#che in realtà è una mancanza enorme
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Mi sono impegnata così tanto per scrivere quel messaggio su Idealista che davvero non merito che 'sta cavolo di Marta mi visualizzi senza rispondere! Su Idealista! Voglio direeee questo no non lo posso accettare
#anche perché mi sono fissata troppo con quella stanza#sembra perfetta#eccetto per il fatto che non c'è nessun cane nell'appartamento#che in realtà è una mancanza enorme#però purtroppo è proprio vero che non si può avere tutto ecco#(p.s. sono ben consapevole che non ricevere risposte du Idealista è estremamente comune ma#A. non significa che mi stia bene e B. l'annuncio era stato caricato da pochissimo dai dhn)
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La norma sull'utilizzo delle fonti rinnovabili stabilisce standard non raggiungibili, creando solo frustrazione, mancanza di credibilità e costi elevati. Ecco perché sarebbe meglio un approccio più pragmatico e meno ideologico
Azzeccare previsioni è relativamente semplice, purché non riguardino il futuro. Questa volta però una previsione la facciamo: non vi è alcuna possibilità che gli obiettivi fissati nell’aggiornamento della Direttiva europea (RED III) per quanto riguarda le fonti rinnovabili possano essere raggiunti. Almeno in Italia, ma gli altri stati europei non stanno meglio. L’obiettivo fissato è che al 2030 siano rinnovabili il 42,5% dei consumi finali di energia più un obiettivo non vincolante (ma che significa?) del 45%. Attenzione, questo obiettivo non riguarda la sola energia elettrica, se fosse così già quasi ci saremmo, ma il 42,5 di tutta l’energia. Quindi dobbiamo nello stesso tempo aumentare la quota di energia elettrica prodotta con le rinnovabili e aumentare la quota di elettricità sul totale di energia consumata. E la differenza è enorme. L’elettricità infatti è oggi solo il 21,5 per cento del totale dell’energia consumata.
Per capire di che cosa stiamo parlando è meglio cominciare dai consuntivi, che al contrario delle previsioni presentano numeri certi. Nel 2022, secondo i dati del MASE, solo il 19% dei nostri consumi finali erano da rinnovabili. Sole, vento, idro, geo, ma anche rinnovabili termiche, compresa la legna da ardere, e un po’ di biometano. Nel 2014 era al 17,1. In 8 anni siamo quindi cresciuti di 2 punti. Nei prossimi 7 dovremmo crescere di 23, 5 punti, 12 volte in più del tasso di crescita registrato fin qui. Anche se facessimo oggi tutta l’elettricità con le rinnovabili, cosa impossibile, ci fermeremmo al 31,8, più di 10 punti sotto l’obiettivo. In Europa le cose vanno appena meglio. Siamo al 21% medio, appena due punti sopra l’Italia, grazie soprattutto ad alcuni paesi del Nord Europa, come Svezia e Finlandia, ricchi di idroelettrico e legname.
Da noi la discussione è tutta centrata sulle rinnovabili elettriche, ma occorre capire che in realtà si tratta di perseguire, come detto, un doppio obiettivo. Non solo aumentare la produzione da rinnovabili, ma contemporaneamente aumentare di molto la quota di consumi energetici soddisfatti dall’elettricità. Dal 21,5 % di oggi al 29% nel 2030. Sembrano pochi 8 punti. Ma il combinato disposto fra le due cose, più rinnovabili e più elettricità nei consumi finali in un tempo così breve, comporta obiettivi irrealizzabili. Stessa cosa per le altre rinnovabili termiche.
Diversi studi, TERNA, Confindustria, Università di Padova, hanno fatto i conti e indicato cosa occorrerebbe fare. Bisognerebbe da oggi al 2030 installare 700.000 pompe di calore all’anno. Immatricolare 1 milione di auto elettriche all’anno. Nel 2022 sono state 50.000. Installare 120 GW di nuove rinnovabili al ritmo di quasi 20 all’anno contro i 3 dell’anno scorso e almeno 120 GWh di sistemi d accumulo. Aumentare di 15 volte la produzione di biometano. Naturalmente il mix può cambiare, ma siccome nessuno di questi obiettivi singolarmente ha serie possibilità di essere raggiunto le cose non cambiano. Non credo ci sia un solo esperto di problemi energetici che possa ritenere questi obbiettivi realizzabili. Rimane da capire perché l’Europa si ostini ad alzare l’asticella di obiettivi chiaramente non raggiungibili, creando solo frustrazione, mancanza di credibilità e costi elevati. E perché l’Italia che pure ha fatto molti compiti a casa non faccia presente che forse un po’ di realismo servirebbe. Negli stessi giorni dell’approvazione della Direttiva la Presidenza spagnola ha predisposto un documento dai toni più che allarmistici sulla carenza di una serie di materiali necessari per soddisfare tutte le esigenze. Con il rischio che i costi vadano alle stelle e la dipendenza dalla Cina, dice il documento, raggiunga lo stesso livello di quella precedente dalla Russia. Suona quindi surreale il commento del relatore tedesco Markus Pieper del Ppe secondo il quale “questa direttiva dimostra che Bruxelles può essere poco burocratica e molto pragmatica”. Il punto è che la Ue si è incastrata da sola ponendosi un obiettivo, quello delle zero emissioni al 2050, che la costringe a stabilire tappe intermedie altrettanto velleitarie. L’unico risultato per il momento è la perdita di competitività dell’industria europea, la creazione di mercati, auto elettriche e rinnovabili, per i produttori cinesi, l’aumento dei costi per imprese e famiglie. Nel frattempo il contributo delle emissioni europee al totale mondiale continua a scendere. Soprattutto perché crescono quelle degli altri.
