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Laurea e lavoro: dove si guadagna di più? Crescita salariale nei settori e Paesi chiave
Neolaureati: stipendi in crescita in Europa, ma l’Italia arranca nel confronto globale
Neolaureati: stipendi in crescita in Europa, ma l’Italia arranca nel confronto globale Il mercato del lavoro per i neolaureati sta vivendo una trasformazione significativa, con differenze marcate a livello internazionale in termini di crescita salariale. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio sul capitale umano di Mercer, tra il 2021 e il 2024 si è registrata una crescita importante degli…
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LE DISUGUAGLIANZE SALARIALI DIMINUISCONO IN DUE TERZI DEI PAESI DEL MONDO
Le disuguaglianze salariali stanno diminuendo su scala globale ed in particolare in circa due terzi dei Paesi del mondo.
Dall’inizio degli anni 2000 la disuguaglianza salariale – la differenza tra i livelli salariali alti e quelli bassi – è diminuita ad un tasso medio compreso tra lo 0,5 e l’1,7 per cento annuo nei Paesi che hanno realizzato politiche attive per l’attenuazione delle differenze salariali. Negli ultimi due decenni le diminuzioni più significative si sono verificate nei Paesi a basso reddito, con una variazione media annuale compresa tra il 3,2 e il 9,6 per cento. Nei Paesi a reddito medio-alto la riduzione annuale si è attestata ad un tasso compreso tra lo 0,3 e l’1,3 per cento, mentre il tasso di riduzione per i Paesi ad alto reddito è stato tra lo 0,3 e lo 0,7 per cento.
Il nuovo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro rileva inoltre che a livello globale i salari sono cresciuti più rapidamente dell’inflazione negli ultimi anni. Nel 2023 i salari reali sono cresciuti dell’1,8 per cento con proiezioni di crescita del 2,7 per cento per il 2024. Si tratta dell’incremento più significativo degli ultimi 15 anni. Questi risultati segnano un recupero significativamente positivo, soprattutto se comparati con la crescita negativa dei salari dello 0,9 per cento osservata a livello globale nel 2022, periodo durante il quale gli alti tassi di inflazione hanno superato la crescita dei salari nominali.
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Fonte: International Labour Organization; immagine di Towfiqu Barbhuiya
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Nuovi occupati: luci e ombre di un mercato del lavoro in evoluzione
Tasso di occupazione in aumento, ma ancora indietro rispetto alla media UE: l'Italia si posiziona al secondo posto in Europa per crescita di nuovi occupati, con un incremento del 1,5% nel 2023 rispetto all'anno precedente. Un dato positivo che, seppur incoraggiante, non deve far storcere il naso di fronte ad alcune criticità strutturali che persistono nel mercato del lavoro italiano. Nuovi occupati: numeri in crescita ma divario con l'Europa ancora ampio Nonostante la crescita registrata, il tasso di occupazione in Italia rimane ancora lontano dalla media europea: solo il 66,3% della popolazione tra i 20 e i 64 anni risulta infatti occupata, contro una media UE del 75,3%. Un divario di quasi 9 punti percentuali che evidenzia la necessità di ulteriori sforzi per colmare il gap con i principali paesi europei. Malta al primo posto, Italia seconda: A precedere l'Italia nella classifica per crescita di nuovi occupati troviamo Malta, con un incremento del 1,6%. Seguono poi Germania, Portogallo e Cipro, con tassi di crescita rispettivamente dell'1,4%, 1,3% e 1,2%. Donne e giovani: le categorie più avvantaggiate Tra i dati più interessanti emerge la crescita dell'occupazione femminile, con un aumento di 0,9 punti percentuali contro lo 0,6% degli uomini. Bene anche la performance dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che registrano un incremento del 2,4%. Economia circolare: un settore trainante per l'occupazione: L'Italia si distingue come seconda in Europa per numero di occupati nel settore dell'economia circolare, con ben 517.000 addetti. Un dato che conferma il ruolo strategico di questo settore per la ripresa economica e la sostenibilità ambientale del Paese. Lavoro precario e divario salariale: le sfide da affrontare: Nonostante i dati positivi in termini di crescita occupazionale, permangono criticità come la diffusione del lavoro precario e la persistenza di un divario salariale tra uomini e donne. Secondo l'INPS, nel 2023 il 20,2% dei lavoratori in Italia era impiegato con contratti atipici. Il divario salariale di genere, invece, si attesta al 2%, con le donne che guadagnano in media il 2% in meno degli uomini a parità di mansioni. Investire in formazione e istruzione? Per consolidare la crescita occupazionale e centrare gli obiettivi europei in termini di tasso di occupazione, è necessario investire in formazione e istruzione. Bisogna creare un sistema che permetta di sviluppare le competenze necessarie per i nuovi lavori emergenti e per facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro, soprattutto per le categorie più fragili. La crescita di nuovi occupati in Italia rappresenta un segnale positivo, ma non basta per parlare di una vera e propria ripresa del mercato del lavoro. Perseguire gli obiettivi di inclusione sociale e di competitività economica richiederà un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti, a partire da politiche mirate al sostegno delle categorie più fragili e all'ammodernamento del sistema formativo. Solo con un'azione sinergica e lungimirante sarà possibile costruire un futuro lavorativo più solido e inclusivo per tutti. Foto di Karolina Grabowska da Pixabay Read the full article
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Attenzione, però. Non è così per tutti. Ci sono stipendi che sono cresciuti, tenendo più o meno il passo con l’inflazione. E altri che sono rimasti fermi, in cui i dipendenti si sono via via impoveriti. Molto dipende dal settore in cui si lavora. Come ha scritto Marco Leonardi sul Foglio, quando si parla di salari bassi in Italia occorre distinguere: si tratta dei salari dei servizi e del pubblico impiego, e non dei salari dell’industria. Dal 2001, gli stipendi sono aumentati del 75 per cento nell’industria, mentre nella pubblica amministrazione e nei servizi solo del 45 per cento. Trenta punti in meno. Se guardiamo agli ultimi tre anni, l’aumento dei salari nell’industria tedesca e francese è simile a quello dell’industria italiana. Mentre nella pubblica amministrazione e nei servizi è molto maggiore.
Si pensi agli insegnanti. Secondo l’ultimo rapporto Eurydice, la retribuzione annuale lorda di un docente italiano è di circa 24mila euro, contro i 28mila dei francesi e i 54mila dei tedeschi. I bassi salari italiani sono quindi legati soprattutto alla crescita dei servizi poco qualificati e alla dinamica stagnante dei salari del settore pubblico, che abbassano drasticamente la media.
I contratti nazionali in molti casi non adeguano i salari all’inflazione realizzata (ex post) ma stabiliscono già prima l’aumento dei salari nei tre anni seguenti (ex ante). Il dato a cui fanno riferimento sindacati e associazioni datoriali per fissare l’aumento è l’inflazione prevista dall’Istat per i tre anni successivi (indice Ipca, depurato dai beni energetici). Ma, soprattutto con l’impennata inflazionistica degli ultimi anni, questo meccanismo non ha retto. Le retribuzioni in media nel periodo 2020-2023 sono salite dell’8 per cento, mentre l’inflazione cresceva del 17 per cento. Certo, questo fenomeno ha contribuito a contenere l’inflazione, ma con conseguenze dolorose sui salari.
