#sculture in bronzo
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pier-carlo-universe · 4 months ago
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Freedom: La scultura di Zenos Frudakis a Philadelphia che rappresenta la liberazione dell'anima. Un simbolo potente di libertà interiore ed emancipazione, la scultura "Freedom" di Zenos Frudakis è un'opera iconica che invita alla riflessione sul concetto di liberazione
La scultura Freedom di Zenos Frudakis, situata a Philadelphia, è un'opera d'arte che riesce a catturare l'essenza della liberazione dell'anima e della ricerca della libertà interiore.
La scultura Freedom di Zenos Frudakis, situata a Philadelphia, è un’opera d’arte che riesce a catturare l’essenza della liberazione dell’anima e della ricerca della libertà interiore. Questo capolavoro in bronzo è stato installato all’esterno dell’edificio dell’azienda GlaxoSmithKline, lungo la sede di Philadelphia, e rappresenta un messaggio universale che ha affascinato visitatori e residenti…
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recherchestetique · 9 months ago
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Ciglia di auriga di Delfi da vicino.
È una delle poche sculture in bronzo greco che conserva intarsi di occhi in onice e dettagli di ciglia e labbra in rame. Una delle opere più perfette (474 A. C.)
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massimogilardi · 2 years ago
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La scultura "Efebo de Antequera", scultura neo-attica, primo secolo, bronzo, 1,43 m. e 37,5 kg. È considerata una delle più belle sculture della Hispania romana. Museo della città di Antequera, Malaga, (Spagna).
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persa-tra-i-miei-pensieri · 6 months ago
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Lista di cose artistiche per cui impazzisco quando visito una chiesa, museo, castello o palazzo storico:
⛪ rosone
⛪ campanile con orologio specialmente meridiana
⛪ capitelli
⛪ bassorilievi soprattutto attorno alle arcate delle porte o su un capitello
⛪ affreschi in particolare soffitti affrescati ancor meglio se cupole
⛪ organo soprattutto se antico
⛪ pulpito soprattutto se decorato o presenta una forma particolare
🖼️ affreschi trompe-l'oeil
🖼️ mosaici
🖼️ fasci di luce o vento dipinti
🖼️ uso dell'oro nelle opere d'arte
🖼️ mappamondi antichi e cartine geografiche affrescate o sottoforma di arazzi
🖼️ vetrate colorate
🖼️ stelle e luna dipinte
🖼️ raffigurazioni attinenti ai segni zodiacali, simboli alchemici e nodi celtici
🖼️ scrittura onciale con miniature in particolare se vengono utilizzati colori naturali come il blu oltremare, porpora, ocra, giallo di siena e oro
🖼️ librerie e radio d'epoca
🖼️ strumenti musicali antichi o di etnie lontane soprattutto se si possono vedere i meccanismi interni
🖼️ sculture di personaggi con libri o strumenti musicali tra le mani
🖼️ ceramiche con dipinti paesaggi e natura
🖼️ reperti in bronzo in particolare etruschi
🏰 guglie
🏰 soffitti a cassettoni
🏰 arcate
🏰 lampadari sfarzosi
🏰 cortile esterno con pozzo
🏰 giardini botanici e cespugli dalle forme particolari
🏰 ampolle alchemiche
🏰 strumenti astronomici e orologi antichi
🏰 fontane con sculture
🏰 tessuti e costumi tradizionali ancor meglio se con i bozzetti degli abiti
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albumdigitale2023rita · 1 year ago
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AUTORE: sconosciuto
NOME DELL'OPERA: Ex voto a forma di cavallo
DATA: VIII secolo a.C.
TECNICA: in bronzo; forme estremamente stilizzate ed eleganti
COLLOCAZIONE: Atene
FUNZIONE ORIGINALE: piccole sculture usate come ex voto e deposte presso i santuari
COLLOCAZIONE ATTUALE: New York, Metropolitan Museum of Art
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fashionbooksmilano · 9 months ago
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Beautiful Tomorrow Joseph Klibansky
a cura di Demetrio Paparoni, Luca Berta, Francesca Giubilei
Skira, Milano 2016, 96 pagine, 24x28,5cm, ISBN 978-38 572 32201
euro 30,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Palazzo Franchetti, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti Venezia 27 marzo - 1 maggio 2016
Pubblicata in occasione della prima mostra personale in Italia del giovane artista Joseph Klibansky, la monografia presenta una selezione di opere che offrono una spregiudicata narrazione del percorso creativo di uno dei più interessanti giovani artisti della scena olandese contemporanea.
