#Stato sovrano
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giuseppecocco · 7 days ago
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Spuntini per riflettere: Risposte sibilline, cani che abbaiano e cani che mordono
Putin il sibillino – con la sua risposta sibillina dice che gli piace l’idea della tregua, ma poi chiarisce subito dopo di non essersi spostato di una virgola a proposito delle soluzioni per la fine della guerra, che sono esattamente quelle che lo hanno mosso a dichiarare guerra e le stesse che voleva tre anni fa, e ha continuato a ripetere come un mantra: dopo aver invaso uno Stato sovrano,…
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lesbian-steppenwolf · 11 months ago
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the zionist entity shall be annihilated insha'Allah
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crazy-so-na-sega · 6 months ago
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Nel modello del filosofo inglese Thomas Hobbes, che ha influenzato profondamente la nostra filosofia politica, il contratto con cui i poteri erano trasferiti al Sovrano presupponeva la paura reciproca e la guerra di tutti contro tutti: lo Stato era per l’appunto ciò che doveva mettere fine alla paura. Nello Stato di sicurezza questo modello è ribaltato: lo Stato si fonda durevolmente sulla paura e deve sostenerla ad ogni costo, perché da essa trae la sua funzione essenziale e la sua legittimazione.
-Giorgio Agamben, Dallo stato di diritto allo stato di sicurezza
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anchesetuttinoino · 9 months ago
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Ci sono voluti 20 minuti a tutti i giornalisti per capire il discorso di ieri di Mattarella sulla “democrazia della maggioranza”. Scusate se ne parliamo oggi, ma ieri non è stato possibile aggiungerlo a fine rubrica. Il Capo dello Stato ha ragione che “democrazia è anche porre limiti alle decisioni della maggioranza” e che ovviamente nessuno può “violare i diritti delle minoranze”. Ma da qui a ritenere che governi forti, dove la maggioranza è chiara e il premier eletto direttamente, si tradurrebbero automaticamente in violazioni delle libertà delle minoranza appare un tantino pretestuoso. E neppure così tanto ancorato alla realtà. In Francia l’ottimo Macron governa in virtù di un voto popolare nonostante A) non fosse maggioranza assoluta nel Paese; B) oggi si trovi tecnicamente in minoranza. Eppure nessuno, dico nessuno, può pensare che stia imponendo una dittatura solo perché mantiene i poteri esecutivi che gli spettano. Qui stiamo mescolando i piani. Il ragionamento sarebbe semplice, molto più dell’intricato e incomprensibile discorso di Re Sergio: chi vince le elezioni e governa, possibilmente per almeno 5 anni; dopo 5 anni, se ha fatto bene viene riconfermato, altrimenti si cambia. Nel mezzo, per impedire eventuali limitazioni alle libertà delle minoranze, esiste appositamente la Carta e la Corte Costituzionale. Ma se gli elettori votano un governo che intende limitare la maternità surrogata, o viceversa intendono renderla legale, non si registra alcun “attentato alle libertà” ma solo la legittima espressione della fetta maggioritaria del popolo sovrano. Gli altri si adeguano e provano a vincere le elezioni al prossimo giro
via ilgiornale.it
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schizografia · 8 months ago
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Qualche notizia sull’Ucraina
Tra le menzogne che vengono ripetute come se fossero verità ovvie, vi è quella che la Russia avrebbe invaso uno stato sovrano indipendente, senza precisare in alcun modo che quel cosiddetto stato indipendente non soltanto era tale solo dal 1990, ma era stato fin allora per secoli parte integrante prima dell’impero russo (dal 1764, ma già fra il XV e il XVI secolo era incluso del Granducato di Mosca) e poi della Russia sovietica. Ucraino era del resto forse il più grande degli scrittori in lingua russa del XIX secolo, Gogol’, che, nelle Veglie della fattoria di Dikanka, ha meravigliosamente descritto il paesaggio della regione che si chiamava allora «Piccola Russia» e i costumi della gente che vi viveva. Per la precisione occorre aggiungere che, fino alla fine della Prima guerra mondiale, una parte rilevante del territorio che ora chiamiamo Ucraina era, col nome di Galizia, la provincia più lontana dell’impero austro-ungarico (in una città ucraina, Brody, nacque Joseph Roth, uno dei maggiori scrittori in lingua tedesca del novecento).
