#arte come simbolo di libertà
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Freedom: La scultura di Zenos Frudakis a Philadelphia che rappresenta la liberazione dell'anima. Un simbolo potente di libertà interiore ed emancipazione, la scultura "Freedom" di Zenos Frudakis è un'opera iconica che invita alla riflessione sul concetto di liberazione
La scultura Freedom di Zenos Frudakis, situata a Philadelphia, è un'opera d'arte che riesce a catturare l'essenza della liberazione dell'anima e della ricerca della libertà interiore.
La scultura Freedom di Zenos Frudakis, situata a Philadelphia, è un’opera d’arte che riesce a catturare l’essenza della liberazione dell’anima e della ricerca della libertà interiore. Questo capolavoro in bronzo è stato installato all’esterno dell’edificio dell’azienda GlaxoSmithKline, lungo la sede di Philadelphia, e rappresenta un messaggio universale che ha affascinato visitatori e residenti…
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La storia della Musica!!!!
Tre giorni di pace e musica. Tre giorni che hanno fatto la storia. Si celebra oggi il 51esimo anniversario del più grande evento di libertà, umanità e lotta pacifica: il Festival di Woodstock. Più che un concerto un pellegrinaggio, una fiera di arte e musica, una comunità, un modo di vivere che ha cambiato per sempre il concetto di libertà. Sul palco, a Bethel (una piccola città rurale nello stato di New York) si sono alternati per tre giornate alcuni tra i più grandi musicisti della storia. Musicisti che provenivano da influenze, scuole musicali e storie differenti ma che avevano in comune ciò che più contava in quei favolosi anni ’60: la controcultura.
Si passava dal rock psichedelico di Jimi Hendrix (che, pur di essere l’ultimo a esibirsi, salì sul palco alle 9 di lunedì mattina per un concerto di due ore, culminato nella provocatoria versione distorta dell’inno nazionale statunitense) e dei Grateful Dead ai suoni latini dei Santana (che regalarono un memorabile set, impreziosito dallo storico assolo di batteria del più giovane musicista in scena: Michael Shrieve) passando per il rock britannico di Joe Cocker (che regalò in scaletta le splendide cover di Just Like a Woman di Dylan e With a Little Help from my Friends dei Beatles) e degli Who all’apice della loro carriera (celebre l’invasione di palco dell’attivista Habbie Hoffman, durante il loro concerto, quasi quanto il lungo assolo di Pete Townshend durante My Generation, con lancio di chitarra finale).
C’era poi il folk, con una splendida Joan Baez su tutti, che suonò nonostante fosse al sesto mese di gravidanza, genere tipicamente statunitense che si alternava a suoni più esotici e orientali, come il sitar di Ravi Shankar. Impossibile dimenticare infine l’intensa performance della regina del soul Janis Joplin, la doppia esibizione (acustica ed elettrica) di Crosby, Stills, Nash e del “fantasma” di Neil Young, che rifiutò di farsi riprendere dalle telecamere e il divertente show dei Creedence Clearwater Revival.
1969, il ‘Moon day’ in musica..
Concerti che rimarranno nella memoria di chiunque ami la musica come simbolo di cambiamento, pace e libertà. D’impatto i presenti come pesanti furono le assenze di John Lennon, che si rifiutò di esibirsi per il mancato invito di Yoko Ono, Bob Dylan, padrone di casa (lui che all’epoca viveva proprio a Woodstock) assente per la malattia del figlio, i Rolling Stones, ancora scossi per la morte di Brian Jones e i Doors, alle prese con una serie infinita di problemi legali.
Il vero protagonista dell’evento fu però il pubblico, la “vera star” secondo l’organizzatore Michael Lang, eterogeneo quasi quanto i generi musicali. Da tutta America arrivarono studenti liceali e universitari, hippie, veterani del Vietnam, filosofi, operai e impiegati. Nessuna differenziazione di razza, etnia o colore della pelle: tutti uniti dalla voglia di stare insieme in libertà con il fango a livellare ogni diversità e i capelli lunghi come simbolo di ribellione. Un sogno che oggi sembra lontano anni luce, nelle ideologie come nell'organizzazione.
Da quel 1969 si è provato a più riprese a riproporre Woodstock, con scarsi risultati culminati nell'annullamento del concerto in programma per questo cinquantesimo anniversario, organizzato proprio da Lang e non andato in porto tra una defezione e l’altra, forse perché indigesto ai grandi organizzatori di eventi musicali mondiali. Forse, a conti fatti, meglio così: quell'atmosfera irripetibile era frutto di una spontaneità organizzativa di altri tempi, una magia fuori da ogni schema il cui risultato sensazionale, iconico e significativo fu chiaro solo anni dopo anche agli stessi partecipanti.
Vanni Paleari
PhWoodstock, 1969
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La Statua di Icaro Caduto, situata di fronte al Tempio della Concordia nella Valle dei Templi, ad Agrigento, in Italia, è un'opera contemporanea che contrasta con l'architettura classica della regione. Realizzata dallo scultore polacco Igor Mitoraj, la scultura in bronzo rappresenta il mitico Icaro disteso a terra, in una posa che unisce bellezza e tragedia. Il pezzo è stato progettato per evocare riflessioni sull'ambizione, sulla libertà e sui limiti umani. Secondo la mitologia greca, Icaro era il figlio di Dedalo, l'inventore che costruì ali fatte di piume e cera per sfuggire al labirinto di Creta. Nonostante gli avvertimenti del padre, Icaro volò troppo in alto, vicino al sole, che sciolse la cera delle sue ali, facendolo cadere in mare. Questa storia è spesso usata come simbolo dei pericoli dell'eccessiva ambizione e della disobbedienza. La presenza della statua moderna in un luogo storico come la Valle dei Templi crea un dialogo tra antichità e arte contemporanea, evidenziando temi universali che risuonano ancora oggi.
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Malak Mattar
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“Quando comincio una tela, provo a dipingere uomini, ma poi mi scappa la mano e si trasformano in donne”
Malak Mattar, artista palestinese, nata e cresciuta nella Striscia di Gaza che ha vissuto in prima persona quattro guerre.
La pittura è il suo mezzo per raccontare la resistenza e la lotta delle donne.
Ha scritto e illustrato libri per l’infanzia che narrano la sua storia e quella della sua gente.
Nata nel 1999, ha iniziato a dipingere a 14 anni, durante un attacco militare, per esorcizzare la paura e il dolore e da allora non si è mai fermata, ha già realizzato oltre cinquecento tele.
I suoi ritratti sono quasi esclusivamente femminili, donne con gli occhi sgranati che esprimono sofferenza individuale e tragedia collettiva.
Le sue protagoniste simbolo di forza, desiderio di libertà e resistenza in uno dei luoghi più difficili del mondo, costruiscono ponti di ottimismo e speranza.
Le sue opere sono uno strumento di lotta e denuncia, ma anche di esaltazione di bellezza, forza e passione. Rappresentano la vitalità di una nuova generazione che sperimenta un proprio percorso di ricerca e linguaggio, in un panorama artistico che non è certo in primo piano a livello internazionale.
Ha studiato alla Istanbul Aydin University e ha già esposto in diversi paesi del mondo, tra cui Inghilterra, Usa, Portogallo, Italia, Germania.
