#Alessandria e Resistenza
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Giorno della Memoria a Casale Monferrato: Celebrazioni e Riflessioni
Un programma per onorare le vittime e educare le nuove generazioni.
Un programma per onorare le vittime e educare le nuove generazioni. Lunedì 27 gennaio 2025, la città di Casale Monferrato ospiterà le celebrazioni per il Giorno della Memoria, in ricordo delle vittime dell’Olocausto. Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, un momento cruciale nella storia mondiale che continua a insegnare il…
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ALESSANDRIA. "ALPRIDE E' ANTIFASCISTA". I MILLE VOLTI DEL CORTEO PACIFICO, CHIASSOSO E COLORATO.(PHOTOGALLERY)
Servizio e fotografie Giuseppe Amato/Quotidiano On Line e Andrea Amato/PhotoAgency Lo slogan del corteo colorato,pacifico e chiassoso che ha attraverato il centro di Alessandria per raggiungere il parco Carrà alla periferia della città era rappresentato dal “papavero”, simbolo della resistenza e dell’antifascismo Che nel 2023 si debba ancora fare i conti con un passato buio, torbido, oscuro,…

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Sette arresti in 6 giorni per droga, rapine, resistenza
I controlli dei carabinieri ad Alessandria (ANSA) – TORTONA, 11 MAG – Controlli da parte dei carabinieri della compagnia carabinieri di Tortona (Alessandria) sono stati effettuati nel centro storico e nell’area della stazione ferroviaria. Dal 27 aprile al 2 maggio sono stati effettuati sette arresti per spaccio di droga, rapine e resistenza a pubblico ufficiale. Due uomini, di 35 e 38 anni,…
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La risposta dei Cosacchi alla lettera del sultano
Siamo durante la guerra turco-russa del 1676 e l’evento, molto probabilmente leggendario, ha ispirato un dipinto del pittore russo Il’ja Repin del 1891. L’opera dal titolo La Risposta dei Cosacchi dello Zaporož'e al sultano Mehmed IV di Turchia é oggi esposta all’interno del Museo russo a San Pietroburgo.
Eccolo qua.

Che cosa accadde?
I cosacchi dello Zaporož'e abitavano a sud nell’odierna Ucraina e sconfissero ripetutamente le truppe ottomane durante il conflitto turco-russo. Nonostante queste sconfitte il sultano Mehmed IV scrisse una lettera ai cosacchi invitandoli alla resa.
In quanto Sultano; figlio di Maometto; fratello del Sole e della Luna; nipote e viceré per grazia di Dio; governatore del regno di Macedonia, Babilonia, Gerusalemme, Alto e Basso Egitto; imperatore degli imperatori; sovrano dei sovrani; cavaliere straordinario e imbattuto; fedele guardiano della tomba di Gesù Cristo; fido prescelto da Dio stesso; speranza e conforto dei Musulmani; grande difensore dei Cristiani — Io comando a voi, cosacchi dello Zaporož'e, di sottomettervi a me volontariamente e senza resistenza alcuna, e cessare di tediarmi con i vostri attacchi. Il Sultano Mehmed IV.
I cosacchi, capitanati da Ivan Sirko, risposero alla lettera ricalcandone lo stile ma riempiendolo di volgarità. Il dipinto di Repin coglie il divertimento dei cosacchi mentre scrivono la lettera.
I cosacchi Zaporozi al Sultano Turco
Tu, diavolo turco, maledetto compare e fratello del demonio, servitore di Lucifero stesso. Quale straordinario cavaliere sei, tu che non riesci ad uccidere un riccio col tuo culo nudo? Il diavolo caca e il tuo esercito ingrassa. Non avrai, figlio d'una cagna, dei cristiani sotto di te, non temiamo il tuo esercito e per terra e per mare continueremo a darti battaglia, sia maledetta tua madre.
Tu cuoco di Babilonia, carrettiere di Macedonia, birraio di Gerusalemme, fottitore di capre di Alessandria, porcaro di Alto e Basso Egitto, maiale d'Armenia, ladro infame della Podolla (regione centro-occidentale dell’Ucraina N.d.A.), “amato“ (passivo nell’atto sessuale N.d.A.) tartaro, boia di Kam'janec’ (città dell’Ucraina occidentale N.d.A.) idiota del mondo e dell'altro mondo, nipote del Serpente e piaga nel nostro cazzo. Muso di porco, deretano di giumenta, cane di un macellaio, fronte non battezzata, scopati tua madre!
Ecco come gli Zaporozi ti hanno risposto, essere infimo: non comanderai neanche i maiali di un cristiano. Così concludiamo, visto che non conosciamo la data e non possediamo calendario, il mese è in cielo, l'anno sta scritto sui libri e il giorno è lo stesso da noi come da voi. Puoi baciarci il culo! Il Comandante Ivan Sirko, con l'intera armata dello Zaporož'e.
Qualche altra curiosità: L'imperatore russo Alessandro III comprò il dipinto per 35.000 rubli, all'epoca la più grande cifra mai spesa per un dipinto russo. Il poeta francese Guillaume Apollinaire scrisse in versi questa versione della lettera nel poema La Chanson du mal-aimé nella raccolta Alcools del 1913.
Una caricatura del 1923 riprende il dipinto di Repin ma con gli esponenti bolscevichi Kamenev, Zinoviyev, Stalin e Trockij che rispondono al ministro degli esteri inglese Lord George Curzon.

Nel 1944 il dipinto é stato anche celebrato in un francobollo (foto 3) dalle Poste dell’Unione Sovietica.

