#piatto unico
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Un peccato di gola dal profumo autunnale
Ogni tanto è lecito fare uno strappo alla regola. Complici i ricordi delle nostre vacanze in Tirolo, evocati nei giorni scorsi ad accendermi la voglia di speck e formaggio di malga, ingredienti principe dello strudel salato che ho preparato oggi.L’ho gustato sin dalla preparazione, che ho iniziato pelando, lavando e tagliando a tocchetti quattro patate medie, che ho fatto cuocere a vapore nel…
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5 Piatti Unici Ben Bilanciati: Una Guida per una Cucina Sana
Scopri 5 piatti unici ben bilanciati per una #cucina sana e gustosa! #Ricette nutrienti che combinano proteine, carboidrati e grassi sani, per pasti facili e veloci. Prova le nostre deliziose idee per #mangiare in modo equilibrato e vario! #piattounico
Introduzione ai Piatti Unici e i Loro Principi Nutrizionali La cucina dei piatti unici rappresenta una soluzione pratica e nutriente per chi desidera unire gusto e salute in un unico pasto. Questi piatti, infatti, sono progettati per fornire un apporto bilanciato di nutrienti essenziali, combinando in modo armonioso proteine, carboidrati, grassi sani e fibre. L’idea alla base di un piatto unico…
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Riso al forno con Zucchine
Riso a forno con zucchine e formaggio filante. Lo adoro. Ci sono tantissime versioni del riso al forno dalle più ricche alle più semplici, è una pietanza che si può modificare a proprio gusto e a seconda di cosa abbiamo in frigo. Si perché si presta e si abbina ai gusti di tutti. Un piatto facile e gustoso. Un primo leggero e veloce che può essere consumato sia caldo che freddo rendendolo…
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Tutti lo vogliono e ormai tutti ne abbiamo sentito parlare. Il pokè bowl è diventato uno dei piatti del momento, una combinazione perfetta di gusto, nutrimento e praticità. Scopriamo da vicino un pokè bowl, che cos’è e come prepararlo.
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Si dice
PIZZA
in tutte le lingue del mondo.
La pizza è un piatto unico,
completo, universale e di pace.
Pizza is PEACE:
intorno alla Pizza si può unire il Mondo.
web
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Per fare un ragù decente occorre tempo e passione, aggiungere gli ingredienti giusti, tentare di ottenere un sapore unico, una magia nel piatto. Mia madre sapeva il tempo che ci voleva per fare un ragù spettacolare, di quelli che si attaccavano al palato e ne sentivi il sapore per mezza giornata. Quanto tempo..
Lo stesso accadeva per fare un maglione o una sciarpa di lana, di quelle per avvolgere il calore e scacciare il fiato dell'inverno.
Il consumismo di massa ha abbassato di molto la pretesa al meglio. Oggi abbiamo fretta, dobbiamo correre, andare veloci, e se una riflessione bussa al cervello, ti sembra tempo perso. Oggi ci sono i padroni del tempo, o meglio, del nostro tempo. Lo tolgono a noi per averne in scorta sui conti correnti, questo è il tempo che a loro serve, rendendoci schiavi di passioni inutili, e poi, ci accorgiamo di non avere più tempo per noi e si rimpiange quello gettato al vento. Quanto tempo sprecato a rincorrere cose inutili, l'effimero che diventa l'essenziale e quando siamo di fronte a qualcosa di unico, un tramonto, un cielo stellato, un caffè consumato in buona compagnia o, semplicemente, scrivere, dipingere, suonare, parlare, ecco che noi stessi diventiamo un'opera d'arte, come una sciarpa di lana fatto a mano. @ilpianistasultetto
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Sformato di melanzane, una vera delizia per il palato: la ricetta della nonna è magica | Buttalapasta
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UN CORPO PERDUTO e DIMENTICATO.
Ogni giorno viviamo la triade:
1- perdita di contatto con la produzione del cibo
2- perdita di conoscenza del proprio corpo, Io Biologico.
