#basso medioevo
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“ A partire dal 1223 si apre il periodo che i biografi [di san Francesco d'Assisi] definiscono della «grande tentazione», tentazione di abbandonare tutto, di disinteressarsi completamente della comunità, forse di non avere più fiducia in Dio. Ma ci sono momenti di remissione: uno di questi è la grandiosa celebrazione del Natale nell'eremo di Greccio nel 1223. Francesco organizza una sacra rappresentazione corale che trasforma in attore anche il pubblico accorso ad assistervi. Chiama un nobile di nome Giovanni, «di buona fama e di vita ancor migliore» sul cui affetto e devozione sa di potere contare e gli ordina, quindici giorni prima di Natale, di preparare lo scenario adatto. Dice all'amico: «Voglio rappresentare quel Bambino nato a Betlemme come se in qualche modo avessi davanti agli occhi i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu posto in una greppia e come stette sul fieno fra il bue e l'asino». Dobbiamo immaginare che per evocare la grotta siano state adattate le rocce della montagna, magari allargando qualche cavità naturale, oppure che per accogliere anche i fedeli sia stata costruita con tronchi d'albero una grande capanna? Quindici giorni sono un tempo eccessivo, se dedicati soltanto a preparare un po' di fieno e a condurre sul luogo due animali. Il bue e l'asino non fanno parte del racconto evangelico della Natività, ma furono aggiunti dai Vangeli apocrifi. Francesco, sensibile al messaggio delle immagini, ritenne bue e asinello indispensabili al suo teatro sacro.
Il racconto di Tommaso da Celano sembra la descrizione di un meraviglioso presepio vivente: vediamo accorrere «molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte nella quale s'accese splendida la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. [...] Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di una gioia mai assaporata prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutto un sussulto di gioia. [...] Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima». Francesco è felice, profondamente commosso. Si riveste di paramenti diaconali e canta con la sua bella voce il Vangelo, predica con parole dolcissime, trascina ed entusiasma gli astanti rievocando la piccola città di Betlemme, il Bambino divino e poverissimo, con tale entusiasmo infuocato che un cavaliere, forse il medesimo Giovanni, ebbe una visione: «Gli sembrava infatti che un neonato giacesse esanime nella mangiatoia, che il santo di Dio si avvicinasse e destasse quel medesimo bambino da quella specie di sonno profondo. Questa visione non manca - conclude Tommaso da Celano - di un suo significato perché davvero il fanciullo Gesù giaceva dimenticato nel cuore di molti e per grazia di Cristo, tramite il servo suo Francesco, fu risuscitato e il suo ricordo impresso in una memoria di nuovo partecipe». Nella preghiera composta da Francesco per il Vespro di Natale, alla descrizione della nascita nella mangiatoia segue la citazione della lode angelica: «Pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2,14): Cristo è venuto a portare la pace, quella pace che gli uomini non sanno trovare proprio nei luoghi dove egli nacque, la pace che Francesco era andato ad annunciare prima ai crociati e poi al sultano, e vorrebbe accolta dai conterranei, dai frati, dalla Chiesa. “
Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d'Assisi, introduzione di Jacques Le Goff, Einaudi (collana ET Saggi n° 824), 2006⁶; pp. 112-113.
[Prima edizione: 1995]
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Il Complesso archeologico della Cattedrale di Termoli
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IL PONTE SUL PASSO DEL TEMPO
Questa mattina mi sono riempito per sbaglio lo zoccolo sanitario di un flacone intero di lattulosio, che - per chi non lo sapesse - è una roba sciropposissima e appiccicosissima che si usa per contrastare l'encefalopatia epatica ma spiegarvene bene i meccanismi risulterebbe noioso e non pertinente a quanto sto per raccontare.
Il fatto è che nell'attimo in cui il mio piede ha sciaguattato fastidiosamente nello zoccolo ho avuto una reminescenza di un qualcosa che probabilmente da lì a qualche anno sarebbe stato spazzato via nella perdita continua delle cellule cerebrali che avviene quotidianamente e invece sono rimasto lì, quasi fulminato, a fare ciccheciac col piede come un bambino in stivali e impermeabile in una pozzanghera dopo il primo acquazzone autunnale.
Il fatto è che mi sono sentito come un emerito professore di storia di una prestigiosissima univesità che scopre in modo inconfutabile che lo stesso identico oggetto - non simile... proprio lo stesso - è stato tenuto in mano da un uomo di Cromagnon, da un faraone e da un cavaliere del basso medioevo.
L'oggetto era un paio di banalissime birkenstock.
Solo che quelle birkenstock erano un qualcosa fuori dal tempo perché collegavano tre mondi, anzi, tre ere geologiche lunghe millenni.
Nel primo flash ho 18 anni e sto lavando la macchina di mio padre nel polveroso cortile del condominio dove sono nato e da dove, l'anno dopo, saremmo andati via per traslocare in un appartamento finalmente di proprietà.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock destra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo onirica.
Nella nuova casa, quella dove i miei genitori abitano ancora, sto realmente per poco tempo a causa di università e militare, ma nella mia memoria emotiva il tempo si dilata in decenni, perché stringo indissolubili e potenti legami con gli amici che mi resistono ancora accanto.
Sono a malapena cinque anni, finché non decido di raggiungere la ragazza che ancora adesso mi resiste accanto (nessuno dei due sapeva che aveva una bambina nella pancia ma vabbe'... così nessuno ha potuto dire che si era trattato di un trasferimento coatto riparatore).
Mio padre mi regala la sua macchina, per il viaggio e per cominciare la mia nuova vita, così decido di lavarla per arrivare in gran stile.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock sinistra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo frenetica.
In un altro luogo, lontano mille anni luce nello spazio e nel tempo, una bambina piccola coi capelli rossi dice 'Papà... laviamo la macchina che è sporca!' e quindi usciamo insieme nel cortile illuminato da un sole primaverile. Insaponiamo la macchina e, ridendo, la sciacquiamo schizzandoci con la canna dell'acqua.
A un certo punto lei guarda le ciabatte che porto ai piedi, vecchie e annerite, che oramai uso solo per curare il giardino... e me le bagna col getto della canna dell'acqua urlando 'Sono brutte! Buttale!'
E io, a distanza di 27 anni, ricordo ancora il sacco nero della spazzatura, appeso alla ringhiera della scala, e le birkenstock che hanno viaggiato attraverso le ere di tre vite intere scomparirci dentro.
Allora non avevo capito ma nel momento in cui è entrata l'infermiera con sguardo interrogativo, fissando la pozza di lattulosio a terra, mi sono reso conto che continuavo a non capire.
Ma che alla fine andava bene così.
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Monna Lisa influencer
Visit Italy lo ha rifatto nuovamente.
Ha creato una nuova campagna di promozione del territorio italiano a livello turistico utilizzando la ragazza di un'opera d'arte di un artista italiano come sua personal influencer.
Per il 2023 la testimonial è stata Venere de La Nascita di Venere di Sandro Botticelli (@venereitalia23): la protagonista del quadro è stata presa è inserita nel contesto italiano, abbigliata in vestiti moderni, per la creazione di contenuti social.
Per il 2024, invece, la testimonial scelta è monna* Lisa de La Gioconda di Leonardo da Vinci (@monnalisareal). Qui la comunicazione è stata effettuato creando una modella fittizia mediante l'intelligenza artificiale, che sta prendendo sempre più piede in tutti gli ambiti senza essere stata veramente normata.
Il lancio della nuova campagna di promozione del territorio italiano dal punto di vista turistico di Visit Italy è avvenuto a New York, tramite il billboard a noleggio di Times Square, con lo slogan:
I'm coming back to Italy. — Monna Lisa
Ma se monna Lisa, che risiede al Louvre (Parigi, Francia), sta tornando in Italia, perché la sua campagna inizia da New York? Come ci si è ritrovata nella Grande Mela?
