#giovani e memoria
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pier-carlo-universe · 11 days ago
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Celebrazione del 4 Novembre: Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate in Italia
Un omaggio all’impegno e al sacrificio delle Forze Armate: l’Italia si unisce in un ricordo collettivo per celebrare il valore dei suoi militari
Un omaggio all’impegno e al sacrificio delle Forze Armate: l’Italia si unisce in un ricordo collettivo per celebrare il valore dei suoi militari Domani, 4 novembre 2024, l’Italia celebrerà la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, una ricorrenza che si rinnova ogni anno per onorare i sacrifici delle Forze Armate e ricordare il valore di chi ha combattuto per la libertà e la…
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eva248 · 1 year ago
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Lecturas de octubre. Tercera semana
Perras de reserva / Dahlia de la Cerda. Editorial Sexto Piso, 2023 Las heroínas de Perras de reserva son mujeres fuertes, decididas a resolver por sí mismas sus problemas porque saben que si con algo no pueden contar es con la ayuda de Dios. Como mucho, se encomiendan al Diablo, ya que ante la perspectiva de convertirse en víctimas –usadas, explotadas o muertas– prefieren optar por la sangre…
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fridagentileschi · 10 months ago
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No, niente Wozniak o Steve Jobs, qui si parla dei VERI inventori del Personal Computer, qui si parla di una storia Italiana che cambiò il mondo.
Ivrea 1962, Il genio visionario Adriano OLIVETTI è già morto e la successione dell'azienda è affidata a suo figlio Roberto.
C'è però un ingegnere di nome Pier Giorgio Perotto, che ha un’idea geniale, degna del grande Adriano: costruire una macchina per elaborare dati che offra autonomia funzionale e che quindi abbia dimensioni ridotte per stare in ogni ufficio, programmabile, dotata di memoria, flessibile e semplice da usare.
Perotto crea un team di giovani Ingegneri: Giovanni De Sandre, Gastone Garziera, Giancarlo Toppiche, che lavora su questo progetto "IMPOSSIBILE" per l'epoca, considerando che sino ad allora i Computer erano grandi come stanze ed utilizzabili solo da esperti programmatori.
Dopo un anno dal lancio del progetto, il TEAM riesce a sviluppare un primo rudimentale prototipo rinominato "Perottina" ma purtroppo Olivetti, sprofonda in una crisi finanziaria profondissima, entrano nuovi soci e non capendo le potenzialità enormi che aveva il reparto Elettronico dell'azienda lo svendono all'americana General Electric con tutti i brevetti, al motto:
"Nessuna azienda Europea può entrare nel mercato dell'elettronica, non fa per noi, non siamo in grando, per quello ci sono gli americani"
Perotto però riesce a sottrarsi e sottrarre il suo TEAM al trasferimento, e prosegue, dimenticato dal resto dell'azienda che oramai si occupava d'altro, nel suo progetto visionario facendo progettare il Design della Macchina a Mario Bellini (designer famoso dell'epoca)
1965 New York. Il prototipo definitivo della Programma 101 è finalmente pronto ed in occasione del BEMA (salone delle macchine per l’automazione dell’ufficio), la fiera piu' importante dell'epoca, viene presentata al grande pubblico.
Il PRIMO PC ebbe un successo pazzesco, stavolta a giudicarlo non erano capi d'azienda (che poco capivano di elettronica) ma persone comuni, tutti si chiedevano dove fosse il cavo che collegasse quella bellissima macchina ad un "vero computer", nessuno poteva credere che era quello il computer stesso.
Il costo passò da 100000 dollari dell'epoca di un computer tradizionale a poco più di 3200 dollari, tutti ne volevano uno, anche la NASA ne acquistò diversi esemplari.
Purtroppo però In Olivetti, a parte il gruppetto di Perotto, non ci sono più i tecnici e ingegneri elettronici indispensabili sia per progettare ulteriori sviluppi del prodotto, sia per organizzare una rete commerciale in grado di vendere un prodotto ben diverso dalle macchine per scrivere o da calcolo.
L’Olivetti cerca di richiamare tecnici e ingegneri che sono finiti alla OGE (General Electric), dove lavorano per gli americani; ma i tempi non sono brevi, mentre l’industria americana, colta l’importanza delle novità introdotte dalla P101, non perde tempo per imboccare la stessa strada.
Il resto è storia.
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ilcaoselastelladanzante · 5 months ago
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Indignatevi per i vivi.
Trent’anni senza vederli
di Fabrizio Tesseri
Facile indignarsi per i morti. Al massimo dura fino al funerale, poi tutto come prima.
Bisognerebbe indignarsi per i vivi.
Ma noi non li vediamo, i vivi. Letteralmente.
A volte non li vediamo al punto da travolgerli di notte sulle strade di campagna, scaraventandoli nelle scoline con le loro biciclette, quando va bene. Quando li vediamo è perché indossano quei gilet catarifrangenti che noi abbiamo in macchina in caso di incidente. Quando li vediamo è, appunto, un caso, un incidente.