È importante non dimenticare che i confini di quella che chiamiamo dal 1990 Repubblica Ucraina coincidono esattamente con quelli della Repubblica socialista sovietica Ucraina e non hanno alcun possibile fondamento anteriore nelle continue vicende di spartizioni fra polacchi, russi, austriaci e ottomani che hanno avuto luogo nella regione. Per quanto possa apparire paradossale, un’identità dello stato ucraino esiste dunque soltanto grazie alla Repubblica socialista sovietica di cui ha preso il posto. Quanto alla popolazione che viveva in quel territorio, essa era un insieme variegato costituito, oltre che dai discendenti dei cosacchi, che vi erano migrati in massa nel XV secolo, da polacchi, russi, ebrei (in alcune città, fino allo sterminio, più di metà della popolazione), zingari, rumeni, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata).
È perfettamente legittimo immaginare che, agli occhi di un russo, la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina non risulti pertanto troppo diversa dall’eventuale dichiarazione di indipendenza della Sicilia per un italiano (non si tratta di un’ipotesi peregrina, dal momento che non si dovrebbe dimenticare che nel 1945 il Movimento per l’indipendenza della Sicilia, capeggiato da Finocchiaro Aprile, difese l’indipendenza dell’isola ingaggiando scontri con i carabinieri che fecero decine di morti). Per non pensare a quello che accadrebbe se uno stato americano si dichiarasse indipendente dagli Stati Uniti (ai quali appartiene da molto meno tempo di quanto l’Ucraina fosse parte della Russia) e stringesse alleanza con la Russia.
Quanto alla legittimità democratica dell’attuale repubblica Ucraina, è a tutti noto che i trent’anni della sua storia sono stati segnati da elezioni invalidate per brogli, guerre civili e colpi di stato più o meno nascosti, al punto che, nel marzo del 2016, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ebbe a dichiarare che ci sarebbero voluti almeno 25 anni perché l’Ucraina potesse soddisfare i requisiti di legittimità che avrebbero permesso il suo ingresso nell’Unione.
Giorgio Agamben, 2 agosto 2024
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scogito · 1 year ago
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Il noto simbolo dell'Infinito ∞ se lo guardi bene è in realtà un circuito chiuso.
A livello concettuale è stato introdotto dal matematico Wallis che lo definì come una "linea senza fine"... ovvero una retta.
Tuttavia venne disegnato con questa contorsione.
Nel moderno misticismo tale simbolo ∞ viene identificato come una variante dell'Uruboro: il noto serpente che si morde la coda. Un altro circuito chiuso.
Si aggiunge che lo stesso simbolo viene definito come un "8 rovesciato"... e qui si mostra il collegamento numerologico.
L'8 non è un numero che parla di infinito, parla di potere.
L'8 è infatti collegato all'Archetipo del Sovrano.
Per finire, se si accosta tutto agli Arcani: la lama della Forza quando è correttamente numerata e disegnata, si trova in ottava posizione e ha per cappello la forma simile all'infinito.
La Forza di base indica chi controlla il potere.
Chi gestisce la materia, non l'energia...
che non può avere numero, perché è infinita.
Viviamo dentro una simbologia distorta, che mostra in realtà un circuito autobloccante in un Sistema chiuso e fermo al chakra del potere.
Ogni associazione rivolta a una simbologia distorta genera convinzioni distorte nate da proiezioni inconscie distorte.
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gregor-samsung · 5 months ago
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“ La vita è talmente complicata... E talmente incongrua... Solo qualche mese fa l'Occidente non si peritava di stendermi tappeti rossi sotto i piedi, di accogliermi con tutti gli onori, di ricamare allori sulle mie spalline di colonnello. Mi hanno permesso di piantare la mia tenda in un prato al centro di Parigi, perdonando la mia rozzezza e chiudendo gli occhi sulle mie «mostruosità». E oggi mi braccano in casa mia come un volgare pendaglio da forca evaso dal penitenziario. Strani i voltafaccia del tempo: un giorno sei idolatrato, l'altro aborrito; un giorno sei il predatore, l'altro la preda. Ti fidi della Voce che ti fa sentire un dio, e l'indomani ti ritrovi nascosto in un angolo, nudo e indifeso, senza l'ombra di un amico. Nell'immensa solitudine del mio regno, laddove non si avventura nessun altro che me, non escludevo l'eventualità di venire ucciso o rovesciato. È il tributo che si paga alla sovranità assoluta, soprattutto quella usurpata nel sangue. Fra l'angoscia del peccato e la paura del tradimento c'è un interstizio di neanche un millimetro.
