#forze di pace
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Gli Attentati di Nassiriya: Il Dolore della Strage del 12 Novembre 2003 e il Ricordo delle Vittime. A cura di Alessandria today
Un tragico capitolo della missione italiana in Iraq che ha segnato la memoria collettiva: la storia degli attentati di Nassiriya
Un tragico capitolo della missione italiana in Iraq che ha segnato la memoria collettiva: la storia degli attentati di Nassiriya Gli attentati di Nassiriya rappresentano uno dei momenti più tragici per l’Italia durante la missione in Iraq. Dal 2003 al 2006, la città irachena di Nassiriya fu teatro di attacchi contro le forze armate italiane impegnate nell’“Operazione Antica Babilonia”, missione…
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quindi oggi il dottore che mi segue da mesi mi chiede come sta andando. gli rispondo. lui alza lo sguardo e con una calma freddissima mi dice "sonia mettiti l'anima in pace che le forze che vorresti non puoi averle ora"
e così ho immaginato di poter tornare indietro e di rispondere "tutto bene dottore, sta seguendo la nazionale agli europei?"
così vero che chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni.
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La buona notizia siamo noi.
Noi che guardiamo gli orrori del mondo e decidiamo di entrare in scena lo stesso, di agire, di seminare, di condividere le nostre esperienze, le nostre conoscenze, la nostra voglia di trasformare ogni dolore in amore.
Noi che possiamo essere la vera alternativa vivente al presente, abbiamo una responsabilità storica di portata straordinaria.
Noi tutti possiamo organizzare mille e mille incontri di qualsiasi portata, da una stretta di mano e un sorriso, dall'ascolto di chi soffre, alla mostra, al concerto, al convegno, dall'abbraccio personale all'evento dietro casa nostra.
Siamo noi la sola buona notizia possibile,
il solo faro che splende nella notte.
Certo, io credo di volerlo essere, ma anche tu che mi leggi puoi fare lo stesso, tu che forse non sai ancora se annuire o se dire di no, tu che vorresti assentire, ma ti chiedi "E io che cosa posso fare?".
Certo, là, fuori dalla porta di casa il mondo è feroce, le grida di odio e di guerra sommergono ogni nostro tentativo di respirare pace, amore, bellezza, bontà, coraggio.
E allora? Noi lo vediamo tutto questo?
Benissimo, ecco la buona notizia allora.
Se la verità viene uccisa ogni giorno davanti ai nostri occhi, non ci resta che essere noi ad affermarla di nuovo.
Se la bontà non viene più praticata dal mondo che abbiamo attorno a noi, ammesso che sia proprio così, dobbiamo essere noi a mostrare bontà, cose buone, lì dove viviamo.
Se la bellezza muore nel "mi piace o non mi piace" che rende bella una buccia di banana incorniciata, dobbiamo essere noi a ridipingere il bello, suonare il bello, parlare il bello, danzare il bello, aiutare a far sì che si veda il bello.
La buona notizia siamo noi.
Solo noi possiamo essere la luce della "speranza attiva" di un futuro migliore. Noi siamo la reale luce nella notte oscura del presente.
Noi che ad esempio possiamo "aiutare in pratica" i ragazzi che non ce la fanno, o quelli che non sanno le cose, o che non hanno alternative, o la forza.
Siamo noi che possiamo mostrare l'esempio delle nostre vite, insegnare ciò che conosciamo, dare tutto di noi stessi, risorse, tempo, denaro, idee per seminare un mondo migliore di questo.
Chi vede il mondo nuovo
è la sola buona notizia che esista.
Io che faccio?
Incontro le persone, mi spendo come posso, scrivo, come in questo momento, che mi sveglio con questi pensieri un'ora prima dell'alba, perché si getti un seme vero, bello, buono nel mattino di chi sta per leggermi.
Perfino, mi metto a recitare parole spirituali, strano ma vero, per far passare i concetti, per dare vita a certi sublimi semi della bellezza interiore.
È poco? È una goccia nell'oceano? È solo un ideale?
L'alternativa sarebbe "rinunciare", darsi per vinti, lasciarsi andare a credere di non essere capaci, di non avere il talento o le forze per cambiare il mondo.
No grazie, io non smetterò di incarnare la buona notizia che posso fare agire attorno a me.
La buona notizia siamo noi.
Noi. Io, tu, loro, voi. Chi altri sennò?