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Parte 2
"Speciale deriva da species, che significa spettacolo, scena vista, qualcosa che risalta agli occhi di chi sa guardare"- è quello che mi disse guardandomi negli occhi con quella luce soffusa che proveniva dalla luce del corridoio, lasciata accesa per la fretta di cogliere al balzo l'occasione di sdraiarsi accanto a me. "Immagino che tu sia colui che sa guardare" -dissi- "non è forse speciale anche la persona che riconosce chi altri lo sia?" -non perdeva mai l'occasione per esaltare le sue qualità, pure troppo, forse anche fino a risultare odioso a volte. Ma a quel punto cominciò a sfiorarmi il viso, io risultai sicuramente infastidita, perché mi girai meglio dalla parte opposta, in ogni caso gli facilitai la presa, in quella posizione poteva tenermi stretta, con una mano sulla guancia, toccandomela meglio, c'era più contatto. Il mio cuore iniziava a battere più veloce ma riuscivo a tenere la calma, forse facilitata dal sonno, che ancora la sua presenza non mi permetteva di prendere. Mantenni quella posizione per tanto, dopo qualche minuto mi iniziava a piacere la sensazione della sua mano calda posta quasi sulla mandibola, a sfiorare la parte del viso a metà tra guancia e collo, tra castità e desiderio. Cominciavo a rilassarmi e quasi ad addormentarmi, quando la sua mano cominciò a spostarsi, scese giù, nel tragitto per qualche secondo mi sfiorò il seno, scese ancora giù. Per un attimo ebbi paura o forse sperai, forse lo pensai perché in realtà lo volevo, che cominciasse a toccarmi meglio. La sua mano cercava qualcosa, disperatamente quasi, era la mia mano, la prese, incastrò le sue dita con le mie, ci giocò per qualche minuto e poi la portò al suo viso. Ovviamente la posizione iniziale, in cui lui mi stava abbracciando da dietro, così non era più comoda per me, dovetti girarmi.
Se la teneva stretta, come a dire "accarezzami, non togliere la mano", è quello che feci: iniziai a sfiorare la leggera ombra di barba che aveva col dorso della mano, i suoi occhi iniziarono ad addolcirsi, non erano come al solito e passai a delle carezze migliori. Ora mi trovavo lì, quasi a pancia in giù, per metà appoggiata al suo petto, con il braccio che mi faceva da cuscino e la mia mano che smetteva di accarezzargli il viso solo per passare qualche secondo sul suo petto. Lui vide nel mio sguardo la paura di caderci ancora, la paura di crederci, di stare davvero bene a causa della mancanza di fiducia nei suoi confronti. Non potevo fidarmi, ogni volta che ero stata bene lui spariva, né un messaggio, né una chiamata, come potevo credere al suo bisogno di ricevere il mio amore, le mie attenzioni... Mi conosceva, leggeva nel mio sguardo ognuna di queste domande e iniziò a parlarmi di quello che lo portava a essere in quel modo.
Da un ragazzo così cosa vi aspettereste? Nulla di specifico, non mi raccontò del perché lo faceva da sempre, né cosa successe nel particolare: si limitò a parlarmi della sua unica relazione, avuta qualche anno prima, quindi comunque dopo che aveva già l'abitudine di sparire. Aveva sofferto, tradito dal suo migliore amico, non aveva perso solo la sua ragazza, sentiva che tutto quello che aveva fatto per entrambi non era stato apprezzato, si sentiva perso e un po' abbandonato. Io ero lì ad accarezzarlo nel tentativo di calmare il suo sfogo, a guardare nei suoi occhi mentre mi raccontava la sua storia, quando mi colpì una frase specifica "per me tu sei un mondo". Vi spiego: non stava parlando di me, ma era uno di quelli che ci metteva anima in quello che faceva, anche io, per cui lo capivo benissimo, e il fatto di non essere apprezzato o che nulla gli veniva riconosciuto lo minava dall'interno, parlava di questa ragazza come un mondo conquistato dopo tanto e che lui aveva contribuito a costruire, un luogo dove trovare rifugio, benessere, qualcosa di enorme, che lo avvolgesse e in cui perdersi, con le sue piccole e uniche caratteristiche. Per lui ero così, con altre diverse piccole e uniche caratteristiche: realmente eravamo dei mondi, dei piccoli pianeti, ognuno differente dall'altro, compresi appieno ciò che voleva dire. Tuttavia, la frase mi colpì perché dolorosa, mi immaginai nella mente un piccolo astronauta, che pur avendo scoperto un pianeta bellissimo per lui, decise di scoprirne un altro e focalizzarsi su questo, considerando il primo solo quando aveva voglia. Pertanto, presa un attimo dall'impulsività, gli risposi "un pianeta che però hai frequentato a intermittenza", lo avevo beccato. Sembrava realmente dispiaciuto della scelta che aveva fatto ma il secondo mondo, a quanto disse, era per lui l'unico che all'epoca poteva frequentare. Effettivamente anche io ero spesso sfuggente, lato che alla lunga poteva dare fastidio, scambiandolo per volontà di non ricambiare i suoi sentimenti. Continuavo a guardarlo negli occhi, quella sera c'è stata un'intimità che in 10 anni non si era mai creata. Mi disse che avrebbe tanto voluto stare con me così da tempo e che non si era mai creata l'occasione, ma che se quell'attesa fosse stata necessaria per provare quello che provava in quel momento, ne valeva la pena. "Sto bene" -disse guardandomi negli occhi- "sto proprio bene, con te così, non ho mai guardato nei tuoi occhi così a lungo e tu non hai mai guardato così i miei, tutto questo mi rende colmo di benessere". Era vero, c'era una strana magia che rendeva diversi i nostri sguardi quella sera, io sentivo la sua gioia, la sua sincerità e il suo reale senso di benessere nello stare così.
