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Giorno della Memoria a Casale Monferrato: Celebrazioni e Riflessioni
Un programma per onorare le vittime e educare le nuove generazioni.
Un programma per onorare le vittime e educare le nuove generazioni. Lunedì 27 gennaio 2025, la città di Casale Monferrato ospiterà le celebrazioni per il Giorno della Memoria, in ricordo delle vittime dell’Olocausto. Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, un momento cruciale nella storia mondiale che continua a insegnare il…
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Le foibe sono un crimine di guerra, su questo non ci possono essere dubbi. Uccidere nemici inermi, dopo la cattura, al di fuori del combattimento e senza un giusto processo (come è spesso avvenuto in quelle circostanze) è sempre un crimine. Specie se ciò avviene alla fine di una guerra, quando si suppone che ci sia il tempo per giudicare i responsabili di reati commessi in precedenza, come avvenuto infatti a Norimberga, ma non (vale la pena ricordarlo) per i criminali di guerra italiani. Tuttavia, come sanno tutti gli storici, le vittime delle foibe non state uccise «solo perché italiane», a differenza di ciò che viene ossessivamente ripetuto nella vulgata politico-mediatica. Decine di migliaia di italiani combattevano nelle file dell’esercito partigiano jugoslavo, ovvero dalla parte di chi ha commesso quei crimini, e non hanno subito, ovviamente, alcuna violenza. Inoltre fra le vittime della resa dei conti condotta dalle forze jugoslave a fine guerra, gli italiani rappresentano tra il 3 e il 5%; gli altri sono jugoslavi (serbi, croati, sloveni, ecc.): tutti uccisi perché ritenuti fascisti, nazisti, spie, collaborazionisti o contrari alla conquista del potere da parte delle forze partigiane. I liberatori jugoslavi dunque se la prendono contro specifici nemici identificati in base all’appartenenza politica e militare, non nazionale.
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Da circa vent’anni sono state istituite due giornate commemorative, quella della Memoria dei crimini nazisti e quella del Ricordo delle foibe. Tali celebrazioni sono simili nella denominazione, vicine nel tempo (27 gennaio e 10 febbraio) e hanno lo stesso identico peso formale. Ripeto per essere più chiaro: i crimini contro l’umanità commessi dai nazisti nelle logiche che sono state ricordate, e che hanno ucciso 10 milioni di persone, sono commemorati alla stessa stregua delle violenze condotte dai partigiani jugoslavi contro 5.000 persone, molti dei quali condividevano il campo nazista.
Nei discorsi istituzionali e nella propaganda mediatica sulle foibe si parla di «pulizia etnica», si afferma che le vittime sarebbero state uccise «solo perché italiane» e si ribadisce il paragone con la Shoah, ignorando al tempo stesso i crimini fascisti e nazisti commessi in precedenza in quello stesso territorio. Come credo sia ormai chiaro, tutto ciò è assurdo, offensivo, umiliante, di fatto «negazionista» o almeno enormemente «riduzionista» nei confronti della Shoah e dei crimini nazisti e fascisti. Per di più negli ultimi anni il giorno del Ricordo ha acquisito un’importanza politica addirittura maggiore rispetto a quello della Memoria. La Rai ha prodotto due film sul tema, se ne interessano programmi televisivi di ogni genere, se ne parla addirittura a Sanremo durante il festival dei fiori; politici di tutti gli schieramenti ne strumentalizzano la vicenda, enti pubblici di ogni livello intitolano strade, piazze, parchi, monumenti a Norma Cossetto o ai «martiri delle foibe»; il Ministero dell’Istruzione dirama circolari-fiume sul tema («Linee guida» di ben 90 pagine), i prefetti di tutta Italia chiedono alle scuole di insegnare la falsa «pulizia etnica» ai loro studenti e il Parlamento ha da poco approvato lo stanziamento di milioni di euro per incentivare la propaganda antistorica delle associazioni nostalgiche, finanziando «viaggi del ricordo» scolastici al confine orientale.
Non ci possono essere dubbi: nella nostra memoria pubblica le violenze dei partigiani a fine guerra hanno acquisito un peso molto maggiore dei crimini nazisti, e sono probabilmente oggi più conosciute e ritenute più rilevanti dall’opinione pubblica. Può sembrare assurdo e paradossale, ma è così. Eppure manca ancora un tassello, la beffa oltre al danno.
Che fine hanno fatto i crimini fascisti? Su questo semplicemente non esiste una memoria pubblica. Chi davvero uccideva intere popolazioni solo per la propria appartenenza, chi ha davvero ucciso «etiopi solo perché etiopi» e «jugoslavi solo perché jugoslavi», non viene nemmeno menzionato sui libri di scuola, non merita film, vie, parchi, lapidi né uno straccio di dichiarazione pubblica di condanna.
E dunque, in definitiva: si mente sulle reali motivazioni del crimine delle foibe per cercare di farlo passare come un crimine fascista; e intanto si ignorano i veri e propri crimini del fascismo, finendo per far passare i fascisti come innocenti e anzi vittime dei partigiani. Si dedicano energie politiche e risorse economiche straordinarie per diffondere tali falsità e si cerca in questo modo di fare percepire all’opinione pubblica le foibe come addirittura più gravi dei crimini nazisti e della Shoah.
