#Italia in Iraq
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Alessandria Commemora i Caduti di Nassiriya: Ricordo e Onore ai Militari e Civili Caduti nel 2003
Una cerimonia solenne organizzata dal Comando Provinciale dei Carabinieri e dalle Associazioni “Combattenti e Reduci” e “Decorati al Valor Civile - Nastro Tricolore” per ricordare il sacrificio dei caduti di Nassiriya.
Una cerimonia solenne organizzata dal Comando Provinciale dei Carabinieri e dalle Associazioni “Combattenti e Reduci” e “Decorati al Valor Civile – Nastro Tricolore” per ricordare il sacrificio dei caduti di Nassiriya. Alessandria – Questa mattina, presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Alessandria, si è svolta una solenne cerimonia in memoria dei Caduti di Nassiriya, a ventuno anni…
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PRIMA PAGINA La Notizia di Oggi martedì, 13 agosto 2024
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Iraqi women in Jordan fashion their future
In a Jordanian church, Sarah Nael sews a shirt for a project that has provided scores of women who fled violence in neighboring Iraq with skills to earn a living, as the AFP reports.
Many of the women escaped the extreme violence carried out by the Daesh group’s self-declared “caliphate” that cut across swaths of Iraq and Syria, before they eventually ended up in Jordan — where they found themselves without work.
“Life here is very, very difficult — if we don’t work, we can’t live,�� said Nael, a 25-year-old Christian from the northern Iraqi town of Qaraqosh, who joined the “Rafedin” sewing project two years ago.
It is based at St. Joseph Catholic church in the Jordanian capital Amman. Italian priest Mario Cornioli began the project in 2016, along with Italian designers and tailors.
The products, including dresses, jackets, belts and ties, are sold in Amman and Italy to raise funds. For refugees, barred from seeking regular work, the project provides them with a way to supplement handouts from the UN.
“It’s a safe place,” said Nael, who has been taught to create clothes from cloth and leather, while her brother helps in the church’s kitchen. “We are Iraqis. We are forbidden to work anywhere.”
Since the project started, more than 120 women have benefited. “We try to help them with dignity,” said Cornioli, who runs the Habibi Valtiberina Association, an Italian charity in Jordan. “A lot are the only ones working in their families.”
On the tables in rooms in the church building, colorful rolls of cloth lie ready for cutting. Cornioli hopes the “Rafedin” fashion label — meaning “two rivers,” the historical term for Iraq between the Euphrates and Tigris — will become widely recognizable.
While the Daesh extremists were forced out of their Iraqi territory by a US-led alliance in late 2017, many of the refugees in Jordan are still too fearful to go back to their war-ravaged home. Many are still waiting for their painfully slow asylum applications to other countries to be processed.
“This project allowed them to do something and to survive in this period,” Cornioli said. “They are just waiting to leave.”
Nael and her family returned home after Daesh was defeated in 2017, but they left again after being subjected to anonymous threats, and eventually sought safety in Amman. Their applications for asylum in Australia have been rejected.
“My father is old, and my mother has cancer,” she said, but added that going back to Iraq was out of the question. “We have nothing left there to return to.”
Diana Nabil, 29, worked as an accountant in Iraq before fleeing to Jordan in 2017 with her parents and aunt, in the hope of joining her sister in Australia. During her wait, she studied how to sew fabric and leather.
“Some of our relatives help us financially, and sometimes the United Nations helps us a bit,” Nabil said. “With my work here, we are managing.”
Cornioli said the project offers “the opportunity to learn something,” pointing to “success stories” of some of the women who have since left Jordan, and are now working in Australia, Canada, and the United States.
Wael Suleiman, head of the Catholic aid agency Caritas in Jordan, estimated the country hosts as many as 13,000 Christian Iraqi refugees. “They hope to obtain asylum and leave to a third country, but in light of what is going on in the world now, the doors seem to be closed to them,” Suleiman said.
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FLUSSO MIGRANTE IN EUROPA
Non sono felici a Gaza
Non sono felici in Libia
Non sono felici in Marocco
Non sono felici in Tunisia
Non sono felici nello Yemen
Non sono felici in Iraq
Non sono felici in Iran
Non sono felici in Pakistan
Non sono felici in Afghanistan
Non sono felici in Siria
Non sono felici in Libano
Non sono felici in Bahrein...
Allora dove sono felici?👆👇
Sono felici in Germania
Sono felici in Francia
Sono felici in Inghilterra
Sono felici in Israele
Sei felice nei Paesi Bassi
Sei felice in Belgio
Sei felice in Spagna
Sei felice in Italia
Sei fortunato in Australia
Sono felici negli Stati Uniti
Sono felici in Canada
In Svezia sono felici
Sono felici in Norvegia
Sono felici in Austria
Sono felici in Svizzera
Sono felici anche in Slovenia, Croazia...
Insomma, sono felici in tutti i paesi non musulmani che sono cristiani.
E chi sono loro da incolpare per la loro disgrazia?🤔
Non incolpano l'Islam.
Non incolpare la loro leadership.
Non incolpi te stesso.
Danno la colpa ai paesi in cui sono felici.
