#narrativa e tragedia
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pier-carlo-universe · 4 months ago
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"Il Silenzio dei Sentimenti di Romeo Gìpari": Racconti di Amori Celati e Dolori Inascoltati. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nell’animo umano attraverso emozioni taciute e relazioni negate
Un viaggio nell’animo umano attraverso emozioni taciute e relazioni negate Romeo Gìpari, con Il Silenzio dei Sentimenti, pubblicato il 29 settembre 2024, ci offre una raccolta di racconti intensa e struggente. Il volume esplora la profondità del silenzio come espressione di sentimenti repressi e affetti non dichiarati, in un’epoca e in contesti in cui l’autenticità emotiva è spesso soffocata…
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Sul carro era stato caricato tutto quello che ci poteva stare, anche la macchina da cucire e la bicicletta, anche la damigiana piccola piena di vino. Quindi la porta di casa era stata chiusa. L’aveva chiusa la madre con molta cura, e prima di legare la chiave alla cintura del suo vestito essa si era più volte assicurata che fosse chiusa bene. E poi erano rimasti vicino al carro, di fronte alla porta chiusa. Erano rimasti là fermi un poco, senza far niente perché non c’era più niente da fare, ma pareva loro di dover aspettare chi sa che cosa. E infine il vecchio aveva detto: «Avanti!» con voce solenne, come se fosse risorto in lui l’antico spirito dei capi che guidavano le tribù nelle trasmigrazioni dei popoli. E il figlio Nino aveva incitato i buoi più volte, portando il carro dietro la casa e poi sulla carrareccia che conduceva alla strada grande. E allora la madre aveva camminato in fretta per raggiungere il suo uomo che stava in testa, e insieme e vicini andarono avanti verso la strada. E dietro veniva il carro guidato dal figlio Nino, che senza posa stimolava i buoi con la voce e col lungo bastone. E dietro il carro, dopo la vacca legata che camminava sonnolenta, venivano la ragazza Effa, e la Rossa, che portava in braccio il suo piccolo figlio addormentato. E intanto il cielo sopra la linea dei monti si era fatto chiaro e dorato. «Guarda, Rossa» disse la ragazza Effa. «Deve essere nata la luna.» E la madre, che camminava dall’altra parte del carro accanto al suo uomo, disse: «Guarda, Mangano. Dev’essere nata la luna. Tra poco ci vedremo meglio.» “
Giuseppe Berto, Le opere di Dio, Nuova Accademia Editrice (collana I cristalli degli Italiani), Milano, 1965; pp. 167-69.
[ 1ª edizione originale: Macchia editore, Roma, 1948 ]
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kaelkoth · 2 months ago
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Cuando decidimos darle un giro más intenso a la Leyenda de Sangre y Coronas, sabíamos que los imperiales habían mostrado una paciencia inusitada hasta el momento y que ya era hora de que movieran la primera ficha en el tablero. Sin embargo, nos preguntábamos si los usuarios optaríais por seguir alargando la tensión política con la posibilidad de un matrimonio o si estaríais dispuestos a adentraros en una ambientación bélica, ya que esta conlleva una carga emocional y narrativa que puede resultar abrumadora: drama en su máxima expresión, intrigas, conspiraciones, traiciones, alianzas forjadas en la desesperación, tragedias… Pero, una vez más, nos habéis sorprendido tirándoos de cabeza al peligro junto a vuestros personajes.
Como sabéis, quedan apenas 4 días para que comience la nueva estación de Nébula, con todo lo que esto supone: el estallido de la guerra y sus consecuencias. Queremos aprovechar para transmitiros un mensaje importante: no os apuréis ni sintáis presión por cerrar vuestros temas actuales. Aunque la guerra estalle, todo lo que estáis roleando seguirá siendo válido y relevante. Las conspiraciones, las reuniones secretas, los planes a medias y las alianzas en proceso seguirán su curso. El estallido de la guerra no marca un punto de cierre, sino de transición, y precisamente esa sensación de urgencia e impreparación forma parte de la narrativa.
Es importante recordar que nadie está completamente preparado para la guerra, ni siquiera vuestros personajes. El Imperio del Sol ha dado muy poco margen de maniobra, lo que deja a todos en una posición de incertidumbre y caos. Esto se reflejará también en el rol: la falta de tiempo para organizarse, pactar alianzas o ultimar detalles es completamente coherente con la situación.
Así que, por favor, no os sintáis presionados por terminar vuestros temas antes de que estalle la guerra. Todo seguirá avanzando, y los planes y conspiraciones tendrán más peso que nunca en este nuevo escenario. Tomáoslo con calma y disfrutad del desarrollo de vuestros personajes; la guerra solo añade una capa más de complejidad y oportunidades para explorar sus historias.
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diceriadelluntore · 10 months ago
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Storia Di Musica #328 - Francesco De Gregori, Titanic, 1982
I dischi che ho scelto il mese di Giugno hanno un valore ancora più personale, e sono legati da un fatto. A metà Maggio per aggiustare due tegole lesionate salendo in soffitta per fare spazio ho ritrovato degli scatoloni, e in uno di questi, catalogati in buste di carta, come quelle del pane, vi erano dei dischi. Ne ho scelti 5 per le domeniche di questo Giugno. Il primo era nella busta Dischi di Angela, il nome di mia madre. Interrogata, e felicemente sorpresa di aver ritrovato quello scatolone pensato perso dopo un temporaneo trasloco da casa, mi ha raccontato che non comprò il disco appena uscito, ma dopo qualche anno, dopo aver visto un concerto dell'artista di oggi, uno dei più grandi autori della canzone italiana.
Francesco De Gregori era stato lontano dagli studi di registrazione per tre anni: il 1979 era stato l'anno straordinario di Banana Republic con Lucio Dalla e di Viva L'Italia, disco fondamentale e che contiene una storia particolare. Fu infatti il tentativo della RCA, la sua casa discografica, di promuovere l'artista a livello internazionale. Fu ingaggiato Andrew Loog Oldham, leggendario scopritore e primo produttore dei Rolling Stones, che portò con sé una schiera di tecnici e turnisti britannici, e lo stesso De Gregori registrò delle versioni in inglese di alcune delle sue canzoni più note (Piccola Mela, Rimmel, Generale, una versione di Buffalo Bill con Lucio Dalla) con i testi tradotti da Susan Duncan Smith e Marva Jan Marrow, poetessa statunitense che rimase in Italia per un decennio, collaborando con numerosi artisti (Ivan Graziani adatta un suo brano, Sometimes Man, per Patti Pravo, che diviene una dedica per lei, intitolata Marva).
Decide quindi di concentrarsi su un disco che da un lato riprende progetti giovanili sul recupero delle musiche tradizionali, e dall'altro sia una sorta di concept album. Su questo ultimo punto, fu decisiva la lettura nei mesi precedenti le registrazioni di un libro, L'Affondamento Del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. Prodotto da De Gregori con Luciano Torani, Titanic esce nel giugno del 1982. È un disco dove De Gregori lascia da parte la canzone d'amore (solo un brano è riconducibile ad una canzone romantica), musicalmente molto vario e che sembra, attraverso il racconto della mitica nave e del suo tragico destino, una riflessione faccia faccia, personale e spirituale, con il mare, i suoi messaggi potenti e profondi. Si apre con Belli Capelli, l'unica canzone d'amore, che lascia lo spazio a Caterina, emozionate omaggio a Caterina Bueno, cantautrice fiorentina che fu la prima a credere nel giovane De Gregori, chiamato come chitarrista nel 1971: i versi «e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo» sono un omaggio ad un brano di Bueno, «e cinquecento catenelle d'oro/hanno legato lo tuo cuore al mio/e l'hanno fatto tanto stretto il nodo/che non si scioglierà né te né io». La Leva Calcistica Del '68 è uno dei classici degregoriani, toccante racconto di un provino calcistico di un dodicenne nel 1980, con uno dei testi più belli del Principe (E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai\Di giocatori tristi che non hanno vinto mai\Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro\E adesso ridono dentro al bar\E sono innamorati da dieci anni\Con una donna che non hanno amato mai\Chissà quanti ne hai veduti\Chissà quanti ne vedrai). La parte centrale del disco, musicale ed emozionale, è la cosiddetta trilogia del Titanic. L'Abbigliamento Di Un Fuochista, cantata con Giovanna Marini (grande custode della musica tradizionale italiana, recentemente scomparsa) racconta una storia di emigrazione attraverso il doloroso dialogo madre-figlio sullo sfondo della tragedia, e De Gregori in un disco successivo, altrettanto famoso, La Donna Cannone (1983), inserirà un brano, La Ragazza E La Miniera, che è la prosecuzione narrativa di questo brano. Titanic, dal meraviglioso ritmo sudamericano, è il brano metafora della questione sociale: la divisione in classi, prima, seconda e terza, che accomuna la nave alla società. I Muscoli Del Capitano inizia come Il Tragico Naufragio Della Nave Sirio, canzone popolare resa celebra da Caterina Bueno, e molti notarono lo stile particolare del testo, un riferimento alla narrazione futurista del progresso, della potenza meccanica, al mito dell'acciaio e dell'industria. La canzone, meravigliosa, sarà oggetto anche di numerose riletture, e ricordo quella convincente di Fiorella Mannoia in Certe Piccole Voci (1999). Il disco si chiude con il riff, spiazzante, di 150 Stelle, sulle bombe e i bombardamenti, con il simpatico rock'n'roll di Rollo & His Jets, che nel testo cita due dei suoi migliori collaboratori, Peppe Caporello (bassista mezzo messicano soprannominato chicco di caffè) e Marco Manusso (chitarrista con quel nome strano) che insieme con Mimmo Locasciulli suonarono nel disco. Leggenda vuole che per gli arrangiamenti dei fiati Caporello volle un paio di scarpe di tela Superga bianche. Chiude il disco il pianoforte, dolcissimo e malinconico, di San Lorenzo, in ricordo dei bombardamenti del 19 luglio 1943 sul quartiere romano di San Lorenzo ad opera degli alleati. Canzone stupenda, è anch'essa ricchissima di riferimenti: i versi su Pio XII che incontra la gente si rifà ad una famosissima fotografia (scattata però, ma si seppe anni dopo, davanti alla Chiesa di San Giovanni In Laterano, nell'agosto del '43 dopo la seconda sequenza di bombardamenti), il verso Oggi pietà l'è morta, ma un bel giorno rinascerà è presa dal famoso canto partigiano di Nuto Revelli.
