#strade blu
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queerographies · 10 months ago
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[La cattiva abitudine][Alana S. Portero]
Vivere la Propria Identità: Un Viaggio di Formazione tra Donne Straordinarie Titolo: La cattiva abitudineScritto da: Alana S. PorteroTitolo originale: La mala costumbreTradotto da: Giulia ZavagnaEdito da: MondadoriAnno: 2024Pagine: 192ISBN: 9788804774884 La trama di La cattiva abitudine di Alana S. Portero Non è facile abitare il corpo sbagliato. Nascere maschio e sentirsi femmina. Soprattutto…
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Mario Calabresi presenta “Il tempo del bosco” ad Alessandria. Un incontro per esplorare il potere delle storie e della natura
Venerdì 6 dicembre 2024, alle ore 18:00, presso la Sala Convegni di Palazzo Cuttica, in via Parma 1 ad Alessandria, il giornalista e scrittore Mario Calabresi presenterà il suo ultimo libro, “Il tempo del bosco”,
Venerdì 6 dicembre 2024, alle ore 18:00, presso la Sala Convegni di Palazzo Cuttica, in via Parma 1 ad Alessandria, il giornalista e scrittore Mario Calabresi presenterà il suo ultimo libro, “Il tempo del bosco”, pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu. L’evento, organizzato dalla Cooperativa Sociale Coompany&, è realizzato in collaborazione con la Città di Alessandria, la Biblioteca…
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susannatosatti · 1 year ago
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angelap3 · 6 months ago
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Ecco i motivi per cui è bello essere Liguri: ❤
1. Avere mare e monti a distanza di 30 minuti, forse anche meno.
2. Non conoscere il concetto di nebbia.
3. La “focaccia” calda a tutte le ore.
4. La cucina ligure , che riesce ad essere ricca con quasi niente.
5. “Belìn”, questo nostro intercalare onesto, melodioso e mai volgare.
6. Le fessure blu cobalto del cielo tra le case dei “caruggi”. (I vicoli).
7. La colazione “alla ligure” con la “fugassa” (Focaccia) pucciata nel caffelatte.
8. Gli autobus che si inerpicano anche sulle strade più assurde.
9. Un gatto che scruta il mondo dalla fessura di una persiana verde.
10. Poter fare il bagno in mare ad ottobre come se fosse la cosa più normale del mondo.
11. Il “pesto”, che ci offendiamo se gli altri lo copiano, anche se sappiamo benissimo che oramai lo fanno cani e porci.
12. Salire in 10 minuti per "bricchi” (Montagne attorno alle nostre città ) e trovarsi fuori dal mondo.
13. Salire in 10 minuti per “bricchi” e trovarsi dentro una calda osteria.
14. I veri liguri....Quelli che “una parola è poco, ma due sono già troppe!"
15. I veri liguri , così “chiusi” e così grandi di cuore.
16. Sentire i nostri vecchi parlare in dialetto e riuscire a capire quello che dicono (più o meno).
17. Tirare fuori il cappotto dall’armadio solo poche settimane all’anno.
18. Prendere in giro i “padani” per le code che si devono sorbire in autostrada per raggiungerci.
19. La spruzzata di neve a gennaio che paralizza la città e fa subito chiudere le scuole di ogni ordine e grado nemmeno vivessimo al Polo Nord.
20. Il “mugugno”, (Lamentarsi) che almeno questo non costa nulla.
21. Il “mugugno” che è diventato il nostro sport preferito.
22. Il misto “torte di verdura” servito in trattoria.
23. La “farinata”..... semplicemente geniale!
24. Ammirare la città dall’alto quando si torna a casa con l’aereo.
25. Leggere 10 gradi sul termometro nelle mattine d’inverno e mugugnare che “fa freddo”.
26. Leggere 10 gradi sul termometro nelle mattine d’inverno, arrivare a 20 gradi a mezzogiorno, e mugugnare che “fa caldo”.
27. Trovarsi in qualunque punto della nostra città e pensare che viviamo nella città più bella del Mondo, anche quando per mille motivi ci fa “arraggià” (Arrabbiare)
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pettirosso1959 · 4 months ago
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A CHE SERVE L’UNIFIL?