Tutto ciò mi aveva inebriato: le sue parole, i suoi occhi, un suo sorriso sincero che non avevo mai visto prima, lo stare vicini, le carezze, il suo entusiasmo nel parlare dei suoi sentimenti verso me, tutto. Mi persi anche io nel suo entusiasmo, mi feci prendere, i miei pensieri legati ai suoi e non mi accorsi che era a un millimetro da me che cercava di baciarmi. Non me la sentivo di baciarlo, ma era lì e un po' di desiderio c'era, comunque realizzai quello che stava accadendo realmente solo quando le sue labbra erano già sulle mie e di colpo andai via. Quello che ne risultò fu un mezzo bacio a stampo, storto, con uno schiocco a vuoto, orribile, perché subito mi allontanai, mi tolsi il piumone di dosso e, messe le scarpe e il cappotto, corsi via, lasciandolo lì, solo nel letto.
Continua
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Crisi industriale per sovrapproduzione di acciaio in Cina
La siderurgia cinese è sull’orlo del precipizio. L’era delle grandi infrastrutture in Cina è finita, e ora il settore dell’acciaio deve affrontare un’enorme sovrapproduzione. Una transizione cruciale all’interno dell’industria siderurgica cinese, che sta esacerbando le preoccupazioni di sovracapacità, ha portato a temere che una mancanza di disciplina possa rischiare di far "cadere da un precipizio" questo settore industriale e danneggiare la posizione a lungo termine della nazione nel commercio globale. La produzione di acciaio della Cina è aumentata rapidamente negli ultimi decenni, diventando il principale produttore ed esportatore mondiale.
Ma la prolungata flessione del mercato immobiliare e il rallentamento della spesa infrastrutturale da parte di alcuni governi locali per contenere i rischi di indebitamento, significa che l’industria sta affrontando una realtà non piacevole. I prezzi sono crollati bruscamente dal 2021 e alcuni produttori di acciaio hanno chiesto di limitare la produzione, citando le crescenti perdite e i rischi di flusso di cassa dovuti alla sovracapacità.
Cina: produzione di acciaio Fine dei consumi su larga scala “In passato, era sostenuta principalmente da investimenti come il settore immobiliare, la costruzione di infrastrutture e il rinnovamento delle attrezzature delle fabbriche”, ha dichiarato Tang Zujun, vicepresidente della China Iron and Steel Association, durante un incontro con i maggiori produttori di acciaio del Paese alla fine di aprile. In futuro, sarà guidato dai consumi e dalle industrie strategiche emergenti e future basate sull’innovazione”. “L’era della costruzione su larga scala nel nostro Paese è finita”. Tang ha chiesto una migliore disciplina e allocazione delle risorse, nonché uno sviluppo “sano” del settore, aggiungendo che l’eccesso di investimenti in alcuni prodotti peggiorerebbe ulteriormente la sovraccapacità. ‘ “Se questo problema non viene gestito bene, avrà un enorme impatto sull’ecosistema, sullo sviluppo sostenibile e sulla competitività internazionale dell’intero settore” . Solo che la situazione è diventata talmente complessa ed eccessiva che è molto difficile quali siano gli impianti che dovrebbero sopravvivere e quali dovebbero chiudere. L’export non può più essere una valvola di sfogo Anche la possibilità di utilizzare l’estero, anche con il dumping, per scaricare l’acciaio in eccesso, non è più affrontabile. A metà aprile, Biden ha detto che le tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio cinesi dovrebbero essere triplicate, nella prima proposta tariffaria importante sui prodotti cinesi da parte della sua amministrazione. A marzo, due grandi produttori di acciaio in Vietnam hanno richiesto un’indagine antidumping sulle esportazioni di acciaio laminato a caldo dalla Cina. La settimana scorsa, il Cile ha dichiarato che avrebbe imposto tariffe antidumping temporanee sui prodotti siderurgici cinesi utilizzati nell’industria mineraria, nel tentativo di sostenere i produttori locali in crisi. Il Messico aveva già imposto tariffe sull’acciaio cinese.