3- esaltazione della immagine corporea.
Il tutto davanti allo specchio magico del cellulare, che ci fa passare dalla realtà ad una vita artificiale.
Ma tutto parte dalla perdita di contatto con la produzione del proprio cibo, che genera la perdita di conoscenza e di consapevolezza di avere un corpo.
Tutta questa improvvisa scena occupata dal cibo “sintetico” (farine di insetti, carne coltivata, alimenti ultra processati carichi di additivi chimici ….) si basa sull’assenza della percezione di avere un corpo umano.
Al centro c’è il cibo, non il corpo.
Siamo solo all’inizio di una vulgata sul cibo artificiale che occuperà anni.
Si vive questa nuova comunicazione come se il cibo naturale non ci bastasse più.
L’attenzione e’ sul cibo “nuovo” non si parla di piacere alimentare, non ci preoccupiamo se genera salute.
Non interessa conoscere quali effetti esercita sul nostro corpo perché non lo conosciamo, non sappiamo come e’ fatto, come funziona, quale biochimica e fisiologia abbiamo dentro di noi. Mangiare e’ uno degli atti primari della vita.
Abbiamo perso il contatto con il cibo, non sappiamo più cosa mangiamo, da dove venga, cosa contiene; un cibo prodotto senza la coltivazione della terra, definito “sintetico.
Un cibo senza storia, senza terra, senza piacere.
Il cibo e’ stato marginalizzato negli orari della giornata.
Si mangia quando capita, di fretta, da soli. Il piacere alimentare ritorna protagonista nelle ricorrenze e in eventi emotivi.
IO BIOLOGICO.
Ciascuno di noi ha il suo “Io Biologico” unico e diverso da tutti gli altri essere umani, perché ciascuno ha il suo DNA. Ha un”suo” corpo.
La perdita del contatto con la produzione del cibo, genera la perdita di contatto con il proprio io biologico, per arrivare alla esaltazione della propria immagine corporea.
Abbiamo un corpo senza materia ed una immagine corporea artificiale.
La malattia del corpo ci riporta alla realtà. La conoscenza del corpo e del cibo genera la consapevolezza del vivere.
La conoscenza genera la libertà di guidare la mano che sceglie il cibo e lo porta dal piatto alla bocca bocca.
Comandare la mano alimentare vuol dire essere padroni della propria vita perché siamo capaci a gestire un bisogno primario: mangiare.
La natura ci ha donato il piacere sensoriale perché mangiare senza la ricompensa del piacere sarebbe stata una fatica inutile.
PRIMA CONOSCI IL TUO CORPO. Poi SCEGLI IL TUO CIBO PIÙ’ ADATTO.
Mangiare e’ pensare. Un abbraccio di vita.
PS: Ripartiamo dal pane fatto in casa. Domani scriverò come farlo.
Pierluigi Rossi prof.
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The Bear 3: un ottimo tris, ma meno sorprendente
La terza stagione di The Bear si mantiene su livelli altissimi ma, dopo le precedenti praticamente perfette, sorprende meno. Due episodi sono però memorabili.
Paragonare una serie ambientata nel mondo della cucina a un pranzo stellato è una cosa facile e anche un po' pigra, ma forse non c'è modo più immediato per far capire cosa rappresenti la terza stagione per il percorso evolutivo di The Bear. The Bear 3 vede Carmy (Jeremy Allen White) finalmente al timone del suo ristorante, tanto inseguito e voluto, il "The Bear" del titolo, insieme alla socia Sydney (Ayo Edebiri). Preso in eredità dal fratello Michael, che ne aveva fatto un locale alla buona, pronto a servire panini unti e abbondanti soprattutto agli operai in pausa pranzo di Chicago, Carmy lo ha trasformato in un posto elegante e ambizioso: il suo obbiettivo è infatti ottenere una stella Michelin.
