#basso medioevo
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laleg92 · 4 years ago
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Storia della pedagogia 5- Il Medioevo
Storia della pedagogia 5- Il Medioevo
Buona sera! Lo scorso lunedì abbiamo abbiamo visto come l’avvento del cristianesimo avesse influenzato il mondo dell’educazione ma adesso andiamo verso il 1000 a.C, ovvero il secolo del Medioevo, dove troveremo ancora l’influenza del cristianesimo e molto altro, allora cominciamo e vediamo se è stato un secolo così buio anche per la pedagogia! Come abbiamo già fatto per altre epoche dobbiamo…
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iphisesque · 5 years ago
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periodo storico preferito e quello che ti piace di meno?
il mio periodo preferito è senza dubbio il basso medioevo (dal ~1000 al ~1500), un periodo sottovalutatissimo e fertile di spunti attraverso qualunque lente lo si osservi -- artistico-letteraria, socioculturale, religiosa, politica e persino economica, che di solito è la chiave di lettura che più mi annoia della storia :P amo molto anche il rinascimento e il 1600, le rivoluzioni del 1848 e la guerra fredda/anni di piombo!
un periodo che non amo esplorare è la prima metà del ventesimo secolo (per l'italia nello specifico non amo a partire dal periodo postunitario), nonostante sia molto interessante e vivace -- l'eccezione è la repubblica di weimar e la germania anni '20, è seriamente uno dei periodi che mi interessa di più in assoluto, e mi affascina anche la rivoluzione russa, per ovvie ragioni.
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arancin-and-volcanoes · 6 years ago
Conversation
Lucia: This is my new kingdom, it's called Kingdom of Sicily because it's ruled by Sicily.
Rosa: Makes sense.
Antonio: I've become the king now, but I'll still keep the name for reasons.
Lucia: Fuck this, I'm making my own kingdom and calling it Kingdom of Sicily again.
Antonio: Wait, you can't do that, I'm the Kingdom of Sicily.
Salvatore: Sicily isn't even in the kingdom, though.
Antonio: Then I'll be the Kingdom of continental Sicily.
Rosa: I believe that is a contradiction in terms.
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ypsilonzeta1 · 2 years ago
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Da secoli non si vedono così tanti alberi sulle montagne italiane. Quasi un’unica coperta silvestre ricopre ogni cosa. E così doveva essere nel Medioevo anche la pianura prima dei grandi dissodamenti operati dai Cistercensi: vicino al mare, lecci e sugheri, più all’interno rovelle colossali e poi tigli, olmi, pioppi e salici lungo i fiumi. Il ricordo di quelle grandi foreste è di nuovo visibile solo sulle montagne. E ancora di più adesso: a seguito del fenomeno dello spopolamento, tutte le fonti concordano nel registrare il raddoppio della superficie boschiva in cinquant’anni anni.
Senza i boschi le Alpi sarebbero quasi già sparite. Con le infinite radici di questo popolo vegetale che penetrano nella terra, che si aggrappano come tentacoli, che si ancorano nella profondità del terreno scosceso, artigli bramosi di terra, sono il grande adesivo naturale delle montagne. Fissano i pendii, bloccano la materia instabile che altrimenti l’acqua e il dilavamento presto trascinerebbero verso il basso, fino a riempire i fondi vallivi, fino a colmare i vuoti levigando con crolli in successione gli angoli acuti delle cime. E se le montagne tendono a sgretolarsi e a franare, le grandi foreste agiscono da cemento, trattengono la valanga, la frana, conservano a lungo la neve ai primi caldi sotto l’ombra delle
loro fronde, rilasciando lentamente acqua come spugne rigonfie.
Prima dei grandi castelli di ghiaccio, prima delle alti pareti cui si tende a pensare non appena si dice “Alpi”, e ancora prima delle cime, bisognerebbe pensare dunque alle foreste, alle grandi e benefiche distese boschive. Le Alpi sono il risultato della presenza delle foreste, immense coltri che limitano l’impermanenza delle cose.
Marco Albino Ferrari su FB Dolomitici
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abr · 2 years ago
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Articolo lungo ma istruttivo. Aldilà del personaggio e delle sue idee, espone l'approccio DIFENSIVO ISTERICO passive aggressive della cd. "cultura" sinistra nei confronti della critica, quindi del confronto competitivo, del "mercato" che anche riguardo alle idee è l'unico approccio che le possa far evolvere.
A sinistra al contrario interessa solo la CONSERVAZIONE REAZIONARIA di quel poco che credono di aver capito. Sono gli Zan, i poveretti che credono di liberarsi impedendo agli altri di criticarne eventuali eccessi, cadute di stile e non solo; loro sono sempre offesi ma agli altri non è concesso esserlo.
L'articolo descrive in modo piano, come se fosse dovuto, naturale, consequenziale, la EMARGINAZIONE DI UNO STUDIOSO DI GRANDE SUCCESSO da parte del mainstream sinistro. Uno degli intellettuali più amati "dalla destra", come i sapientoni del Post definiscono le persone normali, perché ha ARGOMENTI CONVINCENTI.
"Propagandista" di ciò che definiscono "controverso" ma non può essere oggetto di confronto: viene letteralmente RIFIUTATO (rifiuto del confronto col BUON SENSO). "Detestato dai progressisti", è infatti il modo soft con cui definiscono IL LORO ODIO LIVOROSO, sfociato nel ban da twitter e nella richiesta di espulsione dalle università dove insegna: ciò che "detestano" è giusto sparisca, è soviet puro.
La sua è condivisibile, fondata e ben motivata critica radicale della moderna deriva dell'ignoranza progressista, che non a caso approda alla CANCEL CULTURE, il neo-rogo della Biblioteca di Alessandria.