Noi possiamo impegnarci a dare noi stessi. Possiamo farlo. Possiamo fare tantissimo. Possiamo fare tutto.
Possiamo aiutare così tanto, possiamo seminare, offrire opportunità, diffondere conoscenza, se solo vogliamo farlo, se solo capiamo che la trasformazione del mondo non verrà mai da fuori, dall'alto, che sia dal Cielo, dal Comune, dallo Stato, dall'amico, dal padre o dalla madre, o dall'altro.
La vera, vivente, reale, attiva e presente
buona notizia siamo noi.
- Matteo Gazzolo - da "La vita continua"
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I giorni difficili.
Quelli che iniziano con un pensiero e finiscono con lo stesso identico pensiero. Irrisolto.
I giorni in cui, quando ti svegli, non ti ricordi bene dove sei. Forse nemmeno chi sei.
I giorni in cui percorri chilometri con lo sguardo fisso verso il finestrino e ti passano davanti le strade, la campagna, la vita di prima, quella di adesso.
I giorni in cui torni a casa ma non sai più qual è la destinazione. I giorni in cui hai l'impressione che la testa non possa contenere tutte le domande che ti sgorgano dal cuore, in cui vorresti fare ordine ma il caos avvolge tutto.
I giorni in cui guardi un luogo, un tempo, una sedia. E ti rendi conto che non sei al tuo posto, dove dovresti essere, sei nel posto sbagliato, un posto che non è fatto per te.
I giorni in cui alcune distanze ti rivelano troppo. Di te, degli altri. I giorni in cui ti rendi conto che hai riposto male la fiducia, che le persone racconteranno sempre e solo quello che credono di sapere, non la verità. Ma non ti va più nemmeno di spiegare, di precisare, di fare proclami. Che ognuno creda ciò che gli fa comodo, quello che mette in maniera fittizia in pace la coscienza. Del resto, ai più non interessa conoscere, ai più non interessa nulla.
I giorni in cui le lacrime scelgono di scendere, anche se non vuoi. Scendono e portano via alcune cose, le affidano a chi si trova lì a raccoglierle senza nemmeno pensarci. A chi vuole esserci.
I giorni in cui sei allo specchio. E lo specchio sono gli occhi della persona che hai di fronte.
I giorni in cui sai di avere degli sguardi addosso e, senza nemmeno ricambiarli, conosci ad uno ad uno, esattamente, i sentimenti di chi ti sta osservando.
Le sere in cui raccogli. Anche se non hai abbastanza forze per sistemare le esperienze, le parole, gli attimi.
Le sere in cui l'unica cosa che sai è che andrai avanti, sempre e comunque, nonostante gli sbagli, nonostante le delusioni atroci, nonostante le mancanze strazianti, nonostante tutto.
Le sere in cui devi rimettere i pezzi insieme.
Le sere come questa.
Laura Messina
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Lecco - 1. Una donna di trentacinque anni, italiana, sta tornando a casa, dopo una nottata trascorsa fuori. La donna è ubriaca. Sono quasi le cinque del mattino quando, sulla sua strada, incrocia Boukare Guebre, 39 anni, operaio, originario del Burkina Faso.
Boukare è in sella alla sua bicicletta, sta andando al lavoro. La donna invece guida la sua autovettura. Le hanno restituito da poco la patente - ritirata per guida in stato di ebbrezza.
La donna investe Boukare, che viene sbalzato sul parabrezza, prima di finire al suolo. Non si ferma per aiutarlo o verificare come sta, non chiama i soccorsi. Prosegue la sua corsa fino a quando non è costretta a fermarsi per rimuovere la bici, incastrata sotto la vettura.
2. A quel punto incrocia un auto guidata da un giovane ivoriano.
La donna è sola, ubriaca e parecchio vulnerabile.
Il ragazzo la vede in difficoltà, scende dalla macchina e la aiuta a rimuovere la bicicletta. Mentre lei si allontana, lui nota una scarpa incastrata nei rottami della bici. Appunta la targa dell’auto e percorre la strada fino a trovare il corpo esanime di Boukare.
Avvisa dunque le forze dell’ordine, la donna viene arrestata ed ora è ai domiciliari - con l’accusa di guida in stato di ebbrezza e omissione di soccorso.
Ci sono tante cose importanti da dire, a commento di questa triste storia: la sconfinata mancanza di responsabilità e di rispetto di chi guida in stato di ebbrezza (che a mio avviso non dovrebbe più salire su un auto, considerato che si può vivere anche senza); la rabbia e lo sconcerto per chi omette di prestare soccorso ad una persona che ha appena investito; la drammatica mancanza di sicurezza stradale - che coinvolge in particolar modo i ciclisti.