Il disco, con in copertina il merluzzo su un piatto in un frigorifero accanto a un limone tagliato fotografato da De Gregori e colorata da Peter Quell, fu anche un successo di critica e di vendite: nonostante non ebbe traino da nessun singolo, vendette 100000 copie nel primo mese, regalando le sue canzoni stupende, con De Gregori che fu il primo a ripercorrere le orme del Battiato de La Voce Del Padrone, unendo nel modo più convincente la tradizione cantautorale, in questo lui un Maestro insuperato, con il grande pubblico.
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mileybooks · 3 months ago
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Review: "AMARILLA" | RF. Kuang
Puntuación: 4.5 ⭐
Fecha de lectura: 11-12 Dec. 2024
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Escribo esta reseña a medida que lo leo, ya que debo reflejar los pensamientos que me causa.
*spoilers*
En primer lugar, el estilo es muy diferente de las otras dos novelas de Kuang, mucho mas profundas y en tercera persona, el narrador está en presente por lo que el suspense se palpa durante todo el libro, se siente como una serie de Netflix con un narrador que nos cuenta todo lo que la protagonista va viviendo. En Amarilla, estamos en la mente y vida de June, en primera persona, una escritora mundana y frustrada, con dotes de pick me y de llorarle al mundo por no tener el mismo éxito que su amiga Athena.
Aquí podemos caer en dos ramas de crítica, ya que por un lado está la historia del libro, y por otro lado el evidente paralelismo con Kuang como autora y lo que tal vez sea una confesión o paralelismo sobre su propio recorrido.
June, después de que Athena muera, le roba su manuscrito, lo edita y lo aceptan para publicar por una suma enorme de dinero.
Es aquí cuando entramos en los comentarios de June sobre lo que podría ser un libro equivalente a La guerra de la amapola y Babel. Kuang ha tratado siempre la prosa con cariño, y su nacionalidad con respeto, brindando muchísimo contenido a su forma de escribir. Podemos ver comentarios que nos hacen aterrizar de nuevo en PW:
"En el borrador original, varios trabajadores acaban suicidándose por el maltrato recibido a manos de los británicos, y un hombre se ahorca en la tienda del capitán. Cuando este último encuentra el cadáver, le indica a un intérprete que les ordene al resto de los trabajadores que se ahorquen en sus propias tiendas, y afirma: «No queremos tanto estropicio en las nuestras». Al parecer, toda esa escena fue sacada directamente de un registro histórico. La copia de Athena cuenta con notas escritas a mano en el margen en las que subraya: Mencionar en los agradecimientos. Esto es imposible inventárselo. Madre mía. Es una escena sobrecogedora y, cuando la leí por primera vez, sentí un gran horror. Pero Daniella opina que es pasarse un poco: «Entiendo que son militares y algo toscos, pero esto ya es recrearse demasiado en una tragedia, comenta. ¿Lo quitamos para no perder el ritmo?»."
Aquí podemos ver como en cierto punto es posible que Kuang tuviese que enfrentar criticas o 'correcciones' en su borrador de TPW, al tomar como referencia la masacre de Niang y adaptarla en el cap 22 de TPW.
June también nos cuenta como corrige el libro para hacer a los chinos 'menos chinos' y a los blancos menos blancos, haciendo a los personajes mas 'personas', tomando personajes que ella cree que son estereotipados para convertirlos en pjes diferentes o con un 'lavado de cara' "En cambio, nosotras transformamos a uno de los matones blancos en un personaje chino, y a uno de los trabajadores chinos con más peso en un compasivo granjero blanco." Si te fijas, se denigra a un pj chino, y se ensalza uno blanco.
"Hacia el final de la novela, el manuscrito original de Athena se vuelve insoportablemente moralista. En esa parte deja de lado las narrativas personales más interesantes para atacar al lector con las miles de formas distintas en las que esos trabajadores fueron olvidados e ignorados. "
En esta parte recuerdo Babel, y como la narrativa se ve eclipsada (y con razón) por el mensaje anticolonialista y de empatía respecto a los inmigrantes y su peso en la historia.
Cabe destacar que agradezco haber leído los libros de Kuang en orden de publicación, crea una atmosfera totalmente diferente a si hubiese leído primero 'Amarilla', el contexto de conocer a la autora y sus novelas da muchísimo peso a la lectura.
June se dedica a hacer soft-racism todo el libro, diciendo que todos los asiáticos son x, sorprendiéndose cada vez que alguno habla bien el idioma, evidenciando clichés y enfadándose cada vez mas y mas con el 'injusto mundo' que la rodea, siendo tremendamente hipócrita.
Kuang hace cosas muy bestias evidenciando el consumismo, el interés y la corrupción de la sociedad dándole más valor a algo woke porque vende, y no por su contenido moralista "Cuando me percato de que la mayoría de mis seguidores son personas racializadas o tienen etiquetas como #BLM y #PalestinaLibre en sus biografías, sé que voy por el camino correcto."
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Por lo general, este libro me ha gustado mucho, si hay algo que no me haya gustado es el final, me gustaría haber visto el mundo arder alrededor de June, pero quedarme con la incertidumbre tiene su parte de gracia.
Me ha parecido espectacular la forma en la que tanto June como Athena terminan siendo personajes grises porque no nos podemos fiar de la narrativa sesgada de nadie. Había comentarios de June que no podía creer que estuviesen pasando siendo escritos por Kuang, llegaba a ser hasta violento.
Aun asi, creo firmemente que Kuang ha reflejado su complejidad personal y sus conflictos internos tanto en June como en Athena.
Es cierto que si no has leido los demás libros de Rebecca creo que Yellowface puede llegar a ser reduntante y sin 'chicha', aun siendo una lectura muy disfrutona y sabrosa, en mi caso, adoro Babel, adoro TPW y leer este libro me ha supuesto cierto acercamiento metafórico a la autora, una mayor comprensión de la complejidad editorial y creativa y sobre todo una critica interna a mi misma respecto al valor y peso de la percepción de la opinión publica en RRSS y en la vida real.
Le doy un 4.5 de puntuación y quedo esperando con ansias Katabasis.
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identidadsposts · 2 years ago
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Géneros literarios
No me considero una excelente lectora, pero vamos a comenzar desde lo básico.
¿Qué género literario es tu favorito?
Ésta pregunta me la han hecho millones de veces y me limito a responder "ficción", pero realmente lo es?
¿Qué son los géneros literarios?
Son los distintos grupos o categorías en que podemos clasificar las obras literarias atendiendo a su contenido y estructura.
->Géneros literarios tradicionales
La primera clasificación que se estableció para estos textos surgió en la Antigua Grecia, de la mano del prestigioso filósofo Aristóteles. Este distinguió tres niveles de clasificación para los géneros literarios. El género narrativo, el género lírico y el género dramático. Con el paso del tiempo, algunos autores también incluyeron al género didáctico como el cuarto nivel de clasificación.
El género narrativo
El género narrativo es aquel que se caracteriza por el que el autor presentaba hechos legendarios, haciéndolos pasar por verdaderos o basándose en la verdad. Como su propio nombre indica, su forma de expresión es la narración, aunque también podía contener descripción e, incluso, algo de diálogo. También podía ocurrir que la narrativa no fuese escrita, sino que, en ocasiones, se transmitía oralmente.
