo sogno di diventare un professionista sono stati più forti di tutto, soprattutto delle minacce dei terroristi dell’Isis. Dietro la nuca ha un tatuaggio con la scritta “Dance or die”. Dal 2016, vive, studia e lavora al Dutch National Ballet di Amsterdam. Nel 2017 è riuscito a coronare il suo sogno: incontrare Roberto Bolle e ballare con lui. Dalle 20.30 un incontro ideato e moderato dalla giornalista de Il Fatto Quotidiano Wanda Marra. Si discuterà delle Nuove frontiere del giornalismo. In questi anni si è passati rapidamente dalla carta ai blog, dagli opinionisti agli influencer, dai sondaggi ai sentiment, dall’ironia alle bufale. La prima serata si concluderà dalle 22 con Lirio Abbate e il suo spettacolo su “Carminati e il Caveau dei misteri d’Italia”. In mattinata nel parco della TraxRoad si terrà invece il workshop “Co-progettare soluzioni per lo spazio pubblico e la comunità: una nuova biblioteca sociale all’aperto“ a cura di Paolo Venturi (direttore AICCON), Francesca Battistoni e Guglielmo Apolloni (Social seed) con Antonella Agnoli (assessore alla Cultura del Comune di Lecce).
Grazie alla preziosa collaborazione con Amnesty International Italia e in particolare con Riccardo Noury e Tina Marinari, il festival accoglierà le testimonianze di Paola Deffendi e Claudio Regeni (genitori di Giulio, il ricercatore italiano ucciso a Il Cairo nel gennaio 2016 che saranno a Lecce dopo il collegamento dello scorso anno), Lucia e Rino Rocchelli (sorella e padre del fotografo Andy morto nel 2014 a Sloviansk in Ucraina), Ahmed Said (medico e attivista egiziano), Claudio Guarnieri(hacker, ricercatore di sicurezza informatica, artista, ed attivista per i diritti digitali).
Nei quattro giorni a Lecce ci saranno anche Ilaria Cucchi, il trapiantologo Daniele Antonio  Pinna, il presidente dell’Associazione Nazionale Magristrati Eugenio Albamonte, il designer Riccardo Falcinelli, l’art director Francesco Franchi, l’architetto Marco Rainò, l’attore e regista Daniele Gattano, l’attore e scrittore Fabio Canino, gli scrittori Enrico Remmert, Christian Raimo, Leonardo Colombati e Flavia Piccinni, il bibliopatologo Guido Vitiello, i giornalisti Giuseppe Giulietti, Lirio Abbate, Carlo Bonini, Marco Damilano, Antonio Sofi, Fabio Chiusi, Giampaolo Colletti, Giuliano Foschini, Tiziana Prezzo, Wanda Marra, Francesca Magni, Paul Rose, gli autori Stefano Andreoli (Spinoza) e Adelmo Monachese (Lercio), i registi Alessio Cremonini, Davide Barletti e Alessandro Valenti, il monaco di Plum Village Phap Ban, l’ingegnere elettronico e direttore tecnico di Macnil – Gruppo Zucchetti Mariarita Costanza, l’avvocato Alessandra Ballerini, il produttore discografico Claudio Poggi, il cantante Daniele Sanzone, l’esperto di resilienza e di politiche di adattamento ai cambiamenti climatici Piero Pelizzaro, lo street artist NemO’s, il medico e saggista Silvia Bencivelli, il direttore IIT – CNR e Registro.it Domenico Laforenza, il blogger Hamilton Santià, il vice presidente Italia StartUp Antonio Perdichizzi, il giurista e scrittore Giovanni Ziccardi, il sociologo Giovanni Boccia Artieri, i linguisti Massimo Arcangeli e Vera Gheno, la presidente Associazione italiana malattia di Alzheimer Patrizia Spadin, l’ideatore e direttore scientifico di Rural Hack Alex Giordano, il cuoco contadino Peppe Zullo, il food performer Nick Difino e il gastrofilosofo Donpasta solo per fare qualche nome. Preziosa la collaborazione con docenti e ricercatori dell’Università del Salento e con giornalisti e opinionisti di molte testate e blog pugliesi che modereranno e parteciperanno agli incontri.