Però non è che li abbiamo rimossi, propio non li abbiamo mai considerati.
Eppure sono decenni che sono qui, almeno tre decenni. Trent'anni fa, per esempio, alcuni singalesi e indiani, molto giovani, erano ospitati in un piccolo hotel fuori mano, trasformato da allora in una sorta di residenza per stranieri. È in campagna, ma era appiccicato ad un paio di grandi industrie, allora.
Da anni, al posto della più grande, la Goodyear, è rimasto un rudere e, con ogni probabilità, amianto e altri rifiuti sepolti sotto terra e sotto una memoria labile che ha cancellato i morti e i disoccupati.
È rimasta la fabbrica di alluminio, la sola piscina da 25 metri sul territorio e quel vecchio hotel malandato.
Beh, trent'anni fa, un misto di delinquenti e fascistelli (si lo so, è ridondante, sono sinonimi) andarono a picchiare i rifugiati in quel vecchio alberghetto. Per la verità, le presero per bene.
Ci fu tensione, venne organizzata una manifestazione di solidarietà, la polizia schierata in forze manco fosse un derby di quella che era la serie D del tempo, riuscì a picchiare chi manifestava solidarietà e il risultato fu che tutti ci distraemmo. Quasi tutti.
Alcuni da anni seguono e denunciano le condizioni dei migranti nella Pianura Pontina, su tutti Marco Omizzolo.
La maggior parte di noi però, semplicemente, non li ha mai visti.
Eppure sono tanti, lavorano nelle serre, nelle campagne, quasi tutti maschi, dormono in vecchie case o stalle, quando va bene. A decine, tutti insieme.
Qualcuno però ha fatto il salto sociale e ha aperto un negozietto oppure è stato fortunato e non solo è sopravvissuto, ma ha trovato anche un buon datore di lavoro, non un padrone, e ha messo su famiglia.
E allora vivono per lo più nei centri più o meno storici e ci sono i ragazzi nelle nostre scuole e per la quasi totalità dei nostri figli sono loro compagni, senza aggettivi o caratterizzazioni. Loro li vedono.
Noi queste famiglie, non gli altri, le vediamo solo perché vivono accanto a noi. Più colorati nei vestiti, odori diversi, magari più confusione, e in alcuni quartieri quelle donne e quegli uomini arrivati da lontano sono i soli a parlare con i "nostri" vecchi, soli dietro le persiane accostate al sole. Sono gli unici che si affacciano a vedere come mai la signora oggi non si è vista e magari sta male e ha bisogno.
Però, gli altri non li vediamo.
Ma vediamo il prodotto della loro esistenza.
Vediamo i prezzi della frutta e verdura in offerta sui banchi dei supermercati. Compriamo contenti il Sottocosto. Ammiriamo la villa e la fuoriserie dei loro Padroni.
Questi, spesso ma non sempre, hanno cognomi tronchi, che finiscono per enne, si tratta di famiglie che hanno avuto la terra nel ventennio, pezzi di famiglie del nord smembrate e portate a colonizzare la terra redenta. Coloni. Ma di cosa? Qui ci vivevano i Volsci, forse anche avanguardie di Etruschi e i Romani, di sicuro, che hanno lasciato il loro segno e la Regina Viarum. Coloni di cosa, dunque?
Gente che ha conosciuto la povertà, la fame, la guerra, la malaria, i lutti, la fatica indicibile.
Uno si aspetterebbe che se uno ha vissuto questo, mai farebbe vivere lo stesso o di peggio ad altri esseri umani e invece...ma allora, come è possibile? Perché?
Forse perché abbiamo dimenticato. Forse perché negli ultimi trent'anni abbiamo buttato nell'indifferenziato il concetto di comunità.
Abbiamo smesso di vedere l'altro ma solo quello che l'altro ha. E abbiamo voluto arricchirci o almeno illuderci di farlo. Abbiamo smesso di dare valore e iniziato a dare un prezzo, a tutto.
E quando dai un prezzo a qualsiasi cosa vuol dire che sei in competizione e la competizione porta a voler prevalere e finisce che bari pure con te stesso quando fai i solitari.
E tutti siamo contenti di comprare le zucchine a 0,99 euro al chilo e il Padrone compra un altro ettaro e abbassa la paga da 4,50 euro l'ora a 4 euro, preserva il margine di profitto, la grande distribuzione apre nuovi scintillanti ipermercati, noi oltre le zucchine compriamo i pomodori maturi, si fa per dire, a marzo.
È una magia!
Qualcosa di inspiegabile. Qualcosa di invisibile.
Tranne che ogni tanto.
Quando sotto una macchina non finisce una volpe ma un ventenne troppo stanco da scordare il gilet catarifrangente.
Tranne che ogni tanto, per un incidente sul lavoro o una rissa tra disperati.
Ma dura poco, meno della pubblicità tra il TG e i Talk Show della sera.
C'è il volantino delle offerte nella cassetta postale, sabato si fa spesa.
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latuaamicaimmaginaria · 9 months ago
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«Italo Calvino, tre chiavi, tre talismani per il Duemila.»
«Imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria, da bambini, da giovani, anche da vecchi. Perché quelle fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente; poi lo sviluppo della memoria è molto importante.
Anche fare dei calcoli a mano, delle divisioni, delle estrazioni di radice quadrata, delle cose molto complicate. Combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, ormai, con delle cose molto precise.
E sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto, da un momento all’altro. Con questo, goderlo: non dico mica di rinunciare a niente, anzi. Però sapendo che, da un momento all’altro, tutto quello che abbiamo può sparire, in una nuvola di fumo.»
Da un’intervista a Italo Calvino 💙
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marcoleopa · 4 months ago
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Volano gli stracci e l’audience aumenta
Non è il titolo di una pièce teatrale, ma, la cartina al tornasole dell’attrattività dei programmi di basso e infimo contenuto, della tv commerciale.
Sgombriamo il campo da ogni equivoco, specificando che, anche i programmi di basso contenuto sono nei palinsesti della televisione del servizio pubblico, proseguendo una china di inarrestabile caduta verso il nulla.
In questo panorama di desertificazione culturale, si salva, in Rai, qualche programma degno di nota, sia esso per il pubblico giovanile, che per il pubblico più anziano (la cui componente è maggioritaria – come riportato dai dati Auditel), sebbene sempre meno giovani - con scolarizzazione elevata - disertano la tv (di servizio pubblico o commerciale) per altre forme di intrattenimento, mentre i più anziani (con titoli di studio più bassi) prediligono i programmi tv spazzatura (più del 70% dei contenuti dei palinsesti).
Ulteriore chiarimento, per tacitare chi vede nel post del classismo e interpreti secondo propri Bias: rientro nella ctg 60, seguo in replica i programmi tv (mai quelli spazzatura), quando possibile e se interessanti; di fatto non faccio/sono target per le inserzioni pubblicitarie.
Lungi dal giustificare/accettare le scelte strategiche e aziendali, che hanno preferito far slittare il programma di A.Angela a settembre, con o senza il proprio consenso poco importa, ma, preme sottolineare l’altro aspetto di questa grottesca vicenda: i programmi a contenuto più scientifico/culturale, non possono tenere il passo con gli stracci volanti dei format, delle corna, dei palestrati e delle labbra siliconate, persino dei giochi olimpici moderni (breakdance, skateboard, bmx etc.)
In breve la cultura (scientifica o umanistica, seppur accennata in formato televisivo), non rende, non attrae, non stimola riflessioni e approfondimenti, anche per mera curiosità personale.
Il nulla, di contro, ma, non il nulla di Parmenide memoria, o, il non ente di Heiddeger, o l’inconsistenza concettuale del nulla di J. Locke, piuttosto il nulla inteso come disvalore negativo assoluto, è la pietra angolare dell’auditorium televisivo italico.
Che tristezza.
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conte-olaf · 10 months ago
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La rievocazione fascista delle scorse ora a Acca Larentia  è un qualcosa che si ripete ormai da anni, lo stesso giorno, con le solite modalità, saluti romani e i soliti appelli ‘presente’, alla lettura dei nomi. E il giorno dopo la solita indignazione e le prese di distanza, come si trattasse di qualcosa di non prevedibile, di inaspettato e nessuno ne riconosce la matrice. Acca Larentia non è l’unico episodio del genere: negli ultimi anni i simboli fascisti sono ovunque, imbrattano le lapidi dei partigiani che ci hanno dato la libertà, sono nelle piazze, nelle discriminazioni, nell’occupazione dei ruoli di potere, sono nelle dichiarazioni strampalate, ma non casuale, delle maggiori cariche dello Stato che riscrivono la storia. 
Siamo in un periodo in cui in una città, come Massa che ha offerto tanti giovani alla Resistenza e pagato con tante vittime civili l’occupazione nazifascita,  si discute se  intitolare una strada al repubblichino Almirante e in una vicina, Lucca, si nega intitolazione di una strada al partigiano e presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma gli esempi sarebbero tanti. 
Siamo in uno Stato in cui l’Avvocatura fa apposizione nei confronti dei familiari delle vittime delle stragi nazifasciste che  chiedono di accedere al fondo istituito per i risarcimenti come vittime del nazismo e si oppone alle sentenze di risarcimento. 
Un atteggiamento incomprensibile e inaccettabile, che rischia di annichilire la memoria ed ogni sua forma, espressione, traccia, testimonianza che da 80 anni grida giustizia e verità, trasformando e vanificando ciò che per noi rappresenta il cuore del patrimonio identitario nazionale, un valore imprescindibile sul quale poggiano i fondamenti della Carta costituzionale. La linea oppositiva dell’organo che rappresenta lo Stato nelle controversie legali non solo desta forti preoccupazioni nei rappresentanti istituzionali che alcuni giorni fa hanno deciso di convocare un incontro presso la sede della Regione Toscana, fare il punto sulla questione e concertare i passi successivi, ma soprattutto ci fa chiedere se siamo ancora in un Stato democratico e antifascista, se si può considerare democratico uno Stato che chiede alle vittime delle stragi pacchi di certificazioni e di fare causa ad uno Stato, quello tedesco, per avere un risarcimento e permete ad una  sua istituzione di opporsi alla giustizia aspettando che i superstiti, i pochi che rimangono,  muoiano con la sensazione di uno Stato nemico, ostile, come se non fossero stati sufficienti decenni di oblio di Stato. 