Vivi con un campanello d'allarme impiantato nel cervello. Nel sonno come nella veglia, in raccoglimento come in escandescenze, stai sul chi vive. Un attimo di distrazione, e tutto ciò che è stato non è più. Non esiste stress peggiore di quello che patisce un sovrano - uno stress esacerbato, ossessivo, permanente, molto simile a quello di certi animali assetati che davanti a una distesa d'acqua non possono fare a meno di guardarsi intorno dieci volte, con l'orecchio teso, annusando l'aria alla ricerca di un eventuale gas mortale. Ma neanche per un istante ho immaginato una disgrazia così squallida: finire in una scuola abbandonata, circondato da legioni di ingrati, in una città che non somiglia a niente! Come potevo concepire di cadere tanto in basso, io che avevo una luna piena a cui andava stretto persino l'infinito? Nemmeno se uccidessi con le mie mani migliaia di insorti troverei conforto al dispiacere che in questo momento mi rode il cuore come un cancro. Mi sento gabbato, tradito... Finanche la Voce che cantava dentro di me si è zittita di colpo. Il silenzio che mi pervade è spaventoso come uno spettro nella notte. “
Yasmina Khadra, L' ultima notte del Rais, traduzione di Marina Di Leo, Sellerio Editore (collana Il contesto n° 62), 2015¹, pp. 120-121.
[1ª Edizione originale: La Dernière Nuit du Raïs, Éditions Julliard, 2015]
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yaellaharpe-blog · 6 months ago
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The chariot of Thutmose IV
El carro de Tutmosis IV
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(English / Español / Italiano)
Deep in the Valley of the Kings, archaeologist Howard Carter discovered something extraordinary in 1903: the almost 3,400-year-old body of Thutmose IV in his tomb, KV 43. This chariot is one of the few Egyptian examples to have survived to the present day. It was part of the king's funerary objects, intended to serve him in the afterlife, and offers a rare glimpse into the past.
The chariot, made of light wood, was designed to be fast and manoeuvrable, essential for both battle and ceremonial purposes. Not only was it practical, but it was also beautifully decorated, probably with gold leaf, leather and intricate designs. These details emphasised the king's power and status, appropriate for a ruler who was both a warrior and a divine figure.
The discovery of the chariot of Thutmose IV provides valuable insight into the engineering and art of the 18th Dynasty. Despite being buried for millennia, its preservation helps us to understand the importance of chariots in ancient Egypt and shows the skill of its craftsmen.
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En las profundidades del Valle de los Reyes, el arqueólogo Howard Carter descubrió algo extraordinario en 1903: el cuerpo de Tutmosis IV, de casi 3.400 años de antigüedad, que se encuentra en su tumba, KV 43. Este carro es uno de los pocos ejemplos egipcios que han sobrevivido hasta nuestros días. Formaba parte de los objetos funerarios del rey, destinados a servirle en el más allá, y ofrece una visión poco común del pasado.
El carro, hecho de madera ligera, fue diseñado para ser rápido y maniobrable, algo esencial tanto para la batalla como para las ceremonias. No solo era práctico, sino que también estaba bellamente decorado, probablemente con pan de oro, cuero y diseños intrincados. Estos detalles resaltaban el poder y el estatus del rey, algo apropiado para un gobernante que era a la vez un guerrero y una figura divina.
El descubrimiento del carro de Tutmosis IV nos brinda una valiosa perspectiva de la ingeniería y el arte de la XVIII Dinastía. A pesar de estar enterrado durante milenios, su conservación nos ayuda a comprender la importancia de los carros en el antiguo Egipto y muestra la habilidad de sus artesanos.
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Nel profondo della Valle dei Re, nel 1903 l'archeologo Howard Carter scoprì qualcosa di straordinario: il corpo di Thutmose IV, risalente a quasi 3.400 anni fa, nella sua tomba KV 43. Questo carro è uno dei pochi esemplari egizi sopravvissuti fino ai giorni nostri. Faceva parte del corredo funerario del re, destinato a servirlo nell'aldilà, e offre un raro sguardo sul passato.
Il carro, realizzato in legno leggero, era progettato per essere veloce e maneggevole, essenziale sia per la battaglia che per le cerimonie. Non solo era pratico, ma era anche splendidamente decorato, probabilmente con foglie d'oro, pelle e disegni intricati. Questi dettagli sottolineavano il potere e lo status del re, appropriati per un sovrano che era sia un guerriero che una figura divina.
