#Teatro La Comunità
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Micol Jalla in residenza per It’s a match!
dal 09 al 22 Dicembre 2024
Inizia oggi la residenza creativa per la ricerca e composizione del nuovo spettacolo di Micol Jalla.
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Viviamo in un’epoca in cui le piattaforme digitali stanno trasformando profondamente le relazioni sociali e familiari. Strumenti come App di social network o di dating non si limitano a connettere le persone, ma diventano il terreno su cui si costruiscono nuovi tipi di legami. Questi spazi digitali, come sottolinea il sociologo Manuel Castells, affiancano alle relazioni sociali tradizionali nuove forme di auto-narrazione, che attraversano e pervadono gli interstizi della vita quotidiana, offrendo possibilità inedite di contatto e interazione.
In questo contesto, i confini tra pubblico e privato si ridefiniscono continuamente, così come quelli tra online e offline, creando una continuità che, come ricorda il sociologo Giovanni Boccia Artieri, assume le caratteristiche della coalescenza: due dimensioni apparentemente opposte che si intrecciano e si sostengono a vicenda, come due facce della stessa medaglia.
Le piattaforme digitali non solo offrono strumenti per raccontare e definire la propria identità, ma amplificano anche la pressione sociale, spingendo gli individui verso l’aderenza a modelli ideali e alla ricerca costante di approvazione. Questa dinamica ha un impatto significativo anche sulle relazioni familiari, in particolare sul rapporto genitori-figli, dove le aspettative, spesso irrealistiche, generano tensioni tra il desiderio di perfezione e la necessità di accettare l’imperfezione e la complessità dell’altro e di se stessi: le aspettative che percepiamo raramente corrispondono a ciò che l’altro desidera realmente da noi, trasformandosi spesso in un riflesso delle nostre convinzioni su ciò che crediamo di dover essere per sentirci accettati e amati.
Da queste premesse nasce It’s a match! il nuovo lavoro di Micol Jalla (Torino), che ha ricevuto la menzione speciale della giuria e dell’osservatorio critico al Premio Scenario Infanzia e Adolescenza 2024. Lo spettacolo racconta di un mondo distopico in cui genitori e figli si scelgono attraverso un’App di incontri, un meccanismo che ribalta i legami familiari tradizionali, trasformandoli in una compravendita di identità e relazioni. Ma potersi scegliere rende davvero i rapporti più semplici? O amplifica la difficoltà di adattarsi, accettarsi e crescere insieme? Attraverso una riflessione condivisa con preadolescenti, lo spettacolo esplora temi centrali come le aspettative, la ricerca della perfezione, il bisogno di approvazione e la difficoltà di essere genitori e figli.
A partire da queste riflessioni incontreremo in questi giorni gli studenti e studentesse delle scuole del territorio insieme alle loro insegnati per il progetto La scuola elementare del teatro e della danza e alcuni adulti partecipanti alla serie di incontri Farsi comunità. Un processo collettivo di condivisione di sguardi ed esperienze.
#residenza creativa#premio scenario#Micol Jalla#It's a match!#farsi comunità#la scuola elementare del teatro e della danza
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Conte Giuseppe Primoli 1890, neve sullo sterrato della zona dove sarebbe sorto il Tempio Maggiore di Roma (1904) e la zona dei cosiddetti "quattro villini" tra piazza delle Cinque Scole, via del Portico d'Ottavia, Lungotevere Cenci.
Sotto questa terra smossa su cui bruca il cavallo dovevano stendersi resti di magazzini romani, della zona indicata nella Forma Urbis Severiana come Navalia e, forse, del Tempio di Castore e Polluce, collocato sotto l'area di Monte Cenci dove furono rinvenute, tra Quattro e Cinquecento, le statue dei Dioscuri, già allora traslate al Campidoglio.
In lontananza nella foto, il campanile di San Giovanni Calibita sull'isola Tiberina e, di fronte, la Torre della Pulzella.
Risalente al 1200, essa era parte delle torri medievali di Roma, legate a famiglie della nobilità e del ceto mercantile cittadino di cui erano insieme strumento e concreta traccia sul territorio.
Questa torre, collocata sull'isola, guado fluviale tanto essenziale alla vita cittadina da aver facilitato e forse cagionato la nascita dei primi insiediamenti destinati ad evolversi nella Roma romulea, apparteneva alla famiglia dei Pierleoni.
Probabilmente ebrei e opportunamente convertiti per poter sfruttare al meglio le proprie ricchezze in una Roma medievale pur non ancora dotata di Ghetto, e forse meno ostile alla Comunità di quanto non si sarebbe più tardi dimostrata, i Pierleoni controllavano anche il tratto alla base del Campidoglio.
L'edificio medievale presso il vico Jugario è a loro intitolato, e anche loro era la torre che si nota a destra, addossata al corpo della Basilica di San Nicola in Carcere, riusata come torre campanariae contenente un'antica campana di fine Duecento, commissionata dai Savelli.
Ma, soprattutto, oltre a case medievali al vicino Velabro, ai Pierleoni apparteneva il forte costruito sulle rovine del Teatro di Marcello, e di cui ancora si vede l'affollarsi di strutture alte e strette su via del Foro Olitorio.
Passato ai Savelli e, tramite loro, agli Orsini, quel forte oggi lo conosciamo come palazzo Savelli Orsini, opera di Baldassarre Peruzzi, la malinconica e splendida residenza costruita nella cavea del Teatro.
La torre della Pulzella, dall'enigmatica testolina che vi appare inquadrata da una finestrella cieca e che guarda intenta dalla parte del Portico d'Ottavia, passò come tutto il resto dei Pierleoni nelle mani dei Savelli, incastellati così tra l'isola e l'omonimo Monte, e i cui domini si estendevano già verso Campo de' Fiori e all'Aventino, come attestato dagli odonimi vicolo de' Savelli e Clivo di Rocca Sabella.
La pulzella, comunque, è una testa romana, ma la leggenda popolare la vuole l'impietrirsi di una bella giovane aristocratica che, murata per vincere la sua resistenza a un matrimonio di convenienza, morì lassù spiando all'orizzonte il ritorno del suo vero amore dalla guerra.