Tra i commenti del video del lancio, vi è quello di un utente che domanda:
Quindi, probabilmente, la prima fermata sarà quella della tua città natale, Firenze?**
Cosa che avrebbe molto senso, in una narrazione corretta. Ma lo storytelling non è il punto forte di questa campagna e, infatti, troviamo subito monna Lisa in una trattoria a Roma, davanti a un piatto di pasta alla carbonara accompagnato da un calice di vino bianco.
Monna Lisa "esplora" un po' Roma, poi "vola" a Napoli e a Milano, e solo come quarta tappa si ritrova a Firenze.
Al di là dell'utilizzo dell'IA — conveniente solo per abbattere i costi d'ingaggio di una modella e/o attrice disposta interpretare monna Lisa in questa campagna e di trasferte della ragazza scelta e di anche solo una piccola troupe — e dell'assenza di un vero e proprio storytelling per raccontare l'Italia a chi vi pianifica il proprio soggiorno, i post proposti alla community di Instagram, ancora una volta, non raccontano nulla dell'Italia, preferendo invece optare per avvicinare il pubblico con i classici cliché a cui già i turisti sono abituati.
* Monna · /mòn·na/ · sostantivo femminile — Abbreviazione di madonna ‘signora’, titolo che nel basso Medioevo si usava premettere al nome; più tardi, e ancora oggi, può conferire un sapore scherzoso di fiaba.
** Tradotto dall'inglese, So probably the first stop should be by your hometown Florence?
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#myriamystery#rì sir8#katnisshawkeye#myriam sirotto#myriamagic#myriamworlds#myriamworld#influencers#about AI influencers#sulle influencer IA#Visit Italy#promozione dell'Italia#Italia promotion#visita l'Italia#Italia#Bel Paese#“Italy is my favorite country.”
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Italia: Medieval Era (1)
As requested, a bunch of posts (3) about Italy in the Medioevo and during the Impero Romano (I should start with the latter to give you a proper historical timeline but... yeah, let's make things "funnier").
Italy has been through a various amount of sudden situations and events during its history, but this is especially true when it comes to the Medieval Era. The start of this historical period coincide with the end of the Impero Romano d'Occidente (476 d.C. = after Christ, in Italian it's "dopo Cristo"), while its end is determined by the "Discovery of America" by Colombo in 1492. We generally talk about Alto Medioevo (V-XI century, year 1000) and Basso Medioevo (XI-XV century).
In the Alto Medioevo begins the Era of the Romans and Barbarians Kingdoms in the feudatory's area of Italy: first it was Odoacre with the "Eruli" and then Teodorico with the "Ostrogoti". In the Southern part of Italy, it was Arabs trying to invade our Nation. In the years 535 and 553 d.C., the "Guerra Gotica" between the Ostrogoti and the "Bizantini" of Giustiniano (Emperor of the Impero Romano d'Oriente) took place: at the end, Giustiniano had been able to take control of all the old Impero Romano d'Occidente's areas especially after the Assedio di Napoli and the Assedio di Roma which allowed him to reach Milano and destroy it and conquer Ravenna as well. This war caused lot of poverty, destruction and plague epidemic in Italy, whose cities lost population (also cause the population tried to save themselves and hide on the mountains or the countrysides, which allowed them also to upgrade the ruralization process started in the V century).
The Longobardi though, already few years after the end of the Guerra Gotica, could conquer some of the Italian Region (others stayed under the control of the Bizantini for centuries): they made Pavia their capital city and basically reached the whole Northern Italy (except for some parts of Liguria and Veneto, which fell later on). So by the end of the 7th century, Italy had been divided into two Kingdoms. Side note: Costante had been the first Imperatore Bizantino to actually live in Italy, in Siracusa, but cause of the way he destroyed the Churches and raised taxes, he got assassinated while he was taking a bath. ...Does this remind you of someone else?
In the 8th century the Longobardi could conquer some more areas (also cause the Bizantini kept a political line that wasn't very accepted by the population, so there were lot of revolutions in the Bizantini's areas). This situation worried the Pope who started fearing the loss of his Ducato romano, and therefore he called for the new king of the "Franchi", Pipino il Breve, for help: he could retake control of some of the areas fallen in the hands of Longobardi, and this signed the start of the Stato della Chiesa.*
Later on, the Pope called again the Franchi for help: the new king Carlo Magno could conquer Pavia and became the new king of Longobardi and Franchi together. Under the protection of the Pope, Carlo could win more and more areas and became the Imperatore d'Occidente. At the same time, some areas under the control of the Bizantini, gained more indipendence under their own governors.
A few years after, Carlo Magno, after a battle against the Bizantini, could obtain to become the Imperatore (not of Romani though: this became possible only after the year 1024), with the famous "Trattato di Aquisgrana". With the loss of power by the Longobardi and the start of the Kingdom of the Franchi by Carlo Magno and his sons and nephews, we could say the Regnum Italiae (The Regno d'Italia = the Sacro Romano Impero) was born.
At this point, many wanted to be crowned King of Italy, despite it became a natural right for the Romani/Franchi Orientali (kings of Germany): they all used to be crowned in Pavia or rarely Milano.
Years after, Italy, being part of the Impero Carolingio, became the target of many invasions from Unni, Saraceni and other external populations that only wanted to loot around. With time, the aristocracy tried to find ways to be able to vote for the king as well: this made the actual kings in need to become closer to the aristocracy and gain their political and military favours.
*During the whole Alto Medioevo the Stato della Chiesa with its "potere temporale" (through which the Pope could basically control some areas of the Center of Italy) was the only mean that allowed the Latin culture to survive. Christianity helped the Romans and the Germans to connect and integrate their rules together and give birth to the European culture and also to many Universities. Medieval monks were able to protect and store many different pagan and arabic texts (medicine, math and philosophy) which were of huge help for our culture.
(wikipedia)
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[Sulle atmosfere tenebrose del basso Medioevo; il vizio metafisico; per Leopardi la religione cristiana fu sinonimo di oscurità e timore, a partire dalla visione che ebbe a tre anni dei "bruttacci" (monaci incappucciati) che percorrevano in processione, di notte, le vie di Recanati; il cristianesimo come distruttore della natura e corruttore della ragione; malanimo verso Platone che insinuò, prima del cristianesimo, il timore di una punizione eterna (inferno) per chi avesse scelto il suicidio (Dialogo di Plotino e di Porfirio); timore dell'inferno che Leopardi ebbe fino a poco tempo prima di morire, con preghiera a Ranieri che, se avesse avuto sentore dell'ora estrema, gli chiamasse un prete.]
[…] si può considerare che la barbarie cupa ed oscura e vilmente e stranamente crudele de’ bassi tempi non proveniva solamente dall’ignoranza, ma da questa mescolata alla religion cristiana. Se fosse stata una barbarie pagana, quella religione aperta, chiara, materiale, senza misteri, avrebbe dato a quella ignoranza un colore piú allegro e a quei costumi un carattere meno profondo. Ma le menti erano tutte piene di quel sombre, di quel misterioso, di quel lugubre, di quello spaventoso della religion cristiana massimamente guasta dalla superstizione; lo spirito del tempo era modellato sopra queste forme metafisiche e astratte; l’uomo era malvagio per natura della società, come sempre; aggiunta alla malvagità l’ignoranza, la superstizione e lo spirito cupo del tempo, il vizio prese il carattere di metafisica, cosa notabile, e ben diversa dagli antichi vizi che generalmente erano piú naturali, e quantunque gravi e dannosi, tuttavia si soddisfacevano apertamente […] E quindi la barbarie prese quel carattere tenebroso, e la malvagità divenne scelleraggine profondissima.
