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Cambiare l'acqua ai fiori di Valérie Perrin: Un viaggio nell'intimità delle emozioni. Recensione di Alessandria today
"Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin, pubblicato da Edizioni E/O e tradotto da Alberto Bracci Testasecca, è un capolavoro di narrativa contemporanea che intreccia amore, segreti e rinascita. Ambientato in una cittadina della Borgogna, il romanzo
Un romanzo sull’amore, il mistero e la resilienza“Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin, pubblicato da Edizioni E/O e tradotto da Alberto Bracci Testasecca, è un capolavoro di narrativa contemporanea che intreccia amore, segreti e rinascita. Ambientato in una cittadina della Borgogna, il romanzo racconta la vita di Violette Toussaint, una guardiana di cimitero apparentemente tranquilla, ma…
#Alberto Bracci Testasecca#Alessandria today#Cambiare l&039;acqua ai fiori#edizioni e/o#Google News#italianewsmedia.com#libri di Valérie Perrin#libri per emozionarsi#libri su segreti familiari#libri sulla resilienza#mistero e amore#narrativa Borgogna#narrativa coinvolgente#narrativa contemporanea#narrativa di conforto#narrativa di introspezione#narrativa emozionale#narrativa femminile#narrativa francese#narrativa internazionale#narrativa per il cuore.#narrativa poetica#narrativa riflessiva#narrativa sulla perdita#narrativa sull’introspezione#Pier Carlo Lava#romanzi di successo#romanzi per riflettere#romanzi sull&039;amore#romanzi sulla rinascita
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Romanzi italiani del 900: racconti di un secolo di cambiamenti
I romanzi italiani del 900 hanno saputo catturare le sfumature della società, la politica, la cultura e le emozioni di un Paese che ha vissuto due guerre mondiali, profonde trasformazioni sociali e una rapida modernizzazione. Per questo motivo la letteratura italiana nel Novecento è un affascinante mosaico di stili, voci e storie che riflettono il tumultuoso periodo storico attraversato dall'Italia durante quel secolo. I primi anni del 900: il Futurismo Gli inizi del Novecento italiano hanno visto emergere il movimento futurista, che ha cercato di abbracciare il cambiamento e l'innovazione nella letteratura, nell'arte e nella società. Un esempio notevole di romanzi futuristi è "Zang Tumb Tumb" di Filippo Tommaso Marinetti, un'opera che sperimenta con la forma e il suono delle parole per esprimere l'entusiasmo per la modernità e la tecnologia. Questo movimento ha contribuito a gettare le basi per il modernismo letterario in Italia. I romanzi italiani del 900 e la Seconda Guerra Mondiale La Seconda Guerra Mondiale è stata un'incredibile fonte di ispirazione per gli scrittori italiani dell'epoca. - "Il giardino dei Finzi-Contini" (1962) di Giorgio Bassani narra la triste pagina della persecuzione degli ebrei. - "La casa in collina (1948) di Cesare Pavese analizza la guerra in quanto impegno storico e civile. - "Il sentiero dei nidi di ragno" (1947) è uno dei più bei romanzi sulla Resistenza. - "La ciociara" (1957) di Alberto Moravia rappresenta un'altra tragica pagina del conflitto: lo sbarco degli alleati Il dopoguerra, con tutte le difficoltà della ripresa economica, ha ispirato, invece, la nascita di una vera e propria corrente letteraria che ha coinvolto la letteratura e il cinema: il neorealismo. I romanzi neorealisti più emblematici sono: - "Ragazzi di vita" (1955) di Pier Paolo Pasolini; - "Una questione privata" (1963) di Beppe Fenoglio; - "Se questo è un uomo" (1947) di Primo Levi; - "La romana" (1947) di Alberto Moravia. I romanzi postmoderni Gli anni '60 hanno portato una nuova onda di romanzi italiani che riflettevano i cambiamenti sociali e culturali in corso. "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958, ha catturato l'atmosfera di una società aristocratica in declino. Altro autore esemplare di questo periodo fu Leonardo Sciascia che con i suoi romanzi accese un faro sulla Sicilia e sul fenomeno della mafia. Ricordiamo "Il giorno della civetta", "A ciascuno il suo", "Il caso Majorana". Negli anni '70 e '80, l'Italia ha assistito a una rinascita letteraria con l'emergere di autori postmoderni come Umberto Eco, che ha scritto "Il nome della rosa" (1980), un romanzo che mescola storia, mistero e teologia. I romanzi che in una certa misura hanno segnato gli anni Novanta del Novecento sono "Castelli di rabbia" (1991), "Oceano mare" (1993), "Seta" (1996) di Alessandro Baricco. In copertina foto di Priscilla Du Preez 🇨🇦 su Unsplash Read the full article
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Mishima 50: la spada, la vita in vendita, il volo sull’F-104
Yukio Mishima avrebbe voluto che la sua opera fosse riletta a partire dall’ultimo atto, dallo scatto, il suicidio rituale accaduto il 25 novembre del 1970. Gli scritti – una mole impressionante di scritti, tra romanzi e intenzioni – riassunti in un gesto, in un fendente. Il fatto che il suicidio rituale ordito da Mishima si sia svolto in forme grottesche, violacee, con rari complici, alimenta, a contrario, il senso del martirio. Una vita si riassume in una terzina – sintesi verbale propria di Dante – cioè in una scelta, in un singolo, definitivo azzardo; l’opera serve per scemare in labirinto il banale, il brutale. D’altronde, si scrive con l’intenzione – per quanto remota, velata, dimenticata – di vincere la morte; scagliandosi nel morire.
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Esteta della forma letteraria, Mishima lo diventa della forma fisica – egli cerca far aderire la carne al verbo. Quanto più la sua opera si dilata – la quadrilogia terminale – tanto più il corpo si fa asciutto, la decisione esatta, un punto. L’opera si divarica, ramificandosi; il corpo si concentra in un singolo gesto. Il giorno della morte, per Mishima, coincide con quello della vita, con la fine del ciclo “Il mare della fertilità”. La morte fertilizza la vita, è fertile.
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L’opera disattende sempre le intenzioni dell’autore. In Mishima questo accade in forma miliare. “Il mare della fertilità” non è il suo capolavoro – a parti meravigliose se ne alternano altre faticose. È l’opera, però, gravida di conseguenze – infine, non si scrive per dilettare ma per dilaniare. Avventarsi verso di sé, sventrandosi: lo scrittore, di suo, non ostenta la bella mente ma le viscere, che puzzano.
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Vita in vendita, romanzo laterale di YM, dovrebbe uscire per Feltrinelli nella traduzione di Giorgio Amitrano; è uscito negli Stati Uniti con una certa rilevanza – riporto, in basso, la recensione del “NY Times”. Il tema è determinante, la data palpita. Il protagonista, afflitto da nichilismo postmoderno, mette in vendita la sua vita. Per lui la morte è un gioco, la vita un peso: diversi danarosi lo affittano; ma lui non muore mai. Non riesce mai a morire. Il tema è sorprendente: in verità abbiamo svenduto la vita al re del mondo, non siamo in grado di giocare l’esistere fino all’abisso, fino all’urlo. Mishima inscena una specie di personaggio di Dostoevskij, radioso nel grottesco. Il sesso perturba e disturba – il protagonista viene comprato da un vecchio magnate per diventare l’amante della moglie, giovanissima, che se la fa con un mafioso: l’intento è provocare una gelosia assassina –, e di ogni relazione Mishima disseziona il mostro.
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Mishima atterra per la prima volta negli Stati Uniti nel 1951 – rifiuto e fascino si mescolano. Vi si trasferisce, per sei mesi, nel 1957, tentando la fama teatrale (conosce Tennessee Williams, tra l’altro). Andrà meglio dal 1960: i suoi libri vengono tradotti, le pièce messe in scena e lui diventa un ‘personaggio’, come vuole la tradizione americana. Vite in vendita esce, a puntate, su “Playboy” nel 1968. Nello stesso anno lo scrittore, icona anticonformista, scrive Sulla difesa della cultura: da una parte insiste sulla libertà di pensiero, sull’individualismo sovrano, contro ogni regime totalitario; dall’altra sul legame con la tradizione. “Il comunismo è quindi inconciliabile con la cultura giapponese perché nega la figura imperiale, garante della continuità storica e dell’unità culturale e razziale dei giapponesi” (Virginia Sica). Mishima è divisivo, come una spada: non soddisfa gli studenti di sinistra né gli organici di destra; di certo, il Nobel per la letteratura, a causa delle sue posizioni, sfuma, assegnato al suo maestro, Yasunari Kawabata.
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In una lettera a Kawabata, nell’anno in cui scrive Vita in vendita, di ritorno da un viaggio in India – Mishima non viaggia per assistere, per vedere, ma per cercare –, la certezza dell’opera. “Saranno circa milleduecento pagine, e devo scriverne ancora quasi trecento per raggiungere la metà. Mi sono gettato in un’impresa troppo audace”. L’audacia del lavoro solitario – un allenamento – scandisce la distanza dal mondo degli intellettuali, apice della decadenza, etica in melma: “Nell’evoluzione che si delinea in Giappone e nei giapponesi, in particolar modo tra gli intellettuali, sono numerosissimi gli aspetti che mi disgustano, e considero spaventoso il torpore che regna persino negli ambienti letterari”. Disgusto, torpore: la consuetudine tarpa le ali all’opera, si alimenta di chiacchiere, alienata dal sacro. “Il mio recente volo a bordo di un caccia supersonico F-104 è stato un’esperienza esaltante”, scrive, infine, a Kawabata. Eccolo, Mishima. Il volo. L’acciaio dell’esistere. L’ebbrezza che salda l’opera. Eccedenza di vita che ci concede alla morte: tra la spada che falcia la carne e la velocità del suono l’esegesi è la rinascita. (d.b.)