Lo fa esponendo idee, cito i sapientoni, "da molti considerate semplicistiche e piuttosto vaghe, nella migliore delle ipotesi". A parte che trattasi di BUON SENSO, su wikipedia sarebbe commento evidenziata con nota "non cita la fonte", chi sarebbero 'sti "molti": le masse, i sapientoni sinistri?
Secondo l'articolo si tratta di "argomenti faziosi, misogini e vittimistici (...), un’estesa disinformazione su temi importanti come la violenza sulle donne e il cambiamento climatico, da tempo considerata molto pericolosa dalla sinistra". Tutto molto autobiografico a loro insaputa.
Siamo la punto: quel che è pericoloso per la sinistra è ipso facto disinformazione, argomento fazioso misogino e vittimista. Ci han riportati indietro al BASSO MEDIOEVO, a un fantastico ribaltamento di prospettive: barbari impauriti, fondamentalisti islamici terrorizzati da ciò che non riescono a comprendere e contrasta i loro schemi primitivi.
Bellissimo poi che per sminuirne la pur citata carismatica pacatezza e disponibilità al confronto del personaggio - "(toni) diversi da quelli di solito apprezzati nella destra americana" (? Anche qui, la fonte?), concludano che dopo tonnellate di insulti e ban, il nostro "ha progressivamente mostrato un’inclinazione crescente a rivolgersi principalmente al suo pubblico". Lo siento mucho nel mio piccolo: ti bannano li insultano chiedono che tu venga silenziato, a quel punto ti rivolgi a chi rimane a sentirti e loro uhhh, lo vedi come è chiuso al confronto, isolato, fazioso. WTF??!?!!???!!!
Jordan Peterson si ma, con tutto il rispetto, de te fabula narratur.
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levysoft · 3 years ago
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A prima vista potrebbe forse sembrare un modo di dire popolare, perfino un po’ troppo informale, e invece l’espressione “Tizio, Caio e Sempronio” ha origininon solo antiche, ma anche e soprattutto illustri.
Utilizzata in lingua italiana per indicare tre persone generiche a cui riferirsi durante un discorso, la locuzione risalirebbe infatti al Basso Medioevo, e più precisamente al XI-XII secolo d.C., epoca in cui a Bologna visse un giurista e glossatore ritenuto fra i fondatori del Diritto moderno, di nome Irnerio.
Irnerio che glossa le antiche leggi (1886), bozzetto di Luigi Serra, Collezione Stefano Pezzoli (Bologna)
Lo studioso, che insegnava presso l’ateneo felsineo e che scrisse diversi volumi di analisi e commento dei testi giuridici dell’antichità, aveva per l’appunto l’abitudine di spiegare i concetti espressi dalla legge attraverso degli esempi idealtipici, nei quali menzionava spesso proprio Titius, Gaius e Sempronius.
In altre parole, dovendosi adeguare a un periodo in cui si imponeva ancora lingua latina, Irnerio scelse tre nomi particolarmente comuni a quel tempo, a cui fra l’altro affiancava d’abitudine anche quelli di Filano, Calpurnio e Melvio(usati ancora oggi, però ben più di rado).
Ma, fra le tante possibilità, perché optò proprio per questi tre? Secondo alcuni, il legame sarebbe con la famiglia dei Gracchi, noti per essere stati dei politici romani e i cui membri più celebri erano proprio il padre Sempronio e i figli Caio e Tiberio, quest’ultimo trasformato in Tizio per ragioni forse di semplificazione.
Secondo altri, invece, Irnerio si rifece alla tradizione che voleva Semproniusgià presente in certe pubblicazioni classiche, come nel Digesto di Giustiniano, mentre Gaius si riferiva a un importante giureconsulto romano (una sua statua è ora presente nel Tribunal Supremo di Madrid), che di conseguenza erafacile da rammentare per chi condivideva con lui la stessa professione.
Quale che sia la verità, il sintagma si è tramandato fino ai nostri giorni ed è ormai entrato nel linguaggio comune, tant’è che a volte i tre nomi vengono scritti in minuscolo per antonomasia e che dire “tizio” equivale ormai a dire “un tale, un uomo qualsiasi”, proprio come accade all’estero con altre espressioni tipiche.
