#che in realtà è una mancanza enorme
Explore tagged Tumblr posts
succhinoallapesca · 2 years ago
Text
Mi sono impegnata così tanto per scrivere quel messaggio su Idealista che davvero non merito che 'sta cavolo di Marta mi visualizzi senza rispondere! Su Idealista! Voglio direeee questo no non lo posso accettare
5 notes · View notes
toscanoirriverente · 1 year ago
Text
La norma sull'utilizzo delle fonti rinnovabili stabilisce standard non raggiungibili, creando solo frustrazione, mancanza di credibilità e costi elevati. Ecco perché sarebbe meglio un approccio più pragmatico e meno ideologico
Azzeccare previsioni è relativamente semplice, purché non riguardino il futuro. Questa volta però una previsione la facciamo: non vi è alcuna possibilità che gli obiettivi fissati nell’aggiornamento della Direttiva europea (RED III) per quanto riguarda le fonti rinnovabili possano essere raggiunti. Almeno in Italia, ma gli altri stati europei non stanno meglio. L’obiettivo fissato è che al 2030 siano rinnovabili il 42,5% dei consumi finali di energia più un obiettivo non vincolante (ma che significa?) del 45%. Attenzione, questo obiettivo non riguarda la sola energia elettrica, se fosse così già quasi ci saremmo, ma il 42,5 di tutta l’energia. Quindi dobbiamo nello stesso tempo aumentare la quota di energia elettrica prodotta con le rinnovabili e aumentare la quota di elettricità sul totale di energia consumata. E la differenza è enorme. L’elettricità infatti è oggi solo il 21,5 per cento del totale dell’energia consumata.
Per capire di che cosa stiamo parlando è meglio cominciare dai consuntivi, che al contrario delle previsioni presentano numeri certi. Nel 2022, secondo i dati del MASE, solo il 19% dei nostri consumi finali erano da rinnovabili. Sole, vento, idro, geo, ma anche rinnovabili termiche, compresa la legna da ardere, e un po’ di biometano. Nel 2014 era al 17,1. In 8 anni siamo quindi cresciuti di 2 punti. Nei prossimi 7 dovremmo crescere di 23, 5 punti, 12 volte in più del tasso di crescita registrato fin qui. Anche se facessimo oggi tutta l’elettricità con le rinnovabili, cosa impossibile, ci fermeremmo al 31,8, più di 10 punti sotto l’obiettivo. In Europa le cose vanno appena meglio. Siamo al 21% medio, appena due punti sopra l’Italia, grazie soprattutto ad alcuni paesi del Nord Europa, come Svezia e Finlandia, ricchi di idroelettrico e legname.
Da noi la discussione è tutta centrata sulle rinnovabili elettriche, ma occorre capire che in realtà si tratta di perseguire, come detto, un doppio obiettivo. Non solo aumentare la produzione da rinnovabili, ma contemporaneamente aumentare di molto la quota di consumi energetici soddisfatti dall’elettricità. Dal 21,5 % di oggi al 29% nel 2030.  Sembrano pochi  8 punti. Ma il combinato disposto fra le due cose, più rinnovabili e più elettricità nei consumi finali in un tempo così breve, comporta obiettivi irrealizzabili. Stessa cosa per le altre rinnovabili termiche.
Diversi studi, TERNA, Confindustria, Università di Padova, hanno fatto i conti e indicato cosa occorrerebbe fare.  Bisognerebbe da oggi al 2030  installare 700.000 pompe di calore all’anno. Immatricolare 1 milione di auto elettriche all’anno. Nel 2022 sono state 50.000. Installare 120 GW di nuove rinnovabili al ritmo di quasi 20 all’anno contro i 3 dell’anno scorso e almeno 120 GWh di sistemi d accumulo. Aumentare di 15 volte la produzione di biometano. Naturalmente il mix può cambiare, ma siccome nessuno di questi obiettivi singolarmente ha serie possibilità di essere raggiunto le cose non cambiano. Non credo ci sia un solo esperto di problemi energetici che possa ritenere questi obbiettivi realizzabili. Rimane da capire perché l’Europa si ostini ad alzare l’asticella di obiettivi chiaramente non raggiungibili, creando solo frustrazione, mancanza di credibilità e costi elevati. E perché l’Italia che pure ha fatto molti compiti a casa non faccia presente che forse un po’ di  realismo servirebbe. Negli stessi giorni dell’approvazione della Direttiva la Presidenza spagnola ha predisposto un documento dai toni più che allarmistici sulla carenza di una serie di materiali necessari per soddisfare tutte le esigenze. Con il rischio che i costi vadano alle stelle e la dipendenza dalla Cina, dice il documento,  raggiunga lo stesso livello di quella precedente dalla Russia. Suona quindi surreale il commento del relatore tedesco Markus Pieper del Ppe secondo il quale “questa direttiva dimostra che Bruxelles può essere poco burocratica e molto pragmatica”. Il punto è che la Ue si è incastrata da sola ponendosi un obiettivo, quello delle zero emissioni al 2050, che la costringe a stabilire  tappe intermedie altrettanto velleitarie. L’unico risultato per il momento è la perdita di competitività dell’industria europea, la creazione di mercati, auto elettriche e rinnovabili, per i produttori cinesi, l’aumento dei costi per imprese e famiglie. Nel frattempo il contributo delle emissioni europee al totale mondiale continua a scendere. Soprattutto perché crescono quelle degli altri.
34 notes · View notes
amore-perso · 1 year ago
Text
Parte 2
"Speciale deriva da species, che significa spettacolo, scena vista, qualcosa che risalta agli occhi di chi sa guardare"- è quello che mi disse guardandomi negli occhi con quella luce soffusa che proveniva dalla luce del corridoio, lasciata accesa per la fretta di cogliere al balzo l'occasione di sdraiarsi accanto a me. "Immagino che tu sia colui che sa guardare" -dissi- "non è forse speciale anche la persona che riconosce chi altri lo sia?" -non perdeva mai l'occasione per esaltare le sue qualità, pure troppo, forse anche fino a risultare odioso a volte. Ma a quel punto cominciò a sfiorarmi il viso, io risultai sicuramente infastidita, perché mi girai meglio dalla parte opposta, in ogni caso gli facilitai la presa, in quella posizione poteva tenermi stretta, con una mano sulla guancia, toccandomela meglio, c'era più contatto. Il mio cuore iniziava a battere più veloce ma riuscivo a tenere la calma, forse facilitata dal sonno, che ancora la sua presenza non mi permetteva di prendere. Mantenni quella posizione per tanto, dopo qualche minuto mi iniziava a piacere la sensazione della sua mano calda posta quasi sulla mandibola, a sfiorare la parte del viso a metà tra guancia e collo, tra castità e desiderio. Cominciavo a rilassarmi e quasi ad addormentarmi, quando la sua mano cominciò a spostarsi, scese giù, nel tragitto per qualche secondo mi sfiorò il seno, scese ancora giù. Per un attimo ebbi paura o forse sperai, forse lo pensai perché in realtà lo volevo, che cominciasse a toccarmi meglio. La sua mano cercava qualcosa, disperatamente quasi, era la mia mano, la prese, incastrò le sue dita con le mie, ci giocò per qualche minuto e poi la portò al suo viso. Ovviamente la posizione iniziale, in cui lui mi stava abbracciando da dietro, così non era più comoda per me, dovetti girarmi.
Se la teneva stretta, come a dire "accarezzami, non togliere la mano", è quello che feci: iniziai a sfiorare la leggera ombra di barba che aveva col dorso della mano, i suoi occhi iniziarono ad addolcirsi, non erano come al solito e passai a delle carezze migliori. Ora mi trovavo lì, quasi a pancia in giù, per metà appoggiata al suo petto, con il braccio che mi faceva da cuscino e la mia mano che smetteva di accarezzargli il viso solo per passare qualche secondo sul suo petto. Lui vide nel mio sguardo la paura di caderci ancora, la paura di crederci, di stare davvero bene a causa della mancanza di fiducia nei suoi confronti. Non potevo fidarmi, ogni volta che ero stata bene lui spariva, né un messaggio, né una chiamata, come potevo credere al suo bisogno di ricevere il mio amore, le mie attenzioni... Mi conosceva, leggeva nel mio sguardo ognuna di queste domande e iniziò a parlarmi di quello che lo portava a essere in quel modo.
Da un ragazzo così cosa vi aspettereste? Nulla di specifico, non mi raccontò del perché lo faceva da sempre, né cosa successe nel particolare: si limitò a parlarmi della sua unica relazione, avuta qualche anno prima, quindi comunque dopo che aveva già l'abitudine di sparire. Aveva sofferto, tradito dal suo migliore amico, non aveva perso solo la sua ragazza, sentiva che tutto quello che aveva fatto per entrambi non era stato apprezzato, si sentiva perso e un po' abbandonato. Io ero lì ad accarezzarlo nel tentativo di calmare il suo sfogo, a guardare nei suoi occhi mentre mi raccontava la sua storia, quando mi colpì una frase specifica "per me tu sei un mondo". Vi spiego: non stava parlando di me, ma era uno di quelli che ci metteva anima in quello che faceva, anche io, per cui lo capivo benissimo, e il fatto di non essere apprezzato o che nulla gli veniva riconosciuto lo minava dall'interno, parlava di questa ragazza come un mondo conquistato dopo tanto e che lui aveva contribuito a costruire, un luogo dove trovare rifugio, benessere, qualcosa di enorme, che lo avvolgesse e in cui perdersi, con le sue piccole e uniche caratteristiche. Per lui ero così, con altre diverse piccole e uniche caratteristiche: realmente eravamo dei mondi, dei piccoli pianeti, ognuno differente dall'altro, compresi appieno ciò che voleva dire. Tuttavia, la frase mi colpì perché dolorosa, mi immaginai nella mente un piccolo astronauta, che pur avendo scoperto un pianeta bellissimo per lui, decise di scoprirne un altro e focalizzarsi su questo, considerando il primo solo quando aveva voglia. Pertanto, presa un attimo dall'impulsività, gli risposi "un pianeta che però hai frequentato a intermittenza", lo avevo beccato. Sembrava realmente dispiaciuto della scelta che aveva fatto ma il secondo mondo, a quanto disse, era per lui l'unico che all'epoca poteva frequentare. Effettivamente anche io ero spesso sfuggente, lato che alla lunga poteva dare fastidio, scambiandolo per volontà di non ricambiare i suoi sentimenti. Continuavo a guardarlo negli occhi, quella sera c'è stata un'intimità che in 10 anni non si era mai creata. Mi disse che avrebbe tanto voluto stare con me così da tempo e che non si era mai creata l'occasione, ma che se quell'attesa fosse stata necessaria per provare quello che provava in quel momento, ne valeva la pena. "Sto bene" -disse guardandomi negli occhi- "sto proprio bene, con te così, non ho mai guardato nei tuoi occhi così a lungo e tu non hai mai guardato così i miei, tutto questo mi rende colmo di benessere". Era vero, c'era una strana magia che rendeva diversi i nostri sguardi quella sera, io sentivo la sua gioia, la sua sincerità e il suo reale senso di benessere nello stare così.