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Come molti grandi e prolifici scrittori, Yukio Mishima organizzava il proprio tempo. I romanzi più importanti, tra cui la tetralogia “Il mare della fertilità”, sono opere di rilievo, colme della sua ideologia nazionalista, di destra, ma anche di abissi, di profondità universali. Sono questi i libri che lo hanno portato per tre volte alla candidatura al Nobel per la letteratura. Vita in vendita [“Life for Sale”] è tra quei lavori che Mishima ha definito “minori”, seriali. Ne scrisse diciassette in vent’anni. Vita in vendita è l’ultimo, pubblicato nel 1968.
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“Nel migliore dei casi erano pietre senza valore, abilmente tagliate e lucidate. Lo stesso Mishima disprezzava quei romanzi, quando li finiva era impermeabile alle critiche nei loro riguardi”, scrive John Nathan, biografo di Mishima. Lo scrittore disprezzava questi libri come Graham Greene i suoi “divertimenti”, eppure, ci sono echi di inquietudini profonde che vanno al di là delle parole dell’autore.
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Mishima, come si sa, muore uccidendosi, nel 1970, dopo aver preso d’assalto un quartier generale militare, con alcuni membri del suo esercito, pronunciando un discorso in virtù del ritorno delle antiche tradizioni del Giappone; infine, realizzando il seppuku, l’antico rituale samurai di suicidio per sventramento. Hanio Yamada, giovane copywriter protagonista di Vita in vendita, tenta il suicidio per ragioni molto meno ideologiche o eroiche di Mishima. In effetti, non ha alcuna motivazione. “Se fosse stato costretto a trovare una ragione, avrebbe potuto concludere che voleva uccidersi per capriccio”. Dopo aver fallito nel suo tentativo, inserisce un annuncio su un giornale locale: “Vita in vendita. Usami come desideri. Sono maschio, ho 27 anni. Discrezione garantita. Non causerò alcun disturbo”.
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La prima persona a rispondere all’annuncio è un vecchio la cui moglie, molto giovane, ha avuto una relazione con un mafioso. “Le chiedo di conoscere mia moglie, di diventare il suo amante, di assicurarsi che il mafioso vi rintracci. Egli, probabilmente, vi ammazzerà. È disposto a morire così per me?”. Hanio riesce a fare tutto tranne che morire. E presto scopre che si guadagna meglio con tizi simili che non lavorando. Vita in vendita è stato pubblicato a puntate su “Playboy”, ha ritmo, soprattutto nelle scene in cui Hanio, di fronte a diverse disavventure, riesce comunque a cavarsela.
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Sono la velocità e la stravaganza del libro a renderlo affascinante. “Ho sempre voluto avere un gatto siamese come animale domestico, ma non ci sono mai riuscito”, dice Hanio a un cliente. “Quando sarò morto le sarei grato se potesse prenderne uno e occuparsene, come se fosse mio”. A un cliente suggerisce di usare i soldi che gli avrebbe pagato qualora fosse morto “per comprare un coccodrillo o un gorilla: così, ogni volta che guarderà i suoi occhi si ricorderà di me”.
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Il romanzo, pur felice, ha sfumature cupe, esistenziali. “Una volta che il mondo è stato trasformato in qualcosa che ha senso, alcuni pensano di poter morire senza rimpianti. Altri pensano che siamo in un mondo privo di senso, quindi perché vivere? Dove convergono queste due opinioni?”. Anche in un’opera eccentrica come questa, sono presenti molti dei temi cari a Mishima: la ragione per vivere e morire, la pulsione di morte, l’erotismo del morire, la modernizzazione, l’occidentalizzazione del Giappone”.
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La natura della morte di Mishima getta un’ombra su tutto ciò che ha scritto. “La tua prontezza di fronte alla morte è encomiabile. Hai il cuore e l’anima di un guerriero”, dice un personaggio a Hanio. Sono parole che si adattano perfettamente alla visione del mondo di Mishima. Ma l’ossessione di Hanio per la morte è spensierata, priva di ombre. Soltanto due anni prima della sua morte, Mishima faceva dire al suo personaggio qualcosa di sottilmente comico: “C’era qualcosa di divertente, non poteva essere disturbato proprio ora per combattere”.
John Williams
*Si riproduce parte della recensione di John Williams, pubblicata sul “New York Times” come “An Absurdist Noir Novel Shows Yukio Mishima’s Lighter Side”
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Recensione: La donna dei miei sogni, di Nicolas Barreau.
Prima di cominciare a parlare effettivamente del libro vorrei soffermarmi per poche righe sullo scrittore.
Di Nicolas Barreau si sa davvero poco, considerando che la sua unica biografia ci è fornita sul retro della copertina del suo romanzo. Prima di scrivere una qualunque recensione è mia abitudine documentarmi sullo scrittore e attingere a qualche curiosità o evento della sua vita che possa in qualche modo aiutarmi a comprendere sempre di più il romanzo e la storia. Ogni scrittore lascia un po’ di se stesso nella propria opera e, infatti, Nicolas Barreau nasce a Parigi, la capitale della Francia dove sono ambientati i suoi romanzi.
“La donna dei miei sogni” è il suo romanzo di esordio, la cui prima pubblicazione risale al 2007. A primo impatto la trama sembra molto semplice ma nella sua estrema e lineare semplicità sa sorprendere il lettore, il quale si troverà fin da subito immerso in un contesto ironico e coinvolgente. Il giorno il cui mi è stato regalato il libro, rigorosamente dal mio fidanzato, ero sommersa dagli esami all’università. Decisi di cominciare a leggerlo tra una pausa e l’altra dallo studio ma in realtà ne fui così presa da dimenticare per ventiquattro ore i miei impegni. Antoine, il protagonista, si innamora a prima vista della donna seduta al Caffè de Flore, proprio come è capitato a me di innamorarmi di questo libro alla prima frase. Il tema dell’amore pazzo e irrazionale trionfa sulla monotona vita di tutti i giorni. Attraverso la storia si possono incontrare personaggi singolari e comici, le cui vite si intrecciano, anche se solo minimamente, con quella del pazzo innamorato. La scrittura semplice e scorrevole permette al lettore di immergersi nella storia senza sforzo, mentre l’amore a prima vista del protagonista ci fa sperare nella rinascita di un romanticismo ormai quasi del tutto scomparso. L’umanità dei singoli personaggi emerge nei piccoli gesti spontanei descritti alla perfezione dallo scrittore, dalle scene comiche che ognuno di noi si è sicuramente trovato a vivere nella vita di tutti i giorni. Finito il libro ho avuto la sensazione di dover abbandonare un amico di vecchia data, di lasciare un posto dove sono stata bene e serena. La Parigi di Barreau, magica e romantica, mi ha cullato per quel breve giorno, lasciandomi il cuore sporco di zucchero e gli occhi sognanti.
#nicolas barreau#la donna dei miei sogni#libri#libridaleggere#libriconsigliati#letture consigliate#letteratura#romanzo#amore#amore folle#parigi#recensione
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A primavera libri in boccio
Pensare la primavera significa pensare la rinascita, e quindi anche ad un nuovo inizio, alla possibilità di superare un periodo di difficoltà.
Ecco dunque una terzina di romanzi composta da Oltre l'inverno, l’ultima opera di Isabel Allende un testo di grande attualità che affronta temi di rilevanza mondiale come l'emigrazione e l'identità nazionale Mi sa che fuori è primavera, di Concita de Gregorio la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l'ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore, ricucendo la sua vita e Quando tutto inizia, di Fabio Volo , storia di Silvia e Gabriele, che s'incontrano a primavera, quando gli abiti son leggeri e la vita sboccia per strada.
Sono vite che sbocciano anche quelle delle quattro amiche protagoniste del romanzo Un incantevole aprile, di Elizabeth von Arnim , da cui sono stati tratti ben due film, così come quelle di Nadine e Julia, de I giorni del ritorno, di Louisa Young, opera sul ritorno alla vita e sulla forza di costruirsi un nuovo inizio a dispetto di ciò che il destino ha scelto per noi. E sono passi in cerca del futuro. Quelli di Marian Izaguirre, autrice de I passi che ci separano.
Anche in primavera si muore, però. Così accade nei graziosi gialli ambientati a Milano - Il demone di Brera, di Ippolito Edmondi Ferrari – a Roma – Roma enigma, di Gilda Piersanti – e a Bolzano – Nessuno muore in sogno, di Katia Tenti.
Altri bei polizieschi ambientati in questo periodo dell'anno sono il recente Un po' di follia in primavera, di Alessia Gazzola , La primavera tarda ad arrivare di Flavio Santi, ed il celeberrimo La verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker .
La primavera è anche e soprattutto felicità. Quella de Il ministero della suprema felicità, di Arundhati Roy: “un mondo in cui i personaggi varcano confini di etnia, religione e genere per trovare, davvero, quella suprema felicità di cui parla il titolo del romanzo.”
Primavera è il movimento verso il sogno, finché tutto diventa possibile, de Ho imparato a sognare di Michele Orione. E' il luogo dove Tutto è possibile, di Elizabeth Strout .
Il mondo che cambia è pure quello, però, delle primavere di anni terribili. Il 1917, ad esempio, anno in cui Maria Rosa Radice, protagonista del romanzo Le regole del fuoco, di Elisabetta Rasy, lascia gli agi della sua casa a Napoli. Un romanzo vibrante, in cui la guerra viene raccontata dalla prospettiva misconosciuta delle donne al fronte. Ma anche un romanzo che parla di forza ed emozioni, e che ci mostra come l'amore non abbia mai avuto confini, perché i sentimenti esplodono sempre senza chiederci il permesso. Altrettanto terribile fu il 1968: disorientante, scosso da manifestazioni studentesche, scontri con le forze dell'ordine e fra la destra e la sinistra politiche. Ce ne racconta Marco Vichi, con un altro bel romanzo giallo intitolato Nel più bel sogno. Infine, vi proponiamo la primavera del 1963 de La Rossa, di Daniele Manca. È una primavera che non promette affatto bene: le elezioni hanno appena rimescolato le carte della politica, promettendo nuove tensioni. E una pioggia incessante pare voler infierire su una Milano ombrosa e amara.
