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MonFest 2024: “Normale” – L’arte di Flavio Bonetti in mostra a Casale Monferrato
Dal 9 febbraio al 4 maggio, il Complesso Ebraico ospita una mostra che esplora la teatralità dei mass-media e del senso comune
Dal 9 febbraio al 4 maggio, il Complesso Ebraico ospita una mostra che esplora la teatralità dei mass-media e del senso comune Casale Monferrato, 3 febbraio 2025 – Domenica 9 febbraio 2025, alle ore 11:00, si terrà l’inaugurazione di “Normale”, la mostra di Flavio Bonetti, a cura di Daria Carmi e Marco Porta, presso il Complesso Ebraico di Casale Monferrato, in Vicolo Salomone Olper…
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Un profumo? «Il gelsomino». Un sapore? «Quello positivo di alcuni couscous che ho mangiato e quello negativo del grasso di montone in Turchia: dopo quindici giorni ne sentivo l'aria impregnata anche se stavo di fronte al mare, e mi girava la testa». Un colore? «L'oro dei tramonti». Un personaggio? «Un monaco di clausura di quelli che vedi solo da lontano. Era un monaco da iconografia tradizionale: avanti negli anni, barba bianca e capelli lunghi, palandrana nera e in testa un cappello alto, quella specie di mitra che portano loro. Tanto per cambiare era l'imbrunire, io ero affacciato a un balcone e lui nel suo cortile, un cortile nudo, di pietra color grigio chiaro. Ci guardammo solo un attimo, ma fu una comunicazione molto intensa. Mi bastò quell'unico sguardo per capire a che grado di evoluzione era arrivato». Ha mai pensato, Battiato, di piantare tutto e trasferirsi in uno di quei conventi? Mai. Uno si ritira quando non ne può più, oppure perché ha scelto come volontà di cambiare vita. Ma io qui, almeno per il momento, sto benissimo.
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Brano tratto dall’intervista di Fabrizio Zampa a Franco Battiato del Giugno 1994 riportata nell'articolo Incursioni pubblicato nel numero monografico dedicato al cantautore siciliano di Nuove Effemeridi - rassegna trimestrale di cultura, Edizioni Guida, Palermo, n° 47, 1999/III, Anno XII, pp. 53-54.
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Make Art Gallery lancia una call per selezionare opere d’arte da esporre in occasione della mostra collettiva virtuale “Blended Vision – Colors in Conversation” in programma per il mese di maggio 2024
Make Art Gallery presenta "Blended Visions: Colors in Conversation", una mostra virtuale che invita gli artisti ad esplorare non solo il dialogo visivo tra colore e forma, ma anche il modo in cui questo rapporto possa influire sul giudizio estetico degli spettatori. In questo contesto, ci avviciniamo al concetto filosofico di estetica secondo la prospettiva di Immanuel Kant, uno dei più influenti filosofi dell'estetica.
Gli artisti partecipanti sono invitati a giocare con questo concetto, creando opere che siano in grado di stimolare una risposta profonda negli osservatori. Ciò significa che non solo ci concentreremo sull'aspetto visivo delle opere d'arte, ma anche sul modo in cui esse possono suscitare emozioni, sensazioni e riflessioni nei nostri visitatori. Blended Vision è uno spazio inclusivo per ogni forma d'arte, dall'astratto al figurativo, dal geometrico al concettuale.
Gli artisti sono liberi di esplorare il tema senza restrizioni. Il regolamento completo su come poter partecipare alle selezioni di questa mostra virtuale lo trovate a questo link: https://www.makeartgallery.com/bando-mostra-collettiva-virtuale-2024.html
oppure dalla homepage: https://www.makeartgallery.com
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
LA MISTERIOSA VITA DELLE COSE
"Nulla esiste se non attraverso il linguaggio."
E ancora:
"Il focus della soggettività è uno specchio deformante".
Sono frasi pronunciate da Hans Georg Gadamer, il maestro di Marburgo, padre dell'ermeneutica contemporanea, arte e teoria dell'interpretazione dell'esistenza.
Davvero singolare la figura di Gadamer, nato esattamente nell'anno 1900 e scomparso nel 2002: si può affermare che nessuno meglio di lui sia stato un uomo del Novecento.