Jeremy Allen White è Carmy Berzatto in The Bear
Per riuscirci lo chef è pronto a sacrificare tutto: il sonno, la salute, l'igiene personale. E, soprattutto, i rapporti umani: The Bear 2 si è chiusa proprio con il suo sfogo nella cella frigorifero, in cui, non sapendo che Claire fosse dall'altro lato della porta a sentirlo, ha tirato fuori tutta la propria frustrazione per un rapporto che gli dà sì felicità, ma che allo stesso tempo lo distrae da quello che lo fa alzare ogni mattina: essere un artista del cibo. La felicità convive male con la grandezza. E Carmy vuole essere il migliore.
I nuovi episodi di The Bear riprendono esattamente da qui: gli autori ci mostrano l'ossessione che ha portato il protagonista a diventare un nome ricercato, che combatte costantemente con i propri limiti, per superarli ed essere sempre più bravo. A Carmy l'eccellenza non basta: vuole stupire, farsi ricordare. E in nome di questo prende una decisione che lo porterà a creare più di qualche malumore: cambiare menù ogni giorno. E, in un certo senso, è quello che fa anche la serie stessa in questo terzo ciclo: cerca di offrirci qualcosa di unico e differente a ogni episodio. In parte ci riesce, ma, rispetto alle stagioni precedenti, praticamente perfette, è come se si fosse persa un po' di spontaneità: siamo sempre a livelli eccellenti, ma manca la scintilla, quel qualcosa che ti fa dire "mi trovo di fronte a qualcosa di speciale".
The Bear 3: Una stagione di raccordo
Il pranzo stellato, dicevo: chiunque ne abbia mai provato uno sa che è fatto di tante portate, che nella mente dello chef rappresentano un vero e proprio viaggio. Non soltanto sensoriale: come si vede nel film Ratatouille, un piatto può diventare anche un tuffo nei ricordi e trasformarsi in un concerto di emozioni, oltre che di sapori e profumi. Di solito si comincia con gli amuse-bouche, poi gli antipasti, le portate principali e poi via, fino ai dolci. Tra un piatto importante e l'altro spesso arrivano dei piccoli assaggi, che spezzano la pesantezza se si è mangiato qualcosa di particolarmente ricco. Ecco: The Bear 3 è esattamente questo.
La prima stagione è stata folgorante: una novità, che ci ha colpito come un fulmine. La seconda, se possibile, è stata ancora migliore: forte dell'averci già fatto conoscere i personaggi, li ha portati a un'evoluzione che ci ha commosso e stupito per la bellezza della scrittura. Questa terza è leggermente in calo, ma un calo fisiologico. È come se ci preparasse al gran finale, pulendoci la bocca da quanto assaggiato all'inizio, per essere definitivamente stupiti e deliziati. Una stagione di raccordo insomma. Ma, sia chiaro, in un pranzo stellato anche qualcosa che resetta il palato ha un sapore eccellente.
Due episodi bellissimi
Ayo Edebiri è Sydney in The Bear
Sarebbe quindi davvero ingeneroso parlare di delusione per The Bear 3: la serie è quanto di meglio si possa vedere in televisione negli ultimi anni. E se è vero che questa stagione espone il fianco a qualche critica, ci sono almeno due episodi bellissimi, che da soli valgono la visione di tutto: si tratta di Ice Chips, in cui Natalie (Abby Elliott), sorella di Carmy, va in travaglio, e Napkins, che ci fa scoprire come Tina (Liza Colón-Zayas) sia arrivata nella cucina del The Bear. La prima è una lezione di regia: tutta primi e primissimi piani, interpreti in stato di grazia. Una perla. La seconda, diretta da Ayo Edebiri, è meno prorompente dal punto di vista stilistico, ma è permeata da una sensibilità rara. Non soltanto entriamo finalmente in connessione con Tina, ma abbiamo anche la possibilità di scoprire l'essere umano Michael. Il duetto tra Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal è da applausi. Anche l'episodio finale, di cui non vi dico nulla, è eccellente. Insomma, è proprio vero che in questa serie "ogni secondo conta". E, per la terza volta, a visione finita, non possiamo che dire: sì, chef!