Tutto ciò mi aveva inebriato: le sue parole, i suoi occhi, un suo sorriso sincero che non avevo mai visto prima, lo stare vicini, le carezze, il suo entusiasmo nel parlare dei suoi sentimenti verso me, tutto. Mi persi anche io nel suo entusiasmo, mi feci prendere, i miei pensieri legati ai suoi e non mi accorsi che era a un millimetro da me che cercava di baciarmi. Non me la sentivo di baciarlo, ma era lì e un po' di desiderio c'era, comunque realizzai quello che stava accadendo realmente solo quando le sue labbra erano già sulle mie e di colpo andai via. Quello che ne risultò fu un mezzo bacio a stampo, storto, con uno schiocco a vuoto, orribile, perché subito mi allontanai, mi tolsi il piumone di dosso e, messe le scarpe e il cappotto, corsi via, lasciandolo lì, solo nel letto.
Continua
14 notes · View notes
susieporta · 7 days ago
Text
Amiamo il nostro dolore.
Sembra la cosa più innaturale del mondo andare incontro al dolore.
Ma la sottile, inquietante verità, è proprio questa.
Se non ne abbiamo abbastanza, lo creiamo.
Ingigantiamo le nostre fantasie catastrofiche facendole diventare come enormi buchi neri che alla fine inghiottiscono pure noi.
Al dolore ontologico dell'esistenza, legato al non poter sapere perché siamo al mondo e al non aver scelto di esserci, sommiamo palate di dolore immaginario come se non ci bastasse già quello che la vita porta con sé.
Perché mettiamo in atto questo atteggiamento paradossale?
Perché la sofferenza ci getta nello stato di vittime, e ci permette di identificarci in questo ruolo a costo zero.
Infatti diventare protagonisti attivi della propria realtà, costa molto di più.
Rendersi responsabili di ciò che ci capita, chiedere cosa vogliamo dagli altri, dire quello che sentiamo nei loro confronti in modo diretto, assumersi il peso delle proprie scelte o non scelte, implica uno sforzo enorme.
Implica spesso il mettersi in discussione, e diventare umili e responsabili.
Questo ruolo invece (quello di vittime) ci permette di essere accuditi, riconosciuti, amati coccolati e difesi da chi, vedendoci già sofferenti, non ci torcerebbe un capello.
Chi può volere il male di qualcuno che già soffre?
Chi soffre può essere solo compatito, al massimo, impietosisce e fa tenerezza.
Ecco allora che ci carichiamo di pesi giganteschi pur di farci e di fare pena.
Diventiamo i diavoli che torturano le anime dannate nel proprio inferno personale.
Ci stracciamo le vesti di fronte al nostro povero, misero io, che nessuno vuole e nessuno ama: che tanto patisce e tanto si dispera.
Tra l'altro, cosa non secondaria, vittimizzarci ci permette di comunicare all'altro indirettamente manipolandolo con il senso di colpa.
Lo stesso senso di colpa che ci infliggiamo noi quando sbagliamo, quando ci critichiamo e ci giudichiamo per niente, imprigionando il nostro bambino interiore in una nuvola di emozioni melmose, e annegando così la sua vitalità.
L'altra soddisfazione secondaria è data dal fatto che il dolore è il carburante a costo zero che fa diventare il nostro ego un supereroe ai suoi stessi occhi.
L'ego infatti si nutre di ferite, di passato, di paure, di conflitti.
E quindi se la vita non ci porta su queste tracce, gliele forniamo noi attraverso fantasie catastrofiche e drammi esistenziali.
Tutto va male e, se non va male ora, in futuro andrà sicuramente peggio.
Il passato non è foriero di insegnamenti per il futuro, ma di lacerazioni per il presente.
Il presente è un destino che ci da contro su tutti i fronti: nessuno ci capisce e nessuno ci ama.
Tutto questo trova un terreno fertile nel nostro cervello al quale, ai fini della sopravvivenza, è convenuto scambiare un bastone per un serpente piuttosto che il contrario.
Il nostro cervello è programmato per vivere nel dolore e per anticiparlo, sguazzando nella paura, nel risentimento e nelle aspettative illusorie che, inevitabilmente, verranno deluse (tutti meccanismi questi che spiego dettagliatamente nel mio nuovo libro).
Ma una volta scesi nella palude masochistica, si nuota con squali spietati come la rabbia e i sensi di colpa, e con piovre succhiasangue come la mancanza di vita e la fragilità, che ti fa torcere per un nonnulla come se camminassi sugli spilli ventiquattro ore al giorno.
Prendersi la responsabilità di ciò che si fa e di ciò che non si vuole fare, per pigrizia, per paura, per indecisione o per conflitti interni mai accettati né compresi; comprendere quanto e in che misura contribuiamo a rimanere nelle situazioni che odiamo, e agire di conseguenza; capire quanto e in che misura ciò che ci accade è anche causa nostra, e agire di conseguenza; esprimere i propri bisogni anche a costo di vederli rifiutati.
Questi atteggiamenti, sono per pochi.
Pochissimi.
Ma quei pochi, sono quelli che voglio tirarsi fuori dalla palude del vittimismo e cominciare a camminare in altri regni dello spirito.
Panorami del vivere, in cui non abbiamo bisogno di farci del male per sopravvivere alla meno peggio.
È in questo coraggioso bagno di luce che possiamo sentire l'energia che è in noi, scorrere liberamente nelle nostre vene, la passione farci battere il cuore all'impazzata, e le lacrime di gioia scendere sul nostro viso.
Tutto questo è possibile cambiando gli occhiali che utilizziamo per vedere noi stessi e il mondo circostante, e soprattutto entrando in sintonia con il sentire del proprio corpo.
© Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
#armaturainvisibile #artedilasciarandare
2 notes · View notes
scienza-magia · 8 months ago
Text
Crisi industriale per sovrapproduzione di acciaio in Cina
Tumblr media
La siderurgia cinese è sull’orlo del precipizio. L’era delle grandi infrastrutture in Cina è finita, e ora il settore dell’acciaio deve affrontare un’enorme sovrapproduzione. Una transizione cruciale all’interno dell’industria siderurgica cinese, che sta esacerbando le preoccupazioni di sovracapacità, ha portato a temere che una mancanza di disciplina possa rischiare di far  "cadere da un precipizio"  questo settore industriale e danneggiare la posizione a lungo termine della nazione nel commercio globale. La produzione di acciaio della Cina è aumentata rapidamente negli ultimi decenni, diventando il principale produttore ed esportatore mondiale.
Tumblr media
Ma la prolungata flessione del mercato immobiliare e il rallentamento della spesa infrastrutturale da parte di alcuni governi locali per contenere i rischi di indebitamento, significa che l’industria sta affrontando una realtà non piacevole. I prezzi sono crollati bruscamente dal 2021 e alcuni produttori di acciaio hanno chiesto di limitare la produzione, citando le crescenti perdite e i rischi di flusso di cassa dovuti alla sovracapacità.
Tumblr media
Cina: produzione di acciaio Fine dei consumi su larga scala “In passato, era sostenuta principalmente da investimenti come il settore immobiliare, la costruzione di infrastrutture e il rinnovamento delle attrezzature delle fabbriche”, ha dichiarato Tang Zujun, vicepresidente della China Iron and Steel Association, durante un incontro con i maggiori produttori di acciaio del Paese alla fine di aprile. In futuro, sarà guidato dai consumi e dalle industrie strategiche emergenti e future basate sull’innovazione”.   “L’era della costruzione su larga scala nel nostro Paese è finita”. Tang ha chiesto una migliore disciplina e allocazione delle risorse, nonché uno sviluppo “sano” del settore, aggiungendo che l’eccesso di investimenti in alcuni prodotti peggiorerebbe ulteriormente la sovraccapacità. ‘ “Se questo problema non viene gestito bene, avrà un enorme impatto sull’ecosistema, sullo sviluppo sostenibile e sulla competitività internazionale dell’intero settore” . Solo che la situazione è diventata talmente complessa ed eccessiva che è molto difficile quali siano gli impianti che dovrebbero sopravvivere e quali dovebbero chiudere. L’export non può più essere una valvola di sfogo Anche la possibilità di utilizzare l’estero, anche con il dumping, per scaricare l’acciaio in eccesso, non è più affrontabile.  A metà aprile, Biden ha detto che le tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio cinesi dovrebbero essere triplicate, nella prima proposta tariffaria importante sui prodotti cinesi da parte della sua amministrazione. A marzo, due grandi produttori di acciaio in Vietnam hanno richiesto un’indagine antidumping sulle esportazioni di acciaio laminato a caldo dalla Cina. La settimana scorsa, il Cile ha dichiarato che avrebbe imposto tariffe antidumping temporanee sui prodotti siderurgici cinesi utilizzati nell’industria mineraria, nel tentativo di sostenere i produttori locali in crisi.   Il Messico aveva già imposto tariffe sull’acciaio cinese.
