#Politica culturale
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" Secondo un dato riferito nel rapporto annuale del Censis (dicembre del 2019), gli italiani sono affetti da una sindrome inquietante: la scomparsa del futuro. E questo provoca una sorta di “stress post-traumatico” collettivo. Assenza di futuro significa cose molto precise. La grande maggioranza vede che la mobilità sociale è bloccata, che l’ascensore sociale è rotto, che l’offerta di lavoro è scarsa; gli operai non sperano in avanzamenti; imprenditori e professionisti temono perfino una brusca scivolata in basso. Grave appare specialmente la condizione dei giovani in età lavorativa. Qui secondo una statistica del 2017 abbiamo il record europeo della cosiddetta generazione «neet» («neither in employment nor in education or training»): giovani tra i 18 e i 24 anni che non studiano, non hanno un lavoro e non lo cercano*. La perdita della memoria e l’ignoranza della storia si sommano all'assenza di futuro. O forse è proprio l’assenza di futuro che provoca una distorsione profonda nel senso del passato. La memoria sociale, detta anche memoria storica, è frutto di una continua rielaborazione di fatti e idee. Ed è qui che ci si imbatte nel ritorno d’attualità di relitti di nazismo e fascismo nelle idee e nei comportamenti collettivi. Ma intanto bisognerà tenere presente il nesso tra memoria del passato e speranza di futuro. "
*La ricerca Il silenzio dei NEET. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio è stata redatta da Annarita Sacco e rivista dallo staff del Comitato Italiano dell'Unicef.
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Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Giulio Einaudi editore (collana Vele); prima edizione: 19 gennaio 2021. [Libro elettronico]
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Solamente due ore e mezza di screentime per oggi wow amo l'università
#grimm official speaks#istituzioni di economia politica si è rivelata più interessante di antropologia culturale#voglio morire
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I Cazari: un crocevia di Culture e Religioni
“La conversione dei Cazari non fu solo un cambiamento di fede, ma l’inizio di una civiltà che sapé fondere il sacro e il profano in un regno di prosperità.”(Elaborazione ispirata al pensiero di Arthur Koestler ne La tredicesima tribù) Tra il V e il XII secolo, un popolo affascinante e enigmatico dominava vaste aree che oggi comprendono parte dell’Europa orientale e dell’Asia. I Cazari,…
#Alessandria today#antichi imperi#Arthur Koestler#Ashkenaziti#Cazari#civiltà scomparse#commerci medievali#conversione religiosa#diaspora ebraica#ebraismo medievale#Eurasia#Google News#Identità Culturale#impero Cazaro#Influenze persiane#Islam medievale#italianewsmedia.com#La tredicesima tribù#Lava#Mar Caspio#Mar Nero#mondo bizantino#Pier Carlo#pluralismo culturale#Politica medievale#popoli delle steppe#popoli nomadi#popoli turchi#regno multietnico#relazioni diplomatiche
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DECRETO CULTURA. AL CENTRO DELLA AZIONE DI GOVERNO LA CULTURA E I PRINCIPI COSTITUZIONALI
Il disegno di legge “Misure urgenti in materia di cultura”, approvato oggi in Senato, mette al centro dell’azione di Governo alcuni dei principi costituzionali previsti dall’articolo 9, per il quale: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” e “Tutela il paesaggio”.
Con l’articolo 1, infatti, il Decreto istituisce il 'Piano Olivetti per la cultura', per favorire, tra le altre cose, lo sviluppo della cultura, la rigenerazione culturale delle periferie, delle aree interne e svantaggiate, oltre a valorizzare le biblioteche, l'editoria libraria, gli archivi e gli istituti storici e culturali. , In maniera organica e in coerenza con la Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne, si progetteranno le azioni migliori per dare impulso alla cultura in tutte le sue forme.
Con l’articolo 4, stanzia, invece, 800.000 di euro per i 25 anni della Convenzione europea sul paesaggio, trattato internazionale sul patrimonio culturale e naturale, sulla pianificazione territoriale e sull'ambiente.