Un astronauta di sette metri atterrato in bilico su una sedia lungo la sponda del Canal Grande. Un gorilla accigliato che suona una trombetta da party nel salone di un palazzo nobile. La giungla che cresce tra i broccati di seta e rivela una piccola scultura dorata. I lavori fotopittorici di Klibansky, che sovrappongono paesaggi urbani familiari ad ambienti naturali remoti vengono esposti assieme ad irriverenti e poetiche sculture in resina, bronzo, oro."Klibansky" - scrivono in catalogo Luca Berta e Francesca Giubilei - "metabolizza la realtà precostituita dai nuovi media e ci restituisce una vita oltre la superficie, proiettando simboli del presente multiculturale e consumistico nella dimensione dilatata e sorprendentemente innocente delle sue opere." L'uso delle nuove tecnologie è sicuramente un elemento caratterizzante la sua produzione. Le opere bidimensionali sono frutto della sovrapposizione di centinaia di fotografie sulle quali poi l'artista interviene con ritocchi in acrilico su carta di cotone e resina liquida per la finitura.Le sculture invece, generalmente fusioni in bronzo o resina, sono realizzate ricorrendo alla stampa e scansione 3D. Anche in questo caso però l'intervento umano è fondamentale, la lucidatura o dipintura finale vengono sempre realizzate dall'artista, che con questa scelta ribadisce il suo interesse per la commistione tra vecchio e nuovo, tra alta tecnologia e artigianato.
18/05/24
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thebeautycove · 1 year ago
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ETAT LIBRE D'ORANGE - SOUS LE PONT MIRABEAU - Eau de Parfum - Novità 2023 -
P+P what a terrific alchemy. Poems + Perfumes. Is there anything better than that to shake your S+S? Senses and Soul reply right away.
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Che stupefacente alchimia quando le fragranze scuotono la curiosità e sono ganci di riflessione su quanto si è appreso nella vita, soprattutto sui testi scolastici, sulle buone letture fatte nel tempo, su quanto certe esperienze si siano poi trasformate in una trama fitta di passione e condivisione.
Ritrovare Guillame Apollinaire in questa nuova fragranza di Etat Libre d'Orange - Sous le Pont Mirabeau - è stato come aprire un varco di luce nella memoria.
Apollinaire è uno dei grandi della poesia moderna, coniò il termine 'esprit nouveau' dando significato alle avanguardie artistiche francesi d'inizio 900.
La sua poesia multisensoriale vive nella sostanza del ricordo, affrancata dai confini del tempo, ne contrasta la forza dissipatrice per divenire incorruttibile.
Nei versi della sua celeberrima ‘Le Pont Mirabeau’, cui la fragranza si ispira, scorre la malinconia per un amore perduto, la nostalgia di un tempo che non conosce futuro e quella speranza violenta e timida che fu cara a Baudelaire.
E questa sensazione di fluire, del moto perpetuo e sincopato delle acque della Senna traspare da rigorosi accordi acquatici e minerali.
La sensazione in apertura è di freschezza acidula brumosa rubata alle luci dell'imbrunire, di sentori terrosi e metallici sostenuti dalla forza calma dei legni, sandalo e cedro.
Sono aromi sospesi e lenti, meditativi nel solenne evaporare dell'incenso, nel prolungato riverbero ozonato, rischiarati dagli accenti erbacei delle foglie di violetta, dalla poetica rima dell'ambra grigia.
E ancora, come a voler trattenere in circolo le sensazioni di attesa e speranza, riemergono i legni, più confortanti e magnetici nel loro levarsi dal fraseggio distensivo di vaniglia e muschi.