Fonti: studi di F. Coarelli e P. L. Tucci sulla topografia del Circo Flaminio e dell'area dei Calderari.
A. Carandini, Roma. Il primo giorno, Laterza 2007.
#isola tiberina#roma#rome#italy#italia#savelli#pierleoni#giuseppe primoli#fotografie d'epica#vecchie foto#roma sparita#Italia sparita#Ghetto di Roma#Comunità ebraica#torri medievali#medioevo#Roma baronale#Roma medievale#Monte Savello#circo flaminio
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Ciao!!
Ho visto suo post sulla settimana della lingua italiana nel mondo e ho voluto condividere qualcosa!
Quest’anno (e anche l’anno scorso) sono parte dell’Italian Theatre of Western Australia. Ogni anno il teatro fa una commedia durante la settimana della lingua per la comunità italiana qui a Perth, Australia. Io sono nata qui ma con origini italiane, e c’è una mescola di attori italo-australiani e italiani nel teatro.
Ecco il poster per lo spettacolo!
The Italian language is alive and well in the most isolated capital city in the world :)
Ciaooo!! WOW ma è fantastico!!!! Grazie mille per averci res* partecip* e per aver inviato il poster dello spettacolo. Merda merda merda! Tantissima merda a te e a tutta la compagnia<3 (non voglio sembrare scortese ma mi sembra si dica così in teatro... giusto? ;D)
#xxiii settimana della lingua italiana nel mondo#it#italian#lingua italiana#italian language#langblr#languages#italian langblr#italiano#australia#theatre#domande asks
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"La poesia più breve è un nome." Che pensiero curioso. Considerare che un nome, una sola parola, può racchiudere così tanto — eppure così poco. Forse è la forma più pura di poesia, distillata alla sua essenza. Un nome è un segno, un simbolo, un suono. Ma in quel suono fugace si nasconde l'intera storia di una persona, di un luogo, di un'idea. Prendiamo, ad esempio, le opere senza tempo di Shakespeare. Si potrebbe sostenere che Shakespeare, in tutto il suo genio, abbia compreso il potere di un nome meglio di chiunque altro. Romeo e Giulietta: quei due soli nomi, pronunciati nel silenzio di un teatro, suscitano emozioni. La faida tra i Montecchi e i Capuleti non è semplicemente una faida di famiglie, ma di identità, di nomi che racchiudono in sé generazioni di significati, amore e dolore. Giulietta dice: “Cosa c'è in un nome? Quella che chiamiamo rosa con un altro nome avrebbe lo stesso profumo”. Eppure, nonostante la sua protesta, il nome Montecchi ha ancora un peso. Non è solo una parola; è un lignaggio, un fardello, un'eredità. Lei lo sa, Romeo lo sa. E ad ogni pronuncia dei loro nomi, sentono sia l'attrazione del destino che il peso della storia. L'etimologia stessa della parola nome è affascinante. Dall'inglese antico nama, derivato dal protogermanico namô, risale ancora più indietro al protoindoeuropeo nomen, che significa “nominare” o “chiamare”. Il nome, nella sua forma più antica, era un richiamo, un modo per evocare qualcuno o qualcosa. Era un potere, e con il potere arrivava l'identità. Diventava un legame, un filo che collegava gli individui alle loro comunità, ai loro antenati, al loro destino. Che cos'è allora un nome? È molto più che un accozzaglia di lettere. È una rivendicazione. Un nome è un dono, ma a volte sembra più una condanna. Nei nostri nomi ereditiamo eredità di amore, ma anche di conflitti, di aspettative. Dal momento in cui ci viene dato un nome, esso inizia a plasmarci. Diventa parte del nostro paesaggio emotivo. Ci cresciamo dentro, o a volte ci ribelliamo ad esso, cercando di ridefinire chi siamo a prescindere da esso. In un certo senso, i nomi sono uno specchio. Ci riflettono chi siamo e chi siamo destinati a essere. Ma sono anche in continua evoluzione, perché il modo in cui ci chiamiamo, in cui ci rivolgiamo, definisce il modo in cui siamo visti. Considerate le emozioni che si provano intorno a un nome: l'emozione di sentire qualcuno pronunciare il vostro nome con amore, il dolore quando viene pronunciato con rabbia. C'è potere in un nome che viene sussurrato, che viene gridato, che viene scritto in una lettera, che viene inciso nella pietra. Ma forse il vero peso di un nome deriva dal suo legame con qualcun altro. Quando chiamiamo un altro per nome, lo riconosciamo. Convalidiamo la sua esistenza. Il semplice atto di pronunciare il nome di qualcuno ci lega in un modo che le parole da sole non possono fare. E cosa c'è di più poetico di questo? Un nome, la più breve delle poesie, è un ponte tra i cuori, un riconoscimento di chi siamo in relazione gli uni agli altri. Le grandi tragedie di Shakespeare ce lo ricordano. I nomi Amleto, Ofelia, Macbeth, Lear: ognuno è un filo di un complesso arazzo di emozioni, legami e conseguenze. Ma forse, alla fine, ciò che conta davvero è il nome che ci lasciamo alle spalle. Non perché durerà per sempre, ma perché è stata la poesia che abbiamo vissuto, quella che abbiamo portato con noi, che abbiamo sussurrato sulle labbra di chi abbiamo amato e che abbiamo impresso per sempre nel mondo che abbiamo toccato. Quindi, sì, la poesia più breve è un nome. È una poesia che, una volta pronunciata, può riecheggiare attraverso il tempo, attraverso le generazioni, attraverso i cuori.
