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Violenza domestica a Casalnoceto: arrestato marito violento grazie al coraggio della moglie
La determinazione delle vittime e l’intervento dei Carabinieri evitano conseguenze peggiori
La determinazione delle vittime e l’intervento dei Carabinieri evitano conseguenze peggiori. A Casalnoceto, un uomo di 70 anni è stato arrestato dai Carabinieri per maltrattamenti, minacce e lesioni nei confronti della moglie e del figlio. Un episodio drammatico, che riflette una situazione di violenza domestica radicata nel tempo, si è concluso grazie al coraggio della donna che, trovando la…
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Quando un romanzo diventa profezia.

E poi c’è questo signore qui che ci ha detto una cosa pericolosissima che fa paura a molti: attenzione, fate attenzione, la guerra ha inizio dalle parole. Dal controllo delle parole. «Chi controlla la lingua, deciderà cosa la gente pensa».
Ci ha scritto un romanzo addirittura, 1984. Sapeva che non puoi rendere desiderabile agli occhi della gente la guerra, ma puoi farle credere che la guerra è la premessa della pace. Puoi convincerla che senza la guerra non può esserci pace. Basta un semplice slittamento «semantico». Se la guerra è la via necessaria per la pace, chi può dirsi contrario alla guerra? Questo fa il Grande Fratello: cambia di continuo il senso e il significato delle parole.
Originariamente si credeva che le parole fossero incantesimi. Gli antichi aramaici dicevano Avrah KaDabra: io creo quello che dico. Le parole non sono soltanto parole: sono universi. Creano mondi. Ecco perché i regimi in ogni tempo ed epoca hanno maneggiato, rivoltato e tentato di togliere significato alle cose e di chiamarle con un altro nome. Ed ecco perché le guerre divengono «missioni umanitarie», le armi di distruzione di massa «missili intelligenti», le vittime «danni collaterali».
Orwell però ci ha detto anche un’altra cosa: non puoi zittire il pensiero critico, puoi però persuadere la gente ad odiare chiunque abbia un pensiero critico. Come? Cambiando il modo in cui chiami quelle persone. Criminalizzando chi la pensa in modo diverso. In una società che non conosce più il senso e il significato della parola dialogo e confronto, sapete qual è la più grande forma di Resistenza? Incominciare a chiamare le cose con il loro nome. E ricordatevi sempre: ciò che non si può dire è quasi sempre l’unica cosa degna di essere detta.
- Guendalina Middei.
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CRIMINI COMUNISTI DURANTE IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE. Ecco i liberatori.
Questa pagina è dedicata alla raccolta di testimonianze, aneddoti, racconti, ed episodi inerenti al bagno di sangue che si è verificato nelle nostre zone nell’immediato dopoguerra, successivamente al 25 aprile del 1945, a guerra finita, e alla loro presentazione.
Sul finire dell’ultima guerra mondiale, nel 1945, e anche a guerra già finita, l’Italia ha assistito sul proprio territorio ad una vera e propria escalation di delitti, di stragi, e di vendette, tutti a sfondo politico, che hanno raggiunto punte di ferocia e di malvagità molto elevate.
I responsabili di questa lunga catena di omicidi e di efferatezze, furono i partigiani comunisti, che vollero così imprimere un triste e indelebile segno nella storia dell’Italia, incidendolo con il sangue delle loro vittime.
I partigiani spesso hanno prelevato le persone direttamente dalle loro case e le hanno uccise senza neanche offrire loro un processo sommario, depredandole e infierendo sui corpi con ferocia.
Molti di questi carnefici furono riconosciuti e arrestati, ma a causa dell’amnistia di Palmiro Togliatti furono rimessi in libertà, e spesso si ritrovarono faccia a faccia con i parenti delle loro stesse vittime, potendo così irriderle e dileggiarle impunemente.
Possiamo oggi affermare, nonostante i tentativi degli eredi di Togliatti di nascondere o dissimulare la realtà criminosa, che la vastità dei fatti di sangue imputabili ai partigiani comunisti induca a credere che essi siano stati realizzati seguendo un preciso disegno, uno schema pianificato e organizzato a tavolino, scientemente e criminalmente.
Non è un caso che interi gruppi familiari siano stati sterminati, spesso aggiungendo l’efferatezza della tortura e dello stupro agli omicidi, e che poi i partigiani si siano appropriati dei beni materiali delle vittime.
Non è un caso che dopo la guerra, ci si sia trovati davanti a partigiani improvvisamente diventati ricchi, che poterono così iniziare delle attività imprenditoriali usando i soldi sporchi del sangue delle loro stesse vittime.
La scure comunista si è abbattuta con violenza anche sui rappresentanti del Clero, nel tentativo di decapitare coloro che potevano guidare i cattolici verso destinazioni e percorsi diversi da quelli previsti dal comunismo.
Lo storico Roberto Beretta ci segnala nel suo studio del 2005, “Storia dei preti uccisi dai partigiani”, che il numero dei sacerdoti uccisi dall’odio comunista è stato in totale di 130 vittime !
Dopo aver condotto una vera e propria “caccia alla tonaca”, prodromica ad una lunga serie di esecuzioni, compiute appunto dai partigiani, divenne chiaro il tentativo dei comunisti di impadronirsi “politicamente” della società, mediante la forza e l’intimidazione.
Questa tesi fu sostenuta anche dal Cardinale di Bologna, sua Eccellenza Giacomo Biffi, nel 1995, in occasione del cinquantenario della Resistenza, riprendendo e amplificando ciò che già era stato affermato in precedenza da Don Lorenzo Tedeschi, un coraggioso sacerdote che citò la frase di un comandante partigiano comunista :
"Se dopo la liberazione, ogni compagno avesse ucciso il proprio parroco e ogni contadino il padrone, a quest’ora avremmo risolto il problema. "
Il Partito Comunista Italiano ha provveduto poi a mantenere una totale disinformazione sulle stragi, omettendo di parlarne e di pubblicizzare qualsiasi cosa fosse inerente a tutto ciò, stendendo un velo di minacciosa omertà sull’argomento.
Lo dimostra il fatto che ancora oggi si riferiscano a Togliatti come a : “il Migliore” !!!
i stima che gli uccisi, dopo il 21 aprile 1945 nel bolognese, ammontino a 773, di cui 334 civili (fra cui 42 donne).
Vorrei tentare di dare il giusto ricordo alle vittime, attraverso una serie di rievocazioni storiche, di racconti e di aneddoti, che permetta di collocarle in un contesto non più dimenticato.
