#Storia del XIX secolo
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“ La democrazia non si identifica con la sottomissione della minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l'organizzazione della violenza sistematicamente esercitata da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro l'altra. Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello Stato, cioè di ogni violenza organizzata e sistematica, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Noi non auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non venga applicato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, abbiamo la convinzione che esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini, alla sottomissione di un uomo a un altro, di una parte della popolazione a un'altra, perché gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale senza violenza e senza sottomissione. Per mettere in risalto quest'elemento di consuetudine, Engels parla della nuova generazione, « cresciuta in condizioni sociali nuove, libere » e che sarà « in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il ciarpame statale », ogni forma di Stato, compresa la repubblica democratica. Per chiarire questo punto dobbiamo analizzare le basi economiche dell'estinzione dello Stato. “
V. I. Lenin, La Comune di Parigi, a cura di Enzo Santarelli, Editori Riuniti (collana Le idee n° 59), 1971¹; p. 131. [Corsivi dell’autore]
NOTA: Il brano proviene in origine da Stato e rivoluzione, opuscolo di Lenin scritto nell'agosto-settembre del 1917 e pubblicato in Italia a cura di Valentino Gerratana nel 1966 sempre per gli Editori Riuniti.
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Cesare Lombroso: Uno sguardo sul male attraverso l’opera di Paolo Mazzarello
La presentazione del libro “Il darwinista infedele” offre un nuovo punto di vista su uno dei più controversi scienziati italiani.
La presentazione del libro “Il darwinista infedele” offre un nuovo punto di vista su uno dei più controversi scienziati italiani. Il 24 ottobre 2024, presso la Biblioteca comunale “Roberto Allegri” di Serravalle Scrivia, verrà presentato il nuovo libro di Paolo Mazzarello, “Il darwinista infedele. Lombroso e l’evoluzione”. L’evento, organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di…
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"Mongiana” è il secondo estratto dal nuovo disco di inediti pubblicato il 10 gennaio 2025.
“Fra le tante storie che il mio sud mi ha raccontato, quella di Mongiana è forse la più clamorosa, perché va a ribaltare un'immagine consolidata da decenni e da secoli, l'immagine di una Calabria arroccata nelle sue antiche tradizioni e incapace da sempre di interpretare e affrontare la modernità. Eppure, le splendide case operaie costruite a metà Ottocento sono lì e ci rimandano alla presenza di 2800 operai e tecnici che curavano la produzione siderurgica della più grande fabbrica dell'Italia preunitaria, sfornando l'acciaio utilizzato per il ponte sul Garigliano e per le rotaie della ferrovia che da Napoli saliva a Bologna. Con l'Unità quella fabbrica fu dismessa e gli altoforni furono trasportati a Terni e a Lumezzane. A parte la dissennata dismissione, mi ha scosso la totale rimozione del nome Mongiana da tutti i libri di storia, da tutti i pensieri, da tutti i ricordi. Al punto che oggi quel racconto appare come un sogno lontanissimo dalla realtà. E allora mi viene incontro la realtà della musica popolare calabrese, per provare a infrangere con il suo ritmo quel tabù impenetrabile, quella storia incredibile.”
Il brano racconta la storia delle Reali Ferriere di Mongiana, una delle fabbriche siderurgiche più importanti del XIX secolo, la cui chiusura con l’Unità d’Italia segnò un colpo durissimo per la Calabria. Un evento che portò una "dissociazione" tra la storia e la memoria collettiva: il nome di Mongiana venne cancellato dai libri, dai racconti e dalla coscienza comune, come se quella pagina fosse stata volontariamente rimossa. Eugenio Bennato dà voce a questa dimenticanza, cercando di riaccendere un ricordo soffocato e sfidando il silenzio che ha avvolto la vicenda: invita a riflettere su "che fine ha fatto il nome di Mongiana", tentando di recuperare una memoria storica negata e utilizzando il ritmo e le tradizioni della musica popolare calabrese come strumenti di riscatto e di consapevolezza.
Testo e musica: Eugenio Bennato
Produzione musicale: ERASMO PETRINGA
etichetta: Sponda Sud
Ufficio stampa BIG TIME - Ufficio Stampa per la musica
Archi: OSB - Orchestra Sinfonica Brutia
direttore: M° Francesco Perri
primo violino: Manuel Arlìa
cori: Sonia Totaro Erasmo Petringa Laura Cuomo Letizia D'Angelo Edoardo Cartolano Le Voci del Sud Francesca Migliore
video artwork: Giuseppe Sottile
mix&mastering: Massimiliano Pone - Godfather Studio
Regione Calabria
#eugenio bennato#mongiana#calabria#musica#musica italiana#italian music#south italy#southern italy#italy#italia#europe#new music#2025#2024#folk music#folk
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Qualche notizia sull’Ucraina
Tra le menzogne che vengono ripetute come se fossero verità ovvie, vi è quella che la Russia avrebbe invaso uno stato sovrano indipendente, senza precisare in alcun modo che quel cosiddetto stato indipendente non soltanto era tale solo dal 1990, ma era stato fin allora per secoli parte integrante prima dell’impero russo (dal 1764, ma già fra il XV e il XVI secolo era incluso del Granducato di Mosca) e poi della Russia sovietica. Ucraino era del resto forse il più grande degli scrittori in lingua russa del XIX secolo, Gogol’, che, nelle Veglie della fattoria di Dikanka, ha meravigliosamente descritto il paesaggio della regione che si chiamava allora «Piccola Russia» e i costumi della gente che vi viveva. Per la precisione occorre aggiungere che, fino alla fine della Prima guerra mondiale, una parte rilevante del territorio che ora chiamiamo Ucraina era, col nome di Galizia, la provincia più lontana dell’impero austro-ungarico (in una città ucraina, Brody, nacque Joseph Roth, uno dei maggiori scrittori in lingua tedesca del novecento).