Forti, terribili, importanti, sono state anche le agitazioni e le proteste cominciate fra la fine del 2010 e l'inizio del 2011 in Siria, Libia, Egitto. Quelle che giornalisticamente vengono identificate dall'espressione Primavera araba. Quella di Ultimo giro al Guapa - ritratto scabroso e vero della generazione delle primavere arabe tra fermento politico e ansie, tra aspirazione alla libertà e repressione - di Saleem Hahhad. Quella, anche, di Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco il 17 dicembre 2010. Un gesto orgoglioso e disperato che accese la miccia della rivoluzione dei gelsomini in Tunisia e divenne il simbolo della primavera araba. Tahar Ben Jelloun, in un racconto intenso e poetico intitolato, appunto, Fuoco, ricostruisce i giorni che hanno preceduto questo sacrificio. La storia di un ragazzo moderato che, stremato e disperato, senza più fiducia nel futuro, decide di darsi fuoco per attirare l'attenzione del mondo e cambiare le regole del gioco. Di Primavera araba di narra anche Mathias Enard, ne il suo Via dei ladri.
Vogliamo però chiudere questa breve e non esaustiva carrellata primaverile con la freschezza ed il profumo dei fiori. Quelli di Un piccolo negozio di fiori a Parigi di Maxim Huerta, del famosissimo Il linguaggio segreto dei fiori di Vanessa Diffenbach e de Il profumo del pane alla lavanda di Sarah Addison Allen.
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Nuova serie per J. R Ward
Giusto perchè non era già complicato abbastanza J. R Ward ha deciso di aggiungere una nuova serie spin off alla sua serie di libri Confraternita del pugnale nero e ambientata nello stesso universo.
Dopo Gli eredi della Confraternita del pugnale nero, Gli angeli caduti,e Black Dagger Brotherhood: Prison Camp (di quest’ultima serie ha scritto solo il primo libro inedito in Italia), ecco che arriverà nel 2021 la serie Lair of the wolven, il cui primo libro si intitolerà Claimed.
Si conosce già la sua copertina....
Ma per quanto riguarda la trama abbiamo solo una stringatissima sinossi che recita: una scienziata cerca di salvare una specie di lupi in via di estinzione solo per finire ei stessa in una trappola mortale...
Questo non ci dice molto, ma alcune cose sono sicure perchè le ha rivelate l’autrice in alcune interviste:
- finalmente dopo averli nominati incontreremo i licantropi di questo suo universo e li conosceremo meglio
-Sembra che Syn, il protagonista di The Sinner (libro 18 della serie principale) possa essere un mezzosangue vampiro licantropo forse.
Inoltre finalmente abbiamo una data per l’uscita italiana di The sinner per l’editore Mondolibri : Dicembre 2020
Si tratta del libro n. 18 della serie Confraternita del pugnale nero
Trama: La vita è stata dura con Syn, che nel Vecchio Continente, molti secoli prima, ha versato il sangue di suo padre per non doverne più subire la violenza. Ora fa parte della Banda dei Bastardi ed è un vampiro brutale e solitario, che per la sua imprevedibilità la Confraternita considera una spina nel fianco. In lui infatti alberga una malefica compulsione alla morte, che sfoga uccidendo i lesser e i peggiori esemplari della razza umana. Un’attività che svolge in veste non ufficiale e che i Fratelli ignorano... Quando accetta di mettersi al soldo di un boss della criminalità organizzata, Syn incontra Jo Early e la sua vita cambia: perché lei gli ruba il cuore e perché lei è l’obiettivo sulla lista nera del boss… Nel frattempo guerra fra lesser e vampiri giunge alle battute fina - li: la profezia del Dhestroyer sta per avverarsi, ma a quale prezzo?
Visti la miriade di libri e serie di J. R. Ward siete in confusione e vi serve una mano per capire se vi siete persi qualche suo libro?
Non temete, sono qui per aiutarvi. Potete rileggere tutti i post che ho dedicato all’autrice cliccando sui tag in fondo al post. E qui sotto vi elenco i romanzi della serie principale La confraternita del Pugnale Nero:
(il primo titolo è quello dell’edizione Mondolibri, il secondo dopo il \ quello dell’edizione Rizzooli)
1.Dark lover. Un Amore Proibito/Il Risveglio
2.Lover Eternal. Un Amore Immortale/Quasi Tenebra
3.Lover Awakened. Un Amore Impossibile / Porpora
4.Lover Revealed. Un Amore Violato /Senso
5.Lover Unbound. Un Amore Indissolubile /Possesso
6.Lover Enshrined. Un Amore Prezioso/Oro Sangue
7.Lover Avenged. Un Amore Infuocato / Riscatto
8.Lover Mine. Un amore Selvaggio / Tu sei mio
9. Lover Unleashed - Un amore irresistibile / Ferita
10. Lover Reborn. Un amore Rinato / Rinascita
11. Lover at Last. L'ora dell'amore / Il cerchio degli amanti
12. The King. Il Re è tornato / Il Re
13. The Shadows / Le Ombre
14. The Beast / La bestia
15. The Chosen / La prescelta
16. The Thief / Ladra di Cuori
17. The Savior / Ossessione
18. The Sinner
Inoltre vi lascio qui anche il link a una timeline (cronologia dei fatti raccontati e della storia dell’universo della serie) della serie in lingua inglese, se potete leggetela perchè vi chirirà molte cose, tra cui il fatto che l’autrice la modifica di continuo.
Link: https://blackdagger.fandom.com/wiki/Timeline_in_the_novels
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IL PRIMO MONOGATARI 🇯🇵📚⠀ #leggendowaka⠀ ⠀ Il Taketori monogatari, conosciuto in Italia come "Storia di un tagliabambú" è considerato il padre di tutti i monogatari, il genere più popolare della letteratura giapponese. ⠀ La storia vede come protagonista un povero tagliabambú che acquisirà fortune quando troverà, all'interno del tronco di un bambù, un neonato estremamente piccolo che prenderà con sé e accudirà come un figlio. Una volta diventata adulta, dopo solo tre mesi, Kaguya-hime è ormai una fanciulla bellissima che attira l'attenzione di uomini potenti, tra cui l'imperatore, ma la sua natura ultraterrena le impedisce di sposarsi sulla terra. ⠀ In questo primo monogatari è evidente l'influenza della narrativa cinese del tempo, come anche la matrice autoctona di alcune elementi che, in seguito, verranno ripresi in opere successive e, anche, contemporanee. Infatti, da questo racconto non solo sono state tratte una serie di trasposizioni in anime o film, ma anche romanzi come "Hagoromo" di Banana Yoshimoto, nel quale ricorre il tema della veste di piume, centrale nella vicenda di Kaguya-hime in quanto simbolo di rinascita. ⠀ ⠀ Insomma, come primo esempio di monogatari e, di conseguenza, predecessore del più famoso Genji Monogatari, il Taketori monogatari è sicuramente un testo imprescindibile per comprendere a pieno l'evoluzione di un genere che ha fatto la storia della letteratura giapponese e che è, ancora oggi, un elemento fondamentale della loro identità culturale e letteraria! ⠀ ⠀ Lo avete letto o ne avete mai sentito parlare? Avete visto qualche sua trasposizione? ⠀ ⠀ #taketorimonogatari #storiadiuntagliabambú #letturegiapponesi #consiglidilettura #letteraturagiapponeseclassica #letteraturagiapponese #libribelli #leggodiverso #leggendoiclassici #classicigiapponesi #letture #marsilioeditore #waka #libriconsigliati #libridaleggere #leggodiverso (presso Japan) https://www.instagram.com/p/BwENCiGHhv8/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1n8nse5in0c6e
#leggendowaka#taketorimonogatari#storiadiuntagliabambú#letturegiapponesi#consiglidilettura#letteraturagiapponeseclassica#letteraturagiapponese#libribelli#leggodiverso#leggendoiclassici#classicigiapponesi#letture#marsilioeditore#waka#libriconsigliati#libridaleggere
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Tutta la vita che resta: un viaggio emozionante tra amore, perdita e resilienza. Recensione di Alessandria today
Un romanzo che tocca il cuore, scritto da Roberta Recchia.
Un romanzo che tocca il cuore, scritto da Roberta Recchia. Un racconto profondo e autentico. “Tutta la vita che resta” è un romanzo intenso e toccante che esplora i temi della perdita, dell’amore e della capacità di ricostruirsi. Con una scrittura fluida e delicata, Roberta Recchia ci conduce nel cuore della sua protagonista, facendoci vivere ogni emozione con straordinaria…
#Alessandria cultura#Alessandria today#amore e perdita#autori di successo.#autori italiani#emozioni e riflessioni#Google News#italianewsmedia.com#LETTERATURA CONTEMPORANEA#letteratura italiana#lettura emozionante#letture consigliate 2025#letture intense#letture per riflettere#libri che emozionano#libri consigliati#libri toccanti#narrativa contemporanea#narrativa di qualità#narrativa emotiva#narrativa intima#narrativa profonda#Pier Carlo Lava#resilienza umana#Riflessioni sulla vita#Rinascita personale#Roberta Recchia#Roberta Recchia autrice#Romanzi emozionanti#Romanzi italiani
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SAN BENEDETTO – Per gli “Incontri con l’autore – estate 2019” Simona Sparaco presenterà il libro “Nel silenzio delle nostre parole” martedi 13 agosto alle ore 21,30 alla Palazzina Azzurra. L’evento è organizzato dall’associazione “I Luoghi della Scrittura“, dalla libreria “La Bibliofila” con il contributo e il sostegno dell’Amministrazione Comunale e della Regione Marche. Conversa con l’autrice Cinzia Carboni.