La rivoluzione concettuale che la Convenzione ha posto in essere con la definizione ‘intimistica di paesaggio, ovvero quella “determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni”, rappresenta una evoluzione culturale del sentire delle persone. Un determinato luogo deve essere tutelato non solo perché bello ma perché custodisce il sentire delle popolazioni che ci vivono.
È un tema che mi è particolarmente caro, sin da quando ho ricoperto la carica di Assessore regionale all’Ambiente della Basilicata e mi sono speso per accelerare sulla approvazione del Piano Paesaggistico Regionale. Uno strumento, nelle mani delle Regioni, fondamentale per lo sviluppo armonico di un territorio ma al contempo molto sottovalutato.
Auspico, quindi, che le celebrazioni per il 25° anniversario della Convenzione europea sul paesaggio, verso la quale il Governo Meloni, con il Decreto approvato oggi, dimostra molta attenzione, riescano a sensibilizzare le Istituzioni verso la tutela concreta di un altro immenso patrimonio culturale italiano: il paesaggio
#basilicata#fdi#politica#fratelliditalia#senato#governomeloni#cultura#paesaggio#convenzione europea del paesaggio#anniversario#patrimonio culturale#patrimonio naturale
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"La generazione Baga - Riflessioni sull'ultimo mezzo secolo del Salone Margherita" di Antonio Vacca
Per “Dialoghi da bar”, Michele Nigro e Francesco Innella presentano – in compagnia dell’Autore – il libro di Antonio Vacca intitolato “La generazione Baga – Riflessioni sull’ultimo mezzo secolo del Salone Margherita” (Print Art ed. – 2020 – 90 pag.) con prefazione di Gigi Miseferi. La Generazione Baga è un viaggio “partecipe” attraverso gli Spettacoli della Compagnìa “Il Bagaglino” e,…
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Spesso si legge nei libri di testo scolastici ed universitari, e si sente anche dire (attraverso i “media” mainstream), dai pennivendoli alla Cazzullo, che l'Italia nel 1861 fu RIUNIFICATA (come dico io: “nata sotto il segno dei Pesci!”).
Mai una bufala così grande è stata assurta a verità assoluta e da dare in pasto ai farlocchi, cosa che non succede altrove. L’Italia come entità politica unificata non è mai esistita prima del 1861, se non come idea culturale o geografica.
Durante il periodo romano, “Italia” era inizialmente un concetto geografico che indicava la penisola italica, ma non una nazione unificata.
Con il tempo, specialmente dopo la guerra sociale (91-88 a.C.), gli abitanti della penisola ottennero la cittadinanza romana, e l’Italia divenne una “regione” centrale dell’Impero.
Tuttavia, l’Impero era vasto e multietnico, e non si poteva parlare di un’unità politica esclusivamente italiana.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la penisola fu divisa tra regni barbarici, domini greci detti “bizantini” e successivamente in una miriade di staterelli e città-stato al centro nord, mentre al sud della penisola italica, nel 1130, si andava costituendo il prototipo del primo stato nazionale europeo, il Regno Di Sicilia.
Quindi di quale riunificazione parlate?
Vi siete inventati anche un popolo "italiano" che, nella realtà dei fatti, non è mai esistito.
-Pat Adam @AdamartArt
(Mappa del 1200)
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Giornate Di Riflessione
C'è sempre l'uso di una parola che muta o che sostituisce: l'8 Marzo non è la Festa della Donna, ma è Giornata internazionale dei diritti delle donne, cioè un momento di riflessione sociale, culturale e politica su come agire e garantire l'importanza della lotta per i diritti delle donne, in particolare per la loro emancipazione, ricordando le conquiste sociali, economiche, politiche e portando l'attenzione su questioni come l'uguaglianza di genere, i diritti riproduttivi, le discriminazioni e le violenze contro le donne.