«Il Festival è il frutto di un anno di studio, appunti, letture, contatti, suggestioni, scoperte. Dentro ci sono le varie anime del nostro gruppo di lavoro che è composto da molti professionisti, tanti amici sparsi in tutta Italia, ma soprattutto da una squadra di ragazzi e ragazze senza i quali non potremmo organizzare nulla», sottolinea Gabriella Morelli. Nelle prime quattro edizioni, Conversazioni sul futuro (sino al 2014 con il nome di Xoff) ha coinvolto oltre 500 relatori e ha ospitato (sino al 2016) anche la conferenza TedxLecce, che quest’anno, invece, non si terrà. La rassegna si trasforma dunque in Festival, cresce, si amplia e si sviluppa, proponendo sempre più appuntamenti e coinvolgendo sempre più luoghi e scuole della città. «Dopo le cinque edizioni di TedxLecce abbiamo pensato a un nuovo inizio. Quest’anno abbiamo deciso di continuare solo con “Conversazioni sul Futuro”, pensando e costruendo non più una rassegna “collaterale” ma un vero e proprio Festival» prosegue l’organizzatrice. «Negli oltre novanta incontri proveremo a interrogarci su quei temi che riguardano da vicino tutto quello che per noi è racchiuso nella parola futuro. Sono molto orgogliosa di poter ospitare, grazie alla preziosa collaborazione con Amnesty International e con l’avvocato Alessandra Ballerini, le famiglie di Giulio Regeni ed Andy Rocchelli. Le altre storie incredibili sono quelle del medico e attivista egiziano Ahmed Said e del danzatore siriano palestinese Ahmad Joudeh che ha sfidato anche l’Isis pur di ballare. Siamo molto grati al trapiantologo Daniele Antonio Pinna che ha accettato il nostro invito prima di lasciare l’Italia per andare a lavorare all’estero. E poi sono sorpresa dal grande affetto dei relatori che hanno accettato di partecipare al nostro festival proponendo temi, incontri, invitando altri ospiti e costruendo percorsi insieme a noi». Molto proficua la collaborazione con l’Università del Salento (che ospiterà anche i genitori di Giulio Regeni per un incontro con docenti, ricercatori, dottorandi e studenti) e con il Comune di Lecce. «Il Festival quest’anno sarà sempre più nella città, per la città, sulla città, con la città. Discuteremo di biblioteche, partecipazione e resilienza, impatto economico della cultura sul territorio, diritti di cittadinanza, erosione delle coste, agricoltura sostenibile e molto altro. Parteciperanno esperti, cittadini, giornalisti e amministratori pubblici. Proveremo a ragionare anche di soluzioni concrete», conclude Gabriella Morelli.
«Questo festival per me è un motivo di orgoglio, perché dà vita a una qualificata riflessione pubblica nella nostra città», ha sottolineato il sindaco di Lecce Carlo Salvemini durante la conferenza stampa di presentazione. «Inoltre si tratta di un festival organizzato senza chiedere un euro al Comune, che ha messo a disposizione solo alcuni luoghi dover poter svolgere alcune delle iniziative che coinvolgeranno anche spazi privati, scuole e aule universitarie. Un approccio diverso dal solito che traccia una linea verso un nuovo modo di organizzare le cose a Lecce, ponendosi l’obiettivo principale di dare qualcosa alla città in cui si vive e lavora. è molto interessante la mescolanza di temi, linguaggi, toni. Sono felice perché vedo lo sforzo enorme che gli organizzatori e volontari ci mettono. Un vero e proprio cantiere di energie. Un lavoro che credo abbia già fertilizzato il terreno in città e che sicuramente darà altri buoni frutti nei prossimi anni».