Export cinese di ferro e acciaio Il governo cercherà sicuramente di ridurre la produzione di acciaio in modo organico ed organizzato. Sicuramente potrà riuscirci con i grandi gruppi a controllo statale, ma le piccole acciaierie private, queste ridurranno la produzione per obbedire agli ordini di governo, salvo poi aumentarla non appena i prezzi inizieranno a riprendersi. Anche la Cina ha una sua economia di mercato, perfino più caotica di quella Occidentale. Mettere ordine al mercato cinese dell’acciaio non sarà un lavoro facile. Read the full article
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L’AMORE E IGIENE NEL 1600 1700 😱
Visitando il palazzo di Versailles a Parigi, si nota che il sontuoso palazzo non ha bagni.
In quel periodo non c'erano spazzolini da denti, profumi, deodoranti, figuriamoci la carta igienica. Gli escrementi umani venivano lanciati dalle finestre del palazzo.
In un giorno di festa, la cucina del palazzo poteva preparare un banchetto per 1500 persone, senza la minima igiene.
Nei film attuali vediamo le persone di quell'epoca sventolarsi con il ventaglio...
La spiegazione non è per il caldo, ma per il cattivo odore che emettevano sotto le gonne (che tra l’altro sono state fatte apposta per contenere l'odore delle parti intime, visto che non c'era igiene).
Non era abitudine fare la doccia a causa del freddo e della quasi mancanza di acqua corrente.
Solo i nobili avevano dei lacchè per ventagli, per dissipare il cattivo odore che emettevano il corpo e la bocca, oltre a scacciare gli insetti.
Coloro che sono stati a Versailles hanno ammirato gli enormi e bellissimi giardini che all'epoca non solo erano contemplati, ma erano usati come gabinetti nelle famose ballate promosse dalla monarchia, perché appunto non c'erano bagni.
In quel periodo la maggior parte dei matrimoni si svolgevano in giugno (per loro l'inizio dell'estate). Il motivo è semplice: il primo bagno dell'anno si faceva a maggio; quindi a giugno l'odore della gente era ancora tollerabile.
Tuttavia, poiché alcuni odori iniziavano già a disturbare, le spose portavano mazzi di fiori vicino al loro corpo per coprire la puzza. Da qui la spiegazione dell'origine del bouquet da sposa.
I bagni erano fatti in una sola vasca enorme piena di acqua calda. Il capo della famiglia aveva il privilegio del primo bagno in acqua pulita. Poi, senza cambiare l'acqua, arrivavano gli altri in casa, in ordine di età, donne, anche per età e infine bambini.
I bambini erano gli ultimi a fare il bagno. Quando arrivava il suo turno, l'acqua nella vasca era così sporca che era possibile uccidere un bambino all'interno.
Le persone più ricche avevano i piatti di lattina. Alcuni tipi di cibo arrugginivano il materiale, causando la morte a molte persone per avvelenamento.
Ricordiamoci che le abitudini igieniche dell'epoca erano terribili.
I pomodori, essendo acidi, sono stati considerati velenosi per molto tempo, le tazze di latta venivano usate per bere birra o whisky; questa combinazione, a volte, lasciava l'individuo "a terra" (in una sorta di narcolessia indotta dalla miscela di bevanda alcolica con ossido di stagno).
Qualcuno che passava per strada avrebbe pensato che fosse morto, quindi raccoglievano il corpo per prepararlo per il funerale.
Poi il corpo veniva messo sul tavolo della cucina per alcuni giorni e la famiglia continuava a guardare, mangiare, bere e aspettare di vedere se il morto si svegliava o no. Da qui nasce la veglia ai morti che sarebbe la veglia accanto alla bara.
Non c'era sempre posto per seppellire tutti i morti. Poi si aprivano le bare, si rimuovevano le ossa, si mettevano in ossari e la tomba veniva usata per un altro cadavere.
A volte, aprendo le bare, si notava che c'erano dei graffi sui coperchi all'interno, il che indicava che l'uomo morto in realtà era stato sepolto vivo.
Così, chiudendo la bara, è nata l'idea di legare una striscia del polso del defunto, passarla attraverso un buco fatto nella bara e legarla a una campana.
Dopo il funerale, qualcuno era rimasto in servizio vicino alla tomba per alcuni giorni. Se l'individuo si fosse svegliato, il movimento del suo braccio avrebbe suonato la campana. E sarebbe "salvato dalla campana", che è popolare espressione usata da noi fino ad oggi.
Quello che facciamo oggi per tradizione, lo facciamo senza sapere.
E seguiamo le tradizioni solo per sentito dire.
Come carnevale, Halloween, etc…
A volte il miglior alleato per uscire dall'ignoranza è la lettura.
Preso da Juan Jaime Montoya ( correzioni , traduzione,sistemazioni da Monya)
🌿Pietre: Bosco e Magia
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Aprii gli occhi. Un forte bruciore si dispandeva nel mio petto come lo zucchero che si scioglie. Afferrai con ambedue le mani il lenzuolo da sotto di me. Tirai con forza, innarcai la schiena con la testa sul morbido cuscino e tentai di inalare più aria possibile.