Ma soprattutto, mi domando quante persone, leggendo i paragrafi 1 e 2, non abbiano istintivamente temuto per la sorte della donna - segno del fatto che siamo stati tutti manipolati e portati a pensare male degli immigrati, dall’umanità dei quali, a me sembra, abbiamo spesso da imparare.
Attendiamo con ansia le accorate manifestazioni di piazza che le destre avrebbero certamente organizzato, se alla guida dell’auto ci fosse stato l’immigrato e sulla bici una donna italiana.
20.10.2023
Riposa in pace, fratello Boukare.
Che la terra ti sia lieve.
Guido Saraceni
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“ Io vorrei dinanzi ai parlamentari europei, e quindi a tutta l'Europa, parlare ancora una volta delle nostre semplici e chiare posizioni sui problemi del disarmo. Esse sono il risultato della nuova mentalità e sono state sancite a nome di tutto il nostro popolo nella delibera del Congresso dei deputati del popolo dell'Urss: siamo per un mondo denuclearizzato, per la liquidazione di ogni tipo di armi nucleari entro l'inizio del prossimo secolo; siamo per la completa eliminazione degli armamenti chimici in tempi brevi e per la distruzione, una volta per sempre, della base produttiva di questo tipo di armi; siamo per la radicale riduzione degli armamenti convenzionali e delle forze armate fino a un livello di ragionevole sufficienza difensiva, che escluda l'impiego della forza militare contro altri Stati a fini offensivi; siamo per il completo ritiro di tutte le truppe straniere dal territorio degli altri paesi; siamo categoricamente contrari alla creazione di qualsiasi tipo di arma spaziale; siamo per lo scioglimento dei blocchi militari e per l'immediata instaurazione a tal fine di un dialogo politico tra di essi, per la creazione di un clima di fiducia, che escluda qualsiasi sorpresa; siamo per un controllo approfondito, conseguente ed efficace su tutti i trattati e gli accordi che possono essere conclusi sui problemi del disarmo. Sono fermamente convinto che gli europei avrebbero dovuto da tempo rendere conformi la propria politica e il proprio comportamento al nuovo buon senso: non prepararsi alla guerra, non minacciarsi reciprocamente, non competere nel perfezionare le armi e tanto meno nel tentare di «compensare» le riduzioni avviate, ma imparare a costruire insieme la pace, gettare per essa delle solide fondamenta. “
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Brano tratto dal discorso dell’ultimo segretario del Pcus all’assemblea del Consiglio d’Europa riunita a Strasburgo il 6 luglio 1989. Il testo, intitolato Appello all’Europa: dall’Atlantico agli Urali, è in:
Mikhail Gorbaciov, La casa comune europea, A. Mondadori (collana Frecce; traduzione in italiano a cura dell’editore sovietico), 1989¹; pp. 218-219.
[Prima edizione originale presso l'editore Агентство печати «Новости» (АПН), Mosca, 1989]
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C’è un mondo vecchio, fondato sullo sfruttamento della natura madre, sul disordine della natura umana, sulla certezza che di sacro non vi sia nulla. Io rispondo che tutto è divino e intoccabile: e più sacri di ogni cosa sono le sorgenti, le nubi, i boschi e i loro piccoli abitanti. E l’uomo non può trasformare questo splendore in scatolame e merce, ma deve vivere e essere felice con altri sistemi, d’intelligenza e di pace, accanto a queste forze celesti. Che queste sono le guerre perdute per pura cupidigia: i paesi senza più boschi e torrenti, e le città senza più bambini amati e vecchi sereni, e donne al disopra dell’utile. Io auspico un mondo innocente. So che è impossibile, perché una volta, in tempi senza tempo e fuori dalla nostra possibilità di storicizzare e ricordare, l’anima dell’uomo perse una guerra. Qui mi aiuta Milton, e tutto ciò che ho appreso dalla letteratura della visione e della severità. Vivere non significa consumare, e il corpo umano non è un luogo di privilegi. Tutto è corpo, e ogni corpo deve assolvere un dovere, se non vuole essere nullificato; deve avere una finalità, che si manifesta nell’obbedienza alle grandi leggi del respiro personale, e del respiro di tutti gli altri viventi. E queste leggi, che sono la solidarietà con tutta la vita vivente, non possono essere trascurate. Noi, oggi, temiamo la guerra e l’atomica. Ma chi perde ogni giorno il suo respiro e la sua felicità, per consentire alle grandi maggioranze umane un estremo abuso di respiro e di felicità fondati sulla distruzione planetaria dei muti e dei deboli – che sono tutte le altre specie -, può forse temere la fine di tutto? Quando la pace e il diritto non saranno solo per una parte dei viventi, e non vorranno dire solo la felicità e il diritto di una parte, e il consumo spietato di tutto il resto, solo allora, quando anche la pace del fiume e dell’uccello sarà possibile, saranno possibili, facili come un sorriso, anche la pace e la vera sicurezza dell’uomo.