Conclusioni
In conclusione la terza stagione di The Bear è di raccordo tra il folgorante inizio e quella che sarà la fine. Gli attori sono sempre al massimo, così come la scrittura dei personaggi, ma si è persa un po' di sorpresa. Si tratta comunque di una stagione ottima, che può contare su almeno due episodi bellissimi: il 6 e l'8.
👍🏻
La bravura di tutti i protagonisti.
La scrittura dei personaggi.
Gli episodi 6 e 8.
Le guest star di lusso.
👎🏻
Forte della propria brillantezza, pur essendo ottima, questa stagione di The Bear è meno sorprendente delle precedenti.
#the bear#the bear 3#the bear season 3#the bear fx#carmy berzatto#sydney adamu#jeremy allen white#ayo edebiri
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Questo lunedì un pò grigio, per la pioggia e non, così che dopo pranzo mi sono detta "sai che c'è, mò il colore lo metto io" e allora eccomi indossando pantaloni gialli, un filo di trucco dorato sulle palpebre e via a prendere il caffè con P, che non vedevo da settimane e che vederla mi ha fatto bene al cuore. Racconti e aggiornamenti sulle nostre vite, più suoi che miei ma era giusto così. Mi mancavano le nostre sedute (così è come le chiamiamo). Mattinata iniziata con labbra che sorridono (nel letto si sta sempre bene), l'auto portata dal meccanico, scleri ed imprecazioni sul portale INPS e poi con poste italiane, mandato candidature e aperto mezzo secondo il libro per poi richiuderlo subito dopo, che il pranzo non si prepara da solo. Primo giorno di dieta nuova, ritorno del riso basmati e del mio piatto unico: tonno, pomodorini, zucchine. Ridendo e sentendomi poi una pagliaccia per la sera, che con l'arrivo di mia sorella ed il suo ragazzo dopo mesi, vuoi mica rispettarla, E alla pasta con gamberetti e sugo di pesce come puoi dire no? Serata in famiglia, cucinare, dialogare, la casa in rumore e questo mi era mancato. Anche la pastasciutta mi era mancata. Amo questi piccoli momenti di condivisione
In ordine sparso: foto pensando a/ pastasciutta/ macchinetta nuova/ pantaloni gialli/ Yoghi che mi assale e caffè
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Certe persone (tipo mia madre) guardano un dj e pensano: "Sai che sforzo! Mette dei dischi, tutto qui. Che ci vuole? Chiunque potrebbe farlo".
Se solo immaginassero quanto lavoro c'è dietro, per diventare un dj almeno decente! Mettiamo che tu mixi in un locale. È pieno zeppo e tutti stanno ballando come pazzi. Hai una cuffia appoggiata dietro un orecchio per sentire il pezzo del piatto 1 in uscita dalle casse. Sull'altro orecchio hai la seconda cuffia con la quale lavori per i fatti tuoi al disco sul piatto 2. Fai scratchare il secondo disco avanti e indietro sullo slipmat sotto la puntina, a caccia del punto esatto dove "tagliare", mentre ti accerti che vada a tempo con il primo. Potresti aver bisogno di farlo viaggiare più veloce, o più piano. Se ci metti troppo ad allineare il secondo, il primo potrebbe finire e tu ritrovarti di botto nel silenzio più totale. E se fai il dj, dammi retta, i silenzi di tomba non sono affatto consigliabili. E tutto questo lo devi fare in mezzo alla bolgia di gente che hai intorno, per non parlare di quelli che vengono a chiederti di mettere su i loro pezzi preferiti, e cioè come minimo roba di dieci anni fa.