(Giacomo Leopardi)
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Da secoli non si vedono così tanti alberi sulle montagne italiane. Quasi un’unica coperta silvestre ricopre ogni cosa. E così doveva essere nel Medioevo anche la pianura prima dei grandi dissodamenti operati dai Cistercensi: vicino al mare, lecci e sugheri, più all’interno rovelle colossali e poi tigli, olmi, pioppi e salici lungo i fiumi. Il ricordo di quelle grandi foreste è di nuovo visibile solo sulle montagne. E ancora di più adesso: a seguito del fenomeno dello spopolamento, tutte le fonti concordano nel registrare il raddoppio della superficie boschiva in cinquant’anni anni.
Senza i boschi le Alpi sarebbero quasi già sparite. Con le infinite radici di questo popolo vegetale che penetrano nella terra, che si aggrappano come tentacoli, che si ancorano nella profondità del terreno scosceso, artigli bramosi di terra, sono il grande adesivo naturale delle montagne. Fissano i pendii, bloccano la materia instabile che altrimenti l’acqua e il dilavamento presto trascinerebbero verso il basso, fino a riempire i fondi vallivi, fino a colmare i vuoti levigando con crolli in successione gli angoli acuti delle cime. E se le montagne tendono a sgretolarsi e a franare, le grandi foreste agiscono da cemento, trattengono la valanga, la frana, conservano a lungo la neve ai primi caldi sotto l’ombra delle
loro fronde, rilasciando lentamente acqua come spugne rigonfie.
Prima dei grandi castelli di ghiaccio, prima delle alti pareti cui si tende a pensare non appena si dice “Alpi”, e ancora prima delle cime, bisognerebbe pensare dunque alle foreste, alle grandi e benefiche distese boschive. Le Alpi sono il risultato della presenza delle foreste, immense coltri che limitano l’impermanenza delle cose.
Marco Albino Ferrari su FB Dolomitici
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Articolo lungo ma istruttivo. Aldilà del personaggio e delle sue idee, espone l'approccio DIFENSIVO ISTERICO passive aggressive della cd. "cultura" sinistra nei confronti della critica, quindi del confronto competitivo, del "mercato" che anche riguardo alle idee è l'unico approccio che le possa far evolvere.
A sinistra al contrario interessa solo la CONSERVAZIONE REAZIONARIA di quel poco che credono di aver capito. Sono gli Zan, i poveretti che credono di liberarsi impedendo agli altri di criticarne eventuali eccessi, cadute di stile e non solo; loro sono sempre offesi ma agli altri non è concesso esserlo.
L'articolo descrive in modo piano, come se fosse dovuto, naturale, consequenziale, la EMARGINAZIONE DI UNO STUDIOSO DI GRANDE SUCCESSO da parte del mainstream sinistro. Uno degli intellettuali più amati "dalla destra", come i sapientoni del Post definiscono le persone normali, perché ha ARGOMENTI CONVINCENTI.
"Propagandista" di ciò che definiscono "controverso" ma non può essere oggetto di confronto: viene letteralmente RIFIUTATO (rifiuto del confronto col BUON SENSO). "Detestato dai progressisti", è infatti il modo soft con cui definiscono IL LORO ODIO LIVOROSO, sfociato nel ban da twitter e nella richiesta di espulsione dalle università dove insegna: ciò che "detestano" è giusto sparisca, è soviet puro.
La sua è condivisibile, fondata e ben motivata critica radicale della moderna deriva dell'ignoranza progressista, che non a caso approda alla CANCEL CULTURE, il neo-rogo della Biblioteca di Alessandria.
Lo fa esponendo idee, cito i sapientoni, "da molti considerate semplicistiche e piuttosto vaghe, nella migliore delle ipotesi". A parte che trattasi di BUON SENSO, su wikipedia sarebbe commento evidenziata con nota "non cita la fonte", chi sarebbero 'sti "molti": le masse, i sapientoni sinistri?
Secondo l'articolo si tratta di "argomenti faziosi, misogini e vittimistici (...), un’estesa disinformazione su temi importanti come la violenza sulle donne e il cambiamento climatico, da tempo considerata molto pericolosa dalla sinistra". Tutto molto autobiografico a loro insaputa.
Siamo la punto: quel che è pericoloso per la sinistra è ipso facto disinformazione, argomento fazioso misogino e vittimista. Ci han riportati indietro al BASSO MEDIOEVO, a un fantastico ribaltamento di prospettive: barbari impauriti, fondamentalisti islamici terrorizzati da ciò che non riescono a comprendere e contrasta i loro schemi primitivi.
Bellissimo poi che per sminuirne la pur citata carismatica pacatezza e disponibilità al confronto del personaggio - "(toni) diversi da quelli di solito apprezzati nella destra americana" (? Anche qui, la fonte?), concludano che dopo tonnellate di insulti e ban, il nostro "ha progressivamente mostrato un’inclinazione crescente a rivolgersi principalmente al suo pubblico". Lo siento mucho nel mio piccolo: ti bannano li insultano chiedono che tu venga silenziato, a quel punto ti rivolgi a chi rimane a sentirti e loro uhhh, lo vedi come è chiuso al confronto, isolato, fazioso. WTF??!?!!???!!!
Jordan Peterson si ma, con tutto il rispetto, de te fabula narratur.
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In questi ultimi giorni non si fa altro che pensare a quel poveretto sbranato da un orso nel Trentino.
Allora mi è venuto in mente un vecchio mio post sul paese di Ponsacco di due anni fa.
Forse la storia ci viene tramandata a noi fin dal Basso Medioevo oppure chissà da quale secolo, ma non è questione di tempi antichi, sicuramente prima del 1500 DC, il fatto è che il problema "orsi" anche qua in Toscana viene da lontano, e di orsi in regione ne abbiamo pochissimi e forse oggi anche meno.
Buona lettura:
Ponsacco (Pisa) [Scusate i termini.]
Vi spiego perché gli abitanti di Ponsacco li chiamano da sempre i "Rubaorsi" della Val d'Era.
Avverto gli incauti lettori che incapperanno nella lettura che è una storia triste e dolorosa, fatta di soprusi e angherie.
Bisogna anziché dire che i ponsacchini non hanno mai brillato per intelligenza, infatti basta guardarli in volto per capire che non sono propriamente persone sveglie e attente, ma solo in un lavoro erano piuttosto attivi e "scaltri", se così si può dire: nelle ruberie ai danni dei forestieri e contadini. E, come se ai ponsacchini non bastassero le ruberie, avevano anche la mania di vessare gli abitanti dei paesi vicini, nei confronti dei quali istituirono perfino una tassa per chi proveniva dalla Alta Valdera e gli toccava attraversare il paese di Ponsacco, i tapini dovevano pagare la gabella sia per trasportare il prezioso sale dalle Saline di Volterra che per altre cose o merci, essendo costretti e obbligati, loro malgrado, a passare l'unico ponte sull'unica strada che collegava la valle alla pianura, infatti il nome Ponsacco deriverebbe da Pons Sacco -Ponte di Sacco-, probabilmente il nome del proprietario che lo fece costruire e obbligava chi vi transitava sopra a pagargli l'odioso obolo (Vedere la foto). Inoltre non erano rari i furti di mercanzie varie che i trasportatori di allora portavano ai mercati di Pontedera e di Bientina, si dice che quando dopo essere transitati sul ponte frustavano le già esauste bestie per passare il più velocemente possibile in mezzo a Ponsacco e alle campagne limitrofe coi loro barrocci per evitare i birbaccioni.