Non è quindi necessariamente il regalare un fiore splendido (la mimosa non muore senza i suoi fiori, la questione dei fiori recisi la spiegherò una volta) o andare a pranzo tra amiche (che è una cosa che si dovrebbe fare sempre), conseguenza della monetizzazione di ogni questione ormai. È l'occasione per una riflessione specifica e per un giorno "più centrale" di come arrivare agli obiettivi di cui sopra. Significa iniziare dalle cose più semplici, come l'uso di un linguaggio più attento, di piccole attenzioni che finiranno, spero, per cancellare degli usi non più accettabili, per arrivare a promuovere la parità di salari a parità di mansioni, le politiche indispensabili a sostegno di chi vuole avere una famiglia, al rispetto totale delle sua libertà di lavorare, amare, vivere. Significa dare spazio alle conquiste ma agire per tutte le altre, alcune davvero fondamentali, che ancora mancano.
Mi permetto però una piccola postilla volutamente sarcastica: fare ironia su tutti i tentativi, indistintamente, che mirano a queste riflessioni è un po' come sostenere che "tutte le donne non sanno guidare", cambia solo la questione generica di chi lo pensa. E non credo che l'obiettivo sia quello di somigliare ad uno che la pensa così.
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Marcello Veneziani è il più grande intellettuale politico e culturale che oggi l'Italia ha, il CDX dovrebbe prendere spunto dai suoi scritti.
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LA MALAITALIA INCLUDE I GIUDICI E LA SINISTRA
È passato inosservato un libro che fa la storia di Tangentopoli, scritto da un inviato speciale de la Repubblica che per tanti anni seguì in prima linea Mani pulite e si trovò tempestato di querele. Sto parlando di Enzo Cirillo, autore di un libro uscito da poco: “Mani pulite. Fu vera gloria?” edito da Gangemi col sottotitolo “perché non è mai morta la prima repubblica e perché l’Italia rischia”.
Ma come, il libro di una firma di Repubblica contro la corruzione che passa in silenzio? Si, perché sostiene tre tesi non proprio in linea col mainstream. La prima è che Tangentopoli coinvolse appieno la sinistra, anche se fu risparmiata nelle inchieste giudiziarie e mediatiche. La seconda è che la magistratura non era la parte sana che indagava la parte malata delle istituzioni, ma era pienamente dentro quel potere e lottava per la supremazia. La terza è che la corruzione non fu sradicata affatto ma ha continuato imperterrita anche dopo Mani Pulite.
Percorro in grandi linee le tesi di Cirillo. Per cominciare, la corruzione che passava dal ministero dei lavori pubblici (e dei favori privati) arricchiva tutti, “rubavano tutti”; e la corruzione politica fece da volano al salto di qualità di Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta e alla loro longa manus nella pubblica amministrazione.
Il libro si apre con una citazione di Luciano Violante: “Noi magistrati eravamo pronti a prendere il potere in Italia. Dopo Tangentopoli aspettavamo il passaggio del testimone”. Lo stesso Violante, passato dalla toga al Pds, sposta le aspettative di ricambio dal piano giudiziario al piano politico e afferma: “Aspettavamo, noi del Pci-Pds che la mela cadesse. Puntavamo sui benefici di mani pulite”, non cogliendo quel che invece Bettino Craxi aveva ben colto: la disgregazione dei partiti trascinerà e delegittimerà tutti. Infatti arrivò il Cavaliere outsider con le opposizioni non coinvolte in Mani pulite, vale a dire l’Msi e la Lega, più i sopravvissuti del pentapartito non assorbiti dalla sinistra.
Oltre le spartizioni trasversali, Cirillo cita anche altre pagine del malaffare che coinvolsero imprenditori sotto l’ombrello protettivo della sinistra. È il caso di Carlo De Benedetti, all’epoca editore de la Repubblica, “finito nel grande proscenio della corruzione che flagellava l’Italia” e sentito a San Vittore da Tonino Di Pietro. Ne nacque pure un’intervista di Giampaolo Pansa all’editore che aveva ammesso di aver pagato tangenti. La difesa dell’editore-finanziere fu che se avesse provato a rivelare il sistema delle tangenti “mi avrebbero distrutto”; dunque per sopravvivere meglio l’omertà e la partecipazione al gioco… L’intervista è dura ma chi ne esce bene è l’intervistatore, Pansa, non certo l’intervistato, e il suo gruppo.