Per gli inglesi, per esempio, il corrispettivo è “Tom, Dick and Harry“, mentre in Francia diventa “Pierre, Paul ou Jacques” e in Spagna si trasforma nel quartetto “Fulano, Zutano, Mengano y Perengano“. Per non parlare del tedesco, che ha optato per “Hinz und Kunz“, o dell’azero con i suoi “Ali, Vali e Pirvali“, a dimostrazione del fatto che, pur con le dovute distinzioni, tutto il mondo è paese…
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corallorosso · 3 years ago
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Il letto non è sempre stato un luogo privato Siamo abituati a pensare alla nostra stanza e in particolare al letto come a spazi privati, dove ci si può rilassare e trascorrere momenti di intimità: ma non è sempre stato così. (...) Le cose hanno iniziato a cambiare soprattutto a partire dal Diciannovesimo secolo: c’entrano sia la Rivoluzione Industriale che l’idea del letto associata al matrimonio e alla fedeltà. Le prime strutture di letti, costruite in legno e ricoperte da pelli oppure sacchi di paglia, fieno o erba – gli antenati dei materassi, per così dire – comparvero circa nel 3mila avanti Cristo, in Egitto e a Malta. Da 5mila anni a questa parte, la struttura del letto è rimasta sostanzialmente invariata, ma quello che è cambiato è il suo utilizzo, come spazio più o meno condiviso. Nel Medioevo, per esempio, in Europa si usavano letti più corti e più larghi rispetto a quelli a cui siamo abituati oggi. Corti perché la popolazione era mediamente più bassa, ma anche perché si dormiva in una posizione quasi seduta, con capo e schiena appoggiati alla spalliera; soprattutto, però, erano molto larghi perché in un solo letto ci dormivano più persone: marito e moglie con figli, ma talvolta anche ospiti di riguardo o la servitù. Nel nord della Cina e in Mongolia, invece, i viaggiatori erano soliti dormire assieme a chi li ospitava sui kang, ovvero le ampie strutture sollevate da terra e riscaldate dal basso e che vengono usate ancora oggi. Fagan ha citato diversi poeti e diaristi del Seicento e Settecento che hanno scritto aneddoti più o meno positivi legati alla condivisione del letto con amici ed estranei. In più, ha raccontato del “Grande letto di Ware”, un letto talmente grosso che si diceva ci avessero dormito addirittura 52 persone nel 1689, e così unico da essere peraltro esibito al Victoria and Albert Museum di Londra. Tra le altre cose, nel Settecento alla corte di Francia il letto era tutt’altro che uno spazio privato, anzi: aveva una funzione “sociale”. Dopo il matrimonio, il sovrano e la regina venivano accompagnati a letto con una cerimonia solenne e fastosa alla presenza di religiosi, membri della corte e numerosi servi. Spesso, per dire, Luigi XIV – il famoso “Re Sole”, vissuto tra il 1638 e il 1715 – partecipava a incontri e discussioni con i suoi alti ufficiali proprio mentre era seduto comodamente a letto. La dimensione privata del letto e della camera così come la conosciamo oggi si deve sostanzialmente a due fattori che hanno portato cambiamenti enormi nella società, in particolare a partire dall’Ottocento: la Rivoluzione industriale e la morale cristiana. Da un lato, infatti, i processi di industrializzazione durante il Diciannovesimo secolo accelerarono l’urbanizzazione in gran parte dell’Europa e negli Stati Uniti: così, cominciarono a essere costruite case più piccole con stanze sempre più piccole, ciascuna adibita a una particolare funzione, per esempio dormire. Dall’altro, nell’epoca Vittoriana – che corrisponde al periodo in cui governò la regina Vittoria del Regno Unito, cioè dal 1837 al 1901 – ebbe un’influenza ancora più importante la religione anglicana, che dava grande importanza ai valori di matrimonio, famiglia e castità. In questa epoca il letto condiviso con altre persone veniva visto come un luogo di possibili trasgressioni, e associato all’infedeltà o al concepimento di figli illegittimi. (...) Fu proprio in questo periodo, ha spiegato Fagan, che nelle case delle famiglie benestanti iniziarono a diffondersi camere separate per adulti e bambini, ma anche letti e persino stanze separate per mariti e mogli. Per le persone povere o del ceto medio, invece, dormire assieme a una persona conosciuta – un amico, un familiare o un altro servo – era sempre stato un modo per riscaldarsi, oltre che una cosa rassicurante; oltretutto, i letti erano arredi costosi e non tutti potevano permettersene più di uno. (...) Il Post
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persa-tra-i-miei-pensieri · 2 years ago
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Montesilvano Colle
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Il territorio in esame vanta nel tempo della presenza di terreno fertile argilloso, utile anche per realizzare mattoni cotti nelle fornaci. Ciò insieme all'agricoltura, alla presenza delle saline e alla rinomata liquirizia nei tempi recenti è la base dell'economia che regge e ha retto questi luoghi.
Vennero prima costruite le città alte, dove è situato il centro storico in cui sono presenti delle piccole porte (postierle) per rendere più semplice la fuga da una zona all'altra del borgo, e solo in tempi storicamente recenti grazie al turismo balneare vennero create le città sul mare.
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Durante la passeggiata panoramica attorno al borgo, che ha un singolo accesso che funge anche da uscita perché Montesilvano Colle è appunto una città circondata da selve, da boschi, si possono notare delle mura in mattoni sporgenti che corrispondono ai resti delle torri cittadine e si può notare come i muri erano realizzati mischiando mattoni a terra, sassi e fanghiglia dei fiumi.
Inoltre le torri di avvistamento delle varie città abruzzesi comunicavano a vista tra loro fino a raggiungere Rocca Calascio.
Nei documenti più antichi si parlava di un vero e proprio castello di Montesilvano colle e probabilmente ciò che ne rimane è la torre del campanile della Chiesa di San Michele Arcangelo.
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Nella Chiesa di San Michele Arcangelo è conservata una Madonna lignea sul trono intenta ad allattare il bambin Gesù, è un'opera esteticamente molto bella e costosa, ma i montesilvanesi grazie al guadagno derivante dall'agricoltura poterono commissionare la sua realizzazione. Inoltre ha un valore molto importante per la comunità perché tutti coloro che avessero bisogno di latte da dare ad un neonato venivano a pregare questa Madonnina.
Questa "scultura" lignea la si può datare tra il '400 e il '500 ed è diversa da altre Madonne sul trono, infatti il senso statico di immobilità sacra è presente solo nella parte inferiore, mentre nella parte superiore c'è dinamicità: Gesù si aggrappa al seno della Madre che con il suo viso pallido non guarda fisso davanti a sé ma in basso coloro che la pregano.
Una piccola chicca: le orecchie della Madonnina hanno i buchi quindi indossava anche degli orecchini.
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Della Chiesa della Madonna della Neve, dal culto della Madonna che fece nevicare ad Agosto e perciò importante per un popolo di agricoltori in quanto appunto si tratterebbe di una Madonna che controlla gli agenti atmosferici, ci rimane solamente la navata centrale con i resti di alcuni affreschi e le arcate che univano le navate.
In origine questa era una chiesa composta da tre navate e di fianco era situato un convento francescano che venne messo a ferro e fuoco. Mentre una delle navate poco dopo la sua costruzione si distrusse a causa della frana di quel punto del colle e l'altra venne distrutta dai montesilvanesi perché anch'essa danneggiata.