I motivi dei suoi dipinti spaziano da sentimenti profondi a visioni oniriche e concetti astratti.
Attraverso le sue immagini, il pubblico viene trasportato in un’oasi serena di calma, qualcosa che contraddice direttamente il tormentato contesto di assedio da cui scaturiscono.
Dipingere è il suo modo per evadere mentalmente dalla condizione in cui è costretta a vivere insieme al suo popolo. Non raffigura persone morte o palazzi distrutti ma immagini pacifiche, avvolgenti, donne che diventano case, nonne che diventano tende dove potersi nascondere.
Ha iniziato a pubblicare le sue opere sui social network diventando un’artista riconosciuta a livello internazionale senza essere mai uscita dal suo territorio.
Quando ha cominciato a essere invitata a esporre in tutto il mondo, non poteva accompagnare i suoi quadri: “Andavo all’ufficio postale per inviare le mie tele, e mi sentivo talmente strana pensando che loro erano più libere di me. Loro potevano viaggiare”.
Ha lottato con determinazione per andare a studiare in Turchia con una borsa di studio, ha subito umiliazioni alla frontiera egiziana, ma ha perseverato nel suo desiderio di libertà.
Nel 2021 ha pubblicato il suo primo libro, Grandma’s Bird, una storia autobiografica per bambini che descrive come una giovane ragazza di Gaza impara a controllare le sue paure attraverso la creatività, trovando la libertà anche sotto l’occupazione e, in definitiva, una via d’uscita dal mondo.
La sua voglia di comunicare attraverso la sua arte l’ha portata a ricevere consensi internazionali e a incontrare pilastri dell’emancipazione femminile come Angela Davis che ha partecipato a una sua mostra negli Stati Uniti.
Questa giovane donna ormai proiettata nel mondo, non dimentica da dove viene e cosa la sua gente sta vivendo in una condizione perenne di assedio e distruzione.
Le sue origini sono ben radicate nella sua ricerca artistica e nei messaggi che trasmette anche attraverso i suoi social.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
L'AUTONOMIA DELLA FAVOLA
Il primo sguardo riporta a un mondo di favola: avverto il senso vitale dell’affabulazione, l’estraniarsi dal quotidiano per accedere a un improvviso “fantastico” che, attraverso la libera contaminazione del colore, irrompe e assorbe ogni dramma riaprendo porte dimenticate dell’infanzia perduta dove tutto è netto, semplice, comprensibile, giustificato. Le immagini dell’infanzia, coltivate nel tempo come intuizione primigenia, sono il simbolo del carattere solare ed aperto con il quale si guarda la realtà dalla singolare e non più ripetibile prospettiva dei primi anni di vita, quando la consapevolezza dell’essere si trasforma in curiosità sull’essere. Quando conoscere significa interrogarsi. Quando le figure e gli oggetti sono sfumati, appena identificabili in tratti sintetici che colgono un atteggiamento, un ruolo, una funzione, l’essenza. Il ricordo ha colori forti ma morbidi, mischiati, irreali e tuttavia carichi di senso espressivo in una transizione che appare naturale dal blu al rosso al giallo al verde al nero ed al bianco, uniti e disuniti, affiancati senza ricercatezza di tonalità ma ispirati dalla densità e dalla prolungata applicazione delle pennellate di colore puro, piatto, senza sfumature… Ho detto pennellate parlando di ricordi. Ecco il lapsus che mi fa riemergere: parlavo dei ricordi ma ero entrato nel dipinto. Avrei desiderato essere lì. I "Fauves" utilizzarono il colore per distorcere il reale applicandolo agli scenari naturali, alle figure, agli oggetti, senza alcun rigore accademico. Era il loro modo di protestare l’assoluta libertà dell’artista e l’autonomia della creazione artistica. In senso più ampio, quella dei "Fauves" fu una forma di Espressionismo che trascendeva l’atto di ribellione identificando nell’uso spregiudicato del colore un nuovo significato, una nuova regola, un nuovo modo di comunicare. La tavolozza dei colori, paradossalmente, si semplifica, unitamente al segno sintetico che non ha più bisogno di modelli o della tecnica dell’en plein air perché, come in Gauguin, scaturisce dal ricordo delle immagini, da ciò che è frutto di una creazione interiore che la tela deve incaricarsi di rappresentare. Ed è il colore a colpire subito l'osservatore: possiede un’armonia, una musicalità che supera ogni distrazione verso il reale. Anzi, la realtà non esiste più perché è quella di una dimensione nuova, una dimensione nella quale l’opera pittorica è identità autonoma, distinta dai canoni tradizionali della visione e della rappresentazione. Ecco: la tela di Derain è una favola.
- Andrè Derain (1880 - 1954), “Curva della strada. L’Estaque” - 1906, Houston, Museum of Fine Arts
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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Rinascere in Ventiquattro Ore: continua il viaggio musicale di ANDROMEDA
Il nuovo singolo dell’artista in uscita il 31 gennaio 2025
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"In ventiquattro ore tutto può cambiare, si può cadere, ma ci si può anche rialzare." È con queste parole che ANDROMEDA annuncia l’uscita del suo terzo singolo inedito, Ventiquattro Ore. Questo brano segna una nuova pagina del racconto musicale iniziato con Ok, Goodbye e proseguito con Non hai bisogno di me, offrendo un ulteriore tassello del suo viaggio di rinascita personale e artistica.
Ventiquattro Ore rappresenta una tappa cruciale nel viaggio di rinascita personale e musicale di ANDROMEDA, alias Manuel Zamagni, un viaggio che attraverso la musica racconta il coraggio di affrontare se stessi, le proprie paure e le scelte più difficili della vita.
In Non hai bisogno di me, ANDROMEDA ha affrontato il momento doloroso di chiudere una relazione che, pur essendo stata un rifugio sicuro, aveva smesso di essere un luogo in cui crescere e respirare. Con Ventiquattro Ore, l’artista si sofferma su quel giorno cruciale in cui tutto cambia, quando la fine di quel legame diventa un punto di svolta, trasformando la sofferenza in una strada verso una nuova esistenza.
"Non era più amore, era paura di affrontare il vuoto, paura di ammettere che mi nascondevo dietro quella relazione per non guardare in faccia la realtà", spiega l’artista. E così, nel giro di “ventiquattro ore”, tutto si rompe, ma al contempo si apre la strada verso una nuova vita. Il dolore per la fine di un legame si mescola alla consapevolezza che spesso è necessario lasciar andare per poter davvero rinascere.
Musicalmente, il brano si caratterizza per un sound pop/dance moderno con influenze anni ’80, che richiamano artisti come Dua Lipa, Ariana Grande e The Weekend, creando un’atmosfera energica ma intrisa di malinconia. La produzione è affidata al Glow Up Studio di Nacor Fischetti, già batterista dei La Rua, mentre testi e melodie sono nati dalla collaborazione tra Manuel e Gloria Collecchia (Sugar Music).
Ventiquattro Ore è un nuovo tassello del progetto artistico e umano di ANDROMEDA, un EP che, pezzo dopo pezzo, racconta il viaggio di un ragazzo che ha deciso di smettere di vivere per compiacere gli altri, scegliendo invece la strada più difficile ma autentica: quella di essere sé stesso. Ogni brano rappresenta un capitolo di questo percorso, esplorando temi universali come il coraggio, la libertà, l’identità e l’amore.
