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Sul perdono
“Molti parlano di perdono senza capire l’impercettibile ma grave pericolo che si nasconde dietro alcune situazioni, come ci si deve comportare? Il perdono è trascendenza o è un particolare comportamento?”
Sicuramente il vero significato è il medesimo, purtroppo però il termine ‘perdono’, col tempo, si è caricato di condizionamenti culturali e spirituali che sembrano dover implicare specifici comportamenti. Il perdono è stato troppo concettualizzato ed è collegato, almeno nell’immaginario comune, ad una serie di ‘istruzioni’ su cosa fare. Della serie: ‘se sei buono, ci si aspetta che tu faccia così’. Questo può creare ulteriori dissonanze cognitive in chi già viene confuso e manipolato da persone cattive, il che indebolisce ancor di più. Il perdono è quindi più fraintendibile e, sono d’accordo, può diventare anche pericoloso. Non a caso negli insegnamenti religiosi una delle virtù da coltivare è anche la prudenza, proprio per controbilanciare tutti questi concetti che possono essere fraintesi.
La nuda trascendenza non ha queste accezioni solitamente. È già spiritualità e, come tale, non è fatta di concetti, è la soluzione più pratica e semplice che ci sia. Se non provo rabbia o dolore, perché li ho trascesi davvero, non sento di aver nulla da perdonare, mantenendo, allo stesso tempo, un contatto con la realtà impeccabile e non manipolabile. La lucidità è priva della scia psichica e valuta molto meglio l’accaduto. Le azioni che ne conseguono sono solo frutto di intelligenza. Il perdono, ad esempio, non implica affatto continuare a frequentare una persona distruttiva e subdola, soprattutto se si deve difendere, non solo se stessi, ma anche qualche persona di cui si è responsabili. Lo ripeto, soprattutto se si è responsabili di qualcuno che deve essere difeso.
Non serve odiare il lupo per non farlo entrare in casa, serve solo il buon senso. Lo si può addirittura reputare bello e augurargli ogni bene. Con la trascendenza è impossibile nutrire avversione e relativi pensieri vendicativi e cattivi e questo basta di per sé. La pratica spirituale, nell’atto pratico, è sempre un processo di sottrazione, non è mai fatto di concetti o di consigli su cosa fare. Dobbiamo sempre e solo togliere contenuti mentali o emozionali, tutto qua.
La situazione più difficile che può capitarci è proprio quella in cui effettivamente non c’è via d’uscita. Potremmo vivere una situazione tossica da cui è davvero impossibile sottrarsi o una crisi generale in cui non appena trascendiamo una reazione, ne viene stimolata un’altra troppo presto. In questi casi dovrete avere compassione soprattutto per voi stessi e non condannarvi se, a volte, le vostre reazioni risultano un po’ nevrotiche. Continuate a praticare intensamente e imparate a farlo sempre. Queste crisi sono da prendersi come un corso full immersion di meditazione. Finita la crisi diverrete forti come leoni e avrete un distacco ben maggiore del precedente. Vedrete che la base della vostra pratica subirà una sorta di upgrade. Prendete tutto, ma proprio tutto, come uno stimolo alla pratica e purificate il più possibile. Le azioni che seguono la purificazione, così ottenuta, sono spontaneamente le più intelligenti, che siano severe e restrittive o accoglienti e accomodanti. Questa spontaneità vi renderà più leggeri e agili.
La differenza tra concetti e trascendenza separa la sfera umana dalla sfera spirituale. Tutti i dubbi sulla spiritualità sono solo concettuali, perché, se praticassimo davvero, sapremmo che dobbiamo solo ed esclusivamente trascendere le reazioni interiori e i relativi pensieri che si presentano. In passato ho spesso definito i condizionamenti come ‘lato psichico della realtà’. È come un’appendice che può essere tolta da tutto, grazie al distacco. Una volta tolta, resta solo la realtà. Così sviluppiamo la capacità di riconoscere il vero dal falso e, inoltre, alleniamo la forza di accettare la realtà per ciò che è, e questo è l’antidoto migliore contro qualsiasi tipo di dissonanza.