El género lírico
Por su parte, el género lírico era el género por el cual el autor transmitía sus sentimientos, emociones o sensaciones por un objeto o una persona que le servía de inspiración. Para ello, utilizaban al poema como el elemento de referencia para expresar estos sentimientos. Un poema que puede encontrarse tanto en verso como en prosa poética. la poesía, escrita en verso, trata temas diversos apelando a las emociones e irracionalidad como Eau de résistance de Ana Merino Miralles.
El género dramático
En el caso del género dramático, este está fundamentalmente ligado al teatro. Corresponde a las representaciones teatrales. En estas se representaban algún episodio o conflicto de las personas por medio del diálogo de los actores que lo representaban. Aunque puede ser leída, el género dramático tiene como fin la representación llevada a cabo por unos personajes en un escenario para un público. Por tanto, el diálogo en este género es fundamental.
El género didáctico
Por último, (aunque estaría ligado a una clasificación más moderna y no a la histórica) tendríamos al género didáctico. En este género, la principal función es la enseñanza o la divulgación de ideas. Las cuales son expresadas de forma artística, con un lenguaje elaborado y recursos de la filosofía.
Pero, entonces, ¿Dónde aparece la novela? ¿y el ensayo? ¿Qué pasa con el cuento? Como puedes entrever, esta no es más que una clasificación general del mundo literario. De estos cuatro ejes principales, nacen los subgéneros literarios, en los cuales introduciremos todos los nuevos elementos del mundo literario.
Sub géneros literarios:
La épica, la epopeya, el cantar de gesta, el cuento, la novela o la fábula. Dentro de estos, podemos decir que los que más han trascendido son el cuento y la novela.
Por cada género clásico hay un subgénero:
Narrativo: La épica, la epopeya, el cantar de gesta, el cuento, la novela o la fábula. Dentro de estos, podemos decir que los que más han trascendido son el cuento y la novela.
Lírico: La Oda, el himno, la canción, la elegía, la égloga, la sátira, el romance, el soneto y el madrigal
Dramático: La tragedia, la comedia, el melodrama, la tragicomedia o la farsa
Didáctico: El ensayo, la biografía, la crónica, la memoria escrita, la oratoria, la carta, el tratado científico o filósofo, la novela didáctica, el diálogo o incluso el poema didáctico
De esto subgéneros hay más sub-subgéneros; por ejemplo:
Las novelas históricas: son aquellas en las que los acontecimientos históricos reales cobran cierta relevancia en el desarrollo de la obra y sus protagonistas no son personajes reales, aunque pueden estar inspirados en alguno. Un ejemplo de este tipo de novela sería El sombrero de terciopelo verde, de Cristina Pascual, en el que el pasado cobra una gran importancia.
Las novelas de ficción cuentan con una gran variedad de subtipos, como ocurre con la novela. Todas tienen en común que los personajes y el mundo en el que se desenvuelven parten de la imaginación del autor. A partir de este punto, podemos hablar de novelas de ciencia ficción, de Youth Adult (joven adulto), novelas distópicas y utópicas, o novelas de misterio e incluso negras y policiacas. Sin olvidar a las novelas románticas. Dependiendo de la temática de la novela, podrás encajar tu novela en cualquiera de estos subgéneros.
Esta publicación y su información contenida pertenece a ésta página web: https://www.mirahadas.com/blog/generos-literarios-que-son/
Ahora ya sabes que responder a la pregunta inicial :)
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juliopison · 8 hours ago
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CONCIERTOS (Ballet) Notre Dame de Paris (2013) Natalya Osipova & Roberto Bolle Dirección: Paul Connelly Orchestra Del Teatro Alla Scala RAI e Teatro Alla Scala de Milano
Atención: Solo para ver en PC o Notebook Para ver el Ballet pulsa o copia y pega el Link: https://memoriasdelcafe.blogspot.com/2025/03/notre-dame-de-paris-2013.html
RESEÑA EN EL CAFÉ
La versión de 2013 de Notre Dame de Paris, presentada por el prestigioso Teatro alla Scala de Milán, es una obra maestra que combina la música, la danza y la narrativa en un espectáculo visual y emocionalmente impactante. Basada en la novela homónima de Victor Hugo, esta adaptación coreográfica dirigida por Paul Connelly captura la esencia del drama gótico y lo eleva a través de la interpretación magistral de la Orchestra Del Teatro Alla Scala y las estrellas de la danza Natalya Osipova y Roberto Bolle.
Elenco principal: Un dúo inolvidable
Natalya Osipova, reconocida como una de las bailarinas más expresivas y técnicamente impecables de su generación, interpreta a Esmeralda, la gitana cuya belleza y pureza desatan pasiones destructivas. Su actuación es un tour de force emocional y físico: su técnica brillante y su capacidad para transmitir vulnerabilidad y fuerza al mismo tiempo convierten a Esmeralda en una figura tridimensional que cautiva al público desde el primer momento. Cada movimiento de Osipova parece emanar de un lugar profundo dentro de su personaje, haciendo que su tragedia sea aún más conmovedora.
Roberto Bolle, por su parte, encarna al torturado Quasimodo con una profundidad que va más allá de los límites físicos del personaje. A pesar de su apariencia externa deformada, Bolle logra transmitir la nobleza y la humanidad pura del campanero de Notre Dame. Su interpretación física es impresionante, combinando movimientos desgarradores con una elegancia que solo él puede ofrecer. La química entre Osipova y Bolle es palpable, creando un vínculo emocional que conecta perfectamente con la audiencia.
Café Mientras Tanto jcp
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filmsaunterer · 13 days ago
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Historia del Cine #1
Introducción
El cine, como cualquier otra arte, se alimenta de sí mismo. A partir de la creación y la exploración es que las ideas y técnicas se comparten con el paso del tiempo, llegando a la innovación. Nada es completamente original pero más bien influenciado por el pasado, recurriendo a lo que ya se hizo, pero con nuevas perspectivas e interpretaciones. En el siglo XX, donde surgió prácticamente el cine ya como algo más elaborado y creativo con Georges Méliès, se vivieron décadas de cambios, progreso y experimentación en el medio. Tanto los avances tecnológicos como su dispersión por todo el mundo a través de diversas culturas, trascendieron el lenguaje, presenciando varias vanguardias que redefinieron lo que se creía que era posible, criticaron y comunicaron lo que era muy difícil de expresar y mostraron lo que para sus contextos era chocante pero necesario. Fueron tan disruptivos estos movimientos que se sigue sintiendo su impacto.
Realismo Poético Francés
En Europa, después de sufrir la primera guerra mundial, pasando por la década de los 20’s apenas recuperándose, se presencian el surgimientos de ideologías políticas más radicales, gobiernos más militarizados y mucho arte muy crítico. Francia, fue uno de los países que mejor demostró toda esta problemática que se estaba viviendo a través de su cine en los 1930’s con la llegada de la corriente del “Realismo Poético Francés”. Apenas empezando a hacer películas con sonido, gracias a la nueva tecnología que permitía grabar y sincronizar los diálogos con la imagen, los cineastas encontraron formas distintas de contar sus historias y para hablar de ciertos temas relevantes para la época que se relacionaban estrechamente con el periodismo, donde este era muy consciente y crítico frente al clima político de Europa que se estaba presentando. Comunicando su preocupación con el fascismo y figuras extremistas como Hitler. Es por esto que los directores reconocidos como Jean Renoir, Ren�� Clair, Jean Vigo y Marcel Carné tomaron acción y con el cine también empezaron hablar sobre esto.
A través de su nombre, es que se logra entender el objetivo de esta corriente artística. Lo que pretendían hacer los cineastas era encontrar la poesía en la realidad de esa Francia. Enfocarse en la belleza que se escondía entre lo cotidiano y la complejidad de las circunstancias trágicas, sobretodo en un periodo entre guerras. Más que recaer en la miseria y mostrar nada más que sufrimiento, se optó mejor por enseñarle al público cómo es que semejante ambiente político afecta a todos, evidenciando las problemáticas que se estaban viviendo pero con atención especial a aquellos detalles de siempre que hacen que la vida de verdad valga la pena. Estaban dejando atrás todo el romanticismo delirante de la “Belle Époque” que cegaba a la sociedad de la oscuridad en la que se encontraban. Esto se refleja en el estilo de este cine. Trataban narrativas fatalistas con más experimentación con la cámara, planos “modernos”, luces drásticas y marcadas aludiendo al expresionismo alemán y las actuaciones eran en ocasiones exageradas y muy teatrales, demostrando cómo los actores del cine silente siguen adaptándose al avance tecnológico. 