Tumblr media
Export cinese di ferro e acciaio Il governo cercherà sicuramente di ridurre la produzione di acciaio in modo organico ed organizzato. Sicuramente potrà riuscirci con i grandi gruppi a controllo statale, ma le piccole acciaierie private, queste ridurranno la produzione per obbedire agli ordini di governo, salvo poi aumentarla non appena i prezzi inizieranno a riprendersi. Anche la Cina ha una sua economia di mercato, perfino più caotica di quella Occidentale. Mettere ordine al mercato cinese dell’acciaio non sarà un lavoro facile. Read the full article
2 notes · View notes
icio61 · 2 years ago
Text
L’AMORE E IGIENE NEL 1600 1700 😱
Visitando il palazzo di Versailles a Parigi, si nota che il sontuoso palazzo non ha bagni.
In quel periodo non c'erano spazzolini da denti, profumi, deodoranti, figuriamoci la carta igienica. Gli escrementi umani venivano lanciati dalle finestre del palazzo.
In un giorno di festa, la cucina del palazzo poteva preparare un banchetto per 1500 persone, senza la minima igiene.
Nei film attuali vediamo le persone di quell'epoca sventolarsi con il ventaglio...
La spiegazione non è per il caldo, ma per il cattivo odore che emettevano sotto le gonne (che tra l’altro sono state fatte apposta per contenere l'odore delle parti intime, visto che non c'era igiene).
Non era abitudine fare la doccia a causa del freddo e della quasi mancanza di acqua corrente.
Solo i nobili avevano dei lacchè per ventagli, per dissipare il cattivo odore che emettevano il corpo e la bocca, oltre a scacciare gli insetti.
Coloro che sono stati a Versailles hanno ammirato gli enormi e bellissimi giardini che all'epoca non solo erano contemplati, ma erano usati come gabinetti nelle famose ballate promosse dalla monarchia, perché appunto non c'erano bagni.
In quel periodo la maggior parte dei matrimoni si svolgevano in giugno (per loro l'inizio dell'estate). Il motivo è semplice: il primo bagno dell'anno si faceva a maggio; quindi a giugno l'odore della gente era ancora tollerabile.
Tuttavia, poiché alcuni odori iniziavano già a disturbare, le spose portavano mazzi di fiori vicino al loro corpo per coprire la puzza. Da qui la spiegazione dell'origine del bouquet da sposa.
I bagni erano fatti in una sola vasca enorme piena di acqua calda. Il capo della famiglia aveva il privilegio del primo bagno in acqua pulita. Poi, senza cambiare l'acqua, arrivavano gli altri in casa, in ordine di età, donne, anche per età e infine bambini.
I bambini erano gli ultimi a fare il bagno. Quando arrivava il suo turno, l'acqua nella vasca era così sporca che era possibile uccidere un bambino all'interno.
Le persone più ricche avevano i piatti di lattina. Alcuni tipi di cibo arrugginivano il materiale, causando la morte a molte persone per avvelenamento.
Ricordiamoci che le abitudini igieniche dell'epoca erano terribili.
I pomodori, essendo acidi, sono stati considerati velenosi per molto tempo, le tazze di latta venivano usate per bere birra o whisky; questa combinazione, a volte, lasciava l'individuo "a terra" (in una sorta di narcolessia indotta dalla miscela di bevanda alcolica con ossido di stagno).
Qualcuno che passava per strada avrebbe pensato che fosse morto, quindi raccoglievano il corpo per prepararlo per il funerale.
Poi il corpo veniva messo sul tavolo della cucina per alcuni giorni e la famiglia continuava a guardare, mangiare, bere e aspettare di vedere se il morto si svegliava o no. Da qui nasce la veglia ai morti che sarebbe la veglia accanto alla bara.
Non c'era sempre posto per seppellire tutti i morti. Poi si aprivano le bare, si rimuovevano le ossa, si mettevano in ossari e la tomba veniva usata per un altro cadavere.
A volte, aprendo le bare, si notava che c'erano dei graffi sui coperchi all'interno, il che indicava che l'uomo morto in realtà era stato sepolto vivo.
Così, chiudendo la bara, è nata l'idea di legare una striscia del polso del defunto, passarla attraverso un buco fatto nella bara e legarla a una campana.
Dopo il funerale, qualcuno era rimasto in servizio vicino alla tomba per alcuni giorni. Se l'individuo si fosse svegliato, il movimento del suo braccio avrebbe suonato la campana. E sarebbe "salvato dalla campana", che è popolare espressione usata da noi fino ad oggi.
Quello che facciamo oggi per tradizione, lo facciamo senza sapere.
E seguiamo le tradizioni solo per sentito dire.
Come carnevale, Halloween, etc…
A volte il miglior alleato per uscire dall'ignoranza è la lettura.
Preso da Juan Jaime Montoya ( correzioni , traduzione,sistemazioni da Monya)
🌿Pietre: Bosco e Magia
3 notes · View notes
lareginadelmondomarcio · 10 months ago
Text
Aprii gli occhi. Un forte bruciore si dispandeva nel mio petto come lo zucchero che si scioglie. Afferrai con ambedue le mani il lenzuolo da sotto di me. Tirai con forza, innarcai la schiena con la testa sul morbido cuscino e tentai di inalare più aria possibile.
Nulla. I miei polmoni si rifiutavano di pompare l'aria. Due lacrime calde si fecero strada dai miei occhi e finirono da qualche parte sul mio viso o sui capelli sparsi su tutto il cuscino.
Tentai di alzarmi, ma la mancanza di ossigeno impediva al mio corpo di reagire.
Due colpi alla porta, poi altri tre, quattro. Qualcuno chiamò il mio nome. Qualcuno maledì la mia abitudine di chiudermi a chiavi.
Poi due mani. Due mani che tentavano di svegliarmi. Due colpi sul mio viso. Non sentivo nulla. I occhi chiusi, le labbra semiaperte e qualcosa che si posava sul mio viso.
Respira
Sentii questa parola e forse fu l'ossigeno che mi veniva inserito nel corpo quasi a forza, forse fu il tocco di qualcuno o forse ero troppo debole, ma il sonno prevalse ed io, sotto i suoni assordanti di una ambulanza, finii per addormentarmi.
Mi svegliai in una stanza enorme. Bianca. Bianca come la paura, come il terrore. Ho sempre associato il bianco a ogni male. Non il nero come il 99% del umanità. Quando mi chiedono Di cosa hai paura, Char? Io rispondo con le solite cose normali. Solitudine. Infelicità. Malattie. Cose simili. La verità è che la mia paura più grande è il bianco. Immaginatevi di essere in un posto. Un posto dove non ci sono alberi che seguono l'intero percorso delle vie, macchine che creino il caos e nessun odore di gas, case colorate e di diverse misure che quando le guardi le associ ai lego con i quali giocavi da piccolo e se mancavano i pezzi dello stesso colore per finire la costruzione di quel che avevi iniziato prendevi quelli del colore giallo o verde e continuavi la tua infantile opera, immaginatevi un posto dove non ci siano persone, vecchie che si lamentano di come sono diventati i giovani, madri che rimproveranno i loro bambini per qualche cattiveria e quest'ultimi a loro volta che scoppiano in lacrime accompagnati da gridolini isterici, i visini rossi e con una smorfia che quasi ti chiedi se non gli faccia male a tenere quella espressione per i seguenti 10 minuti di sano pianto.
Ecco, voi immaginatevi di essere in centro a un posto vuoto, bianco. Nessuna via. Nessun angolo. Cerchio o qualsiasi altra cosa.
Solo voi. E quale più grande paura del vuoto assoluto, il nulla assoluto se non il nulla stesso?
Il buio, il nero. Mi ha sempre dato più tranquillità. Nel buio non vedi nulla. Non sai se magari dopo 10 passi inciampi in un giocattolo di qualche bambino lasciato li per noia e indifferenza o se sbatti in una macchina parcheggiata sul ciglio di una strada.
Il buio lo associo alla speranza. La speranza che esso conservi un qualcosa.
Il bianco. Il bianco ti permette di vedere tutto. Ogni macchia. Ogni punto. E non c'è cosa più brutta di non sperare. Non aver bisogno di sperare perché vedi. Lo vedi chiaramente che sei circondato dal nulla.
E ti senti come in una scatola. Intrappolato in una realtà non tua. Non vera. Non necessaria.
È questa la mia più grande paura.
Perché al buio ti puoi ribellare, al nulla no.
Capisci?
Ed eccomi qui. Sento una specie di maschera che mi copre naso e bocca. La tocco e provo a toglierla. La guardo e riconosco la mascherina respiratoria.
Tento di alzarmi capendo di essere in una stanza di ospedale e subito al mio fino trovo mia madre in una poltrona di un bianco accecante.
Sta dormendo. Ha gli occhi chiusi. I capelli biondi e fini che ho sempre amato le coprono mezza faccia. Porta un maglione di un marrone caldo, accogliente. Ha due buchi che le lasciano scoperte le spalle e tre fiocchetti sulle maniche, al livello del polso. Sono piccoli e posizionati in fila indiana. I jeans di un blu scuro le fasciano le gambe magre. Porta dei stivali marroni con delle cinture sottili, molto alla moda. Sulle mani ha i bracciali Tiffany che mio padre le regala spesso e cinque anelli di un'eleganza sorprendente. Le unghie, laccate. Bianco. Ha sempre usato il bianco. Capiamoci, non bianco come la cancellina che usiamo a scuola per correggere ogni sbaglio che facciamo e ci ritroviamo a fine ora con il quaderno simile a un muro verniciato, il bianco che usa lei è un bianco leggero, sembra sfumato nel rosa chiaro, ma è bianco. Noto il suo viso come sempre accuratamente truccato. È tutto nella norma. Un filo di eyliner, una passata di mascara, fondotinta quasi inesistente e giusto un po di rossetto color carne. La vedo aprire gli occhi blu e terribilmente belli, nonostante le poche rughe la scambiano spesso per mia sorella maggiore, quest'ultimi accompagnati da un sorriso che sfoggia con non chalance. A volte mi chiedo come tanta bellezza ed eleganza abbia potuto procreare un catorcio come me. Che di bellezza capisco ben poco e volgarità è il mio secondo nome.