Il perdono e la benevolenza sono sottolineate in ogni religione perché il bivio tra creatività e distruttività (o tra bene e male, se volete) parte proprio dal dolore . Il dolore mal gestito degenera fino a causare risposte distruttive: rabbia, avversione, odio, vendetta. Chi è maturo e cerca perlomeno l’elaborazione del dolore a livello psicologico non diviene distruttivo e ha più energie per essere creativo. Può, però, ancora sbagliare parecchio nell’atto pratico, perché il suo perdono, come detto, può essere ancora condizionato da quella serie di aspettative che sembra comportare. Ancor più se chi ha intorno preme per un comportamento ‘da manuale’. L’influenza degli altri può far perdere la lucidità che serve in situazioni potenzialmente pericolose.
Il contemplativo difficilmente farà questi errori perché trascende gli elementi psichici lasciando l’azione totalmente libera. Non si fa influenzare da consigli, frecciatine o paternali varie, non ha a cuore quello che gli altri pensano di lui ed ha la forza di stare solo contro il mondo. Non c’è manipolazione che tenga. È dunque integro in un modo inaccessibile agli altri proprio in quanto più distaccato dal mondo e disinteressato a ciò che il mondo pensa di lui. Il contemplativo sa che Dio lo guarda e lo giudica da dentro, resta quindi a pulire dove davvero conta.
Invece di decidere le azioni col pensiero, come gli altri, chi trascende segue un flusso naturale dettato dalla sensibilità. Quando si può sperare di salvare il salvabile, egli darà naturalmente delle seconde possibilità senza neanche pensarci. Se e quando arriva a chiudere del tutto con una persona, non sta chiudendo il suo cuore e la sua compassione, sta solo chiudendo la manifestazione esterna del suo amore, perché risulta controproducente. Tutto questo avviene intuitivamente e senza scelta. Avviene inoltre senza dubbi o pentimenti perché, in quel caso, è evidente che la persona in questione ha più possibilità di imparare col dolore della perdita che con la manifestazione aperta del suo amore. Il perdono non deve mai abbandonare i nostri cuori ma può manifestarsi o non manifestarsi esternamente.
Nella trascendenza, oltre alle risposte intelligenti e libere da condizionamenti, si verifica una vera e propria trasmutazione energetica. Ciò che interviene, in questo caso, non è più solo creativo, è creazione stessa. Si comincia, allora, ad essere testimoni di piccoli e grandi miracoli quotidiani. E vi assicuro che, se avete qualche hater incallito, comincerà a chiedersi come fate ad evitare gli ostacoli e a tramutare le loro vendette in benedizioni. Loro ancora non sanno che essere buoni conviene e questa lezione gliela può impartire solo un buono forte ed integro, saldo nella consapevolezza e dedito alla trascendenza.
La spiritualità dona una forza divina e non una bontà debole.
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Meditare come riflettere
Un articolo interlocutorio utile per chiarire taluni concetti introduttivi a chi si avvicina per la prima volta a questo sito. Meditare Meditare come riflettere, argomentare, non è lontano dall’attenta e obbiettiva considerazione che comporta la pratica della meditazione. La nostra contemplazione spirituale è rivolta sia alla vita nel suo insieme, che a singoli mirabili eventi, nonché agli echi…
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#consapevolezza#contemplazione#dogmi#interdipendenza#intuizione#meditare#meditazione#mente#pratiche#religiosità#riflessioni#risveglio#silenzio#spiritualità#trascendenza
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Fulmini quieti
Suoni significanti
Squarci splendenti.
Soglie socchiuse
Trascendenti avvisi
Echi dal vero.
BaoUtnaFèretWaka, 20 settembre 2024 - 15.28, Kontowood.