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Vola il dividendo ma crolla il potere d’acquisto dei lavoratori
Negli ultimi 3 anni gli utili distribuiti agli azionisti dalle aziende quotate italiane a maggiore capitalizzazione sono aumentati, mentre le buste paga dei dipendenti del settore privato, tenendo conto dell’inflazione, si sono alleggerite. Guardando al resto del mondo, negli stessi anni a cavallo della pandemia in 31 Paesi i dividendi, aggiustati per l’inflazione, sono saliti del 45% (+195 miliardi di dollari), mentre i salari reali sono cresciuti in media solo di poco più del 3%. E, se si esclude la Cina, in media le retribuzioni hanno lasciato sul terreno il 3% del loro valore reale. “Ciò fa sì che milioni di lavoratori non riescano ad uscire dal circolo vizioso della povertà e ad assicurare un livello di esistenza dignitosa per sé e per le proprie famiglie”, commenta Misha Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. “Una palese ingiustizia, sintomatica di un sistema economico che ricompensa più la ricchezza che il lavoro”. Ampliando l’orizzonte temporale, in Italia i salari nominali tra il 1991 e il 2022 sono saliti del 107,5% ma in termini reali sono rimasti pressoché invariati, mostrando una crescita di appena l’1%. Un arretramento che nel 2022 ha collocato l’Italia in 22esima posizione tra i Paesi Ocse per il livello dei salari medi annuali reali: 13 posizioni in meno rispetto al 1992. “La moderazione salariale è un problema macroscopico del mercato del lavoro italiano”, commenta Maslennikov. “Altri problemi strutturali riguardano i ritardi occupazionali rispetto ad altre economie avanzate, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e amplia le fila dei working poor. Purtroppo il governo non sembra intenzionato ad affrontare i tanti nodi irrisolti. Con il suo mantra del ‘più assumi, meno paghi’ non attribuisce alle politiche industriali il ruolo prioritario per lo sviluppo della buona occupazione, ma lo lascia alle convenienze economiche e fiscali delle imprese. La scelta di liberalizzare ulteriormente i contratti a termine e il lavoro occasionale rischia inoltre di rafforzare le trappole della precarietà. L’accesa opposizione al salario minimo legale denota poi un disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti”. La ricerca arriva anche alla conclusione che l’1% più ricco della popolazione globale, che possiede il 43% degli asset finanziari, si è messo in tasca nel 2023 una cifra media di 9mila dollari, pari a 8 mesi di stipendio di un lavoratore medio (dati Organizzazione internazionale del lavoro). La forte concentrazione dei redditi da capitale in molti Paesi comporta tra l’altro che la crescita dei dividendi allarghi la disuguaglianza interna dei redditi. I dati, secondo Oxfam, confermano l’allarme lanciato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro sulla diffusione crescente della povertà lavorativa su scala globale: quasi 1 lavoratore su 5 percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà di 3,65 dollari al giorno (a parità di potere d’acquisto) e i salari del 66% dei lavoratori nei Paesi a basso reddito non superano tale soglia. I dati sugli utili distribuiti sono tratti dal Janus Henderson Global Dividend Index, che monitora i dividendi versati agli azionisti dalle 1.200 società più grandi al mondo per capitalizzazione di mercato (pari al 90% del monte dividendi globale). Read the full article
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In attesa dei dati il costo del denaro resta invariato
Bce, quando ci sarà il taglio dei tassi? Ecco cosa ci insegna il passato. L’inflazione core sembra l’indicatore più rilevante, ma i cicli di riduzione del costo del credito sono accompagnati da moderazione salariale o una recessione in arrivo. Cosa manca, per il primo taglio? La banca centrale europea ha preso tempo in quella riunione di marzo che - secondo gli analisti più ottimisti, forse troppo ottimisti – avrebbe dovuto segnare la prima riduzione del costo ufficiale del credito. La presidente Christine Lagarde ha chiaramente detto che la Bce ha bisogno, per decidere, di nuovi dati che non arriveranno però in tempo per il prossimo appuntamento dell’11 aprile. Gli analisti puntano quindi alla riunione del 6 giugno. L’attesa dei dati I dati sono la chiave. La Bce ha a disposizione più indicatori degli osservatori esterni e, soprattutto, modelli sofisticati ed economisti di elevate competenze in grado di valutarli. Un osservatore esterno deve limitare la sua analisi, ma può essere in ogni modo interessante capire a che livello fossero alcuni indicatori economici e che quale fosse la loro tendenza. Giovedì 7 marzo, nell’immediatezza della decisione di non tagliare i tassi – per esempio – Standard & Poor’s ha pubblicato una propria laconica nota, nella quale Sylvain Broyer, capo economista per l’area Emea ricordava che «da quando la BCE si occupa di definire i tassi d’interesse per l’Eurozona, li ha abbassati 21 volte, e mai quando l’inflazione core era al di sopra del 2,2%. Oggi l’inflazione core è al 3,1% e non scenderà sotto il 2,2% prima dell’estate. A meno che non si verifichi un imprevisto che influisca sulla crescita o sulla stabilità finanziaria, un taglio dei tassi della Bce a giugno è quindi lo scenario più probabile». I cicli dei tagli dei tassi Più che le singole occasioni di tagli dei tassi è forse più interessante valutare i cicli di riduzione del costo del credito. Se si esclude il primo taglio di aprile ’99, presto corretto, ce ne sono stati tre, nella storia della Bce: il primo è iniziato a maggio 2001, quando il tasso di riferimento è stato portato dal 4,75% al 2%, livello raggiunto nel giugno 2003; il secondo a ottobre 2008, quando è calato dal 4,25% all1% di maggio 2009, e il terzo a novembre 2011, quando è sceso dall’1,5% fino a quota zero, nel marzo 2016. Ci si può chiedere, allora, quale fosse la situazione di Eurolandia in occasione di ognuno di questi punti di svolta (di cui il terzo fu, in realtà, la correzione di un rialzo “sbagliato”). Cambiamenti strutturali Una premessa è necessaria. È chiaro che la situazione di Eurolandia si è profondamente, strutturalmente modificata, da allora. Soprattutto dopo il 2008, quando i grafici mostrano un vero e proprio smottamento, mai recuperato davvero. Nel senso che la velocità del trend di crescita è irrimediabilmente diminuita: anche il successivo recupero è stato soltanto parziale. Una circostanza, questa, rilevante anche per l’andamento dell’inflazione. La frenata strutturale della crescita, però, rende qualsiasi punto di riferimento del passato troppo generoso, e non troppo rigido, per la situazione attuale. Situazione che prevede un’inflazione di febbraio al 2,6%, un’inflazione core al 3,3%, prezzi dei servizi in rialzo del 3,9%, un deflatore del pil in crescita del 5,3% annuo e salari negoziati in crescita del 4,5% nel quarto trimestre 2023 e una disoccupazione al 6,4% a gennaio. Il primo ciclo di tagli Il primo ciclo di tagli, da maggio 2001 a giugno 2003, fu reso necessario dalla stagnazione iniziata nel secondo trimestre del 2001. L’inflazione, in quel periodo, non era bassa. Era balzata fino al 2,7% ad aprile – l’ultimo dato conosciuto al momento della decisione di ridurre i tassi - piuttosto rapidamente in seguito all’introduzione dell’euro fisico. Si portò poi al massimo del 3,1% proprio nel mese di maggio, e dopo essere calata al 2% a novembre, risalì nuovamente fino al 2,6% di gennaio 2002. Anche il deflatore del pil, la misura più ampia di inflazione “domestica” (non pesata, però, in base alla frequenza degli acquisti), era in rialzo e raggiunse il +2,8% annuo a fine 2001 per poi calare e risalire dal secondo trimestre 2003 (quando il ciclo