È pure il caso dei Benetton, legati al Pd e al gruppo L’Espresso, e della tragedia del ponte Morandi, con 43 morti, dopo più di vent’anni di gestione della società autostrade con profitti per decine di miliardi. Cirillo si addentra nella vicenda e nella manutenzione mancata del ponte, col finale salvacondotto firmato dal governo giallo-rosso. A la Repubblica di De Benedetti, si affianca l’Unità, ancora organo del Pci, poi Pds, “un giornale – scrive Cirillo – indispensabile e utile per disarticolare il dissenso e distruggere professionalmente e umanamente i nemici, in ossequio alle verità inoppugnabili del Bottegone, ma se necessario anche randello mediatico per amici poco ortodossi e alleati riluttanti o troppo autonomi per accettare la leadership culturale e politica del Pci”.
C’è poi il capitolo dei “faccendieri falce e martello”: “la lunga strada del business tra consulenze, voti di scambio, mazzette, appalti miliardari e occupazione dei posti di comando e gestione nasce e si sviluppa, a sinistra, a partire dagli anni ottanta”. Ovvero, faccio notare, da quando si chiuse il generoso rubinetto sovietico, le mediazioni sull’export-import con l’est, gli aiuti di Mosca. Ma per dirla in sintesi con il titolo di un capitolo: “Corruzione. Il Pci-Pds era parte del sistema”.
“Si inizia con le cooperative emiliane per finire a D’Alema, Renzi ed Emiliano, il presidente della Regione Puglia…passando per Carrai e il suicidio-omicidio di Davide Rossi del Monte dei Paschi di Siena. Matteo Renzi è il più fantasioso. D’Alema il più grezzo e arrogante”. Eccoli, “i piazzisti d’Arabia”: altro che rottamazione e discontinuità, siamo in piena continuità. Sorse un conflitto tra la linea di d’Alema che difendeva (come Craxi) il primato della politica e la linea giustizialista di Violante. Al pool di Mani pulite, commenta Cirillo “mancò il coraggio di sedersi sulle macerie di un sistema dove anche i magistrati avevano giocato la loro partita sporca”. Chi non era di sinistra è finito in galera per traffico d’influenza, collusioni, voti di scambio e via dicendo. A sinistra, invece l’hanno fatta franca quasi tutti.
Il libro si conclude senza happy end, anzi: l’Italia del Malaffare non fu affatto sgominata con Mani Pulite ma prosegue ancora, con la sinistra ancora coprotagonista. “Il sistema della tangenti si spezza ma non crolla” dopo le inchieste giudiziarie. Molti gli episodi recenti citati.
Perché ho ripreso questa ricostruzione di Tangentopoli? Perché per capire il presente dobbiamo capire meglio il passato che lo ha prodotto. E per capire le tensioni odierne tra politica e magistratura di oggi dobbiamo tornare alle tensioni di ieri e ai moventi, che non sono cambiati. Serve conoscere quella storia per capire il ruolo di potere della sinistra anche oggi, nell’epoca Meloni. Tangentopoli non fu una guerra tra i corrotti e gli onesti, tra guardie e ladri, ma un conflitto di poteri, anzi una contesa per la supremazia in Italia; quasi un derby. Poi, certo, ci sono da distinguere gradi e livelli diversi di corruzione e responsabilità.
Faccio notare che la sinistra nel nostro Paese ha giocato su due tavoli, anzi tra un tavolo e sottobanco: da un verso partecipava alla spartizione del potere e dei vantaggi derivati dal malaffare e dall’altro portava all’incasso la sua posizione di partito moralizzatore e anti-corrotti, ergendosi al ruolo di giudice in un processo in cui avrebbe dovuto essere coimputata. La vera accusa da rivolgere sul piano storico e politico alla sinistra non è dunque solo di aver partecipato al malaffare, ma di aver giocato due parti in commedia, ossia una partita doppia, ambigua, succhiando sia i benefici pratici del malaffare che i benefici etici contro il malaffare. Con una mano rubava e con l’altra puntava l’indice accusatore.