É indossare una poesia.
Creata da Mathieu Nardin.
Eau de Parfum 100 ml. In selezionati p.v.
©thebeautycove   @igbeautycove
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IL PONTE MIRABEAU Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna E i nostri amor Che io me ne sovvenga La gioia mai mancò dopo il dolor Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora Le mani nelle mani restando faccia a faccia Lasciam che giù Sotto l’arcata delle nostre braccia D’eterni sguardi passi l’onda lassa Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora L’amore se ne va come va la corrente L’amore va Come la vita è lenta E come la Speranza è violenta Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora Giornate e settimane il tempo corre Né più il passato Né più l’amore torna Sotto il ponte Mirabeau la Senna scorre Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora
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Il ponte Mirabeau deve parte della sua fama a questa celeberrima poesia di Apollinaire. Costruito nel biennio1895/97 ha una struttura a tre arcate in acciaio e collega la riva sinistra del 15°arrondissement alla destra del 16°. Quattro imponenti sculture in bronzo, poste alla base dei pilastri di sostegno, rappresentano l'abbondanza, la navigazione, il commercio e la città di Parigi. E' uno dei ponti più romantici della Ville Lumière, da sempre cantato e celebrato da artisti e letterati.
Elogio in fragranza al poeta Guillaume Apollinaire, che coniò il termine “esprit nouveau” per rappresentare l’avanguardia dei tempi moderni. Apollinaire aveva in se la genialità dell'innovatore, fu un visionario nell'approcciare le nuove correnti artistiche e il primo a riconoscere la valenza della pittura metafisica.
Il ponte Mirabeau è una delle sue poesie più belle, tratta dalla raccolta Alcools del 1913, in cui l'autore applica ai versi i principi della pittura cubista, le liriche non servono uno schema, non presentano un soggetto ricorrente ma, soprattutto, sono libere e non costrette in spazi limitati dalla punteggiatura.
Il ponte ha per Apollinaire una profonda valenza simbolica, è metafora del sentimento amoroso, luogo che induce a riflettere su sentimenti e tempo. Malinconia e visione onirica si fondono palesando il tratto distintivo dello stile del poeta, la sua poesia non è solo parola, è anche tattile, udibile, percepibile con i cinque sensi, qui sta la sua straordinarietà.
C'è il riferimento alla Senna, all’acqua che scorre veloce come il tempo, alle cose smarrite in esso, all'amore perduto per la pittrice Marie Laurencin, il ricordo e la nostalgia, la consapevolezza di ciò che non potrà tornare, l' abisso di solitudine e malinconia. Tutto passa, la giovinezza e la felicità spazzate via per sempre e la citazione alla 'speranza violenta' di Baudelaire è più che appropriata, poichè la tristezza ha per lui lo stesso significato, di violenza e timidezza congiunte.
E se il tema del tempo è cruciale in quest'opera, la protagonista assoluta è la poesia stessa. Tutto ciò che resiste all’azione distruttrice e implacabile del tempo è il dono di queste parole. Il dolore della separazione viene lenito dalla bellezza, dallo splendore del verbo poetico, che possiede la stessa funzione salvifica della memoria.
©thebeautycove
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artesplorando · 4 months ago
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Henry Moore, scultore e pittore inglese. Henry Spencer Moore è conosciuto per le sue sculture in bronzo semi-astratte di dimensioni monumentali, che si trovano in tutto il mondo come opere d’arte pubblica.