Anna Maria Ortese, "Corpo celeste", Adelphi, Milano 1997
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L’attuale situazione è frutto del fallimento del progetto che prevedeva la cessione di territori da parte di Israele, tra 2000 e 2005, per ottenere in cambio la pace. Gaza fu uno di quelli. Ora quei territori sono il punto di partenza di attacchi agli israeliani. (...)
Il progetto “Territori in cambio di pace”, fu iniziato da da Ehud Barak, laburista, lasciando il Sud del Libano nel 2000. Lo fece in cambio della garanzia che nessuno avrebbe attaccato Israele. In realtà Hezbollah prese il controllo del confine e continuò a colpire.
Il ritiro da Gaza, nel 2005, aveva la stessa pretesa: lasciare quel territorio all’ANP ottenendo in cambio la pace. Gli abitanti di Gaza ebbero accesso alle aree che erano state degli israeliani evacuati, diedero fuoco alle sinagoghe e ad infrastrutture varie (del valore di circa 10 milioni di dollari), fra cui serre per coltivazioni.
Nel 2007 vi fu il “colpo di Stato” di Hamas che prese il controllo di Gaza impiccando e fucilando tantissimi palestinesi oppositori. Hamas in questi anni ha ucciso più palestinesi di quanti ne abbiano mai uccisi gli israeliani. Non solo, utilizza la popolazione di Gaza come scudo umano: i soldati sparano dai palazzi e impediscono ai civili di evacuarli.
Hamas è sopravvissuta sinora mostrando al mondo le immagini dei civili uccisi (anche quelli usati come scudo umano) dal fuoco israeliano, producendo una pressione sull’opinione pubblica mondiale e una valanga di aiuti, che gestisce per armarsi.
Il 1º marzo 2008 dopo il lancio di razzi da Gaza, l'esercito di Israele invase direttamente l'area con forze blindate ed aeree. Hamas accettò di porre fine al lancio dei razzi in cambio di un alleggerimento del blocco. Di nuovo, il 27 dicembre 2008 gli israeliani lanciarono l'operazione Piombo fuso per fermare i nuovi lanci di razzi di Hamas. I militanti posizionavano tali rampe in prossimità di scuole, abitazioni civili, ospedali, sedi televisive. Entrambe le operazioni furono fermate. Successivamente i lanci di razzi continuarono ma Israele faceva totale affidamento sul sistema missilistico anti missile Iron Dome, con successo. Fino alla crisi di ottobre 2023.
Ricostruzione storica per quelli che bisogna trattare, mediare, ragionare, di Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa su https://www.ilsussidiario.net/news/israele-a-gaza-rischio-vietnam-netanyahu-vuole-la-striscia-e-il-sud-libano-liran-stara-fermo/2603927/
L'unico Hamas buono è l'Hamas morto.
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Dicono che durante la nostra vita abbiamo due grandi amori. Uno con il quale ti sposerai o vivrai per sempre, può essere il padre o la madre dei tuoi figli: con questa persona otterrai la massima comprensione per stare il resto della tua vita insieme. E dicono che c'è un secondo grande amore, una persona che perderai per sempre. Qualcuno con cui sei nato collegato, così collegato, che le forze della chi mica scappano dalla ragione e ti impediranno sempre di raggiungere un finale felice. Fino a che un giorno smetterai di provarci, ti arrenderai e cercherai un'altra persona che finirai per incontrare. Però ti assicuro che non passerà una notte senza aver bisogno di un altro suo bacio, o anche di discutere una volta in più.