È importante non dimenticare che i confini di quella che chiamiamo dal 1990 Repubblica Ucraina coincidono esattamente con quelli della Repubblica socialista sovietica Ucraina e non hanno alcun possibile fondamento anteriore nelle continue vicende di spartizioni fra polacchi, russi, austriaci e ottomani che hanno avuto luogo nella regione. Per quanto possa apparire paradossale, un’identità dello stato ucraino esiste dunque soltanto grazie alla Repubblica socialista sovietica di cui ha preso il posto. Quanto alla popolazione che viveva in quel territorio, essa era un insieme variegato costituito, oltre che dai discendenti dei cosacchi, che vi erano migrati in massa nel XV secolo, da polacchi, russi, ebrei (in alcune città, fino allo sterminio, più di metà della popolazione), zingari, rumeni, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata).
È perfettamente legittimo immaginare che, agli occhi di un russo, la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina non risulti pertanto troppo diversa dall’eventuale dichiarazione di indipendenza della Sicilia per un italiano (non si tratta di un’ipotesi peregrina, dal momento che non si dovrebbe dimenticare che nel 1945 il Movimento per l’indipendenza della Sicilia, capeggiato da Finocchiaro Aprile, difese l’indipendenza dell’isola ingaggiando scontri con i carabinieri che fecero decine di morti). Per non pensare a quello che accadrebbe se uno stato americano si dichiarasse indipendente dagli Stati Uniti (ai quali appartiene da molto meno tempo di quanto l’Ucraina fosse parte della Russia) e stringesse alleanza con la Russia.
Quanto alla legittimità democratica dell’attuale repubblica Ucraina, è a tutti noto che i trent’anni della sua storia sono stati segnati da elezioni invalidate per brogli, guerre civili e colpi di stato più o meno nascosti, al punto che, nel marzo del 2016, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ebbe a dichiarare che ci sarebbero voluti almeno 25 anni perché l’Ucraina potesse soddisfare i requisiti di legittimità che avrebbero permesso il suo ingresso nell’Unione.
Giorgio Agamben, 2 agosto 2024
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🏛Castello di Neuschwanstein costruito alla fine del XIX secolo.
È situato nella Baviera sud-occidentale vicino Füssen, nella città di Schwangau, di fronte al castello Hohenschwangau.
Il nome tedesco Neuschwanstein può essere tradotto in italiano come pietra del Nuovo Cigno.
Commissionato dal re Ludovico II di Baviera come ritiro personale e omaggio al genio del musicista Richard Wagner che amava particolarmente, Ludovico pagò la costruzione del palazzo con fondi propri senza accedere alle casse dello stato.
Il re amava rimanere isolato dal mondo e questo luogo era diventato per lui un rifugio personale, ma dopo la sua morte nel 1886 fu immediatamente aperto al pubblico, desideroso di visitare quello che era stato lodato come un progetto fantasioso.
#castelli #storia #architettura
🏛Neuschwanstein Castle built at the end of the 19th century.
It is located in southwestern Bavaria near Füssen, in the town of Schwangau, opposite Hohenschwangau Castle.
The German name Neuschwanstein can be translated into English as New Swan stone.
Commissioned by King Ludwig II of Bavaria as a personal retreat and homage to the genius of the musician Richard Wagner whom he particularly loved, Ludwig paid for the construction of the palace with his own funds without accessing state coffers.
The king loved to remain isolated from the world and this place had become a personal refuge for him, but after his death in 1886 it was immediately opened to the public, eager to visit what had been praised as an imaginative project.
#castles #history #architecture
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L’idea che le foibe siano state una “reazione” al fascismo ovvero che non siano state una pulizia etnica è un’ipotesi tanto radicata in certi ambienti politici quanto erronea. La verità è che gli invasori jugoslavi si accanirono contro chiunque potesse ostacolare la loro volontà d’annessione della Venezia Giulia, colpendo indistintamente gli italiani, fossero fascisti, anti-fascisti, (persino comunisti), politici impegnati e funzionari o militari ecc. Non è stata una persecuzione su base ideologica od una vendetta per atti di guerra, ma l’esecuzione di un piano di pulizia etnica contro gli italiani.
Molte sono le prove di questo, come la lunga durata della guerra slava agli italiani iniziata già nella metà del secolo XIX e proseguita ininterrottamente sino alla prima guerra mondiale, alla cacciata di moltissimi italiani dalla Dalmazia nel periodo fra le due guerre ed al terrorismo slavo in Venezia Giulia, conclusasi infine con le foibe. Altra prova è il fatto che i fascisti furono soltanto una piccola minoranza fra coloro che vennero assassinati dagli invasori e che molte fra le vittime erano anzi apertamente antifasciste.
Un intellettuale antifascista di Grado, Biagio Marin, rappresentante del Partito Liberale nel C.L.N., affermò quanto segue sul comportamento degli invasori slavi:
«I fascisti più noti non vennero molestati e se arrestati furono rilasciati mentre invece tutti i possibili poli di aggregazione antifascista ma di sentimenti italiani o autonomisti (come a Fiume) furono decapitati in modo così rapido e capillare da escludere ogni possibile casualità»
Il professor Elio Apih, nella sua opera “Trieste. La storia politica e sociale’’, riporta un brano proveniente dal documento FO 371/48953, r. 1085. Si tratta di un documento ufficiale inglese, che fu raccolto dal Servizio Segreto inglese nell’immediato dopoguerra, e poi trasmesso al Ministero degli Esteri. Questo documento fu coperto da segreto di Stato per oltre 40 anni, prima di essere reso pubblico. Fra le altre informazioni, esso recita quanto segue:
«È stato stabilito, al di là ogni dubbio, che durante l’occupazione jugoslava di Trieste e del territorio, molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali. A Trieste tutti i membri della Questura, della Pubblica Sicurezza, della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, della Guardia Civica e combattenti patrioti del CLN che sono stati presi dagli jugoslavi, sono stati arrestati e gettati nelle foibe.»