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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/02/23/dialetti-salentini-pirumafu/
Dialetti salentini: pirumafu
di Armando Polito
In tempi in cui quasi tutte le emittenti televisive hanno fatto dei programmi di culinaria il fulcro dei loro palinsesti, chi non sa che la piròfila è una pentola, un tegame, un recipiente fabbricato con materiale resistente al fuoco?
L’importante, però,, è cucinare e poi, naturalmente, mangiare, per la qual cosa non tutti sanno che piròfila alla lettera significa amica del fuoco, perché, il vocabolo, pur essendo nato alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo, utilizza le voci greche πῦρ antiche (leggi piùr), che significa fuoco, e φίλη (leggi file), che significa amica. Piròfila non è l’unico vocabolo moderno costruito con voci greche antiche; in particolare, fra quelle che hanno come primo componente πῦρ, basti ricordare pirotecnico (alla lettera: relativo all’arte del fuoco), piromane (alla lettera: pazzo per il fuoco) e, con πῦρ come secondo componente, il nome commerciale Tachipirina, in cui il suffisso diminutivo quasi indica l’effetto sul fuoco della febbre annunciato dal primo componente che è da ταχύς.(leggi tachiùs), che significa veloce, per cui il tutto evoca un prodotto che agisce velocemente sulla febbre.
L’atmosfera conviviale domestica, però, molto più delle suggestioni televisive, è in grado di fornire alimento, anche culturale. Non a caso della voce sdialettale del titolo avrei continuato ad ignorare l’esistenza se non fosse venuta fuori nel corso di una delle solite cenette con mio cognato Giuseppe Presicce al quale devo le tre foto di testa (raffiguranti, rispettivamente lastre di pirumafu e vista anteriore e posteriore di un forno costruito con questa pietra) per gentile concessione dell’azienda Mater carparo di Ezio Stifanelli..
Il pirumàfu mi obbliga, però, a parlare in prima battuta delle voci italiane corrispondenti sul piano solo formale, come vedremo, entrambe nate in epoca moderna La prima è piròmaca, usata anche nella locuzione selce piròmaca, detta anche pietra focaia.1 È la selce, quasi sempre organogena, che in noduli e straterelli si trova frequente nei calcari, specialmente in quelli giurassici e cretacei. Ha frattura scheggiosa o concoide, colore vario, grigio, giallastro, rossastro, bruno; sulle superficie esterne è spesso ricoperta da una patina farinosa bianca.
Tuttavia va detto che piròmaca è la riesumazione moderna di una voce antica, della quale tratterò a breve. Se la dimestichezza col fuoco della pietra focaia (utilizzata negli acciarini) giustifica il piròmaca della mineralogia, più sottile è il suo utilizzo in botanica. Si tratta dell’Artemisia Pyromacha, classificata da Domenico Viviani nel suio Florae Libycae specimen, Pagano, Genova, 1826. Da p. 54 ne riporto la scheda e la traduco:
(ARTEMISIA PYRONACA: Arbustiva, bianca. con le foglie frangiate verso l’apice o pennate; con foglioline ora integre, ora incise inferiormente arrotondate; superiormente solcate. Tab. XIII fig. 5. Il suo habitat è nel deserto della Grande Sirte.
Osserva: ho voluto che questa specie di Artemisia fosse ricordata perché di essa i nuovi viaggiatori diano notizia più completa. Tutti dettagli che posseggo mancano del fiore né mai toccò ad un nostro viaggiatore di vederla in fiore; forse <assalita dalla puntura di qualche insetto, dalla quale si trovano colpiti qua e là il suo stelo e i rami dai glomeruli coperti da una densa peluria setosa. Con questi glomeruli come alimento gli Arabi del deserto utilizzano le scintille scaturite dalla selce per attizzare il fuoco).
I piròmaca e pyromacha fin qui esaminati sono, dunque, rivisitazioni moderne di un termine antico che trova, proprio nella voce dialettale del titolo un precedente cronologico e non solo.
Pirumàfu è in uso solo nel Leccese e, in particolare, nella forma riportata nel titolo ad Alezio, Bagnolo, Galatina e Maglie, mentre la variante pilumafu è in uso a Cursi, Galatina, Sogliano, pilumàfiu ad Aradeo e Parabita, pilumacu a Specchia, pilumahu a Melpignano, piromaho a Martano, pilomafo a Corigliano, Soleto e Zollino.
Si tratta di un tipo di pietra usato nella costruzione di forni e camini per la sua spiccata proprietà refrattaria, come dimostra eloquentemente l’etimo. Tutte le voci riportate, infatti, sono dal greco πυρόμαχος (leggi piuròmachos), composto da πῦρ (leggi piùr), che significa fuoco, e dalla radice di μάχομαι (leggi màchomai), che significa combattere.
