#Fallimento ONU
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A CHE SERVE L’UNIFIL?
La storia è nota. Migliaia di profughi della Guerra dei 6 Giorni vengono accolti dalla Giordania. Ma presto si dimenticano di essere ospiti di uno Stato. Girano per le strade armati e senza documenti, organizzano posti di blocco per raccogliere non meglio specificate tasse per la causa palestinese, perquisiscono i civili giordani, cercano di convincerli ad entrare nell’OLP nonostante siano soggetti alla leva militare giordana, rivendicano la competenza dell’OLP per i reati commessi in territorio giordano. Insomma, vogliono uno Stato nello Stato.
Quando nel 1970 questi profughi armati cercano addirittura di rovesciare re Husayn, la Giordania reagisce pesantemente. È il «Settembre Nero». Scoppia una guerra civile che durerà un anno. L’OLP sdogana la pratica degli scudi umani, che causano decine di migliaia di morti tra i civili, che per i miliziani islamici sono martiri. Rimarranno uccisi circa 6 mila guerriglieri. Gli altri si rifugeranno in Libano, dove li aspettano 100 mila profughi della Nakba, che non vedono l’ora di regolare i conti con Israele.
Le fazioni palestinesi si stanziano nel sud del Libano. E incominciano a fare il tiro a segno sulle città della Galilea. Di tanto in tanto sconfinano in Israele per compiere mattanze, come quella dell’11 marzo 1978, in cui muoiono 37 cittadini israeliani, tra cui 13 bambini.
Israele non resta a guardare. Il 14 marzo 30 mila soldati dell’IDF invadono il Libano ricacciando in una settimana l’OLP al di là del fiume Leonte, perdendo soltanto 20 uomini contro i 1000 dell’OLP, oltre a 3000 civili. In pochi giorni si riunisce il Consiglio di Sicurezza ONU, che emana la Risoluzione n. 425, con cui viene intimato ad Israele di ritirarsi, perché a calmare le acque ci penserà appunto l’UNIFIL, la Forza Multinazionale.
Questo UNIFIL, oltre ad assistere la popolazione civile, ha il compito di aiutare il Libano a ristabilire la propria sovranità, calpestata dai gruppi palestinesi che utilizzano il sud per lanciare attacchi a Israele. E dovrà coadiuvarlo nel disarmo delle milizie palestinesi. Il Consiglio di Sicurezza vuole che Israele se ne torni a casa, ma tra la linea blu e il fiume Leonte non dovrà rimanere neppure un Fedayyn con una scacciacani.
Israele si ritira. Ma sia l’esercito del Libano che l’UNIFIL non combinano nulla, a parte fare la guardia ai cedri millenari. Cacciate dall’IDF, nel giro di un anno le milizie palestinesi si ripresentano nel sud più agguerrite che mai. Nel frattempo Komeini è salito al potere ed è nata la sanguinosa Hezbollah, che riprende lo sport preferito dei guerriglieri islamici: i razzi verso la Galilea. Tanto che Israele è costretto nel 1982 a invadere ancora.
Sarà sempre la stessa storia, con ulteriore replica nel 2006. Da quasi mezzo secolo, nel rispetto delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, ogni volta Israele lascia il Libano attendendo invano la bonifica proclamata dall’ONU, ossia il disarmo completo di ogni gruppo armato nel sud. Le successive quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza continuano a rimanere lettera morta.
Israele ha appena invaso per la quarta volta il Libano nel tentativo di sbaragliare Hezbollah, foraggiato dall’Iran che gli manda armi attraverso la Siria, sotto lo sguardo non troppo severo proprio di quelli dell’UNIFIL, che in tutti questi anni hanno visto sotto il naso spuntare come funghi kilometri di tunnel come quelli di Gaza. Ora Hezbollah, secondo una tecnica ormai collaudata, si è ritirata a ridosso della forza multinazionale, sulla quale Israele, visti i precedenti, ripone ben poca fiducia. Ma volendo chiudere i conti con il Partito di Dio una volta per tutte, Israele sta entrando in un pesante conflitto con la forza multinazionale, che non vuole saperne di andarsene, almeno per ora.
Ma se l’UNIFIL è stato inviato nel sud del Libano dal Consiglio di Sicurezza ONU per disarmare qualsiasi milizia ostile a Israele, visti i fallimenti dell’ultimo mezzo secolo, per quale motivo Israele non dovrebbe esigere che l’UNIFIL svolga il compito per cui è stato creato? «Se non ci pensate voi, ci pensiamo noi» avrebbe detto Herzl Halevi, capo di stato maggiore dell’esercito israeliano.