La Magistratura e i suoi alleati in alto loco non hanno combattuto una battaglia nel nome della giustizia contro l’illegalità, ma una guerra per l’egemonia giudiziaria, interna al Palazzo. Lo confermò Giovanni Pellegrino, esponente dei dem e all’epoca presidente della commissione autorizzazioni a procedere e poi della commissione stragi. La molla di Mani pulite, dichiarò, fu il primato del potere giudiziario, “in contrasto col disegno costituzionale”. E su Tangentopoli: “Apparentemente il mio partito non prendeva soldi, però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa con una percentuale dei lavori dal 10 al 15%”.
Non so se davvero, come sostiene Cirillo, sia ancora vivo come allora il malaffare ma so che anche oggi non siamo dotati di anticorpi per fronteggiare il malaffare: ossia forti motivazioni politiche e ideali, rigorosi criteri di selezione e rotazione della classe dirigente, basati sulla capacità e sulla qualità e non sull’affiliazione servile; la lungimiranza di chi sa vedere oltre il “particulare” e oltre il presente, alla storia e a quel che lasciamo in eredità a chi verrà dopo. Senza questi tre fattori, la politica è ancora esposta al malaffare, a destra come a sinistra.
Marcello Veneziani.
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Sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia come di una regione italiana senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell’italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell’italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando ragioniamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l’Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro Paese.
Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo nei confronti delle minoranze slovena e croata (…), addirittura da prima dell’avvento al potere? Della brutale snazionalizzazione (proibizione di uso della propria lingua, chiusura delle scuole, chiusura delle amministrazioni locali, boicottaggio nell’esercizio del culto, imposizione di cognomi italianizzati e cambiamento di toponimi) come parte di un progetto di distruzione dell’identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica? I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero (…) Che cosa sanno dell’occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al Regno d’Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale Adriatico, sullo sfondo della Risiera di San Sabba e degli impiccati di via Ghega?
Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell’arco di un ventennio con l’esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della Seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici del l’odio, delle foibe, dell’esodo dall’Istria. Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. (…) Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell’esodo per rinfocolare l’odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l’unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda.
I profughi dall’Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell’Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci esorta Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l’esilio. L’Istria e le memorie divise d’Europa, Donzelli, 2005) bi sogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell’Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall’Istria, ma l’Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento, di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari – centinaia di migliaia – che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione? La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte ri mozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d’Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.
> Enzo Collotti* <
dall’introduzione al libro “Dossier Foibe” di Giacomo Scotti, Manni editori, 2022.
*Enzo Collotti (1929-2021) è stato uno storico italiano. Ha insegnato Storia contemporanea all'Università degli Studi di Firenze, all'Università di Bologna e all'università di Trieste, ed è considerato uno dei più importanti storici italiani ed europei della Resistenza italiana e nello studio del nazismo.
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No, non è stata una scelta politica, sei solo vigliacca.
La dx italiana, dal Circeo ad oggi, si connota con la vigliaccheria, la fuga, l'omertosa difesa degli interessi di parte.
L'odierno velo della lotta ai poveri, il ddl sicurezza, il decreto raveparty etc., sono solo la cortina fumogena delle manifeste incapacità, alle quali, si aggiungono, come in premessa accennato, la fuga, ergo, la scappatoia del politico codardo e vigliacco.
Non partecipare all'anniversario della stage nazifascista di Marzabotto (nazi esecutori, fasci complici), inviando per il governo la comparsa del ministro degli esteri, a suo agio nella parte del convitato di pietra, è la palese dimostrazione delle substrato culturale (ove ce ne fosse bisogno) della presidente del consiglio, che, spocchiosa, derubrica a fastidiosa, tale ed altre ricorrenze, frutto della violenza nazifascista.
Se ella (volutamente minuscolo), soggiace ai piu miserabili istinti, dimenticando il ruolo che le conferisce la Costituzione, valutando come estranei alla propria storia personale, i lutti e le violenze del ventennio, ahinoi, la responsabilità è soltanto nostra, nell'immediato dopoguerra, perché in Italia non si è mai avuto un processo di Norimberga.
L'Italia, non ha mai fatto i conti con il proprio passato, preferendo l'omertà.
A breve, per tacitare malumori e rumors, il messaggio patriottico della p.d.c., di excusatio non petita, verrà trasmesso in prima serata.