La storia è nota. Migliaia di profughi della Guerra dei 6 Giorni vengono accolti dalla Giordania. Ma presto si dimenticano di essere ospiti di uno Stato. Girano per le strade armati e senza documenti, organizzano posti di blocco per raccogliere non meglio specificate tasse per la causa palestinese, perquisiscono i civili giordani, cercano di convincerli ad entrare nell’OLP nonostante siano soggetti alla leva militare giordana, rivendicano la competenza dell’OLP per i reati commessi in territorio giordano. Insomma, vogliono uno Stato nello Stato.
Quando nel 1970 questi profughi armati cercano addirittura di rovesciare re Husayn, la Giordania reagisce pesantemente. È il «Settembre Nero». Scoppia una guerra civile che durerà un anno. L’OLP sdogana la pratica degli scudi umani, che causano decine di migliaia di morti tra i civili, che per i miliziani islamici sono martiri. Rimarranno uccisi circa 6 mila guerriglieri. Gli altri si rifugeranno in Libano, dove li aspettano 100 mila profughi della Nakba, che non vedono l’ora di regolare i conti con Israele.
Le fazioni palestinesi si stanziano nel sud del Libano. E incominciano a fare il tiro a segno sulle città della Galilea. Di tanto in tanto sconfinano in Israele per compiere mattanze, come quella dell’11 marzo 1978, in cui muoiono 37 cittadini israeliani, tra cui 13 bambini.
Israele non resta a guardare. Il 14 marzo 30 mila soldati dell’IDF invadono il Libano ricacciando in una settimana l’OLP al di là del fiume Leonte, perdendo soltanto 20 uomini contro i 1000 dell’OLP, oltre a 3000 civili. In pochi giorni si riunisce il Consiglio di Sicurezza ONU, che emana la Risoluzione n. 425, con cui viene intimato ad Israele di ritirarsi, perché a calmare le acque ci penserà appunto l’UNIFIL, la Forza Multinazionale.
Questo UNIFIL, oltre ad assistere la popolazione civile, ha il compito di aiutare il Libano a ristabilire la propria sovranità, calpestata dai gruppi palestinesi che utilizzano il sud per lanciare attacchi a Israele. E dovrà coadiuvarlo nel disarmo delle milizie palestinesi. Il Consiglio di Sicurezza vuole che Israele se ne torni a casa, ma tra la linea blu e il fiume Leonte non dovrà rimanere neppure un Fedayyn con una scacciacani.
Israele si ritira. Ma sia l’esercito del Libano che l’UNIFIL non combinano nulla, a parte fare la guardia ai cedri millenari. Cacciate dall’IDF, nel giro di un anno le milizie palestinesi si ripresentano nel sud più agguerrite che mai. Nel frattempo Komeini è salito al potere ed è nata la sanguinosa Hezbollah, che riprende lo sport preferito dei guerriglieri islamici: i razzi verso la Galilea. Tanto che Israele è costretto nel 1982 a invadere ancora.
Sarà sempre la stessa storia, con ulteriore replica nel 2006. Da quasi mezzo secolo, nel rispetto delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, ogni volta Israele lascia il Libano attendendo invano la bonifica proclamata dall’ONU, ossia il disarmo completo di ogni gruppo armato nel sud. Le successive quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza continuano a rimanere lettera morta.
Israele ha appena invaso per la quarta volta il Libano nel tentativo di sbaragliare Hezbollah, foraggiato dall’Iran che gli manda armi attraverso la Siria, sotto lo sguardo non troppo severo proprio di quelli dell’UNIFIL, che in tutti questi anni hanno visto sotto il naso spuntare come funghi kilometri di tunnel come quelli di Gaza. Ora Hezbollah, secondo una tecnica ormai collaudata, si è ritirata a ridosso della forza multinazionale, sulla quale Israele, visti i precedenti, ripone ben poca fiducia. Ma volendo chiudere i conti con il Partito di Dio una volta per tutte, Israele sta entrando in un pesante conflitto con la forza multinazionale, che non vuole saperne di andarsene, almeno per ora.
Ma se l’UNIFIL è stato inviato nel sud del Libano dal Consiglio di Sicurezza ONU per disarmare qualsiasi milizia ostile a Israele, visti i fallimenti dell’ultimo mezzo secolo, per quale motivo Israele non dovrebbe esigere che l’UNIFIL svolga il compito per cui è stato creato? «Se non ci pensate voi, ci pensiamo noi» avrebbe detto Herzl Halevi, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano.
Antonello Tomanelli.
