#purtroppo era vero
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Mi sono impegnata così tanto per scrivere quel messaggio su Idealista che davvero non merito che 'sta cavolo di Marta mi visualizzi senza rispondere! Su Idealista! Voglio direeee questo no non lo posso accettare
#anche perché mi sono fissata troppo con quella stanza#sembra perfetta#eccetto per il fatto che non c'è nessun cane nell'appartamento#che in realtà è una mancanza enorme#però purtroppo è proprio vero che non si può avere tutto ecco#(p.s. sono ben consapevole che non ricevere risposte du Idealista è estremamente comune ma#A. non significa che mi stia bene e B. l'annuncio era stato caricato da pochissimo dai dhn)
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Era l’anno del mio diploma

Avevo compiuto diciotto anni a novembre e circa un mese dopo, dalla Francia venne a darci una mano in casa Claudine, un’amica d’infanzia di mia madre Margot e sua compagna di liceo. Una donna di poco sopra i quaranta, come mamma appunto. Lei era piccolina, ma perfetta. Molto proporzionata. Una francesina bella, pulita, colta e piena di fascino. A differenza di mamma, che s’era sposata giovanissima ed era venuta subito in Italia, lei invece era convolata a nozze un po' più tardi, ma purtroppo era rimasta vedova pochi anni dopo il matrimonio, a causa di un incidente stradale in cui era rimasto coinvolto il marito. S'era trovata per questo, dopo neppure un anno, completamente a terra economicamente. Pur se laureata in lettere moderne, appena sposata avevano deciso di comune accordo col marito che lei avrebbe lasciato l’insegnamento, si sarebbe occupata della casa e avrebbero subito messo al mondo dei figli, che però non fecero a tempo ad arrivare.

Per cui erano ormai già diversi anni che campava di stenti arrangiandosi e che soffriva da morire nel sentirsi sempre poco considerata, dovendo svolgere tutti i lavori più umili pur di sopravvivere. Per giunta, non riusciva a tenersi un lavoro per più di qualche mese. Infatti essendo veramente una bella donna, peraltro vedova e bisognosa, doveva regolarmente respingere le avances aggressive dei vari datori di lavoro. Che si sentivano in diritto di approfittarsene. Per questo, doveva ricominciare ogni volta daccapo a cercare. Con mamma comunque si era sempre tenuta in contatto. Dopo tanto tempo di continua e ininterrotta consuetudine, ebbe un chiarimento finale e risolutivo con mamma via e-mail. Aveva sempre rifiutato l’aiuto che mamma Margot le offriva, ma dopo l’ultimo scambio, evidentemente esasperata e stanca, accettò senza più esitare l’offerta genuina dei miei genitori di poter venire in Italia a casa nostra: un po’ colf, un po’ dama di compagnia e infine, visto l’approcciarsi del mio Esame di Stato, anche quale mia temporanea istitutrice. Arrivò e passò finalmente un Natale sereno con noi. Forse il primo, dopo tanto tempo.

Mio padre è un capace industriale. Mia madre invece è un’insegnante. Di francese, ovviamente. In famiglia abbiamo un discreto agio. Le due donne avevano ritrovato l’antica, intima confidenza e Claudine finalmente era tornata rilassata. Quando sorrideva, illuminava la stanza. Margot passava alla sua amica del cuore un sacco di suoi vestiti ancora nuovi; uscivano spesso insieme per la spesa o per un caffè. Claudine percepiva un regolare stipendio, oltre ad alloggiare e mangiare con noi. Intanto, i miei si ingegnavano per trovarle una sistemazione dignitosa, un vero lavoro. Ma senza troppa fretta, perché intanto in casa si respirava un’aria di novità e maggior serenità. Poi, lei aveva anche questo compito di aiutarmi al pomeriggio coi compiti e guidarmi verso l’esame di stato che ci sarebbe stato di lì a pochi mesi. Era veramente uno spettacolo di femmina: intelligente, spiritosa ed effettivamente sotto la sua guida, per me era divenuto un vero piacere studiare, ripassare e organizzarmi per bene le materie e le interrogazioni.

Prendemmo subito molta confidenza. Io capìì subito che lei era solo un’anima bisognosa di tanto affetto e aveva necessità di tornare a essere finalmente riconosciuta e apprezzata: soprattutto come donna. Gradiva di sicuro essere corteggiata, ma anche rispettata, considerata nei suoi valori. Però intuivo come dentro bramasse essere desiderata, oggetto di genuina passione. Io per parte mia le morivo letteralmente dietro. Sbavavo. Con assoluta discrezione, ovviamente. Nel correggermi i compiti, lei si alzava dalla normale posizione al tavolo ‘a squadra’, avvicinava la sua sedia alla mia e mi si metteva di fianco, sullo stesso lato. Ero letteralmente stordito e rapito dal suo profumo, dal suo fascino di donna matura e sensuale. Diffondeva inconsapevolmente bellezza ed erotismo tutt’attorno a sé. Io ero abbagliato da tanta grazia. Inevitabilmente se ne accorse e prese a provocarmi. Come il gatto col topo. Veniva in camera mia col golfino oversize; se lo toglieva e potevo così ammirare le sue camicette trasparenti o quei top mozzafiato scollatissimi. Poi, le gonne corte che, ritirandosi sulla coscia, quando lei si sedeva, lasciavano intravedere le calze autoreggenti. Tutti indumenti che riconoscevo essere stati in passato di mamma. La sua pelle candida e profumata di pesca reclamava, assetata, delle labbra che la baciassero al più presto ovunque. Mi guardava negli occhi e scherzando mi stuzzicava, mi mandava dei bacini in punta di dita e poi mi toccava, mi accarezzava tenera.

Con me avevo l'impressione sincera che tornasse diciottenne. Non mancava di salutarmi con un dolcissimo bacino sulla guancia, sia entrando in camera che uscendone. Un bacino che durava sempre di più. Alla fine al bacino aveva aggiunto l’abbraccio stretto. La camera degli ospiti dove lei dormiva era vicina alla mia, giù nel seminterrato e vicino al grottino; mentre la stanza da letto dei miei era ben distante, al primo piano e nell’altra ala della villa. Un pomeriggio, dopo che avevamo pranzato, mamma era tornata a scuola per il ricevimento dei genitori. Mio padre come sempre era in azienda. Nel silenzio totale della casa, prima dell’ora stabilita per i compiti - le tre - ognuno di noi due era in camera sua per un breve riposino. Io avevo i sensi acuiti dal folle desiderio di lei, per cui notai comunque un lievissimo mugugnare provenire dalla parete in comune. Non resistetti e andai a sbirciare dalla sua porta. Che aprii appena, senza farmi sentire: c’era una vera Dea nuda, sul letto. Con indosso solo un perizoma. A occhi chiusi, con una mano sul seno e un'altra negli slip, si toccava il basso ventre e si muoveva sospirando, piena di evidente passione erotica. Udì qualcosa, si girò di scatto e s’accorse di me! Però non urlò: dapprima si coprì col lenzuolo. Poi però, rossa in viso e adorabile, mi sorrise e senza rimproverarmi mi fece cenno di avvicinarmi a lei. Ero paralizzato, da tanto spettacolo. Mi disse:

"vieni qui vicino; ormai sei un adulto e potrai ben guardare una donna che si dà piacere. In fondo, è anche questo parte dell’educazione di un giovane uomo, no?" "posso vederti da vicino e sentire il tuo odore, Claudine?" "si, certo. Ma… non mi toccare, capito? Non vorrei mai litigare con Margot: dovrà essere proprio un nostro assoluto segreto, ok?"
E così assistetti allo spettacolo più bello del mondo: una donna che infila le sue dita nella fica e si dà godimento. Lentamente. Quell’aroma, il sudore delle sue ascelle, dell’inguine misto al suo profumo preferito e la vista di quel vero paradiso mi si stamparono in mente. Venne in silenzio, inarcando la schiena. Che cosa meravigliosa. Ogni tanto si girava su un fianco, allargava le natiche, scostava il filetto e mi faceva vedere il suo buco del culo mentre lo contraeva e lo rilassava. Infine, quando fu contenta di essere stata adorata da me per diversi minuti, sorrise soddisfatta.

Poi mi chiese di uscire e di andare a prepararmi per i compiti. Da quel giorno, la sua presenza vicino a me ogni pomeriggio alle tre divenne una vera, dolcissima tortura. Non aspettavo altro. Non desideravo altro. Un pomeriggio si sedette al mio tavolo da studio, al solito a squadra rispetto a me; tolse il golfino e sotto aveva la camicetta di tulle molto trasparente, ma… non portava il reggiseno! Spavaldi e troneggianti in alto sul pianale del tavolo, le sue mammelle erano le protagoniste principali in commedia. Sudavo freddo! Non potevo staccare il mio sguardo da quei trionfi di bellezza, dalla magnetica attrazione sessuale. Lei si accorse del mio stato e mi chiese, finto-stupita: “che c’è, tesoro?” Le risposi che avrei tanto desiderato vederle nuovamente i seni completamente nudi. Non si fece pregare: chiuse a chiave la porta, tolse la camicetta e si sedette di fianco a me a torso nudo. Le chiesi di poter adorare ancora una volta e magari toccare le sue stupende e sode mammelle, di poterle annusare, drogarmi d’amore per lei… arrossì ma alla fine disse: “Ma che dici, stupido! Va bene. Toccale, per alcuni secondi soltanto però, eh?”

Come iniziai a carezzargliele teneramente, i suoi capezzoli istantaneamente crebbero. Smisi, spaventato. Ma lei disse: “no, no: va tutto bene non ti preoccupare. Una donna fa così, quando è eccitata; continua, ti prego…” e io continuai a lungo, altro che secondi! A un tratto mi disse: “vabbè tanto vale che me li baci, no?” Quindi risoluta mi prese la testa, se la premette su un seno e mi mise un capezzolo in bocca. “Succhia, mio piccolo tesoro. Leccami e succhia” stetti una mezz’ora buona in quel paradiso di sapori, odori e perfezione femminile. Le leccai, succhiai intensamente e carezzai entrambi i seni. Riuscii anche a metterle una mano tra le cosce. Sulle prime lei le allargò anche: potetti così sentire inequivocabilmente che era bagnata, da sopra le sue mutandine. Ma poi di colpo mi tolse la mano, si rimise la camicetta, il golfino, si ricompose e cominciammo a studiare. Quel pomeriggio faticai non poco a mantenere un comportamento civile.

