#piatto unico
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Sformato di salsiccia e patate: la ricetta facile per un secondo piatto gustoso. Recensione di Alessandria today
Lo sformato di salsiccia e patate è un secondo piatto facile, saporito e perfetto per ogni occasione. Ideale per una cena in famiglia o un pranzo ricco e sostanzioso, questa ricetta combina la morbidezza delle patate con il gusto intenso della salsiccia, creando un piatto filante e irresistibile. Scopri come prepararlo in pochi passaggi!
Lo sformato di salsiccia e patate è un secondo piatto facile, saporito e perfetto per ogni occasione. Ideale per una cena in famiglia o un pranzo ricco e sostanzioso, questa ricetta combina la morbidezza delle patate con il gusto intenso della salsiccia, creando un piatto filante e irresistibile. Scopri come prepararlo in pochi passaggi! Ingredienti per 4 persone. 🥔 500 g di patate🌭 300 g di…
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tremaghi · 5 months ago
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Un peccato di gola dal profumo autunnale
Ogni tanto è lecito fare uno strappo alla regola. Complici i ricordi delle nostre vacanze in Tirolo, evocati nei giorni scorsi ad accendermi la voglia di speck e formaggio di malga, ingredienti principe dello strudel salato che ho preparato oggi.L’ho gustato sin dalla preparazione, che ho iniziato pelando, lavando e tagliando a tocchetti quattro patate medie, che ho fatto cuocere a vapore nel…
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blogsdaseguire · 6 months ago
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5 Piatti Unici Ben Bilanciati: Una Guida per una Cucina Sana
Scopri 5 piatti unici ben bilanciati per una #cucina sana e gustosa! #Ricette nutrienti che combinano proteine, carboidrati e grassi sani, per pasti facili e veloci. Prova le nostre deliziose idee per #mangiare in modo equilibrato e vario! #piattounico
Introduzione ai Piatti Unici e i Loro Principi Nutrizionali La cucina dei piatti unici rappresenta una soluzione pratica e nutriente per chi desidera unire gusto e salute in un unico pasto. Questi piatti, infatti, sono progettati per fornire un apporto bilanciato di nutrienti essenziali, combinando in modo armonioso proteine, carboidrati, grassi sani e fibre. L’idea alla base di un piatto unico…
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greedyweb · 2 years ago
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Riso al forno con Zucchine
Riso a forno con zucchine e formaggio filante. Lo adoro. Ci sono tantissime versioni del riso al forno dalle più ricche alle più semplici, è una pietanza che si può modificare a proprio gusto e a seconda di cosa abbiamo in frigo. Si perché si presta e si abbina ai gusti di tutti. Un piatto facile e gustoso. Un primo leggero e veloce che può essere consumato sia caldo che freddo rendendolo…
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t-annhauser · 1 month ago
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ogni tanto a linea verde
Ogni tanto a Linea Verde fanno vedere un ragazzo che coscientemente si dedica all'attività della pastorizia, lo mostrano come un esemplare unico e raro, un po' eccentrico e strambo, che invece di studiare, o addirittura dopo aver studiato, ha deciso di fare il pecoraio o di allevare galline in un pollaio. Questa persona deve in qualche modo giustificare la sua posizione agli occhi di noi inciviliti spettatori che lo guardiamo incuriositi dall'altra parte dello schermo comodamente seduti a tavola davanti a un piatto di pasta ipocalorica e una bottiglia in PET ecosostenibile di acqua minerale che depura l'organismo. Questo siamo diventati, degli inabili, degli incapaci alla vita che guardano le bestie feroci dietro ai finestrini degli schermi dei televisori, crollasse di botto la filiera dei supermercati moriremmo tutti di fame. Non parlerei più tanto di incivilimento, quanto di rincoglionimento. Evviva la gente che sa ancora fare qualcosa.
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angelap3 · 18 days ago
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LA GALLINA CHE DAVA TUTTO.
Un giorno, il Toro invitò i suoi amici a un banchetto.
— Non contribuirò con nulla, perché già metto a disposizione la mia casa — disse.
Il Cane ne approfittò subito:
— Io porterò un osso che ho trovato l’altro giorno. Ha ancora un po’ di carne.
Anche il Cavallo intervenne:
— Io posso offrire un pezzo di formaggio avanzato dal carnevale dell’anno scorso. È un po’ rancido, ma non è ancora ammuffito.