La scoperta del carro di Thutmose IV offre una preziosa visione dell'ingegneria e dell'arte della XVIII dinastia. Nonostante sia stato sepolto per millenni, la sua conservazione ci aiuta a capire l'importanza dei carri nell'antico Egitto e mostra l'abilità dei suoi artigiani.
Source: Diario de Historia
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rideretremando · 23 days ago
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Giorgio Mascitelli: "In un'intervista sul Corriere il politico statunitense Walzer, uno dei teorici delle guerre umanitarie, sostiene la tesi che la fine della guerra in Ucraina equivale a una nuova Jalta in cui si dà mano libera ai russi nell'est europeo. Ora tralasciamo il fatto che ovviamente gli accordi assegneranno l'Ucraina dell'est, a maggioranza popolata da russi, alla Russia e probabilmente imporranno all'Ucraina di non aderire alla NATO, e null'altro, quindi non sono minimamente paragonabili a Jalta, e tralasciamo pure che se Trump estorcerà agli ucraini le terre rare, in qualche modo dovrà controllare i suoi investimenti, magari chiedendo a truppe NATO di presidiare il paese in cambio di qualche sconto sui dazi. Immagino che Walzer non parli dell'immediato, ma abbia in mente il fatto che per la prima volta negli ultimi 30 anni gli USA debbano trattare alla pari con un'altra potenza. Infatti dalla globalizzazione in poi si è costruito un'architettura del diritto internazionale di tipo hobbesiano in cui c'è un sovrano, gli USA, che fa la legge ed è al di sopra di essa, si tratta di un diritto di tipo imperiale in cui la legalità coincide con gli ordini del sovrano. Sia a sinistra sia a destra si è diffusa l'idea che questo modello garantisse la pace (è un'idea imperiale), ma naturalmente non è vero: gli imperi sono in guerra perenne, solo che di solito la guerra riguarda gente minore, disprezzabile, lontana e quindi i civilizzati abitanti del centro considerano questa la pace. Nella storia invece le uniche forme di pace, discontinua e instabile, sono quelle basate sul principio di equilibrio e sul mutuo riconoscimento tra le potenze. Non è un ordine giusto, ma tenendo conto dei rapporti di forza, che cambiano, è meno instabile di un ordine imperiale, soprattutto quando l'impero cessa di essere il più potente in assoluto. Per venire alla situazione concreta i russi hanno tentato di conquistare l'Ucraina e questa ha spaventato gli europei, ma la NATO ha accerchiato di basi militari la Russia e questo ha spaventato i russi, tra l'altro i polacchi hanno parlato apertamente durante questa guerra di smembramento della Russia, dopo che sarebbe crollata. Quindi è possibile uscire da questa situazione con le idee di Walzer, che in concreto sono cioé una legalità rappresentata dal sovrano e chi vi disubbidisce è una canaglia nemica dell'umanità? No, è evidente che con questa mentalità la guerra può proseguire all'infinito. L'unica strada è quella della dottrina cinese della sicurezza regionale e non del singolo stato, il che implica un reciproco riconoscimento di un diritto alla sicurezza e su questo la creazione di meccanismi e regole condivisi."
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marcoleopa · 4 months ago
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La differenza tra scendiletto e incarico istituzionale
La dichiarazione villana, arrogante, irrispettosa, dell'uomo più ricco del mondo, nei confronti dei magistrati di uno stato sovrano e del loro operato, oltreché il silenzio della presidente del Consiglio dei Ministri, che, con e per il villano nutre forte empatia e armonia di intenti, rispetto alla voce del deserto del Capo dello Stato (sovrano), sta tutta nel rispetto del proprio ruolo istituzionale e nel rispetto della divisione dei poteri, che, già in altre occasioni il garante della Costituzione, ha ritenuto necessario dover ricordare.
Il silenzio della presidente del Consiglio dei Ministri, non è solo complicità, ma, va ben oltre. L'uscita villana, non è solo consonanza di intenti. Dietro vi è un disegno preciso. Lo smantellamento della divisione dei poteri, in vista della riforma costituzionale sul premierato, che necessita di menti raffinatissime e di propaganda al massimo livello.
Il social dell'uomo più ricco del mondo, ne sarà il megafono.
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arcobalengo · 1 month ago
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DARWIN AWARDS
Uno sguardo cursorio sulla condizione attuale della politica europea lascia storditi. Se vivessimo su Marte ci sarebbero gli estremi per una spassosa commedia dell’assurdo, ma vivendo in Europa quella commedia è piuttosto una tragedia di cui siamo vittime.