Le elezioni regionali incombono
P.s. Acca Larentia è stata una porcata

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“ Cambiano le generazioni e i figli assomigliano ai loro tempi piú che ai loro padri, come scrisse Marc Bloch. La prospettiva delle nuove generazioni si è fatta diversa da quella dei loro padri, il mondo umano è cambiato, gli spazi e i tempi nuovi sono diversi dagli antichi, quelle che sembravano conquiste ferme e indiscutibili devono di nuovo sottoporsi alla prova della nuova configurazione del mondo. E chi profetizzava la fine della storia è stato presto disingannato. Quello che invece si è fatto sempre piú evidente è un processo che potremmo definire di distruzione del passato. La definizione non ci appartiene. È stato Eric Hobsbawm nel suo celebre Secolo breve a individuare questo fenomeno con parole degne di attenta lettura: «La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni piú tipici e insieme piú strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.»
Da quando sono state scritte queste parole il fenomeno si è fatto sempre piú evidente, tanto da suscitare diversi allarmi dando vita a diagnosi di vario genere. Oggi si va dicendo che una nuova malattia sociale incomberebbe su di noi: quella della memoria. Inevitabile pensare per analogia alla patologia individuale dell'Alzheimer. Ma mentre questa suscita angoscia al solo evocarla, l’offuscarsi della coscienza e della conoscenza storica nella società sembra passare quasi inavvertito. Eppure è un fenomeno diffuso in molti ambienti e in diverse fasce sociali, minaccia specialmente le nuove generazioni e il mondo della scuola e devasta quello della politica. La cosa non riguarda solo l’Italia: affligge anche altri Paesi di un’Europa formalmente unita eppure resa da questa malattia sempre piú fragile e spesso irriconoscibile. È l’Europa in primo luogo colei che appare oggi nel mondo come smarrita e dimentica della sua grande eredità culturale. Da molti anni la delusione per la costruzione europea nasce soprattutto davanti alla perdita di memoria di una grande realtà risorta dalle macerie e dalle ceneri di milioni di vittime col proposito di restaurare il ricordo e il rispetto dei suoi valori ideali ma che sembra tornare sempre piú indietro: tanto indietro da scambiare per valori europei quelli finanziari di borse e banche, col risultato di emarginare e minacciare di esclusione la Grecia e lasciare spesso l’Italia sola davanti al dovere di accoglienza e aiuto per il popolo dei migranti. C’è voluto il ritorno del flagello biblico del Covid-19 o altrimenti detto coronavirus perché voci isolate richiamassero alla consapevolezza dell'esistenza di valori superiori a quelli della finanza e della produzione di ricchezza: per esempio, quello della tutela della semplice e nuda vita umana, la si ritenga dono divino o frutto del caso. Oggi la minaccia di una pandemia globale costringe credenti e no, cultori del Vangelo o dei valori illuministici, a incontrarsi e riconoscersi d’accordo sulla vera scala dei valori. “
Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Giulio Einaudi editore (collana Vele); prima edizione: 19 gennaio 2021. [Libro elettronico]
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Intervistatore: "Quando dici 'infettato dal socialismo', la parola 'infettato' fa pensare… voglio dire, io non sono socialista, ma credo che alcune idee del socialismo non siano cattive, mentre tu ne parli in un modo dispregiativo. Non voglio stare a sentire una persona che parla in modo così sprezzante di qualcuno che non la pensa come lui".
Javier Milei: "Non me ne frega. Il socialismo è una stronzata. Quando è applicato nella sua forma più pura, è un fallimento economico, sociale, culturale. Ha portato via 150 milioni di vite umane. Quindi, quando un socialista, un comunista o qualunque sinistroide ha da ridire, io mi ci pulisco il culo".
via https://x.com/IstLiberale/status/1853038723618771284
Milei è lo Sgarbi della politica, quando Sgarbi era ancora ne' su cenci. Nel senso che è incontestabile, inattaccabile e pure simpatico.