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ma-pi-ma · 1 year ago
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La terra è blu come un’arancia
Mai un errore le parole
Non mentono
Non vi danno più da cantare
Tocca ai baci di intendersi
I pazzi e gli amori
Lei la sua bocca di fede
Tutti i segreti tutti i sorrisi
E quali abiti di indulgenza
A crederla tutta nuda.
 
Le vespe fioriscono verde
L’alba si passa intorno al collo
Un collier di finestre
Ali coprono le foglie
Tu hai tutte le gioie solari
Tutto il sole sulla terra
Sulle strade della tua bellezza.
Paul Éluard, da L'amore la poesia, 1929
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gregor-samsung · 2 months ago
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" "Chi sono io?". Bisogna dire che questa è una domanda che mi facevo fin da piccolo, quando mi svegliavo la mattina presto e rimanevo a fissare il soffitto. Poi, quando ero già un po' più grande, cominciai a chiedere spiegazioni a scuola, ma l'unica risposta che ho sempre avuto era che la coscienza è una proprietà della materia altamente organizzata, secondo la teoria leninista del riflesso. Non capivo il senso di quelle parole e così il mio sconcerto e gli interrogativi restavano gli stessi di sempre: com'è possibile che io vedo? E chi è questo «io» che vede? E in generale che cosa significa «vedere»? Vedo qualcosa di esterno o guardo soltanto in me stesso? E che significa «fuori di me» e «dentro di me»? Spesso avevo l'impressione di essere sul punto di arrivarci, alla soluzione, ma quando stavo per fare l'ultimo passo, a un tratto perdevo di vista questo «io» che solo un attimo prima avevo chiaro davanti. Quando mia zia andava a lavorare spesso chiedeva alla vecchietta vicina di casa di venire a darmi un'occhiata. Con una specie di piacere sottile, la tempestavo di tutte queste domande, sapendo bene la fatica che le costava rispondermi.
«Dentro di te, Omotchka, c'è l'anima» diceva lei. «E l'anima guarda attraverso i tuoi occhi e vive nel corpo come il tuo piccolo criceto vive in quella vecchia pentola. E questa anima è una parte di Dio, che ci ha creati tutti. Così anche tu sei questa anima.» «E perché Dio m'ha messo in una vecchia pentola?» chiedevo io. «Non lo so» diceva la vecchietta. «E lui dov'è che sta?» «Dappertutto» rispondeva la vecchietta e allargava le braccia tutt'intorno. «Quindi, anch'io sono Dio?» «No» diceva lei. «L'uomo non è Dio. L'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio.» «E anche l'uomo sovietico è fatto a immagine e somiglianza di Dio?» continuavo a chiedere io, pronunciando a fatica quell'espressione incomprensibile. «Certamente» rispondeva la vecchietta. «E ce ne sono molti, di dei?» continuavo a chiedere. «No. Solo lui.» «E allora perché nel manuale c'è scritto che ce ne sono molti?» insistevo io, indicando il manuale dell'ateista che stava sullo scaffale della zia. «Non lo so.» «E qual è il dio migliore?» Ma la vecchietta rispondeva di nuovo: «Non lo so». E allora io chiedevo: «Allora posso scegliermelo da solo?». «Fai pure, Omotchka» diceva ridendo la vecchietta, e io mi mettevo ad armeggiare con il dizionario, dove di dei ce n'erano veramente a bizzeffe. Mi piaceva soprattutto Ra, il dio che adoravano, migliaia e migliaia di anni fa, gli antichi egizi. Forse mi piaceva perché aveva la testa di falco e spesso alla radio i piloti, i cosmonauti e un po' tutti gli eroi venivano chiamati «i falchetti». E così decisi che, se anch'io ero veramente simile a un dio, allora avrei assomigliato a quello. "
Viktor Pelevin, Omon Ra, traduzione dal russo di Katia Renna e Tatiana Olear, Mondadori (Collana Strade blu), 1999. [Libro elettronico]
[Edizione originale russa: Омон Ра, casa editrice Издательство Текст, Mosca, 1992]
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colonna-durruti · 4 months ago
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Darwish
Si è legata l’esplosivo alla vita e si è fatta esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
É il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
É l’arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni, sedotto dal filtrare col tempo, eccetto a Gaza. Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici, perché Gaza è un’isola.
Ogni volta che esplode, e non smette mai di farlo,
sfregia il volto del nemico, spezza i suoi sogni e ne interrompe l’idillio con il tempo.