E vogliono cambiarli affinché siano come i paesi da cui provengono perché sono lì
non erano felici.🫡
Sembra che solo l’Ungheria capisca cosa sta succedendo, e solo l’Ungheria sappia come proteggere il proprio Paese.👍
@dessere88fenice
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La Democrazia Americana
"Portano violenza,
e poi vogliono insegnare al mondo come ci si comporta democraticamente,
non meritano la nostra ammirazione"
"Cari ascoltatori, è molto diffusa l’opinione, non solo in Italia, ma in mezzo mondo, che gli Stati Uniti siano un modello di democrazia. Io, naturalmente, non ho niente contro gli americani, però mi piacerebbe essere minimamente obiettivo per raccontare leggermente la loro storia. Intanto, in quanto ai loro presidenti, ne hanno stecchiti quattro o cinque, così, assassinati, cosa che per esempio in Italia non è mai accaduta, neanche in altri Paesi. Insomma, gli americani quando si stancano di un presidente gli sparano e poi fanno dei bei funerali, quattro lacrime, e si passa al prossimo da assassinare. Insomma, una cosa veramente vergognosa. Ma è la storia degli americani che è inquietante. E quindi l’America non merita tutta la stima che noi abbiamo nei confronti degli Stati Uniti. E vi racconto molto brevemente la loro storia: hanno cominciato con l’uccidere tutti gli apache, i famosi indiani, ci hanno girato mille film su questo argomento. I poveri indiani che si difendevano con l’arco e le frecce, e invece gli americani che usavano ovviamente il fucile e la pistola, e quindi, diciamo, una partita un po’ truccata, ma niente di più. Poi cos’hanno fatto gli americani? Sono andati in Africa e hanno deportato un numero sterminato di neri, li hanno schiavizzati, li hanno trattati male per secoli e adesso passano per quelli buoni, che naturalmente devono insegnare al mondo come ci si comporta democraticamente. Fatta anche questa operazione, cosa hanno fatto gli americani? Così io sintetizzo. Sono andati in Giappone e hanno sganciato due bombe atomiche, due, una su Nagasaki e una su Hiroshima, facendo una quantità sterminata di vittime e anche questa è una bella prodezza. Non paghi, sono andati in Corea a fare un’altra guerra, e anche lì è successo di tutto. Poi sono andati in Vietnam
a massacrare i vietnamiti, un’altra prodezza, diciamo. Poi sono andati in Iraq. Ricorderete, dove volevano esportare la democrazia, invece hanno esportato la morte, perché ne hanno stecchiti un vagone.
Poi hanno finito di fare
i bulli gli americani?
No signori, sono andati anche in Afghanistan.
E lì abbiamo visto com’è andata a finire. Si sono fermati vent’anni, dovevano cambiare la società, non hanno cambiato niente e hanno, diciamo, lasciato una scia di sangue, di morti ammazzati, come loro abitudine. Ecco, questi sono gli americani. E noi dovremmo guardarli con ammirazione nel tentativo di imitarli? Io penso proprio che no. Molto meglio noi italiani, che siamo un po’ confusionari, abbiamo avuto qualche problema, ma rispetto agli Stati Uniti siamo Biancaneve".
- Vittorio Feltri
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Che la misura fosse ormai colma, bastavano i numeri a certificarlo: 42mila palestinesi morti (compresi 18mila bambini) in un anno di guerra – pardon, di invasione militare israeliana nella Striscia di Gaza – quale bilancio evidentemente sproporzionato della risposta di Tel Aviv al vile attacco di Hamas del 7 ottobre dell’anno scorso. Ma se non bastassero i numeri a documentare la sete di vendetta, ormai del tutto fuori controllo, di Netanyahu ci ha pensato ieri il suo esercito a ricordarcelo, aprendo il fuoco contro alcune postazioni Unifil nel sud del Libano, ferendo due caschi blu, di nazionalità indonesiana, dell’Onu e distruggendo le telecamere di sorveglianza negli avamposti italiani delle basi prese di mira. Una situazione paradossale: il grande alleato degli Stati Uniti – e degli alleati degli Usa, Unione europea e Italia comprese – che da un anno a questa parte sta spargendo impunemente sangue a Gaza e che, dopo aver bombardato anche Siria, Yemen e Iraq, ha varcato con i carrarmati pure i confini del Libano mentre si prepara ad attaccare l’Iran, ha aggiunto all’elenco dei danni collaterali le basi Unifil gestite dall’Italia. Spingendo il ministro della Difesa, Crosetto, che ieri ha convocato l’ambasciatore israeliano, ad ipotizzare “un crimine di guerra”. Sebbene dall’incidente – per così dire – è difficile aspettarsi chissà quali conseguenze nelle relazioni diplomatiche tra Tel Aviv e Roma. Che finora, a parte qualche dichiarazioni di circostanza sulla necessità di garantire la sicurezza dei civili, non ha mai preso una posizione netta di condanna contro il responsabile della carneficina in atto in Medio Oriente. Così come accaduto a Bruxelles con un altro nostro alleato. Quando si è scoperto quello che tutti fingevano di non sapere, e cioè che a sabotare in mare aperto il gasdotto Nord Stream che collega la Russia alla Germania non era stato Putin ma gli ucraini con il supporto di alcuni paesi nordeuropei. Un atto di guerra in piena regola contro un’infrastruttura strategica per tutta l’Ue. Ma a Zelensky e Netanyahu si perdona tutto. Se conviene agli americani a noi non resta che metterci sugli attenti. E dire signorsì!
Che begli alleati! - La Notizia
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17 FEBBRAIO 1600, IL ROGO DI GIORDANO BRUNO.
QUANDO A BRUCIARE VIVI I DISSIDENTI ERA LA CHIESA CATTOLICA APOSTOLICA ROMANA
421 anni fa oggi, cioè il 17 FEBBRAIO 1600, veniva arso vivo al Campo dei Fiori un filosofo illuminato.
Si chiamava Giordano Bruno e veniva da Nola. Mandanti ed esecutori non erano terroristi dell’Isis, ma Cristiani di sole 15 generazioni fa. L’evento fu spettacolarizzato al massimo, ma non essendoci giornali, video, internet e cineasti si scelse comunque di realizzare l’evento come richiamo spettacolare per celebrare la potenza della Chiesa in occasione del 1° giubileo. Occasione in cui chi veniva a Roma si guadagnava indulgenza plenaria, ovvero il paradiso (senza le vergini però, si noti come questa differenza sia sostanziale rispetto all’Islam). Giordano Bruno fu arso vivo davanti a una folla di circa 100.000 persone che cliccarono in diretta il loro ‘mi piace’ un po’ forzato a dire il vero, applaudendo. Giordano Bruno aveva una mordacchia alla lingua per impedirgli di urlare le ultime parole durante il percorso e l’estremo sacrificio sul rogo.
L’organizzatore dell’evento fu il cardinale Roberto Bellarmino da Montepulciano, grande inquisitore della Chiesa che partecipò a sette dei 20 interrogatori cui fu sottoposto Giordano. Bellarmino fu fatto beato, santo e Dottore della Chiesa da Pio XI , due generazioni fa, nel 1930, anno ottavo dell’era fascista e dopo un anno dai patti lateranensi con il duce.