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31 mar 2024 20:40
“TRANNE L’EROINA, HO PROVATO TUTTE LE SOSTANZE STUPEFACENTI” – VASCO SENZA FILTRI VUOTA IL SACCO CON ALDO CAZZULLO. L’ARRESTO PER DROGA: “IN GALERA SOLO DE ANDRÉ VENNE A TROVARMI, CON DORI. DOPO IL CARCERE RIMASI CHIUSO IN CASA 8 MESI. SENZA ANFETAMINE NON RIUSCIVO AD ALZARMI DAL LETTO. IN TANTI ERANO CONTENTI. MI SPUTAVANO PER STRADA. ERO IL DROGATO. IL CAPRO ESPIATORIO DEI PRIMI ANNI 80” – IL PADRE TORNATO DAL LAGER NAZISTA (“PESAVA 35 CHILI”), LE DONNE CHE GLI HANNO DETTO “NO”, I TEST DEL DNA PER RICONOSCERE I DUE FIGLI E LA PASSIONE PER KANT – VIDEO
Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”
Vasco Rossi, qual è il suo primo ricordo?
«La noia. Sono seduto al tavolo della cucina, e mi annoio. Ero un bambino solo. Volevo un fratellino con cui giocare».
Vasco è un nome di famiglia?
«È il nome del compagno di prigionia di mio padre che gli salvò la vita».
Suo padre era uno dei 600 mila internati militari in Germania che rifiutarono di combattere per Hitler.
«Gli americani bombardarono il lager, lui cadde in una buca, questo Vasco lo tirò su di peso e papà gli disse: se un giorno avrò un figlio, lo chiamerò come te. Mio padre teneva un diario. L’ho riletto da poco».
Cosa c’è scritto?
«Racconta la morte di un prigioniero, ucciso a bastonate da un kapò italiano, di cui papà scrive nome e cognome. Non aveva studiato, non era mica uno scrittore, ma aveva visto i suoi compagni morire di fatica e di botte: cose talmente terribili che voleva testimoniarle. E io le ho assorbite. Non riesco a vedere i film sui deportati e sulla Shoah, non ho visto neppure Schindler’s List. Mi turbano troppo. Per questo ogni anno ricordo il Giorno della Memoria».
L’hanno attaccata per questo.
«E io sono caduto nella provocazione. Non vorrei più parlarne...».
Dobbiamo parlarne.
«Io rifiuto di schierarmi come se fosse una partita di calcio, Israele contro Palestina. Gli ebrei, dopo quello che hanno sofferto, hanno diritto a uno Stato. “Free Palestine” è un bello slogan, da anime belle; ma se implica la distruzione dello Stato di Israele, allora sarebbe più onesto dirlo. E alla distruzione di Israele io mi ribello.
Leggo cose superficiali, in cui non mi riconosco; io sono semplice, non facile. Mi hanno dato del sionista, ma io non so neppure cosa voglia dire. So che se mettessi il like a “Palestina libera” mi amerebbero tutti; ma io non sono fatto così. Se avessi voluto piacere a tutti, non avrei scritto “C’è chi dice no” o “Gli spari sopra”. Questo ovviamente non mi impedisce di piangere le vittime civili di Gaza, e di criticare i bombardamenti di Netanyahu, che è pure lui una specie di fascista».
Lei ha detto che i rivoluzionari da salotto non le sono mai piaciuti.
«Mai. Ricordo quelli di Potere operaio: erano tutti studenti; il pomeriggio giocavano alla rivoluzione, la sera tornavano a cena dalla mamma. A diciassette anni vuoi cambiare il mondo: anche io ci credevo, anche io ci ho provato. Poi ho capito che prima di cambiare il mondo dovevo cambiare me stesso. Anziché distruggere il sistema, dovevo creare il mio sistema. Poi certo i ragazzi che scendono in piazza li rispetto» […]
È Putin a minacciarla.
«Putin è un dittatore guerrafondaio che va fermato. Sostenendo l’Ucraina, ma anche avviando una trattativa che metta fine ai massacri».
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Nella bellissima serie sulla sua vita, Supervissuto, lei racconta che la svolta fu la morte di suo padre.
«Tornò dal lager che pesava 35 chili. Si chiamava Giovanni Carlo e faceva il camionista. Morì di fatica a 56 anni, mentre faceva manovra tra i silos del porto di Trieste. Sono andato a prenderlo e qualcosa dentro di me è cambiato. Papà era un combattente, aveva detto no ai nazisti. È entrata dentro di me una forza che prima non avevo, e che si è fusa con la malinconia, la gioia, l’amore per la musica di mia madre. E mi sono detto: qui non si scherza più. Qui mi gioco tutto. Mi rischio la vita».
Vita spericolata.
«Per anni, all’inizio degli 80, vivevo solo per scrivere canzoni e fare concerti. Un giorno dell’estate 1982 andai da un concessionario per far vedere una macchina e non trovai nessuno, sentivo boati a distanza, non capivo cosa stesse succedendo: era la finale dei Mondiali di Spagna, ma io non lo sapevo.
Potevo stare tre giorni senza dormire, grazie alle anfetamine. Poi ho capito che le anfetamine sono pericolose. Ho sperimentato la mia psiche, sono entrato nella mia mente, ho fatto un viaggio dentro la mia coscienza. Le sostanze stupefacenti le ho provate quasi tutte, tranne l’eroina. Mettere l’eroina sullo stesso piano della marijuana è criminale, perché così i ragazzi si convincono che si equivalgano, e se lo spacciatore non ha una, allora si può comprare l’altra...».
Lei finì in carcere.
«Cinque giorni di isolamento. Giorni infiniti, minuti lunghissimi. Non passava mai. Cercavo di dormire, mi svegliavo credendo di aver fatto un brutto sogno; infine realizzavo che era tutto vero. Poi altri 17 giorni di galera. Solo De André venne a trovarmi, con Dori. Pannella mandò un telegramma. Fu l’occasione per resettarmi. Mi sono disintossicato da solo, senza bisogno di andare in comunità. Dopo la galera sono tornato a casa, a Zocca, e non ne sono uscito per otto mesi. Senza anfetamine non riuscivo ad alzarmi dal letto. E in tanti erano contenti».