Antonello Tomanelli.
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un immagine vale più di 1000 parole si dice......Padrone di casa ovviamente il presidente Vladimir Putin. Una foto ritrae il capo delle Nazioni Unite nella cerimonia di chiusura mentre stringe la mano allo zar con un leggero inchino. L’immagine rappresenta in modo plastico la differenza tra chi conte e chi non conta un cazzo. L’impotenza del Palazzo di Vetro è lampante rispetto al peso delle grandi potenze che siedono nel Consiglio di sicurezza permanente come Cina e Russia che hanno ambizioni imperiali revansciste....tutto è un fallimento in Occidente, a cominciare dall' ONU e dalle sue appendicin ridicole come UNIFIL e URWA sotto gli occhi di tutto il mondo organizzazioni inutili e alle volte addirittura collaborative con quelli da cui dovremo diffenderci....in un’epoca di disordine mondiale dove Stati in guerra operano secondo la regola delle «mani libere» le Nazioni Unite sono deboli ma sono l 'espressione della mollezza dei Paesi membri che la compongono.....potremmo da un momento dovreci tutti inchinare verso La Qibla è la direzione fissa verso il santuario islamico Kaaba nella grande moschea della Mecca, in Arabia Saudita e intabbarrare le nostre figlie senza che l'Onu si opponesse minimamente.
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L’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR) ha pubblicato un Rapporto in cui raccomanda innanzitutto agli Stati di “adottare alternative alla criminalizzazione, alla tolleranza zero e all’eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell’uso e una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza”. Un Rapporto definito storico, in quanto denuncia il fallimento delle politiche proibizioniste attuate da oltre un secolo in quasi tutto il pianeta su spinta degli Stati Uniti. Politiche che non sono affatto riuscite a raggiungere l’obiettivo che si erano ufficialmente prefissate, quello di “liberare il mondo dalla droga”, ma hanno di fatto regalato un potere enorme a mafie e cartelli narcotrafficanti in molte parti del mondo.
[...]
L’approccio repressivo applicato alla cosiddetta “guerra alla droga” è fallimentare. A darne conto non sono posizioni ideologiche, ma dati concreti. Sono 296 milioni le persone che, nel 2021, hanno fatto uso di droghe, secondo il World Drug Report del 2023. In riferimento al medesimo anno, i soggetti che hanno sviluppato disturbi legati al consumo di stupefacenti sono 39,5 milioni, con un incremento del 45% negli ultimi 10 anni. Parallelamente, il progressivo smantellamento dei sistemi di welfare ha detto sì che, nonostante le persone con problemi di dipendenze abbiano diritto all’assistenza medica, tale necessità sia largamente disattesa. Sempre nel 2021, solamente una persona su 5 ha ricevuto i trattamenti necessari per far fronte alla propria dipendenza. Come conseguenza, oltre 600 mila persone ogni anno muoiono per cause legate al consumo di droga (tra queste: contagio da epatite virale o HIV, overdose e altri incidenti di varia natura).
Parallelamente, aumenta a dismisura il numero delle persone incarcerate per reati di droga: nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di consumatori, l’ultimo anello della catena del mercato della droga, pescati dalle forze dell’ordine con qualche grammo di troppo in tasca. Un dato che contribuisce direttamente al problema del sovraffollamento nelle carceri: solamente in Italia, il 34% dei detenuti entra in carcere per possesso di droga. Quasi il doppio della media del resto dei Paesi europei, che si attesta intorno al 18%. Di fatto, un terzo dei reclusi si trova dietro le sbarre per il solo art. 73 del Testo Unico in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope. Senza detenuti per art. 73, in Italia non vi sarebbe sovraffollamento nelle carceri. Il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite (CESCR) aveva d’altronde espresso preoccupazione per “l’approccio italiano che punisce il consumo di droghe”, a fronte dell'”insufficiente disponibilità di programmi di riduzione del danno”.
Un approccio repressivo di questo tipo, che l’Italia sposa in pieno (ma non è l’unica), spinge la “guerra alla droga” sul piano della “guerra alle persone”, come scritto dal Rapporto ONU. Il suo impatto, infatti, è “spesso maggiore su coloro che sono poveri”, oltre a sovrapporsi alla “discriminazione nei controlli sulla droga, diretti ai gruppi vulnerabili e marginalizzati”. Una guerra contro i poveri, insomma, che fa strage di piccoli spacciatori (spesso provenienti da contesti disagiati e problematici) ma del tutto inutile a risolvere il problema alla radice. A tutto ciò, sottolinea il rapporto, va aggiunto l‘uso spropositato della forza che spesso e volentieri le forze dell’ordine mettono in campo per procedere con gli arresti, atteggiamento peraltro denunciato da numerosissime ONG ed associazioni per la tutela dei diritti umani.