Bellarmino partecipò anche al processo a Galileo che fu costretto a ritrattare per non fare la fine di Giordano.
A Montepuciano il cardinale Roberto Bellarmino è figura celebrata, ma molti laici hanno l’abitudine di sputare a terra in prossimità della stele che ricorda. Perché la vicenda di Giordano Bruno racconta, ancora oggi, nei tempi in cui tutti ci sentiamo minacciati dall’integralismo e dal fanatismo dei jihadisti del Califfato islamico, come anche la Chiesa cattolica apostolica romana abbia più volte mostrato un volto fanatico, integralista e oscurantista fino a bruciare viva una persona.
E non in un angolo di deserto tra Siria e e Iraq, ma nel cuore della città eterna che ha edificato la più importante basilica del mondo sulla tomba dell’apostolo Pietro… Era il 1600, c’erano già stati Leonardo e Michelangelo, Machiavelli e Raffaello… I secoli bui erano un lontano ricordo, ma mentre ci si avviava al secolo dei lumi e della ragione, la Chiesa continuava a non tollerare qualunque eresia, anzi a considerare eresia qualsiasi idea che mettesse in discussione i suoi dogmi e il suo potere. E continuò così per altri due secoli e mezzo, tagliando la testa in piazza agli eretici, ai dissidenti, ai carbonari. Gli ultimi furono i patrioti Monti e Tognetti, giustiziati, a Roma, nel 1868. Due anni prima che i bersaglieri entrassero a Porta Pia, mettendo fine al potere temporale dei papi e al regno pontificio… L’Italia era già Italia da 10 anni…
Oggi, nell’anniversario del sacrificio di Giordano Bruno, noi, che pure ci troviamo a vivere e operare nella terra di Bellarmino, celebriamo il filosofo di Nola e non certo il cardinale.
Noi stiamo dalla parte dell’utopia e dell’eresia.
Non dalla parte dell’oscurantismo e del fanatismo religioso, soprattutto quando questo diventa legge di stato.
Le chiese non tollerano eresie, se no non sarebbero chiese, questo si è capito da un pezzo.
Ritrovarci oggi, 421 anni dopo il rogo di Campo de’ Fiori, a parlare di guerre di religione fa davvero un terribile effetto.
E la cosa puzza di bruciato…
Noi siamo quelli che credono ancora a queste emozioni
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*Ibrahim inizia a preoccuparsi molto che Heinrich Ludwig è diventato imperatore del nuovo Sacro Romano Impero con il nome Heinrich III e vedere il ritorno del partito Nazionalsocialista tedesco che sta deportando gli ebrei sionisti seguaci di Abu Qasim Muhammad in Russia nel territorio più freddo e remoto come la Siberia e nota anche che Heinrich III e Otto Von Bolschwing stanno iniziando a mettere anche restrizioni contro la popolazione musulmana che vive in Germania,Austria e Italia vedendo cambiamenti che non gli piacciono per niente e odia ancora di più il suo lontano parente Abu Qasim Muhammad: non bastava il suo sadico desiderio di uccidere tutti i Quraysh, ha desiderato anche di distruggere l'Europa e il cristianesimo tramite i suoi seguaci ebrei d'Europa.
Ibrahim nota la repressione antislamica crescere a dismisura per convertire i musulmani al cristianesimo perché il Sacro Romano Impero è una nazione cristiana:
-divieto di possedere libri di argomento islamico
-cancellazione delle usanze legate alla cultura islamica,uso della lingua araba scritta e parlata, festività civili affermatesi però in periodo islamico.
-cancellazione di usare i nomi arabi
Con tutte queste repressioni e diritti civili strappati nuovamente a causa di un governo cristiano, Ibrahim insieme a sua moglie Zainab al-Khalidi, i loro figli Yusuf e Badra, i suoi colleghi Omar Soudani,Samir al-Khalifawi,Asma al-Quraishi,Amir al-Mawli,Haitham al-Badri e Yassin al-Badri lascia Berlino e viaggia a Mosul nel Nord Iraq, uno stato salafita dove gli arabi dominano sui i curdi che non vogliono unirsi allo stato laico sunnita Baathista di Malik al-Badri*
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“Gli USA hanno distrutto quel gasdotto”. Il silenzio tombale sullo scoop di Hersh
16.02.23 - Il Manifesto - Redazione Italia
L’ACCUSA. Così i sommozzatori della Us marine avrebbero piazzato gli esplosivi che lo scorso 26 settembre hanno fatto saltare in aria il Nord Stream 2 posato sul fondo del Mar Baltico.
È passata una settimana da quando Seymour Hersh ha pubblicato un articolo dal titolo assolutamente fattuale: “Come l’America ha eliminato il gasdotto Nord Stream”. Per essere più precisi: come un gruppo di sommozzatori della Marina degli Stati Uniti, con la collaborazione della Norvegia, ha collocato gli esplosivi che il 26 settembre scorso hanno distrutto il gasdotto russo-tedesco sul fondo del mar Baltico.
L’amministrazione Biden ha colpito l’infrastruttura di un Paese non solo amico, ma membro della Nato (la Germania) il cui scopo era di rifornirsi di energia da un Paese con cui, tecnicamente, gli Stati Uniti non sono in guerra (la Russia).
Traduzione politica: si tratta dello scoop del secolo. Oggi, nel 2023, gli Stati Uniti hanno bombardato un pezzo di Germania. Nessuno però ne parla. Il silenzio della stampa americana è assordante.
Il pretesto, naturalmente, sono le smentite ufficiali: un portavoce della Casa Bianca ha dichiarato che «queste affermazioni sono false e completamente inventate». Tammy Thorp, un portavoce della Central Intelligence Agency, ha ugualmente risposto: «Completamente e totalmente falso». Data l’enormità della cosa, un po’ più di zelo giornalistico sarebbe forse opportuno…
All’epoca delle esplosioni i giornali americani, seguiti a ruota da quelli europei, avevano definito l’attentato “un mistero”, oppure un “auto-sabotaggio” compiuto dalla Russia. Oggi l’ottantacinquenne Hersh commenta che, da quando ha iniziato il suo mestiere negli anni Sessanta, le autorità hanno sempre detto che «i miei articoli erano sbagliati, inventati, scandalosi».