Personajes como Jean Vigo por un lado proyectaban sus críticas sociales al gobierno y la élite con sus geniales técnicas muy modernas para la época como se pueden ver con “À propos de Nice” (1930), “Taris” (1931) y “Zéro de conduite” (1933). Mientras que por otro lado, la película “Toni” de 1935 dirigida por Jean Renoir, donde un inmigrante italiano llega a Provenza para trabajar pero que luego, durante su estadía se ve involucrado en relaciones amorosas y problemas personales que lo llevan a la tragedia. Aquí las circunstancias sociales y políticas por mas que no sean del todo explícitas, logran introducirse en los personajes hasta sus aspectos más íntimos, donde la violencia, la intolerancia y el miedo últimamente afectan por completo sus vidas, dejando un registro de lo que ocurría y estaba por ocurrir. El cine del Realismo Poético Francés plasmaba en la pantalla la exploración de las cualidades humanas, especialmente la desdicha.
Neorrealismo Italiano
Ahora, durante la segunda guerra mundial, en Italia bajo el régimen de Mussolini, el cine se había convertido en una herramienta propagandística sumamente eficiente para el fascismo. Los nazis por ejemplo ya tenían películas que aumentaban su popularidad e imagen como lo hizo Leni Riefenstal con “El triunfo de la voluntad” en 1935. Fue entonces que el país en ese mismo año se convierte en el punto focal de Europa para el cine experimental y que luego, tras el final de la guerra, se vive una devastación económica y social que impulsa una nueva ola de cine independiente sumamente consciente. 
En la revista “Cinema” expresaban sus críticas frente al fascismo, generando una comunidad artística de cineastas como Vittorio de Sina, Césale Zarattini, Roberto Rossellini y Giuseppe de Santis. Tenían el objetivo de transmitir películas enfocadas en la conciencia social, retratando lo más cercano a la realidad aproximándose a lo documental. Algo un tanto peculiar pero muy valioso ya que había una tendencia a filmar en los exteriores y las áreas rurales, mostrando paisajes familiares para el pueblo, haciéndolo mucho más auténtico, pasando de ser más que simples historias ficticias a ficciones asentadas en la realidad. Estas características se reflejaban también en los procesos de producción, donde los mismos cineastas y sus colegas eran los que financiaban, planeaban y producían sus proyectos, excluidos y apartados de las industrias. Intentando llevar sus ideas más allá del cine se relacionaban en ocasiones con partidos políticos que apoyaran sus posiciones y sus trabajos artísticos, donde regularmente se les acusaba de propagandistas marxistas.
Además de compartir ideas políticas progresistas, también propusieron nuevas formas de pensar el cine que alteraron las convenciones establecidas. Como por ejemplo Césare Zarattini, quien dio fue la figura principal sobre la teoría de la vanguardia, planteaba la eliminación de los aspectos técnicos y profesionales del cine, donde existiera como un ámbito más natural, intentando reducir por completo la separación entre la realidad y la pantalla. “Arroz amargo” de 1949 dirigida por Giuseppe de Santis muestra una realidad cruda entre los trabajadores, sobre todo las mujeres que buscaban mantenerse a si mismas y a sus familias, en un ambiente que las pone en desventaja constantemente. Aquí nuevamente el contexto social y económico de la época de ve reflejado en los personajes, bajo control de figuras militares, condiciones laborales exigentes y condiciones de vida pobres, comunicando esencialmente la importancia de la consciencia social de clases y la explotación que gran parte de la sociedad estaba viviendo.
Nouvelle Vague
La influencia se transmite hasta los 1950’s donde nuevamente en Francia vuelve a haber innovación en el medio. La popularidad de los cineclubes y la cinemateca  incitan al estudio cinematográfico donde luego en 1951 se funda la revista “Cahiers du Cinema” por Adré Bazin y Jacques Doniol Valcroze, una revista donde varios de los autores (que por cierto nace la teoría del autor en el cine en esta ola) icónicos del movimiento empezaron sus carreras haciendo escritos. Entre ellos estaba François Truffaut, justamente presentando al autor cinematográfico y el cambio de percepción del cine más como un arte verdadero para la reflexión que como una industria alienada de la humanidad.
La nueva ola francesa pretendía cambiar todo lo acostumbrado del cine, retomando posturas sociales y políticas activas expresando crítica y conciencia, contando sobre todo lo cotidiano más no lo grandioso y distante del común. Un cine muy dinámico que ya más que intentar comunicar esas ideas similares a las corriente pasadas, le prestaba más atención a cómo iban a comunicar esas ideas, explorando tanto el contenido como la forma, obligando al espectador a pensar y a retar sus expectativas sobre lo que se consideraba cine en ese entonces, apartando lo que era puro espectáculo. La forma era rebelde, con ediciones discontinuas y saltantes, dando origen a lo que se conocen como jump cuts, recurriendo a las elipsis. Manejos de cámara mucho más libres, proponiendo encuadres poco convencionales, dejando en el pasado las composiciones teatrales generales y adentrándose en los detalles. 
Este movimiento le otorgó a la historia una cantidad sorprendente de personas que trascendieron el medio. Entre ellas están Agnés Varda, Eric Rohmer, Louis Malle, Jean - Luc Godard, Claude Chabrol y por supuesto François Truffaut. Todos ellos trabajaban sus propias visiones creativas que de distintas maneras elevaron la corriente a ser de las pocas que lograron abarcar todos los géneros, alcanzando una combinación muy moderna y cautivadora, la creación de narrativas frescas. Al igual que con el Neorrealismo Italiano, los cineastas colaboraban entre sí para apoyar sus proyectos en casas productoras pequeñas e independientes.
Para esta vanguardia, la mujer también adquirió un papel más relevante y reconocido, por lo que había una presencia más notable de mujeres cineastas como Agnés Varda, y un tratamiento de ideas e historias centradas en la experiencia femenina. Además de que surgieron actrices sumamente famosas que impulsaron sus carreras pero de manera distinta al “star system” tradicional que llegaba a ser dañino y abusivo, aquí en cambio las estrellas de cine lograron mantener carreras más sanas y considerables por lo que el cine ya no se apreciaba como espectáculo tanto pero más bien como algo con más valor artístico. “La Novia vestía de negro” de 1968 dirigida por François Truffaut examina precisamente más la experiencia de una mujer en un mundo dominado por los hombres, donde su sufrimiento tras el asesinato de su marido pasa por alto por lo que ella decide tomar acción y buscar la venganza, dignificando su persona a través de esta oscuro misión personal. Dándole una nueva forma de ver a la femme fatal, con mucha más profundidad e intimidad.
Cinema Novo
Alrededor de la misma época, saliendo de los 1950’s y entrando en los 1960’s, saliendo de Europa, en Latinoamérica, más específicamente Brasil, se estaba viviendo otro contexto sociopolítico que estaba afectando la cultura, la historia y al pueblo severamente. Tras un golpe militar en 1964 imponiendo la dictadura de 21 años de Humberto Alencar derrocando el gobierno del presidente João Goulart por conflictos y desacuerdos de las clases altas con ayuda e intervención del gobierno de los Estados Unidos de América. Empezó una persecución y censura de los artistas por lo que el cine se convirtió en una gran forma de protesta en contra de la autoridad y la violencia, abandonando el cine ingenuo y estereotípico brasileño para la élite, abrazando los ideales de la Nouvelle Vague, poniéndole foco a la realidad y al pueblo. El cine brasileño toma una identidad propia, dejando los intentos de recrear el cine del exterior y más bien inspirándose del contenido que transmitía el Neorrealismo Italiano y el estilo y forma de la Nueva Ola Francesa. Entregándoles voz a los jóvenes socialmente activos, a las clases bajas y sus manifestaciones, el nacimiento del Cinema Novo.
Asimismo empezó a hacerse cine de gente marginada y poco representada en el cine como la población afro. Como el director Nelson Pereira dos Santos quien visibilizó el “cine negro” con películas como “Rio a 40 grados” en 1955. Esta vanguardia ocurrió principalmente en Rio de Janeiro, obteniendo la etiqueta como movimiento carioca, popularizado por el escritor, director y productor Alex Viany quien fue de los primeros en escribir acerca de lo que estaba sucediendo. Glauber Rocha, siendo uno de los directores más jóvenes y notorios del movimiento realizaba películas explícitamente críticas, expresando ideas chocantes en contra del régimen, devolviéndole poder a la clase baja y usando la fuerza para obtener la justicia. Fue alguien que vino de la clase baja para hacer cine sobre la clase baja, era un sujeto que participaba activamente en asuntos sociales y políticos lo cual le trajo problemas ya que era censurado y acosado por las autoridades regularmente a tal punto de escapar del país y a vivir en condiciones deplorables de salud hasta morir a la edad de 42 años por neumonía.
Tanto “Dios y el Diablo en la tierra del Sol” de 1964 y “Tierra en trance” de 1967  dirigidas por Glauber Rocha, proyectan una posición critica directa a la dictadura y demuestran lo dañina que era para Brasil. No solamente mostrando la dolorosa realidad de las personas como los campesinos y las terribles circunstancias que estaban viviendo, pero literalmente creando una versión ficticia del país y su gobierno donde las figuras políticas y las instituciones como la iglesia no esconden su corrupción y ambición por poder, ejerciendo su control sobre el pueblo a través de populismo, la fuerza militar y la violencia. En últimas manifestándose en la realidad tras la llegada del gobierno de Ernesto Geisel acabando con la libertad del Cinema Novo con sus medidas de censura y exilios masivos hacia los artistas.