Il rapporto suggerisce, dunque, di “adottare alternative alla criminalizzazione, alla “tolleranza zero” e all’eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell’uso; assumere il controllo dei mercati illegali delle droghe attraverso una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza”. Un approccio evidentemente del tutto diverso da quello che il governo Meloni sta adottando in Italia, dove vengono piuttosto portate avanti proposte di legge di inasprimento delle pene anche per i casi di spaccio e detenzione di lieve entità di cannabis. «Le agenzie dell’ONU ci riportano l’evidenza di come il sistema di controllo delle sostanze stupefacenti, nato 60 anni fa e basato sul proibizionismo, sia costato miliardi di dollari e milioni di vite umane rovinate, senza riuscire in alcun modo a contenere il fenomeno» commenta Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, che sottolinea come «questo rapporto sarà indigesto a Palazzo Chigi perché pone il dito sull’eccessiva carcerazione per droghe nel mondo».
A seguito della pubblicazione del rapporto, oltre 130 ONG hanno firmato una dichiarazione congiunta che chiede alla comunità internazionale di attuare “una riforma sistemica della politica sulle droghe”. “La trasformazione dell’approccio punitivo globale alle droghe richiede cambiamenti nelle norme e nelle istituzioni fondamentali del regime internazionale di controllo delle droghe, storicamente incentrato sulla proibizione e sulla criminalizzazione” scrivono le organizzazioni.
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e niente.. .uno stato che per primo è entrato in guerra e ancora guerreggia, presiederà l'organismo incaricato di mantenere la pace...che dire...boh.
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Aumento gas serra e fallimento della lotta al climate change
Così i nuovi giacimenti di oil&gas fanno fallire la lotta al climate change. Rapporto Global Energy Monitor: l’industria del settore aumenta la produzione nonostante l’impegno globale ad abbandonare i combustibili fossili Allontanarsi dai combustibili fossili in modo ordinato ed equo»: è il sofferto accordo raggiunto dalla Conferenza Onu sul clima di Dubai, la Cop28 di fine del 2023. Non è tuttavia quello che accade, anzi. Secondo i dati diffusi il 28 marzo dal Global Energy Monitor, «lo scorso anno i produttori di petrolio e gas hanno scoperto e dato luce verde allo sfruttamento dell’equivalente di tutte le riserve di greggio accertate in Europa» ed entro la fine del decennio i valori saranno «quadruplicati». Nuovi giacimenti Mentre gli investimenti in eolico e solare accelerano, ma faticano a tenere il passo necessario per la transizione verde; mentre in Europa la spinta del Green Deal cede sotto le resistenze delle lobby; la produzione di combustibili fossili avanza, nonostante «il consenso scientifico sul fatto che lo sviluppo di nuovi giacimenti sia incompatibile con l’obiettivo di frenare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi» a fine secolo, scrive Scott Zimmerman, autore del report di Global Energy Monitor. Secondo i dati del rapporto, almeno venti giacimenti di petrolio e gas hanno raggiunto lo stadio finale di autorizzazione nel 2023, sancendo l’estrazione di otto miliardi di barili di petrolio equivalente (Boe). Entro la fine del decennio, si dovrebbe raggiungere quota 31,2 miliardi di Boe, in 64 nuovi giacimenti. La crisi energetica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina ha consegnato nuovi argomenti al settore oil&gas. Cina e India continuano a spingere addirittura sul carbone, la più sporca delle fonti fossili, per soddisfare la loro fame di energia. Iea: basta pozzi
Una piattaforma petrolifera in Messico Già nel 2021, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha avvisato che non c’è spazio per nuovi giacimenti di petrolio e gas negli scenari di transizione ecologica coerenti con il tetto di 1,5 gradi, oltre il quale gli effetti del cambiamento climatico accelerano e diventano sempre più catastrofici (anche dal punto di vista economico) e sempre meno reversibili. E secondo l’International Institute for Sustainable Development (Iisd), «molteplici modelli climatici ed energetici mostrano che lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas è incompatibile» con la lotta al riscaldamento globale. Secondo il percorso di azzeramento delle emissioni nette di gas serra, messo a punto dalla Iea (aggiornato a settembre 2023), il consumo di petrolio e gas scende rispettivamente del 23% e del 18% entro il 2030 e di oltre il 75% nel 2050, rispetto ai livelli del 2022. Negli ultimi due anni, sottolinea il Global Energy Monitor, sono invece stati annunciati 50 nuovi progetti oil&gas e per 45 è stata presa la decisione finale sfruttamento. Le aziende coinvolte prevedono che alcuni giacimenti saranno operativi entro un anno o due, ma storicamente, spiega il report, servono in media undici anni per passare dalla scoperta alla produzione. Se questo trend sarà confermato, molti dei progetti annunciati non entreranno in produzione prima del 2030, mettendo una serie ipoteca