Perché il tempo a Gaza è un’altra cosa, perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale. Non spinge la gente alla fredda contemplazione, ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà. Il tempo laggiù non porta i bambini dall’infanzia immediatamente alla vecchiaia, ma li rende uomini al primo incontro con il nemico. Il tempo a Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente.
Perché i valori a Gaza sono diversi, completamente diversi.
𝐋’𝐮𝐧𝐢𝐜𝐨 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐢 𝐯𝐢𝐯𝐞 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐠𝐫𝐚𝐝𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐥𝐥’𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐧𝐭𝐞.
Questa è l’unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è dedita all’esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha imparato dai libri o dai corsi accelerati per corrispondenza, né dalle fanfare spiegate della propaganda o dalle canzoni patriottiche.
L’ha imparato soltanto dall’esperienza e dal duro lavoro che non è svolto in funzione della pubblicità o del ritorno d’immagine.
Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e offre il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore, non ha gola.
É la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo il nemico la odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo, gli amici e i suoi cari la amano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e talvolta la paura, perché Gaza è barbara lezione e luminoso esempio sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia,
tende abbandonate al vento,
merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata, né la più grande, ma equivale alla storia di una nazione.
Perché agli occhi dei nemici è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la più abile a guastare l’umore e il riposo del nemico ed è il suo incubo.
Perché è arance esplosive,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia,
donne senza desideri.
Proprio perché è tutte queste cose, lei è la più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore tra tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non sfiguriamone la bellezza che risiede nel suo essere priva di poesia. Al contrario, noi abbiamo cercato di sconfiggere il nemico con le poesie, abbiamo creduto in noi e ci siamo rallegrati vedendo che il nemico ci lasciava cantare e noi lo lasciavamo vincere.
Nel mentre che le poesie si seccavano sulle nostre labbra, il nemico aveva già finito di costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente più di una piccola e povera città che resiste.
Quando ci chiediamo cos’è che l’ha resa un mito, dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi e piangere se avessimo un po’ di dignità, o dovremmo maledirla se rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo torto a Gaza se la glorificassimo.
Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà.
Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi invasori.
Se la incontrassimo in sogno forse non ci riconoscerebbe, perché lei ha natali di fuoco e noi natali d’attesa e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo segreto non è un mistero: la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole (vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il rapporto della resistenza con le masse è lo stesso della pelle con l’osso e non quello dell’insegnante con gli allievi.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in un’istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né al marchio di nessuno. Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome, l’immagine, l’eloquenza. Non ha mai creduto di essere fotogenica, né tantomeno di essere un evento mediatico. Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere sfoderando un sorriso stampato.
Lei non vuole questo,
noi nemmeno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto, né incensiamo i suoi sogni con la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo, sarà un tesoro etico e morale inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
É dedita al dissenso:
fame e dissenso,
sete e dissenso,
diaspora e dissenso,
tortura e dissenso,
assedio e dissenso,
morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
𝑆𝑖𝑙𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝐺𝑎𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑀𝑎ℎ𝑚𝑜𝑢𝑑 𝐷𝑎𝑟𝑤𝑖𝑠ℎ, 1973
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ilsalvagocce · 8 months ago
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3 secondi
3 secondi, 1 metro di strada
sono uscita per comprare un libro, i pomodori, le pesche