Eppure, raggiunse la notorietà solo negli anni '60 dopo la pubblicazione del suo capolavoro "Verità e Metodo".
Lo cito per raccontare un artista altrettanto singolare, calabrese, vibonese: Silvestro Bonaventura.
E per metterne in connessione le opere con il riferimento alla metafora dello "specchio deformante": la percezione soggettiva è influenzata da vari fattori culturali, sociali e storici che distorcono la visione della realtà.
In altre parole, ciò che vediamo e come ci vediamo è sempre mediato da questi "specchi" che non riflettono mai una verità pura e incontaminata.
Estrema espressione della soggettività: cosa c'è di più intensamente creativo di questo?
E di più profondamente reale?
Gli oggetti, la scena che li contiene e si costituisce innanzi agli occhi dell'osservatore, non è che l'effetto di un'interpretazione.
Non a caso Maurice Merleau-Ponty (filosofo francese dal pensiero raffinato, morì prematuramente nel 1961, quando Gadamer iniziava ad essere conosciuto) se ne fece carico per spiegare la controversa e resistente ricerca pittorica di Paul Cézanne: quella visione "im-mediata" che condusse alla mutazione dell'arte tra '800 e '900 e alla nascita dell'espressione artistica contemporanea.
Nelle sue tele, Silvestro Bonaventura racconta l'impossibilità dell'immagine ipostatizzata in una illusoria oggettività rivelandone, al contrario, l'incarnazione materiale, personificata, soggettiva.
Ed ecco che l'ermeneutica di Gadamer torna in campo.
E con lui l'idea che il linguaggio artistico formi l'esistenza delle cose.
Dopotutto, svelandone la natura: nulla di quanto appaia può essere astratto dalla relazione con l'osservatore, muta di sguardo in sguardo fino a quando il miraggio dell'oggettività non tracolli nell'utopia, in una fragilissima costruzione dalla consistenza chimerica.
La radicalità di quest'esperienza conduce, necessariamente, verso una pittura che stressa la concezione fino al limite possibile: non sfocia nell'astrazione ma riflette un modello di mondo nel quale le "cose" possiedono l'anima degli stessi occhi che le osservano.
Gli oggetti prendono vita e varcano la scena loro assegnata con la vividezza cromatica e l'impeto impedito alle "burrose" nature morte di Giorgio Morandi.
Dunque, da annullare in partenza ogni suggestione verso Derrida, nessuna "decostruzione", nessuna contraddizione con la "realtà" mentre è vivida la sensazione del "reale": l'irrappresentabile plasmato nella forma simbolica della deformazione, del dinamismo, del movimento.
Così, con Silvestro Bonaventura, il muro invalicabile della percezione viene saltato di slancio per approdare a un testo pittorico che si anima in una narrazione piacevolmente caotica e coinvolgente, imprevedibile, ricca di colpi di scena.
Come a teatro.
Il teatro come la vita.
La vita che si fa arte.
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Non Solo Erté Not Only Erté
Angelo Luerti
Saggio introduttivo di Vittoria Crespi Morbio
Costume Desogn for the Paris Music Hall 198-1940
Guido Tamoni Editore, Schio (Vi) 2006, 288 pagine, 24,5x34,5, ril. in cofanetto
euro 95,00
email if you want to buy [email protected]
