#storia della medicina
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Dalla scienza al quotidiano: la delusione di Pietro Luigi Garavelli tra ricerca e quotidianità
Il medico e ricercatore riflette sulla difficoltà di portare avanti progetti culturali e scientifici fuori dal contesto accademico
Il medico e ricercatore riflette sulla difficoltà di portare avanti progetti culturali e scientifici fuori dal contesto accademico. Pietro Luigi Garavelli, medico e ricercatore di lungo corso, racconta con amarezza le sfide affrontate nel passaggio dalla dimensione scientifica accademica a quella della quotidianità. Con oltre quarant’anni di attività clinica e didattica, e una carriera coronata…
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Salerno di nuovo capitale dell'arte di Esculapio: dal 9 al 12 ottobre il congresso internazionale di Storia della medicina
Salerno di nuovo capitale dell'arte di Esculapio: dal 9 al 12 ottobre il congresso internazionale di Storia della medicina
Redazione Si svolgerà a Salerno, dal 9 al 12 ottobre prossimi, il 49° Congresso della Società di Storia Internazionale della Medicina, che si tiene in Italia solo per la quinta volta. La città della Schola Medica, considerata la prima della civiltà occidentale, nata dall’incontro tra saperi scientifici di diversa estrazione geografica e culturale, ospiterà relazioni, letture magistrali, poster e…
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PRIMA PAGINA Il T di Oggi giovedì, 24 ottobre 2024
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Ti sia l’alimento farmaco
Anoressia, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata: medici e nutrizionisti ne parlano con le scuole al convegno Ti sia l’alimento farmaco CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Ti sia l’alimento farmaco: un focus sui problemi dell’alimentazione per sensibilizzare i più giovani ad un corretto stile di vita e ad una dieta sana che si svolgerà martedì 12 marzo a partire dalle ore 10,…
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Questo libro è la PIETRA TOMBALE DEL WOKISMO, generalizzazione del WHITE GUILT. Hic et nunc. Non l'ha scritto Cruciani o Sallusti o Feltri ma Federico Rampini, un like a boss in posti wokissimi come Repubblica, Corriere, Sole24Ore. Cari Post e HuffPost, siete solo retroguardia che difende truppe in rotta, in una terra oimé devastata (cfr. post precedente sui danni del sinistrismo sinistrato passive aggressive inculcato nelle masse).
"È ora che qualcuno lo dica: «Grazie, Occidente!». Tutto il bene che abbiamo fatto, a noi stessi e agli altri, è il supremo tabù di questa epoca.
Nelle scuole non si insegna più la storia vera del progresso, che è nato a casa nostra e dove ha avuto un ruolo anche l'Italia. Invece nelle piazze e nella cultura contemporanea siamo sotto un processo permanente. È ora di ribellarsi, in nome della verità. Cinesi o indiani, brasiliani o africani, il mondo è popolato da miliardi di persone che devono la loro stessa esistenza... a noi.
La scienza occidentale, pensiamo alla nostra medicina e alla nostra agronomia, è stata copiata e applicata dal resto dell'umanità con benefici immensi. Se la longevità è aumentata, la mortalità infantile è crollata, il livello d'istruzione è cresciuto nel mondo intero, è perché l'Occidente ha esportato progresso.
Dove si combatte per migliorare i diritti umani - per esempio la condizione della donna - il paradigma da emulare siamo noi.
Il nostro modello industriale ha sollevato dalla miseria grandi nazioni. La sfida per un'economia più sostenibile e per decarbonizzare l'ambiente sarà vinta grazie alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica dell'Occidente.
Il conformismo dominante impone una versione bugiarda della storia, in cui la «razza bianca», europea o nordamericana, ha seminato solo distruzione, oppressione, sofferenze. L'idea stessa di progresso è disprezzata, siamo sottoposti a un lavaggio del cervello quotidiano per inculcare la certezza che l'Apocalisse è dietro l'angolo (per colpa nostra).
Perché la Cina e l'Iran oggi si definiscono «repubbliche», un concetto che non esiste in Confucio o nel Corano? Una lezione di onestà storica è urgente per le nuove generazioni, aiuta a ricostruire la nostra autostima e a vedere il futuro con più fiducia.