Questi massacri di cui furono vittime i membri del CLN triestino, oltre al personale di militari italiani, sono oltretutto confermati da altri documenti ufficiali, questa volta provenienti dall’Archivio di Stato della Slovenia.
Oltre che a Trieste, uccisioni di numerosi militari italiani, Carabinieri e Guardie di Finanza, avvennero anche in altre località invase dagli slavi.
I titini talora colpirono con maggior determinazione gli antifascisti italiani, piuttosto che noti esponenti fascisti, poiché questi slavi intendevano spacciare l’idea del carattere “fascista” di tutti gli italiani, per precise finalità politiche legate alle conferenze di pace: gli antifascisti della Venezia Giulia andavano quindi fisicamente distrutti.
Le avanguardie jugoslave, giunte a Trieste dopo che i tedeschi erano già stato costretti a chiudersi in pochi capisaldi, ed in cui rimasero sino all’arrivo dei neozelandesi, si preoccuparono non di “combattere i nazi-fascisti”, bensì di disarmare i membri del CLN italiano, ed anzi di arrestarne un buon numero. Furono arrestate migliaia di persone dai membri della “Difesa popolare” o “Guardia del popolo”, attraverso liste di proscrizione preparate in precedenza. Altre ancora furono arrestate perché avevano affermato l’italianità di Trieste e della Venezia Giulia, laddove i titini ne sostenevano quella slava (“Trst je nas”, come dicono ancora oggi i nazionalisti sloveni).
Gli arresti compiuti dagli jugoslavi, ed i massacri, colpirono infatti tutti coloro che erano ritenuti potersi opporre in qualche modo alla pretese annessionistiche dei titini, sovente anti-fascisti, essendo i fascisti, se non morti, comunque ormai del tutto privi di potere. Già nel settembre del 1944 la Federazione triestina del Partito Comunista Italiano era stata falcidiata da una purga interna, con l’eliminazione (la “scomparsa”), fra gli altri, di Luigi Frausin e Vincenzo Gigante, che avevano sempre sostenuto la loro totale opposizione alle pretese jugoslave di annessione della regione. Tale purga interna al PCI stesso si inquadra nell’ostilità delle sezioni del PCI della Venezia Giulia all’idea di incorporazione della regione alla Jugoslavia, di cui si è scritto in precedenza, e fu decisa, in modo diretto od indiretto, dal PCJ, al fine di eliminare chi si opponeva ai suoi progetti.
Gli arresti e le uccisioni di membri del CLN di Trieste e del PCI triestino stesso, che si affiancano alla strage di Porzus dei partigiani bianchi della “Osoppo”, dimostrano a sufficienza come i presunti “liberatori” jugoslavi agissero nei confronti degli anti-fascisti stessi, persino quando comunisti, se ritenuti possibili ostacoli alla slavizzazione della Venezia Giulia.
Fra gli infoibati vi fu anche Angelo Adam, che era un ebreo antifascista. Italiano di Fiume, essendo di religione ebraica era stato deportato a Dachau il 2 dicembre 1943. Il suo numero di matricola era il 59001. Alla fine della guerra era ritornato alla città natale, trovandola però occupata dai partigiani di Tito e con la comunità ebraica praticamente scomparsa. Adam aveva tentato di mettersi in contatto con il CLN dell’Alta Italia e con i partigiani locali, senza ottenere nulla. I titini lo sequestrarono assieme alla moglie, Ernesta Stefancich: sparirono per sempre. Quando la figlia Zulema, minorenne, cercò di avere notizie sulla sorte dei genitori, fu fatta sparire anche lei.
Il carattere ideologico e falsificante della teoria di una “liberazione” della Venezia Giulia dai “nazi-fascisti”, mostrando come in realtà gli jugoslavo:
1) fossero invisi alla grande maggioranza della popolazione, inclusa una parte quella slava, e persino ad alcuni comunisti della Venezia Giulia
2) oltre ai notori massacri delle foibe ed alla cacciata di centinaia di migliaia di italiani, i titini si erano dedicati con particolare accanimento ad uccidere gli stessi anti-fascisti italiani del CLN, e persino a praticare purghe contro i comunisti del PCI
L’ostilità dei titini nei confronti degli stessi anti-fascisti locali era parte del loro programma di conquista della regione, volto a presentare all’estero un’immagine artefatta della popolazione italiana, costituita interamente da “fascisti” e quindi immeritevole di considerazione nelle sue richieste.
Successivamente la falsa ipotesi della “ritorsione antifascista” è stata sostenuta e propagandata proprio per negare il carattere evidente di pulizia etnica genocida delle foibe e dell’esodo ed al tempo stesso per tentare di darvi una qualche giustificazione, sebbene di natura ideologica.
In realtà l'obiettivo di cancellare le comunità italiane nell'Adriatico orientale era stato pubblicamente enunciato sin dalla metà del secolo XIX da parte dei nazionalisti slavi.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
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The Caffè Florian opened in St Mark's Square, where it still stands today, on 29 December 1720. Important people have passed through this café, such as: Lord Byron, Vivaldi, Goethe, Rousseau, Stravinski... y también Casanova.
El Caffè Florian abrió sus puertas en la Plaza de San Marcos, donde sigue permaneciendo, el 29 de diciembre de 1720. Por este café han pasado personajes importantes, como: Lord Byron, Vivaldi, Goethe, Rousseau, Stravinski... y también Casanova.
Il Caffè Florian aprì in Piazza San Marco, dove si trova tuttora, il 29 dicembre 1720. In questo caffè sono passati personaggi importanti, come: Lord Byron, Vivaldi, Goethe, Rousseau, Stravinski… y también Casanova
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(English / Español / Italiano)
The Europe's oldest Café was opened on 29 December 1720 by Floriano Francesconi and was called "Alla Venezia Trionfante" (To Triumphant Venice), although the clientele later renamed it "Caffè Florian" in honour of its owner.