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Rievocazione storica e costumi medievali risalenti al 13° secolo:
Durante la visita abbiamo assistito ad alcune scene rievocative del Medioevo a Montesilvano Colle tra le quali:
- l'assalto dei briganti e l'uccisione degli stessi da parte dei cavalieri del Re;
- la verifica e la confisca delle armi che non potevano essere trasportate all'interno del borgo se appuntite, ma in seguito questa regola divenne più flessibile e venne concesso il possedimento e il trasporto delle armi per una difesa personale in quanto commercianti o agricoltori nel difendere i loro prodotti;
- l'ispezione dell'abbigliamento e delle armi dei fanti e dei cavalieri arruolatisi e lo stesso arruolamento di altri fanti.
Inoltre ci sono state descritte le armi utilizzate che si diversificavano in base a chi le possedesse tra armi ad appannaggio della cavalleria come le spade e armi dei fanti cioè di coloro che fino al giorno prima lavoravano nei campi e che venivano chiamati ad arruolarsi e combattere senza alcun addestramento, se non ciò che avevano imparato durante la battagliola, e con ciò che già possedevano, per esempio un attrezzo agricolo veniva utilizzato anche in battaglia per afferrare e levare gli scudi dei nemici così da permettere ad un compagno di ferire il nemico ad esempio con una lancia.
Stessa diversificazione valeva anche per l'abbigliamento, infatti i fanti spesso scendevano in battaglia con gli stessi abiti agricoli o con dei bambagioni cioè delle imbottiture fatte da strati di lino. Invece i cavalieri erano coperti dalla testa ai piedi di cotte di maglia oltre che da un elmo che copriva l'intera faccia a differenza dei fanti che avevano elmi che coprivano solo il capo e alcuni grazie a delle sporgenze laterali proteggevano anche le spalle.
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E concludiamo questa visita con la cena itinerante per i locali del paese: pasta, tranci di pizza, vino e pizza dolce abruzzese. Buon appetito!
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ma-come-mai · 3 years ago
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Quel maleodorante grumo al potere in Italia
Febbraio 4, 2022
Mentre tutto il mondo allenta la presa della politica sanitaria, lasciando gli orrendi obblighi vaccinali ai regimi e agli stati canaglia, l’Italia dei migliori lo impone a tutta la popolazione over 50 e spinge a spron battuto per la profilassi ai bambini.
Con la trinità di regime Mattarella Draghi Amato, la Repubblica Italiana raggiunge il punto più basso della sua breve storia. La terna scellerata rappresenta l’essenza della cricca di corrotti che si è impossessata dello Stato italiano e lo tiene sotto ostaggio. Perché questo è il vero problema; un paese tenuto ostaggio da una banda di non più di tre, quattromila ceffi che, come metastasi, si sono infilati nei gangli vitali della Repubblica avvelenandola. Governo, Parlamento, Consilio Superiore della magistratura, Consiglio di stato, Corte costituzionale, imprese partecipate.
Da lì le metastasi si sono estese alla magistratura, al parastato e ai media. Si tratta di un grumo denso e maleodorante i cui elementi sono legati tra loro da relazioni di interesse dove ognuno è creditore e allo stesso tempo debitore di qualcosa a un altro; una carriera, un buon affare, un bonifico bancario, una posizione, un feudo elettorale, un mutuo, un ricatto ecc. Quattro, massimo cinquemila persone. Una minoranza che ha agito indisturbata negli anni mentendo e manipolando anche grazie al servizio di un sottobosco sterminato di utili idioti.
Nulla di nuovo, si penserà, l’Italia è questa dai tempi dello Statuo Albertino; un paese di bande che occupano le istituzioni come delle cosche avvalendosi della collaborazione di una popolazione passiva. Eppure non è proprio così. Stavolta c’è una differenza rispetto al passato. I grumi di potere precedenti, quello fascista ad esempio, o quello democristiano e per certi aspetti anche quello berlusconiano, erano sostenuti da un blocco sociale. Avevano un legame con una parte non piccola della popolazione, della quale sfruttavano le aspirazioni bacate manipolandole a loro piacimento. Si trattava di un legame malato, certo, però pur sempre un legame che collegava governanti a governati. Oggi invece, chi è al potere non è sostenuto da nessun blocco sociale, ha perso ogni legame con la società e non rappresenta gli interessi di nessuna parte, classe o pezzo di paese. Certo, forse qualche grossa impresa famigliare, qualche società qua e là, qualche banca, qualche cosca mafiosa fa sentire la propria vicinanza al potere ma il potere, questo potere, non ha bisogno di loro per sostenersi. E non ha neanche più bisogno di fingere di incarnare la volontà popolare dal momento che la sua legittimazione si fonda su altro.
La legittimazione di questo potere, che ha tagliato tutti i ponti con i cittadini e come un Moloch li trita fino a trasformarli in plebe informe senza consapevolezza storica, arriva da fuori. Come nel medioevo, è l’imperatore -e non il popolo- ad assegnare al vassallo il feudo su cui regnare. L’imperatore oggi è rappresentato dai gangli del potere internazionale: la Ue, il Patto atlantico, la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale, le organizzazioni internazionali, le grosse imprese multinazionali, tutti organi i cui elementi sono legati tra loro da relazioni di interesse simili a quelle che formano il grumo del potere italiano. Questo coagulo di ordine superiore dà legittimità internazionale e appoggio a quello italiano, lo sostiene e lo protegge mentre allo stesso tempo lo dirige con i vincoli di mandato, le pressioni economiche, le relazioni personali e i rapporti di forza.