Oltre a πυρόμαχος attestato in Teofrasto (III secolo a. C.), De lapidibus, 9, esiste anche, con identica composizione, la variante più antica πυρίμαχος (leggi purìmachos) attestata da Aristotele (IV secolo a. C.), De mirabilibus ausuiltationibus,, XLVIII, in cui la nostra pietra entra nella purificazione del ferro: Λέγεται δὲ ἰδιοτάτην εἶναι γένεσιν σιδήρου τοῦ Χαλυβικοῦ καὶ τοῦ Μισικοῦ, συμφύεται γὰρ, ὤς γε λέγουσιν, ἐκ τῆς ἄμμμου τῆς καταφερομένης ἐκ τῶν ποταμῶν. Ταύτην δὲ οἱ μἑν ἀπλῶς φασι πλύναντας καμινεύειν· οἱ δὲ τὴν ὑπόστασιν τὴν γενομένην ἐκ τῆς πλύεως πολλάκις πλυθεῖσαν συγκαίειν, παρεμβάλλειν δὲ τὸν πυρίμαχον καλούμεον λίθον – εἶναι δ’ἐν τῇ χώρᾳ поλύν -. Οὗτος δ’ὁ σίδηρος поλὺ τῶν ἂλλων γίνεται καλλίων. Εἰ δὲ μὴ ἐν μιᾅ καμίνῳ ἐκκαἰετο, οὐδὲν ἄν. ὠς ἔοικε, διέφερε τἀργουρίου, μόνον δέ φασιν αὐτῶν ἀνίωτων εἶναι, οὐ поλὺν δὲ γίνεσθαι (Si dice che peculiare è la generazione del ferro calibico2 e misio3: nasce infatti, come dicono, dalla sabbia portata giù dai fiumi. Altri dicono semplicemente che dopo averla sciacquata la scaldano nella fornace, altri che bruciano il residuo della lavatura lavato più volte e vi aggiungono la pietra detta pirimaco -dicono che sia abbondante nella regione -. Questo ferro è di gran lunga migliore degli altri: infatti, se non fosse bruciato in un’unica fornace in niente, a quanto pare, differirebbe dall’argento e dicono che solo esso non arrugginisce, ma non ve n’è molto).
Solo per completezza riporto il lemma come risulta trattato, un po’ cripticamente secondo me, da Esichio di Alessandria (V secolo d. C.) nel suo glossario: πυρίμαχος ὁ ἐν τῇ †4 ἀνίκητος. καὶ λίθος ἀπὸ τοῦ συμβεβηκότος πυρίμαχος (pirimaco: l’invincibile [in battaglia] e pietra da quello che succede5 (detta) pirimaco. Faccio notare che le varianti pilumahu di Melpignano e piromaho a Martano con la loro aspirata che riproduce l’originale greca χ secondo me attestano l’antichità della voce cronologicamente anteriore, e di molto, rispetto alle voci italiane scientifiche ricordate.6
Per quanto riguarda la letteratura latina segnalo come semplice curiosità in quanto irrilevante ai fini di questa ricerca, la presenza di Pyromachus come nome proprio di persona. Si tratta di uno scultore ricordato da Plinio (I secolo d. C.) nel libro XXXIV della Naturalis historia.7
Appare evidente come la voce dialettale ha conservato il significato etimologico di quella greca riferendo la generica indicazione qualitativa a una delle numerose varietà8 di quella che genericamente è chiamata pietra leccese. il piromafu appunto, di colore giallo-verdastro con venature azzurre, dalla struttura omogenea, che per la sua resistenza al fuoco è molto utilizzato in lastre dallo spessore superiore ai 10 cm. nel rivestimento dei forni a legna. Ma c’è un ulteriore dettaglio non da poco: la sua porosità interna è in grado di catturare gli aromi del fumo della legna combusta e al calare della temperatura di rilasciarli conferendo al pane il tipico profumo.
Sarà lo stesso che sembra emanare dall’ambiente ritratto nella foto di chiusura tratta da immagine tratta da https://www.gliamicidelsalento.it/blog/tradizioni/lu-furnaru-il-fornaio/<<?
__________
1 La voce appare per la prima volta nella forma latina scientifica Pyromacha in Magnus von Bromell, Mineralogia, Kiesewetter, Stoccolma, 1739.
2 Di Calibe, città della Tracia.
3 Regione dell’Asia minore.
4 Lacuna nel testo, integrata solitamente con μἀχῃ, per cui la voce è interpretata violento come fuoco in battaglia.
5 Cioè dalla sua refrattarietà.
6 Da notare, rispetto alla voce attestata in Aristotele e Teofrasto (πυρόμαχος), la diastole (spostamento in avanti di una sillaba dell’accento), giustificata dal fatto che si tratta quasi di una regolarizzazione dovuta al fatto che la pronuncia piana è la più facile, anche perché un eventuale intermediario latino sarebbe stato piròmachos, essendo breve l’-α– dell’originale greco. Non è da escludere, però, una derivazione, più tarda, dalla forma presente in Esichio (πυρίμαχος).
7 CXXI Olympiade Eutychides, Euthycrates, Laippus, Cephisodotus, Timarchus, Pyromachus (Al tempo della 121a Olimpiade fiorirono Eutichide, Euticrate, Loippo, Cefisodoto, Timarco) … Pyromachi quadriga ab Alcibiade regitur (La quadriga di Piromaco è guidata da Alcibiade).
8 in ordine stratigrafico (tra parentesi la profondità in metri rispetto al piano di scavo: Oltre al pirumafu (2-4), la cucuzzara (4-6), la dura (6-11) particolarmente adatta per lastricati, la bianca (11-12) selezionata per la costruzione dei muri maestri, la dolce (12-16) preferita dagli scalpellini per la facilità di lavorazione, la saponara (17-18) in strati sottili e di scarso interesse merceologico, la gagginara (18-27) compatta e di coloro chiaro, molto apprezzata, occupa molto spesso il 50% del banco di coltivo, e la nera (27-30) usata in pavimentazioni tipiche.
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Fit Camp al Parco: un'iniziativa per promuovere lo sport e il benessere ad Alessandria
Alessandria – Lo sport all'aria aperta è il miglior alleato per il benessere fisico e mentale. Con questo obiettivo nasce il Fit Camp al Parco, un evento dedicato a chi desidera mantenersi in forma, divertirsi e condividere un'esperienza di gruppo energica e motivante.