Nouveau Cinema
Por último, llegamos a una corriente influenciada por los demás movimientos cinematográficos pero también especialmente por la literatura y toda la experimentación que ya se estaba compartiendo. Se concibe la idea de la “nueva novel” por el filósofo Alain Robbe - Grillet, lo cual se refiere a una nueva forma de escribir y leer la novela, con distintas formas en la narrativa en sí. En relación con el deseo de dejar ir los ideales románticos de la literatura, dándole más relevancia a la forma más que al contenido (suena familiar), darle vida a los objetos y la constante ruptura en cualquier aspecto, sobretodo en las estructuras narrativas y el manejo del tiempo dentro de ellas, fragmentando y desordenando la cronología usual y lineal de las cosas.
Las inspiraciones llegan de todas partes como lo hizo Julio Cortázar en Latinoamérica con “Rayuela” de 1963, planteando una historia que no requiere de un orden específico para apreciarse.  Los artistas llevaron esto al cine y comenzó una serie de obras increíblemente complejas, cerebrales y geniales. Plasmando una faceta de la experiencia humana que no se veía tanto en la pantalla y es la subjetividad de la memoria y la percepción del tiempo, la narrativa futura. Cineastas como Marguerite Duras se basaban en sus experiencias personales para contar sus historias atemporales y asociar directamente el cine a la memoria debido a su naturaleza fragmentada. La experimentación era más que bienvenida para esta corriente, tanto fue así que Alain Resnais, otro director importante, propuso la idea de implementar matemáticas y entender el cine como teorema, un tipo de ecuación, alterando por completo toda comprensión anterior. Con esto dio como resultado lo que posiblemente se considera la primera película con narrativa futura donde sus personajes demuestran esto mismo de las ecuaciones y el carácter inconvencional de la narrativa a través del montaje y el tiempo cinematográfico.
Se puede ejemplificar perfectamente con “El año pasado en Marienbad” dirigida por Alain Resnais de 1961, dónde justamente se explora la percepción subjetiva de la memoria y el tiempo. Mediante un montaje de escenas que van en desorden cronológico, relaciones entre personajes dinámicas y complejas y que solo hasta ponerle mucha atención y entenderlo probablemente como una ecuación a resolver o un tipo de juego, es que las piezas de la historia empiezan encajar. En esta película ya se muestran aspectos clave de todas las vanguardias. Planos más atrevidos y modernos, edición diferente y fragmentada, reflexiones profundas sobre la experiencia humana y el sentimiento a querer explorar y continuar el progreso del cine. Rupturas en la técnica y en el tiempo, expresando el deseo a dejar una huella, un impacto para el futuro.
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yo-sostenible · 21 days ago
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Los incendios forestales en el sur argentino no sólo arrasan con miles de hectáreas de bosque nativo, sino que también reconfiguran el acceso a la tierra en una región marcada por la especulación inmobiliaria, el extractivismo y la concentración de recursos estratégicos en pocas manos. Con el fuego como telón de fondo, la lucha no es solo por la tierra, sino por el control de sus recursos y el modelo de desarrollo que se impone en la región. – Foto: Matías Garay (Greenpeace). Por Camila Parodi Aunque el tema parece haberse apagado en la agenda pública, los incendios forestales en la Patagonia siguen activos con focos en Chubut y Neuquén. Mientras el fuego avanza, también avanza una narrativa oficial que busca desviar la atención y señala como culpables de los incendios a brigadistas y comunidades mapuche, instalando la idea de un “terrorismo ambiental”. Pero la devastación del bosque nativo no solo representa una tragedia ecológica, sino también una oportunidad de negocios (para pocos). Mientras la comunidad se organiza para combatir el fuego, los grandes propietarios de la tierra —empresarios nacionales y extranjeros dedicados a los negocios inmobiliarios, el turismo de lujo y la extracción de recursos naturales— se benefician con las llamas y el accionar de un Gobierno que desfinanció la política ambiental. En este contexto, la criminalización de quienes defienden el territorio no puede entenderse como un hecho aislado, sino que es parte de un modelo que, tras el paso del fuego, reconfigura el acceso a la tierra en favor de grandes empresarios. Los incendios en la Patagonia argentina comenzaron en diciembre de 2024, cuando las llamas avanzaron en el Parque Nacional Nahuel Huapi, en Río Negro, y consumieron más de 10.000 hectáreas de bosque nativo. Con el inicio del nuevo año, el fuego se intensificó: el 15 de enero se desató un incendio en Epuyén —una localidad ubicada al noroeste de Chubut— que arrasó más de 3.600 hectáreas y destruyó al menos 76 viviendas, fincas y galpones. Días después, las llamas alcanzaron el Área Natural Protegida Río Azul-Lago Escondido, al oeste de El Bolsón en Río Negro, donde se prendieron fuego más de 100 casas y  murió un poblador, que se había negado a abandonar su vivienda durante el pedido de evacuación. En Neuquén, el incendio en el Parque Nacional Lanín avanzó con rapidez, duplicando en solo dos días la superficie afectada hasta alcanzar las 15.200 hectáreas, mientras que otro foco en Caviahue consumió 450 hectáreas antes de ser controlado. En el último mes, los incendios forestales ya afectaron a más de 50 mil hectáreas de bosque andino patagónico, dejando un paisaje devastado y poniendo en riesgo la biodiversidad, las fuentes de agua y la vida de comunidades enteras. Sin árboles nativos para proteger los suelos, el invierno que se avecina traerá más dificultades, con riesgos de deslizamientos y una menor capacidad de retención del agua para el abastecimiento y la producción que la zona requiere. Mientras tanto, las respuestas del Estado han sido insuficientes y tardías, combinando la  falta de recursos para combatir el fuego con la  criminalización de quienes habitan y defienden esos territorios. La Ley de Bosques en la mira: desinformación, desfinanciamiento y precarización Al calor de los incendios, la Ley de Bosques se convirtió en el centro de una disputa marcada por la desinformación: algunos sectores denuncian que la norma fue derogada para permitir el avance inmobiliario y extractivo en tierras incendiadas, pero la  Ley 26.331 sigue vigente (y hay que recordarlo). Sin embargo, su implementación es cada vez más débil debido a la falta de recursos y control estatal. “Se intentó bajar el estatus de conservación de ciertos bosques para permitir su venta después de los incendios, pero no lograron modificar la ley”, explica Sofía Nemenmann, activista e integrante de la  Asociación Argentina de Abogades Ambientalistas. También hubo intentos de derogarla, pero fueron f...
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pipaton-blog1 · 3 months ago
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¿Y si dejáramos de aceptar la guerra como destino?
Opinión de Cartas de los lectores, 2/01/2025
Vivimos en un mundo que presume de modernidad, con avances tecnológicos que nos acercan a las estrellas y nos permiten soñar con un futuro más prometedor. Sin embargo, esa misma humanidad que envía sondas al espacio sigue permitiendo que las bombas caigan sobre las ciudades y que los misiles definan destinos. Las guerras en Ucrania, Palestina, Yemen y Sudán, entre otros territorios desgarrados, nos recuerdan que la sombra de la guerra sigue persiguiéndonos.
La guerra no es solo una confrontación armada. Es un espejo que refleja lo peor de nuestra especie: la codicia, la intolerancia y la lucha por el poder. Es un mecanismo que perpetúa la desigualdad y alimenta a la industria armamentista. Según el Instituto Internacional de Estudios para la Paz de Estocolmo (SIPRI), el gasto militar mundial alcanzó en 2023 la asombrosa cifra de 2,24 billones de dólares. Mientras tanto, crisis humanitarias, climáticas y sociales permanecen desatendidas, un testimonio doloroso de nuestras prioridades como sociedad global.
Más allá de las cifras, lo que realmente debería estremecernos es el impacto humano. Millones de refugiados, generaciones marcadas por el trauma y países sumidos en el subdesarrollo son el saldo inevitable de cada guerra. Pero hay algo aún más perturbador: hemos normalizado esta tragedia. Las noticias sobre bombardeos, desplazamientos y muertes pasan frente a nuestros ojos con la misma indiferencia que un pronóstico del clima o el marcador de un partido de fútbol. Esta insensibilidad, este acostumbramiento, es quizás la mayor derrota de nuestra humanidad y de nuestra conciencia como seres sentipensantes.
¿Por qué seguimos aceptando la guerra como destino? Durante siglos, la hemos romantizado como un acto de heroísmo, valentía, coraje e incluso como un mal necesario. Pero cada bala disparada, cada vida truncada, es en realidad un fracaso rotundo: de la diplomacia, de la empatía y de nuestra capacidad de resolver conflictos de manera civilizada.