Tutti sanno di chi sto parlando, perché mentre stai leggendo queste righe, il suo nome ti è venuto in mente. Ti libererai di lui o di lei e smetterai di soffrire, finirai per incontrare la pace, però ti assicuro che non passerà un giorno in cui non desidererai che sia qui a darti noia. Perché a volte si libera più energia discutendo con chi ami, che amando qualcuno che apprezzi.
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"Si verifica una rottura nella storia della famiglia, dove le età si accumulano e si sovrappongono e l'ordine naturale perde senso.
È quando il figlio diventa il padre di suo padre".
È quando il padre diventa anziano e inizia a muoversi come se fosse nella nebbia.
Lento, lento, impreciso.
È quando uno dei genitori che ti teneva saldamente per mano quando eri piccolo non vuole più stare da solo.
È quando il padre, una volta fermo e insuperabile, si indebolisce e prende fiato due volte prima di alzarsi.
È quando il padre, che in passato comandava e ordinava, oggi sospira, geme e cerca dove siano la porta e la finestra: ogni corridoio ora è lontano.
È quando uno dei genitori, una volta attivo e lavoratore, non riesce a vestirsi da solo e non ricorda di prendere le medicine.
E noi, come figli, non faremo altro che accettare che siamo responsabili di quella vita.
Quella vita che ci ha generato dipende dalla nostra vita per morire in pace.
Ogni figlio è il padre della morte di suo padre.
Forse la vecchiaia del padre e della madre è curiosamente l'ultima gravidanza.
La nostra ultima lezione. Un'opportunità per restituire le cure e l'amore che ci hanno dato per decenni.
E così come adattavamo la nostra casa per accudire i nostri bambini, bloccando le prese elettriche e mettendo i cancelli di sicurezza, ora cambieremo la disposizione dei mobili per i nostri genitori.
La prima trasformazione avviene nel bagno.
Saremo i genitori dei nostri genitori, ora metteremo un maniglione nella doccia.
Il maniglione è emblematico.
Il maniglione è simbolico. Il maniglione è inaugurare il "rimescolamento delle acque". Perché la doccia, semplice e rinfrescante, ora è una tempesta per i vecchi piedi dei nostri protettori.
Non possiamo lasciarli soli neanche per un momento.
La casa di chi si prende cura dei propri genitori avrà sostegni lungo le pareti.
E le nostre braccia si estenderanno in forma di corrimano.
Invecchiare è camminare sostenendosi agli oggetti, invecchiare è persino salire scale senza gradini.
Saremo estranei nella nostra stessa casa.
Osserveremo ogni dettaglio con paura e incertezza, con dubbio e preoccupazione.
Saremo architetti, designer, ingegneri frustrati.
Come non abbiamo previsto che i nostri genitori si sarebbero ammalati e avrebbero avuto bisogno di noi?
Ci lamenteremo dei divani, delle statue e delle scale a chiocciola. Rimpiangeremo tutti gli ostacoli e il tappeto.
Felice il figlio che è il padre di suo padre prima della sua morte, e povero il figlio che appare solo al funerale e non dice addio un po' ogni giorno.
Quel mio amico, ricordo, accompagnò suo padre fino agli ultimi minuti.
In ospedale, l'infermiera stava per spostarlo dal letto alla barella, cercando di cambiare le lenzuola, quando lui gridò dal suo posto: "Lasci che l'aiuti io.
" Raccolse le forze e per la prima volta prese suo padre tra le braccia. Appoggiò la testa di suo padre contro il suo petto.
Sistemò sulle sue spalle suo padre consumato dagli anni e dalla malattia.
Piccolo, rugoso, fragile, tremante. Rimase ad abbracciarlo per un bel po', il tempo equivalente alla sua infanzia, il tempo equivalente alla sua adolescenza, un bel po', un tempo interminabile.
Cullando suo padre da un lato all'altro.
Accarezzando suo padre. Calmandolo e dicendo a bassa voce:
"Sono qui, sono qui, papà!"
"Quello che un padre vuole sentire alla fine della sua vita è che suo figlio è lì."
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QUANDO NOSTRO PADRE COMINCIA A MORIRE
Quando il padre invecchia e comincia a trotterellare come se fosse nella nebbia. Lento, lento, impreciso.
È quando uno dei genitori che ti teneva stretta la mano quando eri piccolo non vuole più restare solo. È quando il padre, un tempo fermo e insormontabile, si indebolisce e fa due respiri prima di alzarsi dal suo posto.
È quando il padre, che un tempo aveva comandato e ordinato, oggi non fa altro che sospirare, solo gemere, e cerca dove siano la porta e la finestra: ogni corridoio è ormai lontano.