Che Stato vogliamo ? Non questo, di certo 
Il Sindaco di Stazzema 
Maurizio Verona 
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3nding · 2 years ago
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Per la rubrica bestemmie del mercoledì
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Sto leggendo diverse persone anche con un certo seguito a sinistra, scrivere che "ai loro tempi" l'università era così e cosà, e i sacrifici, e il coinquilinaggio etc. A parte l'enorme OK, BOOMER che si prendono in faccia da parte di chi non vuole essere etichettato come un viziato solo perchè chiede di poter alloggiare a prezzi civili in un Paese dove ti pagano in visibilità; sarebbe interessante notare come questo cortocircuito cognitivo è molto simile a quello contro il reddito di cittadinanza e "signora mia i giovani non vogliono lavorare, ai miei tempi facevo 19 ore sui tetti senza protezioni e mi pagavo l'università". Siamo quindi nuovamente di fronte al voler mantenere condizioni sfavorevoli invece di lottare affinchè diventino favorevoli per la collettività, una sindrome di Stoccolma mostruosa. Ovviamente - e mi da fastidio ripetermi - il discorso è sempre quello della scarsa memoria e miopia del popolo e dei media in quanto già solamente venti anni fa nei miei primi anni di università era palese che gli studenti venissero ammassati in qualsiasi buco, senza abitabilità, senza contratto e a prezzi da rapina. Dice "Eh, ma già allora c'era la legge per denunciare i proprietari ed avere un contratto agevolato" che poi è sempre il solito discorso dello Stato che se ne lava le mani e chiede a chi è in difetto di farsi organo di controllo, laddove un semplice giro delle ff.oo (o finanza) nelle bacheche fisiche o online degli atenei già allora avrebbe portato in un mese a chissà quali quantità di scoperto.
Nulla di nuovo sotto il sole, fanno solo bene i ragazzi a portare avanti sta battaglia anche se personalmente sono pessimista.
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mezzopieno-news · 7 months ago
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DONA UN MILIARDO DI DOLLARI PER I SUOI STUDENTI
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Ruth Gottesman, una professoressa in pensione di 93 anni, ha donato un miliardo di dollari americani all’università di medicina nella quale ha lavorato per tutta la sua carriera. Quella effettuata dalla professoressa emerita in pediatria, che oggi siede nel consiglio dei fiduciari dell’università Albert Einstein con sede nel Bronx, è la più grande donazione mai ricevuta da una scuola di medicina negli Stati Uniti. Vedova di un facoltoso investitore di Wall Street, la dottoressa Gottesman è stata mossa dal desiderio che gli studenti possano frequentare la scuola di medicina e cominciare la loro carriera senza accollarsi alcun debito per pagare la retta che, nel corso degli studi, può raggiungere un totale 200.000 dollari. In questo modo i giovani meritevoli potranno beneficiare di borse di studio e l’università, che si trova nel quartiere più povero di New York, amplierà il corpo studenti includendo coloro che diversamente non potrebbero permettersi di frequentare i suoi corsi.
Nonostante la riluttanza iniziale ad associare il suo nome alla donazione, Gottesman è stata persuasa dall’idea di ispirare altri a fare del bene, auspicando che i futuri medici continuino a fornire assistenza di qualità all’interno della comunità, come fece lei prima di intraprendere la carriera accademica. La dottoressa ha posto un’unica condizione alla sua donazione: che l’Università non cambi mai il suo nome, scelto in memoria del fisico Albert Einstein ancora in vita al tempo della sua inaugurazione nel 1955.
___________________
Fonte:Albert Einstein College of Medicine; Foto: New York Times
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pier-carlo-universe · 16 days ago
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Rivoli (Torino) dedica uno spazio al Beato Rolando Maria Rivi, giovane martire e protettore dei seminaristi
Fratelli d’Italia propone l’intitolazione di un’area cittadina al seminarista martire, un simbolo di fede e dedizione per i giovani di oggi
Fratelli d’Italia propone l’intitolazione di un’area cittadina al seminarista martire, un simbolo di fede e dedizione per i giovani di oggi. Il 28 ottobre 2024, il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia di Rivoli ha presentato una mozione per intitolare uno spazio cittadino al Beato Rolando Maria Rivi, giovane seminarista ucciso a soli 14 anni durante la Seconda Guerra Mondiale per la sua fede.…
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ilblogdellestorie · 10 months ago
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«Finché avrò la forza di parlare racconterò ai giovani la mia storia. Io vado avanti perché la memoria è fondamentale, vitale. Anche solo salvare la coscienza di dieci ragazzi significa che la mia esistenza non è stata inutile». Edith Bruck, scrittrice, sopravvissuta ai lager nazisti, continua a portare nelle scuole la sua testimonianza per non dimenticare l'orrore della Shoah. Nata in un piccolo villaggio di contadini in Ungheria, a 13 anni, nel maggio del ‘44, con il padre, la madre e altri familiari, Edith Bruck viene strappata dalla sua casa e deportata in un ghetto al confine con la Slovacchia. Da lì ad Auschwitz e poi a Kaufering, Dachau e infine a Bergen Belsen fino al 15 aprile del ‘45, quando il campo di sterminio è liberato dall'esercito britannico. 