Conversazioni sul futuro è organizzato dall’Associazione Diffondere Idee di Valore con la direzione di Gabriella Morelli, in collaborazione con PazLab, Coolclub, Virulentia Film, Officine Cantelmo, ShotAlive, Boboto, Fablab Lecce, Sellalab, Zemove e Amnesty International – Italia  con il patrocinio di Comune di Lecce e Università del Salento e con il sostegno di Banca Popolare Pugliese e Meltin’Pot. Partner Libreria Liberrima, All’Ombra del Barocco, Vestas Hotels & Resorts, Palazzo Rollo, Spinelli Caffè, Maker Faire Roma, Registro. it, Cineclub Universitario, Apulia Film Commission, Cmcc, Rural Hack, Fondo Verri, Officine Culturali Ergot, Dajs, Città del Gusto – Lecce, Slow Food Lecce, FotoScuola Lecce, UpsideMedia, NonInLinea. Un ringraziamento ai produttori di vino Cantele, Candido, Claudio Quarta Vignaiolo, Hiso Telaray – Libera Terra di Puglia, Cantine San Donaci ai birrifici Old476, Malatesta, B94, ai ristoranti La Succursale, Tabisca, La Scarpetta, Il Bacaro, all’Hotel Santa Chiara e ai b&b Fanfulla, Casa dei Mercanti, White Suite, Le due musce, Le campanelle di Isabella, Volevo, Giardino delle Margherite, Palazzo Belli
GLI APPUNTAMENTI SONO TUTTI A INGRESSO LIBERO E GRATUITO MA SOPRATTUTTO INIZIERANNO PUNTUALI. Info e contatti www.conversazionisulfuturo.it
  Al via a Lecce il Festival Conversazioni sul Futuro Da oggi, giovedì 26 e fino a domenica 29 ottobre, circa 200 relatori tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, amministratori pubblici, scienziati, artisti, registi, hacker, maker, esperti, giuristi, economisti, architetti, paesaggisti, linguisti, social media manager, designer, innovatori racconteranno le proprie storie durante la quinta edizione del festival “Conversazioni sul futuro”, diretta da Gabriella Morelli. 
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pangeanews · 6 years ago
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“Viviamo un nuovo totalitarismo, viviamo da morti viventi, ma Dante ci può salvare”: dialogo con Gianni Vacchelli
Un dettaglio mi sembra decisivo. Lo estraggo dall’ultimo saggio di questo ciclo, La poesia profetica e critica di Dante. Quella parola è importante. Profetica. Il grande poeta è sempre profeta, cioè uno che pone una parola che gli è avanti (pro), che lo supera, che è destinata ai futuri – non ho detto: che divina il futuro; e non ho neanche detto che viene dalla divinità. I grandi libri, intendo – e intendo quelli di cui tutti dobbiamo fare esperienza, dalla Bibbia a Esilio di Saint-John Perse, dalle poesie di Leopardi alle tragedie di Eschilo ai romanzi di Dostoevskij a L’età dell’ansia di Wystan H. Auden – hanno sempre un calibro profetico, sono l’avanzo di ciò che altrimenti muta, il resto di ciò che si disintegra. Posseggono, perciò, una attualità infuocata, perché sono atto in moto e immutato. Allora, mi viene da dire, Vacchelli, già autore di studi pieni di splendore (ricordo sempre Dagli abissi oscuri alla mirabile visione, 2008), che in Dante e la selva oscura (Lemma Press, 2018) usa la Commedia come zattera e come spada, legge nell’unico modo possibile, senza le alchimie dell’accademico – pur con stuolo di bibliografia e accuratezza di note –, gettando le terzine di Dante nella rogna, nella Caina della Storia, nelle fauci dell’oggi. Leggendo l’interpretazione audace – ma così precisa – di Vacchelli scopriamo che gli ignavi siamo noi, perché “la totalità psicopolitica ci aliena da noi stessi, dal mondo, dal mistero… ci fa ‘morti viventi’, spettatori passivi e dipendenti del cyber-capitale”, e che gli assoluti assoli di Dante ci difendono dall’assalto capitalista che ci vuole divoratori di merci e a nostra volta divorati, in una specie di terribile cannibalismo digitale e sostanziale. Brandire Dante contro le storture dell’era, adottarlo come percorso di resurrezione, di risalita, mi pare magnifico. Perciò, ho contattato Vacchelli. (d.b.)
Mi pare che lei usi Dante per entrare nella rogna del tempo presente, scassandolo, scassinandolo. Ma non certo con un tono da manuale dantesco per vivere felici, ecco. Mi dica dunque, dell’oggi, cosa ci dice Dante. 