While the finest wines and coffees from the Orient, Malaysia, Cyprus and Greece were served, history was unfolding outside. Its windows witnessed the splendour and fall of the Serenissima Republic of Venice and the secret conspiracies against French and then Austrian rule. It is divided into small rooms connected by a corridor and has a huge terrace on St. Mark's Square for sunny days. The rooms are decorated in different styles;
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El Café más antiguo de Europa fue inaugurado el 29 de diciembre de 1720 por Floriano Francesconi y se llamaba “Alla Venezia Trionfante” (A la triunfante Venecia), aunque la clientela posteriormente lo rebautizó como “Caffè Florian” en honor a su dueño.
Mientras se servían los mejores vinos y cafés de Oriente, Malasia, Chipre y Grecia, la historia se desarrollaba afuera. Sus ventanas presenciaron el esplendor y la caída de la República Serenissima de Venecia y las conspiraciones secretas contra el dominio francés y luego el austriaco. Se encuentra distribuido en pequeñas salas unidas todos ellas, por un corredor y además, tiene una enorme terraza en la plaza San Marcos para los días soleados. Las salas están decoradas en distintos estilos.
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Il Caffè più antico d'Europa fu aperto il 29 dicembre 1720 da Floriano Francesconi e si chiamava "Alla Venezia Trionfante", anche se poi la clientela lo ribattezzò "Caffè Florian" in onore del suo proprietario.
Mentre venivano serviti i migliori vini e caffè provenienti dall'Oriente, dalla Malesia, da Cipro e dalla Grecia, all'esterno si svolgeva la storia: le sue finestre sono state testimoni dello splendore e della caduta della Serenissima Repubblica di Venezia e delle cospirazioni segrete contro il dominio francese e poi austriaco. È diviso in piccole sale collegate da un corridoio e dispone di un'enorme terrazza su Piazza San Marco per le giornate di sole. Le sale sono arredate in stili diversi.
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The Senate Hall. This is where the Venice Biennale was born.
La Sala del Senado. En ella nació la Bienal de Venecia.
La Sala del Senato. Qui è nata la Biennale di Venezia.
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The Chinese room, the oldest and one of the two initial rooms.
La Sala China, la más antigua y una de las dos iniciales.
La Sala Cinese, la più antica e una delle due sale iniziali.
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The Sala Orientale, added in 1750, although the present decoration dates from the 19th century.
La Sala Orientale, agregada en 1750, aunque la decoración actual es de s.XIX.
La Sala Orientale, aggiunta nel 1750, anche se la decorazione attuale risale al XIX secolo.
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Hall of the Seasons, decorated with floral motifs and women in long dresses symbolising the seasons.
Sala de las Estaciones, decorada con motivos florales y mujeres de largos vestidos que simbolizan las estaciones.
Sala delle Stagioni, decorata con motivi floreali e donne in abiti lunghi che simboleggiano le stagioni.
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The Hall of Illustrious Men, ten illustrious Venetians, such as Titian and Marco Polo, look down on us from the wall.
La Sala de los Hombres Ilustres, diez venecianos ilustres nos observan desde la pared, como Tiziano o Marco Polo.
La Sala degli Uomini Illustri, dieci illustri veneziani, come Tiziano e Marco Polo, ci guardano dal muro.
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The Liberty room, added, in 1920, with a more modern atmosphere, decorated with mirrors with painted floral motifs and Murano glass chandeliers.
La Sala de la Liberty, agregada, en 1920, con un ambiente más moderno, decorada con espejos con motivos florales pintados y lámparas de cristal de Murano.
Nel 1920 è stata aggiunta la Sala Liberty, con un'atmosfera più moderna, decorata con specchi con motivi floreali dipinti e lampadari in vetro di Murano.
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The Caffè Florian in a painting by Canaletto in the National Gallery in London.
The Florian was the first place that allowed women in Venice, which explains why Casanova chose it for the hunt for his conquests.
El Florian fue el primer local que permitió la entrada a mujeres en Venecia, lo que explica porqué Casanova lo eligió para la caza de sus conquistas.
Il Florian fu il primo locale che permise alle donne di entrare a Venezia, il che spiega perché Casanova lo scelse per la caccia alle sue conquiste.
Fuente: texto extracto de venecisima.com
#venezia#venice#venecia#piazza san marco#s.XVIII#18th century#florian cafe#lord byron#vivaldi#stravinsky#rousseau#goethe#casanova#st mark's square
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La misura dell'eleganza
La Calzoleria artigianale tra XIX e XXI secolo
a cura di Maria Canella ed Elena Puccinelli
con interventi tra gli altri di Quirino Conti e Natalia Aspesi
Lucini Libri, Milano 2010, 268 pagine, 22x28cm, ISBN 978-8890422270
euro 70,00
email if you want to buy [email protected]
Il libro ricostruisce con immagini inedite la storia della calzoleria artigianale tra XIX e XXI secolo in Europa e in Italia e soprattutto a Milano, capitale del pret-a-porter e dell'eleganza su misura negli abiti e negli accessori oltre di grandi nomi della tradizione della calzoleria italiana come quella della famiglia Rivolta.
12/11/23
#misura eleganza#calzoleria artigianale#Rivolta#Luciano Orio#Angelo Comolli#shoes books#fashion books#fashionbooksmilano
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"Eugénie Grandet" è uno dei romanzi più celebri di Honoré de Balzac, pubblicato per la prima volta nel 1833. Fa parte del vasto ciclo narrativo de "La Comédie Humaine", un'opera monumentale che Balzac ha dedicato a rappresentare la società francese del suo tempo.
Il romanzo è ambientato nella cittadina di Saumur, nella Valle della Loira, e racconta la storia di Eugénie, una giovane donna che vive sotto il giogo del padre, Félix Grandet, un uomo estremamente avaro e manipolatore. La trama si sviluppa attorno alla vita monotona e opprimente di Eugénie, che viene sconvolta dall'arrivo del cugino Charles, recentemente orfano e senza un soldo. Questo incontro risveglia in Eugénie sentimenti di amore e ribellione, portandola a scontrarsi con l'autorità paterna.