Dopo la telefonata tra Trump e Putin ad alcuni leader europei è iniziato a balenare il sospetto che dopo il barile di pece stiano per arrivare le piume.
Hanno iniziato a strabuzzare gli occhi, agitarsi, e a produrre proclami scomposti.
La ministra degli Esteri UE Kaja Kallas si è messa a concionare pateticamente che “in ogni negoziato, l'Europa deve avere un ruolo centrale” e che “qualsiasi accordo concluso alle nostre spalle non funzionerà”. (Va dato atto alla Kallas di possedere doti attoriali fuori dal comune: è in grado di dire le più sconcertanti corbellerie sempre con aria sorridente e sicura).
Di fronte agli annunciati dazi di Trump sulle esportazioni europee la tedesca Von der Leyen si dice “profondamente dispiaciuta” e promette risposte e “contromisure ferme e proporzionate”, aggiungendo con grande senso del comico: “proteggeremo i nostri lavoratori, le nostre aziende e i nostri consumatori".
Il vicepresidente americano Vance in tour europeo snobba il primo ministro tedesco Scholz dicendo che “non c’è bisogno di incontrarlo, tanto sarà cancelliere ancora per poco” – per gli sputi in faccia non era a distanza.
Limitiamoci a questa campionatura del bestiario europeo.
Ecco, quando inizieranno il volo di rientro verso la realtà i responsabili europei potrebbero cominciare a notare alcune cose. Ad esempio.
1) Hanno messo in posizioni diplomatiche chiave personaggi come la Kallas agli esteri (o il lituano Kubilius alla Difesa), rappresentanti di minoranza in paesi con la popolazione dell’Abruzzo, un PIL che è una frazione della Lombardia, ma con l’unica meritoria qualifica di essere affetti da psicosi russofobica. Oggi, mentre Putin e Trump parlano sopra le teste europee, la Kallas abbaia ferocissima al piano di sotto, minaccia, garantisce che l’Europa è fondamentale, inaggirabile, e appare pronta a lanciare un battaglione di prodi cavalieri estoni all’attacco del Cremlino. Personaggi come la Kallas sono l’equivalente diplomatico del bombardamento del North Stream sul piano energetico: servono a tagliare i ponti nel lungo periodo verso ogni riavvicinamento alla Russia.
2) La von der Leyen, neanche a farlo apposta, è tedesca della CDU, cioè rappresenta il cuore pulsante del progetto mercantilista di cui l’UE è stata esempio mondiale. Questo modello, è bene ricordarlo, ha sostenuto per decenni l’idea che la carta vincente europea era un’aggressiva politica di esportazioni, con bilancia commerciale perennemente in attivo, politica perseguita al costo di una costante compressione delle condizioni lavorative e dei salari europei. Gli “esperti”, i “tecnici”, ci hanno spiegato che i sacrifici dei lavoratori europei sarebbero stati più che compensati dall’afflusso di capitali esteri (capitali che, secondo la trickle-down theory, sarebbero percolati naturalmente dai grandi gruppi finanziari alla società tutta). A questo punto la successione nel processo di autoevirazione presenta tratti geniali.
Dapprima l’Europa ha scommesso tutto sullo “schiacciare l’avversario a colpi di esportazioni” e così facendo ha distrutto il mercato interno.
Poi ha rotto i ponti con la Russia, e ha spezzato le iniziative cinesi della nuova via della seta, riducendo i propri margini di esportazione a oriente (naturalmente nel nome della libertà contro le autocrazie).
Poi, dando udienza a qualche lobby, ha avviato obiettivi ridicolmente irrealistici sotto forma di Green Economy, creandosi ostacoli artificiali a produzione e consumo (ma, ça va sans dire, per dare il buon esempio al mondo).
Infine, ha scoperto che uno stato sovrano che abbia il physique du role, come gli USA, può cancellare con un tratto di penna tutto il tuo vantaggio competitivo.
Risultato finale: ogni privilegio sul mercato esterno è andato perduto mentre il mercato interno lo hai ucciso.
Roba da Darwin Awards.