È lui stesso a raccontare sulla piattaforma Substack: «Sono stato un freelance per gran parte della mia carriera. Nel 1969 ho raccontato la storia di un’unità di soldati americani in Vietnam che aveva commesso un orribile crimine di guerra. Avevano ricevuto l’ordine di attaccare un normale villaggio di contadini dove, come sapevano alcuni ufficiali, non avrebbero trovato opposizione, e gli era stato detto di uccidere a vista. I ragazzi uccisero, violentarono e mutilarono per ore, senza trovare alcun nemico. Il crimine fu insabbiato dai vertici militari per diciotto mesi, finché non lo scoprii. Per quel lavoro vinsi un Premio Pulitzer, ma portarlo a conoscenza del pubblico americano non fu facile. (…) Fu rifiutato da Life e da Look. Quando il Washington Post finalmente lo pubblicò, era disseminato di smentite del Pentagono».
Invece era tutto vero e anni dopo il principale responsabile, il tenente William Calley, fu condannato all’ergastolo dalla corte marziale, ma immediatamente graziato dal presidente Nixon.
Dal caso My Lay sono passati 54 anni, ma Hersh non si è certo riposato: si è occupato del colpo di stato in Cile del 1971, della politica estera di Kissinger (The Price of Power, 1983), del mito di Kennedy (The Dark Side of Camelot, 1997) e delle torture di Abu Ghraib in Iraq nel 2004 e di come Osama bin Laden fu ucciso in Pakistan nel 2011.
Benché sia stato talvolta smentito o contestato, per esempio sull’uso di gas in Siria, la verità è che le indagini successive gli hanno quasi sempre dato ragione, come provano i cinque premi George Polk conferitigli dalla scuola di giornalismo di Long Island, un record finora mai uguagliato.
Anche nel caso del Nord Stream le sue fonti sono anonime, ma la ricostruzione degli avvenimenti è coerente e soprattutto implicitamente confermata da prese di posizione ufficiali: più volte il Segretario di Stato Anthony Blinken e, in una conferenza stampa il 9 febbraio 2022, lo stesso Presidente Joe Biden, avevano affermato che consideravano il Nord Stream una minaccia per gli interessi degli Stati Uniti e che, in un modo o nell’altro, sarebbe stato fermato.
Blinken, pochi giorni dopo la distruzione del gasdotto disse che si trattava di una «meravigliosa opportunità per mettere fine una volta per sempre alla dipendenza dall’energia russa».
Victoria Nuland, un alto funzionario del Dipartimento di Stato, nel corso di un’audizione al Senato, disse: «Sono molto soddisfatta, e credo lo sia anche l’amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è adesso un rottame metallico in fondo al mare».
Hersh ha lavorato per anni al New York Times, ma scrive: «Oggi non sarei il benvenuto». In effetti il prestigioso quotidiano in questi giorni ha dedicato decine di articoli al caso della mongolfiera cinese abbattuta sull’Atlantico dopo aver attraversato il Canada e gli Stati Uniti, ha riferito puntualmente di altri tre Ufo distrutti dall’aviazione negli ultimi cinque giorni, ha dato ampio spazio al Super Bowl vinto dai Kansas City Chiefs durante il quale Rihanna ha annunciato la sua seconda gravidanza. Il giornale si è ugualmente occupato (come il manifesto) dei corsi di cultura afroamericana cancellati all’Università della Florida, ma anche di come ci si può preparare psicologicamente a un possibile licenziamento, dei progetti di mini-case per affrontare la crisi degli alloggi negli Stati Uniti, degli auguri per San Valentino, oltre a invitare i suoi lettori a fare sesso con maggiore frequenza e fare attenzione alle uova che mangiano.
Del Nord Stream, neanche una riga: sul motore di ricerca del giornale l’ultimo riferimento a Seymour Hersh risale al 2015.
Il Manifesto. Fabrizio Tonello
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Gli Attentati di Nassiriya: Il Dolore della Strage del 12 Novembre 2003 e il Ricordo delle Vittime. A cura di Alessandria today
Un tragico capitolo della missione italiana in Iraq che ha segnato la memoria collettiva: la storia degli attentati di Nassiriya
Un tragico capitolo della missione italiana in Iraq che ha segnato la memoria collettiva: la storia degli attentati di Nassiriya Gli attentati di Nassiriya rappresentano uno dei momenti più tragici per l’Italia durante la missione in Iraq. Dal 2003 al 2006, la città irachena di Nassiriya fu teatro di attacchi contro le forze armate italiane impegnate nell’“Operazione Antica Babilonia”, missione…
#12 novembre 2003#Alessandria today#attentati Nassiriya#base Maestrale#caduti italiani#camion bomba#Carabinieri#cerimonia commemorativa#civili italiani#coalizione internazionale#Commemorazione#commemorazioni annuali#Esercito Italiano#Forze Armate italiane#forze di pace#Google News#guerra in Iraq#intervento umanitario#Iraq#Italia in Iraq#italianewsmedia.com#medaglia al valore#Memoria storica#militari italiani#missione in Iraq#missione militare#missioni di pace#Nassiriya#Nato#Operazione Antica Babilonia
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ANDREA ANGELI (1956)
funzionario italiano ONU che, per primo nella Sarajevo assediata, si adoperò per trovare e mettere in salvo Rosaria Bartoletti
Andrea Angeli
Andrea Angeli nasce a Macerata il 6 dicembre 1956. Laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche, agisce, come funzionario italiano delle Nazioni Unite, in numerosi teatri di guerra tra cui Cile (durante il regime di Pinochet), Iraq, Namibia e Cambogia. I suoi gesti di coraggio e altruismo, oltre i limiti del proprio dovere, non hanno potuto essere documentati, dato l’ambiente proibitivo nel quale si sono realizzati, salvo un episodio, il salvataggio di Rosaria Bartoletti, 69 anni, ultima italiana rimasta a Sarajevo al tempo della Guerra in Bosnia ed Erzegovina. Nel libro di denuncia J’accuse l’Onu di Zlatko Dizdarevic e Gigi Riva, Angeli viene citato nella prefazione come uno dei pochissimi che, nonostante il mandato ambiguo e la guida malferma del contingente Onu, sono riusciti “a fare la differenza”.