È quando un genitore precedentemente volenteroso e laborioso non riesce a indossare i propri vestiti e non ricorda i farmaci che ha preso. E noi, da bambini, non faremo altro che accettare di essere responsabili di quella vita. Quella vita che ci ha dato i natali dipende dalla nostra vita per morire in pace.
Forse la vecchiaia del padre e della madre è curiosamente l'ultima gravidanza. Il nostro ultimo insegnamento. Un'opportunità per ricambiare la cura e l'amore che ci hanno donato per decenni. E proprio come abbiamo adattato la nostra casa per prenderci cura dei nostri bambini, bloccando le prese della luce e montando dei box, ora cambieremo la distribuzione dei mobili per i nostri genitori.
La prima trasformazione avviene nel bagno.
Saremo i genitori dei nostri genitori che ora metteranno una sbarra sotto la doccia. Il bar è emblematico. Il bar è simbolico. La sbarra inaugura il “detemperamento delle acque”. Perché la doccia, semplice e rinfrescante, è ormai una tempesta per i vecchi piedi dei nostri protettori. Non possiamo lasciarli per nessun momento.
La casa di chi si prende cura dei propri genitori avrà dei rinforzi ai muri. E le nostre braccia saranno estese sotto forma di ringhiere. Invecchiare è camminare aggrappandosi agli oggetti, invecchiare è anche salire le scale senza gradini. Saremo estranei a casa nostra. Osserveremo ogni dettaglio con paura e ignoranza, con dubbio e preoccupazione. Saremo architetti, designer, ingegneri frustrati. Come non prevedere che i nostri genitori si sarebbero ammalati e avrebbero avuto bisogno di noi?
Rimpiangeremo i divani, le statue e la scala a chiocciola. Rimpiangeremo tutti gli ostacoli e il tappeto. E a nostro padre si saluta un po' tutti i giorni...
Un uomo di nome José accompagnò suo padre fino ai suoi ultimi minuti.
In ospedale, l'infermiera stava facendo la manovra per spostarlo dal letto alla barella, cercando di cambiare le lenzuola quando José gridò dal suo posto: - Lascia che ti aiuti! - . Raccolse le forze e prese suo padre sulle ginocchia per la prima volta.
Appoggiò il volto di suo padre al petto. Ha messo sulle sue spalle il padre consumato dal cancro: piccolo, rugoso, fragile, tremante. Rimase abbracciato a lungo, il tempo equivalente alla sua infanzia, il tempo equivalente alla sua adolescenza, un tempo bello, un tempo infinito.
Dondolando suo padre da una parte all'altra.
Accarezzare suo padre.
Calmare suo padre.
E gli disse sottovoce:
- SONO QUI, PAPÀ!
Ciò che un padre vuole sentire alla fine della sua vita è che suo figlio è "lì" per dirgli... Vacci piano. Ti diamo il permesso, non preoccuparti... Andrà tutto bene! 🙏🏽
Queste meraviglioso testo lo aveva trovato anni fa. Dopo la morte del mio padre. Non ho potuto arrivare in tempo prima che lui mancase.
Grazie papà ovunque la nel spazio infinito sta te e tutti mie antenati. Mi manchi.
Xiukiauitzincheko Escandon
Nagual Sciamano dell’anima
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Il silenzio è un abisso, un oceano profondo dove affondano le parole, eppure è in questo abisso che a volte si trovano le verità più limpide.
C'è un silenzio che è come un giardino segreto, dove due cuori si incontrano e fioriscono. È un'armonia che nutre l'anima, un'intesa profonda che non ha bisogno di parole. Un sapere profondo, un'empatia che ti fa sentire come se stessi leggendo nel pensiero dell'altro. È il silenzio di due anime che si riconoscono, che condividono un linguaggio segreto fatto di sguardi, di sorrisi, di gesti impercettibili. In questo silenzio, tutto è già detto e compreso. Non ci sono dubbi, non ci sono paure, solo un'immensa fiducia. È come navigare su una stessa barca, verso la stessa stella.
E poi c'è un altro silenzio, un silenzio che gela l'anima. Si insinua lentamente o arriva improvviso e violento. È il silenzio di due mondi che si scontrano, di due navi che navigano in direzioni opposte. In questo silenzio, ogni domanda è inutile e ogni risposta è già scritta. È il silenzio che ci suggerisce che è tempo di andare via senza voltarci indietro.