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La Ministra del Turismo Daniela Santanchè inaugura la XXVIII BMT a Napoli
📅 Napoli, 13 marzo 2025 – La Borsa Mediterranea del Turismo (BMT) ha aperto ufficialmente le sue porte presso la Mostra d’Oltremare di Napoli con un evento inaugurale di grande rilievo. A tagliare il nastro della XXVIII edizioneè stata la Ministra del Turismo Daniela Santanchè, che ha sottolineato l’importanza di questa fiera per tutto il comparto turistico italiano. “La BMT è fondamentale per…
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Cultura. 🔵 Palazzo “Giustino Fortunato” monumento nazionale per valorizzare nostro patrimonio
“Con il Disegno di Legge in discussione oggi e che prevede la dichiarazione di monumento nazionale del Palazzo ‘Giustino Fortunato’ in Rionero in Vulture, nella mia Basilicata, non stiamo riconoscendo solamente il valore architettonico di una delle costruzioni settecentesche più rappresentative del Mezzogiorno d’Italia ma stiamo mantenendo viva la memoria del nostro passato per consentire a tutte le generazioni di comprendere chi siamo e da dove veniamo”. Così il senatore di Fratelli d’Italia Gianni Rosa, intervenendo in Aula sul ddl per dichiarare monumento nazionale il Palazzo ‘Giustino Fortunato’ di Rionero in Vulture. “Il nostro immenso patrimonio culturale - prosegue - deve essere tutelato e valorizzato, dunque, non solo per il valore culturale in sé, ma per il suo profondo valore sociale quale memoria storica collettiva”. Il parlamentare di FdI quindi rileva che “secondo il report ‘Io sono cultura 2024’ della Fondazione Symbola, ogni euro prodotto dalla cultura in Italia ne genera 1,8 in altri settori, come quello turistico e dei trasporti”. Infine, Rosa ricorda “l’esempio che Fortunato ci ha lasciato come politico; egli fu, infatti, deputato e senatore. Uno dei più grandi politici della sua epoca, conosciuto sicuramente per essere l’iniziatore del meridionalismo nazionale, che egli definiva, con sguardo unitario e nazionale - conclude Rosa - non un problema del Sud solamente ma una questione per l’Italia intera”.
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Il liberalismo, unica ideologia dogmatica rimasta, rivela la sua essenza proprio nella gestione del fenomeno migratorio. Ma andiamo per gradi e dall’inizio: il liberalismo nasce come ideologia borghese e mercantile per tutelare gli interessi della nascente borghesia compradora che liberatasi di Trono e Altare, trova la sua legittimazione culturale e politica nell’utilitarismo di Locke, Hume e altri , basandosi soprattutto sulle teorie di Hobbes dove l’assetto sociale e statuale è determinato dal ” contratto sociale ” tra i componenti e in quelle di Montesquieu sulla divisione dei poteri , dove prevale però chi detiene i mezzi economici.
Il liberalismo infatti concepisce solo diritti del tutto ” astratti” e non collegati in alcun modo alla concretezza materiale tranne quello alla proprietà privata ( anche questo soggetto alle differenze di censo) e alla libera impresa. Ad esempio il CD diritto al lavoro e’ il classico esempio di diritto che in realtà è esercitabile a condizione che la dinamica domanda/ offerta corrisponda alle necessità del ” mercato del lavoro ” ergo alle necessità del Capitale, altrimenti è un diritto inesigibile da parte del titolare del diritto stesso. Potremmo citare altri esempi di diritti totalmente svincolati dalla realtà e dalla dinamica materiale ( libertà di espressione, alla salute, alla sicurezza…) ed è proprio per questo che ad esempio in Italia dal 1948 si parla di Costituzione formale, in pratica mai attuata , e Costituzione reale, cioè quella parte che per prassi necessita per il funzionamento dell’economia di mercato.
Posto questo dato , nel caso del fenomeno migrazione, controllata o meno, assistiamo ad un classico dello Stato liberale. Cercare di agevolare l’ingresso di un esercito industriale di riserva , in modo più o meno surrettizio, cercando al contempo di introdurre l’idea culturale che la persona, come le merci, è spazialmente e temporalmente ” fungibile” .Ergo un congolese ad Oslo o un norvegese in Congo possono ” integrarsi” a vicenda perché sono persone che , in teoria , non soffrono alcuna influenza identitaria o ambientale.