'Hey, Cris.' mi chiama sempre con il mio secondo nome e ogni volta che lo dice mi sento piccola e dolce.
'Buingiorno, mamma.'
'Chiamo un dottore e lo avviso che sei sveglia.' si alza, mi da un leggero bacio sulla guancia destra e come al solito un caldo accogliente mi circonda.
Giro la testa alla mia sinistra e noto l'enorme finestra. Fuori piove e il vetro è leggermente bagnato dalle gocce di pioggia che colpiscono piano. Una distesa verde circonda l'ospedale e mi chiedo quanto tempo ci mettono i giardinieri a sistemare quel enorme prato.
Mia madre fa il suo ingresso nella mia stanza e mi avvisa che dopo un veloce controllo potremo tornare a casa, ed io mi ritrovo per la millesima volta nella mia vita felice di poter tornare nella mia buia stanza.
0 notes
tecnoandroidit · 2 years ago
Link
0 notes
cinquecolonnemagazine · 2 years ago
Text
Rapporto Eurispes Italia 2023: parola d'ordine responsabilità
Il Rapporto Eurispes Italia 2023, giunto alla sua 35ma edizione, restituisce la foto di un'Italia complessivamente pessimista. Le cause di tale atteggiamento sono da ricercare nella recente pandemia, la situazione economica generale e le ansie legate al lavoro. Il metodo della ricerca si basa su un sistema di dicotomie che aiutano a esaminare la realtà nel loro complesso. Le sei dicotomie analizzate sono: Stato/Mercato; Merito/Obbligo; Diritti/Doveri; Responsabilità/Irresponsabilità; Sicurezza/Insicurezza; Otium/Negotium. Rapporto Eurispes Italia 2023: il pessimismo degli italiani Nella sua presentazione della ricerca, il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha definito i tempi che stiamo vivendo non ordinari. La straordinarietà dei tempi che viviamo sta in quegli eventi una volta considerati imprevedibili e incredibili che invece oggi sono diventati normali. Questa considerazione apre a due tipi di riflessione. La prima riguarda la lentezza con la quale la società attuale affronta questo enorme cambiamento. La seconda è che siamo tutti chiamati a fare un atto di responsabilità per partecipare a questo cambiamento. Se non sapremo affrontare la rivoluzione digitale, i cambiamenti climatici, le disuguaglianze economiche e sociali, continua Fara, essi ci travolgeranno. Siamo nell'epoca dei diritti che, pur essendo sacrosanti, non devono togliere spazio ai doveri. E' tempo, cioè, di riscoprire i doveri come parte integrante per la realizzazione di democrazie compiute. Il caro vita e il lavoro Una delle maggiori afflizioni degli italiani è senza dubbio il carovita. L'aumento dei prezzi di bollette, generi alimentari e benzina ha modificato le abitudini dei consumatori. Gli italiani tagliano le spese non essenziali come vacanze, tempo libero e regali e per gli acquisti essenziali si approfitta di sconti e offerte. Si preferisce una cena tra amici alle uscite al ristorante e si rinuncia all'acquisto di un'auto nuova. Si fanno sempre più largo comportamenti virtuosi tesi a risparmiare energia: impiego di lampadine a basso consumo, utilizzo ragionato degli elettrodomestici. Le insoddisfazioni legate al lavoro hanno motivazioni diverse: dall'assenza di stimoli alla conflittualità sul posto di lavoro; dalla difficoltà nel conciliare vita e lavoro alla mancanza di tutele. Mobbing, mancanza di un contratto e molestie sessuali sono tra le cause che hanno portato gli italiani a lasciare il proprio lavoro. Politica e questioni sociali Sulle questioni politiche gli italiani hanno espresso una fiducia sempre calante nelle istituzioni. Fanno eccezione il presidente della Repubblica e le forze dell'ordine. Alta considerazione anche per scuola, sanità, Protezione civile, volontariato. La presenza delle donne in politica, secondo gli italiani, è ancora troppo bassa e le quote rosa non sono la risposta a questo problema. La ricerca ha sondato l'opinione degli italiani anche su temi sociali divenuti di grande attualità. Oltre la metà degli italiani si dichiara favorevole a pratiche come l'eutanasia e il suicidio assistito. La maggior parte degli intervistati, invece, si è detta favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Quanto all'adozione da parte di coppie omosessuali sono favorevoli solo la metà degli italiani che invece sostengono più numerosi l'adozione da parte di single. Non incontrano il consenso degli italiani la liberalizzazione delle droghe leggere, della prostituzione, il cambio di sesso sulla base di un'autocertificazione, il riconoscimento di identità di genere al di fuori del maschile e del femminile. Ferma condanna anche di vivisezione, pellicce, caccia e animali nei circhi. In copertina foto di Tumisu da Pixabay Read the full article
0 notes
ilciambellano · 5 months ago
Text
Non sono d’accordo. La statistica e i numeri sono proprio quello che usiamo per cercare di rimuovere i bias. La nostra esperienza personale, l’aneddotica, è quella che introduce il bias. Le statistiche non sono perfette ma sono il modo migliore che abbiamo per vedere la realtà nel suo complesso.
Ignorare la statistica e parlare di singole persone, come di “mostri” isolati, significa negare il problema sistemico, ovvero il fatto che siamo immersi in una cultura che giustifica se non incoraggia, l’approccio predatorio alla sessualità.
La frase che scrivi “quante donne dicono di no per aumentare il desiderio” è esattamente uno dei luoghi comuni di quella cultura dello stupro, insieme ad altre, come le considerazioni sull’abbigliamento o sull’assunzione di alcol e droghe..
Questo non significa semplicemente“l’uomo è cattivo/stupratore”. Molti non accettano il fatto che questo problema sia sistemico perché non ritengono di aver fatto mai nulla di male, il famoso argomento “not all men”. Ma nasciamo, cresciamo e veniamo educati in un ambiente culturale che associa la sessualitá alla dominazione, e abbiamo il cervello pieno di schemi mentali che ricalcano quel concetto, anche quando non abbiamo mai pensato di usare violenza su nessuno. Lo stesso libro menziona un po’ più avanti alcuni esempi della cultura popolare:
Si direbbe che l’erotismo occidentale si sia costruito nel corso dei secoli sull’idea che le donne siano ambigue rispetto all’espressione del loro consenso e che sia proprio questo a provocare eccitazione: la violenza e la dominazione sono erotizzate e la mancanza di consenso vissuta come eccitante. Abbiamo un enorme – e collettivo – problema con il consenso. Un anno dopo l’inizio del #MeToo, il 18% dei e delle francesi pensa che alle donne piaccia essere forzate.24 Una percentuale di poco inferiore rispetto a quella di tre anni prima (21%). Il “no” di una donna non è quindi un vero “no”, ma una specie di gioco erotico; è “lei dice no, ma in realtà vuole dire sì”. È uno schema che ritroviamo spesso nei film, nelle serie TV, nei romanzi. In Star Wars (1980), Leia rifiuta più volte le avances di Han Solo; alla fine lui la spinge contro un muro e la bacia con la forza. James Bond in Goldfinger (1964) violenta Pussy Galore in una scuderia. In quello che a lungo è stato il mio film preferito, Légami (1989), di Pedro Almodóvar, l’eroe rapisce, lega e sequestra una giovane donna, che alla fine si innamorerà di lui. Possiamo anche citare Ultimo tango a Parigi, À bout de souffle… e moltissimi altri: la lista è infinita.
Nel nostro immaginario collettivo il “vero stupro” avviene nello spazio pubblico (un parcheggio, una stradina solitaria), la notte, e la donna, che indossa un abito scollato o la minigonna, è minacciata con un coltello o un’arma da fuoco da un mostruoso sconosciuto psicopatico. In realtà, questo scenario corrisponde solo a un’esigua minoranza dei casi. È dunque indispensabile decostruire questi pregiudizi sullo stupro, obiettivo che ci siamo prefissati con Noémie Renard, bioingegnera e militante femminista, che ha studiato, compilato, raccolto migliaia di statistiche e di studi sulle violenze sessuali, per farne un’opera notevole, “En finir avec la culture du viol.” Ecco le conclusioni di Renard.
– Gli stupratori non utilizzano quasi mai armi e non hanno bisogno di usare violenza fisica.12 Nel 70% dei casi le vittime non si divincolano perché sono paralizzate (dalla paura, perché non riescono a credere a quello che stanno subendo).
– Gli stupratori non sono dei “frustrati”. Non violentano per mancanza di rapporti sessuali consenzienti. Tutti gli studi sugli aggressori sessuali mostrano che hanno più partner sessuali rispetto alla media: una ricerca del 1990 rivela che l’89% degli uomini in carcere per stupro, prima della condanna, aveva rapporti regolari almeno una o due volte a settimana, di cui si diceva soddisfatto.
– Gli stupratori non violentano in preda a “pulsioni” incontrollabili: se così fosse, lo farebbero in mezzo alla strada, in pieno giorno, davanti a tutti.
– Gli stupratori non sono psicopatici. In Europa solo il 7% degli stupratori condannati ha un disturbo mentale. Al contrario, hanno un comportamento estremamente razionale: le loro azioni sono ponderate, premeditate, calcolate, per cercare di esporsi a meno rischi possibili.
– Lo stupratore è spesso “l’uomo qualunque” di ogni età ed estrazione. Il collettivo Féministe contre le viol che da anni ha una linea d’ascolto delle vittime, riporta che queste donne sono state violentate da agricoltori, medici, operai.