Da quel momento, tutti i giorni alle tre passavamo dapprima una mezz’ora in assoluta intimità: lei ad allattarmi e a godere delle mie labbra; io a torturarle, leccarle i seni e a cercare di arrivare con le mani alla sua fica. A volte mi faceva stare anche un minuto, con la mano a coppa sulla sua passera, che sentivo gonfia e calda; ma regolarmente dopo un po’ me la toglieva e la sessione di studio doveva iniziare. Era inflessibile. Un pomeriggio la sentìì più languida del solito: appena arrivata in stanza e chiusa la porta mi prese la testa tra le mani e mi baciò a lungo, lingua in bocca. Potetti subito toglierle facilmente la camicetta e iniziare a leccarle i seni e le ascelle depilate e profumatissime. Cercai di portarla al solito verso il tavolo da studio, dove avevo già disposto le sedie aperte strategicamente, ma lei invece stavolta volle sedersi a bordo letto!

Mentre succhiavo ingordo i suoi capezzoli, stavolta fu lei stessa a prendere la mano e mettersela appena sotto la gonna. Io un po’ esitavo, perché sapevo ormai che il mio arrivare a toccarle le mutandine in genere sanciva la fine del ‘preambolo’ e l’inizio dei compiti. All’orecchio con voce dolcemente roca mi disse: “che fai, mio giovane studente, esiti? Oggi non vuoi salire?” e io presi a salire piano lungo il suo interno coscia. A un tratto il mio cuore sobbalzò… non indossava gli slip!!! Ero impazzito di gioia: potetti infilarle senza che si opponesse dapprima un dito, poi due e infine riuscii con un minimo sforzo a farle entrare tutta la mano! Lei ormai coricata sulla schiena, gonna sollevata completamente e a cosce allargate gemeva, godeva, si muoveva e mi carezzava la testa, mentre le succhiavo i seni. Le baciavo il collo e la bocca. Venne… mordendomi piano un orecchio per non urlare! Mi sarei lasciato divorare tutto, da lei. Quindi al solito, d’improvviso si staccò e ci ricomponemmo.

Siccome da un po’ di tempo il pomeriggio passavamo sempre più tempo a ‘intrattenerci’ e sempre meno a fare i compiti, lo studio soffriva. Quindi lei d’un tratto decise che: "basta! Di pomeriggio si studia e niente altro più." Ci rimasi molto male, ma capii che per lei stava diventando forse qualcosa di imbarazzante. Io, sebbene giovanissimo, ero pur sempre un gentiluomo. Che mai avrebbe voluto forzare la volontà di una signora stupenda e raffinata come lei. Quella stessa notte però, attorno alle undici e quaranta, dormendo ma socchiudendo un occhio per un lieve rumore, vidi aprirsi piano la porta della mia camera e una figura adorata in controluce venire verso il mio letto. In silenzio si mise sotto le coperte con me, mi baciò schiaffandomi mezzo metro di lingua in bocca e poi mi sussurrò all’orecchio: “fottimi, mio giovane stallone. Fammi tua per tutto il tempo che riuscirai a resistermi dentro duro.”

Mi si mise sopra a cavalcioni. Prese l’uccello e se lo infilò dentro. Cavalcò fino a godere una prima volta. Quindi mi mise un seno in bocca e stesa a pelle su di me mi comandò di succhiarla e leccarla a lungo. Dopo che venne di nuovo, si mise a pancia sotto sul letto. Cuscino sotto i fianchi, sollevò il culo in alto a natiche larghe e mi disse: “non vuoi leccarmi ed esplorarmi tutta?” Non me lo feci ripetere: la leccai nell’ano a lungo e per questo lo sentivo aprirsi sempre di più, fino a che mi intimò con una sola parola: “sfondamelo.” Ordine perentorio che mi fece impazzire di gioia e desiderio. La inculai e stantuffai per un’ora almeno: giuro! Sono sicuro che le feci male lavorandola nel culo perché ogni tanto gridava ‘ahia’ però mi diceva di non preoccuparmi e di continuare a cavalcarla, che mi voleva tantissimo. Che sborrassi pure quanto volevo, nel suo culo. La tenevo per le zinne. Non poteva scappare. Né lo desiderava.

Il giorno dopo era più bella che mai. E se a colazione, a pranzo e insieme a mamma Margot era la Claudine di sempre, facendo i compiti con me alle tre era invece diventata castigata e rigorosissima: un’insegnante che non tollerava rilassamenti. Ma non mi dispiaceva. Perché a mezzanotte, quasi tutte le notti, Claudine era mia e potevo incularmela e scoparmela di dritto e di rovescio. Mi faceva dei pompini che mi mandavano in estasi e regolarmente ogni volta, subito dopo ingoiato il mio seme, aveva il vezzo di baciarmi a lungo in bocca. Poi mi infilava un dito nel culo, così mi dava lo stimolo e il tempo di eccitarmi di nuovo. Di ritrovare la voglia insopprimibile di lei e quindi voleva che la inculassi, per ‘punirla’ di quel suo ardire. La prima volta fui sorpreso di conoscere questo suo giochino per stimolare un uomo. Ma poi glielo chiedevo io. Ero innamoratissimo di lei. Dopo l’Esame di Stato, superato da me col massimo dei voti, mio padre riuscì a trovarle finalmente un impiego decoroso in città, in un punto vendita legato alla sua azienda, che aveva filiali e punti vendita in tutta Europa. E ovviamente anche in Francia, per cui in futuro forse avrebbe potuto tornarvi. Si stabilì in un appartamentino poco distante da casa nostra.

Se ne tornò in patria dopo tre anni. Nel frattempo, mentre era ancora in Italia, regolarmente l’andavo a trovare perché "solo un ventenne come te sa farmi sentire la vera donna che sono." Per parte mia mi laureai ed entrai a lavorare in azienda con papà. Mi sposai a ventiquattro anni con Luisa, la donna che amo, di dodici anni più grande di me. Forse ho scelto lei per il mio inconscio e grande desiderio di replicare la storia con Claudine. Ma comunque spesso per lavoro devo andare in Francia, nell’azienda collegata alla nostra e di cui abbiamo delle quote, dove ormai lavora anche lei. Non manco mai di andare a trovarla in ufficio, con la scusa di portarle un souvenir d’Italie. Per poterle invece poi, nel tardo pomeriggio, godere della sua bocca, succhiarle i seni, la fica e incularmela a lungo. Naturalmente, dopo che m’ha fatto il suo giochino preferito post pompino con quelle dita birichine. Ci vediamo invariabilmente nell’albergo dove alloggio. Anche perché lei s’è risposata con un suo collega ed è ormai serena nel suo ménage. Ha una figlia. Con Claudine ci scriviamo tuttora in gran segreto delle porcate assurde, perché ci desideriamo veramente, malgrado la differenza d’età notevole. Mia moglie non l’ha mai saputo. Né lo saprà mai. Mia madre forse lo sa. O molto più probabilmente addirittura le aveva dato lei stessa l’incarico di svezzare e far diventare un vero uomo suo figlio. Un giorno Claudine me lo confesserà! Continuo ad adorarla, nell'intimo del mio cuore. Un amore segreto è l'unica cosa che ti saprà dare un'ottima ragione per vivere, quando sarai soffocato dalla routine.

RDA
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Purtroppo soffro di questa afflizione per cui amo e rimango fedele per troppo tempo a persone che non mi meritano. Prego e spero che chi detiene il mio affetto si svegli un giorno e mi ricambi l'amore come amo io. Amo così forte e senza paura. È quasi infantile, in realtà. Anche se la mancanza di reciprocità mi fa rimpicciolire, oso continuare ad amare. Davvero non so per quanto tempo ancora potrò resistere. Devo amare, non c'è altro modo per me. Non riesco a lasciar andare, anche se è chiaro che non fanno per me. Sono ingenua e delirante, ma cosa posso dire? Sono dipendente dall'amore, o almeno dipendente dall'idea stessa di esso, e per un breve istante è stato reale ed era vero. Sono impazzita nel tentativo di riconquistarlo.