Se lavori a regola sui piatti, a questo punto sposterai il cross fader del volume per infilare la seconda traccia: è qui che tutto si fa davvero eccitante. Certe volte è questione di un secondo: il cambio dei due brani è quasi istantaneo. Un colpo secco, insomma. Da brivido. Altrimenti puoi creare una dissolvenza graduale, e i due pezzi suoneranno in contemporanea per un po'.
Poi quando decidi di abbandonare il primo, lo sfumi con l'up fader collegato al piatto 1 (si chiama "up" fader anche se in realtà lo usi sia per abbassare che per alzare il volume). Poi con l'up fader del piatto 2 aumenti il volume della seconda traccia.
L'obiettivo è quello di effettuare un cambio senza punti morti: con i veri DJ è praticamente impossibile capire dove finisce una canzone e dove parte l'altra. Quando ascolti uno forte come Reel Love, hai l'impressione che tutti i pezzi siano un unico lungo brano ininterrotto.
Cit. "Voglio fare la Dj!"
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#voglio fare la dj#le ragazzine#libro#Jonny zucker#dj#mixaggio#djing#dischi#cuffie#up fader#piatti#musica#cross fader#dissolvenza#brani#brani musicali#music#lavoro#leggere#lettura#citazione#book#books#booklover#bookslover#booklr#bookblr#scratching
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a pranzo c'è questo che chiede piatto unico con riso bollito, broccoli e mozzarella oppure purè ma come stai fra
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Merenda mattina: pera 🍐
Pranzo: 237g pollo, insalata, mezzo pomodoro, carote e zucchine grattugiate
Condimento: sale e aceto balsamico
Verso le 10,30 ho mangiato la pera, non ho fatto la colazione, only coffee e in palestra, altrimenti non riesco a correre con cibo sullo stomaco, sono felicissima che sono cosi carica di energie e ho corso per mezz'ora bruciando 300 kcal. Ho fatto anche la scheda per tonificare la muscolatura, nell'ultimo periodo ero malnutrita e non riuscivo neanche più a fare sforzi, mangiavo e vomitavo tutto di continuo, certo ero dimagrita ma mi ha portata a svenire e neanche avevo raggiunto tutti i miei obbiettivi di peso. Voglio stare bene, è bello stare svegli ed energici, punto tutto sulla palestra, l'allenatrice non vorrebbe facessi cardio solo pesi, ma cardio per me è fondamentale perché comunque punto a tornare come prima, dimagrire facendo sport, mangiando sano e per forza devo stare attenta alle calorie. A pranzo avevo programmato di fare la pasta, ma poi sono andata a fare la spesa e ho preso il pollo al forno. Sono un po' spaventata per le calorie scrive internet, l'ho spelato tutto dandone un po' al gatto, ho pesato 237g di pollo pulito, l'ho messo nell'insalata con mezzo pomodoro, zucchine e carote grattugiate condito con sale e aceto balsamico. Un po' di sensi di colpa nonostante ho bruciato in palestra e anche domani voglio andare. L'importante è che ho le energie per fare ginnastica perché non mi piace stare tanto a riposo, essere sbandata, tipo vomitare in continuazione ero troppo distrutta.. mi piace essere attiva. Quindi devo dare energie al mio corpo, come una macchina con la benzina. Evito di pesarmi perché mi manda a male, secondo i miei calcoli con quello che mangio e palestra dovrei dimagrire come facevo mesi fa. Il piatto insalatona con pollo lo considero un piatto unico nel piano nutrizionale.