“Nel silenzio delle nostre parole” è il romanzo vincitore del Premio “DeA Planeta 2019”. Simona Sparaco (1978) è madre di due figli. Dopo aver vissuto per molto tempo all’estero, è tornata stabilmente a Roma. Ha scritto sceneggiature e romanzi; tra questi, “Nessuno sa di noi” è stato finalista al Premio Strega nel 2013. I suoi libri sono tradotti in numerosi paesi europei, in Sudamerica, Giappone e Russia.
«Un romanzo corale che parla di vita. Il suo libro più bello» Chiara Gamberale. «Leggendo queste libro ci sono cose che ti resteranno per sempre» Massimo Gramellini. «Il romanzo più maturo di un’autrice amatissima» Michela Marzano. «Un piccolo miracolo di umanità, uno dei pochi veri romanzi di oggi» Antonio Scurati. «Una storia ad alto tasso di commozione» Eleonora Barbieri, ‘Il Giornale’. «Il romanzo che ha vinto la prima edizione italiana del premio DeA Planeta ci parla di morte e rinascita. Di particolari che si incidono sulla pelle, di dolore e speranza» Marta Cervino, ‘Marie Claire’.
«Un libro di rapporti umani che racconta un mondo ordinario in maniera straordinaria» Marcello Fois. «È impensabile smettere di leggere questo libro. […] L’ho amato immensamente» Fabio Geda «Il romanzo della Sparaco è denso di umanità, nella sua forma più contorta e complessa, quella che unisce i genitori a figli e i figli ai genitori. Ed è – cosa rara per la letteratura italiana – un romanzo europeo» Antonio Polito, ‘Corriere della Sera’. «Questo libro vi farà del male. Ma poi vi farà più bene» Rosaria Renna. «Un romanzo profondo, doloroso e commovente con il ritmo di un thriller» Alessandra Tedesco, radio 24
È mezzanotte e una nebbia sottile avvolge la metropoli addormentata. In un palazzo di quattro piani, dentro un appartamento disabitato, un frigorifero va in cortocircuito. Le fiamme, lente e invisibili dall’esterno, iniziano a divorare ciò che trovano.
Due piani più in alto, Alice scivola nel sonno mentre aspetta il ritorno di Matthias, il ragazzo che ama con una passione per lei nuova e del quale non è ancora riuscita a parlare a sua madre, che abita lontano e vorrebbe sapere tutto di lei. Anche Bastien, il figlio della signora che occupa un altro degli interni, da troppi mesi ormai avrebbe qualcosa di cruciale da rivelare alla madre, ma sa che potrebbe spezzarle il cuore e non trova il coraggio.
È un altro tipo di coraggio quello che invece manca a Polina, ex ballerina classica, incapace di accettare il proprio corpo dopo la maternità, tantomeno il pianto incessante del suo bambino nella stanza accanto. Giù in strada, nel negozio di fronte, Hulya sta pensando proprio a lei, come capita sempre più spesso, senza averglielo mai confessato, ma con una voglia matta di farlo.
Per tutti loro non c’è più tempo: un mostro di fuoco sta per stravolgere ogni prospettiva, costringendoli a scelte estreme per colmare quei silenzi, o per dare loro un nuovo significato.
Con una straordinaria sensibilità e una scrittura che diventa più intensa a ogni pagina, Simona Sparaco indaga i momenti terribili in cui la vita e la morte si sfiorano diventando quasi la stessa cosa, e in cui le distanze che ci separano dagli altri vengono abbattute dall’amore più assoluto, quello che non conosce condizioni.
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“Il male è più rassicurante di quello che pensiamo”: Simone Cerlini dialoga con Davide Longo
Davide Longo è nato a Carmagnola nel 1971. I suoi primi romanzi sono stati recentemente ripubblicati da Feltrinelli: Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001, Feltrinelli Zoom Filtri 2015) e Il Mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004, Universale Economica Feltrinelli 2016). Ha curato nel 2007 una raccolta di racconti di montagna per Einaudi. Nel 2010 pubblica per Fandango L’uomo verticale (Premio Città di Lucca). Nel 2014 esce per Feltrinelli Il caso Bramard, cui segue Così giocano le bestie giovani, nel 2018. Per NN è uscito un piccolo gioiello nel 2016, Maestro Utrecht. Uomo poliedrico, scrive per il teatro e la radio, ha pubblicato libri per bambini, insegna alla scuola Holden di Torino, dove vive e lavora. Viene dalla periferia, la sua è una famiglia operaia, ha insegnato in una scuola professionale. Frequenta i salotti buoni, ma si tiene a dovuta distanza. Immerso nel mondo radical chic degli intellettuali integrati, non perde occasione per allontanarsene, per rimarcare, in silenzio, una separazione che qualcun interpreta come ritrosia sabauda, qualcuno come sospetto e accusa.
Il nemico dichiarato di Longo è l’essenza dell’occidente, il mondo fondato sul denaro, questo impasto faustiano di cupidigia e tecnica in rapida decadenza, che sta per essere sostituito dal nuovo mondo fondato sul sangue. Davide Longo è il profeta del Tramonto dell’Occidente per dirla con Spengler. Sarebbe però più utile parlare di rarefazione. Ciò che accomuna i romanzi di Davide Longo è l’impossibilità del radicamento, del trovarsi a proprio agio, del riconoscere e prevedere gli eventi, e dunque una progressiva, necessaria e ineludibile messa in discussione della propria identità. Questo scardinamento dell’ordine, che si accompagna allo spaesamento, al guardare le cose per la prima volta, costringe a una ridefinizione del tempo. Il tempo si fa rarefatto: gli eventi non si giustappongono in serie note di cui dominiamo le sequenze. Gli eventi accadono per la prima volta, acquisiscono la forza di punto cardinale, di pietra di paragone e fondano un nuovo ordine, assumono valore originario, potremmo dire, in ultima analisi, sacro.
Ciò che accomunava i tre primi romanzi di Davide Longo era la posizione dello sguardo: uno sguardo decentrato, ma dovremmo dire forse più propriamente spaesato, o perplesso. Storie di naufraghi che prendono a poco a poco consapevolezza e possesso del continente in cui il mare li ha gettati. Nella serie dedicata a Corso Bramard sono gli eventi del passato a estraniare il protagonista dalla visione consueta della realtà: il contatto con la follia criminale e violenta (di un singolo o di una collettività) capace di stravolgere l’esistenza rendendola liquida, anch’essa folle, inspiegabile.
Iniziamo dal principio. I tuoi primi romanzi sembrano meditazioni su ciò che propriamente dura, dopo un cambiamento epocale: penso al crollo delle torri gemelle del settembre 2001. Penso all’accettazione della brutalità. Che cosa pensi della rinascita così violenta della barbarie dentro la pancia grassa, ma fiacca e guasta, dell’Occidente?
La barbarie non si estingue mai, semplicemente si disloca, cambia posto, si diluisce o compatta. Dall’origine dei tempi male e barbarie coesistono con bontà e speranza. La loro dinamica è perfettamente narrativa, narrativamente in equilibrio, e, infatti, le storie non hanno mai fine. Non ci sarà mai una storia che racconti un male non plausibile, improbabile, ogni male ci è presente, anche nella nostra società che in questa fase storica conosce un male più appartato, sporadico. La maggior parte delle serie tv, il genere narrativo attualmente più vivo e “ricco” raccontano di serial killer, malfattori, presidenti assassini. Il male ha mille forme e sempre le stesse forme. È una presenza più rassicurante di quanto pensiamo. Un vecchio amico che non sempre vogliamo incontrare, ma ci rassicura ogni tanto avere sue notizie, sapere che c’è.
Che la presenza ineludibile del male sia “rassicurante” è un bel paradosso. L’idea si fa evidente con la saga di Bramard. La barbarie nel nostro mondo molle, anche prima del 2001, non era per niente debellata, serpeggiava non vista. Basta un pretesto perché la violenza rinasca, come negli anni di piombo. Sembra che sia connaturata all’uomo, e non più un esito del complotto pluto massonico o dello stato imperialista delle multinazionali. Non è un caso che l’uomo nuovo sia un’idea che accomuna i totalitarismi: da Lenin ad Achille Starace.
La barbarie è propria dell’uomo e contemporaneamente ciò da cui l’uomo perennemente cerca di fuggire ed emanciparsi. Un elastico lega l’uomo e la barbarie: mi allontano dalla barbarie perché la mia natura è civile e sociale, ma ben presto mi accorgo che più me ne allontano più rinuncio alla vitalità che in essa e presente, e l’elastico mi trascina di nuovo verso di lei. Ci vuole molta intelligenza, saggezza e anche una vena di pazzia per essere vitale e barbarico senza cadere nella parte violenta e nefasta della cosa.
Anche ne L’uomo verticale si nota una sotterranea ammirazione per il barbarico, che ha anche i caratteri della sfrontatezza e del coraggio. Come se avessimo in noi una forza ancestrale capace di riportare l’umanità a un punto originario, in un’opera di smascheramento.
Il processo creativo è uno dei momenti in cui si può ottenere questa epifania. L’agonismo sportivo è un altro momento. In fondo sono due atti fisici e creativi che implicano una forza, una violenza (Michelangelo che martella il marmo), ma li salva il fatto di inseguire una forma di bellezza che sarà goduta da più.
Come la perfezione del gesto atletico del pugilato.
Tutto il tempo che abbiamo passato sulla terra dovrebbe mirare alla ricerca di queste forme di vitalità emancipate dalla barbarie. Inseguiamo l’energia pulita, no? Perché non una barbarie pulita! È un traguardo filosofico, non realistico. È un viaggio.
Ti cito alcune celebri frasi di P.P.P: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Il legame con le Bestie giovani è evidente. Che cosa sai Davide?