Vorrei far riaffiorare le ignobili circostanze attraverso cui sono state messe in atto vere e proprie stragi contro persone spesso innocenti, perpetrate comunque a “sangue freddo”, e cioè a guerra finita, ad armi deposte.
La vigliaccheria è stato il motivo trainante che ha permesso al comunismo di approfittare della violenza insita nei suoi sostenitori per appropriarsi dei beni, oltre che della vita, di centinaia di vittime delle nostre zone.
Sono rimasti in pochi i superstiti, o i figli dei superstiti, o delle vittime, che potrebbero oggi dare luce alle pagine buie degli stermini effettuati dai partigiani nel 1945.
Il 25 aprile non deve essere celebrato per la liberazione dell'Italia perché nella realtà dei fatti passammo dall'occpazione tedesca a quella americana. E, nella sconfitta, ci andò bene perché a Yalta avevano deciso le sfere d'influenza dei vincitori e i comunisti furono esclusi.
(Il sangue dei vinti un bellissimo libro di Pansa)
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L’idea che il sionismo sia un colonialismo di insediamento non è nuova. Gli studiosi palestinesi che negli anni ’60 lavoravano a Beirut nel Centro di Ricerca dell’OLP avevano già capito che quello che stavano affrontando in Palestina non era un progetto coloniale classico. Non inquadravano Israele solo come una colonia britannica o americana, ma lo consideravano un fenomeno che esisteva in altre parti del mondo, definito come colonialismo di insediamento. È interessante che per 20-30 anni la nozione di sionismo come colonialismo di insediamento sia scomparsa dal discorso politico e accademico. È tornata quando gli studiosi di altre parti del mondo, in particolare Sudafrica, Australia e Nord America, hanno concordato che il sionismo è un fenomeno simile al movimento degli europei che hanno creato gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Questa idea ci aiuta a comprendere molto meglio la natura del progetto sionista in Palestina dalla fine del XIX secolo ad oggi, e ci dà un’idea di cosa aspettarci in futuro.
Credo che questa particolare idea degli anni ’90, che collegava in modo così chiaro le azioni dei coloni europei, soprattutto in luoghi come il Nord America e l’Australia, con le azioni dei coloni che arrivarono in Palestina alla fine del XIX secolo, abbia chiarito bene le intenzioni dei coloni ebrei che colonizzarono la Palestina e la natura della resistenza locale palestinese a quella colonizzazione. I coloni seguirono la logica più importante adottata dai movimenti coloniali di insediamento, ossia che per creare una comunità coloniale di successo al di fuori dell’Europa è necessario eliminare gli indigeni del Paese in cui ci si è stabiliti. Ciò significa che la resistenza indigena a questa logica è stata una lotta contro l’eliminazione e non solo di liberazione. Questo è importante quando si pensa all’operazione di Hamas e di altre operazioni di resistenza palestinese fin dal 1948.
Gli stessi coloni, come nel caso di molti europei che arrivarono in Nord America, America Centrale o Australia, erano rifugiati e vittime di persecuzioni. Alcuni di loro erano meno sfortunati e cercavano semplicemente una vita e delle opportunità migliori. Ma la maggior parte di loro erano emarginati in Europa e cercavano di creare un’Europa in un altro luogo, una nuova Europa, invece dell’Europa che non li voleva. Nella maggior parte dei casi, hanno scelto un luogo in cui viveva già qualcun altro, i nativi. Quindi il nucleo più importante tra loro era quello dei leader e ideologi che fornivano giustificazioni religiose e culturali per la colonizzazione della terra di qualcun altro. A questo si può aggiungere la necessità di affidarsi a un Impero per iniziare la colonizzazione e mantenerla, anche se all’epoca i coloni si ribellarono all’Impero che li aveva aiutati e chiesero e ottennero l’indipendenza, che in molti casi ottennero e poi rinnovarono l’alleanza con l’Impero. Il rapporto anglo-sionista che si è trasformato in un’alleanza anglo-israeliana è un esempio.
L’idea che si possa eliminare con la forza il popolo della terra che si vuole, è probabilmente più comprensibile – non giustificata – sullo sfondo dei secoli XVI, XVII e XVIII, perché andava di pari passo con la piena approvazione dell’imperialismo e del colonialismo. Era alimentato dalla comune disumanizzazione degli altri popoli non occidentali e non europei. Se si disumanizzano le persone, è più facile eliminarle. L’aspetto unico del sionismo come movimento coloniale di insediamento è che è apparso sulla scena internazionale in un momento in cui le persone di tutto il mondo avevano iniziato a ripensare il diritto di eliminare gli indigeni, di eliminare i nativi e quindi possiamo capire lo sforzo e l’energia investiti dai sionisti e successivamente dallo Stato di Israele nel cercare di coprire il vero obiettivo di un movimento coloniale di insediamento come il sionismo, che era l’eliminazione dei nativi.
Ma oggi a Gaza stanno eliminando la popolazione nativa davanti ai nostri occhi, quindi come mai hanno quasi rinunciato a 75 anni di tentativi di nascondere le loro politiche di eliminazione? Per capirlo, dobbiamo apprezzare la trasformazione della natura del sionismo in Palestina nel corso degli anni. (segue nel link)
molto interessante
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Quattro di Bastoni
"La sofferta Forza della Liberazione".
Ci sono Dolori "troppo grandi" per Cuori "troppo sensibili".
E' questo che ci è stato raccontato.
Ma non è propriamente "vero".
Nessuno nasce con un Cuore "malato" o "difettoso". Tutte le Anime incarnate giungono su questo Piano di Coscienza con un potenziale d'Amore infinito.
Poi c'è l'Umano.
E l'Umano è complesso, è sofferente, è piegato dal Corpo di Dolore collettivo e dagli schemi ereditati di disfunzione familiare.
Ma non si tratta di "sfortuna". Non si tratta di "vizio di forma".
E' ciò che è.
L'insieme di due alberi genealogici "malati", genera figli a loro volta "malati". Fino a che un componente assume il ruolo di "osservatore della Verità" e inizia a guarire se stesso.
Non gli Altri. Se stesso.
E non è certo perché "il Destino è crudele" che crescono e si riproducono generazioni "sofferenti" e "violente".
Ogni figlio eredità il "dramma irrisolto" dei genitori. Tutto o in parte.
E poi fa quello che può, con quello che ha.
Come tutti.
Spesso ci si ammala irrimediabilmente di "mancato Amore", di "Amore fallato", di "Amore tossico", di "Amore disperato e morboso". Che Amore non è, ma che così è stato manifestato ed interpretato all'interno del sistema Familiare. Spesso nella totale inconsapevolezza del Sistema stesso.