Tutti si voltarono verso la Gallina, aspettando di sentire cosa avrebbe portato.
— Ah, capisco… quindi il resto tocca a me? — balbettò la Gallina. — Suppongo di sì… la legna, il riso, i fagioli e tutto il lavoro. Manca solo che cucini io…
Il giorno del banchetto
La Gallina arrivò presto, con un fazzoletto legato in testa e un machete in mano. Era sudata, coperta di cenere e trasportava la legna che aveva faticato a tagliare. Portò anche il riso, i fagioli e il mais.
Il lavoro era enorme. E, al momento di salare i fagioli, senza volerlo, ne mise troppo. Il piatto risultò salato!
Gli invitati arrivarono la sera, quando tutto era già pronto.
Il Cavallo consegnò il formaggio, si riempì il piatto e, dopo il primo assaggio, si lamentò:
— Ma cosa hai fatto, Gallina? Questo è un piatto di sale con fagioli o di fagioli con il sale? Ahah!
La Gallina si schiarì la gola, trattenne le lacrime e finse di ridere, mentre continuava a lavorare.
Poi arrivò il Cane con il suo osso, ormai spolpato. Lo lasciò da parte, si servì un piatto abbondante e borbottò:
— Ma sei impazzita? Mica siamo tori per leccare il sale!
L’unico che non si lamentò fu il Toro (perché ai tori il sale piace).
La Gallina corse a casa sua e tornò con altri fagioli, questa volta di qualità. Li cucinò con la quantità perfetta di sale, e un profumo irresistibile si diffuse in tutta la casa.
Il Cavallo e il Cane fecero il bis. Mangiavano felici, ma nemmeno si ricordarono di ringraziarla.
Per tutta la festa la Gallina restò in cucina a lavorare, mentre gli altri ridevano e chiacchieravano, senza preoccuparsi di lei.
Quando la festa finì, gli animali se ne andarono uno a uno. Si salutarono tra loro, ma nessuno entrò in cucina per ringraziare la Gallina o anche solo per dirle “ciao”.
Sfinita, la Gallina cercò qualcosa da mangiare, ma non trovò nulla. Solo una crosta di fagioli secchi sul fondo della pentola. Con lo stomaco che brontolava, si strinse la cintura e iniziò a lavare i piatti e a pulire il disastro lasciato dagli altri.
Sempre la stessa storia… fino a un giorno diverso
Succedeva sempre. Gli altri arrivavano, si divertivano e poi se ne andavano. Non si accorgevano mai della Gallina, non notavano la sua assenza, perché era sempre in cucina, a dare tutto.
Fino a quando, un giorno, alla solita festa, la Gallina non c’era.
Quella sera c’erano solo formaggio andato a male e ossa spolpate. Non c’era un buon profumo nell’aria, né un piatto saporito, né la legna accesa.
La festa perse la sua magia e, per la prima volta, qualcuno si ricordò di lei.
Gli animali uscirono a cercarla. Non perché le volessero bene, ma perché ne avevano bisogno.
— Andiamo a casa sua! Sai dove vive?
— No…
— Nemmeno io…
Dopo qualche ora, passarono davanti a una grotta fredda e buia. Dal fondo si sentiva una voce debole che diceva:
— Perdonami, mamma… volevo solo proteggere la famiglia…
Erano le ultime parole della Gallina prima di sparire.
La sua voce rimase intrappolata nell’eco della grotta. Gli animali entrarono sperando di trovarla, ma non c’era più. Solo la sua voce continuava a ripetersi.
Corsero allora a casa della Capra, il suo unico amico, per avere risposte.
— Dov’è la Gallina? Perché viveva in una grotta? Perché non ci ha mai detto che non aveva una casa? Perché la sua voce continua a risuonare lì dentro, chiedendo perdono a sua madre?
La Capra sospirò e rispose:
— Davvero non lo sapete?
— Lei ha lavorato per voi per tutto questo tempo e non vi siete nemmeno accorti che non aveva una casa. Che razza di amici siete? Nemmeno sapevate che non aveva una famiglia.
Il Toro, il Cavallo e il Cane si guardarono, senza sapere cosa dire.