Alessandria – Lo sport all’aria aperta è il miglior alleato per il benessere fisico e mentale. Con questo obiettivo nasce il Fit Camp al Parco, un evento dedicato a chi desidera mantenersi in forma, divertirsi e condividere un’esperienza di gruppo energica e motivante. L’appuntamento è fissato per domenica 9 marzo alle ore 11.00, con ritrovo alle 10.45 in Via Vinzaglio 25. Un’opportunità per…
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Alessandria 5 aprile 1945, l'ultimo bombardamento aereo alleato sull'Italia
Alessandria 5 aprile 1945, l’ultimo bombardamento aereo alleato sull’Italia
Italia settentrionale primi giorni dell’aprile 1945. La seconda guerra mondiale almeno per quanto riguarda il fronte italiano è ormai praticamente finita, la linea gotica, l’ultima linea di resistenza tedesca è stata sfondata, le armate alleate dilagano nella pianura padana. Le truppe del Reich non possono più opporre resistenza allo strapotere anglo- americano e pensano solo a ritirarsi verso la…

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ALESSANDRIA. 12 BUONI MOTIVI PER VOTARE IL PARTITO DEMOCRATICO E LA COALIZIONE PROGRESSISTA.
ALESSANDRIA. 12 BUONI MOTIVI PER VOTARE IL PARTITO DEMOCRATICO E LA COALIZIONE PROGRESSISTA.
ELEZIONI POLITICHE 25 SETTEMBRE 2022. I motivi per cui gli elettori, che il 25 settembre 2022, decideranno non solo per la formazione del futuro governo, ma anche per le sorti della Costituzione italiana, nata dalla resistenza contro l’occupazione nazi-fascista e la dittatura, e lavita futura degli italiani, il rispetto dei diritti fondamentali, la libertà e la difesa delle fascie più deboli…

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6 aprile 1944. Inizia il rastrellamento e l'ECCIDIO NAZIFASCISTA della BENEDICTA (presso Capanne di Marcarolo, nel comune di Bosio, nell'Appennino Ligure). Tra le forze partigiane liguri che alla fine del marzo 1944 rendevano insicure ai tedeschi le vie di comunicazione con la valle del Po vi era la terza Brigata «Liguria» e il gruppo «Odino». Il comando tedesco di Alessandria ebbe l'incarico di dirigere e coordinare, in stretta collaborazione con quelli di Genova, Acqui e Ovada, un grande rastrellamento della zona affidato ad un'intera divisione tedesca (ventimila uomini) con aliquote di artiglieria, autoblinde, lanciafiamme ed aerei; ad essa si aggregarono reparti della GNR e delle forze armate di Salò. All'alba del 6 aprile le forze nazifasciste si pongono in moto e le colonne sviluppano un attacco concentrico che tende a rinserrare i partigiani in sacche senza via di uscita. La maggior parte dei distaccamenti della Brigata «Liguria», però, dopo alcuni tentativi di resistenza, riesce a filtrare attraverso lo schieramento nemico o ad occultarsi sul luogo, sottraendosi alla distruzione. Non così il gruppo «Odino». Esso aveva stabilito nei pressi di Voltaggio, in un vecchio monastero semidistrutto posto sulla Benedicta, un accantonamento di renitenti fra i quali vi era un centinaio di giovani completamente disarmati. Il mattino .del 7 aprile essi vengono sorpresi e catturati da due colonne di fascisti e di tedeschi. Oltre un centinaio di giovani sono fucilati sul luogo, a gruppi di cinque per volta, da un plotone di bersaglieri fascisti: il massacro dura fino a tarda sera. Novantasei corpi furono gettati la sera in fosse comuni, molti altri furono trovati insepolti sulla montagna i giorni seguenti. Altri tredici prigionieri furono fucilati a Masone e sedici a Voltaggio. Un ultimo gruppo, comprendente fra gli altri i comandanti «Odino» e il tenente Pestarino suo aiutante, trasportato a Genova, viene fucilato il 19 maggio al passo del Turchino per rappresaglia. Oltre duecento prigionieri vengono avviati ai campi di concentramento in Germania.. Complessivamente i caduti tra partigiani e civili, assassinati sul posto, deportati e poi morti nei lager, furono 305 Osservatorio sulle nuove destre Italia (fb)
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È il 5 settembre del 1974 quando per Roma e dintorni inizia a girare una notizia tanto allarmante quanto inaspettata: stanno sgomberando a San Basilio!
Chi, rispondendo all’appello, si precipita nel quartiere trova uno scenario da guerra civile. Come vere truppe d’occupazione, le forze dell’ordine hanno invaso la storica borgata romana ma, dopo aver allontanato una prima volta gli occupanti dalle proprie case, non possono impedire una nuova occupazione degli appartamenti la sera stessa.
Il Comitato di Lotta per la Casa, insieme a un fronte sempre più ampio di sodali, rinforza la difesa, ma il 6 la storia si ripete:
La polizia arriva la mattina in forze per effettuare lo sgombero in via Montecarotto, ma trova una resistenza organizzata all’innesto della via Tiburtina con via del Casale di San Basilio, dove nella notte era stata alzata una barricata. Iniziano gli scontri con lanci di lacrimogeni e ripetute cariche a cui i manifestanti rispondono con un fitto lancio di molotov e sassi. La polizia comunque riesce a transitare da via Nomentana, circonda le case e inizia un fitto lancio di lacrimogeni sparati anche sui balconi e si fa largo a colpi di manganello: una bambina di 12 anni rimane ferita. In alcuni appartamenti si verificano focolai di incendio (Massimo Sestili, “Sotto un cielo di piombo. La lotta per la casa in una borgata romana. San Basilio settembre 1974”, in “Historia Magistra” n.1, 2009).