Lei è amatissimo.
«Ma sono stato anche molto odiato. Dai perbenisti, dai benpensanti. Mi sputavano addosso per strada. Ero il drogato. Il capro espiatorio dei primi Anni 80. Il diretto responsabile della diffusione degli stupefacenti perché, secondo loro, le mie canzoni spingevano all’uso della droga. E per decenni me l’hanno rinfacciato, una cosa che succede solo in Italia: nessuno si permetterebbe di trattare da drogato, che so, Paul McCartney o Keith Richards.
Aprì la strada Nantas Salvalaggio, che mi scagliò contro un articolo pieno di insulti, su Oggi; conservo ancora la lettera che mia madre gli scrisse per difendermi. Una volta a Rimini, quando mi videro, mi negarono la stanza d’albergo che avevo prenotato. Così aspettai l’alba sul lungomare di Riccione e scrissi “Ieri ho sgozzato mio figlio”».
[…]
Esiste una donna che ha detto no a Vasco Rossi?
«Ne esistono moltissime! La prima fu Anna Maria, e aveva sette anni. Era la mia vicina di casa. Ci fidanzammo. Ogni volta le chiedevo: “È sempre così?”, lei rispondeva di sì, e io ero felice. Un giorno però rispose di no, che le piaceva un altro; e a me crollò il mondo addosso».
Quando ha fatto l’amore per la prima volta?
«Tardi, a 17 anni, con una ragazza di Modena che a differenza delle altre aveva ceduto. A 13 anni sperimentai l’importanza del denaro...».
Come andò?
«Ero alle giostre con la mia fidanzata Cristina, ma ero povero, avevo pochi gettoni. Un altro ragazzo la invitò sugli autoscontri, io vidi che era brutto, le diedi il permesso. E lei si mise con lui».
Il primo grande amore?
«Paola, una femminista che si era prefissata di distruggermi, e ci è riuscita. Il colpevole di diecimila anni di patriarcato ero io...
Dopo di lei, e prima di Laura, mia moglie, è stato solo sesso. Tutte le canzoni in cui sono arrabbiato con le donne me le ha ispirate Paola; dovrei darle i diritti d’autore».
Albachiara come è nata?
«Me l’ha ispirata Giovanna, una ragazza che vedevo arrivare a Zocca con la corriera. Anni dopo l’ho ritrovata in discoteca e gliel’ho detto, ma lei non ci credeva: “Lo dici a tutte perché te le vuoi fare!”. Così ho scritto Una canzone per te».
Il mese scorso è morto Andrea Giacobazzi, l’Alfredo che con i suoi discorsi seri e inopportuni le faceva sciupare tutte le occasioni. Oggi riscriverebbe «è andata a casa con il negro la troia»?
«In realtà la ragazza che corteggiavo era andata via con Salvino, che non era affatto nero, solo abbronzato. Non mi riferivo al colore della pelle, ma alle dimensioni... Era insomma una canzone da cui i neri uscivano benissimo. Se la riscrivessi oggi mi arresterebbero; ma il politicamente corretto non mi convince. Non conta come definisci una persona, ma cosa ne pensi e come ti comporti».
Lei ha due figli, Davide e Lorenzo, nati nel 1986 a un mese di distanza. Come andò?
«Avevo avuto una storia con una ragazza bellissima, Gabriella, che purtroppo è mancata qualche giorno fa, all’improvviso.
L’avevo lasciata, per vivere fino in fondo la mia avventura con la musica, ma mi ero preso cura di lei: era rimasta a Zocca con mia mamma, mentre le cercavo una nuova casa e un nuovo lavoro. Le lasciai anche una macchina, una Renault5, perché potesse andare in giro, trovarsi un altro fidanzato. E lo trovò. Quando tornai, la rividi nella roulotte prima del concerto, e la salutai con affetto, per l’ultima volta. Mesi dopo mi dissero che era incinta».
Il padre era lei.
«Ma io non lo sapevo e non lo credevo possibile. Qualche tempo dopo, però, venne a Zocca un’altra ragazza, Stefania. Una che neppure ricordavo. E aveva un bimbo nel passeggino».
Davide.
«Un po’ mi arrabbiai: mi avevano rubato un figlio, a me che non ne volevo! Il tribunale mi impose il test del Dna. Mentre andavo a Roma, chiamai Gabriella: “Siccome dici che il tuo bambino è mio, e sto andando a fare il test del Dna, se vuoi lo facciamo pure noi...”. Ma Gabriella disse di no. Comunque feci questo test, e con mio grande stupore risultò che il padre di Davide ero io. Così lo riconobbi, e versai 5 milioni al mese per il mantenimento. Mi sfogai con l’avvocato Gatti, che mi consolò: “È un miracolo, sapesse signor Rossi la fatica che ho fatto io...”».
Poi il test del Dna l’ha fatto anche per il secondo figlio, Lorenzo.
«Mi chiamò Gabriella, cui ho sempre voluto bene, per dirmi che il ragazzo ci teneva. Venne fuori che era mio pure lui. L’avvocato Gatti esultò: “Un altro miracolo!”».
Poi però lei si è innamorato davvero, di sua moglie Laura.
«Tentai due volte di mandarla via. La prima volta la trovai sette ore dopo, fuori dalla sala d’incisione; non si era mossa da lì. La seconda la trovai fuori di casa, seduta sulla valigia. Pensai che sarebbero venuti i carabinieri ad arrestarmi di nuovo; e me la ripresi. La verità è che l’ho amata dal primo momento in cui l’ho vista. Una passione travolgente».
Da Laura ha avuto Luca.
