#Cultura e identità
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La ragazza del Mar Nero di Maria Tatsos: Un racconto di memoria e tragedia. Recensione di Alessandria today
Maria Tatsos ci offre un'opera toccante e intensa con "La ragazza del Mar Nero", un romanzo storico pubblicato da Paoline Edizioni che getta luce sulla tragica vicenda dei greci del Ponto, un popolo costretto ad affrontare persecuzioni e sofferenze durant
Un omaggio alla storia dimenticata dei greci del Ponto. Maria Tatsos ci offre un’opera toccante e intensa con “La ragazza del Mar Nero”, un romanzo storico pubblicato da Paoline Edizioni che getta luce sulla tragica vicenda dei greci del Ponto, un popolo costretto ad affrontare persecuzioni e sofferenze durante uno dei capitoli più bui della storia. Trama. Il romanzo narra la storia di una…
#Alessandria today#Cultura e identità#diaspora greca#diaspora pontica#genocidi dimenticati#Google News#greci del Ponto#italianewsmedia.com#La ragazza del Mar Nero#letture culturali#letture emozionanti#Mar Nero#Maria Tatsos#Maria Tatsos romanzi#narrativa e storia#narrativa educativa#Narrativa storica#Paoline Edizioni#Paoline libri#persecuzioni etniche#Pier Carlo Lava#riflessioni storiche.#romanzi consigliati#romanzi di memoria#Romanzo storico#romanzo sulla resilienza#storia dei greci#Storia e narrativa#tragedia storica#Tragedie dimenticate
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From Authenticity to Profilicity: The Transformation of Self in the Digital Age
Abstract This article explores the evolving paradigms of identity in contemporary society, examining the transition from sincerity and authenticity to profilicity. Drawing on the theoretical frameworks of Niklas Luhmann, Hans-Georg Moeller, and contemporary social theorists, we analyze how digital technologies and second-order observation have fundamentally reshaped individual and collective…
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Sono nato bianco il che fa di me un razzista.
Non voto a sinistra il che fa di me un fascista.
Sono eterosessuale il che fa di me un omofobo.
Sono cristiano il che fa di me un cane infedele.
Tengo alla mia identità e cultura il che fa di me uno xenofobo.
Di tutto questo ne sono fiero.
@ambarqbaciccicico
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Un professore di Lettere e Filosofia del liceo Tasso, Giancarlo Burghi, ha scritto una lettera aperta al ministro dell’Istruzione Valditara che è un autentico manifesto PARTIGIANO di difesa altissima della cultura e della Costituzione.
È lunga, ma merita davvero di essere letta tutta, condivisa, applicata. Fino in fondo.
“Egregio ministro,
Le scrivo di nuovo dalla desolazione della “trincea”: quella in cui ogni giorno, con le studentesse e gli studenti, combattiamo l’eterna guerra contro la semplificazione e la superficialità. Oggi, però, le scrivo per ringraziarla delle Linee guida sull’insegnamento dell’educazione civica che ci ha inviato all’inizio dell’anno scolastico. Da oggi abbiamo un punto fermo nel nostro lavoro di docenti ed educatori: ci dirigeremo nella direzione esattamente opposta a quanto ci indica. L’educazione civica, secondo lei deve «incoraggiare lo spirito di imprenditorialità, nella consapevolezza dell’importanza della proprietà privata». In modo quasi ossessivo nel documento traccia l’idea di una sorta di “educazione alla proprietà ”.
Ma cosa dovremmo farci di questo slogan vuoto? Stiamo oltrepassando finanche il senso del ridicolo, andando oltre la teoria delle tre “i” di berlusconiana memoria (inglese, impresa, internet). Ai nostri studenti, signor Ministro, l’articolo 42 della Costituzione lo leggiamo e lo spieghiamo: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge […] allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere [..] espropriata per motivi di interesse generale". Dice proprio questo la Costituzione! Però non si ispira a Pol Pot ma alla dottrina sociale della Chiesa, al cristianesimo sociale di Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti. Nelle Linee guida Lei continua, poi, con l’affermazione di sapore thatcheriano, ma in realtà generica e vuota quanto la prima, per cui dovremmo insegnare che «la società è in funzione dell’individuo (e non viceversa)».