Però senza un blocco sociale a sostenerlo il grumo al potere è fragile. Infatti, è proprio il blocco sociale che, come il bulbo della deriva in una imbarcazione, impedisce a un regime di capottarsi quando si alzano le onde della protesta. Senza quel basamento il potere rischia di essere disarcionato alla prima resistenza organizzata e dotata di sufficiente volontà di rovesciarlo. In fondo si tratta di cacciare tre, quattromila vecchi proci che hanno occupato Itaca, un compito non impossibile se si guarda alla storia. Insomma, il re è nudo ma nessuno sembra rendersene conto. Tranne il re stesso.
Consapevole di questa fragilità, infatti, il potere italiano si appiattisce sempre di più sui desiderata dell’imperatore cercando di anticiparli in modo da garantirsi la sopravvivenza. Così si spiega l’adesione folle all’ideologia neoliberista che porta alla svendita degli interessi nazionali a forze esterne, sia paesi che gruppi di interesse stranieri, mentre le politiche sanitarie distruggono i diritti fondamentali per schiantare ogni volontà di resistenza. Non si tratta di cattiva politica ma di altro tradimento. In questo modo il grumo al potere pur di salvarsi mette a repentaglio la nostra sopravvivenza sia come società sia come nazione sovrana e democratica sia come popolo sia come individui sia come comunità sia come cultura millenaria. Ecco, credo che dovremmo innanzitutto comprendere questo: non si tratta più di protestare contro un sistema economico o politico ingiusto a cui contrapporne un migliore per realizzare il sol dell’avvenir; qui ne va né più né meno che della nostra sopravvivenza, del nostro destino, delle nostre vite.
Edoardo Laudisi
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thegianpieromennitipolis · 3 years ago
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Tratto da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
https://www.amazon.it/Sguardi-SullArte-Libro-Secondo-Short/dp/B096TW89BJ/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr=
L’ISONOMIA E LA CONCORDIA
Capita sovente di dover fare i conti con le allegorie medievali. Organizzate in uno scenario complesso, ricche di riferimenti culturali velati all'osservatore contemporaneo, rischiano di essere interpretate banalmente o con frigidi accenti accademici. Eppure, osservando a lungo un affresco come come "l'Allegoria del Buon Governo" di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) si giunge a scoprire un mondo che possedeva una visione molto efficace della relazione tra i cittadini e il potere pubblico. Nell'affresco - che risale agli anni 1338-1339, conservato nel Palazzo Pubblico di Siena, Sala della Pace - l'autore ha costruito una rappresentazione che muove entro un'unità etica pregna di significato, capace di superare il richiamo ad una fragile visione morale, per approdare ad un principio unitario, forte, realistico, ineccepibile: l'isonomia. Ora, l'isonomia non è solo l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma come non è raro nel discorso filosofico, è dalla medicina antica che si deve trarre il termine più corretto: "completa armonia fra tutte le sostanze e gli umori che compongono il corpo umano, condizione che caratterizza lo stato di salute". Per metafora, anche la città è un corpo "sociale" che tende all'armonia delle sue componenti individuali, come condizione per ottenere lo stato di salute della città. E come può costituirsi l'armonia se non attraverso la concordia, la "comunione di cuori" che sia frutto di un sentire la legge, il "nòmos", come strumento ineludibile per realizzare il bene comune, unico e profondo vantaggio in grado di estendersi indistintamente a tutti i cittadini? Così, Lorenzetti descrive in forma allegorica la "Concordia" - in basso a sinistra - la quale, raccolte le corde (anche in questo caso il valore è metaforico) che originano dalla "Giustizia" (sopra di lei) le usa per avvolgerle intorno ai cittadini. Questi ne consegnano l'altro capo alla figura in trono del "Buon Governo", centro del potere e garante del legame ideale. Ma non basta. Occorre capire bene cosa significhi isonomia in età medievale, in scia con la tradizione aristotelica. Ci aiuta, anche in questo caso, l'immagine della "Concordia": questa trattiene un banchetto sul quale poggia una pialla, l'utensile con il quale il falegname rende piana una superficie irregolare.  Dunque, l'armonia, sembra suggerirci Ambrogio Lorenzetti, si basa sull'eguaglianza.  Ma non sull'eguaglianza di condizione: poiché la concordia nasce nel rapporto tra l'individuo e il bene pubblico, ciascuno dovrà apportare il proprio migliore contributo all'interesse generale secondo le proprie capacità e possibilità, consegnando - affidando - l'altro capo della corda che promana dalla "Giustizia" al "Buon Governo".  Sono i cittadini a farlo, sono essi a tenere in atto il legame costituente la comunità.  E come mai potrebbero farlo se non riconoscessero a ciascuno un ruolo senza lasciare che questo prevalga generando "anomia", il vuoto della Legge, quindi la prevaricazione basata sull'interesse particolare. Il medioevo ci propone un esempio particolarmente pregno di significato: l'interesse di tutti, la buona salute della città, si consegue entro i limiti di una partecipazione generosa e profonda eppure equilibrata ed armoniosa.  Non è assenza dei conflitti: questi esistono.  Ma la pialla in mano alla "Concordia" serve a ricondurli entro i limiti di un “nòmos” riconosciuto promotore di benessere collettivo. Questo è il medioevo, età politica immersa in conflitti furenti e nel medesimo tempo capace di potenti sintesi compositive, le stesse che diedero corso all'avvento della prospera civiltà comunale italiana.  "Ibi semper est victoria, ubi concordia est": “Vi è sempre vittoria dove vi è concordia” - Publilio Siro
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lasko2017 · 3 years ago