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michelangelob · 6 months ago
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Restauro del Vittoriano: torna visibile il bronzo dorato dell'Aquila e la Vittoria Alata di Rubino
Il restauro del Vittoriano è in corso e si iniziano a vedere i primi risultati. L’Aquila e la Vittoria Alata, da tempo offuscati dalla patina di ossido che li ricopriva, tornano a mostrare lo splendore del bronzo dorato. Il termine dei lavori è previsto per i mese di ottobre, quando sarà ultimato il restauro delle sculture del fronte principale. foto credit VIVE Vittoriano e Palazzo Venezia Il…
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blogexperiences · 7 months ago
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“ORIZZONTI ESSENZIALI” di Massimo D’Aiuto in mostra a porto Santo Stefano
Massimo D’Aiuto Sulla splendida terrazza della Fortezza Spagnola viene proposta la Mostra ORIZZONTI ESSENZIALI una personale dell’artista Massimo D’Aiuto già presentata recentemente a Pietrasanta con successo di critica e di pubblico. Quasi trenta sculture prevalentemente in marmo, bronzo, altri materiali lapidei, ceramica e legno: un percorso attraverso opere realizzate prevalentemente nel suo…
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agrpress-blog · 7 months ago
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La mostra di Massimo D’Aiuto “Orizzonti essenziali” nella Fortezza Spagnola di Porto Santo Stefano Si svolgerà sabato 3 agosto 2024 alle o... #cadifrara #fortezzaspagnola #massimodaiuto #MaurizioRiccardi #mostra #nicolanuti #orizzontiessenziali #portosantostefano #sculture https://agrpress.it/la-mostra-di-massimo-daiuto-orizzonti-essenziali-nella-fortezza-spagnola-di-porto-santo-stefano/?feed_id=6223&_unique_id=66a2ccae7541e
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librofrancesco · 9 months ago
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NOME: I bronzi di Riace
DATAZIONE:450 a.C.
LUOGO DI CONSERVAZIONE: Museo nazionale della Magna Grecia
LIOGO DI RITROVAMENTO: Reggio Calabria
TECNICA: Sculture in bronzo con tecnica a cera persa
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ivo2024 · 5 months ago
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Fredrik Raddum.
https://www.keblog.it/sculture-bronzo-figurative-fredrik-raddum/
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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Reperti archeologici etruschi: una finestra su una civiltà affascinante
Gli Etruschi, antica civiltà dell'Italia preromana, hanno lasciato un'eredità ricca di reperti archeologici che ci permettono di conoscere la loro cultura, la loro religione, le loro abitudini e il loro stile di vita. Questi reperti si possono ammirare in diversi musei e siti archeologici sparsi per l'Italia, principalmente in Toscana, Lazio e Umbria. Tipologie di reperti archeologici etruschi trovati - Sculture: Statue in terracotta, pietra o bronzo raffiguranti divinità, personaggi mitologici, antenati o figure di defunti. Tra le più celebri ricordiamo il Sarcofago degli Sposi di Cerveteri, il Guerriero di Capestrano e la Chimera di Arezzo. - Ceramiche: Vasi di diverse forme e dimensioni, decorati con motivi geometrici, scene di vita quotidiana o figure mitologiche. La produzione ceramica etrusca era molto raffinata e varia, con buccheri, vasi a impasto, kylikes, olle e anfore. - Arredi funerari: Oggetti che accompagnavano il defunto nell'aldilà, come vasellame, gioielli, armi, utensili e statuette votive. Le tombe etrusche, spesso decorate con affreschi, ci forniscono informazioni preziose sulla loro concezione della morte e dell'aldilà. - Oggetti di uso quotidiano: Strumenti in bronzo e ferro per l'agricoltura, l'artigianato e la vita domestica, come fibule, pettini, specchi, vasellame e utensili da cucina. - Iscrizioni: Testi in lingua etrusca, ancora in parte indecifrata, che ci aiutano a comprendere la loro storia, la loro religione e la loro organizzazione sociale. Le iscrizioni si trovano su stele, lapidi, vasi e altri oggetti. Siti archeologici famosi - Necropoli di Cerveteri e Tarquinia: Patrimonio Mondiale dell'UNESCO, con migliaia di tombe decorate con affreschi che illustrano la vita quotidiana e le credenze religiose degli Etruschi. - Volterra: Antica città etrusca con mura di cinta, porte urbiche, templi e un importante museo archeologico. - Orvieto: Città etrusca rupestre con un suggestivo dedalo di vie sotterranee, pozzi e cisterne. - Veio: Importante città etrusca con un santuario federale e resti