Balzac utilizza la figura di Grandet padre per criticare l'ossessione borghese per il denaro e il potere. La sua avarizia non solo rovina la vita della figlia, ma rappresenta anche una critica più ampia alla società del tempo, dove il valore delle persone è spesso misurato in termini di ricchezza materiale. La descrizione dettagliata della vita provinciale e delle dinamiche familiari rende il romanzo un ritratto vivido e realistico della Francia post-rivoluzionaria.
Honoré de Balzac nacque il 20 maggio 1799 a Tours, in Francia, da una famiglia borghese. Suo padre, Bernard-François Balzac, era un funzionario pubblico, mentre sua madre, Charlotte-Laure Sallambier, proveniva da una famiglia di commercianti parigini. Balzac trascorse un'infanzia solitaria e difficile, segnata dai frequenti disaccordi tra i genitori.
Dopo aver frequentato il Collège des Oratoriens a Vendôme, Balzac si trasferì a Parigi, dove studiò diritto. Tuttavia, la sua vera passione era la letteratura. Dopo alcuni tentativi falliti di affermarsi come drammaturgo, Balzac iniziò a scrivere romanzi sotto vari pseudonimi. La sua carriera letteraria decollò con la pubblicazione di "Les Chouans" nel 1829, il primo romanzo che firmò con il suo vero nome.
Balzac è noto per il suo stile di vita frenetico e per la sua incredibile produttività. Lavorava spesso per lunghe ore, alimentato da caffè nero, e scriveva in modo compulsivo. La sua opera più famosa, "La Comédie Humaine", è una serie di quasi cento romanzi e racconti che offrono un ritratto dettagliato della società francese del XIX secolo. Tra le sue opere più celebri si trovano "Le Père Goriot", "La Cousine Bette" e, naturalmente, "Eugénie Grandet".
Nonostante il successo letterario, Balzac ebbe una vita personale tumultuosa, segnata da numerosi debiti e relazioni amorose complicate. Nel 1850, sposò la contessa polacca Ewelina Hańska, con la quale aveva intrattenuto una lunga corrispondenza. Purtroppo, Balzac morì pochi mesi dopo il matrimonio, il 18 agosto 1850, a Parigi.
Balzac è considerato uno dei padri del realismo nella letteratura europea. La sua capacità di creare personaggi complessi e di descrivere con precisione la società del suo tempo ha influenzato molti scrittori successivi, tra cui Émile Zola, Charles Dickens e Marcel Proust.
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" Ho spesso notato che le teorie rivoluzionarie per natura, che possono realizzarsi solo con un mutamento completo e talvolta subitaneo della proprietà e delle persone, godono infinitamente meno favore negli Stati Uniti che nelle grandi monarchie d'Europa. Anche se alcuni le professano, la massa le respinge con orrore istintivo. Non esito a dire che la maggior parte delle massime che in Francia si usano chiamare democratiche, sarebbero vietate dalla democrazia americana. Ciò si comprende chiaramente. In America vi sono idee e passioni democratiche, in Europa abbiamo ancora passioni e idee rivoluzionarie. Se l'America avrà mai grandi rivoluzioni, queste saranno provocate dalla presenza dei negri nel territorio degli Stati Uniti: vale a dire non sarà l'eguaglianza delle condizioni, ma la diseguaglianza che le farà sorgere. Quando le condizioni sono eguali, ognuno si isola volentieri in se stesso e dimentica il pubblico. Se i legislatori dei popoli democratici non cercano di correggere questa funesta tendenza o la favoriscono, con l'idea che essa allontani i cittadini dalla politica e, quindi, anche dalle rivoluzioni, può darsi che finiscano essi stessi per produrre il male che vogliono evitare e che venga un momento in cui le passioni disordinate di qualche uomo, appoggiandosi all'egoismo stupido e alla pusillanimità della maggioranza, riescano a far subire alla società strane vicissitudini. Nelle società democratiche solo piccole minoranze desiderano le rivoluzioni, ma le minoranze possono talvolta farle. "
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, a cura di Giorgio Candeloro, Biblioteca Universale Rizzoli (collana B.U.R. Saggi), 2005⁶ [1982], p. 671.
[ Edizione originale: De la démocratie en Amérique I-II, Librairie de Charles Gosselin, Paris; 1835, 1840 ]
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Luigi Valloncini Landi - Il testamento del conte Inverardi. Un’eredità contesa e i segreti della nobiltà italiana. Recensione di Alessandria today
Biografia dell’autore. Luigi Valloncini Landi è un autore italiano noto per la sua capacità di raccontare storie avvincenti che intrecciano la grande Storia con le vicende umane
Biografia dell’autore.Luigi Valloncini Landi è un autore italiano noto per la sua capacità di raccontare storie avvincenti che intrecciano la grande Storia con le vicende umane. Con un profondo interesse per le dinamiche familiari e sociali, Valloncini Landi esplora i temi dell’eredità, del potere e dei segreti, ambientando i suoi romanzi in epoche storiche ricche di fascino e…
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UN AFRICANO PONE ALCUNE DOMANDE INQUIETANTI SULL’ISLAM
Far eguagliare Cristianità biblica con razzismo verso i neri è in ogni modo assurdo. Dobbiamo ricordare che Mosè, il profeta, sposò una donna africana .
Shulamit nel cantico dei cantici era nera e africana e bellissima. Il Dio della Bibbia odia il razzismo.
Ora quello che mi sconcerta è sapere che i neri nel mondo stanno cadendo così facilmente in quella che credo sia una reale religione razzista: l’Islam.
L'islam odia i neri. Nessun nero entrera' nel paradiso in quanto nero!
Come africano sono anche molto sconcertato dalla mancanza di ricerca storica equilibrata fatta dai neri riguardo agli africani.