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Degli anni della mia formazione scolastica l’esperienza più emblematica che mi torna in mente è il sabato fascista: le ore che era obbligatorio trascorrere nella sede del fascio per essere indottrinati. Non che allora noi rifiutassimo o aderissimo alla dottrina di Mussolini, semplicemente la imparavamo a memoria, era un compito come un altro. Imparavamo a memoria anche le poesie, e non è che ne capissimo ogni verso. Ancora ricordo l’articolo primo, che era la base di tutto ciò in cui ogni bravo fascista doveva credere: «Lo Stato è un valore assoluto, niente fuori dello Stato, niente contro lo Stato, niente al di là dello Stato, lo Stato è fonte di eticità». È vero che chi non si presentava al sabato fascista, il lunedì non veniva ammesso a scuola ed era redarguito severamente, ma ciò ci appariva una punizione circoscritta all’ambito scolastico, legata al fatto che non eravamo stati buoni scolari, più che solerti futuri camerati. Non bisogna inoltre dimenticare che non tutti gli insegnanti subordinavano il loro dovere di maestri alle imposizioni del regime. Senza contare che quella dottrina era troppo lontana dal nostro mondo, dalla nostra cultura per far breccia dentro di noi, anzi, aggiungerei, era quasi considerata un’eresia. Sentivo a casa mia e in altre famiglie amiche discuterne, criticarla, rifiutarla: nel nostro Veneto cattolico l’eticità delle leggi era avocata a sé dalla Chiesa.
Solo quando lo Stato fascista cominciò ad applicare i suoi principi con mano pesante, a perseguitare, a processare, a deportare in Germania, a eliminare chi non li rispettava, solo quando l’alleanza tra fascismo e nazismo si fece sempre più stretta e infine, dopo l’8 settembre 1943, i nazisti divennero i veri padroni del territorio, solo allora capimmo che quel «fuori», «contro», «al di là» non erano termini con cui si potesse scherzare. Fu così che alcuni discorsi ascoltati nella mia famiglia, quando si era sicuri di poter parlare, e l’esempio di mio padre, le vessazioni che subiva, ebbero un altro valore. Le parole dei nostri parroci che, nelle prediche della domenica e negli incontri con noi giovani dell’Azione cattolica, invitavano all’amore e alla concordia, al rispetto solo dei dogmi della Chiesa, alla professione della fede, uscirono dalle parrocchie, a volte contro la volontà degli stessi preti. E le leggi razziali del 1938 smisero a un tratto di essere qualcosa di stabilito dal fascismo non tanto per intima convinzione quanto per mera opportunità politica, dovuta all’alleanza con Hitler, con il nazismo; infine ne cogliemmo tutta la portata, mentre, per lungo tempo, non avevamo avuto gli strumenti per decifrarle e non eravamo riusciti a immaginare che si sarebbe creato un sistema spietato per farle rispettare. Dopo l’8 settembre non ci fu più alcuna distanza tra le due dittature. E fu impossibile non schierarsi. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 10-11.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
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lunamagicablu · 6 months ago
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Non lasciarti distruggere… Aggiungi nuove pietre E costruisci nuove poesie. Reinventa la tua vita sempre, sempre Rimuovi pietre e piante di rose e fai dolci. Ricomincia. Fai della tua vita meschina un poema. E vivrai nel cuore dei giovani e nella memoria delle generazioni che verranno. Questa fonte è per l’uso di tutti gli assetati. Prendi la tua parte. Avvicinati a queste pagine e non impedirne l’uso a quelli che hanno sete. Cora Coralina art by_theninthwavetnw_ *********************** Don't let yourself be destroyed... Add new stones And build new poems. Reinvent your life always, always Remove stones and rose plants and make sweets. Restart. Make your life miserable a poem. And you will live in the hearts of young people and in the memory of generations to come. This fountain is for the use of all the thirsty. Take your share. Approach these pages and do not prevent its use to those who are thirsty. Cora Coralina art by_theninthwavetnw_
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girulicchio · 11 days ago
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A che pensi?