di templi e abitazioni. - Populonia: Città etrusca portuale con necropoli, acropoli e resti di fonderie. Musei dove ammirare i reperti trovati - Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma): Uno dei più importanti musei al mondo dedicati alla civiltà etrusca, con una vasta collezione di reperti archeologici. - Museo Archeologico Nazionale di Firenze: Ospita una ricca collezione di reperti etruschi provenienti da diverse zone della Toscana. - Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia: Conserva reperti provenienti dalla necropoli etrusca della città, tra cui vasi dipinti, sarcofagi e gioielli. - Museo Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia: Raccolta di reperti etruschi provenienti dalla necropoli di Vetulonia, tra cui buccheri, bronzi e ceramiche decorate. Il mistero affascinante degli Etruschi Lo studio dei reperti archeologici etruschi ci permette di ricostruire la storia di questa antica civiltà e di apprezzare la sua ricchezza culturale e artistica. La loro eredità continua ad affascinare studiosi e appassionati di tutto il mondo. Foto di Angelika da Pixabay Read the full article
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federicodeleonardis · 1 year ago
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Bilbao: Anselmo vs Ghery
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Se nella terza decade del XXI secolo ha ancora senso usare l’aggettivo “figurativo”, è giusto applicarlo all’enorme ragno della Bourgeois che, ondeggiando sulle sottilissime zampe, percorre lo spiazzo antistante il fiume attorno al Guggenheim di Bilbao: chi durante una delle malattie infettive che perseguitano l’infanzia non ha sognato di essere imprigionato nella rete di Aracne e di finire nelle sue grinfie? Invece non ho remore a usare la parola “incubo” per connotare l’enorme edificio progettato da Frank Ghery.
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Mi dispiace per questo fantasioso architetto americano, rappresentante principe del postmodern internazionale, ma dal Ria, dal ponte che lo attraversa e da tutte le strade che lo circondano non si capisce proprio cosa sia destinato a contenere: un asilo per pazzi scatenati? anzi il principe degli asili per claustrofobici? il municipio di amministratori di una città uscita fuori dalla fantasia di uno Swift? Invece è il quarto e più famoso contenitore dell’immensa e prestigiosa collezione d’arte appartenente a una famiglia americana, raccolta soprattutto negli anni del surrealismo da Peggy, ricchissima erede di un magnate perito nel disastro del Titanic (e amante, se non vado errato -anche- di Max Ernst, l’unico di quel movimento di cui forse vale ancora la pena parlare; la collezione è poi stata arricchita successivamente di opere molto importanti un po’ di tutti gli artisti emergenti sulla scena). Il Guggenheim museum è emblema e baricentro di quella Svizzera marina che è la regione basca, di cui Bilbao è chiaramente la capitale (finanziaria e industriale).
La città, circondata da colline verdi e attraversata da un fiume, mostra chiaramente di essere una sede adatta agli agi di quella piccola borghesia che ormai trionfa su tutto il pianeta e in particolare in Europa. Qui si dimenticano volentieri le contraddizioni che ci propina quotidianamente internet, le guerre, le favelas, i mucchi di garbage in cui frugano “i dannati della terra”. A Bilbao, con un portafoglio tutto sommato medio, si vive bene: vino eccellente, alta cucina nei numerosissimi pubs sparsi un po’ dovunque (fortissima l’influenza dell’epoca vittoriana inglese coi suoi cottages e le sue ville revivals nel porto affacciato sul Golfo di Biscaglia), donne fresche di parrucchiere, marciapiedi immensi, non un graffito, parchi senza un filo d’erba fuori posto dove pullulano panchine e sculture rigorosamente del bronzo più retorico comune in tutto il mondo, ecc.  Sarà un caso che il quarto Guggenheim sia stato localizzato qui?
Basta con le maligne analisi urbanistiche, qui sista bene e tutte le strade conducono a Roma, pardon, al museo (non un angolo che non ne faccia pubblicità, anche nel centro storico (dove qualche graffito, è la prima volta vi confesso, mi tira un po’ su). Tutte, compresa quella che attraversa il Ria sul ponte frutto dell’’inventiva di un Calatrava, forse il più leggero che mi sia stato dato di attraversare. Ma che ci sta a fare questo tocco di eleganza nerviana (onore a te, Pierluigi, padre e mentore dello spagnolo) accanto al mostro gheryano, uno sputo nel mare ondeggiante dei suoi contorti e un po’ ridicoli volumi?