ero un poco triste, eppure costeggiavo una potenza di profumo di gelsomini misto a tigli misto al caldo delle 11, misto ai profumi del pranzo di chi lo preparava di già, io no perché non ci avevo i pomodori come fai a esser triste? pensavo pure, poi da lontano ho visto un uomo vestito di blu, la cinta un po' alta a stringere la pancia, guardava un po' in alto i tetti forse i gerani altrui, forse quanto il sole sbucava da quel palazzo, un sorriso un po' leggero i passi un po' sicuri e un po' da caviglie dolci lungo una discesa, leggera quanto il sorriso, non pareva che toccasse la terra e pareva diverso da tutto quanto ma guarda quell'uomo che grazia serena, chissà dove va, chi lo aspetta, e poi quello è mio padre. alzo le braccia, sorpresa, mi vede, ridiamo, da lontanissimo — per caso, è possibile per le strade, riconoscere la tua radice per caso?, sì è bellissimo, io divento gelsomino, tiglio, pomodoro, pesche, divento accorgersi, che a volte è come svegliarsi
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dinonfissatoaffetto · 9 months ago
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«Tra gli infiniti modi di cedere alle lusinghe dell’amore, uno resta il piú inspiegabile: quello in cui la passione ha inizio nel primo e irrevocabile incrociarsi degli sguardi. Qualcosa che somiglia all’origine dell’universo. Il Big-Bang. Prima era il caos, solo dopo, dopo quell’esplosione imprevedibile, comincia a respirare il battito cosmico. Prima c’era il nulla e solo dopo c’è la luce. La gemma, l’uscita dalla dormienza. Il blu e il bianco delle ortensie per le strade di Dublino. James in seguito scrisse a Nora che quella sera, quel 16 giugno, lei aveva fatto di lui il vero uomo che fino ad allora non gli era riuscito di diventare. Fu sorpreso soprattutto dal suo modo di attenuare le fragilità e il carico di memorie con cui si era presentata e offerta a lui. La fisicità e la dolcezza. James non poté fare altro che abbandonarsi e credere ciecamente a quella donna. Nora, d’altro canto, decise di abbandonare per sempre la sua vita di Galway. Invece di separarsi, come accade quasi sempre ai protagonisti degli amori estivi, i piú effimeri di tutti, Nora e James, ai primi di ottobre, fuggirono insieme dall’Irlanda riuscendo a ingannare il cinismo di Dublino. Anni dopo quella notte, quando James si mise a scrivere il romanzo a cui avrebbe dedicato quasi tutte le proprie energie, decise di farlo iniziare e terminare nell’arco di ventiquattro ore: il 16 giugno dell’estate del 1904. In copertina, nella prima edizione, c’erano il bianco e il blu. I colori delle ortensie di quei giorni a Dublino».
- Federico Pace
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susieporta · 10 months ago
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Non scrivo con l’inchiostro. Scrivo con la mia leggerezza. Non so se riesco a farmi capire: l’inchiostro, lo compro; ma non esiste un negozio per la leggerezza. Viene, oppure no: dipende. Quando non viene è già presente. Mi capite? È ovunque, la leggerezza: nella freschezza insolente delle piogge estive, sulle ali di un libro abbandonato ai piedi del letto, nel suono delle campane del monastero all’ora delle funzioni, un vociare infantile e vibrante, in un nome mille e mille volte sussurrato come quando si mastica un filo d’erba, nella fata che è la luce alle svolte delle strade serpeggianti del Jura, nella povertà esitante delle sonate di Schubert, nel rito di chiudere lentamente le imposte sul far della sera, nel tocco sottile di blu, blu pallido, quasi viola, sulle palpebre di un neonato, nella dolcezza di aprire una lettera attesa, prolungando di un secondo l’istante di leggerla, nel rumore delle castagne che si schiantano al suolo e nella goffaggine di un cane che scivola su di uno stagno ghiacciato, mi fermo qui, la leggerezza, lo vedete, è donata ovunque. Se allo stesso tempo è rara, di una rarità incredibile, è perchè ci manca l’arte di ricevere, semplicemente ricevere ciò che ci è donato ovunque.”
Christian Bobin, dal libro “FOLLI I MIEI PASSI”
#animamundiedizioni traduzione di Maddalena Cavalleri
Link al libro: https://www.animamundiedizioni.com/prodotto/folli-i-miei-passi/
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riflussi · 11 months ago
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Se me ne andrò
Mi mancheranno le stelle la sera, dopo una giornata di pioggia, primaverili.
Mi mancherà il cielo blu, di un blu non troppo cupo, ché le giornate si fanno lunghe e il cielo non ha tempo di scurirsi come d'inverno.
Mi mancherà il verde dei campi, soleggiati o appena rischiarati dall'ultimo raggio di sole prima di un acquazzone.
Mi mancheranno i tramonti facilmente visibili in ogni strada.
Mi mancherà il gracidare delle rane, vedere ogni sorta di animale impossessarsi di strade, muri e campanelli.
Mi mancherà poter dire "vado tra i campi" e farmi lunghe passeggiate ristoratrici. Anche se, a dire il vero, è da tanto che non posso permettermelo.
Arriverà il momento in cui tutto questo mi mancherà. Mi vengono già le lacrime agli occhi, ma non sarà la fine del mondo. Sarà solo un nuovo inizio.