Il volume intende illustrare l'attività di quei numerosi disegnatori per le riviste dei grandi music-hall di Parigi che, per snobismo artistico ed intellettuale, sono stati a lungo negletti a causa dell'impiego secondario cui erano destinati i loro modelli. Tra questi, Gesmar, un formidabile genio della grafica che impresse all'arte del costume un impulso pari a quello prodotto da Bakst pochi anni prima per i Balletti Russi; Ranson e Zinoview, due grandi eredi di quella tradizione, Czettel, allievo unico di Bakst divenuto più tardi capo disegnatore all'Opera di Vienna; Zig, degno successore di Gesmar anche nell'arte del manifesto; l'ungherese Gyarmathy, autore d'invenzioni sceniche adottate da molti teatri; l'olandese Wittop divenuto in seguito il primo disegnatore di Broadway; Halouze creatore dello "Stile 1925", l'inglese Dolly Tree, uno dei grandi talenti dell'epoca d'oro della creatività, Dessés divenuto più tardi un noto stilista e maestro di Guy Laroche e di Valentino, il milanese Montedoro subentrato in seguito a Vincente Minnelli come capo disegnatore del Radio City Music Hall, per citare solo alcuni. Lo stesso Erté fu vittima per 30 anni di questa tendenza all'emarginazione. Riscoperto nel 1965 in occasione del più generale recupero dell'Art Déco, ora è universalmente apprezzato per la qualità dei suoi disegni, nel frattempo assurti, per il loro valore storico, artistico ed estetico, al rango di vere opere d'arte. L'opera si propone di rendere omaggio ai suoi non meno creativi e qualificati contemporanei, che per obiettive carenze informative sul loro percorso e contributo artistico (ora in gran parte colmate), non furono pur meritandolo oggetto di analoghi studi e altrettanti onori. Va detto che nessuno di costoro visse a lungo quanto Erté, morto nel 1990 all'età di 98 anni: quando giunse il gran momento, il suo archivio era l'unico ricco di disegni originali e documenti a disposizione dei critici teatrali e degli storici. Degli altri grandi artisti, selezionati tra i migliori disegnatori europei, si era persa quasi ogni traccia essendo scomparsi quasi tutti prima della fine della Seconda Guerra Mondiale; di alcuni era noto solo l'acronimo, di altri s'ignorava persino la nazionalità e assai poco si sapeva sui teatri e sulle riviste cui avevano collaborato. A poco valse lo sforzo dei "volontari" ingaggiati da Charles Spencer, nota autorità in materia, e di altri, per saperne di più su questi fantasiosi creatori di scene e costumi. Pur prive di un adeguato supporto informativo molte delle opere dei citati artisti affiancano quelle di Erté nei principali musei, Metropolitan, Victoria & Albert Museum, Arsenal, nelle università di tutto il mondo e nelle collezioni di molti appassionati. Nuove e approfondite ricerche condotte per oltre sei anni hanno permesso di raccogliere un gran volume di dati sul percorso e sul contributo artistico di molti di questi artisti sino a ieri per nulla, o quasi, conosciuti. Il tutto è corredato da un ricco repertorio di opere (oltre 400 immagini a colori), così da permettere a storici e critici una più ampia valutazione dell'arte per il teatro del Novecento e del Déco in generale, periodo in cui si colloca la più parte dei disegni. Il volume comprende inoltre una ampia panoramica sulla storia del music-hall, dalle origini al suo declino, sui principali teatri e riviste in scena negli anni tra le due guerre e sui suoi protagonisti.
Tra gli illustratori, oltre naturalmente a Erté, Georges Barbier, Dany Barry, Umberto Brunelleschi, Fabio Lorenzi, Endré, Eduard Halouze, Dolly Tree, Jose De Zamora, Zig ...
07/09/24
#Paris Music Hall#Erté#costumi music hall#theatrical costumes#Georges Barbier#Brunelleschi#fashion nooks#fashionbooksmilano
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Con i disegni dei miei figli potevo diventare milionario...