Vede Ministro, se le dovesse capitare di sfogliare la Costituzione italiana scoprirebbe che il termine “individuo” semplicemente non compare. (…) Mi consenta di farle notare che, se sfogliasse la Costituzione, scoprirebbe che il termine “patria” compare solo una volta (perché Mussolini lo aveva profanato e disonorato) e per di più non ha niente a che fare con “i sacri confini nazionali” da difendere o l’italianità quale identità da salvaguardare contro la minaccia della sostituzione etnica.
La patria è il patrimonio dei padri e delle madri costituenti, vale a dire le istituzioni democratiche non separabili dai valori costituzionali: l’eguaglianza, la libertà, la pace, la giustizia, il diritto di asilo per lo straniero «che non ha garantite le libertà democratiche».
I patrioti non sono quelli che impediscono lo sbarco dei migranti, ma coloro che ogni giorno testimoniano il rifiuto della discriminazione. Cosi come patrioti non erano i fascisti che hanno svenduto la patria a Hitler e l’hanno profanata costringendo milioni di italiani ad offendere altre patrie, ma i membri dei GAP (che non erano i “gruppi di azione proletaria” come ebbe a dire, per dileggio, Berlusconi), ma i “gruppi di azione patriottica (appunto), che operavano nella Brigate Garibaldi dei patrioti comunisti italiani, protagonisti della Resistenza quale secondo Risorgimento.
Ci consenta di formare i nostri studenti ispirandoci a chi di patria si intendeva: non a Julius Evola o Giorgio Almirante, ma a Giuseppe Mazzini che ha ripetuto per tutta la vita che la patria non è un suolo da difendere avidamente ma una «dimora di libertà e uguaglianza» aperta a tutti: «Non vi è patria dove l’eguaglianza dei diritti è violata dall’esistenza di caste, privilegi, ineguaglianze. In nome del vostro amore di patria, combattete senza tregua l’esistenza di ogni privilegio, di ogni diseguaglianza sul suolo che vi ha dato vita. (Dei doveri dell’uomo). Mazzini non contrapponeva la patria all’umanità, ma la considerava il mezzo più efficace per tutelare la dignità di ogni essere umano: «I primi vostri doveri, primi almeno per importanza, sono verso l’ Umanità. Siete uomini prima di essere cittadini o padri. […] In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo combatte per il diritto, per il giusto, per il vero, ivi è un vostro fratello: dovunque un uomo soffre, tormentato dall’errore, dall’ingiustizia, dalla tirannide, ivi è un vostro fratello. Liberi e schiavi, siete tutti fratelli. (Dei doveri dell’uomo)
E ci consenta, da educatori democratici, di trascurare le sue Linee guida, per illuminare le coscienze dei giovani con le parole di don Milani: «Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri». Egregio Ministro, dal momento che la costruzione di una cittadinanza consapevole avviene anche attraverso l’esercizio della memoria storica e civile, Lei ci ha inviato a una circolare con cui ha bandito un concorso per le scuole con lo scopo di celebrare la «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo». Il titolo del concorso: «1945: la guerra è finita!» Incredibile! Il 25 aprile 1945 che, prima dell’era Valditara, era semplicemente e banalmente la «liberazione dal nazifascismo» ora diventa un momento della «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo».