Ma torniamo ai Rubaorsi.
Non contenti di rubare le merci, avevano anche il vizio di appropriarsi indebitamente delle cose più preziose che i contadini dei paesi nei dintorni avevano: i maiali.
Si narra (ma ci sono varie leggende a tal proposito) che un contadino, e qui ci sta tutto il detto "Scarpe grosse e cervello fino", stanco di vedersi portar via i maiali dalle piccole stalle per suini e altri animali, vi rinchiuse dentro una di esse un orso fattosi prestare da un saltimbanco che faceva spettacoli itineranti nei dintorni. Quando i ladri entrarono dentro vi trovarono appunto la sorpresa: al posto del suino c'era il bestione che, incazzato come un orso, non esitò ad attaccarli, le cronache narrano che una volta entrati non vi uscirono più, e che forse i resti furono dati in pasto agli altri maiali.
Certo che il racconto sopra è una delle tante varianti del fattaccio, tuttavia in rete ho trovato quest'altra che, pare, sia la più vera di tutte:
si dice che una volta un tale Cini, figlio di Palle di Mescuglio, un poco di buono di Ponsacco a capo di un manipolo di ladroni, si fosse messo in testa di fare incursione in una stalla per rubare un maiale. Tutto era pronto, quando il destino ci mise lo zampino. E il destino assunse le sembianze di un saltimbanco che con il suo orso girava per fiere e mercati. Il giullare chiese ospitalità al contadino che accettò ma l’orso, pensò, meglio metterlo nella stalla al posto del maiale…. Avrete già capito come andò finire. I ladroni di Ponsacco entrarono a tentoni nella stalla e si trovarono davanti la bestia feroce che con una zampata sfigurò il povero Cini. La voce di quella bravata finita male arrivò agli orecchi degli abitanti di Pontedera che cominciarono a sbeffeggiare i ponsacchini chiamandoli “Rubaorsi”.
Tutt'oggi allo stadio, ricettacolo di contumelie e prese di culo, quando gioca il Ponsacco, i giocatori e specialmente i suoi tifosi, vengono sbeffeggiati chiamandoli "Rubaorsi", vale a dire Tonti o Sciocchi.
Spero abbiate gradito questa turpe storia, e non mi mandate a quel paese... specialmente se quel paese è Ponsacco.
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Dante e il suo fantastico viaggio 9: Dante e i personaggi dell’Purgatorio
Prima parte Seconda parte Terza parte Quarta parte Quinta Parte Sesta Parte Settima Parte Ottava Parte Prosegue il viaggio del nostro amato poeta nel Purgatorio in compagnia di Virgilio.
Due anime camminano insieme per il Purgatorio quando scorgono Dante, non sanno chi è, ma capiscono che si tratta una persona ancora viva rimanendo stupefatti di questa insolita presenza. Dante non dice loro chi sia, ma gli racconta che arriva dalla Toscana, dove c'è un fiume che nasce dal monte Falterona. Ovviamente si riferisce all’Arno, così le anime capiscono e cominciano a lanciare invettive nei confronti di quei luoghi bagnati dal fiume e divenuti maledetti e sciagurati. I loro abitanti sono oramai diventati delle bestie che sembrano vittime degli incantesimi orditi dalla maga Circe.
Quelli di Arezzo sono descritti come gente fastidiosa, patetica rozza e arrogante, tanto che il fiume con la sua ampia curva sembra volere evitare la città. Il fiume poi si avvicina a Firenze, dove i cani diventano lupi sempre più affamati e avidi. Più avanti c’è Pisa, qui si incontra la malizia, l’ astuzia e la frode, degne compagne delle volpi pisane… Una delle due anime parla poi di un suo nipote, quello che diventerà il cacciatore di quei lupi prima nominati. Li porterà alla disperazione con la sua violenza facendone le sue vittime sacrificali ed uccidendole come bestie da macello. Lordo di sangue lascerà poi una Firenze devastata, che a detta loro non sarà in grado di risollevarsi neanche dopo mille anni, tanto è precipitata in basso.
Dante è molto incuriosito dalle due anime e cerca di capire chi siano. Una di loro è l’anima di Guido del Duca. Lui stesso si descrive come un uomo pieno di invidia e di livore; per questo è qui in Purgatorio a scontare le sue colpe. Era morto da circa 50 anni, in vita era stato un gentiluomo romagnolo, signore di Bertinoro, una località nei pressi di Forlì. Il suo compagno era invece Ranieri de’ Calboli, un grande uomo politico romagnolo. Quando le anime parlano del “cacciatore di lupi fiorentini”, si riferiscono a Fulcieri de (o da) Calboli, nipote di Ranieri che dopo il ritorno dei Guelfi Neri al potere nel 1303, sarebbe diventato podestà di Firenze, Era un uomo crudele, particolarmente efferato, che avrebbe fatto uccidere molti fiorentini per impossessarsi dei loro beni. Le due anime si rivelano amareggiate, consapevoli di quanto gli ideali degli uomini delle loro terre si siano sviliti. Così, mortificate, dopo il loro sfogo e ancora oppresse da questi pensieri, pregano Virgilio e Dante di allontanarsi e permettergli di lasciarli andare con il loro dolore per la loro strada. Fulcieri fu un esponente della parte Guelfa, avversario agli Ordelaffi Ghibellini. Ricoprì cariche politiche di rilievo, come quella di podestà in diverse città tra cui Milano, Modena, Firenze e Bologna. Come podestà di Firenze nel 1303, dovette respingere il tentativo di un gruppo di esiliati Guelfi alleati con dei Ghibellini di riprendere la città. Tra loro c’era anche Dante, sotto la guida di un altro forlivese, un suo vecchio avversario: Scarpetta degli Ordelaffi. Si tratta della battaglia di Castel Pulicciano.
Pulicciano si trova su un colle a pochi chilometri da Borgo San Lorenzo lungo la via Faentina verso la Romagna. In epoca romana ospitava un castrum fortificato, del quale restano alcuni resti delle mura presso il cimitero e una cisterna sitiata sotto il sagrato della chiesa. Nel Medioevo la Contessa Matilde di Canossa fece erigere un castello, più tardi passato agli Ubaldini, teatro di una feroce battaglia avvenuta il 12 marzo del 1303. Un’iscrizione sull’esterno della chiesa di Santa Maria cita: “Questa rocca avvezza per più secoli ad assedi e battaglie, oggi nel seicentenario della morte di Dante fra i resti delle mura, accoglie il ricordo dell’assalto e della fuga di Scarpetta degli Ordelaffi con i fuoriusciti fiorentini e dell’aspra vendetta di Fulcieri de’Calboli nel marzo del 1303. Lieta dello scampo di Dante ed ora per auguri di pace guardò gli abitanti del suo Pulicciano e di Ronta 1321-1921”.
La vicenda venne narrata dai cronisti del tempo che riportano come Scarpetta degli Ordelaffi dal castello di Montaccianico si dirigesse verso Pulicciano alla testa di un esercito composto da Guelfi Bianchi esiliati e da Ghibellini, tra cui gli Ubaldini che volevano riprendere il loro castello caduto in mani fiorentine nel 1260. L’Ordelaffi, signore di Forlì Ghibellino unitosi in matrimonio con Chiara Ubaldini da Susinana, aveva accolto e protetto Dante nei primi anni dell’esilio facendolo suo segretario personale. Nella battaglia le truppe fiorentine erano guidate dal podestà Fulcieri da Calboli, esperto uomo d’arme forlivese e storico nemico degli Ordelaffi. Dino Compagni descrive i due antagonisti nelle sue cronache: Scarpetta dal carattere temperato in contrapposizione a Fulcieri, descritto invece come violento e feroce. Ovviamente i giudizi sono influenzati dalla polemica politica del tempo. Evidentemente Fulcieri doveva essere in gamba visto che i fiorentini contravvennero alla regola di cambiare il proprio podestà ogni semestre rieleggendolo per un secondo mandato consecutivo.