ANDROMEDA è molto più di un nome d’arte: è il simbolo di una visione. Come il personaggio che lo ha ispirato – l’eroe androgino dei Cavalieri dello Zodiaco – ANDROMEDA sfida ogni definizione e vive la propria arte come uno spazio libero da etichette e pregiudizi. Con la sua musica, Manuel invita chiunque abbia vissuto momenti di difficoltà a riconoscersi in questo percorso di rinascita e a trovare il coraggio di cambiare, di guardarsi dentro e di abbracciare la propria verità.
Ventiquattro Ore sarà disponibile su tutte le piattaforme di streaming dal 31 gennaio 2025.
Ascoltalo su: https://andromedamusic.it/ventiquattroore
Scopri ANDROMEDA e il suo mondo: Instagram: @andromeda_real Spotify: ANDROMEDA su Spotify Sito ufficiale: andromedamusic.it
Per interviste e collaborazioni: [email protected]
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Un’opera d’arte che racconta il potere della rinascita e dell’inclusione sociale
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Questo lo spirito di "Perdonami", un'opera pittorica la cui creazione è stata curata da Igor Scalisi Palminteri insieme ad alcuni detenuti della Casa Circondariale “A. Burrafato” di Termini Imerese. Il tutto, nell'ambito di "Open", un progetto finanziato dall’Assessorato regionale per la famiglia col Piano Operativo del Fondo Sociale Europeo e promosso dal Centro Studi Opera Don Calabria. L’obiettivo di OPEN unisce arte, cultura, orientamento professionale e inclusione sociale con un approccio profondamente umano: favorire il reinserimento sociale e lavorativo di persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, tramite percorsi di formazione, orientamento e qualificazione professionale. PERDONAMI non è quindi solo un’opera artistica, ma strumento e simbolo tangibile di trasformazione e speranza. Durante il percorso di Street Art, Igor Scalisi Palminteri, coadiuvato da Nino Carlotta, ha lavorato fianco a fianco con i detenuti, trasformando le pareti della sala colloqui della struttura – un luogo di incontri e di emozioni intense – in uno spazio di bellezza e riflessione. L’opera, che è stata inaugurata nello scorso fine settimana, è il frutto di un processo condiviso, in cui l’arte ha fatto da ponte tra mondi apparentemente distanti, offrendo ai partecipanti l’opportunità di raccontarsi e riconquistare dignità attraverso la creatività. Il progetto ha coinvolto complessivamente 232 persone detenute o sottoposte a misure penali, attraverso 11 percorsi formativi che hanno spaziato dalla ristorazione alla manutenzione, dal giardinaggio all’alfabetizzazione digitale. Ogni attività è stata pensata per fornire strumenti concreti per il reinserimento sociale e lavorativo, abbattendo le barriere tra “dentro” e “fuori” grazie alla collaborazione di partner istituzionali e organizzazioni come la CNA e gli uffici locali del Ministero della Giustizia. “PERDONAMI non è solo un gesto artistico, ma un potente simbolo di speranza e riscatto,” ha dichiarato Don Ivo Pasa, Direttore del Centro Studi Opera Don Calabria. “Questo progetto dimostra che il lavoro e l’arte possono diventare strumenti fondamentali per trasformare vite e costruire ponti tra chi è dentro e chi è fuori.” Per Igor Scalisi Palminteri, “l'incontro con i detenuti è stato un viaggio straordinario, un lento abbattimento di pregiudizi e paure. Ho ancora una volta visto che ogni persona, anche chi vive ai margini, custodisce dentro di sé amore e il bisogno di riceverlo. Nei loro occhi, nelle voci e nei gesti, ho percepito dolore, amore e un profondo disagio per una vita lontana dall'equilibrio. Questo laboratorio è stato tra i più belli della mia vita, possibile grazie a chi ha collaborato con passione. Luoghi come il carcere di Termini Imerese, periferie del cuore e degli affetti, richiedono cura e bellezza per ispirare cambiamento e dignità. La bellezza, infatti, insegna la speranza e la possibilità di una rinascita.” Antonio Macaluso di VediPalermo, che ha documentato il progetto con un’opera audiovisiva, ha sottolineato “l’importanza di dare visibilità a esperienze spesso invisibili: raccontare storie come questa è un privilegio. L’opera e il video diventano strumenti per dare voce a chi lotta per una seconda opportunità, dimostrando che sbagli ed emozioni ci accomunano tutti.” Con un finanziamento complessivo di circa 600.000 euro da parte della Regione Siciliana, il progetto si inserisce in una più ampia visione di inclusione sociale promossa dal Don Calabria, che da anni lavora per creare percorsi di dignità e reinserimento lavorativo attraverso iniziative come Jail to Job e i progetti di ristorazione sociale Cotti in Fragranza e Al Fresco bistrot. Fonte: Pietro Galluccio - Foto originale Read the full article
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Frida Kahlo: Una Vita di Arte e Disabilità che ha Lasciato un’Impronta nel Mondo
Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón, meglio conosciuta come Frida Kahlo, nacque il 6 luglio 1907 a Coyoacán, un quartiere di Città del Messico, e morì il 13 luglio 1954, lasciando un’eredità artistica e culturale straordinaria. La sua vita fu caratterizzata da dolore fisico, disabilità e passione, elementi che si riflettono profondamente nelle sue opere.
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La Prima Infanzia e la Lotta contro la Disabilità
Fin dalla sua nascita, Frida Kahlo visse un’infanzia complessa, soprattutto a causa della sua salute. Nata da padre tedesco e madre messicana, affrontò diversi problemi fisici che ne segnarono l’adolescenza. Fu affetta da spina bifida, una condizione congenita spesso scambiata per poliomielite. Questa disabilità influenzò la sua crescita e la rese, fin dall’infanzia, una persona fortemente consapevole delle limitazioni fisiche. Malgrado le difficoltà, Frida sviluppò presto un temperamento indipendente e determinato.
A undici anni, iniziò a mostrare i segni di una mente creativa e appassionata, interessata al mondo e alla cultura messicana. Frequentò il Collegio Alemán e, nel 1922, si iscrisse alla Escuela Nacional Preparatoria, dove iniziò a nutrire il sogno di diventare medico. Tuttavia, la disabilità legata alla sua spina dorsale divenne sempre più un ostacolo fisico, che riuscì però a superare trasformando il dolore in forza creativa.
L’Incidente e l’Impatto sulla Sua Arte
A diciotto anni, un incidente devastante cambiò per sempre la vita di Frida Kahlo. L’autobus su cui viaggiava venne travolto da un tram, causando a Frida gravi lesioni fisiche che le avrebbero procurato una disabilità permanente. La colonna vertebrale si spezzò in tre punti e subì fratture multiple alla gamba sinistra e alle costole. Sopravvisse, ma dovette affrontare un lungo e doloroso periodo di immobilità, durante il quale subì oltre trenta interventi chirurgici.
Questo evento drammatico ebbe un effetto trasformativo sulla sua vita e sul suo percorso artistico. Costretta a letto, Frida iniziò a dipingere con una determinazione senza pari, trasformando il suo dolore fisico e la sua disabilità in una forma d’arte potente e unica. I suoi primi lavori furono autoritratti, un genere che esplorò per tutta la vita, dichiarando di dipingere se stessa perché era “il soggetto che conosceva meglio”.