Per essere espliciti una volta per tutte e spero chiari: l’architettura è chiamata, sempre, a proteggere la vita nelle sue forme più varie e, nel caso di un museo, quella dell’arte e delle memorie dello spirito inventivo dell’animale più curioso sulla faccia della terra. L’architettura è decisamente un mestiere difficile, proprio a causa del suo diretto coinvolgimento con il sociale; insomma deve essere anche pratica, alla portata di ogni più elementare bisogno e non solo quello di proteggerci dalla pioggia o dai terremoti. Nel caso di un edificio museale è chiamata a conservare ed esporre la memoria della punta di diamante dello spirito, l’arte, di cui essa stessa fa parte. Ma per riuscirci deve fare non uno bensì più passi indietro. La sua funzione è quella di dare spazio ai colleghi, coloro che dovranno occuparlo, sia pure momentaneamente. L’ha avuto ben chiaro uno come Zumthorn a Bregenz, dove ha progettato un museo che rappresenta uno splendido esempio nel contempo di modestia, funzionalità e bellezza minimale. “Reduced” direbbe Wiener (un connazionale dell’architetto americano che campeggia in una sala a piano terra del G., a commentare le splendide e un po’ eccessive spirali di un altro americano, Richard Serra che, come tutti loro, pensa alla grande, alla rinascimentale. Il conflitto moderno-postmoderno, è un’invenzione recente di menti incolte: alla faccia di Ghery, Borromini muove lo spazio inventato da Brunelleschi e Piero, perché la vita, comunque precaria e difficile, non perde il suo rapporto con la religiosità. La tensione spirituale che dovrebbe impegnare l’arte contemporanea è il corrispettivo laico della fede dei secoli di Monteverdi e Bach: è un fatto innegabile. Ma se l’americano s’è agitato forsennatamente nello spazio è solo per esprimere la propria singolarità, la propria originalità, impedendo in qualche modo di parteciparla ai colleghi che espongono nelle viscere di quello da lui esibito. E’ proprio una questione di misura, la stessa che distingue i pesantissimi orpelli del S. Nicola di Bilbao dal S. Carlino o il S. Ivo di Roma. Una misura che manca del tutto all’edificio progettato da Ghery. Basta un’occhiata a denunciarlo: il museo mette a disposizione dell’esposizione forse nemmeno un terzo dello spazio occupato dai suoi contorti volumi: qualsiasi fotografia lo rende evidente senza bisogno di ricorrere a piante e prospetti.  
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E qui chiudo con il tanto osannato edificio. Ma ancora una domanda: che ci fa Giovanni Anselmo lì dentro? Come ha potuto confrontarsi con l’americano? Come ne è uscito?
2°  Oltre l’orizzonte
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Se ho tirato in ballo Piero, Filippo e il Francesco d’un secolo dopo è perché questo connazionale contemporaneo ne conserva la memoria. E che altro deve fare un artista se non ridire quanto già affermato dai colleghi che lo hanno preceduto e ridirlo con parole comprensibili nel secolo in cui è vissuto? Magari aggiungendo qualcosa per cui non si possa più tornare indietro? Sì, perché Giovanni Anselmo è stato il poeta che, col suo pallino dell’energia fisica, ha fatto tramontare definitivamente i “valori plastici”, faticosamente tenuti in vita dall’arte del secolo scorso, e lo ha fatto con la semplicità di un Piero della Francesca e la fantasia spaziale di un Borromini. Non ci sarebbe altro da aggiungere per commentare la sua retrospettiva ospitata al secondo piano dell’immenso edificio di cui ho parlato nel post precedente e mi auguro che questo sia sufficente a convincere tutti gli artisti che oggi intendono ancora lavorare a muovere le chiappe per constatare de visu la verità di quanto ho affermato: c’è trippa per gatti, per tutti, ad esclusione di quelli floreali di quel zuzzerellone di un Koons (davanti all’ingresso del monstrum).