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Robert Wyatt - Sea Song (Official Audio)
youtube
La musica di Robert Wyatt gode da sempre di una stima illimitata, sin dai tempi in cui era batterista-cantante dei Soft Machine e poi alla fine di quell’esperienza (per lui una ferita mai sanata) e alla nascita dei Matching Mole (se lo si pronuncia alla francese diventa Machine Molle = Soft Machine). In entrambi i casi Wyatt contribuisce ad album destinati alla storia della popular music come Third dei Softs e Matching Mole. Poi però succede qualcosa di tragico: il 1° giugno 1973, durante la festa di compleanno di Gilli Smyth dei Gong e della poetessa/performer Lady June, un Wyatt strafatto e ubriaco si arrampica sul tetto per tentare di calarsi sul balcone del piano dove si sta svolgendo la festa e sorprendere tutti. Sono pochi passi ma sufficienti per cambiargli per sempre la vita. Appoggia male un piede, scivola e cade nel vuoto. Al suo risveglio in ospedale si ritrova paralizzato dall’addome in giù.
Quella è la fine del «batterista bipede», come Robert ha sempre definito la sua vita prima dell’incidente. La cosa sconvolge i suoi amici e la scena musicale tutta, e porta a bellissime iniziative come il concerto organizzato dai Pink Floyd (con i quali i Soft Machine avevano speso una buona parte dei ’60 in tour) il cui incasso è devoluto a Wyatt per le cure ospedaliere. Ma i link con i Floyd, lo si vedrà leggendo, non finiscono qui.
Supportato dalla fedele moglie/collaboratrice (è autrice dei tutte le sue copertine e di diversi testi) Alfreda Benge, detta Alfie, Wyatt mette da parte le inquietudini e le esagerazioni che hanno caratterizzato gli anni giovanili e si concentra su una musica che altro non può essere definita se non la musica di Robert Wyatt. Dentro ci sono echi della scuola di Canterbury (non potrebbe essere diversamente), prog, sperimentali, world. E c’è quel jazz che in definitiva rappresenta il più grande amore dell’artista. Ma soprattutto c’è la sua voce. Una voce che ha influenzato cantanti moderni (qualcuno ha detto Thom Yorke?) e che o la si apprezza in tutte le sue sfumature o la si rifiuta: sottile, sempre al limite dello spezzarsi, addirittura dell’andare fuori tono. Però dolce, sicura, riconoscibilissima, in grado solo con poche note di scaldare l’anima come un caminetto acceso in una notte di neve. Infine ci sono le sue canzoni e le molte cover con le quali spesso si è misurato: rarefatte, impalpabili, struggenti, solo sue. Ma anche agguerrite in altri momenti. Col tempo infatti Wyatt ha saputo mettere in atto un fiero impegno politico, schierandosi con il Partito Comunista Britannico e trovandosi coinvolto in iniziative umanitarie.
Nel 1997 nel quale in Italia (caso unico al mondo) viene pubblicato un tributo a Wyatt (The Different You – Robert Wyatt e noi, organizzato da Francesco Magnelli e Gianni Maroccolo e pubblicato dal Consorzio Produttori Indipendenti) esce Shleep, suo più grande successo dai tempi di Rock Bottom. È un album sereno, variegato, in grado di mettere sul piatto i diversi mondi wyattiani in maniera perfetta. Con diverse perle sonore tra cui una che spicca per intensità: Maryan, scritta col chitarrista jazz Philip Catherine e ripresa con eleganza e trasporto da Ginevra di Marco e Cristina Donà nel tributo.
Uno degli album più importanti degli ultimi 50 anni. Concepito nei giorni di convalescenza a seguito dell’incidente e prodotto da Nick Mason, il disco presenta un Wyatt fresco e nuovo, che compone canzoni che entrano nell’anima del mondo. Sospeso tra umori jazz, melodie struggenti ed esperimenti, Rock Bottom farà scuola per il suo carattere al tempo stesso tortuoso e godibile. Al suo interno molta malinconia, ma anche uno spirito ironico e vitale che permette a Wyatt di pubblicare alcune tra le sue canzoni più belle, una su tutte Sea Song che è pura poesia per il suo amore con Alfie. Ma è tutto l’album a essere una lunga lettera d’amore alla consorte, alcuni brani portano addirittura il suo nome. Rock Bottom è l’equilibrio perfetto tra canzone e sperimentazione, tra jazz e tutto ciò che musicalmente c’è di bello sul pianeta Te
( da Rolling Stone)
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Zanotelli: «Serve un unico, forte movimento per la pace e l’ambiente»
«Siamo sull’orlo di due abissi: l’inverno nucleare, basta un incidente e ci siamo, e l’estate incandescente per la crisi climatica. Serve un unico forte movimento per la pace e l’ambiente»: così il missionario comboniano Alex Zanotelli fotografa l’attuale momento storico.