La Relazione con Diego Rivera e la Lotta per la Libertà Personale
Nel 1929, Frida sposò il celebre pittore Diego Rivera, il quale apprezzava la forza e la profondità delle sue opere. La loro unione fu tanto appassionata quanto tumultuosa, segnata da infedeltà e sofferenza emotiva. La disabilità di Frida rese impossibile il suo sogno di maternità, provocando in lei un profondo dolore che spesso rappresentava nelle sue tele.
Diego Rivera la introdusse nella scena culturale messicana e la incoraggiò a proseguire nel suo percorso artistico. Durante gli anni ’30, Frida cominciò ad acquisire notorietà internazionale, in particolare per il modo in cui rappresentava la propria identità messicana, usando simboli della cultura indigena e del folklore. Questi elementi si fusero con il suo vissuto di disabilità, trasformandosi in messaggi di sofferenza e resilienza.
La Disabilità come Tema Ricorrente nelle Opere
La disabilità è un tema centrale nell’opera di Frida Kahlo. I suoi autoritratti, come La Colonna Spezzata, mostrano il suo corpo ferito, simbolo di una sofferenza incessante e profonda. Frida usò l’arte per esprimere non solo il suo dolore fisico, ma anche le emozioni legate alla disabilità, che la confinavano e, al tempo stesso, la liberavano. Questo contrasto tra costrizione e libertà è uno degli aspetti più affascinanti delle sue opere. Le sue tele divennero uno specchio del suo tormento, ma anche della sua straordinaria capacità di trasformare il dolore in bellezza.
Attraverso la sua arte, Frida Kahlo esplorò e denunciò i limiti sociali e fisici imposti dalla disabilità. In opere come La Mia Nascita o Ospedale Henry Ford, rappresenta temi legati al corpo e alla salute, mostrando la vulnerabilità e la sofferenza umana. Frida riuscì a far percepire la disabilità come una condizione che può trasformarsi in fonte di energia e creatività. L’accettazione della sua condizione le permise di sviluppare una visione unica della realtà.
Frida Kahlo e il Movimento Surrealista
Nel 1939, il poeta surrealista André Breton descrisse Frida Kahlo come una “surrealista creata con le proprie mani”. Tuttavia, Frida rifiutò l’etichetta, affermando che le sue opere non erano un’immersione nel subconscio, ma una rappresentazione della sua vita reale. Il surrealismo divenne per lei uno strumento per esplorare la disabilità e il dolore in maniera artistica e simbolica.
Opere come Ciò che l’Acqua Mi Ha Dato utilizzano immagini surreali per raccontare le sue sofferenze fisiche e le sue esperienze emotive. La disabilità divenne così una chiave interpretativa attraverso cui Frida espresse il suo rapporto con il mondo, rappresentando il dolore come una parte inevitabile e accettata della sua esistenza.
L’Eredità di Frida Kahlo e il Messaggio di Resilienza
Frida Kahlo lasciò un’eredità straordinaria non solo come artista, ma anche come icona di forza e resilienza. Il modo in cui affrontò la disabilità e il dolore ispirò e continua a ispirare persone in tutto il mondo. La sua figura è diventata un simbolo della lotta per la libertà personale e l’accettazione di sé, oltre che un esempio per coloro che convivono con la disabilità.
Le sue opere, oggi esposte in musei di fama mondiale, continuano a essere un tributo alla sua capacità di trarre bellezza dal dolore. La Casa Azul, la sua casa a Coyoacán, è stata trasformata in un museo in suo onore, e rappresenta un luogo di pellegrinaggio per coloro che vedono in lei un modello di resilienza e di passione per l’arte.
In sintesi, Frida Kahlo è stata un’artista che ha saputo trasformare la sua disabilità in una fonte di creatività inesauribile, riuscendo a esprimere attraverso la sua pittura ciò che spesso le parole non potevano descrivere. La sua vita e la sua arte continuano a essere una testimonianza di come la disabilità possa essere affrontata con coraggio e determinazione, trasformandosi in un elemento centrale dell’identità personale e creativa.
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PHARE-ONE Rugiada Cadoni Exhibition a cura di Roberta Vanali
"Noi vogliamo, talmente quel fuoco ci brucia il cervello, tuffarci nell’abisso, Inferno o Cielo, che importa. Giù nell’Ignoto per trovarvi del nuovo." (C. Baudelaire, I Fiori del Male)
Al confine tra realtà e immaginazione si colloca la schizofrenica ricerca introspettiva di Rugiada Cadoni, artista eclettica, anticonformista e provocatrice che si muove tra performance, pittura, fotografia e design. La scelta reiterata dell’elemento floreale, ricorrente e ossessivo, incarna la sacralità di un totem, la spiritualità della natura e la ricerca dell’armonia tra esseri viventi all’interno di una dimensione altamente caotica. Elemento espressivo che ha contraddistinto parte della produzione artistica che da Georgia O’Keeffe arriva a Felipe Cardena passando per Robert Mapplethorpe. L’artista traspone simbolicamente sulla tela la visione che i fiori percepiscono di noi umani selvaggi e primitivi, fiori dotati di sette petali, come i sette chakra, i sette colori dell’arcobaleno e le sette punte del diadema della Statua della Libertà, emblema fortemente iconico ormai parte della forte personalità dell’artista. Ma soprattutto gli concede un occhio centrale, simbolo del primo chakra del corpo energetico che rappresenta la radice e si traduce in Phare One, ovvero il faro numero uno. L’elemento archetipico del primo chakra è la terra solida e densa dalla quale attinge l’energia vitale e dove risiede quella dualità fatta di massimo potenziale spirituale ma anche di forza istintiva che alimenta e sostiene la natura. Per una riflessione tra radicamento e spirito di sopravvivenza che inducono l’artista a munire i suoi Phare One di denti acuminati e di grossi artigli ben affilati. Tra post punk, pop art e psichedelia, l’approccio di Rugiada Cadoni è apotropaico e liberatorio, istintivo e irrazionale da una parte, ben calibrato dall’altra. La sua è una pittura che emerge nei più piccoli dettagli, pittura lenta eseguita come un mantra in punta di pennello. Capace di lasciare ampi spazi all’immaginazione. Una pittura meditativa fatta di cromatismi squillanti e contrastanti nel tentativo riuscito di aprire dimensioni altre e offrire nuovi punti di riflessione sul mondo e sulle creature che lo abitano. testo critico di Roberta Vanali
« Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau, Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe ? Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau. (C. Baudelaire, Les Fleurs du Mal)
À la frontière entre réalité et imaginaire se situe la recherche introspective schizophrénique de Rugiada Cadoni, une artiste éclectique, anticonformiste et provocatrice qui oscille entre performance, peinture, photographie et design. Le choix réitéré de l’élément floral, récurrent et obsessionnel, incarne le caractère sacré d’un totem, la spiritualité de la nature et la recherche de l’harmonie entre les êtres vivants dans une dimension hautement chaotique. Élément expressif qui a caractérisé une partie de la production artistique de Georgia O’Keeffe à Felipe Cardena en passant par Robert Mapplethorpe. L’artiste transpose symboliquement sur la toile la vision que perçoivent les fleurs de nous, humains sauvages et primitifs, fleurs dotées de sept pétales, comme les sept chakras, les sept couleurs de l’arc-en-ciel et les sept pointes du diadème de la Statue de la Liberté, un emblème fortement iconique faisant désormais partie de la forte personnalité de l’artiste. Mais surtout il lui confère un œil central, symbole du premier chakra du corps énergétique qui représente la racine et se traduit par Phare One, ou le phare numéro un. L’élément archétypal du premier chakra est la terre solide et dense d’où il puise l’énergie vitale et où réside cette dualité faite de potentiel spirituel maximum mais aussi de force instinctive qui nourrit et soutient la nature. Pour une réflexion entre enracinement et esprit de survie qui ont conduit l’artiste à équiper ses Phare Ones de dents acérées et de grandes griffes bien aiguisées. Entre post punk, pop art et psychédélisme, l’approche de Rugiada Cadoni est apotropaïque et libératrice, instinctive et irrationnelle d’un côté, bien calibrée de l’autre. C’est une peinture qui surgit dans les moindres détails, une peinture lente exécutée comme un mantra au bout du pinceau. Capable de laisser suffisamment d’espace à l’imagination. Une peinture méditative faite de couleurs vives et contrastées dans une tentative réussie d’ouvrir d’autres dimensions et d’offrir de nouveaux points de réflexion sur le monde et les créatures qui l’habitent”.