Il valore di rifugio dato dalla solita routine non basta più. Sento il bisogno di qualcosa di nuovo, di diverso. Ho il desiderio di uscire dalla mia dimensione, che porta inevitabilmente agli stessi sbagli, alle stesse illusioni. Mi avvicino ai trent'anni con una maturità che solo a tratti ritengo adeguata, mentre per gran parte delle volte penso che avrei dovuto imparare di più dalla mia vita, dalle mie esperienze. Quasi mi sento di dire che ho imparato più negli ultimi cinque anni che nei precedenti ventitré. Eppure, tutto ciò non mi basta. Il pugno di mosche che stringo nel raccontarmi che ho imparato tanto su di me, che ho imparato tanto sulla vita, non aiuta. Non aiuta a non essere ancora qui, a non avere delle necessità futili, banali, magari anche inutili. Non serve a lenire alcun dolore, ma forse questa è l'unica funzione che non dovrebbe essere attesa. Certo, oggi sono più dispiaciuto dell'agosto di cinque anni fa, ma meno disperato. Più amareggiato, meno arrabbiato. Più consapevole, meno frustrato. Inevitabilmente, non mi sento bene - ma sarebbe stato strano il contrario. Non sento più l'impellenza di fare paragoni con i me del passato, né con altre persone del passato, eppure non smetto di farlo. Ha un valore diverso, ha un suono diverso, ma resta lo stesso gesto, la solita routine. Scrivo per esternare qualcosa, perché ho capito, ho realizzato, più in questi cinque anni che in tutti i precedenti, che io non parlo dei miei sentimenti, non quando dovrei, non come pensavo. Ne scrivo, al massimo. Nessun problema a scrivere pagine e pagine d'amore, soprattutto quando le emozioni sono forti, i sentimenti sono giovani, la passione trascina le dita sulla tastiera o la penna sul foglio con naturalezza, un flusso di coscienza infinito. Quando tutto si consolida, quando subentra una certa normalità, quando altro mi assorbe, sono così ottuso, così chiuso, che è difficile anche per me realizzare - se non quando è troppo tardi - cosa sto perdendo. Mi do piccoli obblighi, piccoli compiti da assolvere per sentirmi in pace - si fa per dire - con me stesso. Almeno un post al mese, almeno una chiamata al giorno, almeno tre giorni al primo ponte. Non come se tutto questo potesse bastare, e neanche come se fosse il minimo indispensabile. Come se impedisse alla proverbiale corda di spezzarsi, dopo averla tirata per giorni, mesi, anni, tra l'inconsapevole e l'inerme. Scrivo quel che penso, quello che ho dentro, per non esplodere. Raramente scrivo per il piacere di farlo. Non mi concedo nemmeno questo. È come una masturbazione fatta solo per accontentare il corpo, per svuotare le palle - a dirla come l'ho pensata all'inizio, senza censura. Ed è triste, è infinitamente triste. Da che ho memoria, una memoria parzialmente cosciente, mi è sempre piaciuto scrivere. Spesso ho detto che è l'unica costante della mia vita. Vado a capo, c'è stato un necessario taglio: ho sforato i caratteri e ho interrotto il flusso. Se c'è una lezione che non ho mai imparato è che il dono della sintesi mantiene l'attenzione propria e degli altri. Qualcuno deve fermarmi in tempo, altrimenti potrei allagare le stanze con fiumi di parole.
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klimt7 · 9 months ago
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PREMESSA :
Chiedo scusa a chi passa a leggere il mio blog, se questa volta vi costringerò a leggere un Post lungo e articolato.
Un post che contiene riflessioni e una lettura su due livelli: la Storia che ci proviene dal passato e la stretta attualità - quella del vile assassinio in un carcere russo di Alexej Navalnj.
Perchè non sempre si può ridurre ogni argomento, ad aforisma, a slogan breve o alle righe di una fulminante citazione.
Talvolta bisogna, invece, usare il cervello, per pensare, fare collegamenti, approfondire i fatti e gli avvenimenti.
Fare cioè quell'operazione che si faceva da piccoli :
UNIRE TUTTI I PUNTINI FINO A SCORGERE IL DISEGNO NASCOSTO .
In questo caso specifico, fino ad intravedere IL SENSO dei comportamenti tenuti da determinati uomini che in tutte le epoche, non si sono fatti intimorire dal POTERE del dittatore di turno.
Quel famoso "UOMO SOLO AL COMANDO" a cui vorrebbe riportarci, quell'analfabeta di diritto costituzionale che risponde al nome di Giorgia Meloni.
Una cenerentola arrogante e burina, che sogna di trasformarsi in una novella Ducetta piena di orgoglio e disprezzo per chi non la pensa come Lei.
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Ecco perchè, oggi, ripensando al sacrificio di Alexej Navalnj, non posso non andare col pensiero a Giacomo Matteotti, al suo ultimo discorso in Parlamento a fine maggio 1924 e al suo assassinio, da parte degli squadristi neri inviati da Mussolini, la bellezza di 100 anni fa, il 10 giugno 1924 !!!!
E l'attenzione va subito alla Storia, una delle materie più utili e preziose in assoluto, alla passione che ho sempre avuto fin dalle elementari per andare a scovare le lezioni che le epoche passate possono offrirci.
Subito il pensiero corre alla simmetria fra le carceri russe di questi ultimi anni e quelle italiane degli Anni Venti del secolo scorso.