Pasolini non era l’unico a sapere. Moltissimi hanno saputo, moltissimi sanno. Non per chiaroveggenza, ma per voglia di documentarsi, connettere, esercitare l’arte del sillogismo. Basta leggere alcuni articoli di giornale usciti a caldo dopo quelle stragi che sono rimaste buchi neri nella storia italiana. Vi si ritrovano suggerite tesi e ipotesi che commissioni parlamentari e processi metteranno nero su bianco decenni dopo. Ciò vuol dire che le trame non erano così occulte nemmeno sul momento o le piste così coperte. Certo non c’erano le prove. Questo è quanto solleva Pasolini. L’aspetto che m’interessa esplorare, con Così giocano le bestie giovani, è però un altro: immaginiamo che non solo Pasolini e altri sapessero, ma che avessero trovato anche le prove. Cosa sarebbe cambiato? Un esempio pratico: facciamo l’ipotesi che il Dc9 di Ustica sia stato abbattuto dagli Americani, o dai Francesi, o dai Libici. Se ne trovano le prove, un mese dopo l’abbattimento. L’Italia era davvero in una condizione tale da potere avere spazi di manovra in proposito. Di là dalla retorica e dell’indignazione di facciata. Se gli americani o chiunque altro fosse stato preso con le mani nella marmellata, avesse addirittura ammesso “Sì, scusate, siamo stati noi, c’è scappato un missile!”, concretamente come sarebbe cambiata la vicenda giudiziaria di queste stragi, la politica italiana, la posizione del nostro paese nello scacchiere? La risposta che mi do è: pochissimo, forse niente. Questo mi pare triste e teatrale insieme. O per dirla come Flaiano ben intuì: “Drammatico, ma non serio”. La nostra posizione politica per tutto il periodo della guerra fredda purtroppo è stata regolata da questa cifra “l’impossibilità di fare delle scelte e di conseguenza di essere seri”. Come può essere seria una democrazia che non prevede una reale possibilità di alternanza. E’ un teatro, chiaramente, una pantomima.
Di nuovo il tema della maschera, del teatro.
È questa la nostra cifra. Ecco perché l’unica categoria con cui mi sembrava possibile avvicinare le vicende di cui tratta il romanzo, quelle drammatiche degli anni Settanta, era il grottesco.
Nell’ultimo romanzo l’ispettore Arcadipane medita sull’alleanza tra denaro e bellezza. Mi chiedo se in filigrana ci sia anche il dubbio che quest’alleanza riguardi anche l’intelligenza e cultura, creando un mondo di caste separate per qualità genetiche. Che spazio c’è per gli ultimi?
Per questioni sociali, che sono facili da capire, ricchezza e bellezza tendono l’una all’altra, è un fattore biologico: la storia lo mostra e lo continua a mostrare, ma non credo funzioni nello stesso modo per la cultura. La cultura, qualunque cosa sia è sfuggente, difficile da pesare e quindi da vendere. È il gioco di carta, forbice e sasso. Denaro, bellezza e cultura. Però quando giochi la cultura è difficile capire chi vince contro chi. Arthur Miller conquistò Marilyn Monroe per molti motivi, ma di certo anche perché era un uomo di cultura, uno scrittore, un intellettuale apprezzato e riconosciuto. Il contrario di quello che si poteva pensare di Marilyn che giocava un po’ la parte della bella svampita. Quindi la cultura apparentemente conquista la bellezza. Ma siamo sicuri che Miller abbia influenzato la cultura del ’900 più di Marilyn? E di conseguenza che Miller sia stato un uomo di cultura più di quanto Marilyn sia stata una donna di cultura? Non abbiamo molte difficoltà a definire chi è bello, chi è ricco o chi è potente, ma per chi gioca un ruolo nella cultura e sulla cultura la cosa è molto più complessa, se non ci fermiamo agli stereotipi di “chi ha letto più libri”.
Nessuno è innocente, nei tuoi romanzi, ma qualcuno è un po’ più colpevole degli altri. Mi spieghi perché i personaggi più odiosi dei tuoi romanzi fanno parte di una classe privilegiata, colta e ricca, propriamente radical chic, intelligenti intellettuali di buona famiglia, che leggono Einaudi e Adelphi?
La prima parte della tua domanda è corretta: nessuno nei miei libri è propriamente innocente. La seconda però è imprecisa. Dal momento che nessuno è innocente del tutto, risultano colpevoli anche coloro che provengono o accedono alle classi privilegiate, questo è vero, ma non in maniera differente dagli altri. Semplicemente che capiti a loro, colpisce di più. Ecco perché lo si nota. Inoltre dovremmo distinguere tra la colpa a rigore di legge e la colpa determinata da valori che la legge non riconosce o difende. Un padre che non ama un figlio, se provvede al suo sostentamento e non lo picchia, non può essere perseguito per legge, eppure esercita una violenza, accumula una colpa. La colpa i cui confini sono tracciati dalla legge la trovo meno interessante. Me ne servo per costruire la trama, ma sono più interessato all’altra forma della colpa, quella che si muove nel terreno vergine e privo di giudici dell’umano. Ecco perché i miei libri, quando sono dei noir o gialli, sono sempre gialli e noir impuri. Il manifesto di questo territorio è La Promessa di Dürrenmatt. Un giallo che segna la fine del giallo. Trovo sia bello camminare tra le macerie, nelle discariche si trovano cose interessanti, di cui si può fare un uso fantasioso. I miei libri sono come quelle case, dove ci sono oggetti che non fai fatica a riconoscere, ma che sono usati per una funzione diversa da quella per cui erano stati creati. Starei ore a guardare un tale che durante la colazione s’imburra una fetta di pane con un calzascarpe. Forse nemmeno un secondo un tale che con il calzascarpe s’infila i mocassini.
Simone Cerlini
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NETHERLANDS – JULY 18: NETHERLANDS Photo of Tina TURNER, performing live onstage at Groningen (Photo by Paul Bergen/Redferns)
Hello!
Febbraio è stato un mese un po’ malinconico, ma fortemente introspettivo, ispirante, creativo. E’ il mese degli Oscar, di Sanremo, il mese in cui finiscono gli esami, il mese in cui ti sembra di chiudere un cerchio, qualcosa. Ecco, per me, l’anno potrebbe incominciare a febbraio. Per me é come il mese della catarsi, che lascia a marzo la parte della rinascita .
Partiamo subito con i miei preferiti del mese!
LIBRI
Sono abbastanza contenta delle mie letture di febbraio, ma posso dire che marzo sta andando ancora meglio!
A febbraio ci sono stati libri che non mi hanno entusiasmata in modo particolare, altri che mi hanno colpita, affascinata, commossa.
Per dieci minuti, Chiara Gamberale
Questo è uno di quei libri che non mi ha entusiasmato moltissimo, più per lo stile di scrittura che per la trama in sè. In realtà l’idea su cui si fonda il libro l’ho apprezzata e trovata originale. Questa é la storia di Chiara (ogni riferimento è puramente casuale) , trentaduenne che viene lasciata dal marito e perde pure il lavoro . Che sfiga. Fino a quando , e qui incomincia il libro, la protagonista si rivolge da una terapeuta che le dà un compito: ogni giorno , per dieci minuti, Chiara dovrà fare qualcosa di nuovo. Così seguiamo le sue avventure, mentre impara a fare il punto croce , a cucinare dei pancakes, a ballare come una matta, a fare un giro su un sito pornografico, a suonare il violino Il libro é quindi una specie di diario. Aspetto positivo di questo romanzo é appunto l’idea iniziale, che fa sviluppare il romanzo nell’ottica di un tema importante che é quello del cambiamento. Il fulcro sembra proprio essere questo: piccoli cambiamenti, ogni giorno, fanno davvero cambiare e non é rifugiandosi nel proprio mondo che si supera una situazione di crisi. Il libro sembra insegnare a dare valore alla propria vita, responsabilizzandosi e valorizzando ciò che già c’é intorno a noi stessi. Questo ha provocato in me delle riflessioni, ma non abbastanza profonde da muovermi qualcosa. Per quanto mi riguarda, credo che se avessi letto questo romanzo qualche anno fa, o in una situazione di vita diversa mi sarei immedesimata di più (nonostante, forse, i libri belli sono libri belli, a qualsiasi età e in qualsiasi momento secondo me, ma capita che la trama di un libro possa seguire i battiti dei nostri passi in maniera quasi perfetta, e questo non può che dare un quid alla lettura). In ogni caso lo stile di scrittura l’ho trovato a tratti fastidioso, pieno di punteggiatura e frasi corte, ma in maniera forzata e non naturale (per intenderci, non come farebbe Baricco, che può piacere o non piacere, ma il suo modo di scrivere ha il suo perché). Ora, purché mi piaccia leggere, non mi va di soffermarmi su stile o particolari stilistici perché non ne ho le competenze, sta di fatto che non questo libro, a causa di questo fattore, e del finale che ho trovato banale, non mi ha colpito particolarmente.