Texte critique de Roberta Vanali
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#phareone#rugiadacadoni#soloshow#robertavanali#exconventodeicappuccini#quartusantelena#jocoda#davidegratziu#juin 2024#contemporaryart#art#painting#exibition#exposition
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"Lucchetti con le ali" di Maria Cristina Casa: Poesie di Resilienza e Libertà in Tempi di Pandemia
Un viaggio poetico tra ansia, speranza e bellezza nel contesto dell'Italia durante il lockdown
Un viaggio poetico tra ansia, speranza e bellezza nel contesto dell’Italia durante il lockdown. “Lucchetti con le ali” di Maria Cristina Casa è una raccolta poetica che cattura le emozioni dell’Italia durante gli anni della pandemia, pubblicata da Aletti Editore nella collana “I Diamanti della Poesia”. Questa silloge, composta tra il 2019 e il 2023, si ispira a un periodo di grande incertezza,…
#Aletti#Aletti Editore#ansia e speranza#arte e poesia#Bellezza della natura#Collana I Diamanti della Poesia#collezione di poesie#Contemplazione#desiderio di evasione#emozioni e poesia#equilibrio interiore#Fede#guarigione attraverso l’arte#immagini poetiche#introspezione#ispirazione dalla natura#Italia in pandemia#letteratura italiana#Libertà#libertà poetica#LOCKDOWN#Lucchetti con le ali#mare come simbolo#Maria Cristina Casa#metafore#mondo interiore#Musicalità#Pandemia#pandemia e creatività#poesia contemporanea
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Donne del 900: Coco Chanel
Le donne del 900 hanno avuto un ruolo importante nella società. Dalla prima guerra mondiale che le ha costrette a sostituire gli uomini sui luoghi di lavoro non si sono più fermate. Hanno compreso il loro valore e le loro potenzialità e dato il loro contributo un po' in tutti i campi. Una delle donne simbolo del Novecento è senza ombra di dubbio Coco Chanel, la regina della moda. Donne del 900: chi era Coco Chanel Nata come Gabrielle Bonheur Chanel il 19 agosto 1883 a Saumur, in Francia, Chanel ha rivoluzionato l'industria della moda con la sua visione audace e il suo spirito innovativo. Il suo impatto non è stato solo nel mondo dell'abbigliamento, ma si è esteso anche alla società stessa, cambiando per sempre il modo in cui le donne si vestivano e si vedevano. Coco Chanel ha trascorso i primi anni della sua vita in un orfanotrofio, dove acquisì le abilità di sartoriale che avrebbero plasmato la sua carriera. Fu questo ambiente che la spinse a cercare l'eleganza e la semplicità nelle sue creazioni, rompendo gli schemi delle mode precedenti, caratterizzate spesso da corsetti stretti e accessori eccessivi. I simboli di Chanel Il suo ingresso nell'industria della moda avvenne negli anni '20, un'epoca di grande fermento culturale e sociale. Chanel colse l'occasione per introdurre un nuovo stile, uno che incarnava l'essenza della libertà e dell'indipendenza femminile. Le sue creazioni rivoluzionarie includevano abiti sartoriali, giacche dal taglio maschile, e soprattutto il celebre little black dress: il "piccolo vestito nero", ovvero il tubino nero, un capo iconico che sarebbe diventato un simbolo di eleganza senza tempo. Ma Chanel non si limitò alla moda; la sua influenza si estese anche al mondo della profumeria. Nel 1921, lanciò il profumo Chanel No. 5, un'essenza rivoluzionaria per il suo tempo, con una fragranza audace e un design minimalista. Ancora oggi, Chanel No. 5 rimane uno dei profumi più venduti al mondo, testimoniando la sua duratura eredità. Comprendere le donne del 900 Ciò che rendeva unica Coco Chanel era la sua capacità di anticipare i desideri e i bisogni delle donne moderne. Lei comprendeva che la moda doveva essere funzionale oltre che elegante, e le sue creazioni incarnavano questa filosofia. Le donne di tutto il mondo si identificarono con il suo stile senza tempo e con il suo messaggio di emancipazione femminile. Ma l'eredità di Chanel va oltre il mondo della moda. Fu una pioniera nell'ambito degli affari, costruendo un impero che sopravvisse anche a periodi di turbolenza economica e sociale. La sua determinazione e il suo spirito intraprendente la resero un esempio per le donne di tutto il mondo, dimostrando che con talento e lavoro duro si possono superare qualsiasi ostacolo. Nonostante il suo successo straordinario, Chanel rimase sempre una figura enigmatica. Era nota per la sua riservatezza e il suo atteggiamento distaccato, che la facevano apparire come un'individuo solitario anche quando era circondata da ammiratori e seguaci. Il suo stile di vita personale, contraddistinto da relazioni tumultuose e una serie di alti e bassi, aggiunse un alone di mistero alla sua figura già leggendaria. Tuttavia, nonostante le sfide personali, Chanel continuò a concentrarsi sulla sua arte, creando capolavori che avrebbero lasciato un'impronta indelebile sulla storia della moda. Anche dopo la sua morte nel 1971, l'influenza di Coco Chanel continua a risuonare nell'industria della moda. Le sue creazioni sono ancora celebrati per la loro eleganza senza tempo e la sua idea di femminilità continua a ispirare donne e designer di tutto il mondo. In copertina foto di Pexels da Pixabay Read the full article
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"Catene" (Kimura) è il nuovo singolo di stillpani
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Dal 5 aprile 2024 è disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica "Catene" (Kimura), il nuovo singolo di stillpani che anticipa l'uscita del nuovo album "Panic Room".
"Catene" è l'ultimo singolo di stillpani prima della pubblicazione del nuovo album, scritto con Lorenzo Di Pasquale e prodotto da Phonez e Etrusko.
Il testo autentico e attuale porta l'ascoltatore a una lunga riflessione sul proprio approccio alla vita.