Sappiamo che nel Nord Africa l’intera regione Sahariana del Marocco, della Libia, dell’Algeria e dall’Egitto fino al Sudan e all’Etiopia era cristiana prima che l’Islam arrivasse e distruggesse le chiese locali. Perché non sentiamo parlare di questo nella storia?
E consideriamo questo: l’Africa ha dato origine a grandi pensatori come Agostino da Hippo (Algeria), Clemente e Anastasio d’Egitto e Tertulliano di Cartagine (Tunisia), mentre l’Etiopia ha avuto la prima chiesa africana totalmente indipendente dall’Europa (Atti 8).
Trovo infatti molto interessante che la chiesa africana sia stata costituita prima di quanto non lo sia stata la chiesa in Gran Bretagna, in Canada, negli Stati Uniti, in Spagna, etc. Così, perché non sentiamo parlare di questa chiesa africana? E perché non vediamo tracce di questa oggi?
La storia del Sudan è un ottimo esempio. Prima dell’invasione musulmana del 1275 d.C. operata dall’islamico Mamluks d’Egitto, il Sudan aveva tre mini stati cristiani chiamati: NOBATIA, nel Nord, la cui capitale era Qustul. MAKURIA, la cui capitale era la vecchia Dondola. ALODIA, o ALWA, la cui capitale era Soba.
Queste tre regioni cristiane dal 300 d.C. al 1500 d.C. avevano la loro propria lingua scritta, avevano grandi centri di apprendimento, di commercio internazionale con l’Egitto, l’Etiopia e altri stati del Medio Oriente e inviavano missionari negli altri stati africani (vedi K. Milhasowski, FARAS, vol. 2, Poland 1965 per una documentazione storica e archeologica maggiore di questi stati).
Ma tutto questo fu distrutto dagli invasori musulmani nel 1295 d.C. non dai colonizzatori europei! Lo stesso tipo di distruzione massiccia
successe in tutta l’Africa, ma mai abbiamo sentito attribuire la responsabilità ai musulmani. Perché?
E non è finita... Nel 1990 il Sudan, nel Nord-Est dell’Africa ha subito la guerra gihad musulmana durante la quale migliaia di cristiani e non credenti sono morti per crocifissione o hanno subito l’amputazione di una mano e di un piede a lati opposti. E’ solo accidentale che troviamo nel Corano, Sura 5:33, la menzione di questa pratica?
UNA DOMANDA INQUIETANTE CHE RIGUARDA LO SCHIAVISMO MUSULMANO
E questo mi porta a fare delle considerazioni a proposito della schiavitù. I musulmani dicono che è solo un fenomeno cristiano.
Mentre l’Impero Britannico aboliva la schiavitù sotto la pressione di cristiani britannici come David Livingston e William Wilbeforce, i musulmani arabi schiavizzavano gli africani (i.e. seguendo la promessa di Allah riguardante “i prigionieri che la tua giusta mano possiede” dalla Sura 4:3). Non hai letto a proposito dell’isola di Zanzibar e Pembe nell’Africa Orientale durante il XIX secolo?
Oppure non hai mai chiesto perché gli stati musulmani non sono mai stati coinvolti nel movimento per l’abolizione della schiavitù?
Mentre gli europei erano impegnati con la tratta degli schiavi per poche centinaia di anni, l’esistenza del traffico di schiavi africani era stata ben solidificata già mille anni prima.
L’affermazione musulmana che attribuisce l’intera colpa per l’invenzione e la pratica della schiavitù dei neri alle porte dell’Europa cristiana è semplicemente non attendibile. Entrambe le società greca e romana erano state schiaviste: per la maggior parte i loro schiavi erano caucasici. Infatti la parola schiavo deriva da'' slavo''. Robert Hughes nel suo saggio “The Traying of America” apparso sul Time Magazine il 3 febbraio 1992 corregge questa falsa affermazione quando dice:
“La tratta degli schiavi, così come il mercato nero, era una invenzione araba sviluppata dai commercianti con la collaborazione appassionata dei neri africani. Fu istituzionalizzata con la più implacabile brutalità secoli prima che l’uomo bianco apparisse nel continente africano e continuo per lungo tempo dopo che il mercato di schiavi in Nord Africa era stato definitivamente annientato... Nulla negli scritti del profeta (Maometto) vieta lo schiavismo, per questo divenne un business dominato dagli arabi. E il traffico di schiavi non sarebbe esistito senza la collaborazione di stati tribali dell’Africa, edificati sulla scorta di prigionieri generati dalle loro implacabili guerre. L’immagine promulgata dalle fictions moderne come Roots, radici, in cui degli schiavisti bianchi irrompono con coltellacci e moschetti nella tranquilla vita dei villaggi africani, è molto lontana dalla verità storica. Un sistema di marketing fu mantenuto sul posto per secoli e la sua scorta fu controllata dagli africani. Non svanì neppure con l’abolizione.
Il mercato di schiavi che riforniva gli Emirati Arabi era ancora operante a Djibouti nel 1950 e sino al 1960 la tratta degli schiavi era rigogliosa in Mauritania e in Sudan. Ci sono ancora cronache di traffici di schiavi nel Nord della Nigeria, Ruanda e Niger.”
I musulmani sostengono che il cristiano occidentale spera di controllare l’Africa. Ora, perché a noi africani non deve piacere “la cultura della Coca-Cola” dell’Occidente, ma dobbiamo essere obbligati a vestirci con gli abiti arabi del VII secolo da quando l’Islam ha preso piede? Cosa c’è che non va nei miei bei abiti africani? E perché i musulmani neri dell’Africa devono pregare rivolti verso una città saudità: la Mecca? Perché non rivolti verso una città locale come Nairobi o Lusaka etc. Chi è che domina? Io pensavo che Dio fosse ovunque e che colui che prega dovesse rivolgersi verso di Lui che vive nel cielo sopra la terra. Ricorda, Dio, la verità, ha detto una volta: “Voi siete di quaggiù, Io sono di lassù.”