Nulla. I miei polmoni si rifiutavano di pompare l'aria. Due lacrime calde si fecero strada dai miei occhi e finirono da qualche parte sul mio viso o sui capelli sparsi su tutto il cuscino.
Tentai di alzarmi, ma la mancanza di ossigeno impediva al mio corpo di reagire.
Due colpi alla porta, poi altri tre, quattro. Qualcuno chiamò il mio nome. Qualcuno maledì la mia abitudine di chiudermi a chiavi.
Poi due mani. Due mani che tentavano di svegliarmi. Due colpi sul mio viso. Non sentivo nulla. I occhi chiusi, le labbra semiaperte e qualcosa che si posava sul mio viso.
Respira
Sentii questa parola e forse fu l'ossigeno che mi veniva inserito nel corpo quasi a forza, forse fu il tocco di qualcuno o forse ero troppo debole, ma il sonno prevalse ed io, sotto i suoni assordanti di una ambulanza, finii per addormentarmi.
Mi svegliai in una stanza enorme. Bianca. Bianca come la paura, come il terrore. Ho sempre associato il bianco a ogni male. Non il nero come il 99% del umanità. Quando mi chiedono Di cosa hai paura, Char? Io rispondo con le solite cose normali. Solitudine. Infelicità. Malattie. Cose simili. La verità è che la mia paura più grande è il bianco. Immaginatevi di essere in un posto. Un posto dove non ci sono alberi che seguono l'intero percorso delle vie, macchine che creino il caos e nessun odore di gas, case colorate e di diverse misure che quando le guardi le associ ai lego con i quali giocavi da piccolo e se mancavano i pezzi dello stesso colore per finire la costruzione di quel che avevi iniziato prendevi quelli del colore giallo o verde e continuavi la tua infantile opera, immaginatevi un posto dove non ci siano persone, vecchie che si lamentano di come sono diventati i giovani, madri che rimproveranno i loro bambini per qualche cattiveria e quest'ultimi a loro volta che scoppiano in lacrime accompagnati da gridolini isterici, i visini rossi e con una smorfia che quasi ti chiedi se non gli faccia male a tenere quella espressione per i seguenti 10 minuti di sano pianto.
Ecco, voi immaginatevi di essere in centro a un posto vuoto, bianco. Nessuna via. Nessun angolo. Cerchio o qualsiasi altra cosa.
Solo voi. E quale più grande paura del vuoto assoluto, il nulla assoluto se non il nulla stesso?
Il buio, il nero. Mi ha sempre dato più tranquillità. Nel buio non vedi nulla. Non sai se magari dopo 10 passi inciampi in un giocattolo di qualche bambino lasciato li per noia e indifferenza o se sbatti in una macchina parcheggiata sul ciglio di una strada.
Il buio lo associo alla speranza. La speranza che esso conservi un qualcosa.
Il bianco. Il bianco ti permette di vedere tutto. Ogni macchia. Ogni punto. E non c'è cosa più brutta di non sperare. Non aver bisogno di sperare perché vedi. Lo vedi chiaramente che sei circondato dal nulla.
E ti senti come in una scatola. Intrappolato in una realtà non tua. Non vera. Non necessaria.
È questa la mia più grande paura.
Perché al buio ti puoi ribellare, al nulla no.
Capisci?
Ed eccomi qui. Sento una specie di maschera che mi copre naso e bocca. La tocco e provo a toglierla. La guardo e riconosco la mascherina respiratoria.
Tento di alzarmi capendo di essere in una stanza di ospedale e subito al mio fino trovo mia madre in una poltrona di un bianco accecante.
Sta dormendo. Ha gli occhi chiusi. I capelli biondi e fini che ho sempre amato le coprono mezza faccia. Porta un maglione di un marrone caldo, accogliente. Ha due buchi che le lasciano scoperte le spalle e tre fiocchetti sulle maniche, al livello del polso. Sono piccoli e posizionati in fila indiana. I jeans di un blu scuro le fasciano le gambe magre. Porta dei stivali marroni con delle cinture sottili, molto alla moda. Sulle mani ha i bracciali Tiffany che mio padre le regala spesso e cinque anelli di un'eleganza sorprendente. Le unghie, laccate. Bianco. Ha sempre usato il bianco. Capiamoci, non bianco come la cancellina che usiamo a scuola per correggere ogni sbaglio che facciamo e ci ritroviamo a fine ora con il quaderno simile a un muro verniciato, il bianco che usa lei è un bianco leggero, sembra sfumato nel rosa chiaro, ma è bianco. Noto il suo viso come sempre accuratamente truccato. È tutto nella norma. Un filo di eyliner, una passata di mascara, fondotinta quasi inesistente e giusto un po di rossetto color carne. La vedo aprire gli occhi blu e terribilmente belli, nonostante le poche rughe la scambiano spesso per mia sorella maggiore, quest'ultimi accompagnati da un sorriso che sfoggia con non chalance. A volte mi chiedo come tanta bellezza ed eleganza abbia potuto procreare un catorcio come me. Che di bellezza capisco ben poco e volgarità è il mio secondo nome.
'Hey, Cris.' mi chiama sempre con il mio secondo nome e ogni volta che lo dice mi sento piccola e dolce.
'Buingiorno, mamma.'