E questo "surrogato velenoso di affettività distorta" poi non passa inosservato dal sistema emozionale e psichico. Si instaura e crea "malattia".
La Malattia Mentale e le Dipendenze Patologiche non rappresentano una persona "debole".
Sono la rappresentazione di tutti i tentativi precedenti di resistere alla devastante efferatezza del Corpo di Dolore, di fronteggiare la "perdita di senso interiore", di opporsi all'ineluttabilità del Destino di Morte in Vita.
Si esprime inizialmente attraverso la "Forza della Verità Interiore", la ribellione, per poi giungere alla "resa mai resa".
E, delusione dopo delusione, giorno dopo giorno, nell'amplificarsi sempre più violento della sofferenza e dell'insofferenza verso il Dolore e il Mondo delle Relazioni, si spezza quella sottile linea che separa la Mente lucida e presente dalla "perdita di controllo e di senso".
Ed è sottile per tutti. Nessuno escluso.
Ed in quelle condizioni di "assenza di controllo" sul nostro Corpo Emotivo, non siamo più "padroni" di nulla. Siamo annientati e incatenati ad un Piano Sensoriale che non risponde più, che non è più nostro. Con il Cuore che gronda di disperazione e sconfitta.
E' così che l'Umano abdica alla dignità e integrità di se stesso.
Non attraverso un atto di fragilità o di leggerezza, ma con troppi atti di "forza e resistenza" tutti accavallati assieme.
Le Patologie psichiatriche, le Dipendenze patologiche, i Disturbi di Personalità, le Malattie del Corpo, sono "atti di resistenza alla Menzogna".
"Io non voglio essere questo". "Io mi dissocio dalla bugia, dall'ipocrisia, dalla finzione e preferisco morire piuttosto che piegarmi al Sistema".
Il movimento di ribellione iniziale si disperde poi nel ruolo imperituro e irreversibile della Vittima.
L'individuo "fallato" viene stigmatizzato, emarginato e sputato dal Sistema perché non più in grado di "produrre" o "essere funzionale" alla famiglia. Anche se, a ben guardare, il suo ruolo diviene centrale nel benedire, confermare e suggellare la compattezza del nucleo originale.
Ed è così. Esiste un "patto di disfunzione" nelle famiglie: ci sono dei ruoli che mantengono immutato e imperituro, oltre che intoccabile, il sistema tossico originale: c'è sempre un patriarca o una matriarca gelido e autoritario, un sottoposto che obbedisce pedissequamente agli ordini, un parente affetto da disturbi mentali, handicap fisici o dipendenza patologica (alcol, droghe, gioco, sesso, shopping), un componente spirituale/religioso/ alternativo, un esule, un arricchito, un "regolare", un parente suicida.
Tutti contribuiscono a mantenere e foraggiare l'intricata rete di vittime e carnefici, il cui collante diventano la sofferenza, il controllo e l'attaccamento.
Il "dramma familiare", se irrisolto, si eredita e si "paga".
Esso diviene funzionale a mantenere "schiavi" i discendenti, a "compattarli" intorno alle Ferite genitoriali, a "pagare debiti emotivi" per generazioni e generazioni.
I figli crescono "malati di Dolore", prigionieri silenti e violenti, deresponsabilizzati e non capaci di maturare autonomia, connessione con se stessi, indipendenza affettiva ed emotiva.
E muoiono dentro. In mille modi diversi: c'è chi spegne i sentimenti, chi diventa autolesivo, chi invece si identifica con l'abusante e aggredisce l'Altro, con odio e rancore.
E tutto nella totale complicità del Sistema. Che avvalla questo "gioco al massacro", poiché funzionale a rendere inermi, depresse, malate e manipolabili intere popolazioni.
E' ora di aprire gli occhi.
D togliere l'ipocrisia dal Cuore.
Siamo stati tutti complici. Nessuno escluso. Abbiamo foraggiato il sistema del Dolore, della Vittima, della Povertà emozionale e materiale. Avevamo un ruolo definito e preciso.
Fosse anche quello del Ribelle. Che poi muore e si sacrifica per tutti. Ma, di fatto, non libera nessuno.
E' ora di Responsabilità Personale.
Di discernimento. Di conoscenza profonda di noi stessi. Di presa di Coscienza.
Umana, prima che Spirituale.
L'Irrisolto oggi è "mortale".
Pesa. E "vibra".
Vibra in modo assordante e tuonante dentro ciascuno di noi.
A breve "l'amplificazione" e "la percezione fisica" delle frequenze di vibrazione saranno dieci volte superiore a quella di inizio Gennaio.
Siamo alla resa dei conti.
I macigni ancora custoditi nelle viscere, esploderanno di fronte ad una tale potenza magnetica.
E se sono troppo "grossi", il Corpo non li reggerà più. Le macerie si disperderanno negli organi. E daranno luogo a "malattia".
Pulite il vostro Corpo Emozionale. Radicate a terra la vostra Umana Forza. Siate presenti a voi stessi. Modulate i pensieri.
Siate piena espressione del Discernimento e della Lucidità.
Stiamo per "dissolverci".
Ma non si passa con le zavorre ancora piantate lungo la schiena o sedimentate dentro l'apparato digerente.
Si passa senza il Passato.
Liberi.
Senza piagnistei, vittimismi, rancori, manipolazioni emotive, conflitti, giudizi, vendette irrisolte, lutti, attaccamenti, dipendenze affettive, narcisismi, onnipotenze, invischiamenti, perversioni, debiti o crediti.
Si passa nudi e crudi.
Con il Cuore Puro e Cristallino che batte dentro al petto e con la Spada lucente e integra tra le mani.
Non c'è altro modo.
Lungo i prossimi passi non ci si ferma a trascinare o "salvare" nessuno, non si indottrina l'Altro, non si condanna chi non vuole o non può. Non si obbliga, non si fa proseliti e non si giudica.
Non ci si disperde nel "senso di onnipotenza", nel "senso di ingiustizia", nel "delirio di visione".
Non si cade nella trappola dell'aspettativa del "migliore o peggiore", della tanto enfatizzata "illusione infantile di risoluzione magica".
Si resta connessi con la Verità di se stessi e con la Verità dell'Altro.
Presenti, immobili, concentrati e fieri.
Pronti a lasciarsi travolgere anche da residue ondate di Dolore e di Insofferenza, da possibili proiezioni di panico e attaccamento.