Cosa dovrebbero ricordare le giovani generazioni nella sua bizzarra idea di memoria civile? Ecco il suo testo: «Il popolo che ha subito sulla propria pelle gli orrori di quel tremendo conflitto, dai bombardamenti degli alleati alle rappresaglie nazifasciste [equiparati !] fino agli ordigni bellici inesplosi che, nei decenni a venire, hanno continuato a produrre invalidità e mutilazioni». E tutto per andare «al di là della tradizionale lettura vincitori-vinti», opposizione che attentamente sostituisce quella di antifascisti/liberatori e fascisti. Si tratta dunque, secondo lei, di ricordare una guerra tra tante, quasi un ineluttabile evento naturale in cui tutti sono cattivi (i liberatori, gli aguzzini e i partigiani) e dunque tutti ugualmente assolti nel tribunale della neostoria. Del resto, Ministro, devo darle atto di una certa garbata compostezza sulla memoria del 25 aprile. La sua sottosegretaria (la nostra sottosegretaria all’Istruzione) Paola Frassinetti la Festa della Liberazione l’ha festeggiata al campo 10 del Cimitero maggiore di Milano per onorare i volontari italiani delle SS. È immortalata in un video in mezzo a un drappello di camerati che sfidano, tra insulti e minacce, alcuni manifestanti antifascisti. Frassinetti si lascia andare alla rabbia ed esclama “ma vai aff…”.
Sempre a proposito di Linee guida per l’educazione civica… Da sottosegretaria del suo Ministero Paola Frassinetti, il 28 ottobre del 2024, anniversario della marcia su Roma, ha celebrato il “fascismo immenso e rosso”. Capisce, signor Ministro, perché ci sentiamo soli nella trincea? E perché le ho detto che è “passato al nemico” (il nemico è la parzialità, la manipolazione, la contrapposizione faziosa). Ma noi siamo combattenti testardi. Non avendo capi politici da lusingare, la nostra coscienza e la Costituzione antifascista sono le nostre uniche e inderogabili “linee guida” da seguire nel formare cittadine e cittadini liberi e consapevoli. Egregio Ministro, spero che queste parole non mi costino quella decurtazione dello stipendio che ha inflitto a un mio collega per aver pronunciato delle parole che Lei non ha gradito. Sarebbe non solo grave ma anche di cattivo gusto anche perché di recente insieme ad altri ministri lei lo stipendio ha cercato di aumentarselo.”
P. S. Le sue Linee guida stanno conseguendo i primi risultati. Qualche giorno fa uno studente che aveva studiato la divisione dei poteri di Montesquieu ha osservato che se un ministro fa una manifestazione sotto un tribunale per difendere un altro ministro sotto processo viola la separazione dei poteri. Aggiungendo che un ministro non è un semplice cittadino ma un membro dell’esecutivo, cioè di un potere dello stato. Gli ho risposto che ha ragione e gli ho dato un ottimo voto in educazione civica.
Con cordialità, prof. Giancarlo Burghi.
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Non riesco davvero a capire come un cantante come Tony Effe possa essere apprezzato, soprattutto da un pubblico giovane, considerando i contenuti delle sue canzoni.
I testi che scrive sono spesso pieni di riferimenti denigratori verso le donne, ridotte a oggetti di piacere o meri trofei da esibire. Non c’è traccia di rispetto, complessità o riconoscimento della loro umanità, solo superficialità e sessismo. È davvero questo il messaggio che vogliamo trasmettere ai più giovani?
Il problema non è solo Tony Effe in sé, ma il sistema che lo applaude, lo supporta e lo eleva. La musica non è mai solo musica; è cultura, è identità, è messaggio. Quando un artista diffonde costantemente un linguaggio sessista, influenza inevitabilmente il modo in cui le persone, soprattutto i più giovani, vedono le donne e le relazioni.
Possiamo davvero continuare a chiudere gli occhi di fronte a un linguaggio che alimenta una cultura del disprezzo verso le donne?
Scegliamo meglio, perché quello che ascoltiamo e celebriamo definisce la società in cui vogliamo vivere. E io, di certo, non voglio vivere in una società in cui la misoginia diventa musica di sottofondo.
Luposolitario0🐺
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Islamisti vogliono cancellare il Natale anche in Italia...