Le case sgomberate, in ogni caso, vengono nuovamente occupate nella stessa giornata. E proprio grazie alla determinazione di chi resiste, il 7, sabato, si respira aria di tregua, con gli avvocati di Movimento che riescono anche a recarsi in Prefettura per cercare di far ritirare l’ordinanza di sgombero. Potrebbe sembrare tutto finito, eppure è proprio la domenica il giorno atteso dalla polizia per sferrare l’attacco più feroce. Alle otto riprendono le operazioni di sgombero, ma non trova persone disponibili ad abbandonare ciò che hanno conquistato senza lottare. Intorno alle 17, addirittura, una donna di 24 anni imbraccia un fucile da caccia e, dalla finestra di casa, spara contro i poliziotti, ferendo un vicequestore. Alle 18, l’assemblea popolare riunita per cercare di capire il da farsi viene attaccata con i lacrimogeni: la reazione della folla è compatta e la celere, lanciata alla carica, perde la testa insieme alle sue posizioni.
È la guerra: il popolo da una parte, le forze dell’ordine dall’altra. Il quartiere è isolato, i pali della luce divelti, qualunque cosa utile a essere lanciata viene utilizzata allo scopo e i mezzi di trasporto, parcheggiati per provvedere alla deportazione degli sgombrati, vengono dati alle fiamme.
Le armi da fuoco, è vero, non sono soltanto appannaggio della polizia. Ma su questo versante, ovviamente, gli occupanti non possono competere con chi indossa la divisa. Si supplisce con il cuore e con la solidarietà. Le barricate chiamano e Roma risponde. La polizia, però, continua a sparare. Proiettili come se piovesse in via Fiuminata dove, a essere colpito al petto da una pallottola calibro 7,65, è un ragazzo con il casco rosso.
Quel ragazzo ha appena diciannove anni. Vive a Tivoli, dove milita nel Comitato proletario, un organismo di Autonomia Operaia. Suo padre fa il netturbino, la mamma è casalinga. Lui, dopo gli studi alla scuola alberghiera, aveva lavorato in diversi bar e ristoranti prima di provare a trasferirsi in Francia. Tornato in Italia, ci sarebbe stata una buona notizia ad aspettare la sua famiglia. Dopo una lunga attesa, finalmente era arrivata l’assegnazione di una casa popolare a Villa Adriana. Quell’8 settembre, prima di correre a San Basilio per difendere le case occupate, aveva aiutato con il trasloco… alle 19 e 15 circa si ritrova su un taxi, impegnato in una corsa disperato verso il Policlinico. Quando il mezzo arriva a destinazione è troppo tardi. Il ragazzo con il casco rosso è morto: si chiamava Fabrizio Ceruso; «per loro non eri nessuno», dice A Fabrizio Ceruso, una delle canzoni anonimamente dedicate al ragazzo di Tivoli:
Soltanto 19 anni per loro non eri nessuno / soltanto 19 anni e per loro non eri che uno / uno come tanti, un cameriere, un garzone d’officina / un operaio, un disoccupato un emigrante…
Nemmeno la data dell’omicidio di Fabrizio sembra frutto del «caso». L’8 settembre del 1943, con l’esercito italiano allo sbando, era stata la milizia popolare a tentare la resistenza contro i nazisti. A Tiburtino III, non lontano da San Basilio, la memoria del cadavere della popolana Caterina Martinelli, ammazzata dalle SS mentre con altre donne del quartiere assaltava un forno nel vano tentativo di conquistarsi il pane con cui sfamare la famiglia, riallaccia il legame con gli ideali di una Resistenza che, trasformata in lotta per la casa, significa davvero giustizia e libertà. E se Caterina Martinelli era diventata la martire della lotta contro la fame, dopo l’8 settembre del 1974 Fabrizio vive in ogni casa che viene occupata.
*
Accettare, come effettivamente è avvenuto nelle aule dei tribunali, che la morte di Fabrizio Ceruso resti archiviata con un non luogo a procedere «essendo ignoti gli autori del reato» non significa solo trascurare le numerose testimonianze che individuano in un poliziotto che si inginocchia ed esplode quattro colpi l’autore del gesto. Significa, in una situazione di estrema gravità, provare a dimenticare la situazione repressiva vissuta dall’Italia nel corso del 1974: l’anno della strage di Brescia (28 maggio; 8 morti e 102 feriti) e del treno Italicus (4 agosto; 12 morti e 45 feriti); ma anche l’anno in cui la rivolta scoppiata nel carcere di Alessandria (9 maggio; 5 morti tra detenuti e ostaggi) viene soffocata nel sangue dall’assalto deciso e diretto dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Il tentativo di sgombero di San Basilio, in un simile clima, è un altro capitolo della strategia della tensione e, inaugurando la futura «linea della fermezza» adottata nella repressione dei fenomeni d’insorgenza sociale, segna la scelta di attaccare deliberatamente un movimento in crescita come quello della lotta per la casa nel tentativo di stroncarlo, impedendo all’autorganizzazione di diffondersi, alle famiglie coinvolte di predisporre una resistenza efficace e alle occupazioni abitative di moltiplicarsi. Analizzato in questi termini, il tentativo fallisce. Al contrario, a San Basilio fu proprio nel momento in cui il quartiere apprese dell’assassinio di Ceruso che la lotta si trasformò in una battaglia autenticamente popolare, senza distinzione alcuna tra occupanti e assegnatari. E, come recita Rivolta di classe, un’altra canzone popolare dedicata alla battaglia di San Basilio, «la casa si prende, la casa si difende» continuerà a essere lo slogan di qualunque episodio di riappropriazione:
La casa compagni si prende / l’abbiam gridato tante volte / e dopo la si difende / da padroni e polizia…
Le case, dunque, saranno occupate ancora, i diritti rivendicati, le conquiste sociali difese: «Sarebbe sbagliato», si scrisse allora, «“mitizzare” lo scontro di S. Basilio in quanto ancora episodio (anche se tra i più belli e i più profondamente radicati nella coscienza di classe) e non già acquisizione permanente di quel comportamento da parte del movimento per la casa».