#baotzebao#valerio fiandra#haikyou#kontowood#ilrestomanca#ildopovita#BaoUtnaFèretWaka#fulmine#libro#squarcio#soglia#splendore#avvisi#trascendenza
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Non bisogna scendere in noi stessi per trovare... noi stessi. Così facendo troveremo solo il nostro Io Imperioso, il nostro ego, sempre pronto a usarci per i suoi scopi ego... istici.
Dobbiamo invece scendere in noi stessi per cercare Dio. Poi sarà Dio, l'Assoluto, il Trascendente, l'Essenza, a rivelarci chi siamo noi, qual è la nostra vera essenza.
#ilmondochevorrei#vitavera#buongiorno#filosofia#spiritualità#anima#Dio#Essenza#trascendenza#assoluto
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Da Fiducia supplicans alle norme sul discernimento dei fenomeni soprannaturali
Le nuove norme del Dicastero della Fede negano ai Pastori della Chiesa la possibilità di accertare le tracce dell’intervento di Dio nella storia degli uomini, partendo dal presupposto che la Rivelazione pubblica della Chiesa è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo. Ma sarebbe temerario prendere pretesto da questo indiscusso principio per ignorare o sottovalutare il peso storico delle…
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UN PONTE VERSO LA TRASCENDENZA
UN PONTE VERSO LA TRASCENDENZA
a cura di Ottava di Bingen “Anche se non si volesse credere alla verità che nascondono,è impossibile non credere alla loro incomparabile potenza simbolica.Nonostante la loro consunzione moderna,i miti restano,al pari della metafisica,un ponte gettato verso la trascendenza.”(E. Junger) UN PONTE VERSO LA TRASCENDENZA
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Perché di fronte alla fenomenologia lgbtp rimaniamo increduli e attoniti?
Perché non abbiamo la corretta chiave di lettura. Si tratta di una religione. Una volta capito questo sarà tutto chiarissimo.
Il punto è il trascinamento del trascendente nel materiale.
La (post)modernità è negazione del trascendente.
La Gender Theory vorrebbe sembrare qualcosa di "medico" o "psicologico" mentre ha tutte le caratteristiche della religione, compresa la trascendenza che viene riposta nella realizzazione sessuale trasformativa. Culto ermafroditico.
Boni Castellane
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In sostanza, questo è il risultato...
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La sessualità non è carne, è desiderio. Ciò a cui tende, non è l’eiaculazione, ma è l’incontro con l’altro, perché solo desiderando l’altro o sentendomi oggetto di desiderio altrui, io mi scopro come essere sessuato.
La distinzione tra “amore” e “perversione” è contenuta nel modo di vivere il proprio desiderio come “apertura” o come “chiusura” verso l’altro. Perverso è quel desiderio che non desidera l’altro ma se stesso, che non diventa veicolo di trascendenza, ma oggetto della propria immanenza, giocata in quel breve spazio che separa la tensione dalla soddisfazione che la estingue. Quando il desiderio diventa l’oggetto desiderabile, lo si eccita, lo si tiene in sospeso, se ne rimanda la soddisfazione finché non sopraggiunge l’atto sessuale che lo spegne, come un soffio di vento spegne un fuoco che non ha trovato ove propagarsi. È al desiderio perverso e alla sua incapacità di trascendenza ciò a cui pensa la scienza medica e la morale diffusa quando definiscono il desiderio come un “istinto” la cui origine e il cui fine sono strettamente fisiologici. In realtà il desiderio non implica necessariamente un’attività sessuale, perché, come dice Sartre: “il desiderio non è desiderio di fare”, ma è desiderio di un oggetto trascendente che consenta di uscire dalla propria clausura. [...] Il corpo, lasciandosi intravedere, fa la sua apparizione sullo sfondo di una situazione in cui si allude alla seduzione e al turbamento. Allora il corpo è “pro-vocante”, non perché lascia intravedere una sua nudità, ma perché chiama in gioco quella situazione [...] Il corpo è desiderabile non per la sua carne immediatamente presente, ma perché nella sua carne si manifesta una vita e un’offerta a parteciparvi.