Si resta.
E si integra l'ultimo pezzetto. Umanamente. Non Spiritualmente.
Forza, allora! Ci siamo.
Fa ancora un po' male. Ma ci siamo.
Mirtilla Esmeralda
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Chi liberò veramente l’Italia
25 aprile liberazione
Si può celebrare in tanti modi la Liberazione dell’Italia nel 1945 ma ci sono dati, numeri e vite che non si possono smentire e che sono la base necessaria e oggettiva per dare una giusta dimensione storica all’evento. Dunque, per la Liberazione dell’Italia morirono nel nostro Paese circa 90mila soldati americani, sepolti in 42 cimiteri su suolo italiano, da Udine a Siracusa. Secondo i dati dell’Anpi, l’associazione dei partigiani, furono 6882 i partigiani morti in combattimento.
Ricavo questi dati da una monumentale ricerca storica, in undici volumi raccolti in cofanetto, dedicata a La liberazione alleata d’Italia 1943-45 (Pensa ed.), basata sui Report of Operations di diversi reggimenti statunitensi, gli articoli del settimanale Yank dell’esercito americano e i reportage dell’Associated press. E naturalmente la ricerca storica vera e propria. Più un’ampia documentazione fotografica. L’autore è lo storico salentino Gianni Donno, già ordinario di Storia contemporanea, che ha analizzato i Reports of Operations in originale, mandatigli (a pagamento) da Golden Arrow Military Research, scannerizzati dall’originale custodito negli Archivi nel Pentagono. L’opera ha una doppia, autorevole prefazione di Piero Craveri e di Giampiero Berti e prende le mosse dallo sbarco di Salerno.
Secondo Donno, non certo di simpatie fasciste, il censimento dell’Anpi è “molto discutibile” ma già quei numeri ufficiali rendono le esatte proporzioni dei contributi. Facciamo la comparazione numerica: per ogni partigiano caduto in armi ci furono almeno 13 soldati americani caduti per liberare l’Italia. Senza considerare i dispersi americani che, insieme ai feriti, furono circa 200mila. E il conto risuona in modo ancora più stridente se si comparano i 120mila militari tedeschi caduti in Italia, soprattutto nelle grandi battaglie (Cassino, Anzio e Nettuno) contro gli Alleati e sepolti in gran parte in quattro cimiteri italiani.
Naturalmente, diverso è parlare di vittime italiane della guerra civile, fascisti e no, di cui esiste un’ampia documentazione, da Giorgio Pisanò a Giampaolo Pansa, per citare le ricerche più scomode e famose. Ma non sto parlando di fascismo e guerra civile, bensì di Liberazione d’Italia, ovvero di chi ha effettivamente liberato l’Italia dai tedeschi o se preferite dai “nazifascisti”.
Pur avendo un giudizio storico molto diverso dalla vulgata ufficiale e istituzionale, confesso una cosa: avrei voluto dire il contrario, che l’Italia fu liberata dalla Resistenza, dalla lotta di liberazione, dall’insurrezione popolare degli italiani contro l’invasore. Avrei preferito, da italiana, dire che furono loro a battere i tedeschi, fino a sgominarli, come suggerisce la narrazione ufficiale e permanente del nostro Paese. Ma non è così; e se non bastassero i giudizi storici, la conoscenza di eventi e battaglie, le sottaciute testimonianze della gente, bastano quei numeri, quella sproporzione così evidente di morti, di caduti sul campo per confermarlo. Furono gli alleati angloamericani, sul campo, a battere i tedeschi; senza considerare il ruolo decisivo che ebbero i bombardamenti aerei degli alleati sulle nostre città stremate e sulle popolazioni civili per piegare l’Italia e separarla dal nefasto alleato tedesco. Si può aggiungere che la liberazione d’Italia sarebbe avvenuta con ogni probabilità anche senza l’apporto dei partigiani; mentre l’inverso, dati alla mano, è impensabile. Dunque la Resistenza può conservare un forte significato sul piano simbolico e si possono narrare singoli episodi, imprese e protagonisti meritevoli di essere ricordati; ma sul piano storico non si può davvero sostenere, alla luce dei fatti e dei numeri, che fu la Resistenza a liberare l’Italia. Nella migliore delle ipotesi è mito di fondazione, pedagogia di massa, retorica di Stato. Il mito della resistenza di cui scrisse uno storico operaista di sinistra radicale come Romolo Gobbi.
Per essere precisi, la Liberazione non si concluse il 25 aprile a Milano come narra l’apologetica resistenziale, ma l’ultima, aspra battaglia tra alleati e tedeschi, sostiene Donno, si combatté nel comune di San Pietro in Cerro, nel piacentino, tra il 27 e 28 aprile. A San Pietro c’era anche il regista americano John Huston, inviato col grado di Capitano, a girare docufilm. Ma i filmati erano così duri che gli Alti comandi americani decisero di non diffonderli fra le truppe se non in versione edulcorata.
Sulle lapidi dei cimiteri di guerra disseminati tra Siracusa e Udine, censiti da Massimo Coltronari, ci sono nomi di soldati e ufficiali hawaiani, australiani, neozelandesi, perfino maori, indiani e nepalesi, francesi e marocchini, polacchi, greci, anche qualche italiano del Corpo italiano di liberazione, e poi brasiliani, belgi, militi della brigata ebraica; ma la stragrande maggioranza sono americani, caduti sul suolo italiano. Molti erano di origine italiana: si chiamavano Ferrante, Lovascio, Gualtieri, Rivera, Valvo, Pizzo, Mancuso, Capano, Quercio, Colantuonio, Barrolato, Barone…
“È stata e continua ad essere – dice Donno – una grande opera di mascheramento della “verità” quando non di falsificazione… i miei volumi hanno l’ambizione di rompere questa cortina di latta (che, ammaccata dappertutto, tuttora sopravvive nella discarica del tempo) facendo emergere dati e fatti oscurati ed ignorati”. Naturalmente possono divergere i giudizi tra chi considera gli alleati come benefattori e liberatori, chi come occupanti e nuovi invasori; chi avrebbe preferito che fossero stati i sovietici a liberarci; e chi si limita a considerarli combattenti, soldati in guerra e non eroi, soccorritori o invasori. La memorialistica sulla liberazione d’Italia minimizza e trascura l’apporto americano; invece, sottolinea Craveri, è evidente che furono loro i protagonisti della liberazione d’Italia.
La verità, vi prego, sull’onore.