sull’obiettivo di ridurre la dipendenza del sistema energetico globale dai combustibili fossili, i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra. Sud America e Africa sono al centro delle recenti attività di esplorazione, mentre quattro Paesi che fino a poco fa avevano una produzione scarsa o nulla, Cipro, Guyana, Namibia e Zimbabwe, ora rappresentano oltre un terzo dei volumi che i produttori sperano di sfruttare. Gas serra e temperature record Le cinque maggiori compagnie del settore - Shell, BP, Chevron, ExxonMobil e TotalEnergies - hanno accumulato profitti per oltre 261 miliardi di euro in due anni, secondo un rapporto di Global Witness. Intanto, le emissioni di gas serra del settore energetico, anziché scendere, non fanno che aumentare (+1,1% nel 2023 secondo la Iea) e si assottiglia sempre più il carbon budget, vale a dire la quantità di anidride carbonica che si può immettere in atmosfera prima che il global warming infranga il tetto di 1,5 gradi. E se lo scorso anno è passato agli archivi come il più caldo della storia, il 2024 si candida a batterlo: febbraio 2024 è stato il nono mese consecutivo a superare ogni record per temperature medie di periodo, che negli ultimi 12 mesi sono state di oltre 1,5 gradi più alte rispetto all’era pre-industriale, come rileva l’Osservatorio Ue sul clima, Copernicus. Read the full article
#cambiamentoclimatico#carbonbudget#climatechange#conferenzaonu#Copernicus#GlobalEnergyMonitor#GlobalWitness#Oil&gas#riscaldamentoglobale
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L'Onu chiede il cessate il fuoco a Gaza: è la prima volta
L'Onu chiede il cessate il fuoco a Gaza: è la prima volta. Dopo mesi di stallo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha finalmente approvato una risoluzione che chiede il cessate il fuoco a Gaza. Nel documento, che ha ottenuto 14 voti a favore e l'astensione degli Usa, si chiede “un cessate il fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile e il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell'accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie”. L'adozione è stata salutata con un lungo applauso. Prima del voto, la Russia ha preso la parola per proporre un emendamento e sostituire il termine "durevole" con "permanente" nella frase in cui si chiedeva "un cessate il fuoco immediato per il mese del Ramadan, rispettato da tutte le parti, che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile". Il termine è stato sostituito all'ultimo minuto e secondo l'ambasciatore russo Vassily Nebenzia «annacqua il testo e lascia spazio alle interpretazioni, permettendo a Israele di riprendere le operazioni militari in qualsiasi momento». La richiesta è stata bocciata ma Mosca ha comunque votato a favore della risoluzione. «Il Consiglio di Sicurezza Onu ha appena approvato una risoluzione tanto attesa su Gaza, chiedendo un cessate il fuoco immediato e il rilascio di tutti gli ostaggi. Questa risoluzione deve essere attuata, un fallimento sarebbe imperdonabile». Così il segretario generale Antonio Guterres ha commentato il via libera del Consiglio di Sicurezza alla bozza sulla tregua a Gaza. «L’astensione degli Stati Uniti» al voto della risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza «non cambia la nostra politica». Lo ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, John Kirby, in un briefing con un ristretto gruppo di giornalisti sottolineando che Washington «ha sempre chiesto che il cessate il fuoco fosse legato alla liberazione» degli ostaggi da parte di Hamas. “Israele non cesserà il fuoco. Distruggeremo Hamas e continueremo a combattere finché l'ultimo degli ostaggi non sarà tornato a casa”. Lo ha detto il ministro Esteri israeliano Katz su X, dopo la risoluzione votata all’Onu. «La nostra decisione di astenerci non deve essere percepita come un'escalation da parte di Israele». «Siamo molto delusi». Così Kirby commenta la decisione di Benyamin Netanyahu di non inviare la delegazione israeliana a Washington dopo l'astensione degli Usa all’Onu. Netanyahu ha infatti annullato la partenza per Washington di una delegazione di alto livello israeliana. Lo ha fatto sapere l'ufficio del premier indicando come motivo l'astensione degli Usa all'Onu alla risoluzione su Gaza. Hamas "saluta" la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e sottolinea la sua «disponibilità ad impegnarci in un immediato processo di scambio di prigionieri che porti al rilascio dei prigionieri di entrambe le parti». La possibilità di raggiungere un accordo sul rilascio degli ostaggi e una tregua a Gaza non è così vicino come lascia intendere Israele. Lo hanno fatto sapere fonti di Hamas citate da Haaretz, secondo cui la delegazione che sta trattando a Doha ha trasmesso questo messaggio a Gaza, al leader della fazione Yahya Sinwar, aggiungendo che Israele sta cercando di mettere in stallo e proseguire l'offensiva, inclusa quella a Rafah. https://videopress.com/v/gXIxpK3d ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Una breve riflessione sul comportamento degli USA in questa ennesima guerra in Medio Oriente.