Le catene sono il simbolo di ciò che ci tiene imprigionati: possono essere circostanze, pensieri, situazioni di ogni genere. Nella canzone le catene sono tutto ciò che toglie la libertà ad un ragazzo incapace di esprimere liberamente sé stesso.
Nella società del successo è proprio la ricerca di quest'ultimo che diventa una forma di prigionia: la canzone è l'inno di una generazione obbligata a dimostrare qualcosa. Bisogna lasciare il segno, bisogna vivere in un certo modo, secondo determinate costruzioni sociali e brillare, più degli altri, se vuoi veramente essere felice; ma in realtà non c'è menzogna più grande: l'unico modo per difendersi e cercare un appiglio di salvezza è guardarsi dentro.
La frase "sei tu il tuo bene perché sei il solo che non ti mette le catene" risolve il dilemma e sancisce una volta per tutto l'idea che per essere felici bisogna rispettarsi, prendersi il proprio tempo e vivere secondo i propri ritmi vitali.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Quando mi è stato proposto questo brano da Lorenzo ho subito detto sì alla realizzazione, il testo nella sua crudeltà, nelle sue immagini e nelle sue parole rispecchia a pieno quello che provo, quello che sento e quello che poi effettivamente gran parte della mia generazione vive ogni giorno. La produzione punk-rock, curata nei minimi dettagli da Etrusko e Phonez, da un boost in più a tutta la canzone e alla sua potenza lirica. È un brano politicamente scorretto, che affronta temi difficili ed era stato proposto per le selezioni di Sanremo giovani ad ottobre, abbiamo osato a livello musicale, a livello di testo ed è venuto fuori un brano che in questo momento sento più mio che mai."
Presalva il brano: https://kimura.lnk.to/catene
Il videoclip di ''Catene'', diretto, prodotto e scritto da Valerio Giuliani è stato realizzato a ottobre 2023, girato e realizzato a L'Aquila. I cambi di location, di outfit e di colore che si susseguono, esprimono a pieni polmoni il contrasto presente nel testo, la quasi rassegnazione e allo stesso tempo la voglia di liberarsi dalle catene che la società troppo spesso ci impone. Le catene che avvolgono l'artista nelle immagini rappresentano l'omologazione alla massa, che ci avvolge, ci culla e ci fa stare buoni al proprio posto. Anche la cravatta indossata, così come le catene, resta un particolare fondamentale che svolge la funzione di ''nodo'' al collo, da cui non riusciamo a liberarci, una rassegnazione ad una vita che effettivamente non ci appartiene. Durante tutto il videoclip il protagonista prova a liberarsi e a ribellarsi a questi oggetti che in senso metaforico bloccano la sua crescita personale per deviarlo verso un mondo che non gli appartiene. Nelle clip realizzate in bianco e nero troviamo un quasi senso di rassegnazione nello sguardo, nelle parole e nei gesti, mentre, nelle scene a colori vediamo una lotta interiore più marcata contro il mondo che lo circonda. Il video termina con stillpani che riesce finalmente a togliersi questo peso enorme che porta con sé e con la voglia di urlare al mondo quello che non ha mai accettato, quello che non sarà mai e tutto quello che ha portato dentro fino a quel momento.
Guarda il videoclip su YouTube: https://youtu.be/Fv2QgUnee4w
Biografia
Alessandro Paniccia in arte "stillpani" è un cantautore nato a L'Aquila il 12 aprile 1999. Inizia la sua carriera nel 2019 con il singolo "Immortale" che riscuote un buon successo in città. Seguono altri due singoli e la pubblicazione dell'EP "4912" nel 2020. Con questi brani riesce a fare buone esperienze nell'ambito live e attira su di sé attenzioni di case discografiche. Nel periodo 2021/2022 pubblica quattro singoli: "Pagine Vuote", "Schiaffi", "Sto Bene/Sto Male e "Vertigine" che alternano varie sonorità l'una dall'altra. Nel 2023, dopo un piccolo periodo di inattività, pubblica nel 2023 "A Galla", "Contromano" e la cover "La descrizione di un attimo", singoli prodotti da Etrusko e Phonez (Alti Records), come tutti gli altri lavori precedentemente citati, e pubblicati da Kimura.
Dopo aver inaugurato il 2024 con "Ego", "Catene" è il nuovo singolo di stillpani disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica dal 5 aprile 2024 e anticipa il nuovo album in uscita il 19 aprile.
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"Catene" (Kimura) è il nuovo singolo di stillpani
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Dal 5 aprile 2024 è disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica "Catene" (Kimura), il nuovo singolo di stillpani che anticipa l'uscita del nuovo album "Panic Room".
"Catene" è l'ultimo singolo di stillpani prima della pubblicazione del nuovo album, scritto con Lorenzo Di Pasquale e prodotto da Phonez e Etrusko.
Il testo autentico e attuale porta l'ascoltatore a una lunga riflessione sul proprio approccio alla vita.
Le catene sono il simbolo di ciò che ci tiene imprigionati: possono essere circostanze, pensieri, situazioni di ogni genere. Nella canzone le catene sono tutto ciò che toglie la libertà ad un ragazzo incapace di esprimere liberamente sé stesso.
Nella società del successo è proprio la ricerca di quest'ultimo che diventa una forma di prigionia: la canzone è l'inno di una generazione obbligata a dimostrare qualcosa. Bisogna lasciare il segno, bisogna vivere in un certo modo, secondo determinate costruzioni sociali e brillare, più degli altri, se vuoi veramente essere felice; ma in realtà non c'è menzogna più grande: l'unico modo per difendersi e cercare un appiglio di salvezza è guardarsi dentro.
La frase "sei tu il tuo bene perché sei il solo che non ti mette le catene" risolve il dilemma e sancisce una volta per tutto l'idea che per essere felici bisogna rispettarsi, prendersi il proprio tempo e vivere secondo i propri ritmi vitali.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Quando mi è stato proposto questo brano da Lorenzo ho subito detto sì alla realizzazione, il testo nella sua crudeltà, nelle sue immagini e nelle sue parole rispecchia a pieno quello che provo, quello che sento e quello che poi effettivamente gran parte della mia generazione vive ogni giorno. La produzione punk-rock, curata nei minimi dettagli da Etrusko e Phonez, da un boost in più a tutta la canzone e alla sua potenza lirica. È un brano politicamente scorretto, che affronta temi difficili ed era stato proposto per le selezioni di Sanremo giovani ad ottobre, abbiamo osato a livello musicale, a livello di testo ed è venuto fuori un brano che in questo momento sento più mio che mai."
Presalva il brano: https://kimura.lnk.to/catene
Il videoclip di ''Catene'', diretto, prodotto e scritto da Valerio Giuliani è stato realizzato a ottobre 2023, girato e realizzato a L'Aquila. I cambi di location, di outfit e di colore che si susseguono, esprimono a pieni polmoni il contrasto presente nel testo, la quasi rassegnazione e allo stesso tempo la voglia di liberarsi dalle catene che la società troppo spesso ci impone. Le catene che avvolgono l'artista nelle immagini rappresentano l'omologazione alla massa, che ci avvolge, ci culla e ci fa stare buoni al proprio posto. Anche la cravatta indossata, così come le catene, resta un particolare fondamentale che svolge la funzione di ''nodo'' al collo, da cui non riusciamo a liberarci, una rassegnazione ad una vita che effettivamente non ci appartiene. Durante tutto il videoclip il protagonista prova a liberarsi e a ribellarsi a questi oggetti che in senso metaforico bloccano la sua crescita personale per deviarlo verso un mondo che non gli appartiene. Nelle clip realizzate in bianco e nero troviamo un quasi senso di rassegnazione nello sguardo, nelle parole e nei gesti, mentre, nelle scene a colori vediamo una lotta interiore più marcata contro il mondo che lo circonda. Il video termina con stillpani che riesce finalmente a togliersi questo peso enorme che porta con sé e con la voglia di urlare al mondo quello che non ha mai accettato, quello che non sarà mai e tutto quello che ha portato dentro fino a quel momento.