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The King and the Guillotine
Nel volume 8 di Innocent Rouge vi è un episodio molto interessante. Siamo nel marzo del 1792 e il boia Sanson è impegnato a discutere il progetto della ghigliottina insieme al dottor Guillotin e il dottor Louis. Una voce interrompe il dibattito, sostenendo che una lama a mezzaluna non sia in grado di tagliare il collo di un uomo. La voce appartiene niente meno che a Luigi XVI che, rassicurati i tre uomini di essere solo un incuriosito passante, si affianca a Charles. Affascinato dallo strumento, ne suggerire una lama obliqua a garanzia di un risultato efficace. Ma davvero Luigi XVI ispirò quello stesso strumento che da lì a poco avrebbe posto fine alla sua vita?
(BREVE) STORIA DELLA GHIGLIOTTINA
Lo ghigliottina rivoluzionaria fu unica nel suo genere, ma non nella sua idea. Già nel XIII secolo si hanno notizie di certi meccanismi atti alla decollazione. Il modello più primitivo, conosciuto come diele (pancone), risulta essere di origine tedesca. Il meccanismo era semplice: una lama veniva poggiata sul collo della vittima e a colpi di mazza si otteneva la decapitazione. La ghigliottina rivoluzionaria prende il nome da Joseph-Ignace Guillotin - seppur non per suo volere. Egli però non fu il creatore della macchina, quanto piuttosto la mente dietro essa. La storia della ghigliottina è abbastanza lineare: fu proposta dal dottor Gugliottin, progettata dal chirurgo Antoine Louis e fabbricata dall'artigiano tedesco di clavicembali Tobia Schmidt. Guillotin presentò le sue idee all’Assemblea costituente nel dicembre del 1789. Il progetto però non trovò un’immediata condivisione, venendo perfino ostacolato. Perché gli ingranaggi cominciassero a muoversi, bisognerà attendere fino al 1792 con l’arrivo sulle scene di Antoine Louis. Segretario perpetuo dell’Accademia di Chirurgia, perfezionò molti strumenti chirurgici, oltre che prolifico scrittore di biografie e testi scientifici. Il 17 marzo dello stesso anno il dottor Louis consegnava all'assemblea il documento “Parere motivato sul metodo della decollazione”: la sua inventiva medico-meccanica veniva sempre più stimolata dal fervente clima politico. In quello stesso anno fece la sua comparsa anche Schmidt, il fabbricante di clavicembali, che mostrò a Louis un disegno per il progetto della macchina.
LA LAMA PERFETTA
La lama divenne subito parte integrante della storia. Se nel disegno del liutaio presentava una forma concava, dopo il varo della macchina ogni artigiano fece un po’ di testa propria; seppur sempre rispettando l’elementare norma di evitare il taglio orizzontale. Non sorprende di trovare lame convesse, concave, falciformi, trapezoidali e perfino una grossa punta di spada che in un certo qual modo doveva “infilzare” il collo. Le prime vittime del collaudo furono pecore e vitelli, che vennero decapitati con estrema semplicità. Poi si passò ai cadaveri. Ad assistere ai collaudi è probabile, seppur incerto, che vi fosse lo stesso Guillotin; più sicuramente i membri della famiglia Sanson. Se i primi colli furono mozzati con estrema rapidità, a seminare sconcerto fu la resistenza data da uno più nerboruto. Louis riuscì a risolvere subito il problema: il disegno della lama andava mutato in obliquo - probabilmente fu in quel frangente che nacque la disposizione definitiva di 45°. Nei giorni successivi vennero assemblati lama e montanti nuovi. Vennero poi scelti cadaveri provenienti dagli ospedali militari, dalle strutture fisiche più possenti. L'esperimento riuscì: tutte le teste caddero al primo colpo. Già il 21 Aprile del 1792 veniva consegnata all'Assemblea legislativa la macchina completa. Mancava solo da dare un nome alla neonata macchina. La scelta non si mostrò difficile. Anche se durante il periodo di collaudo nacquero nomignoli come “louison” e “louisette”, quello di “guillotine” circolava da ben prima della costruzione. Chi avesse per primo diffuso il nome non è certo. Secondo alcuni fu colpa di alcuni versi satirici scritti dal cavaliere di Champenetz, membro dell’Accademia francese. Il nome piacque, la gente lo fece proprio ed entrò subito nel linguaggio comune. Ironia della sorte, Champenetz, qualche tempo dopo, finì ghigliottinato.
STORIA O LEGGENDA?
Ma allora l’episodio rappresentato nel volume 8 di Rouge, è solo una scelta poetica dell’autore? In realtà no. La base d'ispirazione è infatti una (presunta) leggenda. Quando la macchina nacque, il re era di fatto ancora in carica. Sembra che nell’aprile del’92, Schmidt fosse stato ammesso alle Tuileries per illustrare meccanismo e corrispettivo preventivo ai funzionari competenti. Pare che improvvisamente lo stesso Luigi XVI fosse entrato nella stanza e, da sempre appassionato di meccanica, avesse suggerito una lama inclinata di 45° per migliorare l’efficacia del taglio. Sembra paradossale. Ma se ci si pensa, tutto il periodo rivoluzionario fu tale. Quasi chiunque ebbe a che fare con la ghigliottina, per un motivo o per l’altro, finì con il perderci la testa.
FONTI
La vedova allegra / Storia della ghigliottina - Antonio Castronuovo (Fiabesca, 2009)
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Zelensky il Dentone
Con tutto il rispetto che si deve al leader di un Paese invaso dai russi da due anni, dilaniato dalla guerra civile da nove, infestato di nazisti, corrotto fino al midollo ed economicamente fallito, Zelensky ricorda Guglielmo il Dentone: il personaggio di Alberto Sordi che, nel film I complessi, si presenta al concorso Rai per il nuovo lettore del telegiornale e nessuno osa dirgli in faccia che con quelle zanne non può andare in video. In 21 mesi e rotti di guerra il mediocre comico ucraino si è trasformato in attore consumato, calandosi alla perfezione nella parte e nel copione che gl’impresari e gli sceneggiatori angloamericani gli hanno assegnato: l’eroico condottiero che guida il suo popolo (o quel che ne resta) alla resistenza armata da una controffensiva trionfale all’altra fino alla vittoria dell’Impero del Bene, cioè alla sconfitta della Russia, alla riconquista delle cinque regioni perse e alla caduta di Putin. Purtroppo, come sapeva fin dall’inizio chiunque fosse dotato dei minimi rudimenti di storia, economia, geopolitica e strategia, nessuno di quegli obiettivi è stato mai alla portata: era pura propaganda, del tutto sconnessa dalla realtà.