si concluse). La Bce ignorò però l’andamento altalenante dell’inflazione e continuò a tagliare il costo ufficiale del credito. I dati “core” furono disponibili solo da gennaio 2002 e oscillarono per qualche mese attorno alla media del 2,5% per poi scendere fino al 2% e rimanerci a lungo. I prezzi dei servizi, disponibili da dicembre 2001, oscillarono invece intorno alla media del 3% durante tutto il ciclo di tagli. I salari negoziati risultavano però in crescita stabile al 2,7% - compatibile con l’inflazione e un moderato aumento strutturale della produttività - per tutto il periodo. Fu questo, probabilmente, il fattore che tranquillizzò la Bce; insieme alla disoccupazione che salì molto lentamente dall’8,5% all’8,7 per cento. Il secondo ciclo di tagli Il secondo ciclo di tagli, da ottobre 2008 a maggio 2009, coincise con la Grande recessione. La Banca centrale europea ci arrivò con un evidente errore: a luglio 2008, in seguito all’aumento del petrolio al record di 146 dollari al barile, decise di alzare i tassi convinta, anche dalle rivendicazioni salariali in Germania, che i rischi sui prezzi fossero diventati maggiori su quelli della crescita. A dominare, a ottobre, furono soprattutto considerazioni di stabilità finanziaria. L’inflazione complessiva era a settembre 2008 – l’ultimo dato disponibile al momento della decisione – al 3,6%, ma scese poi in modo rapido, e soprattutto prevedibile, in conseguenza della riduzione dell’attività economica: a dicembre era all’1,6%, a maggio 2009 a quota zero. Successivamente passò in territorio negativo, fino al -0,6% di luglio. L’inflazione core passò dal 2,6% all’1,5% al termine del ciclo di tagli ma continuò poi a calare fino a portarsi allo 0,7% a febbraio 2010. Non molto lontano l’andamento dei servizi: dal 2,6% al 2,1%, per poi calare fino all’1,2% di aprile 2010. Il deflatore del pil sembrava meno surriscaldato: era al +2,3% a giugno, prima di iniziare un rapido calo. I salari negoziati spiegano l’errore di luglio della Bce: dalla crescita del 2,9% del secondo trimestre 2008 si portarono al +3,4% nel terzo trimestre e al +3,6% nel quarto per poi scivolare al +1,4% del terzo trimestre del 2010. La disoccupazione salì costantemente dal 7,9% di ottobre 2008 (era al 7,3% a marzo), si portò fino al 9,6% di maggio 2009, alla fine del ciclo, e al 10,4% di aprile 2010. Il terzo ciclo Il terzo ciclo, iniziato nel novembre 2011 e terminato a marzo 2016, può anche essere considerato una continuazione del secondo, interrotto da un altro “errore” della Bce che, fuorviata da un rialzo del petrolio, aveva iniziato ad aprile 2011 ad alzare i tassi portandoli dall’1% fino all’1,50% di luglio per poi farli scendere di nuovo all’1% a dicembre 2011. Anche in questo caso pesarono considerazioni di stabilità finanziaria: la crisi fiscale di Eurolandia, che nel 2011 cominciò a mordere davvero, riportando Eurolandia in recessione. Al momento del primo taglio l’inflazione complessiva era al massimo locale del 3% ma successivamente scese fino al 2% di gennaio 2013 e sottozero a dicembre 2014. L’inflazione core era però decisamente più bassa: al massimo locale del 2% al momento del primo taglio, prima di iniziare la flessione. I prezzi dei servizi erano in crescita dell’1,8% e toccarono un massimo al 2% a dicembre 2011, il mese successivo al taglio. Il deflatore del pil era molto “freddo���, intorno al +1,1% all’inizio del ciclo. Sul fronte del mercato del lavoro, i salari negoziati erano in crescita del 2% nel terzo trimestre 2011 e accelerarono fino al 2,2%, un livello non preoccupante, di dicembre 2012, quando l’inflazione era già scesa al 2,2%; poi iniziarono anch’essi una lunga frenata. La disoccupazione, al 10,5%, continuò a salire: a gennaio 2013 era al 12,2 per cento. E oggi? Le conclusioni non sono difficili. L’inflazione complessiva appare meno rilevante di quella core (e persino del deflatore del pil, che però arriva in ritardo), mentre l’enfasi sui servizi che la Bce mostra oggi sembra essere legata al fatto che questi prezzi sono l’anello mancante perché l’indice di fondo si normalizzi. Una tendenza alla riduzione dell’attività economica – la recessione nel 2008 e nel 2011 – che porti con sé un raffreddamento dei prezzi e, nel tempo, dei salari permette di ignorare dati meno propizi, mentre durante una “semplice” stagnazione, come nel 2001, occorre qualcos’altro che prometta di tenere freddi i prezzi; per esempio che salari e mercato del lavoro non mostrino tensioni tra domanda e offerta. Oggi la Bce ha un’inflazione core – sostenuta dalla sola componente servizi – ancora troppo alta, e un mercato del lavoro che mostra salari troppo veloci e una disoccupazione troppo bassa. Qualcosa deve ancora cambiare perché si crei un equilibrio dinamico che favorisca una stagione di tagli. Read the full article
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Il 15 febbraio, presso l'Auditorium Carlo Donat-Cattin a Roma, si è svolto il Consiglio generale della Cisl Lazio guidata da Enrico Coppotelli, in cui è stata presentata la ricerca "Il Lazio attraverso la lente della Cisl: Come sono cambiati i redditi da lavoro e da pensione nella nostra regione". Il Segretario Generale della Cisl, Luigi Sbarra, ha concluso l'evento, sottolineando le sfide economiche e le criticità emerse dallo studio. La ricerca, condotta in collaborazione con il Caf Cisl Lazio, ha analizzato l'evoluzione dei redditi da lavoro e pensione, rivelando un motore della crescita economica ingolfato. Le ragioni strutturali e globali evidenziate si traducono in numeri che registrano soglie di povertà in alcune province, con diverse persone incapaci di raggiungere uno standard di vita minimo. Il contesto economico italiano, già sotto stress nel 2019, ha subito ulteriori contraccolpi a causa della pandemia, collassando comparti economici e aggravando la situazione per artigiani, piccoli imprenditori e commercianti. La crisi ha rivelato vulnerabilità strutturali, tra cui impianti di produzione obsoleti, tasse elevate, eccesso di concorrenza, e ha creato un divario di competitività rispetto ad altri paesi dell'area euro. Nonostante le turbolenze globali, il sistema economico non si è completamente ripreso nel 2021/22. Il conflitto russo-ucraino e quello israelo-palestinese hanno contribuito all'aumento dei costi energetici e alla scarsità di materie prime. Sebbene nel 2023 queste ultime siano tornate disponibili, l'inflazione ha impedito un aumento significativo dei consumi, contrarre la produzione industriale. I dati Istat di dicembre 2023 mostrano una flessione dell'inflazione allo 0,6%, rispetto all'11,6% di dicembre 2022. Tuttavia, il Rapporto Coop 2023 rivela una cautela dei consumatori, con solo l'11% degli italiani che prevede di aumentare i consumi e il 36% che intende ridurli. Importanti settori come le compravendite immobiliari e l'acquisto di auto e prodotti high-tech hanno registrato un arresto. La ricerca si concentra sull'impatto di queste dinamiche nazionali sulle famiglie e i lavoratori del Lazio. Nonostante alcune variazioni positive nei redditi, si evidenziano disparità a livello regionale e provinciale. Le tipologie contrattuali non dipendenti mostrano un incremento maggiore (+10%), mentre le famiglie numerose diminuiscono significativamente (-37,5%). Il segretario generale, Enrico Coppotelli, commenta che la Cisl del Lazio sta agendo su breve, medio e lungo periodo per ridurre il divario salariale di genere e migliorare il potere d'acquisto. Luigi Sbarra invece ha concluso sottolineando la necessità di rinnovare i contratti, aumentare la copertura di lavoratori, rilanciare la sanità pubblica e avviare una discussione sulla riforma delle pensioni, puntando a separare previdenza da assistenza.