Un’affermazione, proveniente dall’area dell’Autonomia Operaia, con cui si sottolineava come, partendo dall’abitare, fosse inevitabile arrivare allo scontro con strutture di potere disposte a tutto pur di non cedere un centimetro del proprio interesse alla classe contrapposta. E in effetti, ad appena un giorno di distanza dalla morte di Ceruso e dopo che, inferocita per l’omicidio del ragazzo di Tivoli, tutta San Basilio si era scagliata contro la polizia ingaggiando una guerriglia lotto per lotto, la Regione Lazio si decideva a riconoscere il diritto alla casa popolare a chiunque, vantando i necessari requisiti, avesse occupato un alloggio prima dell’8 settembre del 1974.
Per molti palazzinari simili provvedimenti rappresentavano – e rappresentano – un danno concreto. Il rischio di una perdita economica nel nome della quale si potrebbe tranquillamente tornare ad ammazzare ancora.
(Tratto da “La Scintilla. Dalla Valle alla Metropoli, una storia della lotta per la casa”)
BIBLIOGRAFIA:
Cristiano Armati, Cuori rossi, Newton Compton, Roma, 2006.
Massimo Carlotto, San Basilio, in In ordine pubblico, a cura di Paola Staccioli, Fahrenheit 451, Roma 2005
Raimondo Catanzaro – Luigi Manconi, Storie di lotta armata, Il Mulino, Bologna 1985.
Gian-Giacomo Fusco, Ai margini di Roma capitale. Lo sviluppo storico delle periferie: San Basilio come caso di studio, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2013.
Ubaldo Gervasoni, San Basilio: nascita, lotte e declino di una borgata romana, Edizioni delle Autonomie, Roma, 1986.
Sandro Padula, San Basilio, 8 settembre 1974: Fabrizio Ceruso e la lotta per il diritto alla casa, in «Baruda.net», 8 settembre 2014.
Massimo Sestili, Sotto un cielo di piombo. La lotta per la casa in una borgata romana. San Basilio settembre 1974, in «Historia Magistra», n.1, 2009.
Pierluigi Zavaroni, Caduti e memoria nella lotta politica. Le morti violente della stagione dei movimenti, Carocci, Roma, 2010.
A cura di «Progetto San Basilio – Storie de Roma» è in corso di preparazione un film documentario sui fatti del settembre 1974 intitolato La battaglia – San Basilio 1974
da http://www.armati.info/8-settembre-1974-fabrizio-ceruso-e-la-battaglia-di-san-basilio
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13 GEN 2020 09:18
AGENZIA P-ANSA - ''MIO PADRE AVEVA TRASCORSO L’INFANZIA NELLA MISERIA: PENULTIMO DI SEI ORFANI, FIGLI DI UN BRACCIANTE A GIORNATA. MORTO DI COLPO MENTRE ZAPPAVA IL CAMPO DI UN ALTRO. MIA NONNA NON AVEVA VOLUTO AFFIDARE I BAMBINI ALLA CARITÀ PUBBLICA. E LI AVEVA TIRATI SU DA SOLA, CON LA FEROCIA DI UNA LEONESSA. PER FARLI MANGIARE, ANDAVA A RUBARE. IL SUO MOTTO ERA…'' - LE REGOLE DI PANSA: REDAZIONI RIDOTTE AL MINIMO; GIORNALISTI PRONTI A TUTTO; RAPIDITÀ; UNICO GIUDICE IL DIRETTORE, DITTATORE ASSOLUTO; SE SI FA BENE, SI SIA PREMIATI E SE SI FA MALE…''
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LA BIOGRAFIA
Biografia di Giampaolo Pansa a cura di Giorgio Dell'Arti per www.cinquantamila.it
Casale Monferrato (Alessandria) 1 ottobre 1935. Giornalista. «La mia patria morale è da sempre la Resistenza ma non accetto la retorica falsa secondo la quale di qui c’erano tutti i buoni e di là i cattivi. La sinistra che afferma ancora questa grande bugia reca danno solo a se stessa».
• «Mio padre aveva trascorso l’infanzia nella miseria: penultimo di sei ragazzini orfani, figli di un bracciante a giornata. Morto di colpo mentre zappava il campo di un altro: Giovanni Pansa, classe 1863, di Pezzana, provincia di Vercelli. Mia nonna, Caterina Zaffiro, classe 1869, anche lei vercellese di Caresana, non aveva voluto affidare i bambini alla carità pubblica. E li aveva tirati su da sola, con la ferocia di una leonessa. Per farli mangiare, andava a rubare. Il suo motto diceva: la roba dei campi è di Dio e dei santi, dunque pure di una disgraziata come me».
• «Papà e mamma erano arrivati soltanto alla quarta elementare lui e alla quinta lei. Per poi andare subito al lavoro: come guardiano delle mucche e come piccinina in una pellicceria».
• Laureato in Scienze politiche con una tesi su La guerra partigiana tra Genova e il Po (trasformata poi in un libro, Laterza 1967), vinse il premio Einaudi (500.000 lire) e fu chiamato alla Stampa, dove entrò l’1 gennaio 1961, praticante alla redazione Province.
• La sera del 22 novembre 1963, dovendosi fare il giornale sull’attentato a Kennedy, il direttore Giulio De Benedetti piombò nella redazione Esteri: «Questa cronaca non va bene, non va bene assolutamente. Riscriverla per la seconda edizione». Subito dopo: «Anzi, no. Voi degli Esteri siete troppo stanchi». Il direttore si girò, e alle sue spalle c’era la redazione Province. «Lei e lei. Rifatela voi due, questa cronaca».