Allora la Capra raccontò la verità:
— Molto tempo fa, viveva in un pollaio con la sua famiglia. Ma un giorno una Serpe entrò e la Gallina lottò con coraggio per difendere i suoi cari, mentre le sue sorelle correvano a nascondersi sugli alberi.
La Serpe la morse e, invece di ringraziarla, la sua famiglia la cacciò, temendo che il veleno si diffondesse. Da allora, non ha più avuto una casa né una famiglia. Viveva in quella grotta e, mentre sosteneva il vostro mondo, la sua vita andava in pezzi.
Vi ha regalato gioia, vi ha fatto sentire bene, ma la notte solo il suo cuscino sapeva quante lacrime versava.
Il Toro, il Cavallo e il Cane abbassarono lo sguardo, pieni di vergogna.
— Volete sapere dov’è ora? — chiese la Capra.
— È sprofondata in una profonda depressione e non ha più la forza di lavorare gratis per voi. L’ho trovata io e ora mi sto prendendo cura di lei.
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Una storia di vita vera
Nella vita ci sono tante persone come la Gallina di questa storia.
Persone che danno tutto per gli altri, che si sforzano per vedere felici gli altri, che si caricano sulle spalle il peso di tutti, mentre le loro stesse vite si sgretolano.
Persone che sorridono di giorno, ma di notte bagnano il cuscino con le lacrime.
Fino a quando, un giorno, spariscono.
E solo allora gli altri si accorgono di quanto fossero importanti. Ma spesso è troppo tardi.
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occhietti · 5 months ago
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Si dice
PIZZA
in tutte le lingue del mondo.
La pizza è un piatto unico,
completo, universale e di pace.
Pizza is PEACE:
intorno alla Pizza si può unire il Mondo.
web
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ilpianistasultetto · 2 years ago
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Per fare un ragù decente occorre tempo e passione, aggiungere gli ingredienti giusti, tentare di ottenere un sapore unico, una magia nel piatto. Mia madre sapeva il tempo che ci voleva per fare un ragù spettacolare, di quelli che si attaccavano al palato e ne sentivi il sapore per mezza giornata. Quanto tempo..
Lo stesso accadeva per fare un maglione o una sciarpa di lana, di quelle per avvolgere il calore e scacciare il fiato dell'inverno.
Il consumismo di massa ha abbassato di molto la pretesa al meglio. Oggi abbiamo fretta, dobbiamo correre, andare veloci, e se una riflessione bussa al cervello, ti sembra tempo perso. Oggi ci sono i padroni del tempo, o meglio, del nostro tempo. Lo tolgono a noi per averne in scorta sui conti correnti, questo è il tempo che a loro serve, rendendoci schiavi di passioni inutili, e poi, ci accorgiamo di non avere più tempo per noi e si rimpiange quello gettato al vento. Quanto tempo sprecato a rincorrere cose inutili, l'effimero che diventa l'essenziale e quando siamo di fronte a qualcosa di unico, un tramonto, un cielo stellato, un caffè consumato in buona compagnia o, semplicemente, scrivere, dipingere, suonare, parlare, ecco che noi stessi diventiamo un'opera d'arte, come una sciarpa di lana fatto a mano. @ilpianistasultetto
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spada1926 · 7 months ago
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Sformato di melanzane, una vera delizia per il palato: la ricetta della nonna è magica | Buttalapasta
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falcemartello · 2 years ago
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UN CORPO PERDUTO e DIMENTICATO.
Ogni giorno viviamo la triade:
1- perdita di contatto con la produzione del cibo
2- perdita di conoscenza del proprio corpo, Io Biologico.
3- esaltazione della immagine corporea.
Il tutto davanti allo specchio magico del cellulare, che ci fa passare dalla realtà ad una vita artificiale.
Ma tutto parte dalla perdita di contatto con la produzione del proprio cibo, che genera la perdita di conoscenza e di consapevolezza di avere un corpo.
Tutta questa improvvisa scena occupata dal cibo “sintetico” (farine di insetti, carne coltivata, alimenti ultra processati carichi di additivi chimici ….) si basa sull’assenza della percezione di avere un corpo umano.
Al centro c’è il cibo, non il corpo.
Siamo solo all’inizio di una vulgata sul cibo artificiale che occuperà anni.
Si vive questa nuova comunicazione come se il cibo naturale non ci bastasse più.
L’attenzione e’ sul cibo “nuovo” non si parla di piacere alimentare, non ci preoccupiamo se genera salute.