«Con Laura ho realizzato il progetto di famiglia. La passione dura sei anni, massimo sette. Poi subentra l’amore per il progetto. Ti rendi conto che sei diventato padre quando daresti la vita per salvare quella di tuo figlio».
A giugno lei riempirà per altre sette volte San Siro; in tutto fanno 36 concerti nel più grande stadio d’Italia. Milano dovrebbe darle un premio...
«In effetti è un bel record, non esistono paragoni al mondo. Come se avessi vinto 36 scudetti. Forse meriterei una Coppa dei Campioni...».
La sua prima volta a San Siro fu il 10 luglio 1990.
«E fu una svolta per la nostra musica. Prima si cantava nelle piazze, nei palasport, o per la curva di uno stadio. Gli stadi li riempivano solo gli stranieri che venivano una volta ogni dieci anni: Bob Marley, Madonna. Dimostrai che lo poteva fare anche un italiano. Uno stadio a tre piani: avevano appena fatto il terzo anello per i Mondiali; 75 mila persone». […]
È vero che agli inizi era in ansia prima di salire sul palco?
«Ansia? Ero terrorizzato! Ogni sera mi violentavo per salire sul palco. Infatti dovevo bere per farmi coraggio, arrivare quasi ubriaco...».
Ubriaco?
«Diversamente lucido. Poi mi sono detto: non stanno chiamando me; stanno chiamando Vasco Rossi. Prima non mi divertivo sul palco, e cercavo il divertimento dopo il concerto. Adesso mi concentro del tutto sul presente. E dopo il concerto mi faccio una doccia e vado a dormire. Io non ho una vita normale, non posso mai andare da nessuna parte; ma il palco mi ripaga di tutto».
Lei una volta mi ha detto: «Ho fatto ragioneria, una scuola assurda. Studi per cinque anni cose per cui basterebbe un corso di tre mesi, e non sai che sono vissuti Socrate e Platone».
«Io adoro la filosofia. Vita spericolata viene dal vivere pericolosamente di Nietzsche. Leggere “Aut-aut” di Kierkegaard, “Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer, la “Critica della ragion pura” di Kant mi ha cambiato la vita».
Vasco che legge Kant è titolo.
«I grandi filosofi sono molto più facili di quelli che hanno scritto su di loro».
Ora cosa sta leggendo?
«Vivere momento per momento, di Jon Kabat-Zinn. Vivere nel passato significa appartenere ai rimpianti, vivere nel futuro vuol dire essere schiavi dei progetti; in entrambi i casi siamo condannati alla sofferenza. Esiste soltanto il presente. Ho coltivato ogni genere di paura, prima di capire che la realtà non è mai così brutta come il fantasma della realtà».
E l’aldilà?
«Non c’è. È tutto qui e ora. Sono sempre stato un materialista. Ma ora i fisici pensano che la materia sia solo un insieme di vibrazioni, e che la coscienza venga prima della materia. È questa la vera immortalità. A volte mi fermo a respirare, senza pensare a nulla, o meglio accogliendo i pensieri e lasciandoli passare. All’inizio restare solo con me stesso mi faceva impazzire. Ma solo così arrivi alla consapevolezza».
Mi sembra un guru.
«La prossima volta arrivo vestito di arancio, come un santone, con un altro nome...
(quando sorride Vasco pare un grande bambino)».
Lei è mai stato comunista?
«Mai. Ero anarchico. Poi mi sono riconosciuto nelle battaglie di Pannella per i diritti civili. Solo in fatto di tasse sono un po’ comunista...».
Se difende le tasse, la insulteranno più che per la difesa di Israele.
«Non pagare le tasse è una vergogna. Io sono italiano, fiero e orgoglioso di esserlo, e ho voluto mantenere la residenza in Italia. Voglio e debbo versare tutte le tasse al mio Paese. Se guadagno, vuol dire che posso pagare. Sono favorevole anche a un’imposta sul patrimonio: chi ha di più deve dare di più. E dovrebbero pagare le tasse pure le multinazionali, a cominciare dai padroni della Rete».
Cosa vota ora?
«Non voto. Sono semplicemente dalla parte dei deboli. E sono impressionato dalla quantità di balle che sparano i politici. Tanto, a sparar balle non si muore e non si paga...».
La Meloni come la trova?
«È certamente simpatica, adesso sono tutti un po’ innamorati. Ma per decenni ha detto cose assurde, vergognose, irresponsabili. Che non si cancellano».
La Meloni ha vinto le elezioni.
«Vero. Ora forse le vince pure Trump. La verità è che la democrazia funziona solo con una popolazione informata in modo plurale e possibilmente non strumentale. E comunque resta il miglior sistema che per ora abbiamo a disposizione».
Da dove nasce la rivalità con Ligabue?
«Nessuna rivalità. Una montatura dei giornali».
E con Lucio Dalla che rapporto avevate?
«Bellissimo; ma non appartenevo alla sua parrocchia. Una volta venne a pranzo da me a Zocca con Gianni Morandi, per vedere se potevamo fare una cosa insieme. Al momento di ripartire mi disse: “Noi due insieme forse potremmo aprire dei negozi in centro a Bologna”».
Tra i giovani chi le piace? Ghali? Mahmood?
«Ghali ha fatto centro a Sanremo, cantando prima in arabo poi in italiano. Mahmood è un piccolo genio. In generale le cose nuove mi incuriosiscono sempre».
Ma il suo preferito chi è?
«Madame. Ha la stessa genuinità di Carmen Consoli. Mi piacciono anche Levante e Marracash».
I rapper?
«Parlano il linguaggio dei ragazzi, esprimono i loro valori: comprese le scarpe, i vestiti firmati. Il consumismo, la pubblicità».