La realtà sono centinaia di migliaia di vittime (oltre 100 mila fra morti e mutilati ucraini solo nella “controffensiva di primavera” partita in estate e finita in autunno senza lasciare traccia), mandate al macello senz’alcuna speranza dai criminali della Nato, che ne conoscevano l’assoluta inutilità: il comandante Usa Mark Milley aveva previsto il fallimento 13 mesi fa e proposto di sfruttare lo stallo per negoziare un compromesso e salvare il salvabile. Invano. La realtà sono i circa 250 miliardi di dollari buttati dall’Occidente per armare e finanziare l’Ucraina: 132 dai Paesi Ue, 69 dagli Usa, 36,5 da Gran Bretagna e altri Stati. E i mille miliardi di dollari che serviranno per ricostruirla: cifra spaventosa e destinata a lievitare, visto che nessuno fa nulla per fermare la distruzione, anzi tutti s’impegnano a prolungarla in attesa di non si sa bene cosa. Intanto ogni mese di guerra costa all’Occidente 25 miliardi di dollari e altrettanti alla Russia, che però reagisce meno peggio di noi perché, mentre noi ne annunciavamo il default, si riconvertiva all’economia bellica. Anche le braccia aperte dell’Ue a Kiev si sono rivelate promesse da marinaio: sia perché si scopre che l’Ucraina ha ben poco di democratico, sia perché quel buco nero potrebbe inghiottire la già agonizzante economia europea. Perciò ora, con le elezioni in Usa e in Ue, nessuno vuole buttare altri soldi (le vite umane per il cattivo Putin e i buoni occidentali non sono un problema) in una guerra ormai persa. Resta da trovare qualcuno che prenda da parte Zelensky il Dentone e gli spieghi la triste realtà, magari con un disegnino.
Marco Travaglio
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La rievocazione fascista delle scorse ora a Acca Larentia è un qualcosa che si ripete ormai da anni, lo stesso giorno, con le solite modalità, saluti romani e i soliti appelli ‘presente’, alla lettura dei nomi. E il giorno dopo la solita indignazione e le prese di distanza, come si trattasse di qualcosa di non prevedibile, di inaspettato e nessuno ne riconosce la matrice. Acca Larentia non è l’unico episodio del genere: negli ultimi anni i simboli fascisti sono ovunque, imbrattano le lapidi dei partigiani che ci hanno dato la libertà, sono nelle piazze, nelle discriminazioni, nell’occupazione dei ruoli di potere, sono nelle dichiarazioni strampalate, ma non casuale, delle maggiori cariche dello Stato che riscrivono la storia.
Siamo in un periodo in cui in una città, come Massa che ha offerto tanti giovani alla Resistenza e pagato con tante vittime civili l’occupazione nazifascita, si discute se intitolare una strada al repubblichino Almirante e in una vicina, Lucca, si nega intitolazione di una strada al partigiano e presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma gli esempi sarebbero tanti.
Siamo in uno Stato in cui l’Avvocatura fa apposizione nei confronti dei familiari delle vittime delle stragi nazifasciste che chiedono di accedere al fondo istituito per i risarcimenti come vittime del nazismo e si oppone alle sentenze di risarcimento.
Un atteggiamento incomprensibile e inaccettabile, che rischia di annichilire la memoria ed ogni sua forma, espressione, traccia, testimonianza che da 80 anni grida giustizia e verità, trasformando e vanificando ciò che per noi rappresenta il cuore del patrimonio identitario nazionale, un valore imprescindibile sul quale poggiano i fondamenti della Carta costituzionale. La linea oppositiva dell’organo che rappresenta lo Stato nelle controversie legali non solo desta forti preoccupazioni nei rappresentanti istituzionali che alcuni giorni fa hanno deciso di convocare un incontro presso la sede della Regione Toscana, fare il punto sulla questione e concertare i passi successivi, ma soprattutto ci fa chiedere se siamo ancora in un Stato democratico e antifascista, se si può considerare democratico uno Stato che chiede alle vittime delle stragi pacchi di certificazioni e di fare causa ad uno Stato, quello tedesco, per avere un risarcimento e permete ad una sua istituzione di opporsi alla giustizia aspettando che i superstiti, i pochi che rimangono, muoiano con la sensazione di uno Stato nemico, ostile, come se non fossero stati sufficienti decenni di oblio di Stato.
Che Stato vogliamo ? Non questo, di certo
Il Sindaco di Stazzema
Maurizio Verona
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NOME DI BATTAGLIA FALCO

Tra le storie "dimenticate" della Resistenza locale c'è quella di Alberto Bardi, il comandante Falco che fu vice di Libero nella Brigata Romagnola, poi comandante della 1° brigata nel periodo in cui la formazione si divise in tre e di nuovo comandante in pianura della 28° Brigata. Lui e i suoi uomini furono al centro di un dibattito nato dal tragico eccidio di Fragheto, quando si scontrarono con i tedeschi sul crinale oltre il borgo. Una volta abbandonata la zona, la rappresaglia nazifascista si scatenò tra le famiglie contadine in una strage che fece molto discutere. I sopravvissuti maturarono un forte risentimento verso i partigiani, “colpevoli” di aver provocato il massacro a causa del loro passaggio. Negli stessi giorni la zona venne attraversata dal grande rastrellamento di aprile che scompaginò l’intera brigata. Per scongiurare uno scontro impari, Falco portò i suoi uomini sul versante toscano lasciandoli liberi di restare inquadrati o consegnare le armi e passare le linee. Per questo fu criticato duramente dal nuovo comando, passato da Libero a Pietro in un contesto complesso che un giorno racconterò meglio. Falco proseguì la lotta in pianura, a capo della 28° Garibaldi con la quale entrò vittorioso a Ravenna, anche se spesso la memoria collettiva associa l’operazione al comandante Bulow, che sostituì Falco soltanto dopo la liberazione della città. Dopo la guerra militò in diverse sezioni del PCI ma senza ruoli dirigenziali come i suoi vecchi compagni. Alcuni di questi maturarono su di lui un giudizio critico mai veramente chiarito, da comprendere forse dentro al contrasto tra la gestione di Libero e quella di Pietro, più che dalle sue azioni militari, che la storia ha riconosciuto come successi. Uscì un po' dalle scene e si dedicò alla pittura, parlando poco della sua militanza partigiana. Resta la testimonianza di quando negli anni ’80 tornò a Fragheto, per spiegare ai parenti delle vittime le dinamiche di quel maledetto giorno: “Gli autori della strage furono i tedeschi e i fascisti - disse - la nostra colpa fu quella di aver tardato a tornare qui per spiegarvi cosa accadde, ma noi eravamo quassù per uno scopo: combattere per voi.”