Non interessa conoscere quali effetti esercita sul nostro corpo perché non lo conosciamo, non sappiamo come e’ fatto, come funziona, quale biochimica e fisiologia abbiamo dentro di noi. Mangiare e’ uno degli atti primari della vita.
Abbiamo perso il contatto con il cibo, non sappiamo più cosa mangiamo, da dove venga, cosa contiene; un cibo prodotto senza la coltivazione della terra, definito “sintetico.
Un cibo senza storia, senza terra, senza piacere.
Il cibo e’ stato marginalizzato negli orari della giornata.
Si mangia quando capita, di fretta, da soli. Il piacere alimentare ritorna protagonista nelle ricorrenze e in eventi emotivi.
IO BIOLOGICO.
Ciascuno di noi ha il suo “Io Biologico” unico e diverso da tutti gli altri essere umani, perché ciascuno ha il suo DNA. Ha un”suo” corpo.
La perdita del contatto con la produzione del cibo, genera la perdita di contatto con il proprio io biologico, per arrivare alla esaltazione della propria immagine corporea.
Abbiamo un corpo senza materia ed una immagine corporea artificiale.
La malattia del corpo ci riporta alla realtà. La conoscenza del corpo e del cibo genera la consapevolezza del vivere.
La conoscenza genera la libertà di guidare la mano che sceglie il cibo e lo porta dal piatto alla bocca bocca.
Comandare la mano alimentare vuol dire essere padroni della propria vita perché siamo capaci a gestire un bisogno primario: mangiare.
La natura ci ha donato il piacere sensoriale perché mangiare senza la ricompensa del piacere sarebbe stata una fatica inutile.
PRIMA CONOSCI IL TUO CORPO. Poi SCEGLI IL TUO CIBO PIÙ’ ADATTO.
Mangiare e’ pensare. Un abbraccio di vita.
PS: Ripartiamo dal pane fatto in casa. Domani scriverò come farlo.
Pierluigi Rossi prof.
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multiverseofseries · 6 months ago
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The Bear 3: un ottimo tris, ma meno sorprendente
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La terza stagione di The Bear si mantiene su livelli altissimi ma, dopo le precedenti praticamente perfette, sorprende meno. Due episodi sono però memorabili.
Paragonare una serie ambientata nel mondo della cucina a un pranzo stellato è una cosa facile e anche un po' pigra, ma forse non c'è modo più immediato per far capire cosa rappresenti la terza stagione per il percorso evolutivo di The Bear. The Bear 3 vede Carmy (Jeremy Allen White) finalmente al timone del suo ristorante, tanto inseguito e voluto, il "The Bear" del titolo, insieme alla socia Sydney (Ayo Edebiri). Preso in eredità dal fratello Michael, che ne aveva fatto un locale alla buona, pronto a servire panini unti e abbondanti soprattutto agli operai in pausa pranzo di Chicago, Carmy lo ha trasformato in un posto elegante e ambizioso: il suo obbiettivo è infatti ottenere una stella Michelin.
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Jeremy Allen White è Carmy Berzatto in The Bear
Per riuscirci lo chef è pronto a sacrificare tutto: il sonno, la salute, l'igiene personale. E, soprattutto, i rapporti umani: The Bear 2 si è chiusa proprio con il suo sfogo nella cella frigorifero, in cui, non sapendo che Claire fosse dall'altro lato della porta a sentirlo, ha tirato fuori tutta la propria frustrazione per un rapporto che gli dà sì felicità, ma che allo stesso tempo lo distrae da quello che lo fa alzare ogni mattina: essere un artista del cibo. La felicità convive male con la grandezza. E Carmy vuole essere il migliore.
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I nuovi episodi di The Bear riprendono esattamente da qui: gli autori ci mostrano l'ossessione che ha portato il protagonista a diventare un nome ricercato, che combatte costantemente con i propri limiti, per superarli ed essere sempre più bravo. A Carmy l'eccellenza non basta: vuole stupire, farsi ricordare. E in nome di questo prende una decisione che lo porterà a creare più di qualche malumore: cambiare menù ogni giorno. E, in un certo senso, è quello che fa anche la serie stessa in questo terzo ciclo: cerca di offrirci qualcosa di unico e differente a ogni episodio. In parte ci riesce, ma, rispetto alle stagioni precedenti, praticamente perfette, è come se si fosse persa un po' di spontaneità: siamo sempre a livelli eccellenti, ma manca la scintilla, quel qualcosa che ti fa dire "mi trovo di fronte a qualcosa di speciale".