Umberto Galimberti - "Il corpo"
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"La morte è il bene naturale più prezioso. La morte è una condizione superiore. La morte libera l'anima immortale. La morte è trascendenza. La morte è un atto di coraggio, un glorioso atto di ribellione."
Babel — R. F. Kuang
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
I FERMENTI NASCOSTI DELLA RIFORMA
Ecco una delle opere del Botticelli "maturo", influenzato dallo spirito della Firenze di Savonarola, il riformatore "ante-litteram" che a differenza di Lutero subì con la scomunica una sorte tragica. Non è dato sapere quanto la conversione verso la materia della trascendenza, legata all'iconografia cristiana, fosse dovuta a un moto dell'animo oppure alla fine dei fasti medicei e con loro alla committenza del "Magnifico" e della sua cerchia. Tuttavia, lo stile rimane inconfondibile, ormai radicato in un'estetica che non smette mai la ricerca della bellezza e dell'armonia di forme e tratti espressivi. Semplicemente, è trasposta in un nuovo campo del racconto per immagini. Ma qui, a colpire è la separatezza tra il luogo dell'avvenimento celeste (l'incoronazione della Vergine) e la consapevolezza partecipe dell'assemblea dei Santi confinati al di sotto, sulla terra. Era già accaduto alcuni anni prima con la "Pala di San Marco" dello stesso autore. Questa struttura del tema evangelico si affermerà, da lì in avanti, come uno strappo tra la modernità e il modello medievale, rappresentato, per esempio, dalle opere del "Beato Angelico" sul medesimo soggetto: quasi a marcare una distanza impossibile da colmare perfino per le figure dei Santi. Come un fardello pesante, l'esistenza terrena può solo aspirare alla beatitudine dell'ultraterreno. La fede e le opere non rappresentano una misura sufficiente. Non vi è libertà e nessuna certezza della grazia, il destino rimane segnato dal mistero. Questa è forse la traccia pittorica di un sentimento religioso che altrove, nella secolare crisi di autorevolezza del papato, stava meditando la riforma. Che in Italia, l'ancoraggio alla Chiesa di Roma, ha sopito in un limbo cocente ma inespresso. Sorprendente Botticelli.
- Sandro Botticelli (1445 - 1510): "Incoronazione della Vergine e Santi", data incerta tra il 1498 e il 1508, Villa La Quiete, Firenze
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Le due facce del dolore
"Perché in alcune tradizioni il dolore è esaltato, quasi cercato direi, e in altre è considerato qualcosa da superare?"
Perché sono le due facce della stessa medaglia.
Per prima cosa ricordiamo che la gestione del dolore è importantissima perché il dolore è l’emozione spartiacque tra i sentimenti di pace e quelli di distruttività. Non gestire il dolore porta alla distruttività, trascenderlo perfettamente porta all’amore e alla pace. Tra questi due estremi ci sono tanti gradi diversi di gestione: da quella puramente psicologica, ai primi tentativi di elaborazione in solitaria, che portano alla creatività, a quelli di presenza mentale, tipici della meditazione, fino ai risultati di trascendenza.
Chiunque abbia già una buona capacità di trascendenza del dolore ‘personale’ comincia a star meglio degli altri, non perché gli giungano meno colpi o abbia meno ostacoli ma perché li supera sempre meglio. Su questo mi soffermo un attimo per farvi notare che è sempre la pratica ad elevarsi e migliorare, mai il resto. Nessuno dovrebbe mai porsi limiti sulla pratica, i limiti dettati dalla natura umana sono più che sufficienti. Sappiamo teoricamente che esiste un grado talmente ottimale da non richiedere più uno sforzo ma il modo di arrivarci è di praticare sempre. I miei maestri, che non finirò mai di ringraziare, sono chiarissimi su questo punto.
Più capiamo che è la consapevolezza a risolvere tutto, meno la lasceremo andare. Meno la lasceremo andare e più risolverà tutto.