3) Scholz cuor di leone è quello che alla vigilia dell’Operazione Speciale russa ha chiuso il North Stream 2 (NB: PRIMA dell’invasione dell’Ucraina), ed è quello che poi quando l’oleodotto è stato fatto saltare in aria (come dice autorevolmente Seymour Hersh, dagli americani con l’ausilio dei norvegesi) ha prontamente accusato i russi di autosabotaggio. Dopo aver così spettacolarmente pulito le scarpe degli americani - che hanno ottenuto su un piatto d’argento la chiusura degli approvvigionamenti energetici europei a basso costo – ora Scholz può essere scaricato come un vecchio clown, che non fa più ridere nessuno.
Il tragico quadro della peggiore classe dirigente europea di tutti i tempi potrebbe continuare. Ma purtroppo non possiamo continuare a goderci il divertimento di fronte a tale dabbenaggine, perché ne siamo e saremo le prime vittime.
L’Europa esce da questa vicenda letteralmente annientata.
L’Europa ha infatti perso l’unica vera leva di potere contrattuale che le era rimasta in mano, cioè l’eccellenza sul piano della trasformazione industriale. Oggi l’Europa, tra riduzione degli sbocchi di mercato (interni ed esterni) ed esplosione dei costi energetici, è in piena deindustrializzazione.
Quanto al resto, l’Europa è da tempo un’area del mondo anziana, demograficamente al collasso, in cui le famiglie e tutte le relazioni durevoli sono sistematicamente sotto attacco, sia per le celebri esigenze della flessibilità di mercato sia per la diffusione di ideologismi astratti (woke, etc.).
Militarmente l’Europa non ha mai rimesso in discussione gli esiti della seconda guerra mondiale – salvo per un periodo la Francia – ed è rimasta terra di occupazione.
Culturalmente l’Europa ha abbracciato il modello americano senza remore, smantellando le sue eccellenze nelle scienze e nelle arti, ed abbracciando qualunque schifezza provenisse da oltre Atlantico.
Da ultimo, ed è la cosa più amara e preoccupante, l’Europa che si pretendeva terra dei diritti, della libertà di parola e pensiero, è oggi un luogo dove regna un’atmosfera mefitica di censura, di asservimento mediatico, di ricatto intellettuale. Mentre gli USA, nelle mani del pessimo, “dittatoriale” Trump riapre le maglie della libertà di parola, l’Europa è quel luogo particolare dove si chiudono conti correnti a testate politicamente sgradite, dove si mettono all’indice ragionamenti di schietto buonsenso (per piacere non dimentichiamo tutte le tirate ad alzo zero sui “putiniani” e “pacifinti”, seguendo i cui consigli oggi staremmo tanto meglio); è quel luogo dove si sospendono serenamente i risultati di elezioni sgradite; è quel luogo dove si implementa quel regno dell'arbitrio che è il Digital Services Act; è quel luogo dove giornali e testate di prestigio da tempo non stanno più sul mercato, ma vivono di elargizioni opache e pubblicità privata (tutte risorse condizionate e condizionanti).
L’Europa è alla canna del gas, e con quel che costa, sarà una morte lenta e dispendiosa.
Andrea Zhok
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crazy-so-na-sega · 4 months ago
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Si indignano per le parole di Musk, al grido di “chi crede di essere per intromettersi negli affari di uno stato sovrano?”, dimenticando che, quando si parlava di cessioni di sovranità all’Unione Europea, gridavano al complotto fascio-nazionalista. Liberali: la solita manica di babbei manipolabili.
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e aggiungo: comunisti!
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anchesetuttinoino · 11 days ago
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RIZZO A VANNACCI, 'TI ASPETTIAMO IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA DELLA UE' =
Roma, (Adnkronos) - "Sabato prossimo, 15 marzo, a Roma ci saranno due manifestazioni, una quella arcinota di Serra e di Repubblica, propagandata dal mainstream a favore della guerra e del piano di riarmo dell'Unione Europea ed un'altra, alle ore 15:30 presso la Bocca della Verità, dove migliaia di cittadini, senza alcuna sigla partitica e con la sola bandiera del tricolore italiano chiederanno a larga voce pace e sovranità. Comprendo l'interesse della novità del nostro dialogo, ma mi pare affrettata la definizione di un nuovo partito". Il leader di Democrazia Sovrana Popolare Marco Rizzo, intervistato da Affaritaliani invita sabato 15 marzo Roberto Vannacci in piazza per Pace e sovranità.