Carceri che dal 1925 in poi, cominciarono a riempirsi di Antifascisti: Pietro Nenni, Sandro Pertini, Antonio Gramsci, Altieri Spinelli e tanti, tantissimi altri, che osarono sfidare il potere sempre più autoritario e oppressivo del Governo Fascista appena insediato.
È proprio ciò che l'attuale Governo Meloni, (governo composto da personaggi del tutto inadeguati, incolti ed arroganti), vorrebbe da noi cittadini italiani: che rimuovessimo quei fatti e quegli avvenimenti, dalla nostra memoria collettiva. Come non fossero mai accaduti !
E invece, come non ritornare a quell'atto di rivolta, (rispetto al conformismo imperante di quegli anni), da parte di migliaia di giovani che rifiutavano di allinearsi alle scelte scellerate del Potere Mussoliniano?
Giovani antifascisti che iniziarono a pensare al bene collettivo del proprio paese, in modo differente e a intravedere come Benito e i suoi gerarchi, stessero progressivamente cancellando ogni tipo di diritto individuale.
E pur venendo incarcerati, ebbero il coraggio di riaffermare una scelta chiara e precisa:
Io no. Io non ci sto. Io non sono d'accordo. Io lotto per cambiare le cose, per cambiare i rapporti sociali e per conquistare il diritto alla libera espressione delle opinioni. Per la democrazia, e l'uguaglianza dei diritti delle persone.
PERCHÈ SOGNO UN ALTRO TIPO DI PAESE E DI SOCIETÀ, PIÙ APERTA E MODERNA !!!
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Sono davvero tanti gli uomini coraggiosi dal comportamento esemplare dal cui esempio possiamo prendere forza e ispirazione.
Viviamo tempi bui e difficili, ma ognuno di noi, può superare il proprio disorientamento ritrovando una luce, un senso e una direzione studiando le biografie e le vite concrete di questi intrepidi protagonisti che la Storia ci offre.
Anche per noi oggi ha senso quel bivio e quella scelta: chi vogliamo essere, per cosa vogliamo lottare, per quale tipo di società siamo pronti a combattere, e quali diritti vogliamo difendere.
Perchè ognuno di noi sia una scintilla per far tornare la luce della Ragione e dell'Umanità.
Per impedire che nel buio medievale a cui ci vogliono riportare, le persone non si sentano smarrite o confuse e nemmeno impotenti o passive.
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Contro ogni tipo di sopraffazione da parte del Potere presente o futuro e a difesa d'ogni essere umano che aspira ad un futuro di diritti e di libertà.
Il ricordo grato e commosso per un grande combattente che si è speso fino all'ultimo istante della propria vita, per dare un futuro di libertà ai cittadini russi del futuro:
Aleksej Anatolevic Navalnyj
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( Il tentativo in corso di )
Analfabetizzazione
CLAUDIO LOLLI dall'Album
"DISOCCUPATE LE STRADE DAI SOGNI"
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firewalker · 9 months ago
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Se le parole arriveranno per altre canzoni
Post lungo su Marco Masini. Sono fan di Maso da quando ho memoria, ma so di far parte di una minoranza, quindi continuo dopo il salto
C'è Sanremo. Ho questo post in canna da mesi, ma ho voluto aspettare il festival perché ho pensato (sperato) che avrebbe partecipato, o magari avrebbe approfittato del festival per far uscire un nuovo album. Il fatto è che è in ritardo, e non lo è solo ora, è in ritardo da quando è tornato, dal 2005.
"Breve" ripasso per chi si fosse perso la storia di Masini.
Esordisce come cantante professionista e solista vincendo un Sanremo Giovani nel 1990 con Disperato, arrivando secondo l'anno successivo con Perché lo fai. Negli anni '90 ha fatto uscire dei pezzi incredibili, che tutt'ora porta ai concerti perché sono i pezzi a cui i suoi fans sono più affezionati. Personalmente, credo di aver ascoltato talmente tante volte l'album Il cielo della vergine (quello con Bella stronza e Principessa, per capirci... cacchio, due delle sue più belle canzoni in un solo album!) tanto da consumare il nastro.
Poi, come per Mia Martini, si diffuse la voce che Marco Masini portava sfiga. E fu la fine.
(Me ne andrò nel rumore dei fischi Sarò io a liberarvi di me Di quel pazzo che grida nei dischi Il bisogno d'amore che c'è)
Nel 2001 uscì l'album Uscita di sicurezza. L'album contiene una canzone, a mio parere nemmeno tanto bella o memorabile (Il gusto di esistere), che però dice così
Ma ho sotterrato il presente distante e mi son ritrovato nuovo Come una pianta che nasce da un seme o una bestia da un uovo Ed ho pagato il biglietto di vivere in una maniera diversa Come l'omino che corre all'uscita di sicurezza Perché il gusto di esistere da quando son nato Il gusto di esistere non mi è ancora passato!
Ci stava salutando. Stava salutando noi fans perché quella era l'ultima canzone dell'album, ed era, in quel momento, il suo ultimo album. Pochi mesi dopo l'uscita del disco, ha annunciato il ritiro.