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misslevy · 7 months ago
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House Of Lost One AU
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" Vestiti da sera, c'è il mio pezzo preferito E buttati, che la notte è solo un giorno che riposa e ci incontriamo Ci cerchiamo nelle strade e nei silenzi di un cielo blu "
" You dressed for the evening, there's my favorite part And throw yourself, that the night is just a day resting and we meet We seek each other in the streets and silences of a blue sky "
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sxutyuxtt · 7 months ago
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UNIAMO I RESPIRI SENTO CALDO LA MATTINA TU BUTTATI CON ME MARE DI GUAI NON SO NUOTARE IN UNA VASCA PIENA DI SQUALI PIENA DI SQUALI
VESTITI DA SERA C'È IL MIO PEZZO PREFERITO E BUTTATI CHE LA NOTTE E SOLO UN GIORNO CHE RIPOSA E CI INCONTRIAMO E CI CERCHIAMO NELLE STRADE E NEI SILENZI DI UN CIELO BLU
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e-ste-tica · 1 year ago
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quando il gruppo si riunisce al completo, un venerdì sera va più o meno così. ci ritroviamo al solito bar, gestito da una tipa che ormai ci vuole e le vogliamo bene, ci chiede sempre come va e nota ogni volta un dettaglio "Hai cambiato tinta blu!" "Hai tagliato i capelli!". iniziamo chi con degli spritz chi con della birra, siamo sempre felici di vederci e più o meno la prima mezz'ora passa con frasi come Oooh ma quant'era che non ci vedevamo!!, abbracci e teste sulle spalle che intervallano i discorsi. siamo un gruppo di laureat e laureand in filosofia - attorno ai quali ruotano partner e amic di qualcun di noi - piuttosto sfigaty, non di quelli vestiti bene con una prospettiva di futuro: gente di provincia con un profondo odio di classe transfemminista che attende la lotta armata, a parte me e A. tutti depressi, e senza paura nei confronti delle scomodità perché tanto - cito - "Si fa tutto". qualcuno ha 28 anni e sta ancora scrivendo la tesi, qualcuno ha iniziato il dottorato, qualcuno viene sfruttato per 500€ al mese. quando arriva il momento di passare dallo spritz al negroni, C. racconta un'insolita esperienza sessuale che non ha gradito, facendo nascere confronti infiniti tra J. e M. che devono sviscerare i dettagli della cosa. Verso l'una qualcuna tira fuori le parole crociate e il gruppo si divide tra chi cerca di indovinare le definizioni e chi continua a parlare di chissà cosa - io provo a giostrarmi tra le due fallendo in entrambe. qualcuno va a fumare e fa avanti e indietro, quando rientra fa finta di nulla ma a fine serata si scopre che in quelle intime pause sigaretta a due o a tre si confessano segreti. C. è ubriaco - quando beve gli prende qualcosa che chiama "vena pansessuale", smette di essere etero e mi propone di fare sesso. in effetti in quel tavolo gli incroci negli anni sono stati parecchi ma tra noi due mai, non ci avrei mai pensato però e mi pare un po' strano che me lo dica così, poi mi rendo conto che non so neanche quanti negroni abbia bevuto quindi ha senso: gli dico che gli voglio bene ma magari un'altra sera. M. confessa a J. di essere innamorato di C. e quando il pettegolo me lo racconta la prima cosa che diciamo è Cazzo ecco perché sta così male! ci mettiamo settant'anni a prendere la via di casa, C. prova a picchiarsi usando le nostre mani mentre A. è l'unica che ride sguaiatamente alle cose che dico mentre cerco di trascinarli via. ci salutiamo pregando M. di ricordarsi di far mangiare C. domani, perché si dimentica di farlo ogni giorno e se non fosse per lui si potrebbero contare sulle dita di una mano le volte in cui mangia in una settimana. C. reggendosi a mala pena in piedi prima di salutarmi mi dice Adesso ti darò un bacio ok? io rispondo NO non farlo grazie, ti voglio bene segui L. e vai a casa, e mi chiedo Ma perché cazzo gli è presa così stasera. saluto gli altri e J. viene via nella mia stessa direzione, M. convinto di smascherare chissà quale segreto mi chiede Ma quindi tornate a casa insieme stasera??!! e io per l'ennesima volta gli devo ripetere che J. sta andando a dormire dalla ragazza che abita vicino a me, aggiungendo che ormai sono passati anni da quando scopavamo. alle interminabili ore 3:00 finalmente le nostre strade si dividono e io faccio l'ultimo pezzo di strada con J. che più che un amico per me è un braccio o un rene. oggi l'ho visto per la prima volta con la sua ragazza in un momento di tenerezza e mi sono sembrati innamorati, è bello vedere le persone che amo felici. ed è bello anche essergli accanto quando mi dicono che stanno male. da fuori forse sembriamo uno sgangherato gruppo di strambi maniaci, ma l'ambiguità ci piace anche quando non accade niente, la chiacchieriamo più di quanto non la pratichiamo davvero, e quella che più ci riesce è l'ambiguità emotiva - col cazzo che l'amore romantico è più importante dell'amicizia che abbiamo. ci prendiamo cura l'uno dell'altra: con una birra, con medicine, con la febbre la depressione la povertà la tesi i problemi d'amore, ci siamo.