I due erano Giuseppe Mayda e Pansa: «Seguite voi due questo fatto anche nei prossimi giorni, fino a che il nostro inviato non sia giunto sul posto». Tirarono avanti fino al quarto giorno, quando arrivò a tutti e due una lettera del segretario di redazione Fausto Frittitta che diceva: «Il direttore mi incarica di comunicarLe la sua soddisfazione per il servizio da Lei svolto sull’assassinio del presidente Kennedy». Seguiva l’annuncio di un aumento di stipendio.
• Pansa dice di aver imparato in questi primi anni le cinque regole che sono alla base di un giornale ben fatto: redazioni ridotte al minimo indispensabile; giornalisti pronti a far tutto; rapidità; unico giudice il direttore, dittatore assoluto; se si fa bene, si sia premiati e se si fa male si sia puniti.
• Al Giorno dal 1964, al direttore Italo Pietra che gli chiedeva se preferisse fare l’inviato in Vietnam o a Voghera rispose: «A Voghera». Pietra: «Risposta esatta. Se avessi detto Vietnam non ti avrei preso». Nel 1968 tornò alla Stampa (direttore Ronchey).
• Dal 1972 redattore capo al Messaggero, si trovò male anche per l’ostilità della redazione, nel 1973 andò al Corriere della Sera come inviato: colpo più clamoroso l’intervista a Enrico Berlinguer del 1976 in cui alla domanda se non temesse di fare la fine di Dubcek (il segretario del Partito comunista cecoslovacco che nel 1968 aveva tentato di liberalizzare il suo paese ed era stato spazzato via dai carri armati sovietici) ebbe per risposta: «No, perché sono da questa parte dell’Occidente e, con la protezione della Nato, mi sento più sicuro».
• Nel 1977, dopo le dimissioni del direttore Ottone, lasciò il Corriere per Repubblica.
• A Repubblica (è questo il periodo in cui lo si vede ai congressi dei partiti col binocolo perché non vuole farsi sfuggire nessun tic degli oratori) cominciò presto a fare il vicedirettore con Gianni Rocca e contribuì allo straordinario successo (in copie e peso politico) del giornale. Alla fine degli anni Ottanta inaugurò su Panorama (direttore Claudio Rinaldi) la rubrica “Bestiario”, poi portata all’Espresso di cui diventò condirettore. Incarico che ha lasciato il 30 settembre 2008 per passare al Riformista, fino al 2010, quando passa a Libero dove porta il suo “Bestiario”.
• Ha scritto molti libri, tra cui: L’esercito di Salò (Istituto della Resistenza e poi Oscar Mondadori, 1970), Comprati e venduti (Bompiani 1977), Ottobre addio (Mondadori 1982), Carte false (Rizzoli 1986), Intervista sul mio partito (a Luciano Lama, Laterza 1987), Lo sfascio (Sperling 1987), Questi anni alla Fiat (intervista con Cesare Romiti, Rizzoli 1988), Il Malloppo (Rizzoli 1989) ecc. Dopo che Rizzoli rinunciò alla pubblicazione de L’intrigo, giudicato troppo contrario a Berlusconi (in quel momento oltre tutto Berlusconi distribuiva con la Rizzoli Sorrisi e Canzoni), passò a Sperling & Kupfer, per poi tornare a Rizzoli nel 2008.
• Gli ultimi libri hanno ripreso il vecchio tema della Resistenza, visto però dalla parte dei perdenti. La grande bugia (Sperling & Kupfler, 2006), I tre inverni della paura (2008), I vinti non dimenticano (2010), La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (2012), Bella ciao - Controstoria della Resistenza – (2014). Grandissime vendite e grandissime polemiche. Su Il sangue dei vinti (Rizzoli, 2003): «Vergognoso, non revisionista ma falsario» (Aldo Aniasi), «Una vergognosa operazione opportunista» (Giorgio Bocca), «Libro vergognoso di un voltagabbana» (Liberazione), «Una cinica operazione editoriale» (Sandro Curzi).
Ernesto Galli Della Loggia: «Che cosa gli rimproverava la sinistra più conservatrice e aggressiva, quella, come lui la chiama, degli “uomini di marmo”? Semplicemente di aver rotto il tabù delle migliaia di fascisti (o presunti tali, o addirittura, in più di un caso, di antifascisti perfino) brutalmente fatti fuori dai partigiani all’indomani del 25 aprile». Giorgio Bocca dopo aver letto La grande bugia: «Io sono d’accordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge».
• «Molti leader di sinistra sono persone mediocri, arroganti, boriose. Afflitte soprattutto da un vizio: l’ignoranza. Una malattia diffusa che li fa essere infastiditi da tutto ciò che non rientra nei loro poveri schemi culturali. Quando uscì il mio Sangue dei vinti i tipi sinistri non erano in grado di smentire i fatti che raccontavo: ma divennero furibondi perché incrinavo un tabù, quello della Resistenza, che li aveva aiutati a campare per tanti anni. Coprendo la verità con il mantello della retorica interessata e di bugie senza vergogna».
• «Dopo una vita trascorsa nel giornalismo schierato, de sinistra, Pansa ha maturato negli ultimi anni, specie per come sono stati accolti i suoi libri sulla guerra civile tra partigiani rossi e repubblichini dai Torquemada ex e post del pensiero unico, un giustificato disamore per la sinistra, forse antropologicamente superiore a ogni altra tribù nazionale ma con un QI politico e un respiro culturale, sia detto senza offesa, di poco superiore a quelli del paramecio, organismo unicellulare e magari, non mi stupirei, anche un po’ trinariciuto». (Diego Gabutti) [Iog, 17/4/2012].