La battaglia si concluse con una schiacciante vittoria fiorentina. Fulcieri sconfisse i nemici che avevano preso d’assedio il castello; poi inseguì e catturò circa 500 fuggitivi e dopo averli torturati li condannò a morte. Scarpetta e gli altri riuscirono invece a rifugiarsi a Montaccianico. La vittoria di Fulcieri ebbe una grande risonanza politica, tanto da essere celebrata in un affresco commissionato dal Comune di Firenze ed eseguito a Palazzo Vecchio da Grifo di Tancredi, pittore esponente dei protogiotteschi fiorentini. Dante che aveva già avuto esperienze in battaglia, sia a Caprona che a Campaldino, molto probabilmente prese parte anche a questo scontro, almeno così sembrerebbe da alcuni riferimenti che traspaiono in un dialogo riportato nelle pagine del Purgatorio. La battaglia di Castel Pulicciano del 1302 si tenne dopo il fallimentare incontro di San Godenzo e si svolse tra Borgo San Lorenzo e Luco, questo fu il secondo tentativo dei fuoriusciti esiliati di rientrare a Firenze.
L’8 giugno del 1302 all’abbazia di San Godenzo dove era presente anche Dante, si tenne un incontro tra esuli fiorentini Ghibellini e Guelfi Bianchi che poteva cambiare le sorti della storia. L’obiettivo era di trovare un accordo con gli Ubaldini per poter rientrare a Firenze, in quel tempo dominata dai Guelfi Neri. L’incontro non ebbe successo e portò in seguito ad uno scontro tra Bianchi e Neri, in cui i primi vennero sconfitti. Fu in questa occasione che Dante maturò la decisione di staccarsi dai compagni fiorentini, ritenuti “compagnia malvagia e scempia”. Un anno dopo questo scontro nel 1303, Scarpetta degli Ordelaffi entrò in possesso di Borgo San Lorenzo, legato a Firenze. Seguì a questo fatto la battaglia della Lastra, un sanguinoso scontro avvenuto il 20 luglio del 1304 nelle vicinanze di Firenze, quando i Guelfi Bianchi furono sconfitti dai Neri nel tentativo di rientrare a Firenze. In seguito il castello di Montaccianico divenne, con le città di Pistoia e Bologna, un baluardo della lotta contro i Neri fiorentini e i loro alleati. Lo scontro si prolungò fino al 1306 quando con il voltafaccia di Bologna e la caduta di Pistoia, il Comune di Firenze e gli alleati tentarono un’azione risolutiva nei confronti degli Ubaldini e della loro roccaforte. Dopo quattro mesi di assedio i fiorentini ottennero la resa di Montaccianico pagandola però a caro prezzo. Ottennero due parti del castello con un esborso di 15.600 fiorini d’oro. Questo presidio cittadino avrà il compito di sostituire gli Ubaldini nel controllo diretto della popolazione.
Riccardo Massaro Read the full article
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Tra la fine dell'alto medioevo e l'inizio del basso medioevo la Sicilia era un Emirato. A quel tempo si cacciava con i falchi alla maniera dei Kazaki e si annodavano splendidi tappeti (i più famosi erano i "messinesi"). Nel 1061 sbarcarono i normanni che destituirono dal potere l'emiro locale, Yusuf Ibn Abdallah, instaurando il loro dominio, ma rispettando i costumi degli arabi residenti che continuarono a produrre e commerciare tappeti, peraltro molto apprezzati dai nuovi dominatori nordici.
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Quando l'asino non vuol camminare, raglia!
La disinformazione neotemplarista su San Giorgio Martire.
Care lettrici e cari lettori, come alcuni di voi sapranno, in questo lungo periodo ho ben altre cose serie a cui pensare, però sapete bene anche, quanto io mi fomenti nel momento in cui dei complottisti o negazionisti, imperversanti nel mondo "storico", si mettono ad emanar sentenze su argomenti che non dovrebbero toccare nemmeno con un bastone da rabdomante.
Questa volta tocca alla splendida chiesa di San Giorgio Martire, nel centro urbano di Petrella Tifernina in alto Molise, una cittadella che, tutta intorno, si sviluppa a guisa di quella veglia basilica, in cui, per molto tempo, ho passato periodi della mia adolescenza, quando mio padre, circa 16 anni fa, svolse numerosi sopralluoghi e studi di ricerca in compresenza del parroco Don Domenico, della sua associazione e di tanti accademici, archeologi, storici dell'arte e dell'architettura, molisani e d'oltre Regione.
Ora, come da tempo accade, è presa di mira anche da alcuni neo-templaristi, che purtroppo hanno visto troppi film d'azione sul medioevo, e soprattutto, troppi sulle leggende dei cavalieri Templari e delle crociate nella fattispecie, che vedono l'ordine come fautore di cose con le quali mai era stato legato, in tal caso, l'arrivo del culto per San Giorgio Martire nella penisola italiana, che a detta di talune pagine ed "eruditi", sarebbe sopraggiunto solo nel basso medioevo, al seguito delle crociate.
Vogliate concedermi una riflessione a riguardo, poiché affermazioni di questo tipo, ricopiate e ricalcate dalle pagine sensazionalistiche ed esoteriste, ed anche da parte di alcuni storici "non addetti ai lavori", sono assolutamente false e in evidente contrasto con la storia del nostro paese, seguendo un'ottica primitiva, oggi superata ampiamente dal mondo universitario e più propriamente storiografico.
Passerò pertanto a discutere su due punti salienti di questa lunga riflessione:
1) l'icona di San Giorgio
2) la lunetta del Magister Alferio.
Nel primo caso, viene asserita da taluni individui, la datazione della formella di San Giorgio Martire, al XIII secolo inoltrato, una cosa che assolutamente stride con qualsiasi nozione di storia dell'arte esistente, soprattutto per l'inesistente plasticità e tridimensionalità del bassorilievo, che nelle proporzioni ed irregolarità delle forme, nonché staticità dei corpi, si accosta al gran numero di produzioni di scalpellini di ambito centromeridionale tra la fine del X e la prima metà del XII secolo, con una netta evoluzione graduale tra gli stilemi arcaici preromanici di epoca longobarda/bizantina, e quelli romanici d'epoca normanna/sveva, che con la seconda fase sfocieranno nel protogotico svevo-angioino, seguendo una ripresa sempre più marcata di elementi classici, elaborazione nelle proporzioni, espressività e plasticità degli elementi, che si noterà principalmente in cantieri come quello di Santa Maria Maggiore a Monte Sant'Angelo, Santa Maria della Purificazione a Termoli, San Giovanni in Venere a Fossacesia, Santa Maria e San Leonardo a Siponto, San Clemente a Casauria e tante altre località tra Abruzzo, Lazio, Campania, Molise, Puglia ed anche Basilicata e nord della Calabria.
Per delucidazioni aggiuntive consiglio vivamente la lettura del libro: Molise medievale cristiano, Edilizia religiosa e territorio (secoli IV - XIII),di Federico Marazzi, Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi, Daniele Ferraiuolo, Paola Quaranta, and Alessandra Tronelli.
Sulla rarità di icone preromaniche occidentali, che raffigurino il santo nell'atto di uccidere il drago, vorrei preventivamente chiarificare non sia esattamente così, la rarità è circoscritta quasi unicamente per il territorio italiano, e rarità non è sinonimo di inesistenza se il vocabolario me lo consente.