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diceriadelluntore · 2 years ago
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La primavera del 1789 in Francia fu meteorologicamente disastrosa: freddo fino a maggio, grandinate e piogge fortissime ridussero i campi in miseria. Il prezzo del pane raddoppiò e in tutta la Francia serpeggiava il sinistro sentore di carestia. Luigi XVI deve ricorrere al sostegno di Jacques Necker, politico ed economista svizzero, come ministro dell’economia. In primis, per cercare di arginare il malcontento popolare che mal digeriva lo sfarzo di corte a Versailles. Il suo principale tentativo è quello di ottenere la ripartizione egualitaria delle tasse. Le classi borghesi e popolari, riunite nel "Terzo Stato”, sono i ceti che soffrono maggiormente il peso tributario. Il 5 maggio 1789 viene indetta l’Assemblea degli Stati Generali. Sono passati ben 175 anni dall’ultima volta. Il “Terzo Stato” ha la maggioranza numerica di deputati, ma il suffragio si svolgerà non per voto pro capite, bensì per ordine sociale, soluzione quest’ultima che avvantaggerebbe l’alleanza fra clero e nobiltà.  Ma il 20 giugno del 1789, il “Terzo Stato”, insieme ad una piccola percentuale di esponenti degli altri due ceti, decide di radunarsi a parte per costituire “L’Assemblea dei deputati della Nazione”. La loro autoproclamazione è di fatto un affronto al Re in persona. La soluzione politica che Luigi XVI aveva affidato al ministro Necker, è ormai irrealizzabile. La nuova Assemblea si ritira nella sala dedicata al gioco della palla corda, per proclamare un giuramento solenne. La destituzione del ministro delle Finanze Jaques Necker, da parte del sovrano Luigi XVI, è per Parigi la prova inconfutabile della congiura aristocratica, il segno della bancarotta e della controrivoluzione. Così la mattina del 14 luglio 1789 la popolazione parigina insorge, riversandosi nelle strade con una bandiera tricolore: nasce la drapeau française. Il rosso e il blu simboleggiano Parigi, il bianco è il colore della dinastia borbonica.  Quella mattina settemila insorti attaccano l’armeria de l’Hotel Des Invalides. Il bottino è di quasi trentamila fucili e diversi cannoni, ma della polvere da sparo nessuna traccia. Il popolo però sa dove trovarla: a Saint Antoine, nel centro della città, dove sorge la fortezza della Bastiglia. Prende avvio l’assedio di questo tetro carcere, simbolo dell’Ancien Régime, costruito sotto il regno di Carlo V, che detiene al momento dell’insurrezione solo sette prigionieri: quattro falsari, il Conte di Solages e due folli. Annientata l’ultima resistenza delle guardie del comandante De Launay, la Bastiglia è presto conquistata da migliaia di rivoltosi. Luigi XVI, sconvolto, decide di riassumere il ministro Jacques Necker e spera in una tregua, ma la protesta è ormai dilagata nelle maggiori città del paese e non solo. Le notizie che giungono da Parigi, unite all’insostenibile condizione determinata da più di un decennio di recessione, spingono alla ribellione. A dare adito all’insurrezione è la rabbia accumulata, la carestia e la disperazione della popolazione francese. Con la presa della Bastiglia e il martirio dei parigini uccisi per la libertà, si accende la prima scintilla della Rivoluzione, un colpo violento che sarà il primo di una lunga serie. Da quel 14 luglio 1789, la rivolta, divenuta rivoluzione, ha trionfato sul potere assoluto, delineando le sorti di una Nazione. E, per la Francia così come per tutti i popoli dell’Europa, niente sarà più come prima.
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