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I miei genitori sono stati sposati per 55 anni. Una mattina, mia madre scese in cucina per preparare la colazione a papà, quando ebbe dolore al petto e cadde. Mio padre la sollevò come meglio poteva e, quasi trascinandola, la portò in macchina. A tutta velocità, senza rispettare i semafori, la guidò fino all’ospedale.
Quando arrivò, purtroppo, non c’era più.
Durante il funerale, mio padre non parlò; il suo sguardo era perso nel vuoto. Non pianse quasi per nulla.
Quella sera, noi figli ci radunammo intorno a lui. In un’atmosfera di dolore e nostalgia, ricordammo insieme i bei momenti trascorsi, finché papà chiese a mio fratello, un teologo, di spiegargli dove si trovava in quel momento mamma. Mio fratello iniziò a parlare della vita dopo la morte, di ipotesi su come e dove potesse trovarsi.
Papà lo ascoltava attentamente. Improvvisamente, ci chiese di portarlo al cimitero.
“Papà!” rispondemmo, “sono le 11 di sera, non possiamo andare al cimitero ora!”
Alzò la voce, e con uno sguardo velato ci disse:
“Non discutete con me, per favore non discutete con un uomo che ha appena perso sua moglie dopo 55 anni.”
Ci fu un momento di silenzio rispettoso, e non discutemmo più. Andammo al cimitero, chiedemmo il permesso al custode notturno. Con una torcia, raggiungemmo la tomba.
Mio padre la accarezzò, pregò e disse a noi figli, che osservavamo la scena commossi:
“Sono stati 55 anni… sapete? Nessuno può parlare di vero amore se non ha idea di cosa significhi condividere la vita con una donna.”
Si fermò e si asciugò il viso. “Io e lei, siamo stati insieme durante quella crisi. Ho cambiato lavoro…” continuò. “Abbiamo fatto le valigie quando abbiamo venduto la casa e ci siamo trasferiti in un’altra città. Abbiamo condiviso la gioia di vedere i nostri figli laurearsi, abbiamo pianto insieme la perdita di persone care, pregato nelle sale d’attesa di vari ospedali, ci siamo sostenuti nel dolore, ci siamo abbracciati ogni Natale e ci siamo perdonati gli errori… Figli miei, ora lei è andata via, e io sono felice, sapete perché?
Perché è andata via prima di me. Non ha dovuto affrontare l’agonia e il dolore di seppellirmi, di rimanere sola dopo la mia partenza. Sarò io a passare attraverso tutto questo, e ringrazio Dio. L’amavo così tanto che non avrei voluto vederla soffrire…”
Quando papà finì di parlare, io e i miei fratelli avevamo le lacrime che ci rigavano il volto. Lo abbracciammo, e lui ci confortò: “Va tutto bene, possiamo andare a casa, è stata una buona giornata.”
Quella notte capii cos’è il vero amore; è ben lontano dal romanticismo, ha poco a che fare con l’erotismo o il sesso. Piuttosto, è legato al lavoro, al completarsi a vicenda, al prendersi cura l’uno dell’altro e, soprattutto, al vero amore che due persone realmente impegnate si promettono per tutta la vita.
✍️ Amore a distanza
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“Presidente, siamo sempre vicini alle sue parole, ci riconosciamo, non abbiamo mai sentito uscire da Lei nessuna parola che non fosse di verità e di pace. Siamo orgogliosi di essere rappresentati da Lei, per la sua dignità e umanità��� (Roberto Benigni a Sergio Mattarella).
Se le parole del malvagio giullare di regime fossero state ironiche, sarebbero state la più divertente battuta della sua vita. Purtroppo non lo erano. Era tremendamente serio.
Serio e come sempre servile fino all’indecenza. Avete capito perché lo invitano a Sanremo e perché lo pagano? Avete capito a cosa serve tutto l’osceno baraccone orgiastico-mercantile sanremese che ci funesta ogni anno? Se non l'avete capito ancora, non lo capirete più.
Dobbiamo dire invece, proprio per amore del vero, che dalla bocca della Mummia non è mai uscita una sola mezza parola di verità. Come da quelle del giullare Benigni.
La Mummia incarna pienamente una plutodemocrazia demagogica, al completo servizio dei poteri economico-finanziari, che svuota dall'interno ogni forma di volontà popolare. Il Covid ce ne ha offerto solo l'esempio più evidente.
Benigni è invece solo un osceno giullare post'-comunista convertitosi al dio quattrino. Per soldi venderebbe sua madre. E ogni regime, compreso quello plutocratico, cioè il nostro, ha bisogno di ben pagati giullari.
Martino Mora
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Lo zucchero a velo da naso e le sue conseguenze
Le notti sono più buie del solito e siamo onesti, non faccio altro che aspettare che il sole tramonti per potermi nascondere nel buio dell'inverno, al riparo, nella totale assenza di luce tipica del clima viennese. È una conseguenza della condizione dei miei occhi, l'ho detto ieri alla nuova psicologa. Mi nascondo nell'oscurità perché la luce rovina la realtà, facendomi vedere quanto tutto sia compromesso. Poi modifico la realtà con idee stupide, disegni nel cranio, che mi aiutano a sopportare tutto e faccio lo stesso con le parole, quando racconto come sto, quando faccio battute, quando mi dipingo come una persona forte, solitaria, sicura di sé. È tutto un nascondersi e modificare. Evitare di confrontarsi con la "vera" realtà. Quello che davvero penso di me e le versioni di me che detengono le altre persone e che sono tutte modificate per non poter essere ricondotte a ciò che giace sotto le coperte e che non ha voglia di parlare con nessuno, o di farsi conoscere.
Le ho detto che mi manca scrivere e che sto cercando di non farlo perché ho paura di fare male, non solo a me stesso, ma anche al buio.
Delle volte, tipo oggi, vorrei essere come il francese che becco al bar una volta ogni due giorni e che si siede vicino a me e prova a parlarmi ma non capisco niente. Lui arriva presto e ordina sempre una birra media. Oggi gli ho chiesto se questa fosse la sua colazione e lui ha detto di sì. O credo fosse un sì, chi cazzo li capisce i francesi quando parlano. Lavora tutta la notte, sta in piedi su impalcature a non so quanti metri da terra a montare enormi cartelloni pubblicitari o segnaletiche, sfidando il vento incontrollabile di queste zone. Avrà una cinquantina di anni portati decentemente, se calcoliamo le birre a colazione e il costante consumo di cocaina nel bagno del bar. Io lo so che non ha la vescica debole come me. So cosa va a fare.
Vorrei essere come lui perché delle volte, tipo oggi, iniziare a bere di prima mattina sembra davvero l'unica soluzione e invece cosa faccio? Tolgo lo zucchero dalla colazione per provare a essere più sano. Ma sarò demente. Davvero sono arrivato a quel punto della vita dove provo a migliorare? A questa età? In questa economia? Con questo governo? A chi cavolo verrebbe voglia di provare a fare meglio? Solo a un idiota.
Ed ecco che allora tolgo lo zucchero. Annuso la birra del francese. Torno in terapia per parlare di quello che pensavo d'aver risolto e che invece non era risolto manco per un cazzo. Questi anni di attesa però, tra un percorso e l'altro, mi sono serviti per identificare il vero nemico. Non è il governo o l'economia mondiale purtroppo. Nemmeno lo zucchero o il francese con il suo zucchero a velo da naso. Il problema sono tutte le versioni di me che tengo in piedi con immenso dispendio di energie per evitare di svegliare quella che vive nel buio e vorrebbe solo dormire per sempre. Quella più debole e che ho cercato di proteggere da tutto, rendendola piatta e inerme come un materasso e a cui concedo di fare innumerevoli schizzi per rallegrarsi.
Siamo sempre troppo duri con noi stessi e per fortuna io ho una dozzina di versioni diverse di me stesso qua dentro e almeno sette fanno un buon lavoro e le sostengo, sono le restanti cinque che insomma, potrebbero fare di meglio, ma gli concedo di esistere per bilanciare. Se tutto andasse bene, tutto fosse correttamente funzionante, poi come cavolo giustificherei i fallimenti? Io devo avere delle falle nel sistema. Servono della capre respiratorie (si scrive così vero?). Qualcuno a cui dare la colpa. Altrimeni finisco a prendermela con lo zucchero e sappiamo che in uno scontro alla pari vincerebbe lui, mica io. Si può fare una torta senza Matteo ma una torta senza zucchero dai, fa schifo.
Ho chiesto scusa alla psicologa per aver parlato tutto il tempo di me senza nemmeno chiederle come stava. Le ho detto che capiterà spesso, di scusarmi e di sentirmi in colpa senza nessun motivo. Ha detto che avremo modo di parlare anche di questo.
È un piccolo passo ma avere un posto dove aprirmi (oltre a Tumblr ovviamente, che ha sempre funzionato meglio della terapia) mi ha fatto sentire meglio. Ora vediamo se sarà fattibile rimuovere una alla volta una di queste coperte che mi ricopre e che rende inespugnabile il fortino che ho costruito. Anche perché qua sotto ho decorato le pareti con pitture rupestri di decente fattura che mi piacerebbe mostrare, quando sarà il momento giusto. Adesso no.
Adesso devo trovare idee per colazioni alternative senza zucchero e spiegare al francese che nel mio naso io ci infilo le dita non il suo zucchero a velo che disturberebbe solo il mio desiderio di calma e pace e piutture rupestri.
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In un post in cui si parlava di ipergamia un uomo mi ha detto: "spero che non ti lamenterai delle corna che fanno gli uomini perché anche quello è biologico come ipergamia".
In realtà il mio discorso era una specifica sul fatto che l'ipergamia maschile e femminile ha scopi diversi, così per salvarsi in calcio d'angolo ha tirato fuori Il gene egoista di Dawkins, ribadendo che si tratta di sopravvivenza della specie e nient'altro.
Voglio condividere un concetto che purtroppo sfugge soprattutto quando si parla di relazioni uomo-donna.
È vero che i geni sono "egoisti", ovvero sono collegati esclusivamente alla prosecuzione della specie, ma l'ipergamia maschile è volta alla procreazione, mentre quella femminile allo sviluppo e al miglioramento.
Per capirsi e scusa se sono prosaica, ma si tratta di riassumere: gli uomini scelgono partner di accoppiamento, cioè sono spinti a generare vita a prescindere dal tipo di virtù, si potrebbe dire che hanno il gene della quantità; le donne sono portate a scegliere il miglior partner per crescere la prole (in senso lato la società), cioè selezionano quello che garantisce le migliori possibilità per farla progredire.
L'ipergamia femminile opera per ridurre l'inefficienza e l'inefficacia della specie e per accrescere il miglior potenziale.
Quando dico che senza le donne saremmo ancora nelle caverne, la maggioranza si incazza anziché capire, quando dico che le donne hanno nelle mani le sorti della società tanti vedono solo un fattore di supremazia e continuano a non capire.
Tuttavia è il femminile che spinge a compiere passi evolutivi, lo fa attraverso la ricerca del "migliore", ed è è predisposto per questo. Ciò comporta che il maschile si attivi per migliorare a sua volta il proprio status, in modo da migliorare esso stesso, la qualità dell'ambiente e anche per "essere scelto".
Sto descrivendo concetti evolutivi e non moralistici. La morale come forse ho già indicato è solo l'ennesimo costrutto artificiale.
Sul piano evolutivo la riproduzione ha un solo fine, uomo e donna sono mezzi e hanno programmazioni differenti. Quando si parla di biologia è inutile uscire col discorso di corna e con rinfacci da quattro soldi, la natura non è emotiva e se ne fotte dei legami affettivi, questo dovrebbe essere chiaro. L'evoluzione umana è tuttavia contenitore di molto altro, non aggiungo a questo post, ma come specie "spazzatura" il punto è comprendere che la selezione (sia biologica sia superiore), è volta alla creazione di un Essere umano degno di questo ruolo.
Tutto questo sarebbe di facile comprensione se si vivesse in etica e non in morale, e se la differenza tra generi non fosse diventata uno schiaramento.
#ipergamia#selezione#relazioni#discernimento#responsabilità#femminile#maschile#sviluppo#evoluzione#progresso#miglioramento#discenrimento#consapevolezza#zombie#società#società malata#verità#aprite gli occhi#svegliatevi#schiavi#sessualità#guerra#uomini#donne#generi#schiaramenti#etica
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"Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c'era tanta fame, come oggi purtroppo. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva: "dai, telefoniamo a Boniperti". Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito." Non è vero. Non è vero che il mondo è avaro di storie. È tutto il contrario. Le storie sono ovunque, bisogna solo avere il coraggio di cercarle nei meandri impolverati della bellezza. Non è vero che il tempo passa e le cose cambiano. L'unica cosa vera è che cambiano gli uomini, schiavi di ciò che calcio non è: il denaro." (Gigi Riva)
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Oggi, 17 maggio, è un anniversario per me. Un giorno che ricorda un evento che, sebbene oggi non sia più considerato indispensabile da molti, ha segnato nel bene e nel male la vita della mia generazione, la generazione X, e anche quella dei baby boomer.
Era la mattina di un venerdì 17 maggio. Stazione Centrale di Milano, binario 17, partenza del treno prevista per le 7:17. Il numero diciassette sembrava scritto nel destino quel giorno, anche se in realtà era scritto sul mio vagone: era la carrozza n. 1717. Non sto scherzando, ve lo giuro.
Il treno avrebbe fatto tappa a Pisa, prima di proseguire verso il Sud Italia. Io dovevo scendere a Pisa, insieme a centinaia di altri ragazzi che affollavano i vagoni. Era il 1985, esattamente quarant’anni fa. Una vita.
Non era una colonia estiva ad attenderci, no. Era l’immensa S.MI.PAR. di Pisa, 3° Battaglione Poggio Rusco, la scuola centrale militare dei paracadutisti d’Italia. Quel giorno iniziava il mio anno di leva: la naja.
Passai da una vita scandita dal dualismo Duran Duran contro Spandau Ballet, dai Festivalbar estivi, dal campionato di calcio tutto la domenica pomeriggio, dalle serate con gli amici, dalle discoteche, dai pub in stile inglese e dalle lasagne di mia madre a un’esistenza militaresca, fatta di rigore e disciplina.
A dire il vero, però, le lasagne furono il filo conduttore della mia scelta di arruolarmi nella Brigata Folgore. Entrare nei paracadutisti non era una casualità, né una destinazione assegnata a chi doveva assolvere al servizio di leva, come poteva capitare con gli Alpini, i Bersaglieri o la Fanteria. No, per diventare paracadutista dovevi firmare, fare una scelta consapevole per entrare in un corpo d’élite dell’Esercito Italiano.
La mia scelta, a dire il vero, fu motivata dalla fame. Un piccolo prologo: l’anno prima della leva, come d’uso, noi ragazzi affrontavamo i famosi “tre giorni”, una serie di visite mediche e psicologiche per verificare l’idoneità al servizio militare. Durante uno di quei giorni, in un’aula di una caserma a Como, un sergente paracadutista ci illustrò quanto fosse “figo, bello, cazzuto e cazzuto due volte” fare il paracadutista. Parlò di onore, appartenenza, Patria, con un entusiasmo che cercava di conquistarci. Bla, bla, bla.
Ma io avevo fame. Erano passate le dodici, e la mia vita, allora così regolare, mi vedeva di solito seduto a tavola a quell’ora. Quando il sergente accennò che nelle caserme della Folgore si mangiava bene, tanto che i familiari in visita potevano essere ospitati e la cucina non sfigurava rispetto a un buon ristorante, si accese una lampadina nella mia testa. Anzi, nello stomaco. Firmai il consenso con la stessa ingenuità con cui, anni dopo, firmai il mio primo mutuo ipotecario. Beata ingenuità.
Fu così che mi ritrovai alla S.MI.PAR. di Pisa, dove conseguii il brevetto di paracadutista, per poi essere trasferito nella caserma operativa del 5° Battaglione El Alamein, a Siena. Una città meravigliosa, dove vissi mesi indimenticabili, nonostante il “mazzo” che ci toccava fare in caserma.
Di aneddoti di quell’anno vissuto per la “Patria” ne avrei tantissimi da raccontare. Fu come essere il protagonista di Ufficiale e gentiluomo, ma con un accento milanese e meno romanticismo hollywoodiano. Un giorno, forse, trascriverò tutto nel mio diario.
Oggi voglio ricordare quel ragazzo disincantato che non aveva capito – ma proprio per niente – dove sarebbe finito. Era una mite mattina milanese di metà anni Ottanta. Un ragazzo che perse 10,5 kg nel primo mese di addestramento. Oggi, per perdere anche solo 500 grammi, dovrei camminare da casa mia a Pisa, costeggiando i binari del treno per evitare di incrociare un fast food lungo il cammino.
Buon anniversario a me e ai miei commilitoni, fratelli di naja, soprattutto a quelli che, purtroppo, non ci sono più. Ricordo ancora con affetto i loro sorrisi, le loro voci, le speranze di vita che ci confidavamo.
4°/1°/85 Folgore!
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Di solito la sera vado in brainrot e non faccio altro che stare su IG. È una cosa che odio e che voglio evitare il più possibile, però, con i livelli di stress raggiunti, io letteralmente non riesco a fare altro. Ho provato a leggere la sera ma, sarà che è filosofia e non narrativa, ma trovo difficoltà a concentrarmi e a capire cosa sto leggendo e non vedo l'ora che finisca il capitolo per andare a dormire. Questo per me non è leggere e quindi ho rinunciato a farlo. Peccato che se non sviluppi l'abitudine, poi la voglia di prendere il libro in mano si riduce pure quando tempo e testa ci sarebbero.
Dicevo, di solito la sera vado in brainrot e non faccio nulla, però stasera mi voglio dare del tempo per riflettere: sto notando che evito di farlo perché riflettere sulla mia vita attualmente mi fa soffrire molto.
Ieri e oggi me n'è successa un'altra, l'ennesima, dopo che l'intero mese di Marzo è stata follia pura. Sono venuti a controllare il sistema antincendio in tutte le camere e, andando via, hanno chiuso a chiave. Peccato che io la mia camera non la chiudo mai (chi cazzo dovrebbe entrare in camera mia qui scusate?! Eppure i jap chiudono la porta a chiave anche quando vanno al cesso - situato difronte alla loro camera), quindi non porto con me le chiavi. Risultato: rimasta chiusa fuori.
Ho dormito sul divano e fino a qui mi sta anche bene, ma poi chiamo l'azienda che gestisce la mia sharehouse e:"Purtroppo l'azienda che gestisce le chiavi (un'altra) è chiusa nel weekend quindi bisognerebbe aspettare lunedì... si potrebbe provare a chiamare, ma deve cercare il numero in autonomia perché qui non lo abbiamo".
Ecco il servizio giapponese sempre preciso e puntuale. Grandiosi.
L'unica era cercare di entrare dalla finestra (che pure lascio sempre aperta... salvo bestemmiare quando fa un temporale).
Penso di chiedere alle attività commerciali se hanno una scala da prestarmi: chiedo a un konbini e a un supermercato. Dicono che non ne hanno, ma pare che stessi chiedendo come poter andare sulla luna. Mi dirigo verso un posto che sono certa venda delle scale, quindi magari ne posso prendere una in prestito o magari affittarla per qualche ora... Chiedo al counter e, di nuovo, sembra che sto chiedendo come andare su Marte, come se fosse una cosa complicatissima perché, capite, è fuori da ogni procedura, quindi oltre alle facce allucinate, il NULLA. Sono lì che non so che fare, fin quando non decido di tagliare la testa al toro: dovrei andare in giro (quando sono già a pezzi) per trovare qualcuno un pochino più sveglio del normale che mi presti una scala che non so nemmeno se basti per arrivare alla mia finestra... meglio comprarla e fare da sola.
Tempo impiegato: 30min.
La riflessione è questa: lo vedete quante cose si devono sopportare in questo paese? È tutto preciso e puntuale, tutti pagano le tasse, il lavoro c'è (manco troppo), è vero, ci sono tutte le cose positive che tutti conosciamo di questo paese. Ma tutti i giorni, tutti i santi giorni... quante altre cose ci sono che non vanno? O che semplicemente sono fuori da ogni altro pianeta? E sopporta il lavoro, sopporta lo straordinario, sopporta il fatto che metti 100 al lavoro e pare che fai 0, sopporta che tu pensi di far bene e invece fai male, sopporta che il fatto del cliente con la deadline dove tu avevi in teoria ragione eppure non era così, sopporta che ti avevano avvisato del controllo e del fatto che ti saresti dovuta portare le chiavi (ma col cervello rotto che ho sti giorni figuratevi se ho letto/capito) e quindi che hai torto tu, sopporta che chi PAGHI per risolvere i tuoi problemi riguardo il posto dove vivi dice che non li può risolvere, sopporta la gente che ti fa la faccia stralunata per una richiesta banalissima...
Come fai a non scoppiare? Come fai a non volerli mandare tutti a fanculo? Come fai?
E questo è SOLO UN MESE, perché nel frattempo sto sopportando pure tutti i no dei padroni di casa nella ricerca di un appartamento e mille altre cose. Quindi immaginateli i livelli di sopportazione che bisogna avere per vivere qui in pianta stabile.
Roba che o ti arrendi a tutto e diventi un automa passivo come sono loro oppure te ne vai, perché altrimenti ne va della tua salute.
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Sandra e Luisa (1 di 2) "Il passaggio"