Sembra paradossale, ma Dante ci dice molto sull’oggi. Dante “vede” molto e in profondità. Vede la nostra indifferenza, la nostra ignavia: mentre il pianeta va in pezzi, predato, mentre le disuguaglianze crescono sempre più a vantaggio di pochissimi e a danno dei più, noi invece “dormiamo”, spettatori assuefatti e rassegnati. Siamo i nuovi ignavi, «questi sciaurati, che mai non fur vivi» (If III,64). Dante “mette all’inferno”, cioè giudica con criteri etici, umani, spirituali il “regno della lupa”, fin dal I canto dell’Inferno. La lupa è la cupiditas, l’avidità, l’accumulo. Il capitale, potremmo dire anche. La follia di un mondo che ha mercificato e quantificato tutto, al laccio dell’idolo denaro e dell’algoritmo imperante. Ma Dante ci ricorda che questa è la “versione infernale” dell’uomo. L’uomo è anche trasformazione (Purgatorio) e compimento (Paradiso). L’uomo può risvegliarsi alle profondità di se stesso, del mondo e dell’altro – come fratello e sorella – e all’inquantificabile, che è il divino. Dante ci chiama al risveglio. Il «mi ritrovai» del v. 2 della Commedia è appunto anche un ritrovamento, e non solo psicologico, ma spirituale e mistico.
Lei ci conduce, fin dal titolo del libro, nella ‘selva oscura’. Che ha analogia con la ‘notte oscura’ dell’anima, da cui l’anima trae vigore, dopo il timore. Oscurità come luogo dove fare luce. Ci spieghi meglio. 
Faccio una premessa. La selva oscura è un’immagine infinita, archetipica, che viene da zone della realtà più profonde di quelle di una “semplice fantasia”. L’immaginazione di Dante è creatrice, ed è anche una facoltà spirituale. Abbiamo perso cognizione di queste realtà, che sono ben vive e reali (!) invece per gli antichi, per i medievali, per i mistici d’Occidente e d’Oriente. Ma anche Vico e Leopardi, pur se in modi anche molto diversi, comprendevano bene tutto ciò. Allora la selva oscura da una parte dice negatività, male, peccato, angoscia, disorientamento, ma dall’altra è, come lei diceva, una «notte oscura», che fa rima con «ventura», per dirla con Giovanni della Croce, l’auctoritas in materia. Anche Dante è molto esplicito in merito, se lo leggiamo solo con attenzione. La selva «tant’è amara che poco è più morte; / ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte (If I,7-9). Chiarissimo quindi: la selva è terribile, mortale, ma è anche altra dimensione, nube oscura, crescita e ulteriorità divino-umana. Il testo più importante per Dante, la Bibbia, conosce bene questa misteriosa realtà. Citiamo, tra i molti luoghi possibili, Deuteronomio 5,22: «Sul monte il Signore disse, con voce possente, queste parole a tutta la vostra assemblea, in mezzo al fuoco, alla nube e all’oscurità». Mi verrebbe quasi da dire: non intratur in veritatem, nisi per obscuritatem. Nel nostro mondo di effetti speciali, di continui abbagli, di veglie troppo luminose, di “realtà aumentate”, abbiamo dimenticato la potenza benefica, anche se ardua, delle notti oscure dell’anima, della mente, del corpo, del silenzio.
“Mai Dante avrebbe potuto pensare ad Auschwitz, ma noi, rileggendolo da Auschwitz, qualcosa possiamo intravedervi”. Una frase potente, come se la Commedia vada letta anche per il suo carattere profetico. È così? Cosa intende con quella frase? 