Nell’inverno del ’93, l’ambasciata italiana a Belgrado cerca con insistenza quella che ritiene essere l’ultima cittadina italiana intrappolata a Sarajevo, Rosaria Bartoletti. Dopo alcuni vani tentativi affidati agli autisti della Cooperazione che sporadicamente scaricavano aiuti umanitari, il Console Mauro Conciatori fa recapitare ad Angeli una busta contenente 1000 marchi tedeschi, con l’incarico di consegnarla alla Bartoletti. La somma rientra nel contributo d’emergenza che il Ministero degli Esteri assegna a connazionali in particolarissime situazioni di disagio. Angeli non si tira indietro. Rintracciare una persona senza conoscerne l’indirizzo in una città di mezzo milione di abitanti sotto bombardamento, in cui non funzionano le linee telefoniche e dove i movimenti sono fortemente limitati per motivi di sicurezza, è un’impresa ardua. Angeli non si perde d’animo e mobilita tutti i possibili canali per scovare l’anziana signora. Si avventura in cunicoli, sottoscala e rifugi, dato che la zona da perlustrare si trova a ridosso del fronte, in balia dei cecchini e dell’artiglieria serba. Finalmente, rintraccia Rosaria in una casa nel centro della città. La donna originaria di Brescia, all’inizio della guerra in Bosnia, nell’aprile del ’92, era stata costretta a lasciare la sua casa distrutta dalle bombe, che si trovava sul fiume Miljacka, proprio sulla linea del fronte tra serbi e musulmani. Da allora, insieme ad altri coetanei sfollati, viveva in una cantina messa disposizione dalla sarajevese Kanita Focak, che da mesi provvedeva in qualche modo anche al loro sostentamento. Rosaria accoglie Angeli in lacrime e racconta che si è nutrita con quel poco che lei e la sua ospite bosniaca riuscivano ad ottenere dagli aiuti delle Nazioni Unite. Più volte in venti mesi aveva tentato di raggiungere il quartier generale dell’ONU, ma non era mai riuscita a superare i posti di blocco. Angeli si attiva per trovare qualcuno in Italia in grado di ospitarla e, una volta ultimate le pratiche per l’ammissione ai voli militari sulla rotta Sarajevo, concorda i dettagli per la nuova vita di Rosaria con una famiglia di Caltanisetta. Finalmente, il 5 febbraio del 1994, Rosaria riesce a tornare in Italia.
Andrea Angeli commenta l’esperienza così: “Riuscire ad identificare la casa non è stato facile, ma alla fine ce l'abbiamo fatta, con l'aiuto dell'Alto commissariato dell'Onu. Grazie ad un lasciapassare, Rosaria ha potuto raggiungere il quartier generale dell'Onu ed imbarcarsi sull'aereo militare tedesco impegnato nei voli umanitari”.
Il Comune di Ortona, nel 1996, assegna ad Angeli il Primo premio Internazionale San Tommaso Apostolo tra le Genti, per essere stato il primo funzionario italiano Onu a prestare servizio a Sarajevo durante la guerra. Nel 2009, ad Andrea Angeli ed al colonnello della Brigata Sassari Gianfranco Scalas è conferito il Premio Speciale Antonio Russo per la lunghissima attività di pubblica informazione in seno alle missioni di pace. Nel 2010, riceve la Menzione Speciale del Premio Pace Lombardia ed è nominato Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà.
Angeli - quale uomo di pace, come si legge nella motivazione - è Cittadino onorario di San Pietro Infine, comune a ridosso di Montecassino distrutto durante la Seconda guerra mondiale.
Il 14 marzo 2019 è stato onorato nel Giardino Virtuale del Monte Stella, con questa motivazione: Funzionario italiano delle Nazioni Unite ha operato in numerosi teatri di guerra. In particolare, nella Sarajevo assediata durante il conflitto balcanico, si è adoperato sotto i bombardamenti per ritrovare e mettere in salvo Rosaria Bartoletti, ultima italiana rimasta nella città bosniaca. Per questa ed altre azioni meritorie, ha ricevuto numerosi riconoscimenti.
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The Surge of India’s Ceramic Tile Industry: Growth, Export Trends, and Market Insights
The Indian ceramic tile industry has witnessed remarkable growth, positioning itself as a significant global player. In 2023, the market size of ceramic tiles in India surpassed INR 59,000 crores and is projected to reach INR 70,700 crores by 2025, driven by a robust CAGR of 13.6%. This impressive growth underscores India’s evolving role as a key exporter in the global tile market. This article delves into the dynamics of the Indian ceramic tile export sector, highlighting market trends, top exporters, and essential steps for accessing export data.
1. India’s Ceramic Tile Export Landscape
Growth Trajectory
India’s ceramic tile industry has shown substantial progress over the years. In 2013, India ranked as the ninth-largest tile exporter globally, with exports totaling approximately 55 million square meters. By 2023, India had ascended to become the world's second-largest exporter, with ceramic tile exports reaching 589.5 million square meters. Notably, more than half of these exports were directed outside of Asia, indicating India’s expanding global reach.
Key Export Destinations
India’s ceramic tiles are primarily exported to:
United States
United Arab Emirates
Iraq
These markets are significant due to their large construction and renovation sectors, which drive demand for high-quality ceramic tiles.
Product Categories
Among the various types of tiles exported, porcelain tiles dominate the market, constituting 72% of the total exports. In 2023-24, India exported 423 million square meters of porcelain tiles. Other notable types include glass tiles, travertine tiles, ceramic tiles, encaustic tiles, metal tiles, and carving tiles.
2. Leading Tile Exporters in India
Several companies have emerged as major players in the Indian ceramic tile export market. They are known for their extensive range of products and commitment to quality. Here are some of the top exporters:
Bluetone Impex LLP
Jyoti Ceramic Industries Pvt. Ltd.
Nitco Limited
Regency Ceramics Ltd
Kajaria Ceramics Limited
Murudeshwar Ceramics Limited
Italia Ceramics Pvt. Ltd.