Si rammenti che nella penisola, già nel VI e nel secolo successivo si attesta la presenza del culto di San Giorgio Martire, escludendo in toto la teoria di una giunta dell'agiografia georgiana solo al seguito della sua Legenda Aurea, ma già attestata da fonti indirette ed apocrife, precedenti di molto ai secoli delle crociate, che vedrebbero la componente del mostro o drago, giungere nei territori dell'Est Europa e dell'Occidente, a cavallo tra il X e l'XI secolo, ed addirittura, essere postulata proprio in "territorio europeo" con una evoluzione graduale, che vede l'aggiunta, nella sua agiografia, del salvataggio della principessa dal drago, simbolo del demonio, una dicotomia tra bene e male che incarna tutta la storia della teologia stessa e dei santi martiri, che null'ha a che fare con le crociate, se non essere parte di esse, tanto che nel corso della prima crociata, troviamo informazioni che ci fanno capire in Occidente fosse già ben nota l'iconografia cavalleresca di Giorgio, tanto che più tardivamente, addirittura, sarebbe sviluppatasi in Oriente, adottando il mostro dall'icona di San Teodoro.
L'imago del cavaliere che sconfigge il maligno in realtà, ivi si riferiva all'imperatore Costantino, come ci riporta il biografo Eusebio da Cesarea, una icona imperiale diffusa in molte aree mediorientali, ma che principalmente era posta sulla facciata del suo palazzo imperiale, tanto da ipotizzare che in realtà i crociati furono indotti ad indentificarla come icona del santo, solo tramite una loro conoscenza di essa, già appurata e radicalizzata tra l'est Europa, l'area costantinopolitana, e naturalmente altre regioni e nazioni dell'Europa occidentale, in cui non poteva mancare certamente l'Italia, cuore pulsante delle vie pellegrinali, di commercio ed anche delle crociate stesse ed ancor prima, delle milizie d'ogni tipo, la storia della Longobardia Minor dovrebbe aver già insegnato molto.
Tornando al San Giorgio di Petrella, la sua figura trova un riscontro iconografico, molto vicino a quello delle icone ancora primitive, che precedono lo sviluppo pieno del suo programma simbologico-agiografico, fiorito in maniera solida dopo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Che però già esisteva tra il X e l'XI secolo.In special modo, queste icone sono caratterizzate dalla assenza di elementi come la principessa, dove gli unici individui sono Giorgio, il cavallo e il drago/mostro-serpente alato, trafitto dalla lancia del soldato.
Questi elementi iconografici sono diffusissimi nelle pitture rupestri della Cappadocia (XI sec.), ed anche negli affreschi di San Marzano in provincia di Taranto (X-XI sec.), e nel bassorilievo della Cattedrale di San Paolo ad Aversa (X-XI sec.), e l'elenco di esempi su San Giorgio ed il drago possono proseguire per molto, ma mi fermerò a questi per il momento.
A fare da contorno in tutto ciò, vi è lo stile che caratterizza la scultura petrellese, una formella con caratteri iconografici bizantini, ma dalle proporzioni incoerenti e scarsa plasticità, una costante delle produzioni lapidarie che hanno toccato vari insediamenti come Santa Maria della Strada a Matrice, Ma anche altri come a Guardialfiera, Roccavivara, Guglionesi, Petacciato, Cercemaggiore e così via, tutti edifici integri alternati a resti erratici o di reimpiego, databili tra una più antica manualità dell'VIII e IX secolo, ed una lieve evoluzione tra X ed XI, con un cambiamento ulteriore nel XII ed infine un distacco abissale con le produzioni dei secoli XII-XIII e XIII-XIV, che agli antipodi posseggono la Fraterna di Isernia da un lato, e la Cattedrale di Larino dall'altro.
L'arretratezza negli attributi e nello stile figurativo, fanno retrocedere presumibilmente la datazione come di consueto, tra il termine del decimo secolo e l'anno mille, come parte di uno dei primi cantieri che videro l'evolversi dell'impianto basilicale tra stadio pre-romanico e romanico "normanno", una doppia fase che si sposerebbe bene con la successiva ulteriore trasformazione del complesso, al seguito di un cataclisma, forse uno smottamento del terreno di fondazione o un sisma, che comportò un drastico cambiamento nell'assetto impiantistico, ed un enorme riuso dei resti del precedente tempio, per approfondimenti in merito, consiglio la lettura del volume: "Medioevo in Molise: Il cantiere della chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina" dello storico dell'arte Francesco Gandolfo, che a suo tempo avemmo il piacere di conoscere nel corso delle ricerche sul campo.
Da qui ci si sposta alla questione invece di altri elementi, come il portale maggiore, che si mostra con uno pseudoprotiro e facciata che rientra nelle caratteristiche del pre-romanico e romanico locale (vedi Matrice), con una lunetta che presenta un evidente caso di rimontaggio, come in altri punti dell'edificio, forse proprio nel corso della trasformazione dell'intero orientamento della struttura, pur presentandosi nel complesso, al suo stato originale, con stilemi a girale, fitomorfi, scene apocalittiche e creature zoomorfe inscritte dentro cornici tipiche dei cantieri, specialmente benedettini, dell'XI-XII secolo, come appunto chiarisce un ulteriore dettaglio della lunetta maggiore, la firma dell'esecutore, tal "ALFERIO DISC(IP)OLO GEO(RGI)", come si può leggere tramite una attenta analisi ravvicinata dell'incisione (e non da fotografie sbiadite, tra l'altro, che permettono egualmente di leggervi quanto detto poc'anzi).
La tradizione locale (che tradizione non è), vuole attribuire la lunetta ad un tale MAG(ISTER) EPIDIDIVS, che in realtà nasce da una approssimativa lettura dei pochi caratteri esistenti, da parte del Carandente, presa per buona da alcuni eruditi ma priva di fondamento, specie se si considera che il nome Epididio sia quasi totalmente inesistente persino per alto e basso medioevo, e per trovarvi una spiegazione, dovrebbe quantomeno essere posto in teoria come una abbreviazione, ma al momento resta una fantasiosa ricostruzione del secolo scorso, già accantonata dalla comunità accademica.
Altro strafalcione del Carandente si riporta nella data incisa al lato destro della lunetta, "MDECIM", per il quale, secondo una idea di attribuzione tarda, doveva leggersi (Anno Domini) Millesimo Duecentesimo Undicesimo (1211), non potendo però constatare per l'epoca, che nessuno dei fregi e bassorilievi della basilica, potesse essere avvicinabile a questi anni, privi di ogni caratteristica sopracitata.
Il suo errore è da contestualizzarsi nella mentalità locale di almeno uno o due secoli fa, dove il territorio molisano venne circoscritto, dal punto di vista artistico e culturale, ad una terra con "produzioni di ambito locale, o minore", con delle eccezioni senza alcun nesso, prima dei contributi che hanno permesso, da 30-40 anni, ad oggi, di sfatare tutto ciò, ed anzi, di riscoprire l'alveo culturale quale era il Molise, un territorio tra Abruzzo Citeriore, Terralaboris, Capitanata e così via, più comunemente territorio che possiamo definire proprio centro della Longobardia Minor, e successivamente, parte del Regno di Sicilia settentrionale.
Un cuore pulsante di "scuole", botteghe e cantieri ecclesiastici ed anche nobiliari, che hanno permesso l'evoluzione e il proliferare, di queste componenti artistiche, esattamente come dei movimenti, ove era cruciale il ruolo delle vie di comunicazione, per esempio la Via Francigena, le sue arterie meridionali, i tratturi e così via, che hanno permesso soprattutto, di capire negli anni passati, il motivo di una espansione di medesimi archetipi, stilemi e caratteristiche culturali riscontrabili nello stesso tempo in più parti dell'Europa, dall'Italia all'Est, al Medio-Oriente fino ad arrivare in Francia, Spagna e naturalmente Regno Unito, tante realtà che, ovviamente, si sono fuse con quanto era già presente in questi paesi.