El cambio comienza con nosotros. Informémonos más allá de los titulares sensacionalistas. Cuestionemos las narrativas oficiales que justifican las guerras. Como consumidores, entendamos nuestra participación indirecta en estos conflictos: los minerales usados en nuestros dispositivos electrónicos, por ejemplo, muchas veces provienen de zonas de guerra. Cada elección, por pequeña que sea, puede ser un paso hacia un mundo más justo.
La paz no es una utopía. Es una construcción activa que exige voluntad política y un cambio en la mentalidad colectiva. Requiere que dejemos de romantizar la guerra y empecemos a verla como lo que realmente es: una mancha imborrable en nuestra conciencia colectiva.
Podemos decidir qué tipo de humanidad queremos ser. ¿Elegimos una que perpetúe las sombras de la guerra o una que se esfuerce por iluminar caminos de paz y entendimiento? Si algo nos enseñan los horrores del pasado es que cada vida importa. Reconozcámoslo y actuemos en consecuencia. Tal vez, entonces, logremos dejar a las futuras generaciones un legado digno de nuestra humanidad.
David Novoa, estudiante de Ciencia Política
Fuente: MSN
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empedoclecielo · 4 months ago
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Sciascia Alien
Universo senza donne: Sciascia non narra mai di grandi passioni sentimentali. Nel suo universo la donna, come costante essenziale di tutte le altre vicende umane, non esiste.
Protagonisti sono i capipopolo e gli assassini, i cardinali, i ruffiani, i colonnelli dei carabinieri, i ministri, i confidenti di polizia, i teologi, i viceré, gli accattoni: la donna mai!
In quello che probabilmente resta il suo libro esemplare, per perfezione narrativa e nitidezza di significati morali, “Il giorno della civetta”, unico personaggio femminile presente in tutto l’arco del racconto è la vedova Nicolosi, che praticamente costituisce il perno dialettico dell’intera vicenda: il marito è stato assassinato per un delitto di mafia, e tuttavia qualcuno vuole dimostrare com’egli sia stato semplicemente trucidato da un misterioso amante della donna. C’è, per un attimo, un presentimento da tragedia greca. Ma appena la vedova Nicolosi fa un passo avanti (che diamine, l’uomo che hanno ucciso era il suo uomo, tutto dovrebbe gridare vendetta, violenza, passione in lei) Sciascia la ricaccia subito gelidamente indietro. E’ gelido anche nel descriverla, quasi con l’involontaria ironia di un verbale di carabinieri: «Era bellina la vedova; castana di capelli e nerissimi gli occhi, il volto delicato e sereno ma nelle labbra il vagare di un sorriso malizioso. Non era timida. Parlava un dialetto comprensibile. Qualche volta riusciva a trovare la parola italiana, o con una frase in dialetto spiegava il termine dialettale!».
Tutta la storia d’amore di questa donna, giovane, bella, alla quale hanno letteralmente strappato il marito per farne pupo da zucchero (un dolce tipico siciliano che si regala ai bambini nel giorno dei Morti), tutta la passione, i fremiti, il desiderio tradito, il dolore, la violenza sensuale, i sogni spezzati, l’essere donna di questa vedova, tutto il suo grido di femminilità violentata, si racchiude in questo placido periodo, allorché ella racconta il suo rapporto con l’ucciso:
«Egli ha conosciuto me ad un matrimonio: un mio parente sposava una del suo paese, io sono andata al matrimonio con mio fratello. Lui mi ha vista e quando quel mio parente è tornato dal viaggio di nozze, lui gli ha dato incarico di venire da mio padre per chiedermi in moglie. Dice “è un buon giovane, ha un mestiere d’oro”, e io dico che non so che faccia ha, che prima voglio conoscerlo. E’ venuto una domenica, ha parlato poco, per tutto il tempo mi ha guardata come fosse in incantamento. Come gli avessi fatto una fattura, diceva quel mio parente. Per scherzare, si capisce. Cosi mi sono persuasa a sposarlo!». Nelle donne di Sciascia non ci sono proiezioni d’ombre e trasalimenti di Ecuba, Fedra, Medea, nessuna femminilità tragica e furente, nessuna donna come madre della vita. Il rapporto sentimentale fra uomo e donna è sempre grigio, usuale, senza misteri. Sciascia probabilmente non ritiene la donna pari all’uomo, né come individuo, né dentro la storia. Una aggregazione, una appendice, un elemento di spettacolo. Le donne: mogli, amanti, duchesse e puttane, vengono sulla scena a recitare la loro parte e basta. Sono ininfluenti, emettono suoni, non comunicano sentimenti. Comparse che servono semmai alla battuta del maschio, alla sua riflessione; al più sono comprimarie utili al dialogo, in cui tuttavia gli uomini protagonisti formulano infine il pensiero essenziale, l’unico degno di rispetto.
da I Siciliani (maggio 1983)
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Natale in casa Cupiello: 90 anni di un classico intramontabile al Teatro Menotti. Milano
Un capolavoro di Eduardo De Filippo rivive tra tradizione e innovazione scenica. Un ritorno emozionante sul palcoscenico. Dal 28 gennaio al 2 febbraio 2025, il Teatro Menotti di Milano ospiterà una versione unica e suggestiva di “Natale in casa Cupiello”, l’opera più iconica di Eduardo De Filippo, che celebra quest’anno il suo 90° anniversario. Lo spettacolo, prodotto da Teatri Associati di…
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micro961 · 6 months ago
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I fratelli Bulgarelli - Il nuovo cortometraggio “Quello che non ti ho detto”
Una visione intima sul tema del rimpianto e della comunicazione
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La prima nazionale del cortometraggio “Quello che non ti ho detto” dei fratelli e registi Flavio e Massimo Bulgarelli viene proiettata il 7 ottobre 2024 alla 21esima edizione del Sedicicorto Festival di Forlì. “Quello che non ti ho detto” è stato prodotto da E Elle Produzioni, una società di produzione audiovisiva specializzata nell'offrire servizi di alta qualità. Grazie ad una consolidata esperienza nel settore, il team di professionisti crea prodotti originali in grado di catturare l'attenzione del pubblico e suscitare emozioni ma soprattutto capaci di veicolare in modo efficace contenuti di qualunque tipo. Preziosa la collaborazione con Duende Film che pianta le sue radici nel panorama cinematografico indipendente, dove ha consolidato collaborazioni con registi, attori e sceneggiatori di talento, arricchendo costantemente il patrimonio creativo. Ogni progetto che porta avanti è il risultato di una combinazione unica di esperienza, innovazione e dedizione che porta ad elaborare la creatività su ogni progetto. L’intero progetto è distribuito da Associak, casa di distribuzione cinematografica indipendente nata nel 2012 ed impegnata nella diffusione artistica e commerciale di lungometraggi, documentari e cortometraggi nei principali festival nazionali. Associak vuole essere un punto di riferimento per opere di elevata qualità estetica ed artistica in grado di unire il puro intrattenimento con l’originalità e l’innovazione narrativa. Il protagonista del cortometraggio è Giorgio, un anziano signore che vive solo: degli strani rumori nel suo appartamento rivelano Anna, una giovane ragazza che si muove nel cuore della notte, la più importante della sua vita. L’uomo è tormentato dai rimpianti e questa donna rappresenta l’amore perduto, che riapre le vecchie ferite e rivela le verità nascoste. Giorgio affronta nuovamente il suo passato, fra lacrime e confessioni, accettando il rimorso delle occasioni mancate. "Quello che non ti ho detto" è una disamina sul tema del rimpianto e dell’incapacità comunicativa in una coppia: la generazione di Giorgio, infatti, non ha ricevuto un’educazione affettivo-relazionale e le conseguenze di questa mancanza risultano, purtroppo, evidenti. Con uno sguardo sensibile, il cortometraggio guida attraverso i labirinti del passato, illuminando le sfumature della bellezza e della tragedia che risiedono nei ricordi del grande amore. Attraverso sequenze incantevoli e dialoghi evocativi, “Quello che non ti ho detto” trasporta il pubblico in un universo emotivo intenso e suggestivo, dove ogni gesto e ogni sguardo raccontano una vita, fatta di sogni, di perdita e poi anche di speranza. Un incontro magico, che mescola la dolcezza dell'amore giovanile con il peso della morte, creando un'atmosfera di malinconia e serenità allo stesso tempo. L’opera parla di un tema universale, in grado di arrivare alla maggior parte degli spettatori. La sua forza risiede proprio nella sua capacità di toccare corde emotive comuni a tutti, indipendentemente da background, esperienze personali o provenienza culturale.
Storia dei registi
Flavio Bulgarelli nasce a Roma il 7 settembre 1984. Si laurea in psicologia nel 2011, nel frattempo si avvicina al mondo del cinema creando uno studio horror indipendente che realizza più di dieci cortometraggi destinati al web e virali in alcuni paesi del mondo con più di 1 milione di visualizzazioni. La sua specialità è la sceneggiatura, che ha studiato negli anni con vari professionisti.