[nella foto: Falco al centro dopo la liberazione di Ravenna]
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Mentre il mondo guarda l’Iran, ieri Israele ha sferrato un attacco aereo su Tulkarem, in Cisgiordania. Era da vent’anni che non succedeva. Il bersaglio era un ricercato, l’ennesimo comandante di Hamas, e per eliminarlo Israele ha aspettato che si trovasse in un caffè affollato e l’ha bombardato con un F-16: uno di quei famosi “precision strikes”, che colpiscono con grande accuratezza luoghi pieni zeppi di civili.
La violenza dell’esplosione è stata tale che alcuni corpi sono stati scagliati sui fili della luce. Al momento si parla di almeno diciotto persone uccise tra cui intere famiglie con bambini e bambine, una di pochi mesi. Molti i feriti.
Tra le vittime della strage c’è anche Ghalit, un combattente di Hamas di 27 anni Ad agosto era stato intervistato da Mariam Barghouti, che ieri ha così raccontato l’incontro:
“Ghaith, della Brigata Tulkarem, è stato ucciso stasera in un’esecuzione extragiudiziale tramite un attacco aereo in cui hanno perso la vita almeno altre 18 persone.
L’ho intervistato ad agosto.
Indossava due collane. Una di suo fratello, Hamoodeh e una di Zgeedo. Entrambi sono state uccisi meno di due settimane prima che parlassi con Ghaith, anche lui designato per un’esecuzione extragiudiziale.
In un campo profughi di Tulkarem distrutto [dalle incursioni israeliane, ndt], Ghaith sedeva insieme a un altro combattente di 22 anni, e intorno a noi c’erano alcuni bambini e altri giovani della comunità.
“Combatto per ciò che vedo nelle pratiche di Israele e per i miei amici (uccisi da Israele)”, ha detto Ghaith.
Ghaith non era un combattente da molto tempo, ma come palestinese ha trascorso tutta la sua vita da rifugiato, con Israele che controllava ogni aspetto della sua esistenza.
Ho chiesto a Ghaith perché i giovani continuano a combattere in Cisgiordania dopo tutto quello a cui hanno assistito a Gaza, e lui ha risposto:
“Quando vediamo quello che succede a Gaza ci chiediamo, perché non provare almeno ad aiutare? Immagina se fosse tua sorella, tua madre, tuo fratello? Questo è il sangue della nostra famiglia.”
Ghaith è stato ucciso in un attacco aereo. Si aspettava che Israele avrebbe intensificato gli attacchi aerei e i bombardamenti in Cisgiordania, “guardate, questo è un esercito codardo, non verrebbero mai a combattere per le strade”,
Per molti combattenti della resistenza palestinese, tra cui Ghaith, sembra esserci un forte amore per la comunità.
“Non combattiamo solo con le nostre armi. Combattiamo con la comunità. Quando, grazie a Dio, gli scontri sono finiti, abbassiamo l’M16 e iniziamo ad aiutare a ricostruire. Questa è comunità”.
Ho notato una grande stanchezza in Ghaith e nel suo amico/compagno d’armi mentre spiegavano la situazione politica della loro realtà alla giornalista internazionale.
Ho detto a Ghaith e al combattente 22enne con lui di prenderci una pausa e ho chiesto loro di un futuro in cui non dovranno più tenere in mano un fucile. Cosa sognate?
Ghaith sorrise e disse: “Non c’è niente di più dolce della libertà”. Fece una pausa, ci pensò ancora un po’ e disse: “Finalmente poter andare in spiaggia e nessuno mi ferma”.
Il suo compagno lo interrompe e ribatte ridendo: “Amico, prima della spiaggia, anche solo poter andare a Nablus senza i posti di blocco!”.
Vi chiedo: è giusto che anche solo il minimo indispensabile sia considerato un sogno?”
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Giorno della Memoria a Casale Monferrato: Celebrazioni e Riflessioni
Un programma per onorare le vittime e educare le nuove generazioni.
Un programma per onorare le vittime e educare le nuove generazioni. Lunedì 27 gennaio 2025, la città di Casale Monferrato ospiterà le celebrazioni per il Giorno della Memoria, in ricordo delle vittime dell’Olocausto. Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, un momento cruciale nella storia mondiale che continua a insegnare il…
#Alessandria e Resistenza#Alessandria today#anniversario Shoah#Auschwitz#azione teatrale#“Nazisti che amavano i bambini”#Casale Monferrato#Casale Monferrato celebrazioni#celebrazioni commemorative#commemorazioni ufficiali#Comunità Ebraica#cultura della memoria#deportazione nazista#Educazione civica#eventi culturali Alessandria#eventi gennaio 2025#Famedio IMI#Giorno della memoria#giovani e memoria#Google News#internati militari italiani#Istituto Storia Resistenza Alessandria#italianewsmedia.com#liberazione Auschwitz#Memoria e Riflessione#Memoria storica#Olocausto#Pier Carlo Lava#Resistenza#ricordo vittime Shoah
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La prima giornata del ricordo fu istituta dalla Repubblica Sociale Italiana per "commemorare" le "vittime" dei partigiani comunisti jugoslavi quando i fascisti commisero crimini contro gli slavi e fecero l'italianizzazione forzata dopo la prima guerra mondiale nella Venezia Giulia e nella Dalmazia.

La "giornata del ricordo" istituita nel 2004 per iniziativa del centrodestra e poi abbracciata dalla sinistra ha come scopo criminalizzare l'eroica resistenza jugoslava e i popoli jugoslavi e glorificare il fascismo.
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Lo scopo di Hamas non è uno stato Palestinese, ma una guerra di religione per spegnere l'ultima scentilla di indipendenza e libertà in una parola Israele. Prendono mensilmente centinaia di milioni di euro eppure è sempre stato tutto abbandonato, hanno usato i soldi solo per tunnel, hanno 36 ospedali alcuni stati Arabi solo 1, ma solo perché li usano solo come basi terroristiche.
Il loro fine è solamente uno stato Islamico esteso, poi faranno ( e lo stanno già facendo ahimè) lo stesso in Europa. Ricordate che dopo il popolo del Sabato toccherà al popolo della Domenica..
La Palestina è un business umano fondata da un delinquente internazionale che fu Arafat. Un azienda basata su vittime, terrore e collaborazione di intere famiglie criminali cresciute ad odio e ak47.