#anne michaels#poem#poemi#poema#poesia#nome#etimologia#pensiero#pensieri#infinite gradation#citazioni#citazione#dark academia#dark academia quote#riflessioni#riflessione
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che poi anche se penso al mio amato nonnino, che ha faticato tantissimo nella sua vita con un lavoro che a molti sembrava modesto, mi è sempre sembrato dai suoi racconti che perlomeno all'epoca ci fosse un senso molto esplicito di essere parte di qualcosa, di equilibrio. cioè il discorso era: "il modo in cui lavori/lo sforzo che dedichi alla tua professione" -> "quello che il tuo lavoro di rende/l'impatto che ha sulla tua comunità". invece oggi sembra tutto vano, tutto uno spreco di energie senza fine, e alla fine siamo tutti drenati e uccisi dentro, senza neanche sentirci "protetti" gli uni dagli altri, o insomma come se ci fossero altre persone che si prendono cura di noi così come noi ci prendiamo cura di loro. è tutto defocalizzato rispetto al vivere collettivo. facciamo, facciamo, facciamo e buttiamo il sangue nella speranza di vivere una vita dignitosa e magari pure soddisfacente (magari), ma siamo senza speranza, perchè vediamo questo obbiettivo essere sempre più faticoso e perchè ci sentiamo abbandonati da tutto e da tutti. e a quel punto ci facciamo risucchiare da quella mentalità iper produttiva e senza cuore per il solo scopo di non finire schiacciati o di non essere fra quelli che inevitabilmente verranno lasciati indietro. e così facendo lasciamo gli altri indietro e diventiamo sempre più distaccati e disconnessi e qualcosa dentro di noi si spezza.
io penso che l'antidoto a questo sciupìo di umanità sia proprio il fatto di tornare a valorizzare il contributo umano nella nostra vita, le cose che possiamo fare gli uni per gli altri, la rete di persone che ci circondano direttamente. rifocalizzarci sul mondo "piccolo" che sta intorno a noi, reinserirsi in quella dimensione locale senza necessariamente cadere sempre in mano alle grandi multinazionali che succhiano via tutta la linfa vitale dalle nostre comunità. andare a prendere il pane dal panificio in piazza tornando a casa dal lavoro, scegliere di non buttare gli stivali della scorsa stagione, ma portarli dal calzolaio, che con dei lacci nuovi qualche riparazione e una lucidatura probabilmente sono ancora buoni per qualche anno. comprare il giornale la domenica mattina e andarlo a leggere al baretto dietro casa, magari con il pretesto fare quattro chiacchiere con le persone. andare al cineforum, al teatro, alla galleria d'arte indipendente che nemmeno sapevi esistesse. tornare alle biblioteche, ai mercatini, ai club del libro, ai campetti di calcio abbandonati (e intendo proprio quelli che servono per giocare divertendosi, non quelli dove fare le competizioni o allenarsi sempre con la finalità di fare bene).
io credo che per sfuggire a questa alienazione che sembra pervadere ogni aspetto della nostre vite contemporanee dobbiamo rinfondere vita alle nostre comunità e per farlo dobbiamo tornare a dare valore a quello che possiamo fare gli uni per gli altri. dobbiamo ricordarci che viviamo per questo, per trovarci, per condividerci.
#sfogo#scusate#io e i muri di testo siamo grandi amici#mio#comunità#riflessioni#pensieri#qualità di vita#vita#lavoro#società#mio post#questo discorso non ha colore politico#però si vede che non sono di destra vero?#nel mondo che vorrei#la vita sarebbe più semplice perchè nessuno sarebbe mai solo
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“Prima che mi caccino, mi dimetto io della direzione del Teatro Comunale di Ferrara”. Moni Ovadia anticipa l’umiliazione della cacciata prossima ventura da parte del cda del teatro, dopo il polverone alzato sulla questione Hamas-Israele. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’artista di origine ebraica ha rassegnato le proprie dimissioni, chieste peraltro da giorni e a gran voce da tutta la maggioranza di centro-destra che governa Ferrara.
Non più di una decina di giorni fa Ovadia aveva dichiarato all’Adnkronos che “la morte anche di una sola persona, sia essa israeliana o palestinese, è sempre una tragedia e va condannata con tutte le forze”; dopodiché aveva criticato la politica del governo Netanyahu sostenendo che “Israele lascia marcire le cose, fingendo che il problema palestinese non esiste, per cancellare la stessa idea che i palestinesi esistano; e la comunità internazionale è complice: questi sono i risultati. Questa è la conseguenza di una politica di totale cecità, di occupazione e colonizzazione”. Ovadia aveva concluso sottolineando che la “Striscia di Gaza non è un territorio libero, è una gabbia, una scatola di sardine: è vero che dentro non ci sono gli israeliani, ma loro controllano comunque i confini marittimi e aerei, l’accesso delle merci, l’energia, l’acqua. Non a caso l’Onu aveva già dichiarato Gaza zona ‘non abitabile’. La situazione è vessatoria, dirò di più: è infernale. Come ci insegna persino l’Iliade, l’assedio è una forma di guerra… e allora? A Gaza non sono forse assediati da Israele? Poi, hanno deliberatamente lasciato il governo di Hamas perché per gli israeliani la rottura inter-palestinese fra Hamas e l’Olp-Al Fatah è stata fondamentale”.
Insomma, un punto di vista non allineato alla vulgata comune nell’improvvisa fiammata di guerra tra Israele e Hamas. “Ho detto che la responsabilità di tutto quello che è accaduto ricade sul governo israeliano. Non ho detto “Viva Hamas”. Ho solo aggiunto che hanno lasciato marcire la situazione. E ho scritto cose molto, molto più forti in questo senso in passato”, ha quindi puntualizzato Ovadia al Corriere. “Fino a ieri ero intenzionato a non dimettermi ma a farmi cacciare, piuttosto. Dopodiché sarei andato in tribunale. Ma, ripeto, non voglio danneggiare il teatro. Non solo, questa situazione si sarebbe ripresentata continuamente, perché questo è il nuovo fascismo: stigmatizzare l’opinione delle persone criminalizzandole”.