Ciao, scema: tutto bene? Senti senti senti... che caspita m'è successo! Allora: tornando con la mia macchina dall'appuntamento con 'lui', l'ultimo della settimana, in aperta campagna domenica sera, ero rimasta in panne. Non sapevo cosa fare: niente campo per telefonare; era quasi l'una di notte, dopo quella che avrebbe dovuto essere una serata decisiva per ricostruire un rapporto oramai logoro, ma finita invece nel peggiore dei modi. Con una rottura definitiva e una mia grande, insoddisfatta voglia di pace. Ma soprattutto con dentro un fortissimo desiderio di sesso, di rivalsa dei sensi nei confronti della vita e l'esigenza di farmi completamente sfasciare da un uomo. Uno vero.

Si, perché sono mesi che con una scusa o l'altra l'imbecille non mi chiamava più e rimaneva a casa con moglie, figli e tv. Allora basta, ok? O la va o la spacca. Purtroppo… la spacca! Finito tutto. Nessuna scopata, nessun uccello succhiato. Niente sborrate sulla mia faccia. Lacrime e rabbia. E la macchina in panne. Per fortuna, s'è fermato questo bel camionista che m'ha dato un passaggio alla prima stazione di servizio. Nel breve viaggio, dopo uno scambio di battute iniziale l'ho scoperto essere una bravissima persona. Colto e sarcastico al punto giusto, oltre a essere attraente, nella sua semplicità e schiettezza di maschio tipico di mezza età. L'ho stuzzicato, perché mi sentivo a mio agio e un po' puttana, finalmente libera.
A un certo punto, dalla leva del cambio la sua mano s'è fatta ardita e s'è spostata sulla mia coscia e allora… che vuoi fare? Sono ormai una donna senza legami affettivi e ho deciso. Col cuore che batteva forte ma le mutandine già bagnate, ho avuto voglia di andare fino in fondo. Tra l'altro… dai: mi andava proprio tantissimo di farmi fottere, dopo mesi! Ho alzato un po' la gonna e gli ho sorriso. Lui ha preso una stradina sterrata secondaria e deserta. Abbiamo iniziato baciandocì: liberi, all'aria aperta. Sotto le stelle e appoggiati al cofano. Poi lui mi ha fatta salire sul cassone. E al riparo da possibili ma impossibili sguardi indiscreti, a quell'ora, m'ha presa. Pensavo di trovarmi sotto di lui per una sveltina. Invece s'è dimostrato un amante tenero ed esperto: mi ha fatta sua in modo molto lento, metodico e dolcissimo.

M'è piaciuto da morire e alla fine gliel'ho preso in bocca, per ringraziarlo. Che ti devo dire? Ormai ci amiamo ogni giovedì pomeriggio: lui con la scusa di una improbabile, tardiva ritrovata passione per il calcetto e io per la mai cessata serie di “rientri obbligati in ditta” per il completamento di un fantomatico orario lavorativo. Penso di amarlo! Oltretutto ha una particolarità: quando viene lo fa in modo incredibilmente generoso e mi inonda letteralmente l'utero. O le viscere, se si trova nel mio culo! E… mi piace da morire! Sai, chi l'avrebbe mai detto. Una storia finisce e quindi disperazione e rassegnazione totale, ma solo mezz'ora dopo ne inizia un'altra ancora più affascinante e coinvolgente! Ci vediamo presto per un aggiornamento reciproco, ok? Voglio sapere con chi stai scopando, adesso… :) Baci. Tua S.