Massimo Bulgarelli nasce a Roma il 4 giugno 1996. Diplomato presso l’Istituto per cinematografia e televisione “Roberto Rossellini” come montatore, si dedica in seguito alla direzione fotografia e all’editing. Al momento lavora come assistente alla regia e come videomaker.
Cresciuti con le stesse influenze cinematografiche di commedia all’italiana e cinema internazionale, Flavio e Massimo trovano un punto di forza proprio nei 12 anni di differenza che li rendono capaci di “parlare” sia ad un pubblico adulto che ad un pubblico più giovane. Doppio Gioco, è stato il loro primo cortometraggio, una commedia all’Italiana 2.0 sul tema della ludopatia. Singolarmente, ma sempre facendo appoggio l’uno sull’altro, hanno scritto e diretto altri cortometraggi di fantascienza come Senza Parole o Lo Spazio sulla Terra.
Instagram: https://www.instagram.com/fratellibulgarelli/ 
Duende Film
https://www.instagram.com/duende_film
E ELLE Produzioni
https://www.instagram.com/eelleproduzioni
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antofagasta2020 · 6 months ago
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La importancia de la lectura
1-Mi nombre es Vicente Mella no soy mucho de leer libros pero este me gusto mucho por su trama y que siempre me mantubo entretenido
2-En los primeros cinco capítulos de El túnel de Ernesto Sabato, el protagonista Juan Pablo Castel, un pintor que está en prisión por asesinato, narra su historia desde una perspectiva introspectiva y desoladora. Castel se siente profundamente alienado y aislado de la humanidad, un sentimiento que se refleja en su arte, especialmente en una pintura que representa un túnel, símbolo de su visión pesimista del mundo como un lugar cerrado y sin salida.
La novela comienza con Castel confesando su crimen y exponiendo su desesperanza y desilusión con la vida y la sociedad. Su encuentro con María, una mujer que aparece en su pintura, despierta en él una fascinación intensa, ya que cree que ella podría entender su visión del mundo. Sin embargo, su relación con María se vuelve problemática, marcada por celos y desconfianza, lo que intensifica su paranoia y deteriora su salud mental.
A medida que avanza la historia, la obsesión de Castel con María y su incapacidad para conectar con los demás revelan su creciente desesperación. La relación disfuncional con María refleja su dificultad para establecer vínculos significativos y su tendencia a proyectar sus propios miedos en los demás. Castel se encuentra atrapado en un túnel metafórico, simbolizando su incapacidad para escapar de su propio desasosiego. Esta introspección revela cómo su visión pesimista y su sentimiento de incomunicado lo llevan a una espiral descendente, estableciendo el tono para la tragedia que se avecina.
3-El túnel de Ernesto Sabato ofrece profundas enseñanzas sobre la psicología humana, el aislamiento y la obsesión. La novela ilustra cómo el aislamiento emocional puede llevar a una profunda desesperación, mostrando a través de Juan Pablo Castel, el protagonista, cómo la alienación y la desconexión de la humanidad pueden consumir a una persona. La obsesión de Castel con María revela cómo los deseos no controlados pueden distorsionar la realidad y tener consecuencias destructivas. Además, el libro explora la dificultad de la comunicación humana y cómo los malentendidos pueden intensificar el sentimiento de incomunicado. A través de la auto-reflexión de Castel, la novela sugiere que la búsqueda de autocomprensión puede ser tanto iluminadora como dolorosa. Finalmente, El túnel presenta una visión pesimista de la existencia, invitando a los lectores a reflexionar sobre las limitaciones del entendimiento humano y la dificultad de encontrar sentido en un mundo que a veces parece caótico e indiferente.
4-Ernesto Sabato, se prepara el terreno para el clímax a través de una creciente tensión emocional y psicológica en la vida de Juan Pablo Castel. Su paranoia y celos hacia María se intensifican, creando confrontaciones cada vez más agudas y reflejando su incapacidad para confiar y comunicarse eficazmente. Este deterioro emocional se manifiesta en decisiones extremas y comportamientos violentos, indicando la pérdida de control y el colapso de su autocontrol.
La narrativa profundiza en el deterioro de la salud mental de Castel, mostrando cómo su obsesión y aislamiento lo llevan a un estado de desesperación extrema. Esta acumulación de tensiones internas y externas prepara al lector para el clímax trágico de la novela, subrayando cómo la obsesión y la desconexión emocional pueden llevar a decisiones destructivas y consecuencias fatales. Sabato usa estos capítulos para reflexionar sobre el impacto devastador de la alienación y la incapacidad de establecer conexiones genuinas, preparando el escenario para el desenlace inevitable.
4o Ernesto Sabato, se prepara el terreno para el clímax a través de una creciente tensión emocional y psicológica en la vida de Juan Pablo Castel. Su paranoia y celos hacia María se intensifican, creando confrontaciones cada vez más agudas y reflejando su incapacidad para confiar y comunicarse eficazmente. Este deterioro emocional se manifiesta en decisiones extremas y comportamientos violentos, indicando la pérdida de control y el colapso de su autocontrol.
La narrativa profundiza en el deterioro de la salud mental de Castel, mostrando cómo su obsesión y aislamiento lo llevan a un estado de desesperación extrema. Esta acumulación de tensiones internas y externas prepara al lector para el clímax trágico de la novela, subrayando cómo la obsesión y la desconexión emocional pueden llevar a decisiones destructivas y consecuencias fatales. Sabato usa estos capítulos para reflexionar sobre el impacto devastador de la alienación y la incapacidad de establecer conexiones genuinas, preparando el escenario para el desenlace inevitable.
4-Ernesto Sabato, se prepara el terreno para el clímax a través de una creciente tensión emocional y psicológica en la vida de Juan Pablo Castel. Su paranoia y celos hacia María se intensifican, creando confrontaciones cada vez más agudas y reflejando su incapacidad para confiar y comunicarse eficazmente. Este deterioro emocional se manifiesta en decisiones extremas y comportamientos violentos, indicando la pérdida de control y el colapso de su autocontrol.
La narrativa profundiza en el deterioro de la salud mental de Castel, mostrando cómo su obsesión y aislamiento lo llevan a un estado de desesperación extrema. Esta acumulación de tensiones internas y externas prepara al lector para el clímax trágico de la novela, subrayando cómo la obsesión y la desconexión emocional pueden llevar a decisiones destructivas y consecuencias fatales. Sabato usa estos capítulos para reflexionar sobre el impacto devastador de la alienación y la incapacidad de establecer conexiones genuinas, preparando el escenario para el desenlace inevitable.
5-Es la profunda exploración de la psicología del protagonista, Juan Pablo Castel, y cómo su obsesión y alienación conducen a su autodestrucción. La novela se destaca por su intenso análisis del aislamiento emocional y la desesperación que siente Castel, ofreciendo una visión perturbadora de cómo el miedo, la desconfianza y la incapacidad para conectar con los demás pueden consumir a una persona.
El símbolo del túnel, presente en la pintura de Castel, representa no solo su visión del mundo como un lugar cerrado y sin salida, sino también su propia sensación de estar atrapado en un ciclo de desesperanza y obsesión. Esta metáfora es particularmente poderosa porque encapsula la idea de que Castel está atrapado no solo en su entorno físico, sino en su mente y sus emociones.
La forma en que Sabato profundiza en la mente de Castel, revelando sus miedos más oscuros y sus pensamientos más íntimos, es fascinante. La novela no solo narra la historia de un crimen, sino que también se convierte en un estudio psicológico sobre los límites de la percepción humana y las consecuencias de la alienación. La obsesión de Castel con María, su incapacidad para comunicarse de manera efectiva y su gradual deterioro mental ofrecen una reflexión profunda sobre cómo los conflictos internos pueden tener ramificaciones devastadoras.
6-Es profundamente impactante y revela las consecuencias trágicas de la obsesión y la alienación. Juan Pablo Castel, consumido por su paranoia y desesperación, comete un acto violento que lleva a la muerte de María, la mujer con la que ha estado obsesionado. Este desenlace subraya cómo la obsesión desmedida puede conducir a la autodestrucción, reflejando la incapacidad de Castel para conectar auténticamente con los demás y su inmersión en un túnel metafórico de desesperanza.
El clímax de la novela ilustra el alto costo de la alienación emocional y la falta de comunicación genuina. A pesar de sus intentos de controlar y entender a María, Castel termina por destruir lo único que le ofrecía una posible salida a su desolación. La tragedia de su situación resalta la importancia de la empatía y la comunicación efectiva para mantener la salud mental y emocional.