Home Decor Ceramics Complex
These companies have established strong international networks, ensuring the efficient and reliable export of ceramic tiles.
3. Understanding Ceramic Tiles HS Codes
To facilitate the export process, it’s essential to understand the Harmonized System (HS) codes for ceramic tiles. These codes classify the different types of tiles and their specific characteristics. Here are the HS codes for some commonly exported ceramic tiles from India:
6907: Unglazed ceramic flags and paving, hearth, or wall tiles
69071010: Vitrified tiles, whether polished or not
69079010: Vitrified tiles, whether polished or not
6908: Glazed ceramic flags and paving, hearth, or wall tiles
69081090: Other
69089020: Ceramic mosaic tiles
For detailed information and to access a comprehensive list of HS codes, Eximpedia.app is a valuable resource.
4. Steps to Obtain and Utilize Export Data
Determine Target Market and Customer Base
Identifying the right market is crucial. Analyze regional demand for specific tile products and select designs that match local preferences.
Select a Reliable Export Partner
Choose an export partner who can efficiently handle logistics, customs clearance, and shipping. Evaluate partners based on their fees, reputation, and experience.
Acquire Required Licenses and Certifications
Ensure you have all necessary licenses and certifications for tile exports. The Directorate General of Foreign Trade (DGFT) typically issues these documents. Verify requirements before proceeding.
Prepare Necessary Documentation
Complete all required export documentation, including packaging lists, bills of lading, and commercial invoices. Verify with your export partner to ensure all paperwork is accurate and complete.
Utilize Reliable Export Data
Access up-to-date and accurate export data to make informed decisions. Platforms like Eximpedia.app offer comprehensive trade statistics and insights, helping businesses navigate the export landscape effectively.
5. Conclusion
India’s ceramic tile industry has made significant strides, emerging as a leading global exporter. Companies looking to enter or expand in this market must stay informed about trends, select reliable partners, and utilize accurate data to enhance their export strategies. Platforms like Eximpedia.app offer valuable tools and insights for navigating the complexities of the international tile market.
FAQ
Which is the largest exporter of tiles in India?
Bluetone Impex LLP and Kajaria Ceramics Limited are among the top exporters.
Which countries import tiles from India?
Major importers include the United States, United Arab Emirates, and Iraq.
Which country is best for tiles export?
Leading tile exporting countries are China, Spain, India, Italy, and Iran.
Who are the major tile importers in India?
Bluetone Impex LLP, Jyoti Ceramic Industries Pvt. Ltd., and Kajaria Ceramics Limited are notable importers.
With this comprehensive overview, businesses can better navigate the dynamic landscape of the Indian ceramic tile export market and leverage opportunities for growth and expansion.
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Mi chiamo Maysoon Majidi
Lettera dal carcere di Maysoon Majidi, l’attivista curdo-iraniana accusata di essere una scafista racconta il suo viaggio verso l’Italia: dalle persecuzioni del regime all’arresto
Mi chiamo Maysoon Majidi, sono nata il 29 luglio del 1996. Questa è la mia voce! Sono laureata in teatro e ho un diploma magistrale, sono attivista politica e membra dell’organizzazione dei diritti umani «Hana», partecipo al coordinamento dei Curdi in diaspora, sono attivista dei diritti delle donne e delle nazioni sottomesse. Quanto ai diritti dei rifugiati, ho sempre partecipato alle varie attività come organizzare le manifestazioni dell’Onu in Erbil (Iraq) dopo la morte di Behzad Mahmoudi, rifugiato politico. Ho svolto tante altre attività. Ho partecipato alle lotte del popolo curdo per sette anni.
NEL 2019 sono dovuta scappare dell’Iran con mio fratello e in Kurdistan irakeno ho lavorato in televisione. Negli ultimi due anni ho lavorato come reporter e giornalista indipendente. Nel corso della rivoluzione per «Jina-Mahsa Amini» ho organizzato la prima performance davanti alla sede delle Nazioni unite in Erbil e ho costruito il canale «Ack news» per pubblicare notizie in tempo reale. Sia io che mio fratello abbiamo ricevuto messaggi di minacce da parte del regime iraniano, così abbiamo dovuto lasciare l’Iraq, perché l’Onu ha evitato ogni appoggio, aiuto, protezione. Nell’agosto 2023, insieme ad altri attivisti, abbiamo pagato cinquemila euro per entrare in Turchia come rifugiati. Abbiamo dovuto camminare in mezzo alle montagne. In Turchia siamo rimasti a casa di una signora anziana per due giorni, poi siamo andati a Van e dopo cinque giorni abbiamo ricevuto i passaporti falsi. Da lì siamo andati a Istanbul con vari mezzi e macchine (essendo trascorso un anno, non ricordo tutti i dettagli). A Istanbul eravamo in 15 e siamo stati truffati (…). Ci hanno derubato dei soldi che avevamo pagato per venire in Italia, ci minacciavano, ci facevano violenze e dispetti continuamente.
SIAMO STATI abbandonati in Turchia per cinque mesi (da agosto a dicembre). In questo periodo chiedevamo l’aiuto economico dalla famiglia e dai parenti (…). Io e mio fratello abbiamo dovuto aspettare fino a dicembre per avere i soldi per venire in Italia (quasi 50mila euro). La mia famiglia ha dovuto vendere la macchina e la casa per recuperare questi soldi. Il 25 dicembre siamo andati all’hotel Aksara di Istanbul per partire verso l’Italia il giorno successivo. C’erano tanti altri passeggeri. (…) Finalmente il 26 dicembre, alle 18, insieme ad altre 30 o 40 persone, siamo stati trasferiti al porto di Izmir. Il 27 dicembre, insieme ai passeggeri di un altro camion, siamo arrivati in spiaggia, camminando in mezzo alle montagne per ore. Alle 12, dopo essere stati controllati e aver lasciato a loro i nostri cellulari, portando con noi uno zaino solo, divisi in piccoli gruppi, siamo stati trasferiti su una barca con i vaporetti. Ognuno di noi aveva solo uno zaino nero con le cose strettamente necessarie. La barca aveva tre camere piccole e un salone. Le donne e i bambini erano in una stanza e una cabina era per la famiglia (…). Gli uomini, la maggior parte dei quali erano afgani, stavano nel salone. C’erano tre bagni, uno per noi che si è rotto il primo giorno ed era fuori uso; (…) Nell’urgenza di andare in bagno dovevamo usare i sacchetti di plastica e poi buttarli fuori. A causa della situazione terribile, si vomitava spesso. Il motore della barca si rompeva continuamente (…). Si è rotta anche la pompa e l’acqua entrava in barca; i ragazzi dovevano svuotarla con i cestini che scaricavano fuori.