Ora il marxismo , che lo ricordiamo nasce come liberalismo ” rovesciato”, nella sua corrente rappresentata da Adorno , Horkheimer ma anche dalla corrente francese che fa capo a Guattari , pone invece l’uomo come prodotto delle condizioni sociali, ambientali e della società in cui vive. Si arriva a dire , ed è per certi versi assolutamente inconfutabile, che l’uomo è determinato dalla famiglia, dal clima e dal paesaggio in cui vive , tralasciando usi, costumi, credenze religiose etc. Questi fattori determinano non solo chi li vive ma anche le generazioni successive che dovessero emigrare altrove, come dimostrano anche gli italiani che da generazioni vivono in altri paesi che mantengono uno stretto legame, magari spesso folkloristico, con le proprie origini.
Quindi l’origine come il DNA di ogni persona è ineliminabile, a onta dei” costruttori di diritti a tavolino” che continuano a parlare di inesistenti ” diritti universali” che si concretizzano solo nel ” diritto del capitale ” di spostare manodopera da un capo all’ altro del pianeta. I tentativi quindi di eliminare i dati identitari e qualitativi sia degli europei che degli immigrati, in nome di un astrattismo materiale che vorrebbe solo ” replicanti” consumatori globali o ” cittadini del mondo” non è logico, non è razionale e soprattutto genera violenza e problemi psichici che ben vediamo nella cronaca nera quotidiana anche e soprattutto con gli immigrati di terza generazione. I tentativi surrettizi tipo lo ” ius scholae” sono semplicemente risibili , ancora una volta non basta studiare Dante per sentirsi europei, anche perché primo non si capisce perché un africano dovrebbe sentirsi ” europeo” e viceversa, ma soprattutto perché la cd integrazione non può avvenire su queste basi di astrattezza puramente mercantile che non permette un effettivo dialogo tra culture e identità, ma al contrario lo mortifica e lo soffoca in nome del puro profitto di pochi.
-Kulturaeuropa
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Questo uomo no, #139 - L'essenzialistə
Si chiama essenzialismo quell'atteggiamento del pensiero che ritiene esistano le "essenze" delle cose e dei fenomeni, qualcosa che le caratterizza come tali e che è sempre superiore a qualsiasi esistenza concreta. Sono essenzialistə quelle persone che credono che esistano caratteristiche "essenziali" dell'essere uomo, dell'essere donna, di qualsiasi altra caratteristica umana possibile.
L'essenzialismo è quindi un atteggiamento tipicamente fascista, anche se professato da compagnə di ogni tipo, perché si basa su una definizione arbitraria (una qualsiasi, decisa dall'essenzialistə) che viene applicata per decidere chi è "giusto" e chi è "sbagliato", a seconda che abbia o no "l'essenza".
Gli esempi di questa forma di fascismo sono quindi innumerevoli, e spesso contraddittori. Si basano sull'avere o no certi organi sessuali, sull'usarli più o meno e in quale modo; sull'avere una determinata disponibilità economica; sull'aver fatto o no certe cose, avere letto o no certi libri, avere conosciuto o no certe persone; avere o no una determinata fede, sia essa politica, religiosa, sportiva, culturale; nascere o vivere in un determinato luogo, avere la pelle di un dato colore, parlare una o più lingue, e così via.
Per gli MRA, per le TERF, per suprematistə, razzistə e fascistə di ogni tipo, le differenze tra esseri umani si basano su caratteri "interni", stabili e immodificabili, delle singole persone. Quindi l'essenzialistə può solo ammettere l'esistenza di persone come se stessə, mentre qualsiasi altra diversità è sbagliata, traditrice, mistificatrice, infida o, come è stato detto a me, "laido" (dice il vocabolario: ripugnante per il sudiciume o la deformità, anche morale). Ed essendo un atteggiamento tipicamente fascista, è vile: raramente lo sentirete professato da qualcunə senza un richiamo a teorie, scienze, "natura" o altre forze superiori ritenute inattaccabili e insindacabili.
L'essenzialistə è quindi una persona che rifiuta la diversità umana, sotto uno o più aspetti. Questo uomo no, ma magari esistessero solo essenzialisti uomini.
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