L'ho ritrovato anni dopo, in un concerto organizzato in concomitanza a un raduno di Alleanza Nazionale (già), nell'estate 2003, in provincia di Roma. Era la sua prima apparizione pubblica dopo Uscita di Sicurezza. L'ho trovato dimagrito, anzi, in condizioni pessime. Credo non pesasse più di 55 kg circa, forse arrivava a 60. Però fece il concerto, e tenne botta per due ore. Mesi dopo annunciò il ritorno e la partecipazione a Sanremo, e quell'anno vinse! Durante quel periodo uscirono un po' di singoli, tra cui L'uomo volante che vinse al festival, per poi pubblicarli prima in una raccolta chiamata ...Il mio cammino, poi una raccolta chiamata Masini dopo Sanremo, per includere anche quella traccia.
Due anni dopo l'addio già tornava. Allora pensai che si era accorto che voleva continuare, ed ero strafelice. Partecipò ancora a Sanremo e uscì un album tra quelli che amo di più: Il giardino delle api. Solo canzoni inedite. Siamo al 2005.
Poi raccolte, raccolte, rifacimenti... dopo il 2005 uscirono album di inediti nel 2009, nel 2011 e nel 2017. E basta. Ha partecipato a spettacoli, ha cantato canzoni di altri, ha registrato dei live, ha inciso dischi con sue vecchie canzoni riarrangiate... ma niente di nuovo. Dal 2011 al 2017 sono 6 anni, dal 2017 a oggi sono 7 anni. Negli ultimi 19 anni, finora, ha pubblicato quattro albumi di canzoni nuove
E poi ripenso a una canzone del 2011: Marco come me, nell'album Niente d'importante. È una canzone autobiografica (ogni tanto ne fa), che fa da risposta - o almeno io la leggo come una risposta - a una canzone molto più vecchia: 10 anni del 2000. Entrambe le canzoni chiudono i rispettivi album e nei vecchi concerti (prima del 2010, diciamo, che poi non li ho più visti) 10 anni era la canzone di chiusura. Dice:
Io canterò di città in città, Cercando sempre i tuoi occhi E ti sorriderò. Io volerò sopra questa realtà E non saremo mai vecchi E non ti perderò. Ma, oltre questo miracolo, Io sto aspettando la vita come te, In questo eterno spettacolo Che faccio per amore, amore, Amore, amore, amore, amore sì! Sì! Fra i tuoi sogni e i miei sbagli Sono passati così Questi nostri dieci anni interminabili
Chiudeva i concerti parlando con noi al pubblico, dedicandoci un pensiero, augurandosi di trovarci e sorriderci ancora. Poi arriva il 2011, Marco come me:
E poi non resta tempo per raccontare di me I riflettori ormai si sono spenti, e il pubblico non c'è E l'eco delle voci e degli applausi sfuma Un po' di autografi, e qualcuno sa dove si cena Ho raccontato storie, confezionato bugie Verissime e sincere le ho rubate oppure sono mie. Hai visto quanta gente, ho visto sì ma forse Erano qui per uno che si chiama Marco come me, E veste come me e ride come me, Si prende la ribalta ed il calore come se La vita vera poi non riguardasse lui E me la lascia lì buttata fuori dal teatro E neanche sale con me in macchina. E non gli fa paura il tempo che è passato E non s'incazza se gli dicono non sei cresciuto Non si è mai domandato cosa farà domani Se le parole arriveranno per altre canzoni. Invece io ci penso quando rimango solo In camere d'albergo presto che perdiamo il volo. Ed in quest'altra città lo incontrerò stasera C'è il manifesto di uno che si chiama Marco come me E parla come me, si muove come me Guarda una ragazza ed un ragazzo come se Quella felicità mentre cantano con lui Bastasse a riscaldare un camerino freddo Quando mano nella mano vanno via. La macchina è già pronta, ci salgo e metto in moto Ed inseguo ancora uno che si chiama Marco come me.
Ecco, io questo post lo scrivo per quei versi in neretto, cantati nel 2011, ma evidentemente non tanto lontani. Questo testo l'ho voluto mettere tutto perché tagliarlo non aveva senso. È un appello, sta dicendo qualcosa di spiacevole e lo sta dicendo - di nuovo - a noi fans. Ci sta dicendo, già nel 2011, che è una vita che gli pesa e l'affetto del pubblico forse non è più sufficiente.
L'album del 2017 è stato interessante, ma non memorabile. Sono usciti singoli nuovi, pubblicati in raccolte con canzoni vecchie, ma un album di 7-12 canzoni tutte nuove lo stiamo ancora aspettando.
Questo post non è una lamentela, più che altro è uno sfogo. Quindi - chissà che Marco non passi di qui - lo finisco con un saluto: il tuo pubblico ti aspetta, ma grazie comunque di tutto fino a ora e in bocca al lupo.
Il 18 settembre 2024 Marco Masini compirà 60 anni... magari il prossimo album uscirà in quella occasione
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