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Sarò per te l’aria
Non accetterò da te nulla di meno che la tua anima tutta intera e la tua vita fino all’ultimo giorno. Questo è un contratto d’amore, caro mio. Dovrò essere per il tuo cuore il sommo sacrificio. Io sarò la Dea tua: non avrai altra donna all’infuori di me. Amami e inizia immediatamente: da stasera. Dovrai sudare sale e amore da tutti i pori. Ogni giorno, anche in inverno. Dovrò vederne sulla tua pelle le tracce e annusarne l’odore.
E te le bacerò. Ti leccherò ogni sera col gusto della passione più oscena. Le mie labbra saranno per te l’unica medicina. Non penserai ad assaggiare altro seno che non sia il mio. Le tue mani dovranno avere una continua sete delle mie curve e la tua bocca una fame insaziabile dei miei baci. Perché l'appetito di chi ama non si placa di certo e io non sarò mai un antipasto: sappilo. Dopo di me, per te ci sarà solo ancora altra fame.
Del mio corpo. E poi nulla avrà più vera importanza, per la tua anima. Sarò dura o tenera, comunque molto esigente. Diventerò la carceriera inflessibile del tuo tempo e quindi sequestrerò, senza avere nessuna pietà, tutti i tuoi desideri e gli altri tuoi passatempi segreti. Il tuo sguardo infine continuerà a osservare il mondo, perché sei sicuramente un uomo libero, ma ovunque da domani vedrà e cercherà solo il mio riflesso.
Perché la tua testa sarà orientata sempre verso il nord che io rappresenterò, per te. Il profumo e la voglia delle mie gambe, delle mie natiche di marmo e delle mie spalle faranno camminare la tua vita. Vedrai. Sentirai il dolore insistente della corda rappresentata dalla nostra storia e attaccata direttamente al tuo ombelico. Ma non vorrai mai sciogliere quel semplice nodo. Sarò spesso anche cattiva; crudele, a volte.
Però sono onesta: da parte mia sul contratto non c’è nessuna postilla, nessuna clausola vessatoria, nessun trucco capestro. T’ho spiegato tutto. Se firmi, imbroccherai questa via da volontario. Ma per parte tua sappi sin da ora che non c’è nessuna futura, possibile scappatoia. Mi amerai. Molto e sarà una dipendenza totale. Mi spiace un po’. O forse no, ma comunque dopo stasera se accetti senza di me la tua vita non avrà più senso alcuno.
Se sei d’accordo su tutto, adesso firma sulla mia pelle. Fallo con una teoria di baci che parte dai miei piedi e arriva fino alla mia bocca, naturale tuo approdo. Dock station per ricaricare il sentimento. Fallo adesso. L’inchiostro virtuale sarà il nostro sangue che scorre. Io mi fiderò della tua parola. E della tua fame d’amore e passione per me. Adesso inspira, respirami, assapora le mie parole, lascia che io ti ami a mia volta e inizi a darti un piacere che non hai mai conosciuto sino a oggi, fidati.
RDA
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TEATRO DI TINDARI
“Le parole son medicina all’anima che soffre” questo dice Eschilo nel Prometeo Incatenato e questo piccolo teatro di Tindari, ne è la prova. Adagiato sul promontorio dove il tempio d’Apollo è stato sostituito da un veneratissimo santuario, il teatro, circondato da ulivi e fichidindia, con i suoi duemila anni di storia, osserva il mare e le lontane Eolie, ospitando ancora concerti e opere teatrali. La sua immortale presenza custodisce ancora la Parola, la porta con cui l’anima degli uomini si apre al mondo, quella Parola che forma il Dire, che narra, istruisce, stupisce a affascina. Ancora qui a Tindari, il cielo ascolta e il mare accoglie il Dire degli uomini, perché questo luogo, con il frusciare degli ulivi e il cantare delle cicale, è la cornice in cui la Parola diventa Verso, per far fiorire il Dire, così che possa trovare la cornice dell’eternità in cui riassumersi e non restare solo un suono, un’immagine. Qui la Parola diventa vita, descrive il divenire dell’uomo che malgrado le sue barbarie e abbruttimenti, in essa ritrova quel Verbo che era nel principio dell’universo. Chiamatelo pure un teatro, anzi: un piccolo teatro. In realtà esso è un nido dove l’essenza dell’uomo, le sue paure, i suoi sogni, le sue illusioni e speranze, i suoi dolori ed amori, spiccano il volo e raggiungono il cuore di altri uomini e li, la Parola, semina suggestioni, emozioni che li rende coscienti della loro umanità e diventando così, inevitabilmente, migliori.