RDA
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I miei genitori sono stati sposati per 55 anni.
Una mattina, mia madre stava scendendo le scale per preparare la colazione a papà, quando ebbe un infarto e cadde. Mio padre la raccolse come meglio poteva e la trascinò quasi di peso fino al camion. A tutta velocità, senza rispettare i semafori, la portò in ospedale.
Quando arrivò, purtroppo, lei non era più con noi.
Durante il funerale, mio padre non parlò; il suo sguardo era perso nel vuoto. Non pianse quasi mai.
Quella notte, ci riunimmo tutti attorno a lui. In un’atmosfera di dolore e nostalgia, ricordammo momenti felici. Ad un certo punto, chiese a mio fratello, un teologo, di dirgli dove si trovasse mamma in quel momento.
Mio fratello cominciò a parlare della vita dopo la morte, cercando di spiegare dove potesse essere. Mio padre lo ascoltò attentamente. All’improvviso, ci chiese di portarlo al cimitero.
"Papà!', rispondemmo, 'sono le 11 di sera, non possiamo andare al cimitero a quest'ora!"
Lui alzò la voce, e con lo sguardo velato dalle lacrime disse:
"Non discutete con me, vi prego. Non discutete con un uomo che ha appena perso la moglie dopo 55 anni insieme!!!"
Ci fu un attimo di silenzio. Non discutemmo più. Andammo al cimitero e chiedemmo il permesso al custode notturno.
Con una torcia in mano, raggiungemmo la tomba. Mio padre la accarezzò, pregò e poi ci guardò, dicendo:
'Sono stati 55 anni... sapete? Nessuno può parlare di vero amore se non ha idea di cosa significhi condividere la vita con una donna."
Si fermò per un istante e si asciugò il viso.
"Io e lei abbiamo affrontato insieme le crisi. Ho cambiato lavoro... abbiamo impacchettato tutto quando abbiamo venduto casa e ci siamo trasferiti. Abbiamo condiviso la gioia di vedere i nostri figli laurearsi, abbiamo pianto insieme la perdita dei nostri cari, abbiamo pregato nelle sale d’attesa degli ospedali, ci siamo sostenuti nel dolore, ci siamo abbracciati ogni Natale, ci siamo perdonati gli errori…
Figli miei, ora lei è andata via, e sapete una cosa? Sono felice. Sapete perché?
Perché è andata via prima di me. Non ha dovuto affrontare l’agonia e il dolore di seppellirmi. Non ha dovuto rimanere sola dopo la mia partenza. Sarò io a passare attraverso tutto questo, e ringrazio Dio per questo. La Amo così tanto che non avrei mai voluto che soffrisse..."
Quando mio padre finì di parlare, io e i miei fratelli avevamo le lacrime che ci rigavano il viso. Lo abbracciammo forte e lui, con dolcezza, ci consolò:
"Va bene, possiamo andare a casa. È stata una buona giornata...."
Quella notte ho capito cos'è il Vero Amore: Non ha nulla a che vedere con il romanticismo, con l’erotismo o con il semplice desiderio.
Il Vero Amore è lavoro, è impegno, è cura reciproca. È la promessa mantenuta tra due persone veramente dedicate l'una all’altra. ❤️
- Autore Sconosciuto -
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La strumentalità politica del ministro Musumeci e del viceministro Bignami è evidente, soprattutto da chi qui non si è mai visto. E stavolta è degenerata nello sciacallaggio. Lo stato di emergenza è il minimo sindacale e il Commissario da Roma un errore madornale. La mia intervista a La Stampa a firma di Francesca Schianchi
«Gli ha già risposto la presidente Priolo: quei soldi li abbiamo ricevuti nel corso di 14 anni, non dieci, 40 milioni l’anno. E l’85 per cento di quelle risorse sono già rendicontate, il resto è impegnato in opere in corso. Musumeci poteva rivolgersi al ministro dell’Ambiente, e chiedergli anche se l’Emilia-Romagna è tra le regioni virtuose o meno. E poteva fargli anche un’altra domanda».
«Quanto ha speso la Regione Sicilia, quando Musumeci era presidente? Così, per fare un dibattito pubblico. È una polemica indecente, aperta nel corso di un’emergenza da chi qui, dopo il maggio 2023, non si è più fatto vedere».
«Dopo l’alluvione di maggio 2023 è venuto una volta e poi non si è più visto né sentito. La premier Meloni è venuta due volte e aveva preso un impegno importante, che purtroppo non ha mantenuto».
«Aveva promesso il rimborso del 100 per cento dei danni a famiglie e imprese. A fronte di una stima di quasi quattro miliardi, ad oggi hanno liquidato 12milioni. Mi auguro rimedi».
«Tutte le risorse sono state programmate e impegnate. Quanto ai flussi finanziari, chi amministra dovrebbe sapere che le liquidazioni avvengono a valle. Ma è incredibile che il governo, dopo aver scelto di accentrare tutta la gestione a Roma, se la prenda con gli amministratori locali. Dopo di ché, moltissimi interventi di messa insicurezza sono stati completati: se gli sfollati sono 1250 e non 45mila come l’anno scorso, è perché la maggior parte delle infrastrutture ha retto».
«Guardi che a chiedere che fossi nominato commissario furono anche i sindaci di centrodestra e tutte le parti sociali della regione. Perché le cose vanno gestite sul territorio a tempo pieno, come abbiamo dimostrato dopo il sisma del 2012. E, a differenza di questa destra, prima Errani e poi io abbiamo collaborato con tutti i governi, senza distinzione di colore politico».
«Ho detto da subito che una gestione commissariale da Roma era un errore madornale. Ma questo non toglie la mia stima per Figliuolo, che da servitore dello Stato ha fatto alle condizioni date».
«Al pari di altre, in particolare del Nord. Eravamo una terra tra le più povere del Paese nel dopoguerra, oggi siamo una delle regioni con aspettativa e qualità della vita più alte in Europa, grazie anche a tanti distretti manifatturieri e tante infrastrutture. È vero che in Italia e in Emilia-Romagna si è consumato troppo suolo: per questo abbiamo approvato una legge regionale che punta alla rigenerazione urbana e al saldo zero del consumo di suolo, la più restrittiva del Paese. Ne servirebbe una nazionale in materia: se Bignami se ne occupasse, gliene renderemmo merito».
«A me radical chic non lo ha mai detto nessuno. Però, a differenza di Bignami, io non ignoro e non nego il cambiamento climatico. La differenza è tutta qui: questa destra attacca la scienza e scarica sempre la responsabilità su altri».
«Ho apprezzato che la premier abbia chiamato la presidente Priolo e stanziato subito 20milionidi euro. Che venga dichiarato lo stato di emergenza, però, è il minimo sindacale in casi come questo».
«Musumeci e Bignami hanno fatto una conferenza stampa per attaccare Regioni e comuni mentre erano in corso i soccorsi. Sapendo di essere in difficoltà, si sono giocati il tutto per tutto. Ci provarono l’anno scorso, ci riprovano ora, mentre è proprio in situazioni come questa che le istituzioni dovrebbero pensare solo a collaborare».
«Per come l’ha posta il ministro Musumeci, è un alibi per non investire sulla prevenzione. Il compito dello Stato è fare difesa del suolo, non sponsorizzare le assicurazioni. Poi si può discutere di tutto, ma intanto le assicurazioni paghino quando c’è da pagare e le famiglie più fragili non siano tagliate fuori».
«Niente di nuovo: da mesi questa maggioranza è divisa su molte questioni».
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol. 1 - From the Empire
FROM THE EMPIRE - CAPITOLO NOVE
Traduzione italiana di jadarnr basata sui volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
“Area di combattimento: libera ─ Riscrittura del programma di combattimento da 'Modalità Genocidio' a 'Cerca e Distruggi'.”
Tra le macerie crollate, non c'era ombra o traccia dell'uomo dai capelli lunghi. Sembrava che fosse stato letteralmente disintegrato dai più di trecento colpi di proiettili da 20 millimetri.
“Rapporto sui danni, Duchessa di Milano.”
“Sto bene... Ben fatto, Padre Tres.”
Di fronte al ringraziamento della sua padrona, Tres si inchinò leggermente, impassibile. Poi gettò a terra la mitragliatrice Gatling completamente scarica.
A quanto pare era stato proprio quell'uomo ad attaccare la diga. Sarebbe stato necessario esaminare il corpo nei dettagli e indagare sulle connessioni che si celavano dietro di esso. Per il momento, tuttavia, la priorità era guidare l'evacuazione.
“La Iron Maiden sta aspettando nei cieli. Duchessa di Milano, vi consiglio di imbarcarvi il prima possibile.”
“Lasciate che le sorelle salgano a bordo prima di me, per favore... A proposito, come sta Vostra Santità?”
“Crusnik e la Viscontessa di Odessa sono in posizione. Non appena apparirà l'obiettivo, lo intercetteranno e lo distruggeranno.”
“Eccellente. Un'esecuzione magnifica.”
Al suono di applausi esagerati, tutti, tranne Tres, si voltarono.
“Tu...!”
Questa volta, anche la voce di Caterina era soffocata dalla paura. Ammutoliti, tutti erano paralizzati e con lo sguardo fisso davanti a loro.
“Davvero, è una situazione terribile che non mi abbiate permesso nemmeno di salutarvi come si deve... Eppoi il mio vestito ha finito per sporcarsi, vedete?”
Kämpfer fece un sorriso amaro e si passò elegantemente una mano tra i capelli neri. Sul suo volto sottile non c'era nemmeno un graffio o una traccia dei trecento proiettili sparati.
“Ah, padre Tres. Aggiungetelo al rapporto. Il conte di Zagabria è già stato arrestato. In questo momento, probabilmente, sta...”
Al suono della voce pacata si sovrappose il suono inquietante di uno sparo.
Tres, che dava ancora le spalle al gruppo, sparò improvvisamente.
La canna da 13 mm del Jericho M - Dies Irae - era stata puntata sotto il braccio del sacerdote, direttamente sulla fronte del nemico, la cui testa, colpita da due proiettili, avrebbe dovuto trasformarsi in una massa di carne frantumata. Eppure...
“È un giocattolo rozzo. Non ha un briciolo di eleganza.”
Davanti ai suoi occhi, come se fossero bloccati in aria, fluttuavano due proiettili di piombo, che Kämpfer guardò con disprezzo. Alzando la mano guantata con un gesto agile, i proiettili caddero a terra con un piccolo rumore.
“Padre Tres, tu sei un uomo capace. Ma purtroppo non avete ancora capito il vero significato di un massacro... Molto bene. Permettetemi di insegnarvi qualcosa.”
Il pentacolo ricamato sui guanti del mago iniziò a lampeggiare, emettendo una sinistra luce rossa.