– Lo stupro è un reato molto più diffuso di quanto si pensi: in media tra il 25% e il 43% degli uomini dice di aver compiuto almeno una volta nella vita un’aggressione sessuale, o una penetrazione forzata.
– Gli stupratori non sono degli sconosciuti: l’80% delle vittime racconta di essere stato stuprato da uomini che conosceva: mariti, amici, vicini, professori, persone di famiglia.
Victoire Tuaillon - Fuori le palle. Privilegi e trappole della mascolinità.
76 notes · View notes
littlepaperengineer · 3 years ago
Text
È il giorno del matrimonio (non mio). Non riesco a dormire. Nella mia testa le mie relazioni passate, alcune proprio passate e trapassate. La mente questa mattina (ore 5:50) cerca dettagli talmente piccoli di cose talmente antiche che, ad un tratto, quando mi riporto al presente, provo un senso di vuoto enorme.
Anche se non l'ho capito prima, ho capito adesso, oggi 29/05/22 che l'attuale relazione mi sta facendo soffrire da matti, insieme a tutto il resto. Ed è la prima volta che, seppur circondato da persone che mi vogliono bene, non riesco a sentire la vicinanza vera con nessuno nessuno. Provo un tale senso di vuoto che avverto l'affievolirsi di ogni emozione e sensazione (sarà colpa del superamento dei 30? O del covid?)
Tra me e lei gli eventi hanno avuto una successione così drastica che le cose nei mesi sono cambiate del tutto, costantemente. È la prima volta che la crisi non causa la rottura, ma la prosecuzione (dovuta anche alla mancanza di dialogo e chiarimento) appare come accanimento terapeutico.
Nelle ultime settimane abbiamo rimandato così tanto i chiarimenti sulle incomprensioni che adesso io non sento più niente, vorrei proprio non vederla più. Nel frattempo sento che lei è l'unica persona capace di capire alcune cose di me, capace di non farmi sentire così solo e vuoto. Ecco la trappola, un senso di sospensione che espande il vuoto, frustrazione.
Sarà stata colpa mia, le ho detto sin dall'inizio che non volevo legarmi, anche se poi le cose sono andate diversamente, siamo diventati veramente una coppia, finché poi non le ho fatto capire che avevo altri piani, cambiare città, cambiare lavoro. Lei non è fuggita, è rimasta, ma come è rimasta? In realtà nelle mie giornate è rimasto solo uno spettro di lei: i messaggi, nient'altro. Non la vedo da due settimane.
10 notes · View notes
nusta · 3 years ago
Text
discorsi caotici
In questi giorni ho fatto pensieri e ragionamenti e discussioni caotiche su varie questioni e questa sera, l’ennesima in cui non vado a correre per il caldo e per la mancanza di gente in circolazione, forse posso provare a mettere in fila qualche pezzo dei discorsi.
C’è il discorso della Guerra, che è un discorso enorme ed eterno, come la guerra stessa forse. Lo scorso weekend è capitato per caso a tavola con mia nipote e la settimana prima avevo fatto un giro tra le tombe dei soldati della prima guerra mondiale al cimitero e nel mezzo c’è stata la morte di Gino Strada e l’avvicendarsi di notizie sulla situazione in Afghanistan. E nei miei giorni ci sono stati pensieri per i soldati di allora e di oggi, a partire da mio nonno partigiano, di cui ci ha raccontato le vicissitudini lavorative mia mamma l’altro giorno dopo pranzo. Storie del nostro dopoguerra e della nostra povertà, come paese, delle occasioni che abbiamo avuto e che abbiamo perso, come persone, come gente, come nazione. E ora sembra tutto ancora più complicato o forse è solo più esplicito e mi chiedo quanto senso abbia parlare di autodeterminazione di un popolo, quanto ci si possa aspettare che “ci devono pensare da soli”, quando siamo tutti così legati all’economia globale, quando, anche al di là del concetto di Patria, il proprio spazio è il proprio mondo, e il territorio geografico stesso ha una sua peculiarità talvolta irrinunciabile, delle specificità a cui si ancorano sì grosse difficoltà ma anche grosse potenziali risorse e sopra a quella terra ci sono reti di conoscenze, parentele, amicizie, legami affettivi che non possono essere sciolti senza conseguenze, e pensare di andarsene o di restare non è affatto una scelta scontata, o addirittura possibile. Perchè per potersi “autodeterminare” ci dovrebbe essere un ventaglio di possibilità tra cui poter scegliere, mentre per molte persone non è così.
C’è il discorso del Lavoro, di quanto sia difficile per la mia generazione e per quelle ancora più giovani far capire ai nostri genitori la differenza tra la nostra situazione e la loro. A livello esistenziale, proprio. Ma siccome l’esistenza del mio quotidiano è riempita per 8 ore e oltre dal mio lavoro in ufficio, inevitabilmente spesso la frustrazione ruota intorno a questo profilo di intraducibilità. Mi trovo a confrontare le loro battaglie con quella che potrebbe essere definita arrendevolezza, da parte mia, se non fosse una strategia di difesa a protezione della mia pace mentale. Loro hanno affrontato altre sfide e loro due in particolare non sono nemmeno rappresentativi della loro generazione e se gli dici Voi nel senso di Quelli della Vostra Età fanno fatica ad accettare di essere parte di un gruppo che ha vissuto un’epoca diversa dal presente e ha avuto vantaggi così come svantaggi diversi da chi è “giovane” ora, un gruppo che forse non ha proprio gli strumenti concettuali necessari per comprendere la nostra esperienza, semplicemente perchè non li ha mai dovuti maturare. Così come noi non capiremo mai come possono essersi sentiti loro. Forse lo potremmo studiare, ma la distanza cognitiva tra fare un ragionamento a fronte di un’esperienza vissuta e a fronte di un’esperienza “studiata” è comunque notevole e forse troppo spesso trascurata quando si cerca di dialogare con chi ha avuto una storia diversa dalla nostra alle spalle. Per la cronaca, era la prima volta che i miei genitori sentivano parlare del concetto di “Boomer”.
C’è appunto il discorso delle Generazioni, che è una generalizzazione utile e inutile al tempo stesso, come tutte le generalizzazioni. Però ora che ho due rappresentanti di quella più recente a stretto contatto e la più grande mi comincia a porre Grandi Domande, mi devo chiedere come ragionare con lei e con Loro. Oggi ho visto un bel video di Rowan Ellis sull’attivismo e sull’importanza di non liquidare le domande altrui con un “cerca su google”. L’altro giorno ho letto un post in cui si parlava dell’importanza di tenere presente la relativa “novità” di tutte queste risorse per imparare qualcosa, per educarsi e comprendere meglio il mondo. E se penso al Grande Pericolo della Disinformazione e alla enorme barriera d’accesso posta da tutto ciò che serve per “visitare” un sito web, e prima ancora a costruirlo e a tenerlo in piedi, mi chiedo quanto sia particolare la mia, di generazione, l’ultima che ha fatto le scuole medie senza computer e telefonini e però ha cominciato a vederli in giro prima di arrivare al diploma delle superiori. Molti appunti dell’esame di maturità li ho scritti a macchina e il primo pc l’ho comprato di seconda mano solo l’anno dopo, dal mio fidanzato, che ha avuto l’occasione di montarsene uno nuovo. Ricordo che mi salvavo le pagine web per leggere con calma e non occupare la linea telefonica di casa. Mi chiedo se e quanto la nostra prospettiva sia diversa da quella di chi è arrivato online solo quando si è trovato lo smartphone in tasca, perchè un pc non ha mai pensato fosse necessario, e magari ora si trova alle prese con lo Spid e i troll nei commenti su Facebook e non ha idea di cosa sia la netiquette. E da quella di chi sa far partire un video su youtube o fare una videochiamata su whatsapp prima ancora di aver imparato a scrivere. Mi chiedo quanta distanza cognitiva ci sia, quanto sia incolmabile e quanto invece potremo comprenderci, nelle nostre diverse paure e perplessità nei confronti di questo universo di informazioni apparentemente a disposizione. Quanta autorevolezza dovremo mostrare per essere convincenti, quando arriveranno all’età della sfida, e quanta umiltà saremo in grado di mostrare quando arriveranno all’età della maturità. Perchè le loro battaglie saranno diverse dalle nostre, le loro esigenze, i loro pericoli, saranno nuovi e inediti e allo stesso tempo sembreranno simili a quelli che abbiamo affrontato noi e sicuramente in qualcosa lo saranno davvero. Sicuramente alcune battaglie le combatteremo insieme, perchè nessuno sarà ancora riuscito a vincerle definitivamente, purtroppo.
C’è infine il discorso della Serenità, che è una delle mie priorità costanti ed è a volte estremamente difficile da conservare. Perchè ci sono pensieri pesanti  e scadenze impellenti e parole sgarbate e caldo opprimente e desideri irrealizzabili. E mantenere a fuoco la prospettiva giusta, allargare l’obiettivo in modo da comprendere ciò che vale la pena di mettere in evidenza, non è facile. E in questi giorni ho visto alcuni video sui fenomeni come cottagecore e dark academia, in cui si parlava anche del fatto che il recente successo di queste “estetiche” stia anche nella possibilità di offrire una via di fuga dalla realtà, quando questa non te ne mette a disposizione molte altre, una valvola di sfogo per la vena creativa che spesso viene frenata o soffocata dalle esigenze della routine quotidiana scandita dagli orari e dai ritmi imposti da attività organizzate da qualcun altro. E però è proprio questa vena creativa che ci rende umani e per quanto possiamo andare avanti in questo modo? E lo so che non sono da sola in questa difficoltà emotiva, a ritagliare e costruire gli spazi e i modi per cercare di Stare Bene. E lo so pure che io stessa pretendo troppo da me stessa. Perchè alla fine in un giorno ci sono 24 ore e poi è l’indomani. E una volta che uno lo sa, si regola di conseguenza, dico sempre. Anche lasciando spazio a una buona dose di caos. E comunque la prossima settimana, caldo o non caldo, gente o non gente, torno a correre.