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Scioperi dei trasporti sospesi: accordo vicino con i sindacati
Di Simone Platania @ItalyinLDN @ICCIUK @ItalyinUk @inigoinLND Dopo più di un anno di braccio di ferro gli scioperi dei trasporti sono stati sospesi: accordo vicino con i sindacati e Tfl. Scioperi dei trasporti sospesi: accordo vicino con i sindacati Gli strikes che hanno colpito e dovevano colpire i trasporti su rotaia di Londra durante il mese di gennaio sono stati sospesi. Ad annunciarlo è stato proprio l'RMT (National Union of Rail, Maritime and Transports Workers), il sindacato dei lavoratori del settore trasporti. Pare quindi arrivata una luce infondo al tunnel dopo più di un anno di braccio di ferro tra sindacati e governo che ha portato a enormi disagi per i pendolari londinesi. Pare infatti che siano stati fatti passi in avanti nelle trattative con TfL (Transports for London) ovvero l'azienda cardine che gestisce i trasporti pubblici della capitale britannica. In principio l'azione di protesta mossa da macchinisti, tecnici e lavoratori era stata indetta di fronte alla proposta di un aumento salariale del 5%, rifiutata perchè ritenuta inadeguata a causa dell'inflazione in crescita. L'offerta del 5% era stata descritta da TfL come "il massimo che possiamo permetterci". Cosa è cambiato quindi? Come riporta la Bbc, il sindacato ha dichiarato che un "intervento" del sindaco di Londra ha permesso di riaprire le trattative sui salari. Il segretario generale della RMT, Mick Lynch, ha dichiarato: "A seguito di ulteriori discussioni positive, le trattative per un accordo salariale per i nostri membri della metropolitana di Londra possono ora svolgersi su una base migliore e con un mandato, grazie alla disponibilità di ulteriori fondi significativi per un accordo". Ciò significa che le azioni di sciopero programmate saranno sospese "con effetto immediato". Il sindaco di Londra Sadiq Khan, che a quanto pare ha avuto un ruolo determinante nello sbloccare lo stallo, si è detto "lieto" che l'azione sindacale sia stata revocata. Scampato un danno da 50 milioni di sterline. Cosa succede ora? Un portavoce di TfL ha dichiarato che la società non può permettersi di più rispetto all'offerta salariale originale del 5%, ma è stata "informata che il sindaco è in grado di fornire fondi aggiuntivi". Pare proprio quindi che il sindaco Khan abbia avuto un ruolo fondamentale al tavolo delle discussioni. E conclude dicendo che "ora ci incontreremo con i rappresentanti di tutti i sindacati per concordare il modo migliore di utilizzare questi fondi per risolvere l'attuale controversia." UK ... Continua a leggere su www.
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Napoli, comune e scuole avviano un progetto per il contrasto alla violenza e agli stereotipi di genere
Napoli, comune e scuole avviano un progetto per il contrasto alla violenza e agli stereotipi di genere Il Comune di Napoli avvia una sinergia con le scuole cittadine per contribuire al contrasto della violenza di genere e al superamento degli stereotipi. Il progetto educativo "Coscienza Comune" è stato presentato questa mattina dall'assessora all'Istruzione e alle Famiglie Maura Striano, dall'assessora allo Sport e alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante e dalla consigliera comunale Anna Maria Maisto, presidente della Consulta delle Elette, nel corso di un incontro con i dirigenti delle scuole cittadine che si è tenuto nella Sala Giunta di Palazzo San Giacomo. Il progetto è stato promosso dalla Consulta delle Elette e ha l'obiettivo di accompagnare studentesse e studenti in un percorso che porti ad una presa di coscienza dei ruoli e delle relazioni di genere, inquadrandoli nel contesto storico, sociale e culturale. Si punterà, inoltre, al raggiungimento di una maggiore consapevolezza rispetto alle forme di violenza economica, fisica o psicologica che si possono innestare in un quadro di relazioni non corrette. La decisione di coinvolgere direttamente le scuole nasce da un'analisi sugli stereotipi di genere tra i giovani. L'indagine sullo "Stato dell'adolescenza 2023" condotta dal Cnr segnala come solo il 22,2% degli adolescenti sia esente dalla stereotipia di genere, mentre il 29,3% ne presenta un medio-alto livello e il 48,5% un basso livello. L'aspetto formativo è determinante al fine di creare quella "Coscienza Comune" che non è solo un antidoto alla violenza di genere, i cui casi si ripetono con drammatica frequenza, ma anche uno stimolo ad una crescita socio culturale ed economica. Basti pensare al divario salariale tra uomini e donne e alla scarsa presenza di donne in numerosi ambiti delle attività umane come dimostra il gender gap che si registra in Italia per quanto riguarda le lauree STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Non a caso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza inserisce la parità di genere tra le priorità dell'asse strategico dell'inclusione sociale. Nel progetto "Coscienza Comune" saranno coinvolte studentesse e studenti delle scuole secondarie di I e II grado. Gli istituti scolastici che aderiranno potranno approfondire una specifica tematica tra coscienza di sé, coscienza storica, critica, pubblica e civica. Insieme agli esperti del Comune, inoltre, dovranno co-progettare delle azioni o dei prodotti creativi (rappresentazioni teatrali, cortometraggi, reportage giornalistici, mostre, flash mob) che sintetizzino le riflessioni svolte sulla tematica scelta. Le attività laboratoriali nelle scuole si svolgeranno da gennaio a maggio. Previsti anche incontri tematici con esperti. A giugno prossimo ci sarà una rassegna dei prodotti finali. "Avviamo un percorso che abbiamo chiamato 'Coscienza comune' perché – ha spiegato l'assessora Striano – consente ai ragazzi di prendere coscienza di quelli che sono gli stereotipi di genere e di quelle che sono le conquiste che le donne hanno raggiunto nella storia, ma anche del rischio di perdere tutto quello che è stato ottenuto. Realizziamo insieme alle scuole dei progetti i cui risultati saranno condivisi con gli istituti partecipanti e saranno poi messi a disposizione anche delle altre scuole". "Rispetto al fenomeno della violenza di genere – ha osservato l'assessora Ferrante – abbiamo capito che oltre ad attivare tutte le forme di tutela per le donne che ne sono vittime, si deve intervenire molto prima se si vuole interrompere il fenomeno. Ci sono episodi che sono forme di violenza che, però, non tutti i bambini e i ragazzi riconoscono come tali. È importante, quindi, parlare con loro e lavorare con la loro sensibilità". "Questo progetto – ha spiegato la consigliera Maisto – è stata una delle prime proposte che ho presentato come Presidente della Consulta delle Elette e il suo avvio dimostra la sensibilità politica e soprattutto umana dell'Amministrazione Manfredi rispetto a temi che sono una piaga della nostra società come la violenza sulle donne e la disparità di genere. È un progetto che mira alla prevenzione perché solo prevenzione e repressione insieme possono tentare di risolvere questo problema. Bisogna entrare nelle scuole e formare i giovani al rispetto della libertà dell'altro".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Agenda 2030: Punto 8 - Lavoro dignitoso e Crescita economica