“Words are medicine for the suffering soul” says Aeschylus in Prometheus Bound and this small theatre in Tindari is proof of this. Nestled on the promontory where the temple of Apollo has been replaced by a venerated sanctuary, the theatre, surrounded by olive trees and prickly pears, with its two thousand years of history, looks out over the sea and the distant Aeolian Islands, still hosting concerts and plays. Its immortal presence still guards the Word, the door with which the soul of men opens to the world, that Word that forms the Saying, that narrates, instructs, amazes and fascinates. Still here in Tindari, the sky listens and the sea welcomes the Saying of men, because this place, with the rustling of the olive trees and the singing of the cicadas, is the frame in which the Word becomes Verse, to make the Saying flourish, so that it can find the frame of eternity in which to summarize itself and not remain just a sound, an image. Here the Word becomes life, describes the becoming of man who despite his barbarity and brutality, finds in it that Word that was in the beginning of the universe. Call it a theater, or rather: a small theater. In reality it is a nest where the essence of man, his fears, his dreams, his illusions and hopes, his pains and loves, take flight and reach the hearts of other men and there, the Word, sows suggestions, emotions that make them aware of their humanity and thus becoming, inevitably, better.
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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Marx, Darwin, Freud e la perdita del libero arbitrio
Una delle più nefaste caratteristiche del mondo moderno è la perdita totale del concetto di libero arbitrio. Non è un caso che i principali agenti della sovversione tale concetto lo abbiano osteggiato, se pur da diverse angolazioni.
I protestanti: non conta il libero arbitrio, perché ogni uomo già dalla nascita è predestinato da Dio al paradiso o alla dannazione
Marx: la storia è lotta di classe. Ogni azione del singolo o di una categoria non è dettata dalla sua scelta libera, ma dalla società
Darwin: la storia umana è evoluzione casuale. A determinare le qualità degli enti è l’aggregazione casuale di atomi
Freud: i problemi di un adulto sono dettati esclusivamente da complessi di natura sessuale dettati da un cattivo rapporto con la madre, se maschio, col padre, se femmina
Da ciò cosa deduciamo? Che qualsiasi ideologia materialista non possa che condurre all’assenza della libertà, in quanto, essendo questa figlia della conoscenza, nel momento in cui la conoscenza manca, le vie dell’uomo non saranno dettate da come egli si rapporta alla realtà ma dalla materia e dalle sue sovrastrutture.
Per fare un esempio esplicativo, ci si chieda: perché un medico sia libero di curare il proprio paziente, di cosa ha bisogno? Della conoscenza della medicina, della conoscenza del morbo del proprio paziente e degli strumenti idonei a curarlo. Nel momento in cui tutto ciò mancasse, egli sarebbe libero di compiere il proprio dovere. Evidentemente no. Ma, se pur disponendo di queste competenze, decidesse di attuare condotte che portano alla morte del paziente, commetterebbe un’azione empia e in piena libertà. Il fatto che costui durante l’infanzia possa aver subito un trauma per colpa dei propri genitori, che effetto ha sulla sua decisione? Nessuno. Una colpa grave non giustifica o annulla l’altra, finché vi è la capacità di scegliere.
È quindi chiaro che dove manca conoscenza e le gerarchie conseguenti, la libertà è inattuabile. E chi di ciò è consapevole deve perciò far tutto ciò che è possibile perché a comandare tornino i veri valori. Chi è nemico di ogni visione spirituale cerca costantemente di minare il principio di libero arbitrio con i più squallidi mezzi.
-Ferdinando Viola
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Tanto per non farci mancare niente, ora ci mettiamo pure le malattie autoimmuni letali. Prima di tutto però voglio dire che è una condizione rara, quindi non andate subito in panico. Detto questo, spieghiamo - per come l'ho capita io - che cacchio hanno trovato. La prendo larga.