Tornando al dolore, quello che succede in chi supera ormai facilmente quello personale è molto importante: può cominciare a trascendere il dolore collettivo. Avendo compreso il carattere spartiacque del dolore, capirete che questo significa cominciare ad eliminare la distruttività dal mondo. Capite l’importanza evolutiva di queste persone? Forse no e purtroppo non si può dimostrare. Comunque, sebbene sia proposto in modo diverso nelle varie tradizioni, è una cosa naturale ed è presente in ogni insegnamento.
In oriente è generalmente più esaltato l’effetto positivo delle pratiche meditative: la serenità, la calma, la pace e si tende a dire meno che il realizzato è una specie di ‘macchina mangia karma’. Si sa che è così e gli stessi illuminati a volte lo ammettono ma si dà più risalto al fatto che ne rimangono imperturbati. In occidente, soprattutto nel cristianesimo, è più esaltato il concetto di sacrificio, dell’offerta del dolore a Dio per salvare l’umanità, nello specifico per salvare ‘i peccatori’. Capisco che la terminologia cristiana è meno moderna e allettante ma è esattamente ciò che avviene. È formulato diversamente ed ha una sua peculiare missione per la salvezza dei distruttivi, che nelle altre religioni non c'è. Qui i concetti di ‘salvatore’ del mondo, per quanto riguarda Gesù, e di ‘co-redentori’, per i santi, sono da prendersi, per quanto mi riguarda, alla lettera. I santi non invitano il dolore per masochismo ma per consolidata capacità di trascendenza e il fatto di farsi carico del dolore di altri per offrirlo a Dio rappresenta il loro motivo, ad imitazione di Cristo, esempio più straordinario mai giunto al mondo di tale capacità d'amore e di sacrificio per gli altri.
Il bilanciamento tra i due atteggiamenti apparentemente diversi, negli insegnamenti, è da cercarsi nell’eterna lotta tra conscio e inconscio. La pratica non è altro che questo.
La barriera del ‘personale’ è già molto ridotta nei praticanti esperti e le sensazioni in entrata, anche negative, non vengono neanche sempre percepite come proprie. So di ripetermi ma non è l’inconscio ad essere collettivo, è il collettivo ad essere inconscio. Qualsiasi sensazione salga al conscio, a prescindere se accompagnata o meno dalla sensazione ‘personale’, è un fenomeno collettivo. Questo il praticante esperto lo sa solo più degli altri.
Quando si presenta un’emozione sgradevole sa restare pienamente attento e fermo, in perfetta comunione con essa, determinandone la scomparsa.
Più fa questo, per i sentimenti, e più capisce e si allontana dal pensiero psichico, più acquisisce una sorta di trasparenza, dovuta proprio alla mancanza di barriera ‘personale’. Tale barriera, il nostro ego, è infatti solo un insieme di pensieri incessanti che riguardano il personale e di resistenze inconsce alle sensazioni che non vogliamo, il che sfocia, a seconda della gravità, in vari gradi di distruttività. Più va via la sensazione personale, più importante diviene il ruolo evolutivo dell’individuo per la collettività e più grande è la pace che egli prova. Questo è il secondo punto d'incontro che, nonostante la differenza tra terminologie, troviamo in tutti gli insegnamenti.
La pace è la meta di tutti.
‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’ dice Gesù. Anche se più sottolineata negli insegnamenti orientali, la pace è il risultato per tutti e, per fortuna, non è solo la meta finale, perché ogni tentativo di trascendenza, o anche di mera elaborazione del dolore, sarà ricompensato da una pace mai provata prima. Questa ricompensa spetta a qualsiasi praticante di qualsiasi livello. Intraprendere davvero questo cammino vuol dire cominciare ad accumulare talmente tanti vantaggi da non poter più neanche immaginare di vivere come prima.