Lavoro dignitoso e crescita economica sono due obiettivi fondamentali dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. L'obiettivo n. 8 dell'Agenda 2030, infatti, mira a promuovere una crescita economica sostenibile e inclusiva, a creare opportunità di lavoro dignitoso e a garantire una protezione sociale adeguata per tutti. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario affrontare alcune delle principali sfide che riguardano il mondo del lavoro. Tra queste sfide, troviamo la disoccupazione, l'informalità del lavoro, la mancanza di diritti e di protezione sociale per i lavoratori, la discriminazione di genere e l'ineguaglianza economica. In molti paesi, la disoccupazione è un problema crescente, soprattutto tra i giovani. Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), nel 2020 il tasso di disoccupazione globale è stato del 5,7%, con 197,7 milioni di persone senza lavoro. La pandemia da COVID-19 ha ulteriormente aggravato la situazione, causando la perdita di milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Per affrontare la disoccupazione e promuovere una crescita economica sostenibile, è necessario creare opportunità di lavoro dignitoso e garantire una formazione professionale adeguata per i lavoratori. Inoltre, è importante promuovere l'imprenditorialità e sostenere le piccole e medie imprese, che sono un motore importante dell'economia globale. L'informalità del lavoro è un'altra sfida importante che riguarda il mondo del lavoro. Molte persone lavorano in condizioni informali, senza un contratto di lavoro o senza diritti e protezione sociale adeguati. Secondo l'ILO, nel 2020 il 61% della forza lavoro globale è impiegato nel settore informale. Per affrontare l'informalità del lavoro, è necessario promuovere la formalizzazione delle attività economiche e garantire la protezione sociale per tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di lavoro che svolgono. Inoltre, è importante garantire l'accesso all'istruzione e alla formazione professionale per tutti i lavoratori, in modo da migliorare le loro opportunità di carriera e di lavoro dignitoso. La discriminazione di genere è un'altra sfida importante che riguarda il mondo del lavoro. In molti paesi, le donne hanno meno opportunità di lavoro e di carriera rispetto agli uomini, e guadagnano meno per lavoro uguale. Secondo l'ILO, nel 2020 il divario salariale di genere a livello globale è stato del 16%. Per affrontare la discriminazione di genere, è necessario promuovere l'uguaglianza di genere e garantire le stesse opportunità di lavoro e di carriera per uomini e donne. Inoltre, è importante garantire la protezione sociale per le donne che lavorano, inclusi i congedi di maternità e di paternità. Infine, l'ineguaglianza economica è un problema crescente in molti paesi, con alcune persone che accumulano enormi ricchezze mentre altre vivono in povertà estrema. Secondo Oxfam, nel 2020 il 1% più ricco della popolazione mondiale possedeva più del doppio della ricchezza del 6,9% più povero. Per affrontare l'ineguaglianza economica, è necessario promuovere una distribuzione più equa della ricchezza e garantire una protezione sociale adeguata per tutti i cittadini. Ciò può essere realizzato attraverso politiche fiscali progressive, come l'aumento delle tasse sulle grandi ricchezze e sui redditi più elevati, e attraverso politiche di ridistribuzione della ricchezza, come i trasferimenti sociali e i programmi di sostegno al reddito. Inoltre, è importante promuovere un'equa distribuzione delle opportunità di lavoro e di formazione professionale, in modo da garantire che tutti i cittadini abbiano le stesse possibilità di sviluppare le proprie competenze e di accedere a lavori dignitosi e ben remunerati. Per raggiungere l'obiettivo n. 8 dell'Agenda 2030, è necessario un forte impegno da parte dei governi, delle imprese e delle organizzazioni della società civile. Ciò richiede un coordinamento efficace tra i vari attori, nonché la collaborazione internazionale per affrontare le sfide globali che riguardano il mondo del lavoro. Inoltre, è importante coinvolgere attivamente i lavoratori e le loro organizzazioni nella definizione delle politiche e delle strategie per il lavoro dignitoso e la crescita economica. Ciò garantirà che le politiche siano pertinenti alle esigenze e alle preoccupazioni dei lavoratori e che vengano adottate soluzioni sostenibili e inclusive. In conclusione, il lavoro dignitoso e la crescita economica sono essenziali per lo sviluppo sostenibile e per garantire una vita dignitosa per tutti i cittadini. Affrontare le sfide che riguardano il mondo del lavoro richiede un forte impegno e una collaborazione tra i vari attori, nonché una forte volontà politica per promuovere politiche e soluzioni sostenibili e inclusive. Solo attraverso l'impegno collettivo possiamo garantire un futuro più equo e sostenibile per tutti. Read the full article
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Globalizzazione
Siamo a fine degli anni 80, le multinazionali scalpitano per uscire dai confini nazionali, rivendicano la possibilità di poter collocare i propri prodotti da un capo all’altro del mondo senza vicoli di sorta. Raggiungono il loro obiettivo ma poi scoprono che il grande mercato mondiale non esiste: solo il 30-35% della popolazione terrestre ha i soldi per acquistare i loro prodotti. Finisce che le imprese si lanciano in una concorrenza feroce basata anche sulla riduzione dei prezzi. Costrette a ridurre i prezzi si ingegnano per ridurre anche i costi, così il lavoro finisce sono attacco: automazione, trasferimenti di produzione nei paesi a bassi salari, lavoro precario malpagato…
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Due sono eclatanti: 1. l’esplosione della finanza, cioè la massa salariale scende, le prospettive di vendita si riducono e diventa inutile investire in nuove attività produttive. Meglio buttarsi nella speculazione con la compravendita di immobili e titoli, non importa se veri o fasulli. 2. l’esplosione del debito, cioè quando le buste paga si fanno leggere, il rischio è che non si chiuda più il cerchio fra ciò che si produce e ciò che si vende. Per ritrovare stabilità servirebbe una più equa distribuzione della ricchezza ma al sistema questa prospettiva non piace. La parola d’ordine diventa indebitamento. a tutti vengono offerti mutui, acquisiti a rate, prestiti al consumo, insomma una vita al di sopra delle proprie possibilità. Tutto è filato liscio finché i tassi di interesse sono rimasti bassi, ma quando c’è stata l’inversione di tendenza molte famiglie non ce l’hanno più fatta e l’intero castello è crollato. Fallimenti bancari, fondi di investimento che si volatilizzavano… Nel 2008 il sistema ha dovuto ammettere lo stato di crisi e ha chiesto ai governi di intervenire. Per risollevare banche e imprese sono stati stanziati miliardi di euro. Dal 2008 a oggi abbiamo vissuto una crisi costante e si è aggiunta anche una pandemia.
Per evitare il tracollo dovremo passare dall’economia della crescita, all’economia del limite, dall’economia dell’avidità all’economia dei diritti, equa, sostenibile e solidale, capace di garantire a tutti un’esistenza dignitosa nel rispetto del pianeta.