13 notes · View notes
Text
Cose che ho imparato dopo aver pianto due o tre annetti tutte le notti.
1) Mai pregare una persona di chiamarvi, di venire a trovarvi, di pensarvi.
Le passerà la voglia di farlo, sempre che ne abbia mia avuta.
2)Un “non ti amo più” in due settimane non può tornare ad essere un “ti amo ancora”. Se lo ha fatto qualcosa andrà comunque storto e a breve.
3)Se uno non vi ama più non può aver voglia di scoparvi. Ditegli di scoparsi il lavandino. Non è un punto semplice, mi rendo conto, ma è FONDAMENTALE.
Quindi:
“Non sento più le stesse cose, ma fare l’amore con te era…”
Per te Miss Italia finisce qui, caro.
4)Se uno vi dice che non vi ama più è inutile che gli chiediate “perché”. Non ve lo dirà mai. Vi dirà che siete belle e simpatiche e dolci, ma che purtroppo non è più felice. Ometterà un sacco di cose riuscendo comunque a farvi sentire in colpa. Volete davvero sentirvi in colpa perché qualcuno non vi ama? E’ pieno il mondo di gente innamorata di persone pessime, quindi l’amore-evidentemente-non è un merito e la sua mancanza non è una colpa.
5)Se uno vi dice che non vi ama più non chiamatelo dopo due minuti da quando vi siete salutati implorandolo di poterlo rivedere solo qualche istante perché vi manca il respiro. Vederlo non vi aiuterà, vederlo vi farà sentire peggio di come vi siete sentite quando avete visto Meg Ryan scoprire che Tom Hanks era il proprietario della libreria enorme di “C’è posta per te”.
Vederlo vi farà stare meglio per un nanosecondo, poi andrà ancora peggio. State a casa, diventate esperte di thè, aprite un blog, buttate via le mutande da bambina che avete nel cassetto e non andate in giro con lo smalto di due settimane prima. Si vede anche da quello se una è un po’ triste.
6)Buttate via la scheda del vostro cellulare. Davvero. Se siete appena state lasciate o se siete state lasciate da tanto e avete ancora il brutto vizio di inviare messaggi tipo “scusa se ti scrivo, giuro che è l’ultima volta, ma sono in fin di vita (più o meno) e non so con chi parlarne se non con te…Mi manchi, perdonami, non voglio disturbarti”…ecco, se mandate messaggi del genere buttave via la scheda e non ricompratela. Eliminatevi da facebook. Potrete tornare alla vita sociale cibernetica solo quando avrete imparato la lezione. Non prima. Ci vogliono ottime amiche per fare questo, attenzione.
7)Presentarvi vestite da strafighe nel bar che lui frequenta ogni venerdì per l’aperitivo fingendo di non vederlo non ve lo riporterà indietro. Molto adrenalinico, provare per credere, ma non provare per smettere di soffrire. Essere belle, tutte truccate e profumate, sexy e tornare a casa comunque tristi è davvero deleterio. Le ripicche non servono, le dimostrazioni non servono, la gelosia non serve. Lui non è un pupazzo, è un essere umano. Se vi vede stroieggiare (s’è fatto tutte) penserà “non me la ricordavo così” e passerà oltre. Oppure vi cercherà per fare quello che si fa con quelle che stroieggiano, e in genere non ci sarebbe niente di male, ma siccome si tratta del vostro passato vi rimando al punto 3.
8)Scrivete pure tutte le lettere che vi pare, ma non le inviate. Numero di lettere consentite:1. Poi basta. Le altre tenetele per voi, e scriveteci spesso quanto state soffrendo. Quando state per richiamarlo leggetele e ricordatevi esattamente quanto male vi ha fatto.
Poi non chiamatelo.
9)Guardate tutti i film d’amore che volete, piangete fino a che non vi cadrà il naso, ma tenete ben a mente che lui non è il protagonista dei film che guardate, né il protagonista dei libri che leggete. Non perdete di vista la realtà, non idolatrate chi non c’è più. Hugh Grant è meglio di lui, sarà sempre meglio di lui e solo Hugh Grant rischia di morire settanta volte per raggiungere Julia Roberts prima che prenda l’aereo in “Notting Hill”.
Solo lui.
10)Fa male, non fidatevi di chi dice il contrario. Se non vi sentite di uscire non uscite. Se il pensiero di un appuntamento con un altro vi fa venire il vomito mettete “La Bella e la Bestia” e tanti saluti. State male, piangete: vi è concesso. Entro un certo limite. Lavatevi sempre i capelli e continuate a fare quello che vi piace fare. Piangete, ma non per questo smettete di truccarvi per paura che il mascara possa colare. Vi pulirete, al limite. Vi asciugherete le lacrime, al limite.
11)Dite pure a tutte le vostre amiche che non ce la farete mai, che lo amerete per sempre, che non sopravviverete, che vi fa male il cuore, ma tanto lo sappiamo tutti che poi torna la primavera, che c’è quella nostra conoscente che era sposata da 25 anni e dopo esser stata tradita ha ritrovato l’amore, lo sappiamo tutti che poi d’estate viene voglia di spogliarsi e d’inverno d’abbracciarsi, che non tutte le persone sono insipide e che poi qualcuno volenti o nolenti viene a prenderci e ci porta via. Autoconvincetevi che possa bastarvi soffrire per un uomo per tutta la vita, tanto non è vero.
12)Sforzatevi. “Ma io lo amo” deve diventare “non ci voglio pensare”. E “non ci voglio pensare” deve diventare “non mi ama” che a sua volta deve diventare “ce la posso fare”. Ma io lo amo non è una giustificazione per tutte le cagate che fate o che farete. Se ha un’altra non potete ucciderli, anche se l’istinto parla chiaro. Se vi ignora non potete darvi fuoco sotto casa sua, non vi considererebbe comunque.
13)Le persone non tornano, le persone si rincontrano. E si imparano a conoscere di nuovo, da capo. Non voglio mica dirvi di non sperare, non sono nessuno per togliervi la speranza, ma voglio che sappiate che in genere-quando qualcuno torna-è perché non ha trovato niente di meglio.
Non vi accontentate di un “ti amo, ho fatto un errore” (durato 13 mesi circa). Ricominciate dall’inizio, perché quando il tempo passa si cambia anche senza rendercene conto e quello che un tempo amavate potrebbe essere diventato un topo peloso e puzzolente che non vi garba più poi così tanto. Ascoltatevi, prendetevi il vostro tempo, analizzate quello che sentite. Con i ritorni di fiamma c’è da stare attenti il doppio.
14)Se avete incontrato qualcuno (sìììììììììììì uhhhhhhhhhhhhhhh yeahhhhhhhhhhhhhhh) che vi piacicchia andateci a fare una passeggiata, prendeteci un gelato, una birra. Attenzione alle cene e al farci l’amore. Sono due cose che fanno piangere, se ancora non siamo proprio proprio del tutto libere di cuore. Fatevi toccare da qualcuno solo quando vi sentirete davvero davvero pronte. Non fatevi prendere dall’entusiasmo per aver trovato una persona interessante dopo 8000 persone “niente di che”.
15)Non state mai in silenzio per paura di perdere qualcuno o di disturbarlo. Se qualcosa vi fa male ditelo, se non vi sentite amate ditelo, se siete infelici ditelo. Abbiate sempre il coraggio delle vostre emozioni, sempre. A 15, a 20, a 40, a 70 anni. Mamma litiga sempre con babbo perché lei parla e lui non l’ascolta e lui le chiede puntualmente scusa. Non è mai migliorato, però la tiene ancora per mano., quando camminano.
Non accontentatevi: meritate amore. Niente di più e niente di meno. Se non è amore ciò che avete ma è amore ciò che cercate mandate tutto a fanculo e ricominciat. Non è nemmeno così difficile come sembra. Davvero.
16)Non aggiungete su facebook quelli senza maglia. Mi raccomando.
17)Non fate come me, che per capire questa roba ho fatto esattamente tutto il contrario di quello che ho scritto.”
Susanna Casciani.
6 notes · View notes
gloriabourne · 4 years ago
Text
The one with a million things to tell you
È notte fonda quando Ermal sente il cellulare vibrare sul comodino.
Chiara, accanto a lui, sta dormendo. Ermal, invece, non riesce a chiudere occhio.
La serata è stata elettrizzante, di certo non si aspettava di essere primo in classifica. Quindi, anche se ormai i festeggiamenti si sono conclusi da un po' e lui è tornato in camera da più di un'ora, non riesce a dormire. È colpa di tutte quelle emozioni, lo sa.
Essere di nuovo sul palco dell'Ariston, anche se senza pubblico, è un'emozione enorme. E poi la canzone...
Lo sa che la maggior parte delle emozioni di quella sera sono dovute a quella canzone.
Allunga la mano verso il comodino e sblocca lo schermo, strizzando leggermente gli occhi per la luce improvvisa.
Il messaggio che ha ricevuto è di Fabrizio, ma questo Ermal già lo sapeva. A nessun altro dei suoi amici o conoscenti verrebbe in mente di mandargli un messaggio alle 4 del mattino.
Apre la conversazione di WhatsApp e legge le poche righe sullo schermo, in cui Fabrizio si congratula per il primo posto nella classifica provvisoria. Dice di essere orgoglioso di lui ed Ermal non può fare a meno di sorridere.
Si volta leggermente e osserva Chiara. Sta dormendo profondamente, quindi cercando di non svegliarla si alza, si infila una felpa sopra alla maglia del pigiama, ed esce sul piccolo balcone della sua camera.
Socchiude la porta alle sue spalle, cercando di non svegliare la sua ragazza, e afferra sigarette e accendino dalla tasca della felpa.
Ne accende una aspirando con calma, riempiendosi i polmoni di nicotina. Sta fumando di meno rispetto al solito, ma deve ammettere che gli piace concedersi una sigaretta ogni tanto.