'Chiamo un dottore e lo avviso che sei sveglia.' si alza, mi da un leggero bacio sulla guancia destra e come al solito un caldo accogliente mi circonda.
Giro la testa alla mia sinistra e noto l'enorme finestra. Fuori piove e il vetro è leggermente bagnato dalle gocce di pioggia che colpiscono piano. Una distesa verde circonda l'ospedale e mi chiedo quanto tempo ci mettono i giardinieri a sistemare quel enorme prato.
Mia madre fa il suo ingresso nella mia stanza e mi avvisa che dopo un veloce controllo potremo tornare a casa, ed io mi ritrovo per la millesima volta nella mia vita felice di poter tornare nella mia buia stanza.
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Rapporto Eurispes Italia 2023: parola d'ordine responsabilità
Il Rapporto Eurispes Italia 2023, giunto alla sua 35ma edizione, restituisce la foto di un'Italia complessivamente pessimista. Le cause di tale atteggiamento sono da ricercare nella recente pandemia, la situazione economica generale e le ansie legate al lavoro. Il metodo della ricerca si basa su un sistema di dicotomie che aiutano a esaminare la realtà nel loro complesso. Le sei dicotomie analizzate sono: Stato/Mercato; Merito/Obbligo; Diritti/Doveri; Responsabilità/Irresponsabilità; Sicurezza/Insicurezza; Otium/Negotium. Rapporto Eurispes Italia 2023: il pessimismo degli italiani Nella sua presentazione della ricerca, il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha definito i tempi che stiamo vivendo non ordinari. La straordinarietà dei tempi che viviamo sta in quegli eventi una volta considerati imprevedibili e incredibili che invece oggi sono diventati normali. Questa considerazione apre a due tipi di riflessione. La prima riguarda la lentezza con la quale la società attuale affronta questo enorme cambiamento. La seconda è che siamo tutti chiamati a fare un atto di responsabilità per partecipare a questo cambiamento. Se non sapremo affrontare la rivoluzione digitale, i cambiamenti climatici, le disuguaglianze economiche e sociali, continua Fara, essi ci travolgeranno. Siamo nell'epoca dei diritti che, pur essendo sacrosanti, non devono togliere spazio ai doveri. E' tempo, cioè, di riscoprire i doveri come parte integrante per la realizzazione di democrazie compiute. Il caro vita e il lavoro Una delle maggiori afflizioni degli italiani è senza dubbio il carovita. L'aumento dei prezzi di bollette, generi alimentari e benzina ha modificato le abitudini dei consumatori. Gli italiani tagliano le spese non essenziali come vacanze, tempo libero e regali e per gli acquisti essenziali si approfitta di sconti e offerte. Si preferisce una cena tra amici alle uscite al ristorante e si rinuncia all'acquisto di un'auto nuova. Si fanno sempre più largo comportamenti virtuosi tesi a risparmiare energia: impiego di lampadine a basso consumo, utilizzo ragionato degli elettrodomestici. Le insoddisfazioni legate al lavoro hanno motivazioni diverse: dall'assenza di stimoli alla conflittualità sul posto di lavoro; dalla difficoltà nel conciliare vita e lavoro alla mancanza di tutele. Mobbing, mancanza di un contratto e molestie sessuali sono tra le cause che hanno portato gli italiani a lasciare il proprio lavoro. Politica e questioni sociali Sulle questioni politiche gli italiani hanno espresso una fiducia sempre calante nelle istituzioni. Fanno eccezione il presidente della Repubblica e le forze dell'ordine. Alta considerazione anche per scuola, sanità, Protezione civile, volontariato. La presenza delle donne in politica, secondo gli italiani, è ancora troppo bassa e le quote rosa non sono la risposta a questo problema. La ricerca ha sondato l'opinione degli italiani anche su temi sociali divenuti di grande attualità. Oltre la metà degli italiani si dichiara favorevole a pratiche come l'eutanasia e il suicidio assistito. La maggior parte degli intervistati, invece, si è detta favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Quanto all'adozione da parte di coppie omosessuali sono favorevoli solo la metà degli italiani che invece sostengono più numerosi l'adozione da parte di single. Non incontrano il consenso degli italiani la liberalizzazione delle droghe leggere, della prostituzione, il cambio di sesso sulla base di un'autocertificazione, il riconoscimento di identità di genere al di fuori del maschile e del femminile. Ferma condanna anche di vivisezione, pellicce, caccia e animali nei circhi. In copertina foto di Tumisu da Pixabay Read the full article
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Non sono d’accordo. La statistica e i numeri sono proprio quello che usiamo per cercare di rimuovere i bias. La nostra esperienza personale, l’aneddotica, è quella che introduce il bias. Le statistiche non sono perfette ma sono il modo migliore che abbiamo per vedere la realtà nel suo complesso.
Ignorare la statistica e parlare di singole persone, come di “mostri” isolati, significa negare il problema sistemico, ovvero il fatto che siamo immersi in una cultura che giustifica se non incoraggia, l’approccio predatorio alla sessualità.
La frase che scrivi “quante donne dicono di no per aumentare il desiderio” è esattamente uno dei luoghi comuni di quella cultura dello stupro, insieme ad altre, come le considerazioni sull’abbigliamento o sull’assunzione di alcol e droghe..