E i cantautori?
«Io sono un provocatore, scrivo per provocare le coscienze e per mantenerle sveglie: è il compito dell’artista».
Tra gli artisti, quindi?
«Su tutti, Francesco De Gregori e Gino Paoli. Paoli lo andai a sentire da ragazzo, al Piro Piro, una balera di provincia. Lo ascoltai cantare “Non andare via”, la sua versione di “Ne me quitte pas” di Jacques Brel. A quel concerto capii la differenza tra cantante e interprete, e mi dissi: io nella vita voglio fare questa cosa qui».
È vero che un tempo pensava di morire giovane?
«Sì. Adesso invece vorrei morire sul palco».
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il giorno DELLA POCA MEMORIA
L'articolo Il giorno della poca memoria di Zeno Pagliai, pubblicato sul blog "Il Mondo Multidisciplinare" di Pittografica, è un invito a riflettere sul significato e sul valore del Giorno della Memoria, che si celebra ogni anno il 27 gennaio in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati italiani nei campi nazisti. L'autore, attraverso una serie di domande provocatorie, mette in evidenza le contraddizioni e le ipocrisie che caratterizzano spesso il modo di commemorare questo tragico evento, che rischia di essere dimenticato o banalizzato dalla società contemporanea. L'articolo si conclude con un appello a non lasciare che la memoria si affievolisca, ma a mantenerla viva e attiva, come un dovere morale e civico verso le vittime e verso le future generazioni. * Gentile lettore, leggi l’intero articolo su: https://www.pittografica.it/il-giorno-della-poca-memoria Vedi il Blog Il Mondo Multidisciplinare: https://www.pittografica.it/ Pagina FB: www.facebook.com/pittografica.it Per cortesia commentalo. Il tuo è parere importantissimo per fare meglio il punto, grazie, Zeno Pagliai.
#GiornodellaMemoria#Shoah#Pittografica#ZenoPagliai
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Udienza Generale, Papa Francesco: “La Shoah fu un orribile sterminio”
Il Papa, al termine dell’udienza generale, ha ricordato il genocidio degli ebrei: “Sabato prossimo 27 gennaio si celebra la Giornata mondiale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Il ricordo e la condanna di quell’orribile sterminio di milioni di persone ebree nella prima metà del secolo scorso aiuti tutti a non dimenticare che le logiche di odio e violenza non si possono mai…
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Bordighera: Mostra Giorno della Memoria
Bordighera: Mostra Giorno della Memoria https://ift.tt/vpmR1iK Ventimiglia (IM): Piazza Ettore e Marco Bassi, martiri della Shoah Unione Culturale Democratica - Sezione ANPI Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 venerdì 27 gennaio 2024 - domenica 4 febbraio 2024 ore 17-19 IL GIORNO DELLA MEMORIA pubblicazioni immagini ricordi della SHOAH Ingresso libero Il Giorno della Memoria Nulla coinvolge di più del ricordo della Shoah cui l'Italia ha dedicato dal 2000 un giorno, il 27 Gennaio di ogni anno, definito 'Il Giorno della Memoria'. Non si tratta di una ricorrenza come le altre, a esempio il 2 Giugno Festa della Repubblica, o lo stesso 25 Aprile, Giorno della Liberazione. Bensì l'occasione per rendere cultura comune, di tutti, la consapevolezza di quanto è tragicamente accaduto nella 'civile' Europa. E avere ben presente le dinamiche all'origine dell'affermazione del fascismo e del nazismo impedendone con una maggiore cultura storica il ritorno, anche se in mutate vesti. Cosa possibile più di quanto non si immagini se in vent'anni, dal 2,7 % del 2004 al 15,6 % del 2020, è cresciuto in modo esponenziale il numero delle persone che credono che la Shoah non sia mai esistita. Nonostante le testimonianze dei sopravvissuti e il numero accertato, per difetto, delle vittime. Venti milioni e più di persone uccise dalla barbarie nazista con l'aiuto dei regimi fascisti, come quello della Repubblica Sociale Italiana presieduta da Mussolini, alleati e al servizio di Hitler e dei suoi scherani. Un numero impressionante di per sé ma ben più sconvolgente quando si pensi alle traversie vissute da ciascuna vittima, al dolore fisico e morale, alle violenze loro inferte, fino all'inalazione dell'acido cianidrico Zyklon che le avrebbe portate alla morte per soffocamento nelle false docce e all'incenerimento nei forni crematori. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Aprile-Maggio del 1945, i sopravvissuti poterono rientrare nei propri Paesi e nelle loro abitazioni, se ancora agibili. In tutti vi era la volontà di riprendere una vita civile, sicura, in pace e di ricostruire quanto gli eventi bellici avevano distrutto. La guerra, il male assoluto, aveva toccato tutti e ciascuno si leccava le proprie ferite e ben pochi erano disposti ad ascoltare le vicissitudini degli altri. I reduci dei Lager volevano voltare pagina e riprendere il proprio equilibrio psico-fisico, minato anche dal senso inconscio di colpa per essere in vita mentre gli altri erano morti. D'altra parte era impossibile trovare persino le parole per descrivere l'inferno concentrazionario che avevano attraversato: nessuna parola né immagine erano in grado di rispecchiare la realtà. Ciò che era stato messo in atto dai nazisti, la Shoah, era la negazione e il capovolgimento di tutti i valori su cui si fonda la civiltà. I sopravvissuti, anche se erano interpellati da persone amiche, alla richiesta di raccontare quanto avevano subito e in che consistesse la loro deportazione, si sottraevano invitando a 'lasciare perdere'. Come rispose il deportato Antonio 'Nino' Biancheri di Bordighera. Ermanno Muratore Giorgio Loreti Unione Culturale Democratica - Sezione ANPI - Bordighera (IM), Tel. +39 348 706 7688 via Aspetti rivieraschi https://ift.tt/uxrdWlP January 23, 2024 at 07:21PM