Gli USA stanno facendo quello che viene definito "gioco a due livelli", il perché è molto intuitivo. Se ad un primo livello continuano a cercare di coprire le spalle a Israele e supportarlo (e.g. i veti nel consiglio di sicurezza ONU), comportandosi quindi come sempre; ad un secondo livello invece fanno pressioni su Israele affinché o finisca velocemente questa carneficina oppure la smetta definitivamente. Questo gioco a due livelli permette che Israele non si senta complemento isolata e quindi vada in "berserker" e serve anche come deterrente contro le milizie come Herzbolla per evitare un ingrandimento del conflitto. Questo guardando al primo livello, mentre per quanto riguarda il secondo livello lo si vede nei viaggi e nella postura di Blinken che ha interloquito più con i paese islamici (Qatar in testa) per cercare una soluzione pacifica che con gli alleati come l'Europa o la NATO per fornire supporto a Israele.
Ma in questi giorni stiamo arrivando alla rottura definitiva di questo gioco a due livelli perché la pressione internazionale è così elevata che ora il primo livello del gioco sta vendendo meno e lo si è visto con il botta e risposta tra Biden e Netanyahu (tra ricordiamocelo bene non scorre per niente buon sangue visto che l'ultimo dei ha sempre sostenuto Trump). Questo è rilevante perché Netanyahu e la sua colazione di estrema destra non ha alcuna intenzione di fermarsi ora e sta cercando di addossare la colpa del suo fallimento a Biden, così quanto la pressione internazionale, finalmente, avrà la meglio su Israele e questi si fermerà Netanyahu potrà dire che non ha raggiunto il suo obiettivo per colpa di Biden e non per colpa della sua totale incapacità.
Tutto questo per dire che:
1. Il comportamento di Israele in questa guerra non è degno di una democrazia, ma d'altronde la maggioranza governativa ci ha ben abituati a questo genere di azioni totalmente illegali (penso ai coloni);
2. Gli USA stanno percorrendo un sentiero molto sottile che serve per il mantenere il conflitto geograficamente limitato a Gaza, ma al contempo stanno perdendo sia il consenso internazionale che interno (questo costerà caro a Biden nella prossime elezioni? Può essere). Ma una condanna diretta degli USA contro Israele sarebbe controproducente. Ciò non toglie che dovrebbero fare più pressione sul governo israeliano per arrivare a un cessate il fuoco (magari anche ritardando la vendita di determinati armamenti);
3. A livello di politica interna Netanyahu è praticamente morto e sta cercando di prepararsi a gestire una difficile transizione verso le nuove elezioni (appena finita la guerra) cercando di addossare la colpa del fallimento di questa invasione a Biden;
4. Il piano internazionale di arrivare a una soluzione due popoli due stati sta vendendo minato sia da Netanyahu stesso che non vuole unire Gaza al resto della Palestina sia dalla mancanza di un interlocutore forte in Palestina dove Hamas è quello che è (terroristi) e l'OLP totalmente screditato agli occhi dei palestinesi stessi;
Io sono sempre più convinto che l'unica soluzione non posso che venire dalla società civile israeliana e palestinese e non da qualche consesso internazionale. Serve più supporto ad associazioni come Break the Silence o Standing Together
#non sequitur#conflitto israelo-palestinese#politica internazionale#abbassoilrealismovivailcostruttivismo
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Russia presiede #ConsiglioONU. Zelensky: “#fallimento” #tfnews #2aprile #esteri #ukrainewar #news #ONU #guerranaucrania
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Zelensky, presidenza Mosca a Onu è fallimento istituzione - Europa
Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky ha affermato che la presidenza della Federazione Russa al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che inizia oggi dimostra il “completo fallimento di tali istituzioni”. Lo riporta Unian. “Oggi uno stato terrorista ha cominciato a presiedere il Consiglio di sicurezza Onu. Ieri l’esercito russo ha ucciso un altro bambino ucraino, un bambino di…