Questo non significa semplicemente“l’uomo è cattivo/stupratore”. Molti non accettano il fatto che questo problema sia sistemico perché non ritengono di aver fatto mai nulla di male, il famoso argomento “not all men”. Ma nasciamo, cresciamo e veniamo educati in un ambiente culturale che associa la sessualitá alla dominazione, e abbiamo il cervello pieno di schemi mentali che ricalcano quel concetto, anche quando non abbiamo mai pensato di usare violenza su nessuno. Lo stesso libro menziona un po’ più avanti alcuni esempi della cultura popolare:
Si direbbe che l’erotismo occidentale si sia costruito nel corso dei secoli sull’idea che le donne siano ambigue rispetto all’espressione del loro consenso e che sia proprio questo a provocare eccitazione: la violenza e la dominazione sono erotizzate e la mancanza di consenso vissuta come eccitante. Abbiamo un enorme – e collettivo – problema con il consenso. Un anno dopo l’inizio del #MeToo, il 18% dei e delle francesi pensa che alle donne piaccia essere forzate.24 Una percentuale di poco inferiore rispetto a quella di tre anni prima (21%). Il “no” di una donna non è quindi un vero “no”, ma una specie di gioco erotico; è “lei dice no, ma in realtà vuole dire sì”. È uno schema che ritroviamo spesso nei film, nelle serie TV, nei romanzi. In Star Wars (1980), Leia rifiuta più volte le avances di Han Solo; alla fine lui la spinge contro un muro e la bacia con la forza. James Bond in Goldfinger (1964) violenta Pussy Galore in una scuderia. In quello che a lungo è stato il mio film preferito, Légami (1989), di Pedro Almodóvar, l’eroe rapisce, lega e sequestra una giovane donna, che alla fine si innamorerà di lui. Possiamo anche citare Ultimo tango a Parigi, À bout de souffle… e moltissimi altri: la lista è infinita.
Nel nostro immaginario collettivo il “vero stupro” avviene nello spazio pubblico (un parcheggio, una stradina solitaria), la notte, e la donna, che indossa un abito scollato o la minigonna, è minacciata con un coltello o un’arma da fuoco da un mostruoso sconosciuto psicopatico. In realtà, questo scenario corrisponde solo a un’esigua minoranza dei casi. È dunque indispensabile decostruire questi pregiudizi sullo stupro, obiettivo che ci siamo prefissati con Noémie Renard, bioingegnera e militante femminista, che ha studiato, compilato, raccolto migliaia di statistiche e di studi sulle violenze sessuali, per farne un’opera notevole, “En finir avec la culture du viol.” Ecco le conclusioni di Renard.
– Gli stupratori non utilizzano quasi mai armi e non hanno bisogno di usare violenza fisica.12 Nel 70% dei casi le vittime non si divincolano perché sono paralizzate (dalla paura, perché non riescono a credere a quello che stanno subendo).
– Gli stupratori non sono dei “frustrati”. Non violentano per mancanza di rapporti sessuali consenzienti. Tutti gli studi sugli aggressori sessuali mostrano che hanno più partner sessuali rispetto alla media: una ricerca del 1990 rivela che l’89% degli uomini in carcere per stupro, prima della condanna, aveva rapporti regolari almeno una o due volte a settimana, di cui si diceva soddisfatto.
– Gli stupratori non violentano in preda a “pulsioni” incontrollabili: se così fosse, lo farebbero in mezzo alla strada, in pieno giorno, davanti a tutti.
– Gli stupratori non sono psicopatici. In Europa solo il 7% degli stupratori condannati ha un disturbo mentale. Al contrario, hanno un comportamento estremamente razionale: le loro azioni sono ponderate, premeditate, calcolate, per cercare di esporsi a meno rischi possibili.
– Lo stupratore è spesso “l’uomo qualunque” di ogni età ed estrazione. Il collettivo Féministe contre le viol che da anni ha una linea d’ascolto delle vittime, riporta che queste donne sono state violentate da agricoltori, medici, operai.
– Lo stupro è un reato molto più diffuso di quanto si pensi: in media tra il 25% e il 43% degli uomini dice di aver compiuto almeno una volta nella vita un’aggressione sessuale, o una penetrazione forzata.
– Gli stupratori non sono degli sconosciuti: l’80% delle vittime racconta di essere stato stuprato da uomini che conosceva: mariti, amici, vicini, professori, persone di famiglia.
Victoire Tuaillon - Fuori le palle. Privilegi e trappole della mascolinità.
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È il giorno del matrimonio (non mio). Non riesco a dormire. Nella mia testa le mie relazioni passate, alcune proprio passate e trapassate. La mente questa mattina (ore 5:50) cerca dettagli talmente piccoli di cose talmente antiche che, ad un tratto, quando mi riporto al presente, provo un senso di vuoto enorme.
Anche se non l'ho capito prima, ho capito adesso, oggi 29/05/22 che l'attuale relazione mi sta facendo soffrire da matti, insieme a tutto il resto. Ed è la prima volta che, seppur circondato da persone che mi vogliono bene, non riesco a sentire la vicinanza vera con nessuno nessuno. Provo un tale senso di vuoto che avverto l'affievolirsi di ogni emozione e sensazione (sarà colpa del superamento dei 30? O del covid?)