“Davanti a me, Yunges. Dietro di me, Teletalkae. Nella mia mano destra, la spada. Nella sinistra, lo scudo. Intorno a me brilla il pentacolo e all'interno della pietra l'esagramma... Vieni, 'Spada di Belzebù'!”
Kämpfer si limitò a stringere leggermente le mani. Non c'era nulla in esse. Tuttavia, un attimo dopo, la testa della giovane suora che stava tremando accanto a Caterina, scomparve.
“Suor Anna!”
Un viso che conservava ancora tratti infantili, con gli occhi spalancati dalla sorpresa, ora riposava in silenzio tra le mani della collega accanto a lei.
“NO!”
“Non si muova, sorella Rachele.”
Ma la suora gettò a terra la testa decapitata della collega e si voltò rapidamente con un grido stridulo e disperato. Come se non avesse sentito la richiesta di moderazione da parte di Tres, inciampò correndo verso la porta.
“...Amen.”
Nel momento in cui Kämpfer, ancora di spalle, sollevò le labbra in un sorriso sarcastico, suor Rachele esplose in pezzi ─ come un manichino rotto, i suoi arti smembrati assieme a pezzi di carne e organi interni finirono disseminati sul pavimento.
Con la morte delle loro due colleghe, le suore sopravvissute non riuscirono più a emettere un solo grido. Si limitarono ad aggrapparsi tremando a Caterina, che, come previsto, era pallida per la situazione.
“La paura della morte è più terrificante della morte stessa - Schiller.” Declamò l’uomo dai capelli lunghi. "Ah, non muoverti, Padre Tres. Le bambole sono così noiose. Dopo tutto, probabilmente non possiedi nemmeno un'emozione nobile come la paura, vero?”
Senza nemmeno voltarsi, Kämpfer fermò il sacerdote alle sue spalle.
“Non è divertente distruggere una bambola meccanica. Paura, orrore, tristezza... Non credi che dovresti anche cercare di imitare un po' del fascino degli esseri umani?”
“Negativo... Non abbiamo tempo.”
Il volto di Tres rimase inespressivo come sempre, mentre fissava i corpi stesi a terra. Tuttavia, nel sottofondo di quella voce che suonava sempre senza alcuna intonazione, qualcosa vacillava leggermente.
“I rinforzi arriveranno tra circa trecento secondi. Prima di allora, devo eliminarti: non abbiamo tempo.”
“....Oho!”
Quando Kämpfer si voltò, nei suoi occhi apparve una luce apparentemente divertita. Mentre aggiustava meticolosamente i guanti su entrambe le mani disse:
“Hai detto... che mi vuoi eliminare?”
“Affermativo──”
Gli occhi di Tres, che avevano annuito, si mossero rapidamente. Spostò lo sguardo da Caterina, alle suore tremanti e poi al corpo che giaceva orribilmente a terra, continuando con voce monotona.
“Vi sterminerò ── non rimarranno nemmeno le ossa.”
“Provaci pure.”
La rivincita iniziò bruscamente.
Il dito di Kämpfer si alzò rapidamente. Quando il dito fu puntato contro il suo avversario, l'ombra di Tres era già scomparsa. Invece, ciò che apparve sul terreno dove si trovava un attimo prima fu una sottile fenditura. La 'spada' invisibile inseguiva l'ombra della preda che era balzata verso l'alto, e questa volta si conficcò nel soffitto aprendo un buco profondo.
“Sei certamente veloce. Ma è tutto qui?”
Le dita di Kämpfer si muovevano come un ragno. Al ritmo di movimenti che sembravano premere su una tastiera invisibile, la crepa nel muro si espanse come una creatura bizzarra, estendendo il suo dominio. Serpeggiando su lunghe distanze, la crepa avanzò rapidamente e, nell'istante successivo, catturò tra le sue fauci il sacerdote che stava risalendo la parete.
“È la fine, Gunslinger.”
”0,03 secondi di ritardo.”
La mano destra di Tres si spezzò improvvisamente, non appena ebbe finito di parlare.
Per essere più precisi, il polso che reggeva la pistola si staccò improvvisamente. Da esso emerse la bocca di una canna spessa e robusta.
L'ugello ─ da cui il lanciafiamme esplodeva una fiamma di magnesio che raggiungeva migliaia di gradi ─ tracciava un cerchio. All'interno dell'anello di fuoco bianco-blu, qualcosa che assomigliava a lunghe ciocche di capelli brillarono d'argento per un istante prima di scomparire.
“Fili di fibra di carbonio monomolecolare!”
Caterina gridò con voce soffocata.
Parte della tecnologia perduta con l’avvento della Grande Catastrofe, l'Armageddon: la Fibra di Carbonio Monomolecolare era la fibra di carbonio più sottile e più forte, fatta di particelle di carbonio C con strutture gemelle multiple. Nonostante la sua poca resistenza al calore, questo filo, capace di tagliare con facilità persino i diamanti, poteva diventare un'arma davvero invincibile, a seconda di come veniva utilizzata.
“Oh, quindi... questa era la Spada di Belzebù... Non male. Ma in fin dei conti, era solo una marionetta.”
Le labbra di Kämpfer si aprirono a mezzaluna.
L'M13 di Tres era puntata dritto verso di lui. La canna dell'arma mirava esattamente sulla sua fronte.
Ma anche sparando un proiettile 512 dall’M13, ci sarebbe comunque stato uno scudo che non avrebbe potuto essere penetrato. Il proiettile esploso sarebbe stato riflesso e avrebbe colpito la fronte della persona che lo aveva sparato...
Davanti allo sguardo sarcastico di Kämpfer, le due canne della pistola ruggirono come animali feroci: le mascelle d'acciaio mostravano le loro zanne di tredici millimetri.
“È inutile, i proiettili non possono colpirmi.”
“Io ti ho colpito.”
Le parole di entrambi erano corrette.
A casa dello Scudo di Asmodai il proiettile, la cui traiettoria era stata deviata dal forte campo elettromagnetico, aveva compiuto una precisa inversione di 180 gradi. Tuttavia, Tres non si trovava sull'asse del colpo. Al momento dello sparo, il proiettile aveva sfiorato la testa del sacerdote che si era abbassato, per poi colpire la parete di acciaio della caldaia dietro di lui con un angolo poco profondo. Il proiettile, ora trasformato in un colpo di rimbalzo, aveva colpito la lama della spada di una guardia conficcata nel terreno. E poi, il punto successivo in cui era rimbalzato era stato…
Quando Kämpfer fece un passo indietro, con i capelli neri che oscillavano, entrambe le sue mani, insieme ai guanti, erano scomparse. Guardandole spazzate via senza nemmeno una goccia di sangue, disse:
“Davvero, sei un uomo incredibile.”
Sbalordito ── o meglio, profondamente stupito, Kämpfer scosse la testa.
Sparare calcolando il riflesso e persino il rimbalzo successivo...
“Il titolo di Pistolero non è solo una facciata, quindi. Proprio come il mio di Mago.”
“Che... che cos'è...?”
Un grido soffocato di panico si levò dalle monache.
Il corpo del Mago sembrava essersi improvvisamente rimpicciolito. No, non era così. Non si era rimpicciolito. La parte inferiore delle gambe era scomparsa.
“Sarebbe un peccato perdere una tale abilità... Hai avuto una buona idea.”
Mentre veniva inghiottito dalla sua stessa ombra che si apriva da terra, la voce di Kämpfer rimase completamente calma. Guardava alternativamente il volto inespressivo di Tres e quello pallido di Caterina.
“Ci rivedremo presto, signori. Quando il ciclo del destino si chiuderà. Diventerete sacrifici eccezionali...”
Quando Caterina, che fino a quel momento aveva osservato la situazione in stato di stordimento, tornò in sé, la figura di Kämpfer era già immersa nell’oscurità fino al collo.
“Cosa stai facendo? Spara, Gunslinger!”
Ma Tres non reagì. Lentamente fece un passo indietro, mentre qualcosa scivolava via dal suo corpo cadendo a terra.
“Padre Tres!”
Ciò che era caduto a terra con un suono pesante erano le sue due braccia amputate dalle spalle. La figura del suo sottoposto inginocchiato, con il liquido circolatorio sottocutaneo che sgorgava come una cascata, fece sgranare gli occhi a Caterina.
“Con questo siamo pari. Senza rancore, padre Tres... Beh, signore e signori, ora vi dico Auf Wiedersehen.”
Poi, dall'ombra del ‘mago’ che aveva completamente inghiottito l'immagine reale, risuonò una bassa risata.
“... Questo conclude il mio rapporto. Inoltre, il conte di Zagabria è attualmente sotto scorta. Crediamo che arriverà tra un giorno o due.”
<Ottimo lavoro.>
Dal trono fluttuante, l'Imperatrice Augusta espresse la sua gratitudine alla giovane donna inginocchiata dall'altra parte della tenda. La sua voce, convertita elettronicamente, si diffuse nella sala del pubblico accompagnata da un suono basso, profondo e imponente.
<A proposito, Viscontessa di Odessa... che mi dice del collaboratore proveniente dall’Esterno di cui parla nel suo rapporto? Com'è andata?>
“Quando mi chiedete com'è andata, cosa intendete?”
Il volto della viscontessa, dall'altra parte della tenda, era nascosto sotto i capelli bianchi e non poteva essere visto. Tuttavia, l’Imperatrice Augusta non mancò di notare che le sue spalle si erano irrigidite leggermente.
<Vi sto chiedendo se vi é stato utile, signora. Dopo tutto, avete fatto un rapporto notevolmente positivo, non è così?>
“No… non esattamente! Ho solo pensato che, per essere un Terran dalla vita breve, si sia dimostrato competente. Vuole che aggiunga altri dettagli al rapporto?”
<No, non sarà necessario. Mi dispiacerebbe imporle ulteriori sforzi, signora. Ben fatto. Può andare a riposare.>
“Ah! La ringrazio, allora vado.”
<Si riposi con calma... Hmm, quindi pare che lui stia come sempre eh…?>
Non appena la viscontessa di Odessa, con la sua alta statura, scomparve dalla sala delle udienze, la tenda di bambù si sollevò delicatamente. Nella stanza, dove ora non c'era nessun altro, una piccola figura seduta su un trono era illuminata da una luce soffusa. Si stiracchiò ampiamente e, con una voce completamente diversa da quella che aveva usato fino a poco prima, mormorò nel suo tono naturale e chiaro.
“È ancora dalla parte degli umani... In questo caso, penso che sia meglio non combattere con il Vaticano ora… Affrontare entrambi i nemici allo stesso tempo, a prescindere da tutto, sarebbe troppo problematico.”
Sul trono, con i suoi occhi verde chiaro che brillavano maliziosi, c'era una ragazza che non sembrava aver superato l'adolescenza. Il suo viso era straordinariamente bello sotto i capelli neri e un po’ spettinati. Sebbene le sue lunghe braccia e gambe fossero davvero sottili, la sua espressione piena di vitalità ricordava in qualche modo una bestia felina non abituata agli esseri umani.