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"Schiarita" sul clima. Alla Cop27 un accordo potrebbe arrivare in extremis
“Schiarita” sul clima. Alla Cop27 un accordo potrebbe arrivare in extremis
AGI – Sono ore decisive alla conferenza Onu sul clima, in Egitto. Il vertice – che avrebbe dovuto chiudersi ieri e ha rischiato il fallimento per le profonde divisioni tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri – ora va avanti ma è ancora in stallo, dopo una lunga notte di negoziati tra i delegati dei quasi 200 Paesi presenti. Sembrerebbe che sia stato trovato l’accordo su uno dei punti più importanti,…
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Cop26 a rischio fallimento, Terra verso la catastrofe nell'indifferenza globale e l'opposizione della Cina https://t.co/NOjlplEqc4 #Brasile #Inghilterra #ONU #ONUNazioniUnite #Roma https://t.co/JAcvvdtXfl
— Gay.it (@gayit) Oct 23, 2021
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Allarme Onu, l’accordo sul clima è un totale fallimento
Allarme Onu, l’accordo sul clima è un totale fallimento
I Paesi più attivi nel rispettare gli accordi di Parigi sono ridicolmente lontani dal loro obiettivo. Sono Paesi che, per mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali (obiettivo ottimale dell’Accordo sul clima), dovrebbero tagliare le emissioni di almeno il 45%. Invece, hanno preso impegni per ridurle di appena l’1% rispetto al 2010, entro il 2030. Lo rivela…
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15 ott 2020 15:00
VOLETE RIDERE? LA CINA HA OTTENUTO UN POSTO NEL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI DELL’ONU – UNA DITTATURA CHE FA SPARIRE I DISSIDENTI E INTERNA GLI UIGURI, I TIBETANI E I MONGOLI NEI CAMPI DI “RIEDUCAZIONE” DOVRÀ VIGILARE SUGLI ABUSI DEGLI ALTRI. A CONTENDERE IL POSTO A PECHINO C’ERA L’ARABIA SAUDITA. ANNAMO BENE!
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Carlo Nicolato per “Libero Quotidiano”
La Repubblica Popolare Cinese, oltre a Cuba, la Russia e altri ameni Paesi che non sono certo universalmente riconosciuti per le loro incontestabili tradizioni democratiche, sono tra i nuovi membri eletti nel Consiglio dei diritti umani dell'Onu dall'Assemblea Generale. Il nuovo mandato durerà tre anni e avrà inizio dal primo gennaio del prossimo anno.
Si noti che la Cina l'avrebbe spuntata in un testa a testa agghiacciante sull'Arabia Saudita e che alla fine quest' ultima è stata scartata in quanto ritenuta in un modo o nell'altro responsabile del truculento assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, fatto a pezzi due anni fa nel consolato saudita di Istanbul.
La Cina invece nel frattempo ha fatto sparire qualche blogger e giornalista che denunciava la diffusione del Coronavirus, ha internato centinaia di migliaia di uiguri, di tibetani e di mongoli in campi di rieducazione, ma ancora una volta l'ha fatta franca e dall'alto della sua secolare esperienza avrà il compito di vigilare sul rispetto dei diritti umani degli altri Stati.
SENZA RISPOSTA
Peraltro, come solo una settimana fa ha denunciato l'associazione Chinese Human Right Defenders (Chrd), Pechino non ha ancora risposto ad alcuna delle raccomandazione che la stessa Onu due anni fa aveva avanzato nei suoi confronti proprio relativamente al rispetto dei diritti umani.
Ogni quattro anni infatti gli Stati membri vengono sottoposti a una sorta di test di buona condotta chiamato "Esame periodico universale" del quale si occupa appunto il Consiglio appena rieletto. Nel 2018 il Consiglio ha formulato 346 raccomandazioni per la Cina, cioè 346 punti sul quale Pechino avrebbe dovuto rendere conto e migliorare.
Nel marzo 2019 Xi Jinping ne ha accettate 284. Il Chrd ha concentrato il suo esame su 47 raccomandazioni, le più importanti, che il governo cinese ha dichiarato di aver "già attuato" e su altre 11 che sarebbero in "in corso di attuazione", riguardanti in sostanza la situazione delle donne, delle persone Lgbt, delle minoranze etniche e religiose e dei gruppi emarginati e svantaggiati.