Quando ormai l'ha fumata quasi fino al filtro, prende il cellulare e cerca il numero di Fabrizio in rubrica. Poi fa partire la chiamata, consapevole di trovarlo sveglio.
"Non dirmi che ti ho svegliato" dice Fabrizio preoccupato, rispondendo dopo il secondo squillo e senza nemmeno preoccuparsi di salutare il collega.
Ermal sorride gettando il mozzicone nel posacenere. "No, figurati. Non penso dormirò questa notte."
"Male. Poi vedi che occhiaie ti ritrovi domani!"
"E quando mai sono senza occhiaie?"
Fabrizio dall'altra parte del telefono ride, ed Ermal chiude gli occhi beandosi di quella risata che gli manca così tanto sentire dal vivo.
"Davvero, Ermal, perché non dormi?" chiede Fabrizio serio, qualche attimo dopo.
"Non lo so, Bizio. Credo di essere un po' troppo su di giri per come è andata. Non mi aspettavo tutto questo successo."
"Io invece me lo aspettavo."
"Davvero?" chiede Ermal sorpreso.
"Certo. Non avevo dubbi che la tua canzone sarebbe stata un capolavoro."
Ed Ermal, non sa nemmeno spiegarsi perché, crede più alle parole di Fabrizio che a chiunque altro prima di quel momento gli abbia detto che la sua canzone era effettivamente bella.
È come se le cose dette da Fabrizio fosse più vere.
"Ricordi quella sera a Lisbona? Prima della finale, quando stavamo sul divano del camerino ed eravamo agitati per come sarebbe andata?" dice Ermal a un certo punto.
"Tu eri agitato, parla per te" scherza Fabrizio.  
"Non solo io. Ricordi cosa mi hai detto?"
"Ho detto un sacco di cose quella sera."
"Hai detto che avevi paura di fare la fine della cantate di Israele e cadere dalle scale mentre scendevamo dal palco."
Fabrizio sembra ricordarsi improvvisamente di quel momento e si mette a ridere, mentre dice: "E tu mi hai detto che allora avresti fatto finta di cadere anche tu per solidarietà."
"E se non riesci ad alzarti starò con te per terra" mormora Ermal.
Fabrizio rimane in silenzio.
Ha ascoltato solo una volta la canzone del suo compare, eppure sa benissimo che Ermal ha appena citato il suo stesso testo.
Ermal, non sentendolo replicare, capisce immediatamente cosa sta pensando Fabrizio, a che conclusione sta arrivando. E sa che è la conclusione giusta.
Ma lui sta con Chiara, lui è innamorato di Chiara, e tutto ciò che poteva esserci e che c'è stato con Fabrizio non è che un ricordo racchiuso in una canzone. E sarebbe troppo doloroso ammetterlo ad alta voce.
Quindi si limita a dire: "Quella sera, quando eravamo seduti uno accanto all'altro, avrei voluto dirti un sacco di cose."
"Ma non hai detto niente" conclude Fabrizio, citando anche lui in parte la canzone del collega.
"Mi sembrava che le parole fossero superflue tra noi."
"Infatti" concorda il romano.
Non avevano mai avuto bisogno di parole. Riuscivano a leggersi a vicenda senza alcun problema ed entrambi sapevano che c'era stato un periodo in cui le cose tra loro erano cambiate. C'era stato un periodo in cui definirsi amici sarebbe stato troppo poco.
Lo avevano capito entrambi, senza bisogno di parole. Ma nessuno dei due aveva mai fatto un passo verso l'altro.
Forse, a pensarci bene, se avessero impiegato meno tempo a guardarsi e un po' di più a parlare, se avessero usato quelle parole di cui credevano di non aver bisogno, le cose sarebbero andate diversamente. Forse avrebbero avuto il coraggio di dire ciò che provavano invece di aspettare inutilmente che fosse l'altro a esporsi.
"Ti penti di come sono andate le cose?" chiede Ermal a bassa voce, timoroso di sapere la risposta.
"A volte. Tu?"
"A volte."
"Pensa un po', avremmo potuto essere i nuovi Albano e Romina. Pensa che figurone a Sanremo" ironizza Fabrizio.
Ermal non riesce a evitare di scoppiare a ridere, coinvolgendo anche Fabrizio.
Ridono per un po', fin troppo divertiti da quella che non era poi chissà che battuta. Per un attimo ad entrambi sembra di essere tornati indietro di tre anni, ai tempi del festival che hanno fatto insieme, ai tempi dell'Eurovision.
Poi però le risate si spengono ed entrambi tornano con i piedi per terra. Non sono più le stesse persone di tre anni prima, anche se vorrebbero.
"La canzone però l'hai dedicata a una donna" dice Fabrizio dopo qualche attimo, ed Ermal non capisce se sia una semplice constatazione o se sia risentito dalla cosa.
"Sarebbe stato un po' troppo palese farla al maschile, no?" replica con ovvietà.
"Sui social mettono gli asterischi quando non vogliono specificare il genere" dice Fabrizio, ricordandosi qualche post letto negli ultimi mesi.
"E come la canto una canzone con gli asterischi, Bizio?"
Scoppiano a ridere di nuovo, questa volta un po' più forte, e a quel punto Ermal la sente davvero la mancanza di Fabrizio.
È come avere fame, come sentire lo stomaco che si stringe e il nodo alla gola. E improvvisamente le lacrime che si sono formate agli angoli degli occhi a forza di ridere, gli scendono lungo le guance e si accorge che non sono più lacrime dovute alle risate.
Sono lacrime di tristezza. Perché Fabrizio gli manca più di quanto è disposto ad ammettere, e sa che la cosa è reciproca.
Ma sa anche che il loro treno ormai è passato. Sono cambiate tante cose, troppe.
E ci sono certe occasioni che capitano una sola volta nella vita. Se si perde quel treno è finita, non passa più.
Per loro è stato così e alla fine i loro sentimenti - o almeno quelli di Ermal - sono finiti dentro a una canzone.
"Grazie, Ermal" dice Fabrizio dopo aver smesso di ridere.
"Per cosa?"
"Per avermi pensato."
Ad un ascoltatore poco attento potrebbe suonare come un semplice ringraziamento per averlo pensato in quel momento, per averlo pensato al punto da chiamarlo.
In realtà, è molto di più.
È per averlo pensato mentre scriveva la canzone, per averlo pensato mentre decideva di portare quel brano al festival, per averlo pensato mentre cantava. È dietro a tutto quello c'è un grazie per averlo amato, anche se in silenzio.
"Grazie a te per avermi ispirato" risponde Ermal. E tra le righe anche Ermal ringrazia Fabrizio per averlo amato, forse come nessuno aveva mai fatto e come nessuno sarà mai in grado di fare.
Fabrizio chiude la chiamata senza salutare, senza dire altro. E va bene così.
In fondo, tra loro ci sono sempre state milioni di cose da dire, ma nessuno dei due ha mai detto niente.
23 notes · View notes
itsalaska · 4 years ago
Text
Campioni d'Europa🇮🇹
Premessa: so che nessuno leggerà queste parole ma non è per questo che le scrivo. Voglio fissare da qualche parte queste emozioni per tornare a rileggerle ogni volta che vorrò.
È il 12 luglio 2021 e sono le 15:56
Ho appena terminato di rivedere le battute finali della partita di ieri sera. La FINALE DEGLI EUROPEI DI CALCIO.
A mente fredda (ma manco tanto) voglio spendere due parole su questa vittoria: innanzitutto bisogna ringraziare sinceramente il Mancio, Luca Vialli, DDR e tutto lo staff perché senza di loro, senza quell'ambiente, quell'armonia, quell'amore fraterno, famigliare, non ci sarebbe stata una base solida su cui costruire un GRUPPO anzi una vera e propria FAMIGLIA e questo ha influito parecchio in questo cammino. Non bisogna mai sottovalutare l'importanza di una coesione forte e del senso di appartenenza alla maglia, alla squadra, al gruppo, perché è ciò che può (e fa!!) la differenza.
Altro ringraziamento, ovviamente doveroso, va ai ragazzi. Ragazzi che davvero ci tengono, ragazzi pronti al sacrificio, ragazzi seri, ragazzi con entusiasmo, voglia, grinta, speranza, ragazzi che non si arrendono, duri da battere, duri a morire, che hanno dato tutto e anche più per la maglia in questo mese.
Quando abbiamo vinto con la Spagna dopo una partita soffertissima fino ai rigori, mi ero quasi messa l'anima in pace, sono sincera. Ho pensato "bene, ora in finale facciano quello che vogliono, non potrei essere più orgogliosa di loro dopo questo cammino". Ma dannazione. DANNAZIONE. Sono riusciti non a rendermi orgogliosa, a farmi proprio VOLARE. VO-LA-RE.
Voglio essere chiara: era da un pezzo ormai che non provavo così tanta felicità, era da un pezzo che non piangevo di gioia così tanto, era da un pezzo che volevo essere felice e loro mi hanno fatto un regalo enorme, non lo sanno. Mi sono sentita più viva in questo mese che in 20 anni.
Questa vittoria è importantissima. In realtà anche arrivare ai quarti già la consideravo una vittoria, ma essere riusciti a portarla a casa è ancora più bello. È bello per tante ragioni, ma soprattutto per il momento di estrema difficoltà che abbiamo passato lo scorso anno e che ancora stiamo affrontando a causa della pandemia. Questo Europeo, questa vittoria, ha riportato positività, spensieratezza, voglia di tornare come prima e di rialzarsi. È il tornare in piazza a fare casino, ad abbracciarsi a volersi bene e stringersi e gioire insieme dopo più di un anno di sacrificio. E poi è importante, fondamentale, per il movimento calcistico italiano. La mancata qualificazione ai Mondiali russi del 2018 ci aveva letteralmente ammazzati. Feriti nell'orgoglio, spazzati via, delusi, amareggiati, la peggiore sconfitta degli ultimi non so quanti anni.