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Castello di Lichtenstein, Germania ? @mobicastle . . A partire dal 1100 circa, sulla scarpata sopra la sorgente del fiume Echaz, si trovava un castello appartenente a una famiglia di ministri dei conti di Achalm e poi di Württemberg. Il castello e i suoi abitanti, i signori del Lichtenstein, non erano amichevoli con la libera città imperiale di Reutlingen ed erano quindi oggetto di frequenti attacchi. Il vecchio castello fu distrutto due volte, una durante la guerra civile imperiale del 1311 e un'altra dai cittadini di Reutlingen tra il 1377 e il 1381. Un nuovo castello fu costruito nel 1390 a circa 500 metri dalle rovine del vecchio. Il sito selezionato era lo stesso della struttura attuale. Fu una delle fortificazioni più imponenti del Basso Medioevo. Nonostante le caratteristiche delle prime casematte che lo rendevano quasi inattaccabile, il castello cessò di essere sede ducale nel 1567 e cadde in rovina. Durante la Guerra dei Trent'anni (1618-1648), fu rilevata dalla linea tirolese degli Asburgo in seguito alla morte dell'ultimo membro della famiglia Lichtenstein nel 1687 durante la Grande Guerra Turca. Lo stemma della loro famiglia, un paio di ali d'angelo dorate su sfondo blu, è ancora esposto nella Sala Grande del castello. Nel 1802, il re Federico I di Württemberg entrò in possesso del castello, lo smantellato dalle fondamenta e lo sostituì con un casino di caccia.....mi #mobicastle #instatravel #instagram #history #world #europe #europetravel #traveleurope #zamki #castillo #burg #chateaux #schloss #castle #castles #lichtenstein #schlosslichtenstein #lichtensteincastle #germany #germany🇩🇪 #germanytravel #germanytourism #germany_fotogreats #germany_insta #germanytrip #deutschland #deutschland🇩🇪 #deutsch #deutschland_greatshots #lasko71 @lasko71 https://www.instagram.com/p/CXHJhkrolY45Cb-RB0P86pZ9372lW-RtEfdmF80/?utm_medium=tumblr
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diceriadelluntore · 4 years ago
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Quando un grande storico, in questo caso il Professor Alessandro Barbero, decide di scrivere di una delle figure pilastro del nostro essere italiano, le premesse dovrebbero essere interessantissime. E così è stato. Nel 700.mo anniversario della morte del Sommo Poeta, c’è stata e ancora c’è una fioritura di scritti su Dante. Quello di Barbero è particolare perchè indaga, con l'acume e i metodi dello storico, un aspetto tutto sommato poco conosciuto del poeta: che uomo era Dante. Senza dirvi troppo, il saggio indaga la vita di Dante dal suo lato “umano-pratico”: di chi era figlio, che famiglia era la sua, i parenti, gli affari, i rapporti sociali. Questo perchè se l’opera filologica sui testi è infinita e grandiosa, immancabile per un personaggio così, sulla sua vita rimangono ancora irrisolti molti passaggi. Barbero ne segue le orme attraverso documenti notarili, assembleari, atti ufficiali, lettere in cui si scoprono molte cose piuttosto interessanti, e che un po’ ci dicono in che rapporti siamo con il passato più o meno remoto. Barbero, anche in altri suoi scritti, vuole con il solito piglio attento e vivace spazzare l’idea che quel tempo, il Medioevo, fosse un tempo di barbarie, di superstizioni, di basso livello culturale. La Firenze di Dante, a cavallo del 1300, era già una città con tratti moderni: oltre 100 mila abitanti, un complicato e ingegnoso sistema di governo, lobby politiche ed economiche, un sistema che aveva in sé tratti di economia puramente finanziaria (fare i soldi sui soldi e non con le merci era già pratica diffusa e conosciuta). Una città dove le lotte di potere erano sofisticate, non tutte si esaurivano nel contesto classico “Guelfi contro Ghiibellini”. Dante era un uomo immerso in tutto questo, desideroso di avere una posizione, amante della sua città, attento osservatore dei costumi, finissimo diplomatico, oggi diremmo un membro della classe dirigente, un funzionario di alto rango. Capire questo, nei limiti del possibile (perchè per molte questioni si va per tentativi ed ipotesi, data la scarsità di fonti, e spesso la loro parallela incongruenza non aiuta affatto a sbrogliare la matassa) dovrebbe essere arma in più (e più volte Barbero “bacchetta” i dantisti”) per comprendere le scelte, anche letterarie, di Dante, come il parlare in maniera criptica della sua Famiglia (Cacciaguida, suo illustre antenato, nel Paradiso). 
Le dottissime e minuziose ipotesi di Barbero (il libro ha 100 pagine di note, scritte in carattere minuto, che da sole valgono la lettura, anche senza leggere nulla del libro in sè) ci parlano, oltre che dell’uomo Dante, di un aspetto che tendiamo spesso, a volte inconsapevolmente, a sostenere: cioè che il passato sia sempre stato peggio, e che il nostro presente sia intrinsecamente più progredito ed evoluto. Barbero lo dice in più punti, soprattutto su certe “convinzioni” della filologia dantesca, che secondo lui non ha preso in considerazione delle ipotesi solo perchè non erano immediatamente percebili, tipo sugli spostamenti: anche nel Trecento chi poteva viaggiava per piacere e ci si spostava per affari, ovviamente con i mezzi dell’epoca. Il mito degli stadi progressivi, figlio della teoria economica illuminista, tende infatti a vedere ciò che abbiamo alle spalle come non più importante, come superato dal progresso, che non può fare altro che farci stare meglio. Quello che invece libri come questo ci spingono a rivedere è proprio questo aspetto: lì c’erano già i semi e le prime espressioni di ciò che colleghiamo solo alla contemporaneità (per dirne solo alcuni, la divisione del lavoro, i concetti di rappresentanza, i meccanismi degli affari),  e ci invita ad abbandonare gli “specchi deformanti” per usare la definizione di un grande storico spagnolo, Josep Fontana (cfr. L'Europa allo specchio. Storia di un'identità distorta, Laterza) che ci costringono a vedere solo in modo utilitaristico ciò che non solo abbiamo davanti, ma anche dietro le spalle.