L'indagine ha evidenziato al contrario che la Cina non ha attuato alcuna delle 58 raccomandazioni prese in considerazione e che in gruppi di cui sopra sono stati e sono tuttora sistematicamente discriminati se non perseguitati. La situazione degli uiguri ad esempio è peggiorata sostanzialmente con la costruzione di campi di detenzione e di rieducazione.
La stessa sorte spetta ai tibetani per i quali è in programma perfino la ridistribuzione famigliare nelle altre province del Paese secondo un quadro generale neomaoista di autoproduzione (autarchia) che verrà rilanciato nel prossimo piano quinquennale.
I diritti umani per Pechino sono dunque noiose quisquilie, ma facendo parte ora dello stesso organo che dovrebbe controllarne il rispetto avrà ora buon gioco a evitare che sull'argomento che la riguarda si torni sopra. in brutta compagnia Per assurdo Louis Charbonneau, direttore di Human Rights Watch per l'Onu, ha commentato il risultato delle votazioni per il Consiglio sostenendo che «il fallimento dell'Arabia Saudita nel conquistare un seggio nel Consiglio dei diritti umani è un gradito promemoria della necessità di una maggiore concorrenza nelle elezioni delle Nazioni Unite» e che «se ci fossero stati altri candidati, anche Cina, Cuba e Russia avrebbero potuto perdere».
Come dire che non c'erano alternative e che il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha perso di conseguenza qualsiasi credibilità. Eppure l'Onu rimane convinta che l'elezione «di questi Paesi immeritevoli non impedirà al Consiglio di far luce sugli abusi e di parlare per le vittime», e che anzi, «essendo nel consiglio, questi molestatori saranno direttamente sotto i riflettori».
Quali riflettori? Oltre a Cina, Russia e Cuba il Consiglio dei diritti umani sarà composto da Costa d'Avorio, Gabon, Malawi, Senegal, Nepal, Pakistan, Uzbekistan, Ucraina, Bolivia, Messico, Francia e Gran Bretagna. A parte i due Paesi europei che già hanno qualche fatica ad accusare i cinesi per i troppi interessi economici che li legano a loro, c'è da dubitare che gli altri membri abbiano la forza, l'indipendenza e la limpidità necessaria per dire la loro.
Anzi, Pakistan e Uzbekistan sono costantemente sotto la lente di ingrandimento per le continue violazione dei principi basilari di umanità e almeno il 60% delle nazioni del Consiglio è composto da Paesi che non rispettano gli standard minimi di una democrazia libera. E poi ci si stupisce se l'America di Trump, tenendo presente anche il trattamento sistematicamente riservato a Israele da tale Consiglio, lo abbia definitivamente abbandonato nel 2018.
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Libia, incontro delegazioni militari a Ginevra mentre in Italia si tratta sul rinnovo accordo migranti
La Commissione militare congiunta libica si è riunita a Ginevra, moderatore: direttamente l'inviato speciale Ghassam Salamé. Cinque i rappresentanti del governo di accordo nazionale (GNA) e cinque quelli dell'esercito nazionale libico (LNA). Positivo il commento del presidente dell’Alto Consiglio di Stato Khaled al-Meshri: "la scelta del Consiglio presidenziale di partecipare ai lavori non rappresenta un fallimento nel “respingere l’aggressione”, bensì un tentativo di fermare lo spargimento di sangue e trovare una soluzione pacifica alla crisi libica, chiarendo che l’opzione di un confronto militare è ancora sul tavolo, nel caso il generale Haftar, descritto come “l’aggressore”, continui la sua offensiva e si rifiuti di ritirare e fermare le sue operazioni militari". Nel frattempo in Italia si tratta sull'accordo con la Libia sui migranti Ieri al Viminale l'incontro tra la delegazione italiana, guidata dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e il ministro dell’Interno del governo di accordo nazionale della Libia, Fathi Bashagha. Lamorgese ha ribadito la volontà dell’Italia di collaborare ma ha rimandato per le questioni politiche alle competenze del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e del premier Giuseppe Conte. Tra le problematiche presentate dalla delegazione libica quella degli sfollati per la guerra, circa 300mila. Dopo lo smantellamento di cinque campi per migranti è emersa l’esigenza di riattivarne di nuovi e proprio su questo fronte sono stati chiesti aiuti materiali all’Italia, sebbene le Nazioni Unite abbiano già chiesto la chiusura di tutti i centri mentre nel Gathering Departing and Facility (GDF) le attività dell’UNHCR restano sospese per motivi di sicurezza. Non a caso, su questo punto la ministra Lamorgese ha ribadito la necessità di coinvolgere e coordinarsi con le organizzazioni internazionali. Maggiore impegno all’Italia e all’Europa