Mancini (e ora facciamo i nomi) è stato in grado di risollevare il movimento. Gli ha dato una nuova vita, nuova linfa, nuova energia. È stato il miglior "muratore" che potessimo incontrare. Ha rimesso a posto le macerie di quell'Italia-Svezia del 13/11/2017. Da lì è partita la ricostruzione. Con dedizione, con passione, con determinazione e circondato da persone che per lui sono come una famiglia, ha cominciato una graduale ed efficace operazione di rinascita. Pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone, con materiali nuovi e materiali che ce l'avevano sempre fatta e potevano farlo ancora.
Quel tragico 13 novembre 2017 è stato vendicato.
Grazie all'instancabile e straordinario lavoro del Mancio.
E per la serie di "ora facciamo i nomi", mi scuso in anticipo per il fatto che, quando si parla della Nazionale, non si dovrebbero fare preferenze o altro. Non farò preferenze. Ma voglio dire grazie ad alcuni ragazzi che mi hanno veramente fatta sognare.
-Leonardo Spinazzola: esce contro il Belgio ai quarti di finale. Siamo tutti in lacrime quando lo vediamo uscire dal campo in barella devastato e consapevole che per lui il torneo finiva lì e che sarebbe stato un lungo recupero. Leonardo, anzi, "Spina", è stato incredibile. Ammiro tanti calciatori ma pochi mi entrano così nel cuore. Quella fascia apparteneva a lui, che per 90 ma anche 120 minuti non faceva altro che andare avanti e indietro in continuazione, recuperando palloni, creando azioni, senza mai mollare e soprattutto senza fermarsi un attimo e sempre con la stessa intensità. Instancabile, pronto, pericoloso, necessario. Si è sentita la sua mancanza nelle due partite successive, lo sappiamo tutti e lo sa anche lui. Ha dato un contributo davvero troppo importante e se siamo riusciti ad arrivare in fondo, molto del merito in campo è suo. No cap🚫🧢.
-Federico Chiesa: che dire, le mie esperienze al Fantacalcio parlano da sè. Amo questo giocatore fin dal primo momento in cui l'ho visto entrare in campo. E no, non agli Europei. Alla Fiorentina. Mi è piaciuto subito, la grinta e la volontà (oltre che la qualità!!) che lo contraddistinguono, me l'hanno fatto apprezzare fin dai primi passi. Federico ha disputato un Europeo superlativo ed è entrato nel cuore di tutti (soprattutto delle ragazze.. i motivi sono chiari!). Un ragazzo d'oro, figlio d'arte con grandi qualità e tanta tanta voglia. È uscito anche lui ieri sera infortunato (niente a che vedere con Spina però fortunatamente) ed è dispiaciuto a tutti. Giocatore che può e ha fatto la differenza, un vero e proprio asso nella manica. Grazie Fede! Non ho fede nella Chiesa ma ho fede in Fede Chiesa.
-Gigio Donnarumma: non dico che l'ho visto esordire ma l'ho visto esordire. Ricordo quando Miha l'ha buttato nella mischia a soli 16 anni. Mai gesto fu più azzeccato. Gigio è giovanissimo ma con un talento veramente incredibile, un fuoriclasse nel suo ruolo. Ieri sera para due rigori e ne indirizza uno sul palo col pensiero. Anche lui, così come Chiesa e Barella, li conosco da tempo e mi sento come una madre orgogliosa dei suoi figli. Sebbene io continui a tirargli le orecchie per i battibecchi con il Milan, la sua casa, non posso fare a meno di essere fiera di lui. Me lo ricordo quando era un ragazzino alle prime partite con il Milan. Il tempo sembra volato e lui ieri sera, a soli 22 anni, ha alzato una coppa prestigiosa e bellissima, giocando un Europeo veramente coi fiocchi. Senza di lui ieri sera non avremmo vinto. Para il rigore a Saka e noi siamo Campioni d'Europa per la seconda volta nella storia. Immenso Gigione, sai che in fondo ti voglio bene.
-Jorginho: dal Napoli di Sarri al Chelsea. Vince la Champions League e alza la coppa dell'Europeo nello stesso anno. Un delitto non dargli il pallone d'oro, spero vivamente che la mia profezia (no la profezia l'ho fatta dopo il Belgio, mica ieri sera! Troppo facile) si avveri. Si merita anche quel trofeo dopo una stagione piena di soddisfazioni. In campo recupera palloni su palloni e sbaglia pochissimo, veramente niente. Europeo, anche per lui, da incorniciare, giocatore fondamentale a centrocampo. Il professore ♡.
-Bonucci&Chiellini: sisi, la Juve non la sopporto e nemmeno loro in campionato perché sono troppo difficili da aggirare. Ma che Europeo ragazzi. Un'altra volta. Vorrei che potessero giocare a calcio per sempre perché non passa manco l'aria se ci sono loro a difendere. Il prossimo anno ci sono i Mondiali e non ho intenzione di crearmi aspettative perché se gli Europei sono complicati, i Mondiali sono assurdi. Ma comunque sia, spero vivamente che Chiello abbia voglia di disputare un ultimo Mondiale prima di ritirarsi, abbiamo bisogno di Giorgione nazionale!
Menzioni speciali: O TIR A GIR di Lorenzo il Magnifico che trasferisce per una sera il suo potere incredibile a Fede Chiesa. Noi godiamo. Grazie.
Non so se ho detto tutto, bo, però le cose che avevo nel cuore, più che nella testa, le ho scritte e qui rimangono.
Siamo CAMPIONI D'EUROPA, CAMPIONI D'EUROPA, CAMPIONI D'EUROPA!!!!!!!
GRAZIE RAGAZZI, AMO QUESTO SPORT
🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹
IT'S COMING (TO) ROME 💚🤍❤
Tumblr media
2 notes · View notes
corallorosso · 4 years ago
Photo
Tumblr media
Covid, governare la barca nella tempesta non basta: serve coraggio per un’alternativa Voglio partire dalla coda chilometrica che si è creata quattro giorni fa a Milano per poter avere un pasto caldo, dopo ore di fila, a pochi passi dallo shopping sfrenato che si stava consumando in centro, un segno tangibile della crisi prodotta dalla quarantena per contenere la pandemia. Sono aumentate le difficoltà delle persone e le persone in difficoltà. Per capire la portata di questa crisi occorre leggere il contesto globale, fatto di diverse realtà socioeconomiche. L’impronta che accomuna tutte queste realtà è il consumo, un’economia basata sul consumo, che rende disponibili a tutti e a prezzi accessibili una miriade di oggetti dall’uso più disparato. Il fatto è che stiamo divorando la Terra, nel senso letterale del termine. Inoltre il sistema economico che regola tutto l’apparato è costruito in maniera tale da produrre una disparità economico-sociale enorme, se si pensa che l’1% della popolazione possiede quanto il restante 99% della popolazione. La crisi pandemica non ha fatto altro che acuire questa disparità perché ha arricchito i 2153 Paperoni e contemporaneamente impoverito tutti gli altri. Un giusto sistema dovrebbe ricompensare il lavoro e non la ricchezza, invece tutte le persone sono letteralmente schiavizzate dal mercato del lavoro. I principali azionisti di un qualunque settore, solitamente non più di 5 o 6, percepiscono dividendi così alti che un terzo di questa cifra sarebbe sufficiente a garantire un salario dignitoso a milioni di persone, sufficiente a evitare l’umiliazione di fare ore di fila solo per avere un tozzo di pane e una minestra. Quello che si è distrutto è il lavoro, non la ricchezza, che è rimasta intatta. Passata la pandemia, siamo sicuri che tutto andrà meglio? Ci ributteremo nel lavoro per guadagnare due soldi e comprare oggetti superflui, senza svoltare nella nostra vita, ma soprattutto danneggiando il pianeta e la nostra futura esistenza. L’insegnamento che il Covid dà è che non basta il buonsenso, ma occorrono disposizioni di legge per evitare tanti morti e per avere un comportamento adeguato, di protezione e salvaguardia del prossimo. Il semplice buonsenso sfocia nell’anarchia decisionale, quindi non mi aspetto il buonsenso da questo 1%. Inoltre, se la crisi si dovesse prolungare per un periodo di tempo indefinito, anche questo 1% incontrerebbe difficoltà arrivando a favorire un cambio di paradigma come fu al tempo della peste nera del 1348 che ha determinato un cambio dei modelli culturali, con la differenza che nel ‘300 sono stati i morti per malattia e oggi potrebbero essere i morti economici per mancanza di lavoro a determinare questo cambio. I primi segni di una crisi di solvibilità che potrebbe diventare inarrestabile sono stati denunciati da Mario Draghi che ha affermato che le autorità devono agire prontamente. Voglio dire che ora bisogna studiare per trovare nuovi modelli socioeconomici, rispettosi dell’ambiente e della popolazione, senza aspettare i morti di una crisi senza ritorno. Si sta tamponando la situazione con le associazioni di volontariato che danno un sostegno alle persone bisognose. L’aiuto arriva anche con il reddito di cittadinanza. E meno male che esistono queste possibilità, ma sono strumenti incapaci di raddrizzare la stortura economica che stiamo vivendo trasformandosi in palliativi. È ora che la politica prenda coraggio e cominci a pensare di costruire alternative tracciando una nuova rotta e non semplicemente governando la barca nella tempesta. Gli strumenti per il cambiamento li abbiamo: abbiamo computer, cellulari, la moneta elettronica, mezzi, voglia di lavorare e di migliorare, siamo tutti connessi. Abbiamo contro chi vuole difendere i propri interessi e il proprio potere economico costituito dal denaro accumulato sul lavoro e sulla pelle degli altri. Occorre solo tracciare una via, avere la volontà di cercarla e la capacità di trovarla e farla accettare a tutti, per un mondo migliore. Blog Sostenitore "Il Fatto"
6 notes · View notes