L’Italia è sotto attacco, un attacco silenzioso ma devastante che minaccia di cancellare la nostra identità culturale e religiosa. Guardiamo alla Siria, dove i jihadisti hanno già compiuto un atto di barbarie inaudita: le decorazioni natalizie ad Aleppo sono state rimosse, un preludio inquietante che ci mette in guardia su cosa potrebbe accadere qui se non agiamo con decisione. L’immigrazione islamica regolare, lungi dall’essere un arricchimento, è diventata un pericoloso cavallo di Troia per l’islamizzazione del nostro paese. L’arroganza e l’ignoranza hanno raggiunto nuovi livelli di follia. Il giornale “Il Domani” ha avuto il coraggio di etichettare il presepe, simbolo sacro della nostra tradizione cristiana, come rappresentazione di “una comunità escludente e razzista”. Questo è un insulto non solo alla nostra fede ma anche alla nostra storia millenaria. Se gli islamici in Italia si sentono esclusi dal nostro presepe, dalla nostra cultura, dal nostro Natale, allora è meglio che facciano ritorno alla loro terra. Non siamo obbligati a rinunciare alla nostra identità per fare spazio a chi non rispetta, anzi, disprezza le nostre tradizioni. Questo non è un atto di xenofobia, ma di legittima difesa culturale. L’Italia non può trasformarsi in una succursale dell’islam, dove le nostre festività vengono cancellate per non offendere chi non condivide i nostri valori. La nostra nazione è stata costruita sui valori cristiani; questi sono i pilastri su cui si fonda la nostra civiltà. Permettere che vengano erosi in nome di una falsa integrazione è un tradimento verso i nostri antenati e verso le generazioni future. Ogni giorno che passa, vediamo i segni di questa islamizzazione. Le nostre scuole, che dovrebbero essere luoghi di trasmissione della nostra cultura, stanno già modificando le celebrazioni natalizie per non offendere nessuno. Le nostre città, che dovrebbero risplendere di luci natalizie, rischiano di diventare zone oscurate da un’ideologia che non riconosce la nostra storia. È tempo di dire basta. L’immigrazione islamica regolare deve essere azzerata. Non possiamo permettere che la nostra identità venga diluita o sostituita. Gli italiani devono alzarsi e difendere ciò che è loro, prima che sia troppo tardi. Se vogliamo mantenere l’Italia Italia, dobbiamo proteggerla da chi cerca di trasformarla in qualcosa che non è. Non si tratta di odio, si tratta di sopravvivenza. Se vogliamo evitare che le decorazioni natalizie scompaiano dalle nostre città come è successo ad Aleppo, dobbiamo agire ora. L’Italia non deve diventare un altro capitolo dell’islamizzazione dell’Europa. Tornino a casa loro, se non riescono a rispettare e a vivere con la nostra cultura, con i nostri valori cristiani, con il nostro Natale.
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Il maturo e il bamboccione social si rendono ambedue conto dell'evidenza (è già un passo avanti rispetto al sinistro che con la realtà confligge): siamo colonizzati, culturalmente e tecnologicamente, dagli Stati Uniti.
Il bamboccione sociale frigna offeso (reagisce da socialista, lotta contro gli stessi nemici dei socialisti: è un socialista, a sua insaputa) e pretende di mandar a casa i 'Mericani senza distinzioni, senza poterselo permettere; né ammette di dover pagare un conto salatissimo per farlo, sia pure in prospettiva lontana (assieme a chi? Da soli che manco Mussolini?! O coi francotedeschi?!!). 'Sti qui credono davvero che barconi e sbarchi e terroristi e Putain si fermino dicendogli "basta là".
Il maturo invece accetta il dato di fatto sopra detto, dopo essersi guardato attorno e compreso in trenta microsecondi che trattasi del menopeggio in assoluto: é il sistema socioculturale economico più avanzato e civilizzato disponibile oggi, diretto erede della NOSTRA tradizione grecoromana giudaicocristiana. Poteva andar molto peggio, a guardare cos'altro c'è in giro.
Il maturo s'impegna comunque per sradicare ed aggiustare gli eccessi di detto colonialismo, dall'interno, senza ansie vivoluzzionavie, affermando la propria identità locale ma godendo dei suoi aspetti positivi innovativi: cultura del lavoro, libertà individuale, innovazione tecnologica senza paure da provinciali, dinamismo sociale no "figli di", liberismo non quello dei "veriliberali" ma scevro da socialismi pelosi etc..