Esistono diversi meccanismi di difesa contro i patogeni, il più famoso è il sistema immunitario. Esiste anche un sistema di difesa sviluppato dalle singole cellule e quasi esclusivo della lotta contro i virus: l'interferone. Senza entrare nei dettagli dei vari tipi di interferone e di come agisca, il punto saliente è che viene stimolato dalla presenza di un doppio filamento di RNA nel citoplasma. Non è normale avere un doppio filamento di RNA nel citoplasma, generalmente è un filamento singolo che viene riconosciuto dai ribosomi e viene degradato subito dopo aver fatto da modello per la traduzione delle proteine. Molti virus - tra cui SARS-CoV-2 - nel loro ciclo vitale hanno un momento in cui producono un RNA a doppio filamento, e questo fa da trigger per la sintesi di interferone.
Come lo fa? Nella cellula esiste una famiglia di molecole chiamata RLRs che lega l'RNA estraneo (doppio filamento o singolo con alcune caratteristiche precise). Il legame di queste molecole con l'RNA estraneo scatena una cascata di segnale (una serie di reazioni chimiche) che porta alla sintesi di interferone.
Una delle RLRs è la MDA5, che è la protagonista della nostra storia. Esiste infatti una malattia rara, chiamata dermatomiosite, che è una malattia autoimmune in cui gli anticorpi del corpo se la prendono contro la MDA5. Il risultato è una malattia che può manifestarsi in diversi distretti corporei: spesso è cutanea, ma a volte può portare disturbi anche più fastidiosi come fatica e spossatezza ma senza danneggiamento dei muscoli: ecco perché si chiama anche dermatomiosite amiopatica.
Ecco, il punto è che si è scoperto che l'infezione da SARS-CoV-2 può portare, in rari casi, allo sviluppo di una malattia analoga alla dermatomiosite, ma che colpisce i polmoni e risulta essere quindi spesso fatale. L'hanno chiamata MIP-C: MDA5-autoimmunity and Interstitial Pneumonitis Contemporaneous with COVID-19 ovvero: una malattia autoimmune contro MDA5, la dermatomiosite di prima, localizzata nei polmoni e causata dalla CoViD-19.
SARS-CoV-2 stimola, con il suo RNA, MDA5, ma per qualche motivo stimola anche la creazione di anticorpi contro quella molecola. Non è una cosa nuova in generale, si chiama cross-reazione, e a volte succede di vedere che un patogeno stimola una risposta immunitaria contro di sé ma anche contro molecole simili ai suoi bersagli molecolari ma del tutto innocue, anzi utili all'organismo. È una delle cause dell'artrite reumatoide.
Perché? Nelle discussioni dell'articolo (qui il pdf) si fa riferimento al fatto che nei linfonodi l'attivazione di MDA5 può portare anche all'attivazione di alcuni tipi di linfociti, e questo può portare a reazioni autoimmuni. Dato che questi ricercatori hanno dimostrato che questa cosa è causata dall'RNA del virus, non possono escludere che sia anche un possibile - e finora sconosciuto - effetto collaterale anche dei vaccini.
Our finding incriminate MDA5 protein activation, whether linked to natural infection, or vaccination or potentially both as a trigger for MIP-C and that MDA5-mediated sensing (and mounting of an immunophenotype that is comprised of type 1 interferonopathy and antigen-specific CD8+ T cell responses; elaborated below) is a distinct trigger in MIP-C.
Staremo a vedere come si evolve la situazione. Al momento, non ci sono allarmi riguardanti la MIP-C legati alle vaccinazioni, anche perché - a logica - direi che è molto più facile trovare il virus nei linfonodi piuttosto che il vaccino inoculato per via intramuscolare.
Rimaniamo con le antenne dritte.