Se non ti vedo non esisti, Levante
Seguo Levante come musicista, amo il fatto che sia un’artista indipendente e consapevole di ciò che scrive, oltre ad amare lo stile che ha. Perciò ero curiosa e avevo voglia di leggere questo romanzo, per poter addentrarmi anche nel suo modo di scrivere . Mi viene da fare un ragionamento opposto a quello fatto sopra per quanto riguarda Chiara Gamberale: la trama di questo libro non mi ha colpito, ma lo stile di scrittura di Levante mi è piaciuto. Una che di professione canta che scrive meglio di una che come professione scrive. Diciamola meglio, sempre perché non sono competente in questo campo: io ho apprezzato di più come scrive Levante. Come ha scritto questo libro. Ci sono frasi che mi sono sottolineata, delle metafore molto carine, dei commenti ironici che mi hanno divertita. Il libro racconta la storia di Anita , redattrice di una rivista di moda , un po’ inquieta, e si descrive usando la metafora “delle mille me“, che riflette i suoi cambiamenti di umore, il suo essere incostante. Nel romanzo si innamora di due uomini, durante una crisi consolidata con il marito . Ricorre più volte la frase: “io pago sempre il conto“. Questo mi è piaciuto per due fattori: il primo é che il personaggio di Anita in fin dei conti, anche se crede di amare più uomini contemporaneamente, é una donna indipendente, che ama offrire la cena al ristorante, senza per questo sentirsi meno donna. Legato a questo c’é il secondo motivo per cui questa frase mi è piaciuta: Anita, nel corso della storia, aumenta sempre di più la sua consapevolezza, comprendendo che è lei stessa che deve “pagare”, che deve scavare dentro di sè per fare i conti con le sue mille facce e per fare i conti con un passato molto doloroso. Il personaggio di Anita me lo sono raffigurato con un colore rosa tenue ; dentro, invece, con un grigio malinconico. Insomma, la trama non mi ha colpito perché l’ho trovata a tratti banale e forse non mi ha coinvolto anche per il tema di cui trattava, ma ci sono state molte frasi acute che mi sono piaciute molto ed è un libro che consiglierei, sopratutto a quelle ragazze e donne che stanno vivendo una fase un po’ spaesata, che si sentono confuse.
Chesil Beach, Ian McEwan
Arriviamo al mio libro preferito di febbraio ! Un libro di 130 pagine che mi ha commosso e che ho lasciato sedimentare prima di leggere quello successivo. È la storia di Edward e Florence, una giovane coppia appena sposata. Siamo negli anni ’60 e la trama si svolge nell’albergo della prima notte di nozze, luogo in cui per la prima volta i due si trovano vicini fisicamente. Non mancano alcune digressioni storiche del contesto di riferimento e della vita dei personaggi, caratterizzata da mancanze affettive e sentimentali. Il libro è molto breve e a chi mi sta leggendo non voglio preannunciare molto, ma voglio dirti: leggilo! Leggilo perché McEwan ha la capacità di trasformare frasi in poesia, di disporre le parole in modo che sembri di leggere un’opera d’arte. La scrittura è delicata, il dolore e la situazione sentimentale dei due personaggi è descritta con una sensibilità che ho trovato rara. Ci sono molte emozioni in questo libro, mescolate a una descrizione di una società piena di convenzioni, che ingabbia e provoca senso di vergogna , senso di colpa, che genera persone che sembrano essere analfabeti sentimentali.
Come un romanzo, Daniel Pennac
L’ultima settimana di febbraio è stata accompagnata da questo libro che è un inno alla lettura! Questo è un saggio in cui Pennac cerca di smontare tutti gli aloni che ruotano attorno alla lettura, come il dovere di leggere, il dovere di terminare per forza un libro, il dovere di leggere solo determinate cose. Ho apprezzato sopratutto le riflessioni sulla scuola e sull’educazione , perché mi sono ritrovata molto, ho pensato a quando andavo alle superiori e mi assegnavano libri che poi avevo l’obbligo di recensire, e la maggior parte di questi non li ho nemmeno letti, chissà quante cose mi sono persa. Forse l’amore per la lettura l’ho respirato veramente dal mio professore di storia e filosofia: non so se avesse letto il libro di Pennac, eppure un giorno é venuto a scuola con un libro e ha iniziato a leggercelo ad alta voce. Il libro era “Novecento” di Baricco, e lo leggeva talmente bene che ti vedevi le immagini davanti, ti perdevi in un mondo, e quasi volevi portarti il prof a casa, e chiedergli di leggerti un altro capitolo, e un altro ancora. Saranno due anni che leggo con costanza vera , mi capita di non finire libri, mi capita di fare periodi in cui leggo solo saggi psicologici/sociali, periodi in cui leggo romanzi, periodi in cui non leggo. Ma quando associano la lettura con il dovere mi viene da svenire. Io stessa prima mi obbligavo a leggere certe cose. Alla fine ho capito che i libri che più amo sono quelli che hanno un filo psicologico, che parlano di sentimenti, oppure che parlano di storie vere, di bambini o donne maltrattati, di coraggio e ambizione. Ora alzi la mano chi è come me. Forse pochissimi, forse tanti. Io sono una lettrice tira pacchi eppure io sto bene così, provo piacere. Perché dovrei obbligarmi a leggere cose che non mi interessano?
FILM
Sì, lui, il film evento, girato dal regista di Whiplash ( che mi è piaciuto ancora di più) e questa é la mia scena preferita, con quei colori e quella musica. Sono andata a vederlo il 7 febbraio al cinema.
Devo dire che, per mio gusto, amo tutto ciò che è musical, è colorato, e che fa venire mal di pancia ai nerd. Avevo grossissime aspettative su questo film perché era attesissimo e devo dire che forse non é stato per me il film dell’anno come pensavo, ma comunque l’ho adorato. Ho adorato la fotografia del film, i colori, le sceneggiature, il fatto che ci fossero elementi antichi e moderni insieme, e questo ha fatto in modo che mi perdessi senza pensare in che epoca ero. E’ stato un momento sui generis. Ho adorato anche il fatto che questo è un musical moderno, perciò anche i personaggi sono moderni, e questo sta a significare anche parità tra i due sessi.
Ho adorato le parti cantate che secondo me ( forse non secondo chi odia i musical ) erano troppo ridotte. Ho adorato anche la riflessione esplicita che viene fatta sul jazz, genere musicale spesso ricondotto al puro accompagnamento.
Questo, in effetti, è un film dedicato “ai folli e ai sognatori” e per questo credo che molti non possano non amarlo.
I punti forse più critici a mio avviso sono stati quelli legati alle poche canzoni , che speravo fossero di più e ad alcune parti ( come la discussione a tavola dei due protagonisti, che sembrava una banale litigata che vedresti in milioni di altri film, quando io già me li immaginavo litigare cantando) che avrei apprezzato se fossero state più vibranti, più cantate, più magiche.
MUSICA
Vietato morire, Ermal Meta
Febbraio, cinique giorni di Sanremo. Cinque giorni all’italiana, sembra che il mondo si annulli. Ma non voglio parlare di Sanremo dal punto di vista mediatico, delle battute della De Filippi che non fanno ridere ( poverina, ma cosa le fate dire cose divertenti?), o di ospiti invitati a caso. Voglio parlare della canzone che ho più apprezzato. Forse non ho nemmeno una classifica, ma voglio parlare di questa canzone. E di lui.
Ermal Meta, l’unico ad essere salito sul podio con un testo tutto suo e quest l’ho trovato,già di per sé, super.
Il testo é una dedica alla madre, ma questo l’ho scoperto dopo. Mi ha commosso già così, come mi ha commosso il video e mi commuove ancora ora.
Mi sono sentita muovere dentro alle parole :
Non ho dimenticato l’istante in cui mi sono fatto grande, per difenderti da quelle mani anche se portavo i pantaloncini
Scegli una strada diversa, ricorda che l’amore non è violenza, ricorda di disobbedire e ricorda che è vietato morire
La vita che avrai non sarà mai distante dall’amore che dai
Mi commuove l’immagine di questo bambino, che si fa più grande di quello che è, che capisce ciò che vede. Mi colpisce il fatto che il fulcro della canzone sia la disubbidienza. Disobbedire per vivere, disobbedire per amare più forte. Ermal Meta riesce a cantare questo testo importante senza molta retorica, con una consapevolezza che si respira, che sta dalla parte del più debole, ma che alla fine ha un grande margine per scegliere, per ricominciare, per far sì che la macchia della violenza non si intacchi sulla pelle come una cicatrice.
Proud Mary, Tina Turner
Tutto un altro tipo di canzone. Tina Turner é una bomba della versione live di questa canzone, su YouTube si trova la versione girata durante il concerto a Wembley. Una canzone che scuote, che fa divertire. Grazie alla band ho potuto scoprirla ed é decisamente la canzone che mi dà la carica in queste giornate di febbraio !
https://m.youtube.com/watch?v=T2T5_seDNZE
Che sia un marzo pieno di cose belle!
Febbraio, caos catartico Hello! Febbraio è stato un mese un po' malinconico, ma fortemente introspettivo, ispirante, creativo. E' il mese degli Oscar, di Sanremo, il mese in cui finiscono gli esami, il mese in cui ti sembra di chiudere un cerchio, qualcosa.
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"La mia prospettiva del mondo e di te" di Luna M.: Una riflessione sulla salute mentale e la ricerca di sé
Un viaggio interiore tra fragilità e guarigione, nella battaglia contro lo stigma della salute mentale
Un viaggio interiore tra fragilità e guarigione, nella battaglia contro lo stigma della salute mentale. Il libro “La mia prospettiva del mondo e di te”, scritto da Luna M. e pubblicato nella collana “Gli Emersi – Narrativa” di Aletti Editore, è un’opera intensa che racconta una storia di fragilità psicologica e di rinascita personale. L’autrice, originaria di Roma e di professione educatrice,…
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Dolce introduzione al caos – L’introspezione emotiva di Marta Orriols. Recensione di Alessandria today
Un viaggio attraverso la complessità dell'animo umano, tra fragilità e resilienza.