"Questi dipinti sono di Cy Twombly, uno degli artisti contemporanei più costosi. I suoi dipinti vanno da 2 milioni a 75 milioni di dollari"
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Andrea Mantegna: passione di pietra. Ecco il documentario
Andrea Mantegna nacque in un piccolo paese di campagna sulle rive del Brenta ed ebbe umili origini ma ben presto sarebbe diventato uno degli artisti più celebrati dai suoi contemporanei e tutt’oggi ammirato in tutto il mondo. Il documentario dal titolo “Andrea Mantegna: passione di pietra” racconta proprio la sua storia attraverso la narrazione scritta da Emanuela Avallone e Linda Tugnoli che ha…
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#antonietta bandelloni#art#artblogger#arte#artinfluencer#bellezza#capolavoro#Firenze#madeinitaly#rinascimento#storytelling
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INSEGUIRE OPERE
La Triennale di Milano e la Fondation Cartier pour l’Art Contemporaine di Parigi hanno stretto una intensa collaborazione e allestiscono mostre di grande interesse. È il caso per esempio di quella di uno dei più grandi scultori contemporanei, Ron Mueck. La scorsa estate ho avuto modo di visitare la sua mostra alla Fondation del Boulevard Raspail e sabato scorso ho visitato la stessa mostra (con qualche variazione) alla Triennale. È sempre molto stimolante per me vedere una installazione d’arte allestita in due contesti diversi, poiché l’opera assume, inevitabilmente, sfumature diverse se non, addirittura, significazioni diverse. Mi era capitato di notarlo la prima volta con “La Venere degli stracci” vista al Castello di Rivoli e rivista al Louvre, così come con la celebre mappa del mondo (“Map”) di Mona Hatoum fatta di carbone arso vista al Beaubourg e rivista alla Fondazione Prada. E ancora con opere di Louise Bourgeois viste alla Tate Modern di Londra e riviste a Parigi. Questa volta è capitato con “Mass” il gigantesco cumulo di teschi umani che Ron Mueck ha posizionato nella Hall principale della fondazione parigina e ha riallestito al primo piano del Palazzo della Triennale. Nell’esposizione parigina i teschi (che sono enormemente più grandi di un teschio originale), complice la bella stagione, ma soprattutto l’architettura “trasparente” di Jean Nouvel, mi davano l’impressione di un gigantesco “divertissement”, scanzonato, dissacrante. La possibilità di vedere anche dall’alto l’installazione, i riflessi del sole e l’ombreggiatura del lussureggiante giardino della Fondation, facevano di “Mass” un gioco più che un “memento mori”. Non così a Milano dove, una cupa giornata d’inverno e la razionale,ma gelida architettura di Giovanni Muzio (1933), nonché l’occhieggiamento inquieto della Torre Branca dalla finestra, mi hanno fatto apparire l’opera come un cupo monito alla nostra vita terrena. È davvero incredibile come un “contesto” possa contribuire a determinare il senso di un’opera. Certo questo vale anche per il “Tondo Doni” regalo di nozze di Agnolo Doni a Maddalena Strozzi che probabilmente doveva stare a capo del letto e non su una parete degli Uffizi, ma a maggior ragione vale per le opere d’arte contemporanea. Come suggeritomi da un’amica (e dallo storico dell’arte Philippe Daverio), è meglio cimentarsi in esercizi come questo anziché infilarsi in un museo per vedere (molto superficialmente) migliaia di quadri che sono stati dipinti da migliaia di artisti in centinaia di anni a cui noi poi possiamo concedere solo uno sguardo distratto. Provate anche voi a inseguire un’opera d’arte (non importa quale e non importa dove) e l’arte vi apparirà per quello che veramente è, uno specchio profondo dove ritrovare o perdere noi stessi.
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Roma si illumina nel segno della pace con cinque opere di altrettanti artisti contemporanei. Da Mimmo Paladino a Piazza della Minerva a Fulvio Cardarelli a Corviale
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Glasstress
Adriano Berengo, Laura Mattioli Rossi, Rosa Barovier Mentasti, Francesca Giubilei, Giacinto Di Pietrantonio, Fausto Petrella, Tina Oldknow, Luca Beatrice
Charta, Milano 2009, 176pages, 149 illustrations in color 21,5x30,5cm, ISBN 9788881587438, English Edition
euro 42,00
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Relegato ad ambiti e utilizzi limitati, il vetro nel corso dei secoli ha dovuto esercitare grandi pressioni e compiere enormi sforzi per liberarsi dai cliché che lo hanno imprigionato in ruoli ben definiti. Il libro è un cannocchiale che mostra fino a dove si sono spinti i confini del vetro con il quale numerosi artisti contemporanei internazionali si sono rapportati e confrontati ottenendo risultati stupefacenti, di grande originalità e innovazione; un Nuovo Mondo, che ha liberato il vetro dalla sua identificazione in simbolo della tradizione. Il libro comprende opere di Louise Bourgeois,Joseph Kosuth e Kiki Smith tra gli altri. Evento collaterale della 53. Biennale di Venezia. Palazzo Franchetti, Venezia, June 5 - November 22, 2009
19/12/23
#Glasstress#art exhibition catalogue#Palazzo Franchetti Venezia 2009#53 Biennale Venezia#arte e vetro#art books#fashionbooksmilano
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Amy Sherald: La maestra dei ritratti contemporanei
Un viaggio nell’arte e nell’anima di una delle più grandi ritrattiste viventi.