Intendo che quando un uomo entra nella profondità di se stesso e soprattutto della realtà tutta, come Dante fece senz’altro, gli si schiudono, anche per grazia, possibilità infinite. Dante è un «uomo rappresentativo», per dirla con Emerson, che ci ricorda quello che possiamo e dobbiamo essere. Lo sguardo profetico non è una preveggenza, ma una dimensione, ancora una volta, di straordinaria intensità. Dante non è un indovino – quelli stanno all’Inferno – non è un “Nostradamus”, ma conosce gli abissi del cuore umano. Ecco allora che il cannibalismo di Ugolino, gli uomini congelati e “resi pezzi” nella morsa ghiacciata del Cocito, la furia fredda e accesa dell’odio e di una ragione fraudolenta e perversa generano le immagini finali, “luciferine” degli ultimi canti della Commedia. Non è ancora Auschwitz, ma noi, che rileggiamo Dante dopo Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, non possiamo non rabbrividire e non tremare di fronte a quei versi. Il tempo “si cortocircuita”. Dante “cresce con chi lo legge”, per parafrasare Gregorio Magno che diceva Scriptura crescit cum legentibus. Cresce Dante e soprattutto cresciamo noi, in visione, in consapevolezza. E in amore, se comprendiamo bene che questo è l’inferno e che l’uomo non è solo e tanto l’inferno.
Torno alla selva. La selva, scrive, oggi, “è quella di un nichilismo economicistico e crematistico, onnipervasivo, bio/psicopolitico, necrofilo. Ancora più radicalmente potremmo dire che ci troviamo a vivere un nuovo totalitarismo, il terzo del XX secolo e l’unico sopravvissuto nel XXI”. Altra frase perturbante. Che cosa intende?
Torniamo alla versione “mortifera” della selva. Solo che quella di Dante era una selva 1.0; la nostra è 2.0. La questione è complessa. Nel libro argomento meglio. Qui posso solo accennare. Il contesto odierno è una “totalità” che ci imprigiona e ci mostra solo se stessa, in un delirio di mercificazione spettacolarizzata, dove sette cerchi “infernali” concentrici e interconnessi – finanz-crazia, tecnocrazia, burocrazia, massmedio-crazia, geopolitica (o realgeopolitik), potere militare e potere nichilistico (inteso soprattutto come rassegnazione-amnesia, perdita di senso e di un “oltre”, comunque esso sia inteso) –, spadroneggiano, impossessandosi di noi e della vita. La totalità è più che mai totalitaria. Ma in modo nuovo e inedito. Procede per saturazione, per colonizzazione bio-psicopolitica, ci tiene servi in primis grazie alla nostra complicità. La nostra anima, i nostri neuroni sono conquistati e sfiniti o in una indotta rassegnazione depressiva, o in attivismo alienante: in qualunque caso, depressi o iperattivi/ipereccitati, si è come anestetizzati. Nella sua versione più subdola e di contagio animico e interiore, il sistema oggi si impadronisce in modo falso e invertito delle parole della vita: realizzati, sii te stesso, sii libero, sii democratico. Invero si fa solo più fitta la prigionia che invita all’autosfruttamento e alla capitalizzazione-quantificazione della vita, come se vivere la vita fosse l’oscena calculation of life proposta. Dimentichiamo in modo insano che l’ossessione quantificante ed efficientista ha fatto parlare più interpreti di «ritorno di Auschwitz» (Danilo Dolci, Franz Hinkelammert) e di «effetto Treblinka» (James Hillman). Ecco insomma il terzo totalitarismo – dopo quello nazista e stalinista – da smascherare e sconfiggere, dentro e fuori di noi. Potrei dire, semplificando, totalitarismo capitalista, neoliberista, ma, forse meglio, nichilista.
Infine, un Dante ci può salvare? 
Magnifica suggestione, la sua! Sì, “un Dante ci può salvare”, perché il Poeta ci ricorda la dignità e la possibilità infinite dell’uomo. Il suo viaggio sprofonda negli abissi, per risalire sul monte della trasformazione ed arrivare ad un incontro con se stesso, con il cosmo, con gli altri uomini e con il mistero divino. L’uomo per Dante è anche capax Dei, «capace di Dio», vaso del divino. In questo senso il Poeta sembra continuamente dirci: non vedi com’è misera e sottodimensionata la tua versione infernale? Perché non ti risvegli alla tua reale natura? Perché non scendi in profondità e in trascendimento dentro di te, dentro la materia, la natura e in quel mistero indicibile che sta in nessun luogo e ovunque?
*In copertina: William Bouguereau, “Dante e Virgilio nell’Inferno”, 1850
L'articolo “Viviamo un nuovo totalitarismo, viviamo da morti viventi, ma Dante ci può salvare”: dialogo con Gianni Vacchelli proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2ZLKD2o
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webrm · 5 years ago
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