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AUMENTANO GLI HABITAT PROTETTI IN NORDAMERICA
Il 2 maggio 2024 il presidente degli Stati Uniti d’America Biden ha ampliato l’area del San Gabriel Mountains National Monument: 105mila acri in più per proteggerne la storia culturale, le caratteristiche geologiche e la diversità ecologica. San Gabriel Mountains è infatti stato designato monumento nel 2014 dall’allora Presidente Obama per preservarne l’ecosistema minacciato dal turismo di massa. L’espansione proteggerà Bear Divide, un canyon su una cresta in California che viene utilizzato dagli uccelli migratori mentre si dirigono dall’America Centrale verso l’Artico. Preserverà l’habitat per gli orsi neri, i leoni di montagna, i coyote e i cervi muli, insieme a specie rare e in via di estinzione, tra cui la pecora bighorn di Nelson, le rane di montagna dalle zampe gialle.
Negli Stati Uniti i Monumenti nazionali vengono istituiti direttamente dal presidente degli Stati Uniti d’America; il primo monumento nazionale dichiarato fu la Torre del Diavolo per opera di Theodore Roosevelt nel 1906 attraverso l’Antiquities Act, la legge che fornisce una protezione giuridica per le risorse culturali e naturali di interesse storico o scientifico sui terreni federali. L’area di San Gabriel Mountain non è solo importante dal punto di vista della biodiversità ma è anche patria di diverse culture indigene. Per migliaia di anni popoli come i Kizh, i Tongva, i Chumash Kitanemuk, Serrano e i Tataviam hanno vissuto in questa zona. Oggi i loro discendenti continuano a utilizzare l’area per scopi cerimoniali e per la raccolta di piante tradizionali importanti per la lavorazione del vimini, il cibo e la medicina.
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Fonte: US Forest Service; foto di Pexels
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Cesare Lombroso: Uno sguardo sul male attraverso l’opera di Paolo Mazzarello
La presentazione del libro “Il darwinista infedele” offre un nuovo punto di vista su uno dei più controversi scienziati italiani.
La presentazione del libro “Il darwinista infedele” offre un nuovo punto di vista su uno dei più controversi scienziati italiani. Il 24 ottobre 2024, presso la Biblioteca comunale “Roberto Allegri” di Serravalle Scrivia, verrà presentato il nuovo libro di Paolo Mazzarello, “Il darwinista infedele. Lombroso e l’evoluzione”. L’evento, organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di…
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Firenze / La storia della formazione medico-chirurgica nei codici e negli antichi libri della Biblioteca Laurenziana
Firenze / La storia della formazione medico-chirurgica nei codici e negli antichi libri della Biblioteca Laurenziana
Redazione “Edocēre medicos. Storia della formazione medico-chirurgica a Firenze” è il titolo della mostra ospitata dalla Biblioteca Medicea Laurenziana per il centenario dell’Ateneo fiorentino e a cento anni dall’ingresso dei primi pazienti nell’Ospedale di Careggi. È stata realizzata dal Sistema Bibliotecario di Ateneo, con la Scuola di Scienze della salute umana e i suoi Dipartimenti, insieme…
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#Biblioteca Biomedica dell&039;Università di Firenze#Biblioteca Medicea Laurenziana#Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze#codici#codici manoscritti#codici miniati#Donatella Lippi#firenze#Francesca Gallori#Giulio Chiarugi#manoscritti#medicina#mostre#Museo Galileo#Simona De Lucchi#storia della medicina#Università di Firenze
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Uccidiamo per divertirci, uccidiamo per mangiare.
Uccidiamo per fare soldi, uccidiamo per sciupare.
Uccidiamo per vestirci, uccidiamo per noia.
Uccidiamo per credenze religiose, uccidiamo per volontà inesistenti.
Uccidiamo per la medicina, uccidiamo in nome della scienza.
Uccidiamo per fare trofei, uccidiamo per riempire gabbie.
Uccidiamo per il puro gusto di farlo, uccidiamo per torturare,
uccidiamo senza sapere il motivo.
Abbiamo sempre ucciso sin dalla prima impronta sulla Terra.
Se c'è un verbo che accomuna tutta l'umanità, la storia che ci appartiene ad ogni angolo del Pianeta, questo è uccidere.
Un gruccione abbattuto da un cacciatore e lasciato al suolo.
Ugo Bettio 🌻
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Il mio omaggio a #Outlander
Ho finito Outlander, non ne avrò più di nuovo fino a Novembre, oltretutto è finito su un cliffhanger devastante, e io in questo momento, in preda a una vera e propria sensazione di astinenza come mi era successa soltanto con qualche libro da giovane, vorrei potermi smemorizzare come un hard disk.