#globalizzazione#sostenibilità#decrescita#debito#disuguaglianza#speculazione#crisi#economia solidale
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Che ripresa è se i lavoratori poveri sono sempre di più? Ci sono sempre più lavoratori poveri e indebitati a causa dei bassi salari, della precarietà, del part-time involontario, dei contratti truffa, della dinamica salariale spinta verso il basso dalle privatizzazioni e del rincaro di tariffe e beni essenziali. Di Federico Giusti per La Città Futura. Come si misura la povertà lavorativa? Una domanda di non facile risposta, per quanto l’esperienza comune insegni a giudicare poveri quanti non percepiscono un salario adeguato a supportare le esigenze personali e familiari. (...)È povero chi lavora meno di sette mesi all’anno; è povero chi non va oltre un contratto part-time; sta diventando povero anche chi ha un full-time ma con contratti nazionali di riferimento che prevedono una bassa paga oraria. La povertà delle famiglie non riguarda più solo i nuclei monoreddito o con figli a carico. Sovente a non arrivare in fondo al mese è il lavoratore che fino a 10 anni fa poteva definirsi privilegiato, con un posto fisso e contratto full-time. Ogni considerazione sulla povertà riporta la mente alla figura sociale del lavoratore o pensionato indebitato, costretto a continui prestiti per far fronte a esigenze familiari e a spese insostenibili con la sua semplice fonte di reddito. Il debito non è solo un rapporto economico; resta anche una tecnica di controllo e di governo delle soggettività individuali e collettive. Chi contrae debiti è generalmente, per ovvi motivi, un soggetto ricattato e ricattabile, vive una situazione di inferiorità e un senso di colpa che poi è stato insinuato per anni nella nostra mente, una sorta di espiazione del debito pubblico, esploso fragorosamente nel corso degli ultimi anni per salvare il sistema finanziario privato, che diviene il giusto pretesto per abbattere le spese sociali e quelle pensionistiche. Nei 40 anni di politiche neoliberiste, il lavoratore indebitato è divenuta figura di massa, indebitato rispetto alle banche per onorare prestiti atti all’acquisto della prima casa, a ripagarsi le spese universitarie o sanitarie (specie laddove istruzione e sanità pubblica non funzionano), a coprire le spese per un’assicurazione privata o semplicemente arrivare a fine mese. (...) E se oggi gli stipendi sono leggeri, anzi leggerissimi, lo saranno anche le pensioni di domani tra vuoti contributivi e un sistema di calcolo dell’importo previdenziale alquanto svantaggioso per i bassi e medi salari, in primis i precari e le precarie. Going for Growth 2021, Ocse a Italia: crisi sta aggravando le disuguaglianze Il lavoratore indebitato vive una situazione paradossale: subisce la crescita dei carichi di lavoro ma percepisce salari del tutto insufficienti, vive sulla sua pelle la colpevolizzazione tipica della miseria vissuta con senso di vergogna, percepisce una sostanziale inadeguatezza, un fallimento esistenziale. La povertà non è solo economica ma etica e morale, tanto che ciascuno di noi nasce già con un fardello di debiti da pagare (ma specularmente c’è chi – pochi – nasce con un cospicuo credito!). Potremmo sintetizzare l’intero ragionamento nel luogo comune secondo il quale si vive per lavorare e pagare i debiti. E il fardello del debito pubblico per anni è stato scaricato sulle nostre spalle per sviluppare un senso di colpa diffuso che alla fine impedisce di avanzare rivendicazioni forti in termini di salari, pensioni e servizi. (...) Secondo noi serve un radicale cambiamento di prospettiva che non potrà essere quello di adeguarsi alle politiche fiscali, previdenziali e occupazionali della Ue o dei paesi a capitalismo avanzato. Bisogna osare e pensare in maniera radicalmente diversa da come si è fatto nel recente passato, aggredire le cause economiche e sociali della miseria e per farlo bisogna uscire dal moderatismo salariale ed economico che ha instillato nella classe lavoratrice il senso di colpa tipico dell’uomo indebitato. Perché, a scanso di equivoci, colpe noi non ne abbiamo. La Città Futura
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Luca Ricolfi: Signorili si nasce
un Paese diventato società signorile di massa e che vive al di sopra delle proprie possibilità. Ma fino a quando?
(...) Ricolfi, La società signorile di massa si regge su tre pilastri. Il primo è la ricchezza accumulata dalle generazioni dei nonni e dei padri: come hanno fatto ad accumularla? Le condizioni fondamentali che nel secondo dopoguerra hanno permesso di accumulare ricchezza sono essenzialmente tre. La prima è la disponibilità della popolazione a fare sacrifici in vista di benefici futuri, un fattore che è venuto meno già verso la fine degli anni ‘70. La seconda è la contenuta pressione fiscale, di cui abbiamo smesso definitivamente di beneficiare dalla metà degli anni ’80 in poi. La terza è il cocktail di svalutazioni competitive e indebitamento pubblico, che ha drogato la crescita economica nel ventennio 1972-1992. Quest’ultimo fattore è venuto meno con gli accordi di Maastricht (1992) e l’ingresso nell’euro (1999).
Salvo forse quella della pressione fiscale, che in teoria potrebbe scendere un po’, anche se difficilmente al livello dei primi anni ’80 (sotto il 35%, contro il 42% di oggi). (...)
Secondo pilastro su cui regge la società signorile di massa è la distruzione della scuola, che in sostanza ha prodotto e produce incolpevoli velleitari totalmente impreparati al lavoro. È un punto in cui ho rivisto un po’ de la Teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura. Cosa è andato storto? Si studia troppo o troppo poco? Ci si laurea “male”? La Teoria della classe disagiata è probabilmente il testo più profondo, e libero da preconcetti ideologici, che io abbia letto sull’Italia di oggi, e sui giovani in particolare. Su questo punto, quello della condizione giovanile, il quadro che dipinge Ventura ha molti punti di contatto con quello che ho provato a tracciare io, una prima volta in un capitolo de L’enigma della crescita (Mondadori 2014), poi ne La società signorile di massa (La Nave di Teseo 2019). Lei mi chiede che cosa è andato storto, e dove si è sbagliato nella scuola. A me pare che gli errori capitali siano due, uno antico e mai corretto, l’altro moderno e orgogliosamente rivendicato. L’errore antico è la svalutazione della cultura scientifica e del sapere pratico, un errore che – più che uno sbaglio vero e proprio – è un aspetto della nostra mentalità e della nostra cultura, che è sempre rimasta fondamentalmente e romanticamente anti-industriale e anti-moderna. L’errore più recente, invece, è la scelta di tutti – politici, insegnanti, genitori – di abbassare gli standard dell’istruzione, sia nel senso di diluire i programmi (più nell’università che nella scuola) sia, soprattutto, di abbassare l’asticella della sufficienza.
In concreto questo ha significato tre cose. Primo, svalutare e disincentivare la formazione professionale. Secondo, favorire gli studi più facili o ritenuti tale, a scapito delle materie scientifiche e delle materie umanistiche più impegnative come latino e greco. Terzo, rilasciare titoli di studio fasulli, illudendo i giovani di essere pronti per mestieri che la maggior parte di loro non era preparato a svolgere. Con una conseguenza drammatica: ai ceti subalterni è stata tolta l’unica risorsa – la cultura – che avrebbe loro permesso di competere sul mercato del lavoro con i ceti medi e alti.
Terzo pilastro è “l’immigrazione incontrollata, che ha favorito la formazione di un’infrastruttura para-schiavistica”. Ma a questo punto non converrebbe gettare la maschera? E accettare apertamente quanti più migranti possibile proprio per metterli in queste condizioni paraschiavistiche e proseguire nella nostra – infame, per carità – vita da rentier? È quello che sta succedendo. I ceti popolari non amano gli immigrati perché li vedono – realisticamente – come concorrenti nell’accesso ai servizi pubblici, come rivali nella conquista dei pochi posti di lavoro disponibili con conseguente dumping salariale, come minacce alla sicurezza nelle periferie e nei quartieri degradati. I ricchi e i ceti medi, invece, li vedono un po’ cinicamente come candidati ideali ad occupare le posizioni più umili nella scala sociale: braccianti, muratori, magazzinieri, facchini, badanti, camerieri, lavapiatti, per non parlare dei servizi illegali, come lo spaccio di sostanze, la prostituzione, il gioco d’azzardo illegale. (...)