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Waterloo Street è il centro nevralgico della vita notturna di Derry. Pub, locali, giovani, gente del posto, turisti da ogni dove. Salire e scendere su quella strada che fu teatro della Battaglia del Bogside dell'agosto 1969, fa ancora un certo effetto. Impossibile dimenticare. Ma qualcosa è cambiato. Da rappresentazione della resistenza nazionalista a luogo di riferimento della comunità nazionalista del quartiere del Bogside. Percorrere William Street, girare a destra e iniziare la salita. Qui inizia la meraviglia. Uno dei primi pub da ammirare è il 'Peadar O'Donnell's'. Che dire. Il pub per eccellenza. Esterni che rubano l'occhio, interni di straordinaria bellezza, atmosfera a dir poco meravigliosa. Musica dal vivo, brindisi, risate, voglia di divertirsi, voglia di conoscersi. Una sorta di paradiso per chi è alla ricerca dell'irlandesitá. 'Peadar O'Donnell's' e un posto da custodire gelosamente, un posto che ti entra nel cuore e non va più via. Pinte, allegria, identità. Tutto quello che si può chiedere, tutto ciò che basta per essere felici. Derry è un pezzo di cuore. Così come questo magnifico pub. 🇮🇪🍻🥃🎻 © Irish tales from Rome
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“ A partire dal 1223 si apre il periodo che i biografi [di san Francesco d'Assisi] definiscono della «grande tentazione», tentazione di abbandonare tutto, di disinteressarsi completamente della comunità, forse di non avere più fiducia in Dio. Ma ci sono momenti di remissione: uno di questi è la grandiosa celebrazione del Natale nell'eremo di Greccio nel 1223. Francesco organizza una sacra rappresentazione corale che trasforma in attore anche il pubblico accorso ad assistervi. Chiama un nobile di nome Giovanni, «di buona fama e di vita ancor migliore» sul cui affetto e devozione sa di potere contare e gli ordina, quindici giorni prima di Natale, di preparare lo scenario adatto. Dice all'amico: «Voglio rappresentare quel Bambino nato a Betlemme come se in qualche modo avessi davanti agli occhi i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu posto in una greppia e come stette sul fieno fra il bue e l'asino». Dobbiamo immaginare che per evocare la grotta siano state adattate le rocce della montagna, magari allargando qualche cavità naturale, oppure che per accogliere anche i fedeli sia stata costruita con tronchi d'albero una grande capanna? Quindici giorni sono un tempo eccessivo, se dedicati soltanto a preparare un po' di fieno e a condurre sul luogo due animali. Il bue e l'asino non fanno parte del racconto evangelico della Natività, ma furono aggiunti dai Vangeli apocrifi. Francesco, sensibile al messaggio delle immagini, ritenne bue e asinello indispensabili al suo teatro sacro.
Il racconto di Tommaso da Celano sembra la descrizione di un meraviglioso presepio vivente: vediamo accorrere «molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte nella quale s'accese splendida la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. [...] Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di una gioia mai assaporata prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutto un sussulto di gioia. [...] Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima». Francesco è felice, profondamente commosso. Si riveste di paramenti diaconali e canta con la sua bella voce il Vangelo, predica con parole dolcissime, trascina ed entusiasma gli astanti rievocando la piccola città di Betlemme, il Bambino divino e poverissimo, con tale entusiasmo infuocato che un cavaliere, forse il medesimo Giovanni, ebbe una visione: «Gli sembrava infatti che un neonato giacesse esanime nella mangiatoia, che il santo di Dio si avvicinasse e destasse quel medesimo bambino da quella specie di sonno profondo. Questa visione non manca - conclude Tommaso da Celano - di un suo significato perché davvero il fanciullo Gesù giaceva dimenticato nel cuore di molti e per grazia di Cristo, tramite il servo suo Francesco, fu risuscitato e il suo ricordo impresso in una memoria di nuovo partecipe». Nella preghiera composta da Francesco per il Vespro di Natale, alla descrizione della nascita nella mangiatoia segue la citazione della lode angelica: «Pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2,14): Cristo è venuto a portare la pace, quella pace che gli uomini non sanno trovare proprio nei luoghi dove egli nacque, la pace che Francesco era andato ad annunciare prima ai crociati e poi al sultano, e vorrebbe accolta dai conterranei, dai frati, dalla Chiesa. “
Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d'Assisi, introduzione di Jacques Le Goff, Einaudi (collana ET Saggi n° 824), 2006⁶; pp. 112-113.
[Prima edizione: 1995]
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Vicenza Making Future, il 14 e il 15 ottobre tornano i laboratori per bambini sulle materie Stem.
Vicenza Making Future, il 14 e il 15 ottobre tornano i laboratori per bambini sulle materie Stem. Promossi da Confindustria Vicenza e Pleiadi in collaborazione con il Comune. Sabato 14 e domenica 15 ottobre torna Vicenza Making Future on tour, l'evento dedicato alle materie Stem ideato da Confindustria Vicenza e sviluppato da Pleiadi con il patrocinio del Comune di Vicenza. I laboratori Stem 2023 (acronimo di science, technology, engineering e mathematics) daranno ancora una volta ai giovanissimi l'occasione per conoscere e sperimentare le materie Stem. L'appuntamento è a Palazzo Barbaran, sede del Palladio Museum, dalle 15 alle 19 e domenica 15 ottobre, dalle 10 alle 19.30. Sabato 14 ottobre alle 15 all'apertura dell'evento saranno presenti l'assessore all'istruzione Giovanni Selmo, la vicepresidente di Confindutria Vicenza con delega al capitale umano Lara Bisin e il Ceo di Pleiadi Lucio Biondaro. «I laboratori, aperti ai bambini dagli 8 ai 12 anni, sono un'occasione per avvicinarsi in modo giocoso alle materie scientifiche e tecniche. Un approccio adottato con successo anche in alcuni centri estivi comunali, che riteniamo molto educativo e stimolante - sottolinea l'assessore all'istruzione Giovanni Selmo -. Vicenza making future è un'iniziativa ormai consolidata in città, che quest'anno a maggio con uno spettacolo al Teatro Olimpico. È promossa anche dall'assessorato all'istruzione e dall'ufficio scolastico territoriale in tutte le scuole della provincia, sempre sensibili a questo tipo di eventi». «Perseveriamo nel nostro ambizioso obiettivo di fare di