Tali aspetti positivi li usa inoltre per tagliar le unghie ad altri colonialismi culturali precedenti spacciati come parte dell'identità: tipo il borbonismo magnogreco social statalista assistenzialista, l'europismo crucco nordico statal puritano o l'anglofranconismo coi sensi di colpa coloniali.
Eh si, la cultura come le persone ha costante bisogno di MODELLI e MENTORI cui ispirarsi, non copincollare, per evolversi. Il passato è passato come il successo è già successo: si celebrano e ricordano ma senza mai fermarsi. Per fortuna i modelli di riferimento li sceglie il mercato, la cosa più democratica che c'è, mentre ogni forzatura dall'alto distorce, fa sbandare e produce solo costosi ritardi.
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"Il continente europeo porta il nome di una giovane, Europa, di origine straniera, senza radici, un’immigrata involontaria: il pluralismo delle origini e l’apertura agli altri sono diventati l’emblema dell’Europa."
"Tutti gli europei sono fieri di riconoscersi in una parte del mondo che ha dato i natali a Montaigne e Michelangelo, Shakespeare e Cervantes, Mozart e Goethe, o ancora nei principi sociali e politici ai quali fa riferimento l'espressione «diritti dell'uomo»."
"Le grandi opere che amiamo identificare oggi come costitutive della cultura europea sono nate in seno a tradizioni particolari. È vero che si sono rapidamente diffuse al di là delle frontiere del paese d'origine, ma questa influenza non si è fermata nemmeno a quelle dell'Europa. Reciprocamente, fin dall'origine, i creatori europei hanno assorbito i contributi provenienti da altri orizzonti: l'Egitto e la Persia, l'India e la Cina. Oggi, i tratti culturali europei si ritrovano lontano dall'Europa; le invenzioni non europee hanno penetrato anche lo spazio europeo. Per esempio, talvolta si dice che il romanzo è un genere tipicamente europeo ciò corrisponde senza dubbio a una situazione vera in passato, ma non nel presente: come immaginare oggi il romanzo senza pensare ai suoi rappresentanti russi, o latinoamericani o nordamericani o, più recentemente, asiatici e africani? Lo stesso si può dire per la pittura, la filosofia, la religione o qualunque altro ingrediente della cultura: ciò che era nato in Europa vi ritorna trasformato dal suo soggiorno altrove e nello stesso tempo l'Europa si affretta ad assorbire le influenze straniere, dalle maschere africane alla calligrafia cinese, dalle tradizioni buddhiste al realismo magico dei Caraibi. Non può essere altrimenti: le opere dello spirito hanno una vocazione universale, fanno il possibile per andare ovunque; nate in una tradizione specifica, aspirano a essere accolte da tutti."
"L'identità della cultura europea consiste nella sua maniera di gestire le diverse identità che la costituiscono a livello regionale, nazionale, religioso e culturale, accordando loro uno statuto nuovo e traendo profitto da questa stessa pluralità".
Sono frammenti tratti da “L’identità europea”, un interessante saggio di un centinaio di pagine scritto da Tzvetan Todorov nel primo decennio del nuovo millennio.
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Il blues è storia, è tradizione, è cultura. Il blues è identità, è fede, è preghiera. Il blues non è canto e musica solo, ma indipendenza amore e libertà.
youtube
Il blues è diritto, è radici, è religione, è parità. 🤍
Rockhistorylan
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L' officina dei pensieri.