Inoltre perché ci è richiesto di leggere la parola di Dio e di parlargli solo in arabo? Dio non è forse capace di capire il mio dialetto africano? Grazie a Dio oggi la Sacra Bibbia è tradotta in più di 2000 lingue parlate nel mondo, perché io so che il mio Dio è capace di parlare ogni lingua. Questo non è un problema per Lui.
CONCLUSIONE
La lettera è stata scritta per amore, amore per la verità anche quando ferisce. La Bibbia ci dice che noi africani abbiamo una grandissima eredità che a volte nella storia ci è stata rubata. Dio è il nostro Creatore e crede in noi. Dopo tutto scelse Adamo ed Eva per essere i primi genitori degli africani.
Dio ha anche usato l’Africa per altri scopi, come permettere all’Egitto di essere un rifugio per gli ebrei al tempo di Giuseppe (Genesi 39-50).
L’Etiopia, altro stato africano, ha posseduto la Bibbia nella sua propria lingua per molti secoli, anche prima che l’Islam nascesse.
Ci è detto a proposito del Regno dei cieli futuro: “Molte nazioni sono qui,” inclusi gli africani (Apocalisse 21:24).
Diversamente dal Dio del Corano Dio non ordinò mai ad alcun cristiano di uccidere per Lui o di prendere “i prigionieri che la tua mano destra possiede”. Ad ognuno è stata data la possibilità di sceglierLo o rifiutarLo. Dio ci ha dato il libero arbitrio, non siamo sottomessi a Lui come nell'islam!!
Attraverso tutta la Bibbia troviamo che Dio salva tutti coloro che credono nel Suo nome . Questo include l’Etiopia di Geremia 38-40 e l’Etiopia e oggi include me e te.
Ora che io ho posto le mie domande, tu poni le tue. Chi mi ha aiutato maggiormente come africano: l’Islam o il Cristianesimo? Devi scegliere saggiamente perché la tua vita dipende da questo.
Fratello Banda
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Dove il tempo si è fermato per svelare l'eleganza senza tempo e il lusso intramontabile. Tra maestosi saloni ornati di stucchi, lampadari scintillanti e affreschi d'epoca, la dimora vi accoglie in un'atmosfera avvolgente di storia e raffinatezza. I giardini sontuosi e i salotti sontuosi sono testimoni silenziosi di storie secolari, mentre le camere sontuose raccontano segreti di un'epoca d'oro. Venite a esplorare la grandezza di un'epoca passata, dove ogni stanza è un dipinto e ogni passo rivela un capitolo di gloria del XIX secolo. 🏰🕰️
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dal patrimonio all'impegno, l'Europa dei nostri figli
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L’Europa non è l’appendice vassallizzata di un Occidente posto sotto il geloso dominio di una superpotenza dagli ideali messianici, convinta di dover portare al mondo i benefici dei suoi presunti valori universali. Né è la penisola di un’Eurasia il cui baricentro sarebbe situato alla periferia degli Urali.
L’Europa non è il culmine di una storia vergognosa che dovrebbe essere cancellata, o addirittura sfigurata, per imporre ai suoi eredi il plumbeo velo di un pentimento mortale. Né è la nave dei folli, guidata dai profeti allucinati e deliranti della “decostruzione”, intenzionati a minare le basi antropologiche che garantiscono la crescita e la conservazione delle culture, delle società e dei popoli.
L’Europa non è un insieme di terre sfigurate, una natura devastata in nome di imperativi di crescita illimitata branditi per sostenere politiche miopi. Non è tanto meno la fuga da ogni logica di potere, in nome delle fantasie di un’ecologia poco compresa.
L’Europa non è un corteo di tecnocrati incaricati di nutrire “il più freddo dei mostri freddi”, come un signore senza volto che spoglierebbe i suoi vassalli delle loro prerogative con meticolosa autorità, ma si dimostrerebbe incapace di assicurarne la difesa. L’Europa non è l’Unione Europea.
L’Europa è qualcosa di completamente diverso e molto più di tutto questo. È allo stesso tempo un'eredità antichissima e la prefigurazione del futuro delle persone che la incarnano.
L’Europa è uno spazio geopolitico abitato da millenni da un gruppo di popoli strettamente imparentati. Nonostante la violenza dei conflitti che hanno tessuto il tessuto eroico e tragico della loro storia comune, questi popoli condividono lo stesso patrimonio di civiltà, forgiato da una lega di elementi etnici che non hanno subito variazioni, sulla scala del continente, dall’inizio del l'età del bronzo, duemila anni prima dell'era cristiana. L'espansione celtica, l'alba greca del pensiero, l'ascesa dell'imperium romano , la renovatio imperii carolingia e germanica , il ritorno alle fonti perenni del genio antico al tempo del "Rinascimento", il risveglio della coscienza identitaria degli europei popoli della metà del XIX secolo , tutti questi fenomeni apparentemente molto diversi costituiscono in realtà l'espressione polifonica dello stesso genio europeo, espresso in forme diverse e costantemente rinnovate, sia negli ambiti politico, filosofico e artistico che scientifico e tecnologico. , da persone provenienti dallo stesso crogiolo. Ma il cataclisma del “secolo 14” venne a scuotere questo edificio di civiltà. Ancor più della distruzione e delle immense perdite che causarono, le due guerre mondiali portarono gli europei a dubitare pericolosamente di se stessi. Spesso accecati da ideologie tese a fare tabula rasa del passato in nome di un cosiddetto “senso universale della storia”, i nostri popoli devono oggi uscire dal letargo in cui lo ha gettato il materialismo consumistico degli ultimi decenni.