Vicenza la prima provincia "Più Stem" d'Italia, mostrando ai ragazzi ed alle loro famiglie la vera luce della scienza – afferma la vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega al capitale umano Lara Bisin -. Vogliamo offrire, ancora una volta, ai giovanissimi e alle giovanissime l'opportunità di appassionarsi alle materie Stem, conoscendole e sperimentandole in maniera giocosa attraverso dei laboratori rinnovati rispetto alle edizioni precedenti, in prestigiose location parte del patrimonio storico-artistico della nostra provincia. Quest'anno saranno il Palladio Museum a Vicenza, Villa Fabris a Thiene e la chiesa di San Giovanni a Bassano ad ospitarci. Rimane per noi importante il target delle giovanissime per contribuire a superare degli stereotipi sulle loro attitudini verso le materie tecnico-scientifiche, che possono invece offrire loro, non solo soddisfazioni personali, ma nel tempo anche professionali e di carriera, dato il fabbisogno professionale delle nostre aziende di figure tecniche e manageriali. Da diversi anni, collaboriamo con la città di Vicenza per questo importante progetto a favore di tutta la comunità, affinché possa essere conosciuta e vissuta dai giovanissimi come un luogo ricco di bellezza e future opportunità di studio e lavorative». I laboratori saranno sei per massimo 20 partecipanti ogni 45 minuti, ad ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria sui seguenti temi: corto circuiti elettrici, bio investigation, tesori lucenti, virtual world, robotic lab, macchina perfetta. Novità di quest'anno sarà la City Stem Map della città di Vicenza: una mappa per far conoscere 10 punti di interesse a tema Stem presenti a Vicenza. Sarà l'occasione per scoprire luoghi dedicati al mondo tecnico-scientifico, che raccontano di invenzioni, fatti del passato e personaggi che hanno contribuito a nuove scoperte scientifiche. Quest'anno Vicenza Making Future on tour sarà realizzato in collaborazione oltre che con il Comune di Vicenza, anche con i Comuni di Thiene e Bassano del Grappa, con il contributo della Camera di Commercio di Vicenza e della Banca delle Terre Venete e il patrocinio della Regione Veneto, della Provincia, di Federmeccanica, di Federchimica e della Rete ITS Academy Veneto. Già dall'edizione 2022 Vicenza Making Future si è evoluto in un tour in 3 tappe nella provincia (Vicenza, Valdagno e Bassano del Grappa per l'anno 2022), con un enorme riscontro di pubblico e con il coinvolgimento di oltre 9.000 tra genitori, bambine e bambini. Per informazioni e prenotazioni www.makingfuturevicenza.it https://pleiadi.prenotime.it/... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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My work in Palermo, Italy. Grazie Rossella Puccio
Domenica 15 ottobre ore 15:00 Non potete mancare a questo fantastico evento che animerà Danisinni con l'arte, il teatro diffuso, la musica, proiezione video e la relazione. Una grande comunità in festa.
𝑨𝒗𝒗𝒊𝒔𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒊 #3. 𝑺𝒄𝒓𝒊𝒕𝒕𝒖𝒓𝒆 𝒂𝒔𝒆𝒎𝒂𝒏𝒕𝒊𝒄𝒉𝒆
50 𝑨𝒓𝒕𝒊𝒔𝒕𝒆 𝒆 𝑨𝒓𝒕𝒊𝒔𝒕𝒊 𝒊𝒏 𝑴𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂 / Collezione permanente del Museo Sociale Danisinni | Piazza Danisinni / Palermo ::: [evento gratuito]
#poesiavisiva
#asemicwriting
#asemic
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Grande, grandissimo il Boss che ha scaldato il cuore di quanti hanno assistito al concerto di Ferrara anche se spiace non aver sentito da lui, che tante parole ha dedicato a emarginati e sfollati, un saluto a coloro che, nelle stesse ore e a pochi chilometri, erano intenti a cercare i dispersi e a spalare fango e detriti.
Increduli, forse, nel vedere le immagini di mezzi e tecnici della Protezione Civile impegnati al Parco Urbano mentre i loro colleghi di Friuli e Trentino scendevano verso le aree flagellate dall’alluvione. Bravi, bravissimi gli organizzatori che hanno permesso di godere di uno spettacolo unico, nonostante le condizioni proibitive che hanno accompagnato l’allestimento, e ancora intenti a spellarsi le mani e darsi pacche sulle spalle.
Bravi, bravissimi soprattutto i ferraresi che, il 18 maggio, si sono letteralmente fatti da parte per permettere afflusso e deflusso dei partecipanti. Non avrebbero potuto, del resto, fare altrimenti data l’ampiezza della zona rossa preclusa ai mezzi e a piedi.
Bravissimi i ferraresi anche perché saranno loro a pagare le spese sostenute dall’Amministrazione per uno spettacolo che ha fruttato profitto per pochi. Costi di vigilanza di forze pubbliche e private, costi di personale medico e, mi risulta, un reparto dell’ospedale di Cona a disposizione perché, per una notte, la popolazione della città era incrementata di un terzo, e costi di logistica quali assistenza e supporto all’organizzazione, ospitalità della crew (presso il Golf Club?), posa della segnaletica, allestimento parcheggi e quant’altro necessario alla realizzazione, in sicurezza, di un evento che, date le condizioni meteo, ha richiesto sforzi moltiplicati.
Non ultimi i costi di ripristino del Parco Urbano la cui fruizione è stata a lungo negata ai ferraresi e ancora per quanto, date le pietose condizioni del manto? A riguardo auspico si tacciano gli amministratori per lasciare la parola ai tecnici dell’Ufficio verde al fine di capire le reali condizioni di struttura e manto e, soprattutto, come, con quali costi e quando riportarlo al “pristino stato”.
E’ già programmata la riqualificazione, leggo, dunque è stata già fatta la gara per assegnare i lavori? Ancora una volta abbiamo messo a disposizione di pochi, e per il profitto di pochissimi, un bene della comunità che un’amministrazione sensibile ed oculata dovrebbe preservare, soprattutto in un momento di crisi economica e climatica come quello che stiamo vivendo e le cui evidenze sono tutte sotto i nostri occhi.
In proposito, è stata calcolata l’impronta ecologica della grandiosa operazione? Se sì, quanti alberi metterà a dimora il Comune per compensare le emissioni prodotte? Per sapere se e quanto i ferraresi dovranno pagare è necessaria un’operazione di trasparenza che richiede l’intervento di chi ha agevole “accesso documentale” a provvedimenti e preventivi approvati dall’Amministrazione comunale e anche dal Teatro Comunale – il cui bilancio dovremo eventualmente ripianare – per coprire costi, temo, non a carico dell’organizzatore e se, nel caso, sono state fatte gare per l’acquisizione di beni e servizi.