Un viaggio nell’arte e nell’anima di una delle più grandi ritrattiste viventi. Amy Sherald, acclamata artista contemporanea, è una delle più grandi ritrattiste viventi. La sua opera si distingue per l’abilità unica di catturare la complessità emotiva e l’essenza interiore dei suoi soggetti, conferendo ai suoi dipinti un fascino senza tempo e una profondità rara. Ma qual è il segreto dietro il…
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“ Mi è capitato, qualche tempo fa, di visitare una mostra al Leopold Museum di Vienna; una accanto all’altra, nella stessa sala, comparivano due opere apparentemente simili, anzi una era la citazione dell’altra: la prima era una classica tela di Lucio Fontana, coi “tagli” che l’hanno reso famoso, la seconda una tela di Maurizio Cattelan con tre “tagli” alla maniera di Fontana, due orizzontali e uno diagonale disposti in modo che si potessero leggere come la Z di Zorro – “zorro” in spagnolo significa “volpe”: dunque l’operazione di Cattelan consisteva nel prendere in giro l’arte sedicente autentica e nello smascherarne l’astuzia commerciale. Un amico che mi accompagnava, alla mia osservazione che l’opera di Fontana conservava un’energia (come l’ombra del gesto) che era totalmente assente nella tela di Cattelan, rispose usando un aggettivo che non avevo mai sentito: «l’opera di Cattelan è webbabile, l’altra no». Essere “webbabile”, cioè facilmente trasmissibile nell’ambiente digitale, è dunque una dote precisa per i messaggi che oggi vogliano arrivare a tutti. Quella di Cattelan è un’idea*, la tela di Fontana è un testo prodotto dalla passione di un corpo, non un episodio di guerriglia semiologica. I tagli di Fontana non assomigliano agli stencil di Banksy, dove il coraggio e la deliziosa fantasia inventiva sono esterni al disegno, tutti estrovertiti sull’azione civica; nella tela di Fontana il coraggio è incorporato nell’opera: è come le pennellate grumose di Van Gogh, come le colature di Pollock, come l’irriproducibile vibrazione sui mattoncini della vermeeriana Veduta di Delft, che cambiano luce quando l’osservatore si avvicina. “
* “La cucina di ‘Elle’ è una cucina di idee” scriveva già nel 1957 il Barthes di Miti d’oggi.
Walter Siti, Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura, Rizzoli (collana Narrativa italiana), 2021. [Libro elettronico]
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The Holy Family, 1515 circa, inchiostro bruno su carta
Design for an Altar, 1527 circa, inchiostro bruno su carta
Odysseus and the Daughters of Lycomedes, 1520 circa, inchiostro bruno, gesso nero e gouache bianca su carta
Venus at left in the company of cupids playing, xilografia
Affreschi nel Salone delle Prospettive, Villa Farnesina (Roma)
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Tommaso Baldassarre Peruzzi (🇮🇹 Italia, 1481 - 1536)
È stato un architetto, pittore e scenografo italiano. Impegnato in vari campi di attività, fu uno dei pochi che possiamo considerare un "uomo universale", al pari di figure come Raffaello e Michelangelo, capace di incidere sullo sviluppo delle arti in moltissimi settori.
Mentre i contemporanei lo consideravano uno dei maggiori artisti del secolo, dopo poco fu dimenticato, fino alla sua riscoperta nel Novecento. Risulta quindi difficile, a parte le opere maggiori, ottenere il quadro completo dei suoi lavori.
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(via @galleria-artistica)
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Platone. La repubblica platonica
Se l'uomo, per ritenersi giusto, deve vivere secondo verità, allora una società che voglia anch'essa ritenersi giusta deve essere organizzata secondo il criterio della verità filosofica.
[nota: è un mito persistente quello dell'esistenza di un principio di verità che deve guidare la società, una credenza così ben radicata nella nostra cultura che ancora oggi pensiamo che debba essere vera.]