Un portato abbastanza inevitabile in un Paese che consuma ma non produce è la decrescita: difficilmente quella sarà “felice”. Come potrebbe decrescere l’Italia? Io vedo una grande continuità fra governi di destra e di sinistra, fra governi europeisti e populisti. E anche fra Conte 1 e Conte 2. Nessuno dei governi degli ultimi dieci anni ha seriamente affrontato i due problemi cruciali dell’Italia, l’esplosione del debito e la produttività ferma da vent’anni, tutti hanno preferito cercare consenso aumentando la spesa pubblica piuttosto che restituendo ossigeno all’economia. La verità, temo, è che in Italia il “partito del Pil”, che vorrebbe far ripartire la crescita, è maggioranza nel Paese ma non nei palazzi della politica, dove a prevalere sono le spinte assistenziali. (...)
Quando ci sveglieremo dal nostro sogno signorile? Io credo che una parte minoritaria ma non trascurabile dei cittadini italiani già oggi si renda conto, più o meno confusamente, che viviamo in una società signorile, e che questa condizione non può durare. Tuttavia penso anche che questa minoranza sia destinata a restare tale, perché la maggioranza non ha la minima intenzione di risvegliarsi dal sogno, e la lentezza del nostro declino le permette di nascondere la testa sotto la sabbia.
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Aumento stipendi nel settore pubblico: ci sarà?
Una notizia che ha fatto eco in tutto il Paese: i dipendenti pubblici italiani vedranno presto aumentare le loro buste paga e i loro stipendi. Questa decisione, insieme a precedenti iniziative green come l'incentivazione al risparmio energetico, evidenzia un tentativo di cambio di rotta nella gestione delle risorse umane nel settore pubblico. Stipendi in crescita: ecco chi ne beneficia L'ambito educativo ha visto una serie di misure mirate all'incremento salariale. Al centro delle decisioni, l'anzianità di servizio si presenta come un criterio fondamentale: - Docenti di Scuole Superiori: Con meno di otto anni di servizio, l'insegnante percepirà un bonus una tantum di 829,19 euro lordi. Mentre per chi vanta un'anzianità tra i 28 e i 34 anni, l'incremento salariale sarà di 1.228,10 euro. - Scuole Medie Inferiori: Gli insegnanti di questa categoria potrebbero vedere un incremento fino a 1.168 euro. - Scuole Elementari e Materne: Per questi docenti, il range di incremento varierà tra 765,60 e 1.056,20 euro. Il settore sanitario non è stato trascurato. Con uno stanziamento di 2,3 miliardi di euro per la rinnovazione contrattuale e ulteriori 700 milioni destinati ad alzare le retribuzioni, si punta a ridurre le liste d'attesa. Le previsioni per le assunzioni future nel settore sono altrettanto promettenti, con 250 milioni stanziati per il 2025 e 350 milioni per il 2026. Ripartizione delle risorse e prospettiva future Non solo il settore educativo e sanitario ha beneficiato di queste misure. I fondi sono stati distribuiti in maniera ampia, toccando diversi angoli dell'amministrazione pubblica. Tra i beneficiari, figurano impiegati di ministeri, forze dell'ordine (tra cui esercito e polizia), il settore della difesa e vari organismi statali, come Inps e autorità fiscali. Paolo Zangrillo, responsabile della Pubblica amministrazione, ha sottolineato la volontà di procedere con celerità. L'auspicio è che il beneficio economico possa essere assegnato già a partire da novembre. Un investimento iniziale di 2 miliardi di euro darà il via a questa iniziativa, con una particolare attenzione alle dinamiche degli enti locali. Mentre gli stessi possono contare su un sostegno economico, la condizione posta è che i bilanci risultino equilibrati. Queste misure segnano un passo significativo nella valorizzazione del lavoro pubblico in Italia. Si tratta di un investimento che, oltre a riconoscere il valore dei professionisti al servizio della comunità, punta a rafforzare l'efficienza e la qualità dei servizi offerti alla cittadinanza. Con una visione a lungo termine e un occhio di riguardo verso chi opera quotidianamente per il bene comune, l'Italia scommette sul futuro. Iniziative passate: Risparmio energetico come focus L'anno scorso, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha introdotto una misura che promuove la responsabilità energetica tra i dipendenti pubblici. Di fronte all'aumento dei costi della luce e del gas e al suo impatto sulla Pubblica Amministrazione, l'idea era semplice ma efficace: convertire il risparmio energetico in benefit per i dipendenti. In base a una circolare del 11 ottobre dell'anno scorso, i dipendenti che hanno adottato pratiche energetiche efficienti sul luogo di lavoro avrebbero ricevuto benefit personalizzati, un tentativo di coinvolgere attivamente i 3,2 milioni di dipendenti della Pubblica Amministrazione nella missione nazionale di riduzione del consumo energetico. Inoltre, il documento "Dieci azioni per il risparmio energetico" del Dipartimento ha delineato la proposta di premiare quei dipendenti che hanno assunto comportamenti ecologicamente responsabili. Le linee guida per la distribuzione di tali premi sono state stabilite con l'ausilio di un fondo di 320 milioni di euro fornito dal Ministero per la Transizione Ecologica. In un'epoca in cui la crescente attenzione verso l'ambiente e la sostenibilità si intreccia con le sfide economiche, queste iniziative rappresentano un segno positivo dell'impegno continuo del governo a favorire un cambiamento positivo attraverso politiche incentivate. FONTE: https://www.prontobolletta.it/ Read the full article
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Passi indietro
http://m.espresso.repubblica.it/attualita/2020/01/17/news/lavoro-donne-passo-indietro-1.343156
[...] la povertà delle donne [...] assume caratteristiche aggiuntive: il part time e la retribuzione oraria inferiore rispetto all’uomo. Due fattori che si intersecano con un terzo grosso problema, che travalica il genere: quello dei salari bassi. In Italia il 28,9% dei lavoratori dipendenti guadagna meno di 9 euro lordi l'ora, si apprende dall’ultimo rapporto annuale di INPS del luglio scorso. Non basta parlare genericamente di “donne che lavorano” se l’unica crescita che riguarda il lavoro femminile è il part-time.
[...] nel 2018 la metà delle donne con due o più figli fra i 25 e i 64 anni non lavora. Nel 51% delle famiglie meridionali con figli lavora solo l’uomo, e lo stesso avviene nel 40% delle famiglie senza figli. Al centro e al nord siamo intorno al 30%.
http://lariscossa.com
Negli ultimi anni infatti si è registrato un incremento del 30% di casi di mobbing da maternità, 4 mamme su 10 si trovano costrette a rassegnare le dimissioni per il mobbing post parto, ma i casi che si trasformano in denunce sono pochissimi. Dati drammatici che non possono comunque contenere l’intero fenomeno, dal momento che queste ingiustizie si consumano spesso nel silenzio delle vittime che, per timore di ritorsioni o per non compromettere ulteriormente la propria situazione lavorativa, decidono di tacere.