“La mia modesta idea -prosegue Rizzo- è che debbano esserci prima le idee e che le convergenze si facciano su queste. Oggi, di fronte al rischio della guerra termonucleare e alle proposte di pace di Usa e Russia, serve affermare che il nostro Paese deve restare sovrano e non vuole partecipare ad alcun anacronistico piano di riarmo europeo, come peraltro detto significativamente dalla Chiesa cattolica, anche perché non esiste nessun nemico che vuole attaccare l'Italia. Le spese vanno indirizzate allo sviluppo, alla sanità, alle pensioni, alla ricerca e allo stato sociale, non ai fabbricanti di armi". "Caro Roberto, ti aspettiamo in piazza sabato contro la guerra dell'Unione europea, per la Pace e la Sovranità'', conclude il leader di Democrazia Sovrana Popolare.
(Sai/Adnkronos)
ISSN 2465 - 1222
09-MAR-25 11:03
NNN
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schizografia · 4 months ago
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L’esule e il cittadino
È bene riflettere su un fenomeno che ci è insieme familiare ed estraneo, ma che, come spesso avviene in questi casi, può fornirci delle utili indicazioni per la nostra vita fra gli altri uomini: l’esilio. Gli storici del diritto discutono tuttora se l'esilio – nella sua figura originaria, in Grecia e a Roma – debba essere considerato come l'esercizio di un diritto o come una situazione penale. In quanto si presenta, nel mondo classico, come la facoltà accordata a un cittadino di sottrarsi con la fuga a una pena (in genere alla pena capitale), l'esilio sembra in realtà irriducibile alle due grandi categorie in cui si può dividere la sfera del diritto dal punto di vista delle situazioni soggettive: i diritti e le pene. Così Cicerone, che aveva conosciuto l’esilio, può scrivere: «Exilium non supplicium est, sed perfugium portumque supplicii», «L'esilio non è una pena, ma un rifugio e una via di scampo rispetto alle pene». Anche quando col tempo lo stato se ne appropria e lo configura come una pena (a Roma questo avviene con la lex Tullia del 63 a.C.), l’esilio continua a essere di fatto per il cittadino una via di fuga. Così Dante, quando i fiorentini imbastiscono contro di lui un processo di bando, non si presenta in aula e, prevenendo i giudici, comincia la sua lunga vita di esule, rifiutandosi di far ritorno alla sua città anche quando gliene viene offerta la possibilità. Significativo è, in questa prospettiva, che l’esilio non implichi la perdita della cittadinanza: l’esule si esclude di fatto dalla comunità a cui continua tuttavia formalmente ad appartenere. L'esilio non è diritto, né pena, ma scampo e rifugio. Se lo si volesse configurare come un diritto, cosa che in realtà non è, l’esilio verrebbe a definirsi come un paradossale diritto di porsi fuori dal diritto. In questa prospettiva, l’esule entra in una zona di indistinzione rispetto al sovrano, che, decidendo dello stato di eccezione, può sospendere la legge, è, come l’esule, insieme dentro e fuori l’ordinamento.
Proprio in quanto si presenta come la facoltà di un cittadino di porsi fuori dalla comunità dei cittadini e si situa pertanto rispetto all’ordinamento giuridico in una sorta di soglia, l’esilio non può non interessarci oggi in modo particolare. Per chiunque abbia occhi per vedere, è infatti evidente che gli stati in cui viviamo sono entrati in una situazione di crisi e di progressivo, inarrestabile disfacimento di tutte le istituzioni. In un simile condizione, in cui la politica scompare e cede il posto all’economia e alla tecnologia, è fatale che i cittadini divengano di fatto esuli nel loro stesso paese. È questo esilio interno che occorre oggi rivendicare, trasformandolo da una condizione passivamente subita in una forma di vita scelta e attivamente perseguita. Dove i cittadini hanno perduto persino la memoria della politica, a fare politica sarà solo chi nella sua città è in esilio. Ed è solo in questa comunità degli esuli, sparsa nella massa informe dei cittadini, che qualcosa come una nuova esperienza politica può qui e ora diventare possibile.
Giorgio Agamben, 7 novembre 2024
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cutulisci · 1 year ago
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Il presidente del Brasile, Lula Da Silva:
"Ciò che sta facendo il governo israeliano non è una guerra, è un GENOCIDIO. Stanno uccidendo bambini e donne. Allo stesso modo in cui quando ero in prigione ho detto che non avrei accettato nessun accordo per uscire di prigione e che non avrei scambiato la mia libertà con la mia dignità, dico: non scambierò la mia dignità con la menzogna. Sono favorevole alla creazione di uno Stato palestinese libero e sovrano. Possa questo Stato palestinese vivere in armonia con lo Stato di Israele. Ciò che sta facendo il governo israeliano non è una guerra, è un genocidio. Stanno uccidendo bambini e donne. Non cercate di interpretare l'intervista che ho rilasciato. Leggete l'intervista e smettetela di giudicarmi in base a ciò che ha detto il Primo Ministro israeliano."