L'uomo si trova per sua natura in uno stato di ignoranza, così come ci viene spiegato nel mito della caverna: uomini incatenati e impossibilitati a volgere indietro lo sguardo vedono proiettate sui muri delle ombre che con l'abitudine scambiano per il mondo vero. In realtà il fuoco della verità brucia alle loro spalle e proietta sulle pareti solamente il suo simulacro. Il sapiente è allora colui che si libera dalle catene volgendo lo sguardo verso la fonte di luce.
Dunque quale criterio di verità seguire per fare il bene di tutti? La tirannide è l'arbitrio di uno solo, l'oligarchia è la tirannide di pochi. La stessa democrazia ateniese [quella che finì per condannare a morte Socrate, "l'uomo più giusto di tutti"] sfocia inevitabilmente nella demagogia, essendo che il popolo, lasciato libero di decidere senza sapienza, si fa tosto abbindolare dal primo che capita. La società più giusta è dunque quella guidata dai filosofi.
Ciascuno in questa società riveste un compito vitale in rapporto alle sue inclinazioni. Le inclinazioni sono quelle che scaturiscono innate nel nostro animo: lo spirito guerriero sarà destinato alla vita militare, quello contadino alla coltivazione della terra, gli spiriti più alti verranno istruiti alla vita filosofica e a loro un giorno spetterà il compito di guidare la polis.
La repubblica platonica è una società comunitaria, questo perché il bene comune è il valore supremo. Le stesse donne, in quanto procreatrici, sono proprietà di tutti, così come gli uomini, i magistrati decidono gli accoppiamenti secondo criteri eugenetici per generare stirpi sempre migliori, una volta nati, i figli vengono tolti ai genitori e cresciuti dalla comunità.
[nota: nella polis guidata dal principio di verità gli egoistici sentimenti genitoriali devono lasciare spazio al bene superiore dell'organizzazione razionale della società.]
Anche gli artisti e i poeti devono essere banditi dalla polis, infatti, poiché il mondo sensibile è già un'imitazione del mondo vero, gli artisti, imitando il mondo sensibile, compiono un'imitazione dell'imitazione, rischiando così di corrompere il popolo con la loro celebrazione del falso.
Se questa repubblica può suonare tutt'altro che giusta con il metro di noi contemporanei, per Platone era la naturale conseguenza del suo sistema fondato sulla verità. Secoli dopo, il marxismo, discendente di quella tradizione filosofica, porrà nuovamente la giustezza di un principio "scientifico" a guida della costruzione della società, con che risultati lascio giudicare al lettore secondo le proprie convinzioni.
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
LA FORMA DELL'ENERGIA
La prima sensazione a colpire di lei è il sorriso: contagioso, fanciullesco, autentico.
Si accende nei suoi occhi e non passa.
Ma c'è di più: Antonella Di Renzo è anche la piacevole scoperta di una pittura che le somiglia non solo nella vividezza dello sguardo quanto nell'intensità del gesto, nel corpo che usa quasi come in una coinvolgente "performance" danzante.
Direi che pensa e si muove come dipinge.
E si esprime nel linguaggio parlato con il medesimo temperamento che promana dalla sua produzione artistica.
Una sorta d'introiezione tra l'artista e l'opera.
Il suo modo di fare arte è avventuroso.
Volutamente si misura con una forma di ricerca volta verso uno scopo molto preciso: cogliere la forma dell'energia.
Per lei, l'energia è "verità".
Si potrebbe dire che la sostanza della materia si rivela nella sua scomposizione, nel suo dissolversi: la pluripremiata artista vibonese riesce a strapparle la maschera della forma compatta che non è il suo volto reale.
Questo è ben più profondo, racchiuso proprio nell'energia che crea la massa e la tiene stretta.
Fino a quando una forza esplosiva non la frantumi liberandola dai vincoli della gravità.
Così, la materia riprende la sua leggerezza originaria e invade lo spazio, lo colora di luminosità, lo percorre senza sosta come impazzita per quella che la pittrice appella come felicità.
Le tele di Antonella Di Renzo sono queste immagini di parola, tra la potenza del colore e la suggestione del movimento, gli sfondi anch'essi dinamici e i materiali che sorgono in rilievo come fossero corpi in espansione.
L'energia fluttua, l'energia non ha "nómos".