La ragazza ─ l’ “Imperatrice Augusta” Vladika ─ si tolse il grande cappello e si sdraiò su un fianco in modo rilassato sul trono fluttuante.
“Però non lo capisco proprio. È rimasto fedele a una donna del suo passato e si allea ancora con i Terrestri. Tuttavia, è inspiegabilmente popolare, quindi perché non si cerca un'altra donna...? Astharoshe ad esempio, sarebbe un ottimo partito. Se fossi un uomo, non me la lascerei scappare. Non lo farei davvero.”
Il sistema di aria condizionata all’interno della stanza ricreò la nostalgica immagine delle foreste di inizio estate del Canada, prima della ‘Grande Catastrofe’. La brezza fresca, con il suo profumo di clorofilla, e il canto degli uccelli liberi di volare tra i rami erano indescrivibilmente piacevoli.
“Cosa dovrei fare d'ora in poi? Sembra sempre che tutti i problemi finiscono per venire da me. Davvero, non ce la faccio più.”
La voce brontolante della ragazza si abbassò a metà frase e scomparve.
Invece, quello che le sfuggì dalle labbra leggermente aperte fu un respiro tranquillo e assonnato. Sul suo petto che si alzava e si abbassava dolcemente, si posò delicatamente un mughetto.
“Sono venuto per lei, Graf.”
Il vecchio vampiro guardò implorante l'uomo che stava dall'altra parte della porta di ferro. Dov'era finito il carceriere? Di lui non si vedeva né l'ombra né la figura.
“Sei venuto a salvarmi, vero? Ben fatto!”
“È un onore. Vi prego di accompagnarmi sul ponte. Il dirigibile ci sta aspettando.”
“Sì, sì!”
Alzandosi in piedi e gonfiando il petto, Endre uscì dalla stiva della nave e si guardò intorno. Su quella nave di scorta ci dovevano essere circa cinquanta membri dell'equipaggio, ma l'interno era completamente silenzioso.
“Cos'è successo all'equipaggio?"
Kämpfer si limitò a scrollare le spalle. L'atteggiamento compiaciuto del Terran, che aveva preso il comando e aveva iniziato a camminare, lo aveva un po' irritato.
... Beh, pazienza
Endre si trattenne.
Se fossie stato scortato nell'Impero, avrebbe sperimentato qualcosa di peggio della morte.
Almeno prenderò per buono il fatto di essermi salvato.
“Tuttavia... sono un po' indebolito...”
Nel momento in cui aveva provato sollievo, la sete era tornata. Non pretendeva il lusso. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, anche un marinaio straccione, ma non c'erano esseri umani in giro? A parte l'uomo dai capelli lunghi che camminava davanti a lui, non c'era traccia di nessuno a bordo.
...Dovrei accontentarmi di questo tipo?
Con gli occhi affamati fissi sulla schiena dell'uomo, Endre sorrise segretamente.
A pensarci bene, non aveva più bisogno di quest'uomo.
Per il momento, dovrò nascondermi. In questo caso, meno persone sanno della mia esistenza, meglio è. Mi è stato utile in molti modi, ma lasciare in vita un uomo insignificante e far sì che i miei piani vengano disturbati sarebbe problematico...
“A proposito, Eccellenza...”
Come se leggesse la mente di Endre, la persona che camminava davanti a lui parlò senza voltarsi.
“Congratulazioni per questa occasione. Le sue capacità sono state splendide, non crede?”
“Di cosa stai parlando?”
Nascondendo le zanne, Endre forzò un sorriso - dentro di sé, si dovette mordersi la lingua per la frustrazione, fingendo ignoranza.
“È successo qualcosa di degno di essere celebrato?”
“Non faccia l'incompreso. Naturalmente sto parlando dell'incidente di Venezia... È stato uno splendido successo.”
“Smettila di prendermi in giro!”
Questo tizio mi sta davvero prendendo in giro?
Ma Kämpfer, sempre dando le spalle al vampiro, che stava sollevando le labbra in un gesto di stizza, si limitò a scuotere la testa con calma.
“Prendere in giro? Non è affatto così. Il piano è stato un grande successo. In conseguenza a quanto é accaduto, l'Impero e il Vaticano hanno stretto un rapporto temporaneo di cooperazione. È un risultato di cui dovremmo essere abbastanza soddisfatti, non crede?”
“Cosa!? Che cosa significa?”
“Non si possono distruggere le cose che non esistono, ma quelle che esistono si possono rompere... questo è il punto. Questo incidente sarà una buona opportunità per la loro cooperazione. Anche un pervertito la cui unica abilità è tormentare i deboli, a seconda di come viene usato, può essere utile, no?"
“Tu... insolente!”
Il suo bel viso si distorse in modo grottesco.
“Terran! Maledetto, hai osato sfidarmi!”
Endre ruggì, mostrando le gengive, e allungò gli artigli affilati verso la schiena dell'insolente Terran dalla vita breve...
“...Ah?”
Tuttavia, gli artigli del vecchio vampiro fendettero l'aria invano. Qualcosa lo aveva ostacolato... no, non era quello. Qualcosa gli aveva afferrato le gambe.
“Che... che cos'è?”
Endre abbassò gli occhi sui suoi piedi e gemette.
La lunga ombra di Kämpfer si allungava sul corridoio ── e lì i suoi piedi stavano affondando.
“Le mie gambe...!”
Era come se fosse sprofondato nel catrame o in una palude senza fondo. Il corpo del ragazzo, che si dibatteva disperatamente, stava lentamente affondando nel terreno ─ o meglio, nell'ombra che fuoriusciva dal mago.
Guardando la scena da sopra le spalle, Kämpfer accese la piccola sigaretta e la tenne in bocca.
“È problematico, sai? Essere disturbati da esseri insignificanti, per di più... Prima che il protagonista vada in scena, il palcoscenico deve essere riordinato a dovere, non crede?”
“Chi.... Chi diavolo sei?”
Il corpo del ragazzo era già immerso nell'ombra fino al petto. Con ogni muscolo del viso contorto dal terrore, Endre emise un grido ansimante.
“Kämpfer! Bastardo, chi...”
Ma le domande non continuarono. Il volto, distorto fino a non lasciare traccia della sua forma originale, fu inghiottito dall'oscurità. Solo una piccola mano, allungandosi a terra, cercò di chiudere le dita come per afferrare qualcosa per l'ultima volta, ma anche quella fu rapidamente inghiottita dalle ombre.
“Anche stanotte, c’è una bella luna... Tenera è la notte, e chissà, forse la Regina Luna è sul suo trono, circondata da una miriade di Fate stellate; però qui non c'è altra luce... - Keats.”
Come se nulla fosse, Kämpfer alzò gli occhi al cielo. A sud brillava una grande luna piena, e accanto ad essa, leggermente più piccola e distorta, brillava la ‘luna vampiro’.
Sicuramente, la notte in cui il mondo finirà, ci sarà una luna bellissima come questa. E quella notte non è troppo lontana.
“È una notte bellissima... Davvero una bella notte.”
Il Mago gettò il suo sigaro in mare e, infilandosi le mani in tasca, riprese a camminare nell’oscurità.
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SECONDA PARTE
Il giorno prefissato per l’inizio lavori, fu puntualissimo. Gli offrii un caffè e stabilimmo la tabella di marcia dei lavori. Poi mi chiese il permesso di andarsi a cambiare, gli indicai che poteva andare a farlo nella camera degli ospiti. Intanto io mi misi davanti al computer per guardarlo denudarsi, visto che avevo delle telecamere a circuito chiuso, sparse per la casa.
Mentre si spogliava, lo fissavo un po’ imbarazzata. Si tolse la maglietta e la canottiera mettendo in mostra un addome ben scolpito. Si tolsero i pantaloni e gli slip e rimase nudo. Rimasi esterrefatta nel notare due belle gambe dritte e ben disegnate, da far invidia a molte donne. Un sedere da favola tondo e sodo, e un pene di tutto rispetto, almeno in posizione di riposo. Era completamente glabro, che cosa chiedere di più?. Restai quasi imbambolata a fissarlo, come se fossi in trance.
Indossò i panni di lavoro e usci dalla camera.
S’inginocchiò e inizio a vedere quali listelli avrebbe tolto per prima.
Ero eccitatissima, il mio “LUI” era al massimo della tensione, usciva prepotentemente dagli slip. Ero rossa in viso e molto imbarazzata.
Cercando di mantenere ancora un certo contegno, con passo sostenuto gli sono passata accanto, si è girato e mi ha guardata dal basso e ha sicuramente scorto il mio stato di eccitazione. Ho fatto finta di niente e sono entrata in camera. Maliziosamente ho lasciato socchiusa la porta affinché potesse sbirciarmi mente mi sarei cambiata. Dallo specchio vedevo che aveva gli occhi incollati su di me. Ho accentuato i miei gesti, stavo facendo uno Streep tease. Il mio stato di eccitazione era al massimo grado. Feci in modo che potesse ammirare il mio pisello, non grande, ma sicuramente idoneo per dare piacere. Indossai la mia lingerie di pizzo e uscii dalla camera. Ero decisa a tutto.
Mi sono avvicinata a lui prono, mi misi davanti, lui alzò la testa e vide il mio cazzo che usciva dalle mutandine. Godevo da morire nell’osservare le reazioni del suo viso, quel rossore sulle gote che svelano uno spavento misto a eccitazione.
M’inginocchiai e mi portai a pochi centimetri dal suo volto e gli dissi con tono austero, quasi fosse un rimprovero:
"Me ne sono accorta sai che mi fissavi il cazzo, lo vuoi vero?"
Riuscì solamente a farfugliare timidamente un sì.
"L'hai mai fatto con una trans?" Gli chiesi con voce questa volta maliziosa mentre gli poggiavo una mano sulla testa. Appena fece cenno di no, mi fluì il sangue alla testa, mi eccitai fuori misura perché sarei stata io la prima a iniziarlo. Mi confessò con un filo di voce che lo aveva sempre desiderato, avrebbe voluto un’esperienza dove sarebbe stato sottomesso, interpretando così un ruolo passivo. Voleva che lo si prendesse con desiderio e che fosse il centro del piacere, voleva ardentemente toccare un altro cazzo, lo voleva sentire in bocca. Purtroppo non avevo mai trovato una persona con la quale realizzare tutto ciò.
Allungò una mano e mi toccò il mio giocattolo, era al quanto impacciato, e iniziò a far su e giù. Lo lasciai fare per qualche istante, poi con la mano che avevo appoggiato sulla sua la testa lo indirizzai verso il mio cazzo. Aprii la bocca e iniziò a gustarlo. Guidato dalla mia mano gli facevo fare su e giù su, succhiava avidamente e alla fine lo prese tutto i bocca, fino a ingoiarlo tutto.
Oramai il ghiaccio si era rotto. Continua…