Guarda il videoclip su YouTube: https://youtu.be/Fv2QgUnee4w
Biografia
Alessandro Paniccia in arte "stillpani" è un cantautore nato a L'Aquila il 12 aprile 1999. Inizia la sua carriera nel 2019 con il singolo "Immortale" che riscuote un buon successo in città. Seguono altri due singoli e la pubblicazione dell'EP "4912" nel 2020. Con questi brani riesce a fare buone esperienze nell'ambito live e attira su di sé attenzioni di case discografiche. Nel periodo 2021/2022 pubblica quattro singoli: "Pagine Vuote", "Schiaffi", "Sto Bene/Sto Male e "Vertigine" che alternano varie sonorità l'una dall'altra. Nel 2023, dopo un piccolo periodo di inattività, pubblica nel 2023 "A Galla", "Contromano" e la cover "La descrizione di un attimo", singoli prodotti da Etrusko e Phonez (Alti Records), come tutti gli altri lavori precedentemente citati, e pubblicati da Kimura.
Dopo aver inaugurato il 2024 con "Ego", "Catene" è il nuovo singolo di stillpani disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica dal 5 aprile 2024 e anticipa il nuovo album in uscita il 19 aprile.
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Colette
https://www.unadonnalgiorno.it/colette/
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Colette, iconica scrittrice della prima metà del XX secolo, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia.
Con la sua vita e la sua arte ha sfidato le convenzioni sociali e aperto la strada a una nuova generazione di letterate.
Insignita delle più importanti onorificenze accademiche, è stata la seconda donna nella storia della Repubblica Francese a ricevere funerali di stato (dopo Sarah Bernhardt).
Ha aperto una strada per il rinnovamento del romanzo tradizionale che ha portato alle sperimentazioni del Nouveau Roman.
Oltre che scrittrice prolifica è stata attrice, autrice e critica teatrale, giornalista, critica cinematografica e anche commerciante di cosmetici.
Si è ritrovata più volte al centro di scandali per le sue disinibite relazioni sentimentali.
La sua vita e la sua opera letteraria sono state la testimonianza di una donna libera, anticonformista e emancipata, che ha contribuito a rompere tanti tabù.
Per prima ha rappresentato l’uomo come fonte di piacere per la donna.
Nata col nome di Sidonie-Gabrielle Colette, il 28 gennaio 1873 a Saint-Sauveur-en-Puisaye, è cresciuta in Borgogna in grande libertà e a stretto contatto con la natura. Spinta alla musica e alla lettura sin da piccolissima, era stata educata dalla madre, una donna di mentalità moderna, dichiaratamente atea e anticonformista, che in paese dava scandalo prendendo a servizio ragazze madri.
Nel 1889 conobbe Henri Gauthier-Villars, detto Willy, scrittore e giornalista che divenne il suo primo marito e che seguì a Parigi.
L’uomo la introdusse nell’ambiente artistico e mondano e, intuendone il potenziale, la incoraggiava a scrivere pubblicando però i libri sotto il suo nome, come faceva con tanti altri artisti che costituivano la sua officina letteraria. Nacque così la fortunata serie di Claudine, uno dei maggiori best seller francesi di tutti i tempi. I romanzi ebbero tale successo popolare da diventare un marchio commercializzato che produceva abiti, accessori, un tipo di pettinatura, prodotti di bellezza e ogni sorta di mercanzia. Dai libri venne tratto anche uno spettacolo teatrale interpretato dalla stessa Colette che, col coniuge, rappresentava il simbolo della vita mondana della capitale francese.
Nel 1904 venne pubblicato Dialogues de bêtes, firmato Colette Willy, il primo libro in cui comparve anche il suo nome.
Il matrimonio andò presto a rotoli, lui la tradiva continuamente e lei ebbe una liaison con la marchesa Mathilde de Morny. Nel 1907, al Moulin Rouge, durante la messa in scena della pantomima Rêve d’Égypte, le due amanti diedero scandalo baciandosi con passione sul palco. Nello stesso anno Colette e Willy si separarono legalmente e venne pubblicato l’ultimo romanzo della saga di Claudine dal titolo Il rifugio sentimentale (La retraite sentimentale).
Nel 1908 Colette si fece notare dalla critica pubblicando su La Vie Parisienne dei testi, poi raccolti nel volume Viticci (Les vrilles de la vigne), uno dei quali (Nuit blanche) tratta della sua relazione con Missy, come lei chiamava la marchesa. È stata protagonista di vari spettacoli teatrali e un’ottima conferenziera.
Ammessa alla Société des Auteurs, intraprese, vincendo, una serie di azioni legali contro il marito.
Dopo il divorzio, nel 1910, nacquero le collaborazioni con giornali come il Paris-Journal e Le Matin, mentre pubblicava romanzi a puntate, ne La Vie parisienne.
Nel 1912 ha sposato il barone Henry de Jouvenel da cui ha avuto la sua unica figlia.
Durante la prima guerra mondiale la sua attività giornalistica si era intensificata. Successivamente, ha scritto anche articoli di critica cinematografica e una sceneggiatura originale per il film La flamme cachée. È stata caporedattrice della sezione letteraria di Le Matin e critica teatrale.
È stato il romanzo Chéri, pubblicato in feuilleton nel 1920, a consacrarla anche agli occhi della critica. La storia autobiografica di una donna matura innamorata di un ragazzo di ventiquattro anni più giovane venne apprezzata e commentata da autori come Proust, Gide e Cocteau. La Nouvelle Revue Française affermò che Colette era «la scrittrice che ha introdotto nella nostra letteratura la prosa femminile che le mancava».
Nello stesso anno venne insignita della Legion d’onore con il grado di Cavaliera.
Tra scandali, alti e bassi, arrivò anche il divorzio dal secondo marito e, lasciato il giornale che lui dirigeva, scrisse per Le Figaro, vivendo dei proventi da giornalista, dedicandosi al teatro senza mai abbandonare la scrittura.
Nel 1928 venne promossa al grado di Ufficiale della Legion d’onore. Due anni dopo è uscito Sido, sulla storia di sua madre.
Il film che aveva sceneggiato, tratto dal suo romanzo La vagabonda, è stato il primo in sonoro in Francia.
Nel 1932 aveva aperto un centro di bellezza e in breve si era ingrandita e creato un marchio di cosmetici con la sua immagine sulle etichette.
Nonostante le divagazioni commerciali non ha mai smesso di scrivere romanzi, sceneggiature e articoli di critica teatrale per Le Journal e poi per Paris-Soir.