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Giorno della memoria 2023, oggi le celebrazioni ufficiali. Meloni: “Infami le leggi razziali”
DIRETTA TV 27 Gennaio 2023 Oggi si celebra il Giorno della memoria, come ogni 27 gennaio, per ricordare le vittime della Shoah e le leggi razziali in Italia. Le celebrazioni ufficiali si terranno al Quirinale a partire dalle 10. 30 CONDIVISIONI Oggi, 27 gennaio 2023, si festeggia il Giorno della memoria, in ricordo delle vittime della Shoah. Non solo, ma come recita la legge che nel 2000 ha…
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Ieri è stato il “Giorno del ricordo”. E visto che, in realtà, mi sembra che non tutti ricordino bene l’intera faccenda, forse è utile fare un po’ di chiarezza. Nel 1941, l'Italia di Mussolini invade la Jugoslavia e si annette una parte del suo territorio: le attuali Slovenia e Croazia. Gli invasi vengono obbligati a parlare in italiano e a sottomettersi al fascismo. I dissidenti sono fucilati oppure mandati nei campi di concentramento italiani (Arbe, Gonars, Monigo, Renicci e via dicendo - sì, esistevano anche i campi di concentramento italiani, anche se non ne parla mai nessuno). Furono mandate nei campi poco meno di 15.000 persone. Circa una su dieci, tra quelle persone, morì lì dentro per denutrizione o malattie. “I battaglioni fascisti si distinguono in particolare per la crudele malvagità, distruggendo, devastando, incendiando villaggi e città, assassinando vecchi, donne e bambini, superando in crudeltà le stesse orde tedesche” (Enzo Misefari) La ex Jugoslavia, alla fine della guerra, contò circa 1 milione e mezzo di morti su 16 milioni di abitanti (per capire le proporzioni: la seconda guerra mondiale, in Italia, provocò circa 300.000 morti in tutto, su 45 milioni di abitanti). Ci odiavano, insomma, e avevano tutte le ragioni per farlo. Noi eravamo gli aggressori, gli invasori, loro le vittime. Ecco, partiamo tenendo ben presente questo. Non ce l’avevano con noi in quanto “italiani”, come è stato scritto in un delirante comunicato del Miur, il parallelismo con la Shoah è semplicemente ridicolo, ce l’avevano con noi in quanto invasori, omicidi, saccheggiatori. Le foibe furono l’orrenda reazione a tutto questo da parte dei titini. Ed è più o meno inutile specificare che chi sminuisce o, addirittura, gioisce di una cosa simile, sia solo un povero imbecille. Ma la storia andrebbe sempre raccontata tutta, perché siamo un paese in cui la gente ha la memoria storica di un pesce rosso. E chi ritiene di poter utilizzare le foibe per una sorta di grottesca “par condicio” da affiancare all’olocausto e alle leggi razziali, quando, al tempo stesso, diserta il 25 aprile reputandolo “divisivo”, di base è solo un pagliaccio fascista. Emiliano Rubbi
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Ogni anno, puntuali come il giorno di San Valentino o il Giorno della marmotta, arrivano le polemiche sul Giorno del ricordo, ricorrenza istituzionalizzata nel 2004 per ricordare le migliaia di vittime delle foibe e l’esodo forzato di centinaia di migliaia di italiani da Istria e Dalmazia. Basta poco per scatenare (...) l’Anpi e, nella giornata di ieri (...) è stata una circolare del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (...). Riportiamo qui il (...) il passaggio che ha scatenato il putiferio: “(...) Il ‘Giorno del Ricordo’ e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la ‘categoria’ umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla ‘categoria’ degli ebrei. Con una atroce volontà di annientamento, mai sperimentata prima nella storia dell’umanità. Pochi decenni prima ancora era toccato alla ‘categoria’ degli Armeni. Eppoi? Sempre vicino a noi, negli anni novanta, vittima è stata la ‘categoria’ dei mussulmani di Srebrenica… Non serve proseguire.”. (...) Anpi, con quella raffinata onestà intellettuale che da sempre la contraddistingue, (ha richiesto) al ministero “urgenti lumi su questa comparazione (tra foibe e shoah, nda) che consideriamo storicamente aberrante e inaccettabile”. (...) cosa intende dire l’Anpi? Che (comparata ad altri) crimini l’uccisione bestiale di migliaia di italiani di ogni età sia giustificabile? O peggio, negare l’accaduto come si può leggere in molti siti giustificazionisti o negazionisti? Laddove si osserva come i negazionisti rossi abbiano ben imparato l’arte dei negazionisti (neri) dell’ Olocausto: si finisce sempre per assomigliare a ciò che si odia (...).
https://www.ilsussidiario.net/news/polemiche-giorno-del-ricordo-vs-shoah-un-falso-problema-targato-anpi/2290564/
Il problema di chi chi SI odia perché E’ fascio esattamente quanto il suo nemico, sta nel fatto che sollevare queste polemiche fa capire chiaramente quanto STRUMENTALE sia il loro USARE la Shoah: tant’è che se fosse per codesti, gli ebrei d’oggi, qui in Europa per non dire in Israele, sarebbero tutti INFOIBATI o ESODATI.
ANPI è associazione di morti - i partigiani veri lo sono praticamente tutti, a 77 anni dalla fine della guerra - o di ZOMBIE.
Con Internette, purtroppo dobbiamo sorbirci anche l’opinione trasudante cadaverina e putrescina di codesti divoratori di cervelli.