Festeggiamo la Repubblica, che vieta la guerra come mezzo di offesa ma anche di risoluzione delle controversie, con una parata militare.
È assurdo e l’ho sempre detto in questi anni. Ma cos’ha a che fare la parata militare con la festa della Repubblica italiana? Una repubblica che è bastata sull’articolo 11, che ripudia la guerra, mentre invece siamo in guerra da tutte le parti. Una contraddizione totale.
Il conflitto in Ucraina va avanti da più di un anno, si riaccende l’ex Jugoslavia. In Italia non c’è un vero dibattito.
C’è una narrativa in questo paese in cui incredibilmente la parola pace è scomparsa. La guerra in Ucraina ha riarmato l’Europa, quello che sta avvenendo fa paura. Secondo il rapporto Sipri, nel 2022 la spesa militare degli stati dell’Europa centrale e occidentale è stata di 345 miliardi di dollari, per la prima volta ha superato quella del 1989. A questo ha contribuito anche l’imposizione dettata dalla Nato di impiegare il 2% del Pil in armamenti. Il presidente Usa Biden ha detto «voglio che la guerra in Ucraina continui per indebolire la Russia per poi fronteggiare la Cina» e questo sta infiammando tutto l’Indopacifico. Gli Usa hanno dato i sottomarini atomici all’Australia e hanno chiesto alle Filippine di installare altre 5 basi militari. Si sta armando fino ai denti il Giappone, che ha una costituzione pacifista. Si sta armando anche la Germania, che pure ha una costituzione pacifista, mettendo sul piatto 100 miliardi. Una Germania che si arma è pericolosa per l’Europa. Giochiamo tutti col fuoco.
Il parlamento Ue ha approvato il progetto di legge Asap a sostegno della produzione di munizioni anche con i fondi del Pnrr.
Una cosa di una gravità estrema. Quei fondi dovevano servire per scuola, sanità, creare possibilità di vita. Invece si potranno dirottare verso l’industria bellica, ci sono già 500 milioni di euro preventivati, una bestemmia. Mi preoccupa come il Pd sta votando: il Partito democratico e la sinistra devono svoltare su questi temi. Non è concepibile barcamenarsi tra visioni opposte.
La giustificazione del provvedimento sono gli arsenali vuoti. Stiamo ristrutturando l’industria europea verso il settore militare?
Siamo dentro un’economia di guerra, del resto basta vedere quante porte girevoli ci sono nel governo verso Leonardo, uno dei maggiori player della sicurezza. Papa Francesco ha detto «siamo già dentro la Terza guerra mondiale». E Gutierrez, il segretario Onu, afferma che stiamo andando «a occhi aperti» verso una nuova guerra mondiale.
Nel 2024 ci sono le elezioni europee che potrebbero segnare un cambio radicale verso destra.
Nel mio libro Lettera alla tribù bianca racconto come il suprematismo sta invadendo il mondo: Bolsonaro, Trump, i paesi europei come Polonia e Ungheria. Se in Spagna vincesse Vox rischiamo che l’ultradestra travolga le stesse istituzioni Ue. Dobbiamo dire «gente, vogliamo davvero andare verso il disastro totale?». Non solo l’olocausto nucleare ma anche l’estate incandescente. Spese militari, guerre, voli di aerei da combattimento stanno pesando sull’ecosistema tanto quanto lo stile di vita del 10% più ricco del mondo. Il pianeta non sopporta più la presenza dell’homo sapiens, divenuto demens.