Leggo che il signor Trotta, pare lungamente corteggiato da qualche assessore per portare il Boss a Ferrara, ha dichiarato che valuterà, caso per caso, i rimborsi da riconoscere a chi non è riuscito a raggiungere Ferrara causa alluvione. Se è vero questo impegno, invito il signor Trotta a fare uno sforzo e considerare il rimborso anche ai ferraresi che, per solidarietà, il 18 maggio 2023 hanno scelto di raggiungere amici e parenti alluvionati per dare aiuto e conforto.
Sarebbe un segnale, seppur tardivo, di sensibilità e senso civico nei confronti di chi l’ha ospitato al pari di devolvere parte dell’incasso all’emergenza alluvione. Auspico che, spenti i riflettori, inizi una approfondita e consapevole valutazione di costi e benefici del concerto del Boss perché, nel caso i primi risultassero eccessivi, Ferrara non debba essere costretta, in futuro, a pagare per garantire il profitto di pochi, mettendo a rischio anche i propri servizi essenziali, per eventi che sono troppo grandi per Lei.
Già evidentemente il Boss e il Sig. Trotta non sanno cosa sia l'umanità, il rispetto davanti a certe tragedie. Posso solo dire mi fate schifo.
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Kepler-452 in residenza per “Album”
15 Maggio 2023 - 28 Maggio 2023
Inizia oggi la residenza creativa per la ricerca e la composizione del nuovo spettacolo di Kepler-452. Kepler-452 è la compagnia selezionata per il terzo tandem di produzione a tema “Daily Bread” che vede coinvolti come coproduttori: Pergine Spettacolo Aperto (Italia); Pro progressione (Ungheria), L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino (Italia) nell’ambito di Stronger Peripheries: A Southern Coalition, progetto sostenuto da Europa Creativa.
Album
Un album di famiglia è una macchina del tempo: ogni fotografia una storia, e ogni storia una finestra verso un’altrove. Verso noi stessi di un tempo, verso i nostri cari: è un affondo tra le nostre inconsapevolezze del passato e nel mistero che i nostri sguardi di allora pongono a noi che oggi sfogliamo. Ma cos’è un album? E come si fa? Raccogliendo, certo: fotografie, storie, e radunandole. E dove raccogliere? Dove inizia e finisce una famiglia? Quanto bisogna scavare per trovare le radici? E anche: quanto è vasta una famiglia? Chi ne fa parte e chi no? Sangue, geografie comuni, migrazioni, incontri… di cosa è fatta una famiglia? Kepler-452, sperimentando una spazialità non frontale, insieme a dispositivi e forme di presa diretta e proiezione audiovisiva, cerca risposte a questa domanda, raccogliendo storie e immagini da varie parti d’Italia e d’Europa, incontrando persone e comunità. Un «album scenico» e senza confini: un tentativo e una ricerca accesi da un’immagine suggerita dal mondo animale: come è possibile che tutte le anguille del mondo, a un certo punto della propria vita, percorrano decine di migliaia di chilometri sul fondo degli oceani per ritrovarsi nello stesso posto, a riprodursi, a morire, a rinascere.
Kepler-452 ALBUM a cura di Kepler-452 (Nicola Borghesi e Enrico Baraldi) in scena Nicola Borghesi con la collaborazione di Riccardo Tabilio ideazione tecnica Andrea Bovaia coordinamento Roberta Gabriele foto di Giulia Lenzi
coprodotto da Pergine Spettacolo Aperto, (Italia); Pro progressione (Ungheria), L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino (Italia) con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia e Residenza Artisti nei Territori Masque Teatro
Tandem 3 #Daily Bread
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E' in arrivo la contaminazione del FIC FEST!
Benvenuti e benvenute in questo spazio dedicato al FIC FEST!
Il Festival dedicato alla danza contemporanea che abbraccia musica, teatro, cinema, arti visive organizzato da Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza, Centro di Rilevante Interesse Nazionale di Catania.
Ogni giorno verrà raccontato, in questo spazio, tutto ciò che succederà, attraverso lo sguardo dei giovani danzatori di Modem Atelier, un programma di formazione della danza contemporanea di Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza.
Con l’intento di documentare e archiviare le iniziative, tra performance, talk e incontri, cerchiamo di rendere sempre più capillare la conoscenza della danza, un’arte fatta con il corpo destinata a tutti, affidando questo importante compito ai giovani sguardi. Convinti del solido potere di cambiamento della danza, attraverso il suo essere poetico e concettuale, costruiamo insieme da più di trent’anni una comunità più coesa, viva e creativa.
Il FIC, acronimo di Focolaio di Infezione Creativa, inizierà il 5 e 6 maggio la contaminazione creativa itinerante per le strade e le piazze del centro di Catania, insieme ai danzatori della Compagnia Zappalà Danza.
Nel tempo della città apriremo tutti insieme un canale contagioso: ci uniremo e rallenteremo il passo per concederci la visione di spettacoli, stimoleremo un flusso che ci porterà ad ascoltare e dialogare con artisti, coreografi, danzatori e studiosi delle arti performative.
L’obiettivo è incontrarci, stare e crescere insieme nella cultura.
A partire dal 7 maggio il FIC FEST si svilupperà a Scenario Pubblico con alcuni appuntamenti anche da Isola Catania, il teatro Mario Sangiorgi e l’Orto Botanico. Puoi consultare il programma completo cliccando su questo link https://www.scenariopubblico.com/rassegne/fic-fest-2023/
Seguici e lasciati contaminare.
A presto!
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Il dramma delle “grooming gangs”
Tra il 1997 e il 2013, le città di Rotherham e Rochdale sono state teatro di uno dei più gravi scandali di abusi sessuali su minori nel Regno Unito, con circa 1.400 ragazze, principalmente di origine bianca, abusate da bande di uomini, in gran parte di origine pakistana. Le indagini evidenziarono una sistematicità degli abusi e il fallimento delle autorità locali, che ignorarono le vittime nonostante numerosi avvertimenti. Un rapporto del 2014 ha rivelato che polizia e servizi sociali spesso archiviavano i casi, contribuendo a una cultura del silenzio e a un crescente scetticismo verso il sistema giudiziario.