Le componenti estere sono sempre state il fondamento base della storia dell'arte, sia in età longobarda, con influenze bizantine, occidentali ed arabe, sia con i normanni, ed ovviamente sotto Federico II di Svevia, dove si può dire fosse nata l'architettura gotica italiana (e non solo), ereditata ed espansa sotto il dominio angioino e perfezionata dai motivi orientaleggianti catalani con gli aragonesi, mentre non va trascurata la parentesi di ambito veneziano trecentesco/quattrocentesco, e anche quella del gotico abruzzese (XIII-XIV sec.).
Dopo aver riportato questo grande aneddoto sul conto del Molise, per il quale ampiamente ha dibattuto e pubblicato la professoressa Maria Stella Calò Mariani, seguita da Francesco Aceto e da Giuseppe Basile, ma anche dallo stesso Bertaux e molti prima e dopo di loro, ritorniamo alla epigrafe di Petrella.
Più semplicemente, questa attestazione in caratteri latini, di per sé in contrasto con quelli evidenziati in tutto il territorio centro-italiano del '200, (vedi la data sul campanile di Santa Maria della Strada), non si riferirebbe affatto al 1211, bensì al 1010, (AD) M(illesimo)DECIM(o), semanticamente più accurata e meno costrittoria della versione del Carandente, avvicinandosi perciò alle scene cavalleresche del campanile di Petacciato, forse ascrivibili per stile ai medesimi fregi della lunetta, che troverebbe riferimento nella vicenda della Battaglia di Canne del 1018, con la presenza forse della più antica immagine di un cavaliere normanno e di due cavalieri bizantini in lotta.
Questa lettura non solo trova riscontro nei caratteri, ma anche nello stile arcaico che compone interamente la basilica ed i suoi bassorilievi, taluni di epoca precedente, ed altri del cantiere d'appartenenza, al quale sarebbe dovuto seguire un altro cantiere come si può evincere da un unico elemento duecentesco (o trecentesco) presente nella navata destra della chiesa, un semicapitello piatto, con motivo di foglie di acanto molto plastiche ed estruse, poggiato su un’acquasantiera in disuso, mai impiegato, ma che nel suo stile sembra essere ascrivibile ai cantieri di Santa Maria e San Pardo a Larino e di Sant'Emidio ad Agnone, ma per quanto riguarda il complesso, pare in realtà esserci una totale assonanza con i cantieri delle basiliche di San Giorgio, San Bartolomeo e San Mercurio a Campobasso (IX-X-XI sec.), alcuni elementi di Sant'Andrea a Jelsi (XI sec.), San Giovanni Rotobonis a Oratino (La Rocca) (IX-X sec.), e così via.
Senza contare che, per rievocare momentaneamente le questioni del culto per San Giorgio, nella Longobardia Minor e nei territori circostanti, sono attestate molteplici ecclesie dedicate al Santo Martire, tutte tra VII-VIII e IX secolo, che farebbero già intendere quanto non sia assolutamente fondata la supposizione sul suo culto giunto solamente dopo i risvolti della prima crociata, alla fine dell'XI secolo, ricordando ulteriormente a chi legge, che stessa sorte capitò per il vescovo di Myra, Nicola, detto anche San Nicola di Bari almeno dal 1087 in poi, ma che già era ampiamente venerato dal VI secolo, persino nella nostra regione, con chiese e badie risalenti al X secolo, la più vicina alla mia posizione proprio a Petacciato, presso il luogo di sepoltura dell'abate Adamo di Tremiti, poi Sant'Adamo confessore.
La verità di tutto ciò è molto diversa, spesso dei gruppi neotemplaristi, pur di mettere i Templari al di sopra di ogni argomento storico, finiscono per affidargli la paternità di cose che non gli sono appartenute, o meglio, che non hanno creato loro ma che essi possono solo aver sposato successivamente alla loro nascita.
Quest'anno per esempio sono già dovuto intervenire dopo un convegno neotemplarista al Cinema Sant'Antonio di Termoli, in cui si sono susseguiti una marea di sproloqui nei confronti dell'Agnus Dei (Agnello di Dio, o Agnello Crucifero), presente in una moltitudine di forme nelle facciate delle nostre chiese antiche, che un "meneghino" ha definito come simbolo templare, e che queste chiese fossero state costruite perciò dai Templari, nonostante questi stesse mostrando dei fregi dell'VIII e del IX-X secolo, ed uno della prima metà dell'XI, tutti elementi che sono antecedenti sia all'ordine di San Giovanni Gerosolimitano (Ospitalieri), sia ai cavalieri Templari, con una forte affinità di carattere evangelico invece, ispirazione ancestrale di tutte le maestranze che che hanno costruito "i pilastri della terra" in cui noi veneriamo i nostri idoli.
Ecco perché non smetterò mai di ripetere una sola cosa:Studiate, studiate e STUDIATE!!!
Bibliografie di riferimento.
•San Giorgio e il Mediterraneo, in Atti del II Colloquio internazionale per il XVII Centenario (Roma, 28-30 novembre 2003), a cura di G. De' Giovanni-Centelles, Città del Vaticano, 2004.
•La Storia di Varzi, Vol. II, di Fiorenzo Debattisti, 2001.
•Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, Einaudi, Torino 1995.
•Eduardo Ciampi, Mino Freda, Paolo Palliccia, Paolo Velonà, San Giorgio e il Drago: l'indispensabile mito. Storia, Metastoria, Arte e Letteratura, Roma, Ed. Discendo Agitur, 2023.
•Medioevo in Molise, il cantiere della Chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina, Di Walter Angelelli, Manuela Gianandrea, Francesco Gandolfo, Francesca Pomarici, 2012.
•Bianca Maria Margarucci Italiani, San Giorgio Martire fra Oriente e Occidente, 1987.
•Pagani e Cristiani. Forme e attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, XI, 2012.
•San Giorgio e il drago riflessioni lungo un percorso d'arte, Di Sebastiano Giordano, 2005.
•Il Molise medievale e moderno, storia di uno spazio regionale, Giovanni Brancaccio, 2005.
•Italian Romanesque Sculpture, An Annotated Bibliography, Di Dorothy F. Glass, 1983.
•Gycklarmotiv i romansk konst och en tolkning av portalrelieferna på Härja kyrka, Di Jan Svanberg, 1970.
•Molise, appunti per una storia dell'arte, Luisa Mortari, 1984.
•Carlo Ebanista, Alessio Monciatti, Il Molise medievale, archeologia e arte, 2010.
•Federico Marazzi, Molise medievale cristiano, edilizia religiosa e territorio (secoli IV-XIII), 2018.
•L'arte georgiana dal IX al XIV secolo, A cura di Maria Stella Calo' Mariani, Volume 1, 1986.