IL MIO CORPO diventava sempre più debole per ilo mal di mare. Mi girava la testa. Mi sono accorta che mi sono venute le mestruazioni. Sono andata in bagno per controllare. Era vero, ma non riuscivo a trovare lo zaino per prendere l’assorbente. Sono tornata su per cercarlo e ho visto che si era seduto un uomo al posto mio. Ho provato di tutto e persino litigato, ma non si è spostato. Avevo la nausea e non riuscivo a respirare. Una donna, che è stata sopra tutto il tempo, maltrattava tutti, ha cominciato a sgridarmi. Io ho reagito a parole. Piano piano tutti hanno cominciato a urlare. Un uomo ha cercato di calmarmi e mi ha chiesto di sedermi su un pezzo di legno in fondo alla barca e ha detto che anche gli altri passeggeri potevano salire al piano superiore per respirare. (…) Il 30 dicembre sono rimasta nell’ultima stanza vicino alle donne e ai bambini. L’odore del bagno era così forte che si sentiva dal piano di sopra. Il 31 dicembre ci hanno detto che eravamo nel mare libero e non c’era più il rischio di essere visti dai poliziotti, quindi si poteva andare su senza problemi. (…)
TUTTI SI LASCIAVANO il vero nome e i contatti di Instagram. Era finito il viaggio e si vedeva la costa italiana. Nella mattinata nebbiosa di dicembre hanno calato la barchetta gonfiabile in acqua. Tutti felici hanno cominciato a filmare e mandare i messaggi per far sapere che erano in salvo. Pure io, seduta sul legno, ho mandato un messaggio e i selfie con mio fratello alla famiglia. A causa del freddo, la lingua tremava e ho dovuto ripetere il mio messaggio vocale più volte. (…) Cinque minuti dopo aver mandato il video, hanno detto che cinque persone dovevano scendere come siamo saliti all’inizio! Siamo stati nominati io e mio fratello (…).
PENSAVO CHE tutto fosse andato bene, ho cominciato a fare le foto ai funghi cresciuti per terra, agli alberi, alla natura e poi ci siamo fatti alcuni selfie. A causa del mio sanguinamento da mestruazione, un uomo curdo mi portava lo zaino. Non c’eravamo ancora allontanati, quando ho sentito un rumore da dietro! Ho visto un’ombra dietro agli alberi! Appena ho chiamato gli altri, sono usciti i poliziotti, mi sono spaventata vedendoli, perché pensavo che ci picchiassero (come i poliziotti bulgari) e per quello ho subito detto che eravamo rifugiati: «Aiutateci!» Sono diventati tanti. Prima ci hanno chiesto di mostrare cosa portassimo nei nostri zaini e poi ci hanno perquisito. Uno di loro mi ha aperto l’hotspot dal suo cellulare per accedere a internet e così sono riuscita a cercare il mio nome online e fargli vedere alcune foto delle mie attività. Poi sono riuscita a comunicare con loro tramite traduttore digitale. Ho spiegato che siamo attivisti politici, e che la persina con me è mio fratello: «Siamo iraniani e non vorremmo restare in Italia. Siamo diretti in Germania». Lui mi ha scritto col traduttore digitale che dovevo stare calma. E che loro ci avrebbero trasferito in un campo solo per farci riposare e aiutarci. Poi ci avrebbero lasciati liberi di andar via. Li ho ringraziati.
Dopo ci hanno trasferiti in un parcheggio scoperto. Ci siamo aggregati agli altri passeggeri che erano arrivati prima di noi. Abbiamo fatto la coda per farci fotografare e per la registrazione dei nostri dati sensibili. Hanno distribuito acqua e biscotti. Mi sono seduta in un angolo con mio fratello. Il poliziotto e il mediatore mi hanno chiesto chi guidasse la barca. Ho risposto: «Non lo so». (…) Il mediatore ha ripetuto la domanda: «Chi comandava sulla barca?» (…) Ho risposto: «Non so». Sono andati via. Poco dopo, ci hanno chiesto di salire su un bus bianco. (…) Avevo i piedi gonfi e le scarpe sporche e bagnate. Le ho tolte e lavate. Poi sono andata fuori a sedermi. (…) A quel punto sono venuti ad arrestarmi. Non riesco ancora a capire il perché.
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Ma che muti... sono tutti qua a fare eco alla propaganda dell'IDF (o dell'AIAD).
E noi qua in Italia sembra abbiamo i peggiori.
Nemmeno appunto in Israele o in US i media sono così schierati.
Che differenza c'è se in Ungheria hai un Orban che censura i media e qua hai dei media a pecora?
Però guai se fai notare che, se succedono queste cose in Israele o in Iraq, un po' è anche colpa nostra che abbiamo appunto una democrazia posticcia costruita sulle balle, allora sei un pacifinto nemico dell'occidente.
Quando i peggiori nemici dell'occidente sono loro che giorno dopo giorno inamidano una società costruita sulle balle, dove anche i giornali di "sinistra" rilanciano per settimane la notizia del commercialista diventato felicemente rider o della cameriera che fonda un franchising di poke, ma dove non c'è più mobilità sociale e quelli che parlano di meritocrazia sono Renzi e Calenda (srly?).
E alla fine... chi ti ritrovi al governo... un cognato o un Pillon... che parla né più né meno come un fondamentalista islamico... o appunto un Netanyahu e finisce che la colpa è tua... perchè non sei stato abbastanza "moderato", amico della NATO, non hai tifato abbastanza l'imPRENDITORIA patria.