Come distinguere questi due silenzi? È semplice: dal desiderio che lasciano dentro. Il primo ti attira a sé, ti fa sentire completo. Il secondo ti respinge, ti fa sentire inadeguato. È come l'acqua: una ci disseta, l'altra ci annega.
Quando il silenzio è del primo tipo, nasce un legame indissolubile, un amore che trascende il tempo. È un tesoro nascosto, da custodire con cura. Quando il silenzio è del secondo tipo, è meglio voltare pagina. Non ha senso insistere, è come cercare di incollare i cocci di uno specchio: si può fare, ma 'immagine sarà sempre distorta.
In entrambi i casi, il silenzio è un maestro. Ci insegna a conoscerci, a capire gli altri, a vivere il presente. È nel silenzio che troviamo le risposte alle nostre domande, che scopriamo chi siamo veramente. Possiamo ascoltare la nostra anima, la nostra voce più profonda.
Quando incontriamo un silenzio che ci fa sentire vivi, che ci unisce a un'altra anima, difendiamolo con tutte le nostre forze. Quando invece incontriamo un silenzio che ci fa sentire soli, è arrivato il momento di lasciar andare. Non dobbiamo aver paura di dire addio, perché solo così potremo fare spazio a nuove connessioni.
Ma il silenzio può essere un potente alleato anche nel nostro dialogo interiore. Se ci mette a disagio, è un segnale che stiamo evitando parti di noi. Potremmo cercare di riempirlo con un flusso incessante di pensieri per non affrontare le nostre paure o insicurezze. In questo caso, il silenzio diventa un luogo di menzogna, un palcoscenico dove recitiamo una parte che non ci appartiene.
Al contrario, quando il silenzio interiore è sereno e accogliente, significa che abbiamo fatto pace con le nostre parti più profonde. Abbiamo accettato i nostri limiti e le nostre fragilità, senza giudicarci. In questo silenzio, troviamo una verità autentica, una connessione profonda con il nostro sé più autentico.
Così come nel silenzio con gli altri possiamo distinguere l'amore dalla paura, anche nel silenzio interiore possiamo distinguere l'accettazione dalla negazione. Quando il silenzio ci unisce a noi stessi, è un dono prezioso da custodire. Quando ci allontana, è un invito a fare i conti con noi stessi e a intraprendere un percorso di crescita personale.
Quindi, abbracciamo il silenzio, coltiviamolo. Non lasciamo che le parole lo soffochino, non lasciamo che i rumori lo disturbino.
Le parole sono solo un sentiero, è il silenzio la nostra casa. Sia che la abiteremo insieme ad altri o che, una volta entrati, ricominceremo da soli, il silenzio è la meta finale di ogni comunicazione autentica. È nel silenzio che troviamo la verità, la comprensione e, talvolta, l'accettazione della nostra solitudine.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare.
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#umiltà #verità #realtà #nosceteipsum
#dicoquelchepenso
Con tutto il rispetto per il Ministro Corsetto ma con più Rispetto per i nostri Militari..non credo che ahimè siamo stati scelti dai Palestinesi perché sono i migliori...certo alcuni reparti sono incredibilmente professionali e ne sono fiero come Italiano, ma addirittura i migliori del mondo per i Palestinesi purtroppo mi "suona male" ...suggerirei un po' di umiltà agli Italiani, Nessun credito ai questi palestinesi....ricordando il #lodomoro
Crosetto:
L' eventuale invio dei carabinieri in Palestina, come addestratori della polizia palestinese, deve essere accordato da tutte le parti in causa, anche Israele.
Precisa il ministro della Difesa Crosetto "Non si muove un carabiniere o un soldato italiano se noi non abbiamo esperito tutte le condizioni possibili per garantirne la sicurezza. Per costruire uno Stato palestinese e portare la pace servono le forze di polizia.
"Hanno Scelto quelle Italiane perchè sono le Migliori per addestrare" noi siamo disposti a fare questo grande sacrificio ma i nostri devono essere totalmente sicuri".