Un viaggio attraverso la complessità dell’animo umano, tra fragilità e resilienza. Recensione:“Dolce introduzione al caos” di Marta Orriols è un romanzo che esplora con delicatezza e profondità il mondo delle emozioni umane. La storia segue il percorso interiore di Paula, una giovane donna che si ritrova a fare i conti con una perdita devastante e inaspettata. Attraverso la lente del lutto e…
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IL PRIMO MONOGATARI 🇯🇵📚⠀ #leggendowaka⠀ ⠀ Il Taketori monogatari, conosciuto in Italia come "Storia di un tagliabambú" è considerato il padre di tutti i monogatari, il genere più popolare della letteratura giapponese. ⠀ La storia vede come protagonista un povero tagliabambú che acquisirà fortune quando troverà, all'interno del tronco di un bambù, un neonato estremamente piccolo che prenderà con sé e accudirà come un figlio. Una volta diventata adulta, dopo solo tre mesi, Kaguya-hime è ormai una fanciulla bellissima che attira l'attenzione di uomini potenti, tra cui l'imperatore, ma la sua natura ultraterrena le impedisce di sposarsi sulla terra. ⠀ In questo primo monogatari è evidente l'influenza della narrativa cinese del tempo, come anche la matrice autoctona di alcune elementi che, in seguito, verranno ripresi in opere successive e, anche, contemporanee. Infatti, da questo racconto non solo sono state tratte una serie di trasposizioni in anime o film, ma anche romanzi come "Hagoromo" di Banana Yoshimoto, nel quale ricorre il tema della veste di piume, centrale nella vicenda di Kaguya-hime in quanto simbolo di rinascita. ⠀ ⠀ Insomma, come primo esempio di monogatari e, di conseguenza, predecessore del più famoso Genji Monogatari, il Taketori monogatari è sicuramente un testo imprescindibile per comprendere a pieno l'evoluzione di un genere che ha fatto la storia della letteratura giapponese e che è, ancora oggi, un elemento fondamentale della loro identità culturale e letteraria! ⠀ ⠀ Lo avete letto o ne avete mai sentito parlare? Avete visto qualche sua trasposizione? ⠀ ⠀ #taketorimonogatari #storiadiuntagliabambú #letturegiapponesi #consiglidilettura #letteraturagiapponeseclassica #letteraturagiapponese #libribelli #leggodiverso #leggendoiclassici #classicigiapponesi #letture #marsilioeditore #waka #libriconsigliati #libridaleggere (presso Japan) https://www.instagram.com/p/BwELtEwHV61/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=137a85nisy5dd
#leggendowaka#taketorimonogatari#storiadiuntagliabambú#letturegiapponesi#consiglidilettura#letteraturagiapponeseclassica#letteraturagiapponese#libribelli#leggodiverso#leggendoiclassici#classicigiapponesi#letture#marsilioeditore#waka#libriconsigliati#libridaleggere
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Dreamwalker. La ragazza che camminava nei sogni: intervista esclusiva a Mariachiara Cabrini
Lettrice accanita, bookblogger e scrittrice, Mariachiara Cabrini cura il blog L’arte dello scrivere… forse con il nickname di Weirde.
Molto conosciuta sulla rete, grazie alle sue recensioni di libri letti in lingua originale e non ancora pubblicati in italiano, e alle sue campagne mediatiche per portare in Italia i libri degli autori che più ama, ha una forte ammirazione per Jane Austen, adora le trame anticonvenzionali, i vampiri e i romanzi con eroine non bellissime, ma sorprendentemente in gamba.
Ha pubblicato Imprinting love (Zerocentoundici Editore, 2010), un rosa contemporaneo semi adolescenziale; La fiamma del destino (Lulu.com editore, 2011), un romanzo fantasy intrecciato col genere musical; I colori della nebbia (scritto assieme a Francesca Cani e pubblicato da Harlequin Mondadori, 2013), un romance storico; Le rocambolesche avventure di una lettrice compulsiva, un saggio ironico sulla figura del lettore; L’accomodatrice Lie for me (Lie4me Professione bugiarda edito da Harlequin Mondadori Elit, 2015 e ripubblicato col titolo L’accomodatrice, Pub.me, 2017), un divertente chick-lit e ora con Dreamwalker. La ragazza che camminava nei sogni si è gettata sul genere new adult di stampo dramatic paranormal.
La sua ultima fatica letteraria, infatti, tocca temi complessi e delicati, come la diversità, la violenza sulle donne, la droga, ma lo fa intrecciando realtà e fantasia per scoprire il vero valore dell’amore e dell’amicizia.
Per saperne di più, leggete l’intervista qui sotto!
Ha carta bianca e tre aggettivi per descriversi…
Lettrice, introversa e sognatrice.
Mai senza?
Una borsa enorme, ma anche alla moda, dove riporre ogni ben di dio possibile, devo essere pronta per ogni evenienza. Porto con me libri, più paia di occhiali, da sole e non, salviette, fazzolettini, ombrellino, da bere. Le borse piccole non fanno per me. Se anche arrivasse l’Apocalisse zombie, io con la mia borsa sarei pronta.
Cosa le piace leggere?
Sono una lettrice onnivora. Leggo di tutto veramente. Ma i generi letterari che prediligo sono il fantasy, l’urban fantasy, il giallo, il romance storico o contemporaneo, il paranormal, lo steampunk e lo sci-fi. Il mio mito è Jane Austen, mentre tra le scrittrici contemporanee i miei pilastri sono Mary Balogh e Lois McMaster Bujold. Ma amo anche Jayne Krentz e Nora Roberts e Nalini Singh e molte altre. Adoro le trame anticonvenzionali, i vampiri e i romanzi con eroine non bellissime, ma sorprendentemente in gamba. Odio gli zombie.
Se dovesse esprimere tre desideri?
Avrei almeno quattro serie di libri che ho letto in inglese che vorrei vedere pubblicate in italiano in modo che anche i lettori che non possono leggerle in lingua originale possano conoscerle. Ne nomino solo tre: La Sharing knife serie di Lois McMaster Bujold, La Psy-Changeling series di Nalini Singh e la serie Ghostwalkers di Christine Feehan.
La sua vita in un tweet?
Lavoro a uno sportello pubblico, leggo tanto e scrivo storie fantastiche, il tutto con ironia.
Ci parli del suo ultimo romanzo. A chi lo consiglierebbe e perché?
Dreamwalker la ragazza che camminava nei sogni è stata una mia sfida che spero di aver vinto. Chi ha letto gli altri miei romanzi Imprinting love e L’accomodatrice lie for me, sa che il mio stile tende molto all’ironico e mi piace prendere in giro la realtà. Lavoro a uno sportello pubblico e vedo e sento cose incredibili, ma del tutto vere. La gente ti sorprende sempre. E mi regala molte ispirazioni. Se volete ridere vi consiglio di leggere il mio libro L’accomodatrice lie for me. Di solito la presento così: più astuta di una volpe, più creativa di un saltimbanco, più versatile di un abitino nero, più spericolata di uno stuntman e più sicura di sé di un marine pluridecorato: l’accomodatrice Alice Schiano con le sue bugie specializzate giungerà in tuo soccorso e risolverà i tuoi problemi con irreprensibile determinazione.
Dreamwalker è un romanzo più serio, anche se pur sempre abbastanza leggero. Un new adult, perché i protagonisti hanno 23 e 26 anni rispettivamente, ma è anche un libro con un pizzico di paranormal. Vi racconto la trama in poche righe: Diana ha perso cinque anni della sua vita. Vorrebbe che non fosse accaduto, ma non può cambiare il passato, né cancellare le cicatrici che le ha lasciato. Può solo ricominciare da capo. Costruirsi una nuova identità, trovare nuovi amici, un nuovo scopo, e nascondere a tutti il suo segreto. Nessuno potrebbe mai immaginare che dietro i suoi abiti sempre coordinati, la sua quieta determinazione nello studio e l’abilità di creare dolci squisiti, si celi una paura che stenta a tenere a bada. Nemmeno Sebastiano, l’assistente del corso di giapponese che Diana ha iniziato da poco a seguire. Quando la guarda, lui vede solo una ragazza attraente, con gli occhi grigi più belli che abbia mai visto, ma quando lei lo guarda vede ciò che sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle. Vede un incubo che le impedisce di dormire, un dolore che l’ha cambiata per sempre e che non vuole mai più provare. Amare è un rischio che non vuole correre di nuovo, ma la scelta non è unicamente nelle sue mani, e osare potrebbe permetterle di raggiungere un traguardo che non aveva mai neppure osato sognare.
Consiglio questo libro a chi ama le storie d’amore, perché Sebastiano è qualcuno di cui non ci si può non innamorare. A chi ama le protagoniste coraggiose che non si arrendono mai. A chi ama il mistero, perché c’è anche quello. E chi ama lo sport e la cucina, perché queste due passioni salveranno letteralmente la vita di Diana, in un momento molto buio per lei. Può un sogno diventare la tua realtà? E se poi un giorno si trasformasse in un incubo, cosa faresti?
Come nascono i suoi personaggi, vi è un collegamento con la realtà?
In parte, di più nei miei due libri precedenti. In questo caso tutto è frutto della mia fantasia, Ciò che più è stato preso dal reale è la stanza di Diana e i libri della sua libreria che sono i miei libri, con le mie personali note a margine. E le ricette che cucina, che ho inventato di sana pianta e sperimentato nella mia cucina. Mi son sentita un sacco Benedetta Parodi in certi momenti…
Le ambientazioni che sceglie provengono dal reale o sono anche una proiezione dell’anima?
Da lettrice cerco delle cose precise in un libro. In primis voglio delle storie strane innovative, qualcosa di inaspettato, ma di non troppo complicato. Mi piacciono la chiarezza e la semplicità e un certo grado di realtà. Purtroppo mescolare realtà e fantasia e magari anche paranormal, che è un genere che adoro, non è semplice. Ma cerco comunque di mettere tutto questo nei miei libri. Il risultato è sempre un mix strano, ma spero affascinante. Per controllare la mia tendenza a strafare e ad esagerare con la fantasia e non perdere contatto con la realtà di solito scelgo ambientazioni italiane, reali, che conosco bene. Stavolta per Dreamwalker ho scelto un’ambientazione a me molto familiare, la città di Verona, dove ho frequentato l’Università, la stessa che frequenta Diana nel libro. Per immedesimarmi meglio nei personaggi e nella storia. Le stanze di Diana sia nella casa dei suoi genitori che nell��appartamento vicino all’Università rispecchiano molto la mia stanza E anche questo per non lasciare sfuggire dalla finestra il realismo, che nel romanzo ho intercalato con il sogno. Fino quasi alla fine del libro il lettore si chiede quale sia il sogno e quale sia la realtà insieme a Diana, perché lo volevo coinvolto nei suoi stessi problemi di percezione e pronto a tifare per lei. Ma non volevo creare un’ambientazione troppo onirica, semmai dei sogni realistici.