è stato chiesto anche per quanto riguarda la frontiera sud, quella con il Ciad e il Niger, dove c’è un problema di controllo del territorio. Il ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, ha confermato l’intenzione del Governo italiano di presentare una serie di emendamenti al memorandum d’Intesa firmato con il governo dell’Accordo Nazionale nel febbraio 2017 in materia di contrasto all’immigrazione clandestina e illegale, atti a migliorare i contenuti dell’accordo. Di Maio ha confermato il sostegno del Governo italiano al GNA, il Governo libico riconosciuto dalle risoluzioni Onu. Di Maio ha ribadito “il massimo impegno dell’Italia per una soluzione politica della crisi libica, a partire dalla piena attuazione degli esiti della Conferenza di Berlino. Ribadiamo il nostro appello affinche’ la tregua venga effettivamente rispettata e le parti si impegnino lungo il percorso politico tracciato a Berlino. L’Italia parteciperà alla prima riunione ministeriale dell’International Follow-up Committee a Monaco di Baviera ed e’ pronta a fare la sua parte e ospitare la successiva riunione a livello tecnico”. Il Ministro degli Affari Esteri italiano ha annunciato la partecipazione del suo Paese alla prima riunione ministeriale del Comitato internazionale di follow-up della Conferenza di Berlino, che si terrà a Monaco di Baviera, in Germania, a metà marzo prossimo, esprimendo la disponibilità dell’Italia a “svolgere il proprio ruolo e ospitare la prossima riunione a livello tecnico”. Read the full article
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è non è - Niccolò Fabi - Video
Circa 9 anni fa divenni Grande Capo Onu …
Se Clinton mi metteva nello schema come erano le regole le tenebre mi liberavano …
Si rifiuto e distrusse lo schema cospargendo la terra di sangue …
Qualche anno dopo generarono lo schema del nuovo mondo o nuova era …
Quasi tutto il mondo giuro lo schema del bene con me capo …
I tiranni “Resto del Mondo” giurarono lo schema del male “tenebre” con Clinton capo …
A pasqua lo schema mi ha liberato ma Clinton si opponeva per regole della terra …
Ieri ho spiegato quali regole erano …
Ora tutti i capi di stato che giurarono lo schema delle tenebre sono ostaggi di esse e Clinton è il capo …
Questo è il motivo del fallimento finale dei tiranni …
Oggi se per l’ora concordata non mi liberano per regole i miei possono liberarmi.
Quello che sta avvenendo è perché deve dimostrare a tutto il mondo che non si è arresa secondo le sue teorie cosi diventa lei il Re del Mondo.
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Giro di vite sui migranti. Il progetto di legge da parte di Londra
Giro di vite sui migranti. Il progetto di legge da parte di Londra Il governo conservatore britannico di Rishi Sunak si prepara a indurire ulteriormente il promesso giro di vite post Brexit contro gli sbarchi di "clandestini" attraverso la Manica -giunti a livelli record nel 2022 - nell'ambito del progetto di legge introdotto in Parlamento nelle scorse settimane. Lo anticipano i media del Regno Unito, evocando l'intenzione d'inserire nel testo - al prossimo passaggio alla Camera dei Comuni - un emendamento che mirerebbe ad attribuire al ministero dell'Interno il potere di non attendere e ignorare in certe circostanze il parere dei giudici, in particolare di quelli della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, in caso di ricorsi in extremis contro provvedimenti di rimpatrio o espulsione di migranti già autorizzati in prima istanza da organi di giustizia nazionali. L'emendamento rappresenterebbe una concessione nei confronti dei deputati dell'ala più oltranzista della maggioranza Tory che chiedono garanzie concrete sull'efficacia delle misure annunciate dopo il fallimento o lo stallo di varie iniziative recenti, inclusa quella, assai controversa, relativa al progetto di trasferire a pagamento in Paesi come il Ruanda immigrati in attesa di risposte a domande d'asilo nel Regno. La stretta contro il traffico di migranti verso l'isola, alimentato soprattutto dal viavai con le coste della Francia di piccole imbarcazioni gestite da gruppi organizzati di scafisti, albanesi in primis negli ultimi tempi, secondo le autorità, è oggetto da mesi di annunci e polemiche. L'ultima versione del disegno di legge presentato da Sunak e dalla sua ministra dell'Interno ultrà, Suella Braverman, è stata criticata fra gli altri da opposizioni, ong e attivisti; nonché dall'alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), che l'ha bollata di fatto come una minaccia d'abolizione del diritto d'asilo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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