The Bear 3: Una stagione di raccordo
Il pranzo stellato, dicevo: chiunque ne abbia mai provato uno sa che è fatto di tante portate, che nella mente dello chef rappresentano un vero e proprio viaggio. Non soltanto sensoriale: come si vede nel film Ratatouille, un piatto può diventare anche un tuffo nei ricordi e trasformarsi in un concerto di emozioni, oltre che di sapori e profumi. Di solito si comincia con gli amuse-bouche, poi gli antipasti, le portate principali e poi via, fino ai dolci. Tra un piatto importante e l'altro spesso arrivano dei piccoli assaggi, che spezzano la pesantezza se si è mangiato qualcosa di particolarmente ricco. Ecco: The Bear 3 è esattamente questo.
La prima stagione è stata folgorante: una novità, che ci ha colpito come un fulmine. La seconda, se possibile, è stata ancora migliore: forte dell'averci già fatto conoscere i personaggi, li ha portati a un'evoluzione che ci ha commosso e stupito per la bellezza della scrittura. Questa terza è leggermente in calo, ma un calo fisiologico. È come se ci preparasse al gran finale, pulendoci la bocca da quanto assaggiato all'inizio, per essere definitivamente stupiti e deliziati. Una stagione di raccordo insomma. Ma, sia chiaro, in un pranzo stellato anche qualcosa che resetta il palato ha un sapore eccellente.
Due episodi bellissimi
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Ayo Edebiri è Sydney in The Bear
Sarebbe quindi davvero ingeneroso parlare di delusione per The Bear 3: la serie è quanto di meglio si possa vedere in televisione negli ultimi anni. E se è vero che questa stagione espone il fianco a qualche critica, ci sono almeno due episodi bellissimi, che da soli valgono la visione di tutto: si tratta di Ice Chips, in cui Natalie (Abby Elliott), sorella di Carmy, va in travaglio, e Napkins, che ci fa scoprire come Tina (Liza Colón-Zayas) sia arrivata nella cucina del The Bear. La prima è una lezione di regia: tutta primi e primissimi piani, interpreti in stato di grazia. Una perla. La seconda, diretta da Ayo Edebiri, è meno prorompente dal punto di vista stilistico, ma è permeata da una sensibilità rara. Non soltanto entriamo finalmente in connessione con Tina, ma abbiamo anche la possibilità di scoprire l'essere umano Michael. Il duetto tra Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal è da applausi. Anche l'episodio finale, di cui non vi dico nulla, è eccellente. Insomma, è proprio vero che in questa serie "ogni secondo conta". E, per la terza volta, a visione finita, non possiamo che dire: sì, chef!
Conclusioni
In conclusione la terza stagione di The Bear è di raccordo tra il folgorante inizio e quella che sarà la fine. Gli attori sono sempre al massimo, così come la scrittura dei personaggi, ma si è persa un po' di sorpresa. Si tratta comunque di una stagione ottima, che può contare su almeno due episodi bellissimi: il 6 e l'8.
👍🏻
La bravura di tutti i protagonisti.
La scrittura dei personaggi.
Gli episodi 6 e 8.
Le guest star di lusso.
👎🏻
Forte della propria brillantezza, pur essendo ottima, questa stagione di The Bear è meno sorprendente delle precedenti.