E finirà che se non riescono più a nascondere bene il merdaio che stanno difendendo... al limite sarà colpa di Netanyahu, come se questa serpe non l'avessero allevata loro, così come si sono allevati un Orban o a suo tempo i Talebani.
E io pago. E uno pagherebbe volentieri se servisse a qualche cosa, così come non trovavo disdicevole che secchiate di soldi europei andassero ai paesi dell'ex patto di Varsavia... ma mentre si diceva che ci andavano per la democrazia, appunto ci siamo allevati gli Orban [*].
E oggi dobbiamo portare la democrazia nella striscia e eliminare Hamas... come se appunto non fosse stato proprio Bibi a sponsorizzare la presa di potere di Hamas nella striscia.
E io pago, ma sono pacifinto e nemico dell'occidente.
E poi trovi la gente che dice... "dov'erano le femministe quando...". Eh signora mia... ma io le tasse le pago qua, mica in Iran e se proprio vogliamo andare a vedere... sono stati i miei genitori a pagare le tasse per far si che la rivoluzione iraniana fosse indirizzata verso una teocrazia anzichè il socialismo e prima ancora a mettere il potere nelle mani dello Shah.
Quindi no... non è che le femministe erano distratte... ma a te che ti riempi la bocca di "pacifinto" amico dei terroristi, di sicuro non si può dare in gestione l'esportazione della democrazia, tanto meno dell'emancipazione femminile o delle pari opportunità. E sono 30 anni che predichi una cosa ma i risultati sono l'esatto opposto.
[*] e finchè si doveva sbandierare il fallimento del socialismo reale a favore del capitalismo finanziato a sbafo con i soldi europei, allora potevamo prendere lezioni di austerity pure dall'Ungheria... ma poi...
e chiaramente... la colpa è di Orban... non del fatto che all'imPRENDITORIA europea andava bene così. Rimodernare l'est europa a spese dei cittadini europei per poter accedere a un mercato del lavoro molto più economico.
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6 Grados de Separación - El Queso Oaxaca
El queso Queso conecta a México con Iraq. Esta comida llegó a Egipto y fue inventada para durar más largo. Después de que comercio llegó a Creta, la gente de Grecia comió el queso con frita ensalada con miel porque beber leche solo es considerar bárbaro. Esta comida venir de la antigua Roma, donde los quesos son especiales y saborizado a recetas en Italia.
En Italia, el mozzarella queso se hace con leche de búfala por religiosas gente. Cuando algunas gentes emigran a América, ellos llevaron esta técnica a México. En México, la receta fue adoptada y se usó leche de vaca.
6 Grados de Separación - La Virgen de Guadalupe
La Virgen de Guadalajara está conectada desde México a el sur de Turquía donde la escultura de la virgen maría permaneció escondido hasta su traslado a Roma. El Papa utilizó a la oscura virgen María para poner terminar a una epidemia.
Más tarde la figura fue agarrar a Sevilla, fue honrada hasta que los musulmanes invadieron la tierra. Así que, la escultura fue escondido en el territorio de Al-Andalus. Los españoles llevaron a la Virgen María a México.
PREGUNTA DE BONUS
En mis años estudiando español, lo que más me gusta son los profes crear los juegos y las canciones para aprender la gramática que necesito recordar. Pero no me gustaba aprender español porque sentía que nada de eso fue relevante para la pan de cada día, hasta que conocer a personas yo las que necesitaba conversar porque no hablan inglés. Después de cuatro años, algunos palabras atascado con me y puedo tener conversaciones básicas con mi amigos. La gramática atascado con mi en la cabeza cada vez que encontraba palabras terminadas en -ada (que significa participio pasado) o -ra (que significa él/ella volverse). Esto mostrar que algunas cosas ayudan a hacer mi español más eficiente y expandir las pistas de contexto para entender vocabulario.
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Situazione internazionale nel roleplay con la mappa:
-Tunisia governata dal leader nazionalista,socialista e antisemita Marwan Ibn Youssef che ha annesso anche l'Algeria tramite un esercito piccolo e rapido sconfiggendo l'esercito grande e lento algerino
-Libia governata dal presidente libico Fayez el-Badri insieme al governatore Felix Foster portando un fascismo in versione libica-italiana ma quest'ultimo agisce in modo anche sionista essendo un ammiratore del sionismo
-Stati Uniti governati dal presidente statunitense democratico James Sawyer che sta cercando in modo per punire le violazioni compiute da Marwan Ibn Youssef senza essere costretto ad agire con l'invasione per non rischiare di rovinarsi la reputazione e di rafforzare la propaganda distorta dei sostenitori di Marwan
-Israele governata dall'ala destra israeliana di Benjamin Netanyahu che rimane ostile ad Hamas ma è in segreta comunicazione con la Libia
-Palestina rimane divisa tra Hamas e Fatah, nulla cambia
-Iraq è governato dal presidente sciita iracheno Hussein Mounes che impedisce qualsiasi ritorno al potere dei baathisti impedendo qualsiasi tentativo di riconciliazione agendo per gli interessi dell'Iran
-Iran è governato dal 14essimo imam sciita Abu Qasim Muhammad e dal primo ministro iraniano Akram Reza, assistono Siria,Hamas,Hezbollah e Iraq con le loro politiche nazionaliste e antisioniste
-India è governato dall'ala destra indiana e nazionalista Gokul Charan che si è alleato militarmente con Marwan Ibn Youssef e rimane ostile per il Pakistan per motivazioni di nazionalismo e sopravvivenza
-Afghanistan è governato dal leader talebano Jalal Haqqani che continua a comportarsi in modo misogino ostile alle donne afghane ma collabora con gli Stati Uniti di James Sawyer contro ISKP
-Italia ha un ruolo minore tramite i servizi segreti per aiutare il futuro ribelle libico Muhammad al-Husseini per rovesciare il regime di Felix Foster e suggerimenti su come limitare i sostenitori di quest'ultimo per impedire un ennesimo colonialismo, dove mettere il corpo di Felix Foster e fare una piccola riconciliazione ma sempre in modo moderato con un futuro successore di Felix Foster se Muhammad al-Husseini non vuole rischiare di diventare autoritario a sua volta
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