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gregor-samsung · 23 days ago
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“ Può uno Stato russo sopravvivere senza un credo, una fede, un’identità superiore a quella delle sue numerose componenti etniche e religiose? La Russia si è sempre identificata con un’ideologia. È stata «santa», erede di Bisanzio, «terza Roma», apostolo del Cristianesimo sino al cuore dell'Asia, protettrice dei cristiani di Oriente, unificatrice delle popolazioni slave. E quando la rivoluzione bolscevica ha cercato di eliminare il Cristianesimo dai suoi geni, la Russia è diventata l’apostolo di un altro culto messianico: l’avvento del comunismo nel mondo. Uno dei suoi intellettuali più geniali, Pëtr Jakovlevič Čaadaev, cercò di smentire la prima di queste due autorappresentazioni e sostenne che la Russia, a differenza degli altri Paesi europei, non aveva una storia. Aveva lottato, conquistato nuove terre, vinto e perduto numerose battaglie; ma senza avere coscienza di sé, delle proprie origini e del proprio futuro. Mentre l’Europa occidentale agiva sotto l’influenza di alcuni grandi princìpi e traeva dagli eventi conclusioni morali e intellettuali che avrebbero guidato le fasi successive della sua storia, la Russia si era comportata come una rozza, inconsapevole forza elementare. Il grande mito politico-religioso che gli slavofili attribuivano al popolo russo era soltanto un artificio, una manipolazione retorica, una bugia. La storia della Russia, secondo Čaadaev, era iniziata soltanto nel momento in cui Pietro il Grande le aveva imposto di essere europea. Di studiare e apprendere l’Europa come un bambino sui banchi della scuola, di indossare i suoi abiti, parlare delle sue idee, abbracciare le sue tradizioni e il suo passato. Pietro «ci liberò (…) di tutti quegli antecedenti che ingombrano le società storiche e ostacolano il loro cammino; aprì la nostra intelligenza a tutto ciò che esiste, fra gli uomini, di idee grandi e belle; ci consegnò all'Occidente intero, quale i secoli lo avevano fatto, e ci diede come storia tutta la sua storia, come avvenire tutto il suo avvenire».
Scritta in una rivista di Mosca il 1º dicembre 1829, la prima (e unica) lettera filosofica fece di Čaadaev il bersaglio preferito degli slavofili. Fu criticato, attaccato, insultato e, alla fine, con una punizione che anticipa lo stile del regime comunista contro i suoi nemici, venne considerato ufficialmente pazzo. Rispose alla fine della sua vita con una difesa intitolata per l’appunto, ironicamente, Apologia di un pazzo, da cui è tratto il passaggio che ho citato, ma non poté completarla. All'inizio di un secondo capitolo, cominciato poco prima della morte nell'aprile del 1856 e conservato da un amico, scrisse tuttavia: «C’è un fattore che domina in modo sovrano la nostra marcia attraverso i secoli, percorre la nostra storia intera, ne comprende in qualche modo tutta la sua filosofia, si produce in tutte le epoche della nostra vita sociale e determina il loro carattere; esso è, a volta a volta, l’elemento essenziale della nostra grandezza politica e la vera causa della nostra impotenza intellettuale: il fattore geografico». Quando Čaadaev scrisse queste parole, la Russia dominava l’Ucraina, una parte della Polonia, il Baltico, il mar Nero, il Caucaso, il Caspio, la Steppa kirghisa, il Turkestan. Si era battuta contro la Svezia, la Polonia, l’Impero Ottomano, la Persia, la Cina, la Francia. Era stata appena sconfitta in Crimea dalla Turchia e dai suoi alleati europei, ma negli anni seguenti avrebbe ripreso la sua inarrestabile marcia verso sud e verso est. In un libro intitolato Il Grande Gioco, Peter Hopkirk ha calcolato che l’Impero Russo, nel corso di quattro secoli, si è ampliato «al ritmo di circa 150 chilometri quadrati al giorno, più di 50.000 all'anno». Dall'enormità del suo spazio, quindi, occorre muovere per cercare di comprendere la natura della Russia. “
Sergio Romano, Putin e la ricostruzione della grande Russia, Longanesi, 2016¹. [Libro elettronico]
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