Un paese ci vuole
.....Qualche giorno fa, il caso ha voluto che mi recassi nella parte vecchia del mio paese, Castelnuovo della Daunia. Realizzai in quel momento che, non ci andavo da decenni, fui preda di ricordi. Incantata dal luogo mi addentrai nei vicoletti, giù per le scale, mi fermai in una piccola piazzetta, con al centro un grande albero frondoso, sotto al quale c'erano delle panche, messe lì dagli abitanti della strada. È evidente che servono per sedere all' ombra nelle calde giornate d'estate, un tavolino abbandonato in un angolo, mi fa immaginare dei vecchietti che siedono al fresco per giocare a carte nelle afose sere d'agosto. La mia attenzione viene attratta da un arco, lo attraverso e.....mi ritrovo in un cortile. All' interno una scala di pietra che porta all'ingresso di una vecchia casa, un portoncino smaltato di verde, come usava un tempo. Chiuso! La terra portata dal vento ha creato dei mucchietti, sui quali sono nate sparute piantine. Sulla facciata di pietra cresce la parietaria l'erba dei muri, così la chiamavamo da bambini. Questa pianta, tra l'altro urticante, ha le foglie che, attaccavamo sulle nostre magliette. Facevamo a gara a chi attaccava le più belle. Gli infissi verdi delle finestre, come il portone erano rovinati dagli anni e dalle intemperie, oramai all' abbandono come il resto del cortile.
Una mi ha attratta!
Piccola,dietro ai vetri oramai opachi, una tendina di pizzo che, ricordava tempi migliori, sostenuta da una cordicella, uno stretto davanzale dove si poteva sistemare un solo vaso.
C'era un vaso.
Un grosso barattolo di alluminio, uno di quelli dove una volta si vendevano le alici salate, ancora evidente tra la ruggine un disegno che mostrava una scena di pesca, con una barca di pescatori in un mare blu. La meraviglia non fu solo questa, bensì la pianta di garofani che ci " viveva dentro".
Certo! viveva.
Dopo anni ed anni di abbandono, non mi spiego come possa vivere e ri-fiorire questa pianta di garofani. Tra qualche foglia secca ed altre verdi, erano fioriti radi garofani rossi. Da tempo immemore, non vedo più quel genere di garofani sui balconi del mio paese. È una pianta che raggiunge una bella dimensione, coltivata nei vasi, non ha vegetazione eretta, tende ad essere cascante, come certi geranii. I fiori, crescono verso l'alto. Hanno uno stelo lungo e, dritto, in cima al quale, fiorisce il garofano, qualche volta più di uno.
Le meraviglie della vita!
In quel cortile dove tutto è abbandonato e vittima della incuria, una pianta sopravvive e fiorisce.....
Il ricordo del paese come era, come si viveva, della mia fanciullezza mi assale, ma viene ostacolato dallo scorrere del tempo che, inesorabilmente ci allontana da quella età felice. Tutto è cambiato,nello stesso centro storico, c'è un fiorire di cemento,infissi in alluminio, vasi di plastica, c'è una sorta di gara a chi li mette più grandi e più belli... Si può dire belli?
Che bella quella solitaria tinozza di zinco con un piccolo nespolo.
Allora mi chiedo..... Dove eravamo quando hanno-abbiamo distrutto il fascino delle case, dei vicoli, delle piazzette, delle scalinale?
Quel fascino che sembra sopravvivere solo in quel piccolo cortile ricco di storia. Di quella storia che abbiamo perso nel tempo. Perso una identità che, ci collocava come paese più bello del Subappenino, dove esisteva la banca, piccole aziende e negozi .
Una buona economia.
La scuola, palazzi padronali, una biblioteca, il teatro, il cinema.
La cultura.
È già..... Abbiamo perso anche quella!
Senza cultura non c'è più neanche la capacità di sperare e, di credere in una rinascita di questo nostro paese. Ci resta il ricordo che,diventa un conforto, inevitabile con i cambiamenti subiti dalla realtà.....
<< Un paese ci vuole , non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non
essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, anche
quando non ci sei resta ad aspettarti.....>>
La luna e i falò, CESARE PAVESE.
Edito da CONTATTO
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Da domani lo spot UNPLI sul censimento del patrimonio immateriale in onda su Rai e Mediaset. Roma. Maria Grazia Cucinotta dà voce al progetto per salvaguardare la cultura intangibile italiana
Roma ha ospitato oggi la presentazione del nuovo spot della campagna di comunicazione dell'UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d'Italia), dedicata al Primo Censimento Nazionale del Patrimonio Immateriale Culturale.