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Shoah
Qualcuno mi ha chiesto perché nei giorni passati non ho scritto niente sulla memoria delle Shoah. Sinceramente il messaggio è stato divulgato in forme così varie e forti che davvero mi sarei sentito banale nel riprenderlo anch'io. Infatti non l'ho fatto, né penso di poter dire qualcosa di originale o più incisivo rispetto a quanto ho letto e sentito, che naturalmente condivido con tutti i miei sentimenti. Se ci fate caso, la mia memoria e il mio sforzo di ricordare le ingiustizie e le vittime dei soprusi di chi ha perso il senso dell'umanità, è sempre presente tra le righe dei miei scritti. Il ricordo va, non tanto a un evento, ma a decine di casi drammatici che si sono consumati e ancora oggi si consumano nel mondo. Il passato non mi racconta solo della Shoah. Mi racconta anche delle stragi degli indiani d'America, quella del popolo armeno, e mi racconta dei sette milioni di morti ucraini. Invece il presente mi presenta guerre tribali in Africa e vari genocidi nel mondo; conflitti di potere per cui c'è chi volta la faccia per non vedere o chi ci mette la faccia mascherandosi da paladino di una parte. Per questo purtroppo la mia memoria a breve termine è riempita dalle immagini di milioni di profughi in fuga; fa troppo chiasso per piangere con la memoria a lungo termine.
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Oggi alle 17 un corteo silenzioso per le vie del centro in ricordo della vittime della Shoah
Oggi alle 17 un corteo silenzioso per le vie del centro in ricordo della vittime della Shoah
Giorno della Memoria 2023 Un corteo silenzioso per le vie del centro in ricordo della vittime della Shoah L’appuntamento è per oggii, martedì 24 gennaio, alle ore 17 in piazza del Municipio Livorno, 24 gennaio 2023 Oggi, martedì 24 gennaio la Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con il Comune di Livorno, la Diocesi, la Comunità Ebraica e Istoreco, ha organizzato un corteo silenzioso per…
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Sono contrario alle condanne per legge nei confronti dei cosiddetti “negazionisti”. Siano essi quelli che diffondono dubbi sulla vicenda delle foibe, o quelli che nutrono perplessità sulla versione più accreditata della shoah.
Penso che in termini generali il revisionismo, se onesto e basato su dati oggettivi, sia elemento assolutamente necessario per arrivare ad una più precisa e veritiera narrazione della storia.
Lasciamo quindi in pace ricercatori e storici (o sedicenti tali), lasciamoli cercare fonti, prove e testimonianze al fine di sostenere le loro tesi. Alla lunga la verità viene a galla. Una legge che impedisca a priori di mettere in dubbio la storia è una prevaricazione che alimenta inoltre il sospetto che dietro alla versione ufficiale ci sia qualcosa da nascondere. Ciò che ritengo intollerabile invece è la banalizzazione delle sofferenze umane legate a terribili avvenimenti storici, e gli insulti rivolti alle vittime. Se i nipoti della marmaglia partigiana dal loro cervello atrofizzato non riescono che spremere slogan stantii su nemici da appendere a testa in giù e da gettare nelle cavità carsiche è perché non dispongono di argomentazioni intellettuali con cui combattere l’avversario. Non parliamo poi della loro incapacità di trovare un briciolo di coraggio fisico per scontrarsi faccia a faccia con coloro che tanto odiano e che rappresentano, secondo la narrazione imposta dai testi sacri del pensiero unico, il male assoluto. Mettere ordigni davanti alle sedi dei movimenti nemici è un atto che forse li fa sentire orgogliosamente vicini ai “padri dinamitardi della patria resistenziale”, ma non può di certo spaventare chi ha scelto di stare sulla barricata politica più difficile, più perseguitata, più calunniata di sempre. Non si rendono conto, poi, che scrivere su di un muro “Norma Cossetto era fascista”, non fa altro che danneggiare, per evidente demenzialità del messaggio, loro stessi. E che giustificare lo stupro e l’assassinio da parte dei partigiani di Giuseppina Ghersi , una ragazzina di 13 anni colpevole di aver scritto un tema che ricevette l’encomio personale di Mussolini, li identifica per quel che sono: potenziali stupratori seriali, come hanno dimostrato anche recentemente usando violenza addirittura sulle “compagne” raccattate nei loro centri sociali. In questi giorni ho avuto modo di ascoltare questi campioni urlare sguaiatamente nel vano tentativo di dissacrare un momento di solenne ricordo dedicato ai martiri delle foibe, vantandosi dell’assassinio di Sergio Ramelli. Mi sono chiesto: chi può sentirsi orgoglioso di un agguato di tanti contro uno? Di uno stupro? Di sevizie arrecate ad una bambina? Dov’è il valore? Dove il coraggio? Ricordiamoci quindi di essere sempre tutto il contrario di ciò che essi sono. Rimaniamo, a differenza di chi un giorno pagherà di certo per la sua desolante infamia, delle persone che portano dentro di sé la fiamma del sacro, che permette di distinguere tra il nemico e l’innocente vittima di eventi drammatici. Rispettare la memoria di Anna Frank non significa essere complici del Congresso Mondiale Ebraico, a mio avviso tra i maggiori responsabili della Seconda Guerra Mondiale. Così come rispettare la memoria di Norma Cossetto e Giuseppina Ghersi non significa, per un antifascista, scendere a patti con “il male assoluto”. Le differenze tra noi è loro sono tante, ma tra le più importanti vi sono il senso dell'onore e quella lucida pietas che risiedono naturalmente nel cuore di un Fascista e che in un certo senso richiamano una parola d’ordine di cui è essenziale fare tesoro anche in tempi di guerra non dichiarata: inesorabili con i nemici, irreprensibili con le popolazioni.