Invidio chiunque di voi là fuori, anime affini, che non l’abbia ancora visto.
Probabilmente non è pane per i denti di tutti - ad esempio per me la scintilla non è mai scattata con Game of Thrones, e nemmeno con quel freddissimo capolavoro di Boardwalk Empire, per citare alcune serie che scaldano il cuore dei più ma non il mio- ma se amerete Outlander come l’ho amato io in questo mese, in cui mi ha tenuta calda la sera prima di dormire, come avevano potuto fare soltanto i libri della mia infanzia, state per godervi una delle storie più appassionanti degli anni duemila.
Claire (pure il nome!), infermiera militare britannica reduce di guerra, abituata agli orrori dell’ultimo conflitto mondiale sui fronti orientali e africani e nelle retrovie del D-Day, nel 1945, mentre tutti festeggiano la vittoria, è già straniera in patria e nel suo stesso mondo interiore.
Irrequieta e vivacissima, intelligente e piena di bontà, ormai cambiata dal dolore e segretamente colpita da stress post traumatico che si manifesta soprattutto con i forti rumori, Claire non ha più confidenza con il marito Frank, anche lui militare britannico dopo tanta guerra e tanta lontananza.
I due decidono, per cercare di salvare il proprio matrimonio, di passare una “seconda luna di miele” in Scozia, in una vacanza nei pressi del borgo medievale di Inverness, sulle montagne del nord del paese, per tornare a riconoscersi.
Qui Claire, durante una passeggiata solitaria per raccogliere alcuni fiori, viene attratta come da una calamita da un antico cerchio di pietre su un colle, dove la notte precedente lei e suo marito, storico militare, avevano assistito a una danza di un gruppo di persone del luogo che avevano salutato l’alba con un rito druidico.
Claire non lo sa, ma è una “viaggiatrice”: la storia non lo spiega ma qualche rara persona, forse per un retaggio magico e soprannaturale, per qualche lascito genetico extraterrestre o fatto della stessa essenza della Scozia immortale, può entrare in una sorta di risonanza con certi cerchi di pietre che sono veri e propri portali verso il passato.
A Craigh na Dun, nel cerchio di pietre, Claire, ipnotizzata dal loro canto, che solo lei può sentire, si appoggia ad una di esse e improvvisamente viene catapultata indietro di 200 anni, nel bel mezzo delle guerre tra Inghilterra e Scozia per la successione confessionale del trono tra Stuart e Hannover (gli odierni Windsor).
Da questo inizio sorprendente parte un’avventura alla “Angelica” che attraversa quarant’anni di storia europea e americana, vista attraverso gli occhi puri di Claire, eroina indomita e indimenticabile, pronta ad attraversare tempo e spazio per restare fedele al suo cuore e a quella che è, sempre in dubbio se poter cambiare la storia che lei conosce, o lasciare che le cose (e il dolore che ne deriva) facciano il loro corso ineluttabile.
Outlander è una storia indefinibile, non bene inquadrabile e molto originale, nessuno aveva mai pensato di ambientare un’opera sostanzialmente di fantascienza classica (c’è tutto Herbert G.Wells) nell’ambito delle guerre continentali tra settecento e primi dell’Ottocento, rappresentate come in un romanzo storico più che in un romance di costume e in costume.
L’originalità è la pausa di vent’anni tra i due ritorni “al passato” con la protagonista che si laurea in medicina, diventa un abile chirurgo, cresce la figlia e vive sostanzialmente una vita dissociata (lei è *sempre* straniera, “outlander”, “sassenach”, ovunque e in qualsiasi tempo si trovi) nella Boston della Golden age del secondo dopoguerra, poi torna dal suo grande amore, il buio e violento, e insieme tenerissimo Highlander Jamie nel settecento, ma vent’anni dopo, ed entrambi hanno già qualche filo grigio tra i capelli.
Si tratta di una rivisitazione elegantissima del classico romanzo d’appendice, ma di una qualità stellare.