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Franco Battiato - L'Ombra della Luce (Live @ Pirelli Hangar Bicocca, 2016)
Difendimi dalle forze contrarie La notte, nel sonno, quando non sono cosciente Quando il mio percorso si fa incerto E non abbandonarmi mai Non mi abbandonare mai Riportami nelle zone più alte In uno dei tuoi regni di quiete È tempo di lasciare questo ciclo di vite E non abbandonarmi mai Non mi abbandonare mai Perché le gioie del più profondo affetto O dei più lievi aneliti del cuore Sono solo l'ombra della luce Ricordami, come sono infelice Lontano dalle tue leggi Come non sprecare il tempo che mi rimane E non abbandonarmi mai Non mi abbandonare mai Perché la pace che ho sentito in certi monasteri O la vibrante intesa di tutti i sensi in festa Sono solo l'ombra della luce
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Questa notte ho avuto un attacco di ansia fortissimo. Diciamo un terremoto privato con epicentro altezza cuore. Era da tempo che non mi succedeva con questa violenza.
Fossi stato lo stesso di qualche anno fa, mi sarei alzato di corsa, avrei cominciato a passeggiare nervosamente per tutta casa, sarei andato in bagno e poi a bere, poi di nuovo in bagno, poi di nuovo a bere. Avrei acceso un po’ di luci, avrei cercato aiuto in ogni dove. Mi sarei spaventato a morte, temendola, la morte.
Invece sono rimasto nel letto per capire cosa stesse accadendo, evitando di fuggire. Come si fa nei terremoti, mi sono rannicchiato sotto qualcosa di solido, di portante. Qualcosa di difficile da far crollare. Credo d’aver scelto l’anima.
Da lì ho domandato, ho chiesto all’ansia cosa volesse, per svegliarmi nel pieno della notte "urlando" come una pazza. Nel frattempo respiravo, cercando di non strozzarmi per la fame d’aria. Ha risposto lei, che lo sapevo bene e non ce c’era affatto bisogno che me lo ricordasse. Aveva ragione. Che era tornata per tirarmi le orecchie, perché da un po’ di tempo, a forza di "ma sì, ci penserò più in là" ho accumulato un bel po’ di domande e non ho le risposte. Perché dice che non c’era bisogno di arrivare allo scontro, sarebbe bastato rallentare, fare spazio a quel bisogno di pace, di calma, di serenità che troppo spesso allontano "perché c’è troppo da lavorare." Perché dice che é ora di liberarsi da un po’ di ostacoli, di riprendere a vivere veramente e di smetterla di ripetermi che va tutto bene, che tutto si sistemerà. E aveva di nuovo ragione lei.
L’ansia ha (quasi) sempre ragione.
Sono rimasto in silenzio, come quando la persona che hai davanti e chi ti ama, ha finito di sbatterti in faccia Il suo amore. E ti ricorda che nessuno può prendersi cura di te, se non scegli di farlo tu, per primo. Che rimandare quasi sempre equivale a far finta di non vedere, che prendersi cura dei propri limiti non è una scelta, ma una responsabilità.
Ho fatto la conta dei danni, quella che giustamente va fatta alla fine di ogni terremoto.
Sono piuttosto "acciaccato", oggi. Sono stanco. Il corpo impiega una quantità di energia spropositata per fronteggiare la paura. L’ansia. Il panico. Ho bisogno di riposarmi, di recuperare le forze e di rimettermi in viaggio, per la mia felicità.
- Andrew Faber
L'ansia, il panico, sono delle brutte bestie... ogni tanto tornano... ma vinco sempre io, con fatica, ma vinco...
@occhietti
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«Dicono che durante la nostra vita
abbiamo due grandi amori.
Uno con il quale ti sposerai o vivrai
per sempre, può essere il padre o la
madre dei tuoi figli: con questa persona otterrai la massima comprensione per stare il resto della tua vita insieme.
E dicono che c’è un secondo grande
amore, una persona che perderai per sempre.
Qualcuno con cui sei nato
collegato, così collegato, che le forze della chimica scappano dalla ragione e ti impediranno sempre di raggiungere un finale felice. Fino a che un giorno smetterai di provarci, ti arrenderai e cercherai un’altra persona che finirai per incontrare. Però ti assicuro che non passerà una sola notte senza aver bisogno di un altro suo bacio, o anche di discutere una volta in più.
Tutti sanno di chi sto parlando,
perché mentre stai leggendo queste righe, il suo nome ti è venuto in mente.
Ti libererai di lui o di lei e smetterai di soffrire, finirai per incontrare la pace, però ti assicuro che non passerà un giorno in cui non desidererai che sia qui per disturbarti. Perché a volte si libera più energia discutendo con chi ami,che facendo l’amore con qualcuno che apprezzi.»
Paulo Coelho
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