Oppure, l'energia possiede regole: sono le leggi del caos, nonostante queste siano ancora sconosciute nella loro apprezzabilità scientifica, ancora avvolte nell'universo dell'indeterminatezza.
Tutto è davvero possibile in un modello statistico basato su principi inconcepibili solo un secolo fa, quando l'archiviazione della fisica newtoniana in favore degli sviluppi discendenti dalla fisica quantistica, da Boltzmann fino ad Heisenberg e alla relazione indissolubile tra ordine e disordine, hanno prodotto una tale mole di evidenze che nulla può ritenersi più reversibile nella spiegazione dei fenomeni dell'esserci.
Antonella Di Renzo è tra le epigoni di questa ormai secolare riflessione espressiva proiettata a risolvere sulla tela la domanda incessante di conoscenza, una domanda che prese corpo già con gli "Impressionisti" fino a spargersi lungo il '900.
Quella domanda di conoscenza è ancora attuale.
Dunque, c'è ancora spazio per artiste come lei.
Uno spazio sconfinato.
Costellato di soglie ancora in attesa di essere attraversate.
- Nelle Immagini: una foto di Antonella Di Renzo che tiene in mano "Amore malato" del 2015 e di seguito altre opere dell'artista
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dailymotion
MARTE DIO DELLA GUERRA
Una realtà di cui abbiamo preso atto è che in questi tempi di guerra e di attacco generalizzato all'umanità da parte di un potere finanziario criminale resta pressoché muta la voce degli artisti contemporanei, ricordando che proprio gli artisti in ogni epoca hanno avuto il compito di rappresentare e svergognare tutte le violenze e le menzogne del potere. Proprio per questo vogliamo oggi ricordare un episodio quanto mai significativo del passato: era il 5 Luglio del 1969 e i King Crimson (di cui ricorreva ieri l'anniversario della nascita come Gruppo) si esibivano di fronte a più di 500.000 persone ad Hyde Park appena prima dei Rolling Stones che avevano organizzato il concerto gratuito. Ebbene, i Crimson aprirono il loro concerto con uno dei brani più feroci e innovativi della storia del Rock, quella 21st Century Schizoid Man (titolo quanto mai attuale) che in quell'Estate dell'amore era un vero pugno in faccia: parlava di guerra, di napalm, di innocenti uccisi, poeti ridotti alla fame, politici bruciati e dell'avidità senza fine dei potenti. La loro esibizione è rimasta nella leggenda e finì in maniera altrettanto clamorosa: chiusero il concerto suonando un brano del geniale compositore contemporaneo Gustav Holst che, studioso di teosofia e astrologia, aveva dedicato un disco ai Pianeti tracciando di ciascuno il carattere astrologico attraverso la musica: i Crimson scelsero Mars (Bringer of War) che il compositore aveva scritto nel 1914 nell'imminenza della Prima Guerra Mondiale, un brano potente e impressionante che con il suo incalzare fu definito "il più feroce pezzo di musica di tutti i tempi" ed evoca una scena di battaglia di immense proporzioni. Per aggiungere ulteriore drammaticità al brano uno dei tecnici della Band verso la fine del pezzo manovrò da sotto il palco una sirena d'allarme aereo: l'organizzatore del concerto che voleva far fretta al Gruppo perché lasciasse il palco agli Stones rimase così impressionato che li lasciò finire: così, in quel giorno di Luglio mezzo milione di spettatori non assistettero solo ad una delle più leggendarie esibizioni della storia del Rock ma ricevettero anche uno shock contenente un sinistro presagio rispetto al clima di falso e generale ottimismo che si cercava di imporre (ricordiamo che era al suo culmine la guerra del Vietnam).
Ci chiediamo perché non emergano oggi artisti di questa levatura a parlarci nella stessa lingua: evidentemente il lavoro che il potere finanziario ha svolto in questi anni in tutti i luoghi dell'istruzione e della cultura ha dato i suoi frutti creando quell'ultimo uomo di cui parlava lo Zarathustra di Nietzsche al mercato, quando avvertiva che si avvicinava il tempo in cui l’uomo "non genererà più stelle”, Il tempo che sarà quello “dell’uomo più disprezzabile, quello che non sa più disprezzarsi”...
Fonte:
https://t.me/labandadegliidraulici
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