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mynameis-gloria · 2 years ago
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Questo lunedì un pò grigio, per la pioggia e non, così che dopo pranzo mi sono detta "sai che c'è, mò il colore lo metto io" e allora eccomi indossando pantaloni gialli, un filo di trucco dorato sulle palpebre e via a prendere il caffè con P, che non vedevo da settimane e che vederla mi ha fatto bene al cuore. Racconti e aggiornamenti sulle nostre vite, più suoi che miei ma era giusto così. Mi mancavano le nostre sedute (così è come le chiamiamo). Mattinata iniziata con labbra che sorridono (nel letto si sta sempre bene), l'auto portata dal meccanico, scleri ed imprecazioni sul portale INPS e poi con poste italiane, mandato candidature e aperto mezzo secondo il libro per poi richiuderlo subito dopo, che il pranzo non si prepara da solo. Primo giorno di dieta nuova, ritorno del riso basmati e del mio piatto unico: tonno, pomodorini, zucchine. Ridendo e sentendomi poi una pagliaccia per la sera, che con l'arrivo di mia sorella ed il suo ragazzo dopo mesi, vuoi mica rispettarla, E alla pasta con gamberetti e sugo di pesce come puoi dire no? Serata in famiglia, cucinare, dialogare, la casa in rumore e questo mi era mancato. Anche la pastasciutta mi era mancata. Amo questi piccoli momenti di condivisione
In ordine sparso: foto pensando a/ pastasciutta/ macchinetta nuova/ pantaloni gialli/ Yoghi che mi assale e caffè
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persa-tra-i-miei-pensieri · 8 months ago
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Certe persone (tipo mia madre) guardano un dj e pensano: "Sai che sforzo! Mette dei dischi, tutto qui. Che ci vuole? Chiunque potrebbe farlo".
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Se solo immaginassero quanto lavoro c'è dietro, per diventare un dj almeno decente! Mettiamo che tu mixi in un locale. È pieno zeppo e tutti stanno ballando come pazzi. Hai una cuffia appoggiata dietro un orecchio per sentire il pezzo del piatto 1 in uscita dalle casse. Sull'altro orecchio hai la seconda cuffia con la quale lavori per i fatti tuoi al disco sul piatto 2. Fai scratchare il secondo disco avanti e indietro sullo slipmat sotto la puntina, a caccia del punto esatto dove "tagliare", mentre ti accerti che vada a tempo con il primo. Potresti aver bisogno di farlo viaggiare più veloce, o più piano. Se ci metti troppo ad allineare il secondo, il primo potrebbe finire e tu ritrovarti di botto nel silenzio più totale. E se fai il dj, dammi retta, i silenzi di tomba non sono affatto consigliabili. E tutto questo lo devi fare in mezzo alla bolgia di gente che hai intorno, per non parlare di quelli che vengono a chiederti di mettere su i loro pezzi preferiti, e cioè come minimo roba di dieci anni fa.
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Se lavori a regola sui piatti, a questo punto sposterai il cross fader del volume per infilare la seconda traccia: è qui che tutto si fa davvero eccitante. Certe volte è questione di un secondo: il cambio dei due brani è quasi istantaneo. Un colpo secco, insomma. Da brivido. Altrimenti puoi creare una dissolvenza graduale, e i due pezzi suoneranno in contemporanea per un po'.
Poi quando decidi di abbandonare il primo, lo sfumi con l'up fader collegato al piatto 1 (si chiama "up" fader anche se in realtà lo usi sia per abbassare che per alzare il volume). Poi con l'up fader del piatto 2 aumenti il volume della seconda traccia.
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L'obiettivo è quello di effettuare un cambio senza punti morti: con i veri DJ è praticamente impossibile capire dove finisce una canzone e dove parte l'altra. Quando ascolti uno forte come Reel Love, hai l'impressione che tutti i pezzi siano un unico lungo brano ininterrotto.
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Cit. "Voglio fare la Dj!"
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sohtaq · 1 year ago
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a pranzo c'è questo che chiede piatto unico con riso bollito, broccoli e mozzarella oppure purè ma come stai fra
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mucillo · 10 months ago
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Robert Wyatt - Sea Song (Official Audio)
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La musica di Robert Wyatt gode da sempre di una stima illimitata, sin dai tempi in cui era batterista-cantante dei Soft Machine e poi alla fine di quell’esperienza (per lui una ferita mai sanata) e alla nascita dei Matching Mole (se lo si pronuncia alla francese diventa Machine Molle = Soft Machine). In entrambi i casi Wyatt contribuisce ad album destinati alla storia della popular music come Third dei Softs e Matching Mole. Poi però succede qualcosa di tragico: il 1° giugno 1973, durante la festa di compleanno di Gilli Smyth dei Gong e della poetessa/performer Lady June, un Wyatt strafatto e ubriaco si arrampica sul tetto per tentare di calarsi sul balcone del piano dove si sta svolgendo la festa e sorprendere tutti. Sono pochi passi ma sufficienti per cambiargli per sempre la vita. Appoggia male un piede, scivola e cade nel vuoto. Al suo risveglio in ospedale si ritrova paralizzato dall’addome in giù.