Questa pace è da guadagnarsi interiormente attraverso ciò che, nel linguaggio meditativo, è presentata come ‘igiene mentale’, e, in quello devozionale, è espressa come ‘coscienza pulita’. Sono la stessa identica cosa. Qualsiasi sia il tuo maestro e la tua tradizione, o anche se non credi a niente e nessuno, la pace puoi averla se pulisci i contenuti psichici. Per farlo devi renderli dapprima consci, ed ecco le due facce della medaglia: la prima faccia del dolore non è tanto gradevole e dobbiamo imparare in primis ad accoglierlo, senza condanne o giustificazioni, senza resistenze, altrimenti non sale al conscio. Quando si presenta va ‘cercato’, proprio come dici nella domanda. Dopo tale accoglimento e in virtù di una totale comunione viene poi trasceso o ‘superato’… e arriva la pace, la seconda faccia del dolore.
Se si è molto pratici i due aspetti diventano quasi impercettibili, poiché meno c'è resistenza più c'è trasparenza.
Quando la purezza aumenta, infatti, si comincia una pratica più profonda in cui si trascende l’ego stesso e non più i contenuti psichici. Diverse tradizioni danno diversi nomi a questa pratica: ‘dimorare indipendente’, ‘dimorare nel sé’, dimorare nella ‘vacuità’, nel ‘silenzio’, nel ‘cielo’ dell’anima, nella ‘consapevolezza’, nell’‘auto-attenzione’, a volte lo chiamo samadhi. Qui si comincia a morire alla carne e a rinascere allo spirito. La sensazione di essere materia va via e l’evanescenza rivela la nostra vera natura. Che lo si chiami spirito, coscienza, consapevolezza o non lo si definisca affatto non importa, la cosa essenziale è che questa leggerezza la sperimenterai tangibilmente ogni volta che trascenderai il dolore, a qualsiasi livello lo farai, e potrai spingerti fin dove vorrai, anche fino al punto di non volerla più lasciare!
La teoria da sola non ha mai portato la pace a nessuno, la pratica sì.
Buona sperimentazione!
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Seguire il proprio buon senso
I consigli, i suggerimenti, lasciano sempre il tempo che trovano. L’importante è seguire comunque il buon senso. Non quello, ovviamente, di chi predica a destra e a manca senza nemmeno rendersi conto che sta semplicemente dialogando con se stesso, sta tentando di auto-convincersi, ma abbracciare la propria consapevolezza. Prima o poi capiterà senz’altro di commettere piccoli errori venali, di…
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Trascendenza
Ieri, in un video, ho sentito parlare della possibilità di "trascendenza" della razza umana, ma non in senso spirituale, bensì tramite la digitalizzazione della coscienza e l'ibridazione con la macchina fino a un totale innesto della coscienza in essa; poiché la digitalizzazione della coscienza non equivale, come vogliono farci credere, a un suo trasferimento, ma a una sua duplicazione, il termine trascendenza mi sembra abusato: il termine giusto sarebbe "reificazione", ovvero la riduzione dell'essere umano a "cosa", processo che nulla ha a che vedere con la trascendenza, ma che ne è, anzi, l'antitesi. Portando alle estreme conseguenze questo processo di reificazione dell'uomo, si potrebbe proiettare la visione di un mondo che sia un museo dell'essere umano, un cimitero di morti resi illusoriamente vivi in quanto privati della morte, e interagenti fra loro come riproduzioni di coscienze, di fatto senza coscienza, in quanto "macchine". In un mondo del genere, il termine "artificiale" attribuito alla sostanza fisica o all'intelligenza, perderebbe di significato per mancanza di termine di paragone con la natura, e gradatamente si verrebbe a formare un nuovo concetto di natura, del tutto coincidente con l'artificialità: non lo trovate affascinante? E non pensate che qualcosa di simile possa già essere successo…proprio a noi? 😊
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L’autonomia delle creature e la loro dipendenza da Dio
L’ordine soprannaturale e quello naturale sono distinti, ma non separati. Nell’angelo c’è un duplice ordine che porta con sé una duplice beatitudine. Fu creato beato, ma nell’ordine della natura. Il suo fine: la beatitudine soprannaturale. Continue reading Untitled
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