Con momenti anche di stanca (avrei evitato sia la storia del pirata nella quinta stagione sia quella dello stupro di gruppo, c’è qualche scena d’amore sessuale di troppo per i miei gusti, io sono per il vedo non vedo), ma anche momenti di poesia purissima - l’episodio dello schiavo nella piantagione americana salvato da Claire soltanto per poi doverlo poi consegnare, il vecchio crudele abbandonato nella cabina dalla sua moglie bambina; le prime stagioni (meravigliose) che vedono “in diretta” la fine di un mondo ancora quasi medievale come quello delle highlands, in cui si usavano ancora le spade seicentesche di Toledo, per forza di quelli (gli inglesi) che erano a tutti gli effetti degli oppressori, le scene di battaglia nel nuovo mondo e tutto il filone sulla rivoluzione americana, le scene caraibiche degne di Stevenson e i suoi tesori nascosti, le traversate degne di Patrick O’Brian se non di Conrad, il mistero delle pietre e il “rumore” che sentono soltanto “i viaggiatori”, il personaggio struggente di Lord John, capo militare inglese, nobilissimo e puro di cuore, che amerà e rispetterà Jamie per tutta la vita sapendo di non poterlo mai avere, la potenza della medicina del novecento che deve districarsi nel segreto tra le superstizioni del settecento (Claire, medico del novecento, rischierà più volte di finire al rogo come strega)… come sempre non è quello che si prende dall’immaginario collettivo ma è dove lo si porti, come dice Jodorowsky. E in questo Ronald Moore (Battlestar Galactica) e Toni Graphia (Dr.Quinn, Medicine Woman) sono maestri.
Elegantissimo pastiche (polpettone? Polpettone sia), Outlander per me resta una delle cose più belle di sempre, degna dei miei libri di bambina, e del ricordo della mia mamma che per prima me li ha messi in mano.
Anche solo per quanto questa storia straordinaria mi abbia fatto pensare a lei, ne è valsa davvero la pena.
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CHURNALISM 🌺🌺🌺
"Churnalism" è un termine peggiorativo per una forma di giornalismo in cui, invece di riportare notizie originali, si riciccia materiale preconfezionato come comunicati stampa o storie fornite dalle agenzie di stampa. Il "churnalism" riduce i costi, la raccolta di notizie originali e il controllo delle fonti. L'origine della parola sarebbe una combinazione di "churn" (ovvero "agitare", "rimestare") e "journalism" (https://en.wikipedia.org/wiki/Churnalism).
Il sito web di Sensible Medicine ha dedicato molteplici pezzi al "churnalism" nella medicina e nella scienza, definendolo come "il resoconto negligente e privo di curiosità di una ricerca biomedica mal condotta. Il churnalismo scambia la vera storia – perché uno studio non è importante o dimostra qualcosa di diverso da quanto sostiene – con un titolo facile." (https://www.adamcifu.com/churnalism). Secondo un recente post del blog di Sensible Medicine (https://www.sensible-med.com/p/churnalism-on-npr), i "sette peccati capitali" del "churnalism" in medicina sono:
1. Dare per scontata la causalità quando uno studio mostrasse solo un’associazione;
2. Estrapolaee e generalizzare senza scrupoli e cautele;
3. Ignorare i fattori di confondimento o di selezione;
4. Non valutare se l’affermazione di un medico o di un ricercatore sia plausibile prima di riportarla tal quale;
5. Usare la “manovra di disclaimer e pivot” – in cui un autore afferma qualcosa del tipo: “Naturalmente questo risultato potrebbe rappresentare solo un’associazione e non una causalità” prima di spendere i successivi otto paragrafi assumendo la causalità;
6. Ignorare l'esistenza di un mondo di ricerche, pubblicate, non pubblicate o “annullate” che potrebbero mettere in discussione la loro tesi;
7. Soprattutto, non manifestare mai alcuna curiosità.
Per combattere questa deriva e i suoi rischi, Sensible Medicine raccomanda di riflettere sempre profondamente su ciò che si sta riportando e cercare punti di vista alternativi, capire che, sebbene lo studio non riesca a mostrare ciò che sostiene l’autore, la ricerca ci dice qualcosa che vale la pena discutere, e promuovere sempre una ricca e vivace discussione.
Giorgio Bianchi
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