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spokenitalics · 4 years ago
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se avete un'ora da perdere qui c'è alessandro barbero che parla di sesso e sessualità nel basso medioevo, tra boccaccio, salimbene da parma, diritto canonico e trattati scientifici
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sciatu · 5 years ago
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NICOSIA - LA CITTA’ DEI 24 BARONI
Sempre sulla strada dei monti che unisce Messina a Palermo e che era la strada preferita dei re dell’alto e basso medioevo, una volta passata Troina e prima di arrivare all'indomita Sperlinga, si trova Nicosia. La città è in alto sui monti, circondata da foreste e fiumi. I bizantini, che avevano creato delle catene di città fortificate che dal mare penetravano nell’interno dell’isola, l’avevano popolata munendola di un forte castello. I re normanni, non fidandosi della popolazione bizantina, fecero arrivare nobili e contadini dal Piemonte e dalla Lombardia. Per questo motivo la città si divise in due con una parte alta dove era concentrata la popolazione gallica e una parte bassa dove si era raccolta la popolazione greca. Il siciliano di Nicosia è comunque la lingua gallica che è rimasta con varie modifiche, quella del 1200. Federico II, lo Stupor Mundi, amava moltissimo Nicosia e la natura che la circondava tanto da renderla città demaniale, cioè proprietà della corona. Questo elevava Nicosia sopra le altre città appartenenti a principi e baroni a cui dovevano pagare tasse e balzelli dovendo loro obbedienza assoluta. Nel tempo Nicosia si arricchi di importanti opere artistiche e le sue chiese (quelle storiche sono circa 40) sono state affrescate dai Borremans e da Randazzo. L’importanza di Nicosia si evidenzia nel numero di nobili che la popolavano: 24 Baroni, 2 Marchesi, 1 conte e 260 famiglie nobili. La sua antica storia si nota grazie alle associazioni religiose delle Casacce, delle confraternite di penitenti nate in Liguria nel 1300 e molto diffuse in Sicilia dove avrebbero poi adottato gli usi e i costumi spagnoli.
Always on the road of the mountains that connects Messina to Palermo and which was the favorite road of the kings of the early and late Middle Ages, once you pass Troina and before reaching the indomitable Sperlinga, you will find Nicosia. The city is high up in the mountains, surrounded by forests and rivers. The Byzantines, who had created chains of fortified cities that penetrated the interior of the island from the sea, had populated it with a strong castle. The Norman kings, not trusting the Byzantine population, brought nobles and peasants from Piedmont and Lombardy. For this reason the city split into two with a high part where the Gallic population was concentrated and a low part where the Greek population had gathered. The Sicilian of Nicosia is however the Gallic language that has remained with various modifications, that of 1200. Frederick II, the Stupor Mundi, loved Nicosia and the nature that surrounded it so much that it became a state-owned city, a direct property of the crown. This elevated Nicosia over other cities belonging to princes and barons to whom they had to pay taxes and taxes owing to their absolute obedience. Over time Nicosia enriched itself with important artistic works and its churches (the historical ones are about 40) with rich artwork like the  frescoed by the Borremans and Randazzo. The importance of Nicosia is evident in the number of nobles who populated it: 24 Barons, 2 Marquis, 1 count and 260 noble families. You understand its ancient history thanks to the religious associations of the Casacce, the brotherhoods of penitents born in Liguria in the 1300s and widespread in Sicily where they would later adopt the Spanish customs and customs.
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gregor-samsung · 4 years ago
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“ Si delinea un potere a doppio fondo, in cui chi comanda davvero si occulta dietro le chiassate dei media; la criminalità vivrà sicura e sdoganata se un’informazione cieca continuerà a dipingerla come un morbo alieno da cui ripulirsi come da una macchia sul vestito – così potrà prosperare in un’alterna spirale liberamente oscillante tra costruzione e distruzione; una queer economy in cui le voci dell’indifferenza e del delitto riusciranno ad armonizzarsi in un avvolgente basso continuo. “Certo, quante cose si potrebbero fare coi soldi che noi ci imboschiamo, di quante speranze priviamo le giovani generazioni”; ma non sono soldi veri, una volta estratti dal flipper del mercato perdono il loro profumo. C’è chi teme che, come nel secolo breve, la recessione conduca alla violenza e alle guerre mondiali; ma al tempo delle rivoluzioni russa e fascista l’età media era la metà di oggi e il sangue ribolliva il doppio. Ormai le masse sono atomizzate e disperse, i ragazzi che saccheggiano i negozi rubano gli iPad e si contemplano compiaciuti in differita; gli striscioni nelle manifestazioni degli indignados dicono “dividiamo la grana”. Nessuno vuole davvero rinunciare al potere salvifico del consumo, le vittime sono invidiose dei carnefici ed è facile ingannarle con l’elemosina di un simulacro anche miserabile. Le vecchie oligarchie gettavano al popolo manciate di monete d’oro dalla carrozza, ora basta fargli sentire il rumore di un jingle accattivante o intravedere il fulgore di una farfallina tatuata – gettare monete è inutile, tutte le monete del mondo non rappresentano che il tre per cento del denaro globale. L’umanità non vuole accettare quel che lei stessa ha scoperto: che la vita non dipende dall’amore, che i sentimenti sono essudati della biologia, che l’individuo non è più laboratorio di nulla e che il mercato è in grado di fornire l’intero kit per un’individualità fai-da-te. I regolatori del nuovo equilibrio dovranno sapere che la virtualità è l’oppio dei popoli e la psicologia un placebo; che l’epopea del singolo è finita e d’ora in poi avranno a che fare con organismi collettivi, colonie tipo i coralli o le spugne, compattati dalla scienza come nell’alto medioevo li compattava la religione. Le invenzioni della finanza sono l’estremo titanico tentativo di rivolgersi verso l’alto (le obbligazioni a cent’anni con cui si crede di addomesticare il debito!), alla scalata di un paradiso sia pure artificiale, prima della modestia concentrazionaria e obbligatoria. Dio sta morendo anche nei suoi surrogati. Se perfino i clown rientrano nei ranghi, chi difenderà le ascensioni dell’eros contro il grigio della rinuncia? “
Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli, 2013⁹ [Prima edizione 2012]; pp. 281-83.  