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Ma la mia fiducia nella perspicacia dei visitatori non pigri può ingannarmi e mi rimane il compito certamente difficile di argomentarre un po’ queste affermazioni, senza tradire quanto deve prima essere constatato coi propri occhi. Sono venuto apposta da Milano nella lussuosa Bilbao perché il lungo sodalizio spirituale avuto con il torinese lanciato da Germano Celant lo esigeva: una retrospettiva completa è ben più complessa da organizzare di una sia pur impeccabile mostra come quella recente dalla Lia Rumma a Milano. Il compito dei suoi curatori è stato arduo, non solo perché si è trattato di mettere in piedi 70 anni di attività dell’artista, ma anche di farlo in un luogo che, l' ho cercato di dimostrare, fa a pugni con chi ospita in generale, ma in particolare con l’opera di quest’artista.
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Ho parlato di semplicità, ma devo specificare esclusivamente visiva e suffragarlo con qualche esempio: non basta dire energia della sofficità, bisogna vederla coi propri occhi in azione attraverso un cespo d’insalata piuttosto che una spugna; non basta sentire la stretta di un panno strizzato, occorre verificarlo attraverso la resistenza della sua massa compatta; non basta dire tramonto, ma dispiegare l’evento attraverso una sequenza di quanto più banale si possa inquadrare in cornicette modeste in fila indiana; e ancora, non basta parlare di paesaggio grigio  verso oltremare, ma occorre metterlo in scena nella sua drammaticità pesante (i tempi sono questi, ahimé) e a ciò è sufficiente la posizione audace e la dimensione ridottissima di un rettangolo spatolato di colore denso.
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Tutto è tensione nella retrospettiva, anche quella dolce della capillarità o di un panno tirato in orizzontale. Dico solo che vale la pena di un viaggio di cinque ore per immergersi in questo mondo poetico proprio per la sua semplicità, per la sua elementarietà, oserei dire per il suo ottimismo. L’orizzonte oltre il quale Anselmo ci invita ad andare (“Beyond the horizon” il titolo della mostra) è di una semplicità sconcertante, di un naturalismo calmierante (tutti oggi parlano di ecologia, ma chi lo fa senza tradirla?) L’architettura di riferimento per lui è l’universo attraversato dal lieve magnetismo indicato dall’ago di una bussola immerso nella pietra più dura della terra: il granito. I massi incombenti retti da un assembramento di tele intelaiate (lo strumento principe dell’arte del passato - sottolineo passato) sono dinamica pura, senza ambiguità, al limite del banale.
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Castello di Rivoli: sulla sinistra il sunset, sulla destra la mano che lo indica
Nella retrospettiva gli esempi si sprecano e io ora non ho nessuna voglia di proseguire nell’elenco. Ho parlato di ottimismo, un atteggiamento che, insieme alla convinzione che l’energia non sia solo fisica ma anche psichica, accomuna Anselmo a un altro grande artista, il tedesco Joseph Beuys. E poi, a girare attorno al concetto, ma questa volta senza alcun ottimismo, dobbiamo annoverare il lavoro di un altro italiano, Fabio Mauri che, in apparente contrapposizione, afferma essere l’energia anche politica, nel senso più nobile della parola. Essa cioè deve fare i conti con la storia, quindi l’ideologia, pena il precipitare inesorabilmente nei disastri planetari che nulla hanno a che vedere con quelli naturali; ne sono prova addirittura due guerre mondiali con un paio di olocausti di mezzo. Ma questo è un discorso che impegna uno spazio ben più ampio.
Devo proseguire?
Due parole ancora sul rapporto di Anselmo con l’architettura, quest’ancilla delegata a ospitare il suo grande teatro. Il penchant per il naturalismo lo porta oltre, appunto: beyond. L’architettura è l’universo del cielo stellato, delle forze elementari come la peso o la magnetica (mi stupisce che non abbia mai fatto niente con l’elettrica o la cristallizzante (l’energia intuita da Euclide 2500 anni fa): l’architettura è un incidente di percorso, che sia un Guggenheim, un Rivoli o un Maxi, non importa: il concetto di energia è puro, è quello offertoci da una mano disegnata a punta d’argento su un grande foglio di carta spolvero; la storia che coinvolge l’architettura, la memoria che si porta pesantemente appresso, sono fatti contingenti.