L' islam peggiore quello radicalizzato dell intifada.
Invocano il decolonialismo della Palestina solo le orrende dittature islamiche, Libano, Siria, Yemen, Iran, Afghanistan. Raccontano attacchi terroristici come "Resistenza", è Guerra come "genocidio; forse la fotografia più chiara di un'ideologia confusa e intrisa di una religione del terrore. Il loro mantra è "Morte al sionismo". I centri sociali Europei ( dove si rifugiano migliaia di migranti coranici) invocano lo sterminio di Israele, glissando su sharia,lapidazioni, gay defenestrati, spose bambine. In Israele, virgola geografica e democratica all'interno d'un mare di nazioni ferocemente islamizzate puoi fare cio che vuoi, potete dire lo stesso degli stati che circondano Israele e che vogliono cancellarlo? Ma per favore!
Potreste partire volontari e andare a combattere insieme alle brigate di hamas, un foulard verde in fronte, un ak47, e via a divenir martiri. E visto che sono maschilisti e ferocemente patriarcali in vita, anche da morti avrete 12 vergini con cui sollazzarvi in modo che non ci sia mai fine allo schifo morale anche nel vostro aldilà.
Riconoscerai l'albero dal frutto.
#liberopensiero #robertonicolettiballatibonaffini #israel #hamás #jerusalém
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Otto di Bastoni
"L'uscita dall'omertà".
Straordinaria questa Energia che ci scuote dalle fondamenta.
Riporta in superficie i temi della "sicurezza" interiore. Li chiama a manifestarsi, a rendersi visibili, a offrirci nome e cognome delle nostre più recondite paure.
Potrebbe richiamare a sé, attraverso sogni o incontri, le relazioni irrisolte del Passato, le tristezze e le ansie di ciò che non è stato ancora portato a conclusione.
Si tratta di pulizie profonde. Nulla di superficiale. Tutt'altro.
E dovremmo essere fieri di poterle ammirare nella loro espressione più vera, finalmente tangibili, riportate alla Coscienza con onestà, pronte per essere elaborate e lasciate andare.
Non sempre ci è stata offerta la possibilità di esprimere la rabbia contro chi ci ha ferito. E questa magari è rimasta ingorgata dentro per anni, insieme a parole che non siamo mai riusciti a dire e a stati d'animo che non ci siamo mai permessi di manifestare apertamente.
A volte siamo passati per Carnefici, quando invece ci sentivamo Vittime. Ed abbiamo ingoiato la pillola amara. Senza battere ciglio. Prendendoci anche responsabilità non nostre.
Spesso siamo stati indulgenti con il Carnefice, nell'ipocrisia del perdono umano, che mai riesce ad essere risolutiva a livello emozionale, ma all'inverso, crea blocchi ancora più granitici dentro.
Ora è tutto chiaro ciò che è successo, ciò che abbiamo permesso all'Altro di violare di noi stessi, ciò a cui potevamo sottrarci e ciò che invece non poteva che manifestarsi con quella violenza.
Senza colpe o colpevoli. Senza giudizio sui turbamenti che emergono. Con oggettività.
Odio, rancore, senso di vendetta, rabbia sono le emozioni corrette da provare. Esse si muovono quando qualcosa ha sporcato il nostro Campo, quando nella relazione non c'era Amore, ma trauma e disfunzione.
Non si può negare ciò che emerge dalle viscere.
Va vissuto, visto e manifestato.
Occorre un processo di "catarsi", non di negazione.
Chi nega il trauma, lo ripropone. E giustifica inconsciamente la violenza del suo Carnefice. La protegge e la trattiene dentro di sé.
Non si tratta poi di soffermarsi all'infinito a denigrare colui che ha agito violenza visibile o invisibile su di noi.
Non si tratta di "lui" o di "lei".
Si tratta di "te stesso".
Siamo qui per la "nostra" Evoluzione.
Non per l'Altro.
L'Altro ha facoltà di scegliere per se stesso che ruolo continuare ad interpretare.
Noi possiamo "solo" compiere il "nostro Miracolo interiore".
E questo non ci rende migliori o peggiori. Ma Onesti. E Responsabili della nostra Creazione più profonda.
Lasciate che emerga dalle viscere ciò che vuole essere liberato.
Non abbiate paura di affrontare.
Non si tratta, come molti credono, di combattere "contro" un nemico o "contro" noi stessi e i nostri conflitti.
Noi oggi stiamo combattendo "per" noi stessi.
E' profondamente diverso.
Siamo a "nostro favore".
Non confondiamo i piani della "Resistenza" con il piano dell'Evoluzione.
Altrimenti continuiamo a vivere solo "fatica" e autodistruzione.
La Forza interiore è a nostro vantaggio. Non è deputata a resistere alla Sofferenza e al corpo di Dolore che ci blocca. Né tantomeno a proteggerci dal Cambiamento che dobbiamo necessariamente compiere.
Andare "contro vento" è faticoso, demotivante e sfiancante.
Andare costantemente "contro noi stessi" è devastante e insano.
Noi non siamo progettati per l'opposizione, ma per seguire il flusso.
Noi stiamo "combattendo" (se di questo si tratta), per la nostra massima felicità, autenticità e realizzazione. Non "contro".
Chi continuerà a perseverare nel conflitto interiore, nella stagnazione o nell'impotenza, a settembre vedrà i "mostri interiori" uscire dal Corpo di Dolore e manifestarsi apertamente nella Materia.
Questo al fine di porre in risalto la contraddizione che alberga dentro il "movimento di negazione" e spronarlo a dirigersi verso quel salto Evolutivo che ancora non trova il coraggio di esprimersi in autonomia.
Chi invece avrà ripulito i "filtri energetici" inizierà il suo nuovo Viaggio. Un Viaggio di Scoperta, di Amore e di emancipazione dal Dolore.
Perciò lavoriamo di fino. Restiamo nella sfera emozionale e affrontiamola. Non resistiamo. Osserviamo dove ci porta. Osserviamo i nomi e cognomi che ci indica.
Non continuiamo a proteggere il Carnefice interiormente.
E' insano. E malato.
Buon rilascio. Bello potente questo giro!
Mirtilla Esmeralda
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"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti".
Scritto di Antonio Gramsci dal giornale comunista 'La città futura' - 11 febbraio 1917
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Foto di uno dei tanti cortei in solidarietà per la Palestina e la sua Resistenza di questi ultimi tre mesi a Milano, Italia.

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