Tra i comportamenti vessatori adottati nei confronti delle donne al rientro dalla maternità, spiccano il demansionamento, ovvero la non corretta riallocazione della lavoratrice al suo rientro in azienda, oppure la minaccia di trasferimento in altra città o l’assegnazione a turni incompatibili con la condizione di neomamma, ma perfettamente previsti dal contratto. Emarginata a causa delle insorte esigenze che per il padrone rappresentano nient’altro che un freno alla produttività, ad esempio i permessi per allattamento o la richiesta di orari migliori, la lavoratrice viene così indotta a lasciare il proprio impiego.
[...] mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, alle donne delle classi popolari viene riservato di sommare alle fatiche della gravidanza anche quelle del lavoro, trattate come merci in un momento della vita in cui la tranquillità dovrebbe essere la condizione primaria.
[...] il reddito guadagnato dalle donne è in media del 24% inferiore a quello degli uomini. In particolare, il divario salariale tra uomo e donna cresce sino a toccare il 40% per le lavoratrici con un basso livello di istruzione. Doveroso anche osservare che il 42,1% delle casalinghe in Italia vive in una coppia con figli e il motivo principale per cui le giovani casalinghe non cercano un lavoro retribuito è familiare nel 73% dei casi.
Una disuguaglianza che ha la punta dell’iceberg nel gap salariale: nel lavoro dipendente le donne sono pagate il 23% in meno rispetto agli uomini, percentuale che sale al 29% per il lavoro autonomo e al 38,5% tra le lavoratrici più istruite. [...]
Tutto questo accade in un mercato del lavoro in cui l’occupazione femminile è al 49,5%, contro il 68,5% di quella maschile, nonostante siano più istruite degli uomini (63% le diplomate, 58,8% i diplomati).
La disoccupazione femminile è al 10,4%, contro l’8,4%, numero che potrebbe sembrare relativamente basso, se non fosse che le donne, soprattutto le giovani (15-24 anni), scivolano rapidamente dalla disoccupazione all’inattività. Questa a fine 2018 raggiungeva il 44,8% (25% per gli uomini).
Nonostante la costituzione garantisca la parità dei sessi e le leggi puniscano gli uomini violenti contro le donne, permane ancora la cultura e la mentalità della subordinazione sociale della donna all'uomo.
Non serve a nulla il cambiamento dei sessi ai vertici della società attuale, serve assolutamente rompere con questa società e con questo sistema economico, sociale e produttivo che crea disuguaglianze sociali, povertà, emarginazione, disoccupazione, degrado e delinquenza.
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Innovazione, Imprese e Territorio è l'evento andato in scena a Napoli
Successo di pubblico e di contenuti per l'appuntamento promosso dall' Associazione Nazionale Giovani Innovatori su Innovazione, Imprese e Territorio andato in scena nella straordinaria cornice di Villa Doria d'Angri. L'evento ha visto la partecipazione del gotha delle istituzioni europee, nazionali regionali e comunali. “Siamo particolarmente lieti del successo di questo importante appuntamento - commenta il Presidente dell’ANGI, Gabriele Ferrieri - Tutti i principali attori del territorio hanno risposto positivamente al nostro appello e si sono resi disponibili a seguire con noi un percorso di ulteriore crescita e sviluppo dell’ecosistema innovazione che metta al centro le eccellenze, i giovani e le imprese del Mezzogiorno. L’occasione di confronto è stata utile anche per creare un importante opportunità di dialogo tra università, istituzioni e imprese per mettere in luce case histories e best practise per la valorizzazione del territorio. Un grazie particolare al nostro delegato Francesco Zaccariello e a tutti i nostri partner che hanno reso possibile il successo di questa giornata”. “Dieci anni fa quando ho deciso di intraprendere la mia carriera imprenditoriale fondando eFarma e innovando così il settore farmaceutico, speravo un giorno di poter essere d'esempio a tanti giovani talenti del sud che vogliono investire nella nostra terra, ma che, ad oggi, hanno paura di reclutare risorse, di fare networking e di accedere a potenziali investitori. Essere qui oggi nelle vesti di delegato al sud di ANGI è un onore perché condividiamo gli stessi principi e insieme lavoreremo per valorizzare e fare conoscere le imprese del territorio, puntando ad attrarre investitori per il mondo startup e creando una rete formativa legata allo sviluppo digitale per le future generazioni. Il mio obiettivo sarà quello di far conoscere tutte le opportunità del Mezzogiorno che i giovani imprenditori oggi possono sfruttare come sgravi fiscali, agevolazione per gli investitori, costo salariale molto più basso per il semplice motivo che il costo della vita in generale è inferiore al resto d’Italia, turnover di personale minore rispetto ad altre realtà europee o semplicemente a Milano. Al sud disponiamo di tante opportunità da potere e dovere sfruttare, soprattutto in termini di capitale umano, abbiamo infatti tanti giovani talenti che non devono cercare nuovi stimoli altrove, ma devono essere invogliati a restare”. Così Francesco Zaccariello, Delegato ANGI per il Mezzogiorno. Ad aprire i lavori, il Prof. Antonio Garofalo Magnifico Rettore dell’Università Parthenope. A seguire Gabriele Ferrieri presidente ANGI, Francesco Zaccariello, nuovo Delegato ANGI per il Mezzogiorno e Antonio Cennamo Contamination Lab UniParthenope hanno illustrato la visione e linee guida sul percorso di valorizzazione e condivisione strategica con gli attori del territorio per mettere al centro dell’agenda i giovani, i talenti e le imprese per lo sviluppo e la crescita del Mezzogiorno. A seguire la voce delle istituzioni con Carlo Corazza Direttore Uffici Parlamento Europeo in Italia, Antonio Parenti Capo della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, Francesco Tufarelli Direttore Generale Presidenza del Consiglio, Valeria Fascione Assessore Ricerca, Innovazione e Start up Regione Campania, Pier Paolo Baretta Assessore al Bilancio del Comune di Napoli, Mario Aurilia Direzione generale per la politica industriale, l’innovazione e le PMI – MIMIT. Per l’Unione degli Industriali di Napoli, a portare i saluti del Presidente e la visione dei giovani imprenditori, Claudia Perillo con delega a Ricerca e Innovazione della GGI Napoli. A seguire è stato il momento delle imprese, delle startup e dei casi di open innovation che, sia dal territorio che a livello di ecosistema paese, hanno portato la loro preziosa testimonianza. In particolare la sessione a cura di Banca Sella con Villani Vincenzo – Responsabile Economia Digitale Banca Sella, Paolo Iasevoli Chief Communication Officer di Evja, Francesco Miracolo Agronomy Manager del Gruppo La Doria. A seguire la sessione a cura di EY con Riccardo Bovetti – Partner EY Italy, Deputy EY Private Italy Market Segment Leader, Fabrizio Perrone – Entrepreneur ed Angel Investor – Founder Buzzoole e 2WATCH, Francesco Abiosi – Studio Abiosi – Partner 012 Factory – Vicepresidente Commissione Sviluppo Attività Produttive, Ricerca ed Innovazione Ordine dottori commercialisti di Napoli, Roberto Morleo – CFO Pineta Grande S.p.A. Come voci del territorio, del mondo investitori, ulteriori associazioni (tra cui AIDP e Andaf), sono intervenuti Edoardo Imperiale Amministratore Delegato Campania Digital Innovation Hub – Rete Confindustria, Dott. Leopoldo Camajoni Direttore Generale Promit Spa, Matilde Marandola Presidente Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP), Ing. Federico Tammaro Presidente ANDAF Campania e Calabria, Lorenzo Castelli Cofounder e Managing Director Alchimia, Giovanni De Caro Co-founder UniVertis – Scuola di Finanza Operativa. Read the full article
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