•L'arte del duecento in puglia di maria stella calo mariani. fotografie di paolo monti u.a, Di Maria Stella Calò Mariani, 1984
#italia#medioevo#storia#archeologia#arte#cultura#storia dell'arte#San Giorgio Martire#San Giorgio#iconografia#iconografiabizantina#iconografiacristiana#Normanni#longobardi#Arte#heritage#Molise#Petrella Tifernina#Magister Alferio
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"La Papessa di Milano: Un Romanzo Storico di Livio Gambarini che Riporta alla Vita il Basso Medioevo Italiano"
Cari lettori, oggi voglio parlarvi di un romanzo che mi ha profondamente colpito per la sua accuratezza storica e la capacità di riportare alla vita un’epoca affascinante e complessa: La Papessa di Milano di Livio Gambarini. Questo libro, scritto dal docente di Rotte Narrative (una realtà di formazione per scrittori a cui ho l’onore di far parte anch’io), è un esempio eccellente di romanzo…
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Diciassette secoli di pedofilia nella Chiesa cattolica
È l’anno 305 quando il Concilio di Elvira stabilisce come punizione per gli «stupratores puerorum» il rifiuto della comunione. Poi, per un migliaio di anni poco o nulla viene tramandato. Certamente non perché miracolosamente gli abusi siano cessati. Ecco cosa annota lo storiografo Claudio Rendina nel suo libro I peccati del Vaticano (Newton Compton, 2009): «Stranamente l’alto e basso Medioevo non…
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Italia: Medieval Era (2)
(part 1)
In the Basso Medioevo though, it was the "lotta per le investiture" of the bishops-counts (fight for the investitures) taking the biggest part: they were both vassals of the Emperor to control smaller areas but they were also bishops. So, both the Emperor and the papacy wanted to be in charge of their nomination, but it was also true that there was the Privilegium Othonis (created by the Emperor Ottone I) which allowed a Pope to be elected only after the Emperor approval.
In 1075, the Emperor Enrico IV and the Pope Gregorio VII changed things. The Pope declared that it was only on him to nominate bishops therefore the Emperor declared the Pope as deposed. Gregorio excommunicated Enrico who went to Canossa where he publicy humiliated himself in order for the Pope to withdraw his excommunication. But he got excommunicated again after a few years: he then nominated an "AntiPope", Clemente III, and tried to conquer Roma but the Normanni (allies of the Pope), pushed him away. This caused lots of lootings in Italy and the Pope had to hide himself as well.
The fight between the Emperor and the Pope went on for many years: many battles started also inside the Church (the abjection and the corruption were high) which allowed many different religions to originate and take place, from the pauperism to the Cluniacs, only to mention a couple.
Many cities started to rebel against their governments (in particular the Barbarians ones), but also against the possibility to buy and sell offices given by the Church. It's exactly in these years that the Cavalieri Crociati started their battles in Terra Santa.
Around the XI century, things become more stable in Italy: the Normanni take place in Normandy and Southern Italy, and the others Barbarians stop looting our coasts and villages. The population can recover in number and also the ruralizations gets improved thanks to the use of the plow and the usage of the very well known by Italian kids in elementary school "rotazione triennale delle colture" (the 3-years crops rotation). People come back to the cities and this helps also tradings and crafts to expand: a new medium class of bankers and traders is born, and they do not really appreciate the upper class.
There's also a great cultural movement and growth: the University of Bologna is created in these years as well (it's the oldest University of the Western side of the world). Many cities of the North and Center of Italy decide to move away from the feudatary politics: this is how the "liberi Comuni" were orginated. A "podestà" that is above the parts, is put in control of them; new corporations of workers that belong to the same field are organized. [In my hometown they all had their personal area in which they could sell their products on the market road in the city center: in a small square, for example, one side was for the furrier, another for the butchers... and so on. Their corporations' sites were grouped in specific buildings near the podestà's building. In the same area, that despite being in Piedmont was buildt more like it was used in Lombardy, people could go to pay taxes].
In 1152 Federico Barbarossa becomes the Emperor of the Sacro Romano Impero: he wanted to take back the Comuni under the feudatary system and take control back over the whole Nation. This is also the time in which the Repubbliche Marinare (the most famous are Amalfi, Venezia, Pisa and Genova) and the other Stati have to deal with many battles as the one between the Ducato of Milano and the Repubbliche of Firenze and Venezia, ended by the Pace di Lodi.
The Angoioni were in control of the Southern Italy (except for Sicily) and settled in Napoli (the Regno di Napoli), from where they gave birth to a great improvement of the humanities sciences, especially thanks to Roberto D'Angiò. After a period of uncertainties and battles inside the kingdom, Ladislao I started a battle against the Stato Pontificio and some Comuni Toscani and won a few areas of the central Italy. But after his death, the situation went back as it was before. An Aragonese became king for a while but after having been disinherited for another D'Angiò, he started a battle to take back his place. With the support of the Ducato di Milano, he could take control over most part of the Southern part of Italy: he governed with the economical model used in Aragona, brought modernization and declared Neapolitan the language of the Stato.
The Regno of Sardegna was created to solve the crisis created the war for the control of Sicily. This kingdom belonged to the Church and it was given to the Aragonesi that were supposed to be the Pope's vassals and pay a tribute every year. Together with the Giudicato of Arborea, one of the Stati created in Sardegna, they took control of the other two Stati that at the time were controlled by Pisa. After a few years, the same Giudicato stopped the Spanish control over the island after buying it from them and conquering an important city.
Reminder that during the XIII century in Firenze, where the battles between Guelfi and Ghibellini were taking place, there was a guy named Dante that wrote some of the most important Italian texts as La Divina Commedia. He also gave birth to the "Dolce Stil Novo", the evolution of the old romantic love written in the chivalrous novels. Together with him, it's good to mention Francesco Petrarca as well and Giovanni Boccaccio (Decameron); for art, Giotto.
After this, a long period of peace and stability leads Italy to the Rinascimanto.
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A curiosity: in the begining of the XI century, many harbors in Campania had their own coin that was similar to the Arabic tarì: they looked at them in order to trade products with them. But it was in Venezia that the economical and trading fields could find a better and wider range of action.
A curiosity (2): after the 1648 (Pace di Vestfalia), the Sacro Romano Impero became more important through its part in the North of the Alps. It was Napoleon ending the Impero, when he declared himself the King of Italy in 1805.
(wikipedia)
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Arpie
Le Arpie sono un tipo di creature magiche sensienti che vivono nel mediterraneo, in particolare le si trova nelle coste del sud Italia e delle isole Greche occidentali. Queste creature vengono spesso descritte come un ibrido tra l’essere umano e un rapace, poiché esse hanno la parte superiore del busto, collo e testa simile a quella di una donna umana con lunghi e sinuosi capelli e grandi occhi, mentre il resto del corpo, con le sue grandi e forti ali, capaci di farli volare, nonostante le grandi dimensioni, per grandi distanze con il minimo sforzo, le sue possenti zampe con artigli affilati, capaci di sollevare prede pesanti con pochissimo sforzo e il suo piumaggio nero come la notte ottimo per mimetizzarsi, ricordano estremamente il secondo. Anticamente le Arpie attaccavano ferocemente qualunque preda incontrassero, specialmente le navi che facevano fermare evocando nubi e venti e successivamente ne agguantavano o rapivano i marinai afferrandoli in volo, da cui il loro nome che significa rapitrici e la loro abilità e forza era tale da spingere le più calme e lente Sirene Omeriche a isolarsi completamente per sopravvivere. Proprio per questa loro foga, furono vittima di lunghe campagne di caccia, che le portarono più e più volte talmente vicine all’estinzione che durante il basso medioevo, periodo nel quale erano rimasero pochissimi esemplari dovettero abbandonare totalmente le coste per nascondersi nelle foreste e sui monti, dove per sopravvivere svilupparono sia la capacità di trarre forza dal tormento e dalla discordia delle altre creature, sia un udito finissimo e anche una discreta capacità telepatica che utilizzano tutt’ora per sussurrare segreti e verità distorte che grazie al loro eccellente controllo dei venti, riescono ad arrivare a quante più persone possibili creando tensioni e scontri così da avere sempre una fonte costante di cibo senza esporsi.
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