Roma ha ospitato oggi la presentazione del nuovo spot della campagna di comunicazione dell’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia), dedicata al Primo Censimento Nazionale del Patrimonio Immateriale Culturale. Lo spot, realizzato con la regia di Francesco Apolloni e narrato dalla voce inconfondibile di Maria Grazia Cucinotta, sarà trasmesso dal 7 dicembre al 4 gennaio sulle reti Rai e…
#Alessandria today#ANCI#arti artigianali#bellezze italiane.#censimento nazionale#censimento patrimonio immateriale#cinema italiano#comunità locali#Cultura e identità#cultura immateriale#Cultura italiana#cultura nei piccoli comuni#Cultura Popolare#Feste popolari#Francesco Apolloni#gastronomia tradizionale#Google News#ICPI#identità italiana#italianewsmedia.com#Maria Grazia Cucinotta#Memoria storica#mestieri antichi#Ministero della Cultura#musica popolare#patrimonio culturale#patrimonio intangibile#patrimonio UNESCO#Pier Carlo Lava#Pro loco
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Scozia, scuola consente a bambino di identificarsi «come lupo» - Il Timone
Basta osservare il comportamento umano nella storia per capire che le identità autentiche sono veramente rare, mentre la massa le ha sempre scambiate con la cultura in auge.
E la cultura antropologica dei popoli è molto simile alla moda. Nient'altro che una convinzione di gregge.
#scuola#identità#zombie#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#rincoglioniti#cultura#sistema#manipolazioni#illusioni#discernimento#responsabilità#distorsioni#verità#dittatura#schiavi#controllo#convinzioni#matrix#mondo marcio
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L'Occidente ha gettato via tutto di sé: radici, cultura, costumi, linguaggio, identità.
Una cosa però l'ha preservata: l'arroganza di volersi imporre sul resto del mondo e la convinzione di dover indicare agli altri cosa sia il "progresso".
Ovvero gettare via radici, cultura, costumi, linguaggio, identità.
Peccato che la maggioranza del globo non voglia suicidarsi e non riconosca più nell'Occidente una guida politica, militare ed economica, figuriamoci morale.
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Indirizzata a Tajani da Vitalba Azzolini su X
"Premesso che ripetono tutti le stesse parole - da Valditara a Salvini a Tajani - come se avessero imparato a memoria un'unica scheda informativa divulgata in una chat privata, il discorso non torna:
1) le scuole hanno a disposizione alcuni giorni di chiusura facoltativi, e possono disporne in relazione al contesto sociale, culturale, educativo in cui operano. Dunque, possono chiudere per carnevale così come per un ponte o in un giorno in cui ci saranno molte assenze;
2) sospendere le lezioni per la fine del Ramadan non significa "santificare" quel giorno, ma prendere atto che, per esigenze didattiche, è meglio chiudere;
3) affermare che in Arabia Saudita le scuole non chiuderebbero per festività cristiane significa dire che il nostro ordinamento giuridico, la nostra cultura democratica, la nostra civiltà istituzionale è pari a quella di tale Paese o di Paesi similari: ma veramente Tajani pensa questo?
4) Inoltre, davvero Tajani reputa che la nostra identità - intesa come religione, tradizioni, cultura giuridica e democratica e molto altro - sia intaccata da uno giorno di chiusura delle scuole per esigenze didattiche determinate da assenze per la festa di una religione diversa dalla nostra?
Caro ministro, «La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre» (Albert Einstein). Ecco, la apra."
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IL CANADA RESTITUISCE 200 ISOLE ALLE POPOLAZIONI ABORIGENE
Il governo della Columbia Britannica ha approvato il primo accordo in Canada per riconoscere la giurisdizione di una nazione indigena sul suo territorio tradizionale.