Quella è la fine del «batterista bipede», come Robert ha sempre definito la sua vita prima dell’incidente. La cosa sconvolge i suoi amici e la scena musicale tutta, e porta a bellissime iniziative come il concerto organizzato dai Pink Floyd (con i quali i Soft Machine avevano speso una buona parte dei ’60 in tour) il cui incasso è devoluto a Wyatt per le cure ospedaliere. Ma i link con i Floyd, lo si vedrà leggendo, non finiscono qui.
Supportato dalla fedele moglie/collaboratrice (è autrice dei tutte le sue copertine e di diversi testi) Alfreda Benge, detta Alfie, Wyatt mette da parte le inquietudini e le esagerazioni che hanno caratterizzato gli anni giovanili e si concentra su una musica che altro non può essere definita se non la musica di Robert Wyatt. Dentro ci sono echi della scuola di Canterbury (non potrebbe essere diversamente), prog, sperimentali, world. E c’è quel jazz che in definitiva rappresenta il più grande amore dell’artista. Ma soprattutto c’è la sua voce. Una voce che ha influenzato cantanti moderni (qualcuno ha detto Thom Yorke?) e che o la si apprezza in tutte le sue sfumature o la si rifiuta: sottile, sempre al limite dello spezzarsi, addirittura dell’andare fuori tono. Però dolce, sicura, riconoscibilissima, in grado solo con poche note di scaldare l’anima come un caminetto acceso in una notte di neve. Infine ci sono le sue canzoni e le molte cover con le quali spesso si è misurato: rarefatte, impalpabili, struggenti, solo sue. Ma anche agguerrite in altri momenti. Col tempo infatti Wyatt ha saputo mettere in atto un fiero impegno politico, schierandosi con il Partito Comunista Britannico e trovandosi coinvolto in iniziative umanitarie.
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Nel 1997 nel quale in Italia (caso unico al mondo) viene pubblicato un tributo a Wyatt (The Different You – Robert Wyatt e noi, organizzato da Francesco Magnelli e Gianni Maroccolo e pubblicato dal Consorzio Produttori Indipendenti) esce Shleep, suo più grande successo dai tempi di Rock Bottom. È un album sereno, variegato, in grado di mettere sul piatto i diversi mondi wyattiani in maniera perfetta. Con diverse perle sonore tra cui una che spicca per intensità: Maryan, scritta col chitarrista jazz Philip Catherine e ripresa con eleganza e trasporto da Ginevra di Marco e Cristina Donà nel tributo.
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Uno degli album più importanti degli ultimi 50 anni. Concepito nei giorni di convalescenza a seguito dell’incidente e prodotto da Nick Mason, il disco presenta un Wyatt fresco e nuovo, che compone canzoni che entrano nell’anima del mondo. Sospeso tra umori jazz, melodie struggenti ed esperimenti, Rock Bottom farà scuola per il suo carattere al tempo stesso tortuoso e godibile. Al suo interno molta malinconia, ma anche uno spirito ironico e vitale che permette a Wyatt di pubblicare alcune tra le sue canzoni più belle, una su tutte Sea Song che è pura poesia per il suo amore con Alfie. Ma è tutto l’album a essere una lunga lettera d’amore alla consorte, alcuni brani portano addirittura il suo nome. Rock Bottom è l’equilibrio perfetto tra canzone e sperimentazione, tra jazz e tutto ciò che musicalmente c’è di bello sul pianeta Te
( da Rolling Stone)
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kiki-de-la-petite-flaque · 1 year ago
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La parola «arte» non esiste in greco, il concetto unico usato dai greci era la techne, che non è la tecnica ma è la capacità di capire come si fa a fare una cosa in modo che sia agathòs, cioè renderla utilizzabile, utile. Agathòs è buono in quanto serve al suo scopo nella maniera migliore, come il soldato valoroso in battaglia. In italiano ancora oggi noi diciamo «un bel piatto di spaghetti», per intendere non che è bello ma che è buono, che è la migliore espressione della ricetta. Gli italiani sono i filosofi più attenti del mondo, ma ne sono inconsapevoli. [...] Non è la bellezza che salverà il mondo, o salverà noi: è proprio l’opposto. Il nostro compito è tentare di salvare la bellezza.
Philippe Daverio, Che cos’è la bellezza, 2022
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