Industria di guerra, cambiamento climatico provocheranno nuovi movimenti migratori a cui l’Europa risponde chiudendo i confini.
I migranti superano già i 100 milioni, immaginiamo cosa succederà quando il calore crescerà nella zona saheliana. La gente scapperà e vale lo stesso per i conflitti. Fuggono da guerre che facciamo noi, da cambiamenti climatici che provochiamo noi nel nord del mondo. L’Africa nel prossimo secolo potrebbe raggiungere oltre 2 miliardi di persone ma chi ci potrà vivere se si va avanti in questo modo? Ai nostri politici interessa il profitto, se arriva dagli armamenti non importa. Questi sono gli ultimi dati di spesa in Italia: 4 miliardi e 200 milioni destinati all’esercito per 200 carrarmati; alla marina 12 miliardi per la terza portaerei e il raddoppio della flotta; all’aeronautica 8 miliardi e 700 milioni per F35 e Eurofighter Typhoon. È follia.
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Il nulla che già possedevo.
Un altro buco nell’acqua. Un altro buco nel cuore. Avevo sperato fosse diverso e alla fine ecco dove mi ha portato la speranza: al nulla che già possedevo.
Ho il cuore uno scolapasta e nonostante questo adesso devo andare avanti e superare tutto.. perché è così che vuole la società, così che vuole la vita, la mia.
Penso inevitabilmente di essere un problema.
Penso che tutto era un po’ premeditato perché non mi spiego come una piccolezza porti alla rottura. Mi sembra assurdo. Allora forse non è tanto quella piccolezza, ma il fatto che non si vuol stare con me.
Ed era così già da tempo.
I motivi? Sempre gli stessi: non posso vivere, non posso uscire con gli amici, non posso volare via dal nido, non posso, non posso, non posso… e io passo sempre per il mostro che non sono. Mi vedono mostro, mi vedono scocciante, mi vedono un ostacolo perché è il pensiero diverso che non combacia.. e non si è mai neanche voluto capire il mio pensiero perché c’è sempre quell’egoismo di fondo no? Ed è inutile parlare e spiegare a chi già vede le cose con dei colori completamente diversi. Con dei colori che non si è disposti ad accostare ai miei per comprenderli, far sì che i colori di entrambi si inglobino e creino qualcosa di fuso e unico. Se manca questa volontà era già tutto perso in partenza.
Ma intanto mi do colpe che non dovrei darmi e ho provato anche a farmi del male come non accadeva da tempo, ho speranze che non dovrei avere, speranze che non mi si dovrebbero dare. E invece mi danno anche quelle nonostante parole amare e chiusura. Manteniamo la coerenza ogni tanto per non creare false speranze su! Uscite e vi godete la vostra vita che adesso che non ci sono più è tornata a risplendere già dal primo giorno!? Bene!!! Fatelo vedere, non nascondetevi da me, che senso ha nascondere questo? Per evitarmi dolore? Il dolore mi serve invece, così da uccidere tutte le speranze insensate che la mia testa si crea.
Cancellate o sotterrate foto di vecchi ricordi sotto gli occhi di tutti, non ha senso darsi e dare sto dispiacere di vedere cose che mai più torneranno. Ciò che fa più male è come ho servito tutto questo su un piatto d’argento. Ho creato l’alibi perfetto per concludere ciò che si voleva chiudere da prima, un alibi perfetto che mi avrebbe addossato la colpa di tutto.
E va bene, mi prendo anche questa come tante altre.. sarebbe stato più onesto dirmi che si pensava di chiudere perché non si era felici, anziché prendere la palla al balzo e farmi del male in questo modo. E ora devo prendere in mano la mia vita, andare avanti, reagire! È facile a dire.. Ci riuscirò, so che ci riuscirò. Ma nel frattempo… ©
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