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Ieri è stato il “Giorno del ricordo”. E visto che, in realtà, mi sembra che non tutti ricordino bene l’intera faccenda, forse è utile fare un po’ di chiarezza. Nel 1941, l'Italia di Mussolini invade la Jugoslavia e si annette una parte del suo territorio: le attuali Slovenia e Croazia. Gli invasi vengono obbligati a parlare in italiano e a sottomettersi al fascismo. I dissidenti sono fucilati oppure mandati nei campi di concentramento italiani (Arbe, Gonars, Monigo, Renicci e via dicendo - sì, esistevano anche i campi di concentramento italiani, anche se non ne parla mai nessuno). Furono mandate nei campi poco meno di 15.000 persone. Circa una su dieci, tra quelle persone, morì lì dentro per denutrizione o malattie. “I battaglioni fascisti si distinguono in particolare per la crudele malvagità, distruggendo, devastando, incendiando villaggi e città, assassinando vecchi, donne e bambini, superando in crudeltà le stesse orde tedesche” (Enzo Misefari) La ex Jugoslavia, alla fine della guerra, contò circa 1 milione e mezzo di morti su 16 milioni di abitanti (per capire le proporzioni: la seconda guerra mondiale, in Italia, provocò circa 300.000 morti in tutto, su 45 milioni di abitanti). Ci odiavano, insomma, e avevano tutte le ragioni per farlo. Noi eravamo gli aggressori, gli invasori, loro le vittime. Ecco, partiamo tenendo ben presente questo. Non ce l’avevano con noi in quanto “italiani”, come è stato scritto in un delirante comunicato del Miur, il parallelismo con la Shoah è semplicemente ridicolo, ce l’avevano con noi in quanto invasori, omicidi, saccheggiatori. Le foibe furono l’orrenda reazione a tutto questo da parte dei titini. Ed è più o meno inutile specificare che chi sminuisce o, addirittura, gioisce di una cosa simile, sia solo un povero imbecille. Ma la storia andrebbe sempre raccontata tutta, perché siamo un paese in cui la gente ha la memoria storica di un pesce rosso. E chi ritiene di poter utilizzare le foibe per una sorta di grottesca “par condicio” da affiancare all’olocausto e alle leggi razziali, quando, al tempo stesso, diserta il 25 aprile reputandolo “divisivo”, di base è solo un pagliaccio fascista. Testo Emiliano Rubbi https://www.instagram.com/p/CZ1cGzetBbs/?utm_medium=tumblr
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IL RICORDO NEGATO Ci risiamo. All’approssimarsi del 10 febbraio, GIORNO DEL RICORDO, una parte politica ben precisa cerca di negare ed impedire che gli italiani possano celebrare la memoria delle vittime delle Foibe.
Evidentemente è necessario che le vittime delle foibe continuino a rimanere dimenticate dalla storia italiana. O se disgraziatamente dovesse emergerne il ricordo, vanno immediatamente declassificati a morti di serie B. Un ricordo scomodo su cui si deve tacere. Non sia mai che quei fatti possano finire sui libri di storia degli studenti. Allora forse è bene ricordare che le Foibe sono state una PULIZIA ETNICA PIANIFICATA, esattamente come la Shoah.
Qualcuno cerca di etichettare quei fatti come “crimini di guerra”, ma non è così. Perché l’orrore delle foibe avvenne, in gran parte, a guerra finita. Fu solo una criminale resa dei conti sul corpo degli inermi, degli indifesi, degli innocenti.
Questo spiega il silenzio durato decenni. Era il crimine, a guerra finita, dei buoni, dei giusti, dei vincitori con la stella rossa sul berretto. E negli anni successivi, giustificare e nascondere, sminuire e ridurre il tutto a ingiustizie e ritorsioni. Far diventare cattive le vittime. Per aver rifiutato il paradiso rosso, e dunque, un po’ colpevoli anche loro.
Oggi, dopo più di 70 anni, bisogna avere l’onesto coraggio di dire quello che davvero avvenne in quel massacro, citandone apertamente i “sicari”, che furono i comunisti.
Purtroppo le foibe finirono nell’omertà sin da quando furono perpetrate. Perché tiravano in ballo le responsabilità del PCI e dei partigiani rossi che aderirono, come scrissero in un documento infame dell’epoca, la “tattica delle foibe“.
Inutile speculare su quali morti valgono di più, se quelli della Shoah o quelli delle Foibe. Ma in entrambi i casi non si può tacere il principale colpevole dello sterminio e va citato per nome: il nazismo per la Shoah e il comunismo per le Foibe e per i Gulag.
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Giorno Memoria, le voci dei sopravvissuti risuonano nelle città
(ANSA) – ROMA, 25 GEN – In occasione del Giorno della Memoria Chora Media, la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea-CDEC, il Memoriale della Shoah di Milano e Urban Vision si sono uniti per un’iniziativa speciale a Roma, Milano, Napoli e Genova: l’osservazione del tradizionale minuto di silenzio in ricordo delle vittime della Shoah verrà riempita con un minuto di parole dei…
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Giorno della memoria 2023, oggi le celebrazioni ufficiali. La Russa: “Le leggi razziali un’infamia”
DIRETTA TV 27 Gennaio 2023 Oggi si celebra il Giorno della memoria, come ogni 27 gennaio, per ricordare le vittime della Shoah e le leggi razziali in Italia. Le celebrazioni ufficiali si terranno al Quirinale a partire dalle 10. 2 CONDIVISIONI Oggi, 27 gennaio 2023, si festeggia il Giorno della memoria, in ricordo delle vittime della Shoah. Non solo, ma come recita la legge che nel 2000 ha…
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