Nel 1936 venne nominata Commendatrice della Legion d’onore e entrò a far parte dell’Académie royale belge de langue et de littérature françaises.
Ha trascorso tutto il periodo della guerra a Parigi, in un appartamento al Palais-Royal, afflitta da un’artrosi all’anca.
Nel 1941 il suo terzo marito, Maurice Goudeket, che era ebreo, venne spedito in un campo di concentramento, riuscì a farlo liberare l’anno successivo, sfruttando le sue amicizie.
Il suo romanzo più celebre, Gigi, pubblicato nel 1944, le valse un grande riconoscimento e divenne una famosa opera teatrale e un celebre film.
Diventata un’istituzione vivente, ha passato gli ultimi anni della sua vita semi paralizzata, sul divano-letto sul quale lavorava e riceveva i tanti ospiti che andavano a renderle omaggio.
Diventata Presidente dell’Académie Goncourt, il suo ultimo libro è stata la raccolta En pays connu.
Nel 1950, fra spostamenti vari in cerca di cure e il lavoro di adattamento teatrale del suo romanzo La Seconda venne eletta Presidente onoraria del Consiglio letterario del Principato di Monaco e ricevette in visita la regina Elisabetta del Belgio.
Nel 1951, tornata a Montecarlo sempre in cerca di cure, aveva notato all’Hôtel de Paris una giovane attrice, Audrey Hepburn, che scelse per interpretare la commedia Gigi, andata in scena a Broadway.
Nel 1953, in occasione dei suoi 80 anni, ha ricevuto tributi e onorificenze come la medaglia della Città di Parigi, venne nominata membro onorario del National Institute of Art and Letters di New York e ricevette il grado di Grand’Ufficiale della Legion d’Onore.
È morta il 3 agosto 1954 nella sua stanza al Palais-Royal. Nonostante la Chiesa le avesse rifiutato i funerali religiosi, ha ricevuto un funerale di stato. È sepolta nel cimitero di Père-Lachaise.
Nella sua lunga carriera ha prodotto circa ottanta volumi fra romanzi, racconti, memorie, opere per il teatro, raccolte di articoli giornalistici e di recensioni teatrali, oltre ad una sterminata corrispondenza personale che venne raccolta e pubblicata in epistolari.
Donna ribelle e anticonformista, ha segnato un’epoca, ispirato film, libri, spettacoli occupando un posto di rilievo nel pantheon delle celebrità di tutti i tempi. Il suo nome è consegnato al mito.
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"Catene" (Kimura) è il nuovo singolo di stillpani
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Dal 5 aprile 2024 è disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica "Catene" (Kimura), il nuovo singolo di stillpani che anticipa l'uscita del nuovo album "Panic Room".
"Catene" è l'ultimo singolo di stillpani prima della pubblicazione del nuovo album, scritto con Lorenzo Di Pasquale e prodotto da Phonez e Etrusko.
Il testo autentico e attuale porta l'ascoltatore a una lunga riflessione sul proprio approccio alla vita.
Le catene sono il simbolo di ciò che ci tiene imprigionati: possono essere circostanze, pensieri, situazioni di ogni genere. Nella canzone le catene sono tutto ciò che toglie la libertà ad un ragazzo incapace di esprimere liberamente sé stesso.
Nella società del successo è proprio la ricerca di quest'ultimo che diventa una forma di prigionia: la canzone è l'inno di una generazione obbligata a dimostrare qualcosa. Bisogna lasciare il segno, bisogna vivere in un certo modo, secondo determinate costruzioni sociali e brillare, più degli altri, se vuoi veramente essere felice; ma in realtà non c'è menzogna più grande: l'unico modo per difendersi e cercare un appiglio di salvezza è guardarsi dentro.
La frase "sei tu il tuo bene perché sei il solo che non ti mette le catene" risolve il dilemma e sancisce una volta per tutto l'idea che per essere felici bisogna rispettarsi, prendersi il proprio tempo e vivere secondo i propri ritmi vitali.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Quando mi è stato proposto questo brano da Lorenzo ho subito detto sì alla realizzazione, il testo nella sua crudeltà, nelle sue immagini e nelle sue parole rispecchia a pieno quello che provo, quello che sento e quello che poi effettivamente gran parte della mia generazione vive ogni giorno. La produzione punk-rock, curata nei minimi dettagli da Etrusko e Phonez, da un boost in più a tutta la canzone e alla sua potenza lirica. È un brano politicamente scorretto, che affronta temi difficili ed era stato proposto per le selezioni di Sanremo giovani ad ottobre, abbiamo osato a livello musicale, a livello di testo ed è venuto fuori un brano che in questo momento sento più mio che mai."
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Il videoclip di ''Catene'', diretto, prodotto e scritto da Valerio Giuliani è stato realizzato a ottobre 2023, girato e realizzato a L'Aquila. I cambi di location, di outfit e di colore che si susseguono, esprimono a pieni polmoni il contrasto presente nel testo, la quasi rassegnazione e allo stesso tempo la voglia di liberarsi dalle catene che la società troppo spesso ci impone. Le catene che avvolgono l'artista nelle immagini rappresentano l'omologazione alla massa, che ci avvolge, ci culla e ci fa stare buoni al proprio posto. Anche la cravatta indossata, così come le catene, resta un particolare fondamentale che svolge la funzione di ''nodo'' al collo, da cui non riusciamo a liberarci, una rassegnazione ad una vita che effettivamente non ci appartiene. Durante tutto il videoclip il protagonista prova a liberarsi e a ribellarsi a questi oggetti che in senso metaforico bloccano la sua crescita personale per deviarlo verso un mondo che non gli appartiene. Nelle clip realizzate in bianco e nero troviamo un quasi senso di rassegnazione nello sguardo, nelle parole e nei gesti, mentre, nelle scene a colori vediamo una lotta interiore più marcata contro il mondo che lo circonda. Il video termina con stillpani che riesce finalmente a togliersi questo peso enorme che porta con sé e con la voglia di urlare al mondo quello che non ha mai accettato, quello che non sarà mai e tutto quello che ha portato dentro fino a quel momento.
Guarda il videoclip su YouTube: https://youtu.be/Fv2QgUnee4w
Biografia
Alessandro Paniccia in arte "stillpani" è un cantautore nato a L'Aquila il 12 aprile 1999. Inizia la sua carriera nel 2019 con il singolo "Immortale" che riscuote un buon successo in città. Seguono altri due singoli e la pubblicazione dell'EP "4912" nel 2020. Con questi brani riesce a fare buone esperienze nell'ambito live e attira su di sé attenzioni di case discografiche. Nel periodo 2021/2022 pubblica quattro singoli: "Pagine Vuote", "Schiaffi", "Sto Bene/Sto Male e "Vertigine" che alternano varie sonorità l'una dall'altra. Nel 2023, dopo un piccolo periodo di inattività, pubblica nel 2023 "A Galla", "Contromano" e la cover "La descrizione di un attimo", singoli prodotti da Etrusko e Phonez (Alti Records), come tutti gli altri lavori precedentemente citati, e pubblicati da Kimura.
Dopo aver inaugurato il 2024 con "Ego", "Catene" è il nuovo singolo di stillpani disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica dal 5 aprile 2024 e anticipa il nuovo album in uscita il 19 aprile.
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