Dopo decenni di trattative, più di 200 isole al largo della costa occidentale del Canada saranno restituite alle popolazioni indigene Haida che le hanno occupate per millenni, un territorio di circa mezzo milione di ettari (quanto due volte la superficie del Lussemburgo). Queste terre sottratte alle popolazioni indigene in seguito alle colonizzazioni del passato, hanno subito per secoli conseguenze profonde come la perdita culturale, l’alienazione, l’impoverimento, conflitti e degrado ambientale. “Il legame dei popoli indigeni con le loro terre e acque è l’elemento determinante della loro identità e cultura e del loro rapporto con i loro antenati e le generazioni future” dichiara il rapporto delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene. Per questo gli organismi internazionali per i diritti umani stanno spingendo tutti gli Stati a lavorare per rispettare, proteggere e ripristinare i diritti di queste antiche popolazioni e a restituire il controllo dei loro territori tradizionali.
Per gran parte del XX secolo il Canada ha estratto rame da queste terre e pescato in questi mari con grandi pescherecci, molti antichi villaggi Haida sono stati cancellati e le foreste abbattute per trarne legname e altre risorse. L’accodo rappresenta un precedente importante che secondo Gaagwiis Jason Alsop, Presidente della nazione Haida “eleva l’onore della Corona risolvendo la questione attraverso la negoziazione piuttosto che un contenzioso”.
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Fonte: Governo del British Columbia; United Nations; Haida Nation; foto di Radoslaw Sikorski
VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
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Epoca Fiorucci
a cura di Gillo Dorfles
Cecilia Alemani, Elisabetta Barisoni, Gabriella Belli, Gisella Borioli, Andrea Branzi, Maria Canella, Aldo Colonetti, Carlo D'Amario, Michele De Lucchi, Gillo Dorfles, Giusi Ferré, Floria Fiorucci, RoseLee Fiorucci, Italo Lupi, Giannino Malossi, Franco Marabelli, MAripol , Alessandro Mendini, Cristina Rossi, Oliviero Toscani, Ugo Volli
Editore Consorzio Museum Musei MUVE, Venezia 2018, 400 pagine, brossura, 22x28cm., ISBN 9788832026009
euro 45,00
email if you want to buy [email protected]
A Ca’ Pesaro, MUVE Venezia 2018/2019, un altro intrigante dialogo tra moda e cultura, questa volta grazie alla pirotecnica creatività di Elio Fiorucci, il celebre stilista milanese scomparso nel 2015, da molti definito il “paladino della moda democratica”. Fiorucci fu una personalità unica in questo campo, capace di rivoluzionare la moda e il mercato - quando alla fine degli anni sessanta portò a Milano lo spirito libero e trasgressivo della Swinging London - e di formare il gusto di almeno due generazioni di giovani.
Le sue idee innovative, le proposte sempre all’avanguardia rispetto agli input del pronto-moda, l’apertura ad altri mondi e culture, da cui traeva ispirazione, lo rendevano un fuoriclasse. Poi c’era la passione per l’arte e l’architettura contemporanea, che portò Fiorucci a circondarsi di architetti come Sottsass, Mendini, Branzi, De Lucchi - grandi innovatori al pari suo - o di artisti del calibro di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol, ai quali non chiedeva “opere” ma contributi creativi per realizzare luoghi, narrazioni, eventi dove protagonisti erano la persona e i suoi desideri. Fiorucci è stato così il primo “stilista” a livello internazionale ad affidare ai più grandi architetti, grafici e designer la rappresentazione e la comunicazione dei suoi capi e accessori d’abbigliamento, intesi come estensione delle persone e della loro identità.
Il suo primo negozio in Galleria Passerella a Milano, disegnato da Amalia Del Ponte, è del 1967, e nel ’76 lo store coloratissimo sulla 59th Avenue di New York diventa un punto d’incontro di tanti giovani. Qui arrivano anche Andy Warhol, Truman Capote e una giovanissima Madonna che tiene il suo primo concerto nell’83 allo Studio 54 proprio per i quindici anni di attività di Fiorucci. L’anno seguente sarà Keith Haring, con i suoi graffiti, a firmare il restyling dello store milanese.
In catalogo testimonianze dirette di coloro che hanno collaborato con Elio Fiorucci e un intenso dialogo tra Gillo Dorfles e Aldo Colonetti.
01/02/25
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