E le stelle stanno a guardare,
 le stelle che lo hanno accolto circa due mesi fa.
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silviascorcella · 1 year ago
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Bona Calvi: l’orafa che narra il fascino del quotidiano in miniature
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Accarezzano il sentimento della meraviglia con dolcezza e giocosità i gioielli nati dalle mani felicemente operose e dall’innamoramento per l’arte orafa di Bona Calvi: già solo a guardarli regalano il sorriso desideroso di indossarli. Ma regalano anche la conferma rassicurante che riporre la fiducia nell’artigianato come maestro di tecniche antiche e come mestiere da modellare a misura della vita contemporanea, è ancora e sempre una scelta buona e giusta.
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Ecco, Bona Calvi racchiude nella bellezza speciale dei suoi piccoli capolavori preziosi proprio queste virtù: il talento sorprendente di saper lavorare la materia metallica con finezza certosina, e con il desiderio di dare vita a creazioni che compongono un racconto semplice, popolato da forme ordinarie, animali, piante, fiori e oggetti, che abitano il nostro mondo quotidiano. Ma che Bona Calvi tramuta in miniature straordinarie che affascinano il nostro gusto in un baleno!
La storia di Bona Calvi è breve ma intensa, perché giovane ma densa di concretezza determinata e rivelazioni che hanno il sapore della fiaba: a Milano, Bona nasce nel 1989 e resta, in una sorta di fedeltà che le dà piena ragione. Perché è all’Accademia delle Belle Arti di Brera che studia scenografia per poi accorgersi, grazie al lavoro in un laboratorio specializzato in conservazione e restauro di antichi strumenti scientifici, che la dimensione vera che la anima di soddisfazione ha a che fare con le mani che lavorano i metalli e con l’intenzione di vivere del suo saper fare.
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Ed è quindi alla scuola orafa ambrosiana che salda, letteralmente, questa predilezione e vive una seconda, fondamentale illuminazione: è la tecnica antica della cera persa lo strumento ideale che le consente di modellare le sue ispirazioni in forme plastiche sospese tra sogno e realtà. Ed è nel cuore di Milano che Bona Calvi stabilisce il cuore della sua attività: nel laboratorio di di via Stampa 8, dove accade ogni fase del percorso di creazione, dal disegno del bozzetto alla modellazione paziente di ogni dettaglio anche il più sottile e minuscolo, che dalla cera si trasferisce su oro, argento e bronzo e s’impreziosisce di pietre e perle. 
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Perché quelle di Bona Calvi son autentiche micro-sculture delle realtà: o meglio, son miniature fedeli all’apparenza oggettiva, e al contempo leali all’immaginazione di Bona stessa e alla sua sensibilità generosa a soddisfare i desideri della sua clientela.
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La sua è dunque una collezione che pian piano si popola di nuovi protagonisti: che dal mare esotico, dalla lontana savana o dal parco vicino a casa diventano anelli, orecchini e ciondoli, come accade per le alici dagli occhi di pietre brillanti, la balena, il polpo e il granchio, la giraffa e l’elefante, il serpente che può abbracciare le dita o cingere il polso, il bradipo e l’orso, la rana che stringe tra le zampe una perla, il coccodrillo che la rincorre lungo la catena, le coccinelle dal corpicino di pietra colorata, i pesciolini appesi ai cerchietti degli orecchini.
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Ci sono anche gli inseparabili, come i pappagallini che si guardano vis-à-vis nell’anello aperto, o come gli oggetti che nel quotidiano funzionano a coppia: teiera e tazzina, e la bottiglia di vino col suo calice. Quelli di Bona Calvi son micro-mondi pregiati: sono gioielli che come un lessico familiare raccontano storie, quelle dell’orafa che a loro da vita, e quelle personali di coloro che li scelgono per affinità elettiva.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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