En última instancia, el final de El túnel invita a una profunda reflexión sobre la naturaleza humana y los peligros de la obsesión y la incomunicación. La novela muestra cómo la incapacidad para conectar con los demás y la alienación emocional pueden llevar a una autodestrucción devastadora, subrayando la necesidad de relaciones auténticas y comunicación para evitar caer en un estado de desesperanza.
Para mi la verdad que no soy muy de leer este libro de igual forma me parecio interezante.
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unlocoysuspensamientos · 7 months ago
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Porque existe la pobreza en África y las personas le reclaman a Dios
La humanidad tiene una tendencia natural a atribuir los males y tragedias a Dios, en lugar de reconocer la responsabilidad propia en la creación de problemas. Veamos un ejemplo breve antes de entrar en materia. Muchas personas utilizan las frases dichas por el capitán Edward Smith, "Este barco es insumergible" o "Ni Dios puede hundir este barco". Ninguna de las dos frases está confirmada y no se han encontrado registros oficiales de que Smith las dijera, pero se han popularizado en la narrativa sobre el Titanic. Incluso mencionadas frases han sido utilizadas por un grupo religioso, incluyendo cristianos,  para dejar claro que a Dios no se puede tentar, hasta el punto que se llega a reclamar al Señor por dicha tragedia, ya que se ha visto como un castigo a la embarcación del capitán del Titanic por sus palabras orgullosas. ¿Solo piensen un poco creen que el Creador quiere perder su creación? Con la perdida de personas inocentes en este acontecimiento por culpa de los dichos de un capitán. Según datos recopilados veamos que sucedió -Hubo informes señalando icebergs, pero esta noticia poco importo a los tripulantes. -Un quinto buque más tarde ese mismo día informo nuevamente lo anterior mencionado, y el capitán no le dio importancia. -Varios testimonios de sobrevivientes mencionaron que iban más rápido de lo que debían. -El barco recibe 3 nuevos mensajes señalando grandes bloques de hielo y que se les pidió que acciones de inmediato, la decisión del capitán fue girar al sur, pero lastimosamente allí había iceberg también.
¿Sabiendo esto, quién realmente es el responsable de la tragedia sucedida, el capitán y sus marineros o Dios? Proverbios 19:3 'Por su propia necedad el hombre puede echar a perder su vida y luego echarle la culpa al Señor .
Puedo terminar el Artículo aquí, pero seguiré con el tema del título !!!
África es un continente lleno de vida, cultura e historia, pero también es un continente lleno de pobreza y desigualdades a pesar de sus ricas tierras. Es importante comprender por qué la pobreza se concentra de forma tan preocupante en un solo lugar y es que las decisiones humanas, tanto históricas como contemporáneas, han jugado un papel crucial en la perpetuación de la pobreza y las desigualdades en el continente. ---Algunos ejemplos--- 1. Historia Colonial: Explotación y Recursos División Artificial
2. Conflictos y Guerrillas: Guerras Civiles Inestabilidad Política
3. Economía y Desarrollo: Dependencia de Recursos Falta de Diversificación
4. Educación y Salud: Acceso Limitado Enfermedades
5. Infraestructura y Acceso: Infraestructura Deficiente Tecnología y Conectividad
6. Agricultura y Cambio Climático: Agricultura Dependiente del Clima Cambio Climático
7. Política y Gobernanza: Corrupción Gobernanza Débil
8. Ayuda Internacional: Eficiencia de la Ayuda
Abordar estos desafíos requiere un enfoque integral que incluya mejorar la gobernanza, promover la justicia social, invertir en educación y salud, y reformar las políticas económicas y comerciales para asegurar un desarrollo más equitativo y sostenible. Es común que culpemos a Dios por eventos naturales, enfermedades, perdidas de familiares y demás. Solemos hacer esto porque vemos más factible culpar a alguien que aceptar las cosas que nos suceden, sabiendo aún que muchas son responsabilidad nuestra, en vez de profundizar en el tema y preguntar por qué estamos pasando por esa situación y que debemos aprender de ella.
-Culpamos a Dios por los desastres naturales Actualmente hay quienes se dejan engañar por supersticiones y cometen el error de pensar que Él Creadorcastiga con desastres naturales. Los huracanes, tornados, tormentas eléctricas, inundaciones, incendios forestales y muchos más, son creación de la naturaleza. Está científicamente comprobado que la tierra busca mantener su propio equilibrio como respuesta a nuestras acciones. -Culpamos a Dios por la pérdida de algún familiar querido Cuando fallece un ser querido, pasas por una etapa de duelo, en la cual llegas a culpar al Señor y te castigas a ti mismo, alejándolo de tu vida. No te dejes cegar por el dolor, no olvides que esta vida es de paso y la muerte es el paso para llegar a la verdadera vida eterna. -Culpamos a Dios por las enfermedades Además de culpar al Salvador, hay quienes le cuestionan y exigen que les retiren su enfermedad, sin pensar antes en: ¿para qué?. Existen dos formas de vivir una enfermedad: vivir con el sufrimiento y el dolor hasta el último suspiro o amar la enfermedad y aceptarla como un proceso de purificación que Él tiene para ti. -Culpamos a Dios por las muertes injustas de personas inocentes Es bueno preocuparte por el fallecimiento de una persona que ni siquiera conoces. Lo que no termino de entender es: ¿Por qué el responsable tiene que ser Dios?. En estos casos, yo te invito a orar por el eterno descanso de esa  persona que sin conocer, tocó tu corazón y pedir por su arrepentimiento. -Culpamos a Dios por nuestra estabilidad económicaNadie es culpable de tus problemas económicos, la única persona responsable de tu economía eres tú. Él Creador da por igual la capacidad de discernir y la libertad de tomar decisiones uno mismo. Administra tus bienes siempre para bien y deja en manos del Salvador lo que no puedes dirigir, para obtener un mejor resultado.
Tal vez estas pasando por un momento difícil y por ello culpas a Dios, hacerlo te hace sentir mejor momentáneamente, pero la oración es la única alegría permanente.  Él ama a todos sus hijos por igual y no te pone pruebas que no puedas superar.
¡Aunque nos duela!
'Den gracias a Dios en cualquier situación, porque esto es lo que Dios quiere de ustedes como creyentes en Cristo Jesús. '
1 Tesalonicenses 5:18
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agendaculturaldelima · 9 months ago
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 #EspacioAtemporal #Fotografia
🖼 “FIN DEL MUNDO // ADRIFT IN BLUE” 📷🗻🥶🐧👀
💥 La exposición nos lleva en un viaje visual y sensorial a través de Tierra del Fuego, donde la realidad y la espiritualidad se entrelazan, donde el autor captura la esencia de este lugar remoto y hostil, explorando desde antiguas cartografías hasta las impresiones de los exploradores que llegaron en busca de conquista y fortuna.
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📖 Las fotografías de archivo intervenidas nos recuerdan la tragedia y la resistencia de las comunidades originarias, revelando la aculturación y la modificación de sus estilos de vida. Una invitación a explorar la narrativa de Tierra del Fuego, donde la historia, la cultura y la naturaleza se encuentran en el extremo más austral del mundo habitable. Acompáñanos y sé testigo de este diálogo entre lo antiguo y lo moderno, lo real y lo imaginado.🌊⛴📸❄️
👥 Artista: Nicolás Janowski (Argentina)
© Producción: ICPNA Cultural.
▶️ Publicación Impresa: https://vimeo.com/226138552
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📌 INAUGURACIÓN:Jueves 04 de Julio
🕖 7:00pm.
🏡 Espacio ICPNA San Miguel (av. La Marina 2469 – San Miguel)
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👪 Visitas:
📆 Martes a Sábado 🕚 11:00am a 8:00pm.  
🚶‍♀️🚶‍♂️ Ingreso libre
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📝 CV.- (Argentina, 1980): fotógrafo, antropólogo y curador, que recibe el Premio Repsol LimaPhoto (2014) y finalista de los premios internacionales Burn for emerging Photographer de la Fundación Magnum y el tercer premio PhotoVisura. En el año 2015, la Revista Time Magazine lo destaca como uno de los nueve fotógrafos a seguir en Argentina. Aparte de su trabajo como artista visual, se encarga de actividades relacionadas como ser el Curador adjunto y coordinador del programa educacional de FOLA (Fototeca Latinoamericana de Buenos Aires) y Senior Editor en PHMuseum, una plataforma en línea para la difusión de la fotografía contemporánea. Como docente e investigador ha impartido workshops en distintos centros de referencia latinoamericanos como el Master del Centro de la imagen de Lima (Perú) y en el Festival Paraty em Foco (Brasil), siendo jurado para la fundación García Márquez para el nuevo periodismo iberoamericano (Colombia), el premio FELIFA de la Feria De Libros de Autor (Argentina), el Premio Joven de PHMuseum (Inglaterra) y el premio Fotoperiodismo por la Paz Juan Antonio Serrano (Ecuador). En el 2016 fue uno de los nominadores de 10×10 CLAP Latin America Photobook.
🌐 Web: http://nicolasjanowski.com/
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