Nella cultura spicciola che riduce questioni complesse a semplificazioni estreme, questo dramma culturale e sociale viene spesso associato alla presunta “tolleranza della sinistra” sull’immigrazione. Tuttavia, nel caso del Regno Unito e delle gang dello stupro, questa narrativa è priva di fondamento. In primo luogo, perché molti dei responsabili di questi crimini sono cittadini britannici di terza generazione. Le comunità pakistane (e del Bangladesh) presenti in queste aree, infatti, affondano le radici agli anni ’50 e ’60, quando il governo britannico invitò lavoratori dall’Asia meridionale per contribuire alla ricostruzione del Paese nel dopoguerra. Ad Oldham, per esempio, dove si stanno verificando gli incidenti attuali, i lavoratori arrivarono alla fine degli anni ’50 su invito della corona per lavorare nelle fabbriche di cotone. Erano prevalente gli uomini. Negli anni ‘70 (soprattutto dopo la guerra in Bangladesh nel ’71) gli uomini furono raggiunti dalle famiglie. Attribuire questi fenomeni all’immigrazione recente non solo è storicamente impreciso, ma distoglie l’attenzione dai fallimenti sistemici che hanno permesso tali abusi.
Certamente ci troviamo di fronte a un problema di scontro culturale e mancata integrazione, ma si tratta di un fenomeno che attraversa oltre 60 anni di storia e politiche britanniche, impossibile da attribuire a un singolo partito o schieramento politico. Una mancata integrazione che è stata innanzitutto frutto errori commessi fin dagli anni ’60. La realtà di molte cittadine delle Midlands e del Nord dell’Inghilterra, dove si sono verificati gli incidenti, è il riflesso di atteggiamenti e decisioni che mascheravano una distanza culturale e sociale, più che una vera accoglienza. Da un lato la decisione infelice nel dopoguerra di non distribuire la manovalanza che arrivava dalle ex colonie sul territorio nazionale per favorire l’integrazione, ma circoscriverla in comunità; dall’altro un atteggiamento di tolleranza e rispetto verso le tradizioni altrui, profondamente radicato nel pensiero britannico. In breve: “fate quello che volete, ma fatelo solo lì”. Un approccio che, sebbene nato con intenti positivi, si sta ora rivelando un boomerang, avendo in alcuni casi impedito di affrontare criticamente dinamiche culturali che favoriscono la marginalizzazione e la reiterazione di pratiche dannose all’interno di certe comunità.
La questione cruciale è il tribalismo radicatosi in alcune comunità, dove poliziotti, medici, giudici, avvocati e amministratori locali spesso appartengono agli stessi gruppi familiari degli accusati, contribuendo a insabbiare le indagini e a ostacolare la giustizia. Si è ricreata una micro-società pakistana, una realtà parallela che, dai primi casi risalenti agli anni ’80, sotto il governo Thatcher, a oggi, è stata costantemente nascosta sotto il tappeto.
I laburisti ne escono particolarmente colpiti perché le comunità pakistane sono in larga parte loro sostenitrici, ma il problema rimane essenzialmente di natura sociale prima che politica. Questo crea un corto circuito democratico in aree dove il 30-40% della popolazione appartiene a minoranze etniche. Un politico che “potenzialmente” potrebbe sfidare tali comunità, semplicemente… non viene eletto! Questo intreccio tra dinamiche comunitarie, e omertà di stampo simil mafioso sottolinea una falla strutturale nel sistema democratico in contesti dove un’etnia si impone a livello istituzionale decidendo non solo le regole locali, ma spesso insabbiando.
Si tratta, dunque, di una questione seria che i governi britannici dovranno prima o poi affrontare. Sul come, però sarà un bel paio di maniche perché le culture basate sull’omertà difficilmente le trasformi con operazioni di polizia e indagini (che certo devi comunque fare, ma che non estirpano le radici del problema). È un nodo complesso che non può essere risolto con l’ennesima inchiesta sbandierata ai media ad uso e consumo del magnate di estrema destra di turno, né certamente con la deportazione di massa di britannici i cui nonni o addirittura i bisnonni erano già britannici (suvvia, siamo seri).
Chi scrive naturalmente non ha soluzioni perché di mestiere fa la scrittrice e non la politica (quindi risparmiamoci il classico “Eh ma allora cosa proponi? Niente. Altrimenti mi sarei presentata alle elezioni). Il mio ruolo è esplorare e cercare di capire un fenomeno e poi presentarlo. Aggiungerei però che dopo avere insegnato in Uk per 15 anni ed avere avuto a che fare con i servizi sociali britannici, posso attestare che il problema non si ferma neanche alla mancata integrazione, ma si estende alla completa mancanza di tutela dei minori in tutto il Paese, a causa di servizi inefficienti e là dove non inutili, addirittura dannosi. Un dramma sistemico.
My two cents che difficilmente assisteremo a cose eclatanti, al di là delle normali inchieste locali, considerato che se i conservatori, al potere dal 2010 al luglio 2024, sono solo riusciti a grattare la superficie, difficilmente i laburisti potranno fare di più, avendo l’ulteriore handicap di dipendere da quei bacini elettorali.
Nel frattempo, per qualche giorno dovremo sorbirci l’esercito dei sì, ma…: quella schiera indefessa che la fanfara della strumentalizzazione mediatica istiga, buona solo a riempire i dibattiti sui social con un’aria di moralità prefabbricata. È un esercito che si nutre di indignazione momentanea, che fa sentire tutti un po’ più giusti, un po’ più coinvolti, un po’ più interessati al benessere collettivo. Almeno fino al prossimo strombazzato del circo mediatico, pronto a far dimenticare tutto.
Sì, ma almeno ce lo hanno fatto sapere…
Sì, ma ora bisogna fare qualcosa…
Sì, ma non si possono lasciare le povere vittime…
Sì, ma…
Un coro che cresce, si gonfia e poi svanisce, lasciando dietro di sé solo il vuoto di parole nell’interesse verso una questione pari alla memoria di un pesce rosso. Perché, diciamocelo, i decantatori dei “sì ma” fino a ieri non avevano mai sentito parlare delle grooming gangs e domani se le saranno già dimenticate.