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klimt7 · 5 years ago
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I COLORI
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Isaak Newton studiando le proprietà della luce scoprì chhe ciascuno dei colori in cui si scompone un fascio di luce bianca è caratterizzato da una sua propria frequenza ed emette corrispondentemente una quantità differente di energia.
Le sue ricerche segnarono soltanto l'inizio di una serie di ulteriori ricerche sulle caratteristiche dei colori.
Theo Gimbel confrontò l'energia dei colori con quella dei suoni. Trovò così che i colori posseggono una energia di vibrazione più elevata dei suoni ed esercitano un influsso maggiore perfino dell'emissione vocale.
Questa proprietà di emettere energia permette ai colori di influenzare tutto il nostro organismo nonchè le nostre condizioni psicofisiche e spirituali.
Tuttavia considerare i colori unicamente come fenomieni fisici significa ignorare completamente la sensibilità dell'essere umano verso di essi.
Il paradosso dei colori però si comprende soltanto tentando di rispondere alla domanda:
"Che cos'è un colore?"
Nel momento in cui rifletto sui colori e costruisco concetti e formulo frasi, la loro atmosfera si dissolve e nelle mie mani rimane solo il loro corpo  [ J.Itten]
Voler giungere ad una risposta univoca a questa domanda è come tentare di stringere nella mano un pugno d'acqua. E' un'esperienza frustrante. E questo perchè non è possibile comprendere i colori soltanto con la ragione, considerandoli come fenomeni del mondo fisico. Sia dal punto di vista degli effetti che producono, sia da quello del loro significato, essi nascondono livelli e dimensioni diversi che noi non potremo mai afferrare completamente.
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I colori non sono fenomeni unidimensionali
I colori sono come i suoni dei "linguaggi arcaici" della Terra, i cui "messaggi" si sono radicati dentro di noi nel corso di milioni di anni.
Così alcuni colori ci incutono timore, mentre altri ci rallegrano o ci rilassano. Oppure come scrisse Goethe proviamo "in generale una grande gioia per il colore. L'occhio ne ha bisogno quanto ha bisogno della luce. Basti ricordare la consolazione che ci deriva quando in una giornata nuvolosa, il sole splende in un sol punto del paesaggio rendendone visibili i colori"
Di regola il colore preferito da una persona esprime l'immagine ideale che essa ha di sè, vale a dire ciò che vorrebbe essere, altre volte invece come si percepisce dall'interno.
Il Blu fra i colori è quello che rappresenta il movimento verso l'interno. Attira l'osservatore verso di sè, verso la propria essenza e la propria anima. E' stato anche detto che una macchia di blu su un foglio bianco,"implode", ci cattura e risucchia. Il colore Blu simboleggia l'unione di ciò che è lontano e ciò che è profondo; è al tempo stesso simbolo della profondità del mare e dell'immensità del cielo.
Jung scrisse "Noi supponiamo che il blu, in quanto verticale, significhi altitudine e profondità (il cielo azzurro in alto, il mare azzurro in basso).Il blu è il il colore tradizionale dell'anima. Ma l'anima rappresenta come la donna, l'altezza e la profondità dell'uomo."
Non solo per gli alchimisti il blu rappresenta il colore dell'acqua e quindi del sentimento. Anche la Chiesa collega il blu alla profondità dei sentimenti, dell'anima e alle vitu' teologali. La stessa Maria nelle rappresentazioni classiche fin dall'Alto Medioevo, è associata sempre al mantello celeste. Il blu è inoltre simbolo dell'Eterno
In ogni caso il blu ci aiuta a trovare il centro di noi stessi. Particolarmente a noi moderni, la meditazione sul blu, restituisce le nostre radici.
Nella psicologia dei colori, il blu indica la persona equilibrata, armonica, soddisfatta.
Ma allo stesso tempo il blu simboleggia qualcosa che si contrae,come avviene per la paura, le tenebre, la depressione.
C'è una esclusione dal mondo esterno. Il blu viene anche associato ai sogni in generale, poichè con essi l'anima prende la parola. Rappresenta l'elemento magico e ha un effetto "concentrante" e "rinfrescante". In termini medici invece ha una capacità "astringente" oltre che una azione antipiretica e antinfiammatoria. Indossare un pigiama blu, specialmente di seta, può contribuire ad abbassare la temperatura corporea, cosi come il riposare fra lenzuola blu aiuta sicuramente in caso di febbre.
Anche sui bambini iper-attivi, il circondarli di azzurri chiari e di celesti, può avere un effetto rilassante, cosi come l'ha il tenere accesa di notte una debole luce blu, nelle loro camere.
Più in generale questo colore porta alll'introspezione e all'ascolto di se stessi.  Lo studio dei colori e delle loro interazioni con la nostra sensibilità rientra ormai in modo definitivo,  nel percorso per raggiungere una maggior consapevolezza della persona e dei suoi rapporti con la realtà circostante.  
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  [ da "COLORI" di K. VOLLMAR ]
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