• Da ultimo anche un paio di libri fortemente critici verso i giornalisti: Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani (Rizzoli 2011) La Repubblica di Barbapapà (Rizzoli 2013, «Barbapapà è il soprannome che la redazione di Repubblica diede ad Eugenio Scalfari»).
• «Sono un umorale, un ingenuo, a volte m’incavolo, spesso sbaglio. Ma non ho mai scritto una riga per calcolo o fatto polemiche per opportunismo».
• «Ha il giornalismo nel sangue, anzi in Italia ne è uno dei capiscuola e officia i riti di questo mestiere con un suo scrupolo particolare. Alle 8,30 del mattino ha già letto dieci quotidiani, si devono a lui metafore entrate nel linguaggio comune come la definizione di “Balena bianca” per la Dc» (Maurizio Caprara).
• «Le cattiverie di Pansa sono leali, mai subdole, e non cancellano un’indulgenza di fondo verso gli attori della commedia umana. Il “Bestiario” cerca di applicare a modo suo il principio costituzionale del giusto processo» (Claudio Rinaldi).
• Antiberlusconiano («con giudizio», dice lui). «In passato ho creduto in Prodi. Ora ho perso anche l’ultima illusione». Nel maggio 2007 annunciò che non sarebbe più andato a votare. Frequenti bastonate alla sinistra estrema, tra i suoi bersagli preferiti Bertinotti, ribattezzato “Il parolaio rosso”.
• Juventino.
• Fuma.
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Morto Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore: Scrisse sulla Resistenza e crimini di guerra commessi dai partigiani
E’morto Giampaolo Pansa, aveva 84 anni. Il cronista e saggista era nato a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, il primo ottobre 1935, dallo scorso settembre scriveva per il ‘Corriere della Sera’, di cui è stato inviato speciale dal 1973 al 1977, con la rubrica ‘Ritorno in Solferino’. La sua firma negli ultimi mesi, a partire da agosto 2019, è apparsa anche sul giornale online ‘The Post...
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Novi: in manette parcheggiatore abusivo 23enne
Nell’ambito dei servizi svolti dai Carabinieri di Novi Ligure finalizzati a fronteggiare il fenomeno dei parcheggiatori abusivi che, con atteggiamento molesto, chiedono denaro ai cittadini che parcheggiano nelle piazze principali del Comune di Novi Ligure, i militari della Compagnia e dell’Aliquota Radiomobile di Novi Ligure hanno tratto in arresto un nigeriano di 23 anni responsabile di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. I Carabinieri sono intervenuti in Piazza Gobetti notando il prevenuto richiedere denaro in modo petulante agli autisti che parcheggiavano in quella piazza. Una prima pattuglia si avvicinava al soggetto intimandogli di fermarsi per essere sottoposto a controllo. Il nigeriano, vedendosi circondato anche da un’altra pattuglia dei Carabinieri, si dava alla fuga. La pronta reazione dei militari consentiva di bloccare il ventitreenne nell’adiacente via Edilio Raggio. Nella circostanza, i carabinieri, scesi dalle loro autovetture, bloccavano il soggetto ingaggiando con lo stesso una breve colluttazione poiché lo stesso tentava in tutti i modi di divincolarsi, cercando di colpire i miliari. Tratto in arresto e condotto presso la Caserma dei Carabinieri di Novi Ligure, l’uomo veniva trovato in possesso di numerose monete per un totale di 42,58 euro, sottoposti a sequestro amministrativo. Successivamente è stato tradotto presso la casa circondariale di Alessandria su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria. L’uomo, domiciliato a Serravalle e irregolare sul territorio nazionale, già colpito da provvedimento di espulsione nel luglio 2016, è stato trovato in possesso di numerose ricevute di schedine, il che lascia intendere che lo stesso non esercitasse l’attività di parcheggiatore per sopravvivere, come si potrebbe pensare, ma che avesse una evidente attitudine alle “scommesse” presso sale giochi del Comune di Novi Ligure. http://dlvr.it/PpyQk4
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Tempeste di Ada Negri. Recensione di Alessandria today
Tempeste è una raccolta poetica che rappresenta uno dei momenti più intensi e profondi della produzione letteraria di Ada Negri, poetessa e scrittrice tra le più importanti del panorama italiano. L’opera esplora tematiche sociali e personali, alternando riflessioni sulla condizione umana, il dolore, la forza d’animo e l’amore.
Informazioni essenziali: Titolo: Tempeste Autore: Ada Negri Anno di pubblicazione: 21 ottobre 2022 Genere: Poesia Editore: Alter Valutazione: ★★★★☆ (4,0 su 5 – 1 voto) Un viaggio tra passioni, dolore e resistenza. Tempeste è una raccolta poetica che rappresenta uno dei momenti più intensi e profondi della produzione letteraria di Ada Negri, poetessa e scrittrice tra le più importanti del…
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Oggi ci siamo presi cura delle sellerie di questa fantastica #maseratighibli Abbiamo pulito e idratato a fondo la pelle facendo aprire per bene i pori e dopo l'ultimo step, abbiamo provveduto a sigillare nanotecnologicamente con #dermasealant per prevenire il trasferimento di colore da jeans e per aumentare la resistenza della pelle all'abrasione. Nella foto, un 50/50 del prima e dopo il trattamento. Per info non esitate a venire a trovarci, senza alcun impegno. #centrodetailingalessandria #labocosmetica_official #mafraelitepoint #mafrapoint #detailingalessandria (presso AnGi Car Service Autolavaggio Officina Gommista Alessandria - Antonio Lecce) https://www.instagram.com/p/BynuMQXi9CV/?igshid=7bqldk505ekf
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