Come può riassumere ai suoi lettori il suo romanzo? Qual è il messaggio che vuole trasmettere?
Dreamwalker è una storia d’amore, ma anche di rinascita, coraggio, paura, sfida e speranza. Conosciamo Diana in un brutto periodo della sua vita, quello in cui ha veramente toccato il fondo. Ha fatto molti sbagli, ha commesso molte azioni deprecabili e tutte per sopravvivere e per punirsi e per anestetizzare i sensi di colpa che la tormentano. Sono la somma di cinque anni che vuole cancellare, ma ancora così tangibili da portarne addosso le cicatrici e le sofferenze. La sua è una storia in bilico tra sogno e realtà, tra quello che le distingue e quello a cui ci aggrappiamo quando è il momento di scegliere. È una storia di accettazione: di noi stessi, del nostro passato e dei nostri errori. Ma anche delle scelte degli altri e di quello che queste comportano. È una storia che parla di ciò a cui ci appoggiamo quando ne abbiamo bisogno e di ciò in cui scegliamo di credere – perché alla fine quella scelta è solo nostra. E la speranza e la felicità esistono sempre, anche negli angoli più bui nei quali sono nascoste.
È già al lavoro su un nuovo libro?
Sì, su molti. Purtroppo quando inizio un progetto mi vengono mille altre idee e quindi mi ritrovo almeno per un certo periodo a lavorare su diversi fronti contemporaneamente. Al momento sto lavorando a un progetto molto divertente a quattro mani con una mia amica, poi al seguito di L’accomodatrice Lie for me, a due racconti e ho in testa una bozza di idea per un thriller.
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Dialogo con Mónika Szilágyi, una donna senza tempo, l’editore più anomalo d’Italia. Le Edizioni Anfora scoprono in Ungheria i grandi scrittori europei
La donna sembrava senza tempo, un ricordo di pianure e di attese, una pagina di Elias Canetti, qualche rara vanità di aironi. Aveva libri con sé. Fattura sobria, l’eleganza dell’artigianato – romanzi scolpiti nel legno, ecco. Li consegnava, uno ad uno, come persone, ecco, alle redazioni dei giornali – ma solo al giornalista che avesse promesso di leggerli per davvero, quei libri – e alle librerie indipendenti, cioè, inadempienti alle mode bestselleristiche. Bionda, sorridente, una turbinosa tenacia dietro l’apparente pudore. Così conobbi, un tot di anni fa, Mónika Szilágyi. Non è cambiata, è sempre spiazzante, inaudita all’oggi (da mesi ho inseguito questa intervista: presa dalla vita, Mónika non ama il palco pubblico). Le Edizioni Anfora – che logo magnifico: la ragazza dai lunghi capelli che inclina il vaso e versa l’acqua, “l’acqua che dà la vita”, dice lei, cioè la letteratura – sono una anomalia nel turbinio editoriale italico, per altro pieno di piccoli editori di talento. Si occupano, così detta il sito, di “Letture dell’Europa Centrale”, raspano, cioè, il verbo del ventre d’Europa, la vasta prateria dove si è fatta la Storia, dove si sono eretti e distrutti imperi. In particolare, le Edizioni Anfora pubblicano i grandi scrittori ungheresi: l’opera della grande Magda Szabó, anzi tutto – leggetela, è un assoluto, Per Elisa, Abigail, Affresco, ad esempio – e poi i classici, come Anna Édes di Dezső Kosztolányi (sentite che bello il giudizio di Sándor Márai: “È stato Kosztolányi a dire che un capolavoro deve essere scritto come si porta a termine un delitto. E ogni giorno lui commetteva un delitto del genere, più o meno grande”), i grandi libri dell’oggi, come Settembre 1972 di Imre Oravecz, scrittore ribelle alle convenzioni formali del suo tempo (“Scrivevo di cose completamente diverse rispetto a quelle di cui scrivevano gli altri scrittori e questo già in sé significava uno svantaggio. Inoltre, quello che scrivevo era contrario alle dottrine del socialismo reale, nel segno delle quali si poteva pubblicare”). Nonostante il Nobel per la letteratura a Imre Kertész e la grande considerazione internazionale di autori come Péter Esterházy e la Szabó, l’Ungheria è ai margini di un mondo letterario per lo più anglofono e francofono. Ma l’Ungheria, anche nella consapevolezza dei suoi scrittori e delle proprie scritture, è il cardine del continente. Con inalterata pazienza Mónika parla dei suoi libri e dei suoi autori come se fossero in salotto, come se interrando un libro potesse nascere una fiumana di candele. Adorabile e aliena alle ‘logiche di mercato’ è la cura, lo studio, l’amore. Verbi che s’intridono nell’osso. Forse ci sono luoghi dove il tempo è una menzogna e possiamo ballare, imperituri, con i libri che amiamo. (d.b.)
Come nascono le Edizioni Anfora, perché questo nome?
Le Edizioni Anfora nascono nel 2003 da un’idea di mio marito il quale pensava inizialmente di pubblicare autori come Freud e Albert Camus. Il progetto non si concretizzò, ed essendo subentrata anche io come assistente, gli proposi di pubblicare letteratura dall’Europa Centrale, con maggiore attenzione per quella ungherese. Siamo quindi partiti da una delle mie letterature di riferimento. Nasciamo per demolire quel muro tra Est e Ovest che si era creato nelle nostre teste e in quelle dei lettori italiani in seguito a un momentaneo rapporto di forze tra capi di Stato alla fine della Seconda guerra mondiale, e che dopo la caduta del muro di Berlino ha perso la sua legittimità. Vogliamo ricreare la simbiosi tra letteratura occidentale e centroeuropea attraverso un ponte rigorosamente letterario e identitario. Il nome non era usato da nessuno, così mi sono ricordata di Magvető (Il Seminatore), una delle case editrici ungheresi più prestigiose del panorama magiaro che pubblica autori del calibro di Imre Kertész. Noi abbiamo pensato che prima ancora di seminare buona letteratura dovevamo portare ai lettori italiani l’acqua che dà la vita, fa crescere le piante e che sgorga proprio dalla nostra anfora.
Siete specialisti, come dire, nella narrativa ungherese. Quali specificità ha questa narrativa e quali sono i suoi ‘eroi’, i protagonisti, intendo, della letteratura contemporanea ungherese?
Come spesso credono molto lettori italiani non si tratta di una letteratura esotica, questo lo sappiamo per certo. Si tratta invece di una letteratura che parla proprio di noi europei e che nasconde al suo interno il cuore e il racconto della storia Europa (provare per credere). I protagonisti più famosi sono Sándor Márai, Magda Szabó e Dezső Kosztolányi: sono tutte voci che possono essere considerate veri e propri classici, anche per la loro capacità di essere ancora attuali. La letteratura ungherese ha inoltre una lunga tradizione di poeti molto solida anche nella nostra contemporaneità. Pochi mesi fa è scomparso Dezső Tandori, che accanto al nostro Imre Oravecz (del quale abbiamo pubblicato Settembre 1972), era considerato uno dei più grandi poeti d’Ungheria. Grandi romanzieri di oggi sono invece autori come Péter Nádas (Dalai, Zandonai, BUR) e Béla Krasznahorkai, che grazie al suo Satantango (Bompiani) ha vinto il Man Booker Prize.
La scena letteraria ungherese, oggi: è viva, esiste? Come reagiscono – o, semplicemente, agiscono – gli scrittori ungheresi all’epoca del Governo Orbán?
La scena letteraria ungherese è oggi molto viva, potremo parlare di un vero e proprio fermento, di una rinascita di tutto il panorama culturale: dal teatro alle arti applicate. La maggior parte dei membri del Governo Orbán è cresciuta e diventata maggiorenne durante una dittatura: il regime comunista. Hanno avuto modo di imparare a leggere tra le righe (i lettori occidentali, logicamente, non sono abituati a praticarlo con l’automatismo cui sono abituata, e ne resto sempre sorpresa), come hanno potuto anche sperimentare che qualsiasi tentativo per influenzare i poeti sarebbe inutile. Lo dice anche Magda Szabó nel suo romanzo a chiave Il momento (Creusaide), scritto negli ultimi momenti del comunismo, e pubblicato nel 1990, l’anno del cambiamento del sistema: “lascia la libertà del poeta, perché il tentativo di influenzarlo non vale ciò che ti attireresti sulla testa. Il poeta è un animale furbo, in un modo o nell’altro lascia sempre i segni dei suoi denti rotti nella corteccia dell’albero del tempo, in forma per te illeggibile, con lettere che solo le generazioni successive riusciranno a sillabare nel futuro remoto”.
Qual è il libro che hai amato di più, che sei stata più fiera di pubblicare? E quale quello che vorresti pubblicare?
Ovviamente Per Elisa di Magda Szabó, il lascito di una delle più grandi autrici del Novecento che a breve riproporremo con una nuova prefazione di Simonetta Sciandivasci. Proprio la Sciandivasci ha definito questo libro uno dei romanzi più incredibili sull’Europa interbellica e credo sia fondamentale proprio per questo aspetto: aiuta a far capire l’Europa a tutti gli europei, e lo fa ancora oggi, motivo per il quale si può considerare un vero e proprio classico. Non posso però parlarti dell’autore che vorrei pubblicare, volendolo per l’appunto a tutti i costi. Ti posso solo dire che si tratta di una sorta di gemello, di un libro molto vicino ad Abigail della stessa Szabó.
*In copertina: Mónika Szilágyi. Insieme al marito Alain Lapointe, nel 2003 ha creato le Edizioni Anfora
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