Perché non siamo solo eredi: questa eredità ci obbliga! Ora ci chiama all'impegno totale, per affrontare le sfide dei tempi con lucidità e determinazione. La posta in gioco è colossale: i popoli europei devono oggi scegliere tra la cancellazione definitiva o la volontà di realizzare il proprio destino storico, pur continuando ad affermare liberamente la propria identità e sovranità sullo spazio continentale dove si è radicato il loro genio più di cinquemila anni fa. In questo contesto ciascuno di noi può scegliere di arrendersi, sforzarsi di conservare cautamente un tiepido e più o meno comodo compromesso, o al contrario restare attivamente fedele a “ciò che siamo”, in tutti gli ambiti della vita e dell'esistenza, per poter “vivere da europeo”. Questa scelta e questo impegno determineranno quale sarà l’Europa dei nostri figli.
Questo è infatti l'appello che lanciamo: l'Europa non è solo la base delle nostre patrie, cioè la “terra dei nostri padri”; deve anche diventare, secondo le parole di Nietzche, la “terra dei nostri figli”. L’Europa è mito e destino, memoria delle origini e desiderio costantemente rinnovato di riconnettersi con la grandezza originaria. È il luogo dove il genio dei popoli europei ha eretto i megaliti di Stonehenge, le colonne del Partenone, le navate delle cattedrali, e ha progettato i canti omerici, la musica polifonica, la fisica quantistica e il razzo Arianna. Ovunque in Europa sta sorgendo una nuova generazione, consapevole delle proprie radici, della propria identità, della propria appartenenza a una civiltà comune. Di fronte a sfide senza precedenti, tocca oggi realizzare una vera “rivoluzione conservatrice”, intesa a liberare le menti dalle catene ideologiche che le ostacolano. Questa è la strada verso le “grandi risorse”, preludio a un nuovo rinascimento che porterà i popoli d’Europa a riprendere insieme il pieno controllo del proprio spazio geopolitico. L’Europa è il gusto del potere ritrovato, dell’orgoglio dei popoli e delle nazioni, trasceso dalla coscienza di servire un interesse più alto, quello della nostra civiltà.
-Henri Levavasseur
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Storia, curiosità e ricetta: Il Pandoro
Il Pandoro è uno dei dolci natalizi più amati in Italia, una delizia soffice e profumata che fa parte della tradizione culinaria delle festività. Con il suo caratteristico impasto lievitato e la superficie ricoperta di zucchero a velo, il Pandoro ha conquistato i cuori di molti durante il periodo natalizio. In questo articolo, esploreremo la storia del Pandoro, alcune curiosità interessanti e, infine, condivideremo una ricetta tradizionale per prepararlo in casa.
Storia del Pandoro
Il Pandoro ha origini antiche e affonda le radici nella città di Verona, nel Nord Italia. La sua storia inizia nel lontano Medioevo, quando il dolce era noto con il nome di "pane de oro" o "pane di lusso", a causa degli ingredienti pregiati utilizzati nella sua preparazione. Tuttavia, il Pandoro come lo conosciamo oggi ha subito diverse trasformazioni nel corso dei secoli. La versione moderna del Pandoro è stata creata nel XIX secolo dal pasticcere veronese Domenico Melegatti. L'inventore aggiunse burro, uova, zucchero e vaniglia all'impasto originale, trasformando così il dolce in una prelibatezza soffice e aromatica. Il Pandoro divenne rapidamente popolare durante il periodo natalizio e ottenne il riconoscimento internazionale.
Curiosità sul Pandoro
- La Stella di Natale: Il Pandoro è spesso servito su un piatto a forma di stella, che simboleggia la Stella di Natale. Questo tocco decorativo aggiunge un elemento festivo alla presentazione del dolce durante le celebrazioni natalizie. - Il Re delle Feste: In molte famiglie italiane, il Pandoro è considerato il "Re delle Feste". La sua forma alta e slanciata, ricoperta di zucchero a velo, contribuisce a creare un'atmosfera regale sulla tavola delle festività. - Tradizione Veronese: Il Pandoro è strettamente legato alla città di Verona, tanto che il Consorzio Verona Tutela Pandoro è stato creato per preservarne la tradizione e garantirne la qualità. Solo i prodotti che rispettano rigorosi standard possono ottenere il marchio di autenticità. - Il Pandoro nel Mondo: Oltre ai confini italiani, il Pandoro ha conquistato il palato di molte persone in tutto il mondo. È diventato un simbolo delle festività natalizie e un elemento caratteristico dei menu durante le celebrazioni di fine anno.
Ricetta Tradizionale del Pandoro
Ecco una ricetta tradizionale per preparare il Pandoro in casa. Gli ingredienti sono semplici, ma la pazienza è la chiave per ottenere un risultato perfetto. Ingredienti: - 500 g di farina - 150 g di burro - 150 g di zucchero - 3 uova - 200 ml di latte - 1 bustina di lievito di birra - Scorza grattugiata di un'arancia - Vaniglia (in polvere o estratto) Procedimento: - In una ciotola, sciogliere il lievito di birra nel latte tiepido e lasciare riposare per circa 10 minuti. - In una ciotola più grande, setacciare la farina e aggiungere lo zucchero, il burro fuso, le uova, la scorza d'arancia e la vaniglia. - Aggiungere il lievito attivato al composto e mescolare bene fino a ottenere un impasto omogeneo. - Coprire l'impasto con un canovaccio umido e lasciar lievitare in un luogo caldo per almeno 2 ore, o fino a quando raddoppia di volume. - Imburrare e infarinare uno stampo per Pandoro e versarvi l'impasto. - Cuocere in forno preriscaldato a 180°C per circa 30-40 minuti, o fino a quando il Pandoro è dorato e cotto all'interno. - Una volta raffreddato, spolverare il Pandoro con abbondante zucchero a velo prima di servirlo. Preparare il Pandoro in casa può essere una gratificante tradizione natalizia che unisce la famiglia nella gioia della cucina e del gusto. Con la sua storia affascinante, le curiosità divertenti e il suo irresistibile sapore, il Pandoro continua a essere un simbolo di festa e condivisione durante le festività. Read the full article
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