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A Manuel e Simone
Chi non vi ha seguiti sin dalla prima stagione non potrà capire l'amaro e la delusione che ha lasciato questa seconda stagione a tantissimi di noi. Non può capire quanto amore abbiamo visto nei vostri occhi sin da quella scena meravigliosa in cui Manuel ha tatuato il braccio di Simone, che porterà per sempre un segno di Manuel, il primo amore, sulla pelle. Non può comprendere la paura che abbiamo visto negli occhi di Simone quando ha capito che non era vero che non era capace di amare, perché si era innamorato di uno come lui. Perché si era innamorato di Manuel, un ragazzo che, nonostante gli errori, ha permesso a Simone di dire che innamorarsi è una delle cose più belle del mondo. Un ragazzo spaventato dall'amore che Simone poteva dargli, perché non era abituato a sentirsi amato se non da sua madre, non era abituato a qualcuno che pensasse che lui vale. E questa paura l'ha portato a fare tanti sbagli, ma nonostante tutto ha sempre fatto in modo di proteggere Simone, perché lui è il suo "più amore", perché con lui "è diverso". La paura non li ha separati e li ha resi l'uno il porto sicuro dell'altro. E loro sono poi diventati il porto sicuro di tante persone, di chi sperava di vedere finalmente una degna rappresentazione della bisessualità o di chi, semplicemente, grazie a loro ha ritrovato una passione, qualcosa che lo smuovesse in un periodo buio, o ha trovato degli amici veri. Vedere loro, leggere i commenti e i meme sulla loro storia mi hanno salvata dal baratro dell'apatia in cui ero caduta in quel periodo. Vorrei tanto poter dire "Non prendertela, è solo una serie", ma purtroppo non è così, perché loro e Un professore hanno significato tanto per me.
E invece, dopo le prime puntate che ci avevano tanto fatto sperare tra gelosie, sguardi, un continuo cercarsi e sostenersi reciproco, tutto sembra essere crollato. Simone per un po' è rimasto un personaggio piatto col solo scopo di stare dietro a Mimmo. Manuel, invece, stava avendo la bellissima storia del padre e la sorella ritrovati. Poi il nostro Simone è tornato con la malattia di Dante, mentre Manuel è stato massacrato con la trama del rapimento di Lilli e il suo essere bloccato in una relazione che volevano far passare per grande storia d'amore, ma in realtà è stata solo tossica.
È questo che ci meritavamo?
Manuel dimenticato da Anita, Dante e Simone mentre affrontava DA SOLO il dolore causato da una verità taciuta per 18 anni? Manuel preso dai sensi di colpa per aver accidentalmente messo nei guai una ragazza, che però non fa che sminuirlo e non si preoccupa nemmeno di come sta?
Simone che a lungo ha dovuto affrontare il dolore per la malattia del padre DA SOLO?
Manuel e Simone che avevano una storia già scritta, Manuel che aveva un percorso che sembrava già pronto e che invece, non si sa per quale motivo, sembrano aver voluto dare a Mimmo (introdotto forzatamente, portando a un buco di trama enorme) creando, tra l'altro, continui parallelismi con la trama dei Manuel e Simone della prima stagione?
Eppure quelle poche scene che ci sono state di Manuel e Simone insieme, anche se durate pochissimi secondi come se avessero paura di farceli vedere (certo, che senso avrebbe far vedere che ti stanno privando di una cosa così grande?) sono riuscite a farmi emozionare più di qualsiasi altra interazione avuta dai loro personaggi.
Non riuscirò mai a farmene niente di qualsiasi altra coppia quando so che avremmo potuto avere loro, Manuel e Simone. Perché loro dovevano essere i nostri Pol e Bruno. Ma sembrano essersi dimenticati di Pol.
Spero solo che questo non sia davvero un addio. Vi amerò sempre, in tutti gli universi. E anche voi vi amerete in tutti gli universi, anche se in questo non avranno il coraggio di mostrarcelo.
Non vi lascio, va bene? Non vi lascio perché vi voglio bene.
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