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Ezio Bosso: Il Genio della Musica che ha segnato un’epoca
Ezio Bosso, nato a Torino il 13 settembre 1971 e scomparso a Bologna il 14 maggio 2020, è stato una delle figure più emblematiche della musica italiana e internazionale. Compositore, pianista, contrabbassista e direttore d’orchestra, ha lasciato un’eredità straordinaria nel panorama musicale, ispirando generazioni di artisti e appassionati.
Gli Inizi: Torino e L’Avvicinamento alla Musica
Cresciuto nel quartiere operaio di Borgo San Donato, Bosso si avvicinò alla musica a soli quattro anni grazie all’influenza di una prozia pianista e del fratello musicista. La musica diventò presto la sua passione, portandolo a frequentare il conservatorio. Nonostante le difficoltà iniziali, incluso un episodio con un docente severo, la sua strada si incrociò con quella del compositore sperimentale John Cage, che riconobbe il suo talento. Questo incontro lasciò un segno indelebile, ispirandolo a comporre successivamente il brano “Dreaming tears in a crystal cage”.
A 16 anni, Bosso debuttò come solista in Francia, intraprendendo un viaggio musicale che lo portò a collaborare con orchestre prestigiose in Europa. La sua formazione continuò all’Accademia di Vienna, dove approfond�� studi di composizione e direzione d’orchestra.
Un Carriera Brillante
Bosso raggiunse la fama internazionale negli anni Novanta, esibendosi in luoghi iconici come la Sydney Opera House, la Royal Festival Hall e il Teatro Colón di Buenos Aires. In qualità di direttore, lavorò con orchestre di fama mondiale, tra cui la London Symphony Orchestra, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli e l’Orchestra Filarmonica della Fenice.
Parallelamente alla carriera orchestrale, Bosso scrisse musica per il cinema, collaborando con registi come Gabriele Salvatores per film di successo quali “Io non ho paura” e “Il ragazzo invisibile”. La sua musica veniva richiesta anche da istituzioni prestigiose come il New York City Ballet e il Teatro Bolshoij di Mosca, confermando il suo status di innovatore nel panorama musicale.
Le Sfide della Malattia e la Dedizione alla Musica
Nel 2011, Bosso affrontò un delicato intervento per la rimozione di una neoplasia cerebrale e, successivamente, una malattia neurodegenerativa. Nonostante le difficoltà fisiche, continuò a comporre e dirigere, mantenendo un legame indissolubile con la musica. La sindrome autoimmune neuropatica compromisse l’uso delle mani, portandolo a sospendere l’attività pianistica nel 2019. Tuttavia, Bosso rimase un testimone e ambasciatore instancabile dell’importanza della musica come strumento di unione e speranza.
Progetti Sociali e Riconoscimenti
Bosso non si limitò a brillare sul palco; dedicò tempo e risorse a progetti sociali, diventando ambasciatore dell’Associazione Mozart 14, fondata da Alessandra Abbado. Questo impegno rifletteva la sua convinzione che la musica potesse abbattere barriere culturali e sociali, offrendo opportunità e speranza.
Nel corso della sua vita, ricevette numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il David di Donatello per la colonna sonora di “Io non ho paura” e il Cremona Musica Award per la comunicazione. Fu insignito di diverse cittadinanze onorarie, a testimonianza dell’impatto profondo che aveva avuto sulla cultura e sulla comunità.
L’Eredità di Ezio Bosso
La musica di Ezio Bosso ha toccato milioni di persone in tutto il mondo, grazie a composizioni che intrecciano profondità emotiva e complessità tecnica. Il suo album “The 12th Room”, pubblicato nel 2015, rappresenta un capolavoro, simbolo del suo talento e della sua resilienza. Durante il Festival di Sanremo del 2016, Bosso emozionò il pubblico con il brano “Following a bird”, tratto dallo stesso album.
Nonostante la sua prematura scomparsa, l’eredità di Ezio Bosso continua a vivere. Il suo archivio è stato affidato alla Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci presso il Polo del ‘900 di Torino, garantendo che il suo contributo alla musica non venga mai dimenticato.
Conclusioni
Ezio Bosso è stato molto più di un musicista; è stato un narratore di emozioni, un pioniere della musica e un simbolo di speranza. La sua capacità di trasformare le difficoltà in arte ha ispirato e continuerà a ispirare artisti e ascoltatori di tutto il mondo. La musica, per Bosso, era un linguaggio universale, capace di unire e trasformare. E così, il suo nome rimarrà per sempre legato al potere straordinario della musica.
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Questa mattina, giovedì 26 dicembre, è venuto a mancare Gaetano Schifano, artista che ha lasciato un segno indelebile nella cultura e nella memoria di Favara. Attore, poeta e, come amava definirsi, cantastorie, Schifano è stato una figura di riferimento per il teatro locale, distinguendosi per il suo carisma e il profondo amore per l'arte. Conosciuto da tutti come Tanu e affettuosamente chiamato "Tatà" in famiglia, Gaetano ha dedicato la sua vita al palcoscenico, collaborando con la compagnia teatrale R F 101 e partecipando a numerose rappresentazioni al teatro San Francesco. Negli anni, aveva fondato il laboratorio teatrale "C'era na vota", situato in Via dei Mille a Favara, un luogo che ha contribuito a diffondere la cultura teatrale e la tradizione popolare nella comunità. Numerosi i messaggi di cordoglio che stanno arrivando sui social, dove amici, parenti e concittadini ricordano l'umanità e la passione di Gaetano. Per molti, Schifano rappresentava non solo un artista, ma anche una parte della storia di Favara, un uomo innamorato della vita che ha continuato a sognare fino alla vecchiaia. I funerali si svolgeranno domani, mercoledì 27 dicembre, presso la Parrocchia San Giuseppe Artigiano di Favara. Alla famiglia, in particolare ai figli Florinda e Felice, vanno le più sentite condoglianze della redazione di Siciliatv, che si unisce al dolore della comunità. https://siciliatv.org/2013/06/29/favara-stasera-lo-spettacolo-varieta-di-gaetano-schifano/ Read the full article
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