Tra me e lei gli eventi hanno avuto una successione così drastica che le cose nei mesi sono cambiate del tutto, costantemente. È la prima volta che la crisi non causa la rottura, ma la prosecuzione (dovuta anche alla mancanza di dialogo e chiarimento) appare come accanimento terapeutico.
Nelle ultime settimane abbiamo rimandato così tanto i chiarimenti sulle incomprensioni che adesso io non sento più niente, vorrei proprio non vederla più. Nel frattempo sento che lei è l'unica persona capace di capire alcune cose di me, capace di non farmi sentire così solo e vuoto. Ecco la trappola, un senso di sospensione che espande il vuoto, frustrazione.
Sarà stata colpa mia, le ho detto sin dall'inizio che non volevo legarmi, anche se poi le cose sono andate diversamente, siamo diventati veramente una coppia, finché poi non le ho fatto capire che avevo altri piani, cambiare città, cambiare lavoro. Lei non è fuggita, è rimasta, ma come è rimasta? In realtà nelle mie giornate è rimasto solo uno spettro di lei: i messaggi, nient'altro. Non la vedo da due settimane.
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discorsi caotici
In questi giorni ho fatto pensieri e ragionamenti e discussioni caotiche su varie questioni e questa sera, l’ennesima in cui non vado a correre per il caldo e per la mancanza di gente in circolazione, forse posso provare a mettere in fila qualche pezzo dei discorsi.
C’è il discorso della Guerra, che è un discorso enorme ed eterno, come la guerra stessa forse. Lo scorso weekend è capitato per caso a tavola con mia nipote e la settimana prima avevo fatto un giro tra le tombe dei soldati della prima guerra mondiale al cimitero e nel mezzo c’è stata la morte di Gino Strada e l’avvicendarsi di notizie sulla situazione in Afghanistan. E nei miei giorni ci sono stati pensieri per i soldati di allora e di oggi, a partire da mio nonno partigiano, di cui ci ha raccontato le vicissitudini lavorative mia mamma l’altro giorno dopo pranzo. Storie del nostro dopoguerra e della nostra povertà, come paese, delle occasioni che abbiamo avuto e che abbiamo perso, come persone, come gente, come nazione. E ora sembra tutto ancora più complicato o forse è solo più esplicito e mi chiedo quanto senso abbia parlare di autodeterminazione di un popolo, quanto ci si possa aspettare che “ci devono pensare da soli”, quando siamo tutti così legati all’economia globale, quando, anche al di là del concetto di Patria, il proprio spazio è il proprio mondo, e il territorio geografico stesso ha una sua peculiarità talvolta irrinunciabile, delle specificità a cui si ancorano sì grosse difficoltà ma anche grosse potenziali risorse e sopra a quella terra ci sono reti di conoscenze, parentele, amicizie, legami affettivi che non possono essere sciolti senza conseguenze, e pensare di andarsene o di restare non è affatto una scelta scontata, o addirittura possibile. Perchè per potersi “autodeterminare” ci dovrebbe essere un ventaglio di possibilità tra cui poter scegliere, mentre per molte persone non è così.
C’è il discorso del Lavoro, di quanto sia difficile per la mia generazione e per quelle ancora più giovani far capire ai nostri genitori la differenza tra la nostra situazione e la loro. A livello esistenziale, proprio. Ma siccome l’esistenza del mio quotidiano è riempita per 8 ore e oltre dal mio lavoro in ufficio, inevitabilmente spesso la frustrazione ruota intorno a questo profilo di intraducibilità. Mi trovo a confrontare le loro battaglie con quella che potrebbe essere definita arrendevolezza, da parte mia, se non fosse una strategia di difesa a protezione della mia pace mentale. Loro hanno affrontato altre sfide e loro due in particolare non sono nemmeno rappresentativi della loro generazione e se gli dici Voi nel senso di Quelli della Vostra Età fanno fatica ad accettare di essere parte di un gruppo che ha vissuto un’epoca diversa dal presente e ha avuto vantaggi così come svantaggi diversi da chi è “giovane” ora, un gruppo che forse non ha proprio gli strumenti concettuali necessari per comprendere la nostra esperienza, semplicemente perchè non li ha mai dovuti maturare. Così come noi non capiremo mai come possono essersi sentiti loro. Forse lo potremmo studiare, ma la distanza cognitiva tra fare un ragionamento a fronte di un’esperienza vissuta e a fronte di un’esperienza “studiata” è comunque notevole e forse troppo spesso trascurata quando si cerca di dialogare con chi ha avuto una storia diversa dalla nostra alle spalle. Per la cronaca, era la prima volta che i miei genitori sentivano parlare del concetto di “Boomer”.
C’è appunto il discorso delle Generazioni, che è una generalizzazione utile e inutile al tempo stesso, come tutte le generalizzazioni. Però ora che ho due rappresentanti di quella più recente a stretto contatto e la più grande mi comincia a porre Grandi Domande, mi devo chiedere come ragionare con lei e con Loro. Oggi ho visto un bel video di Rowan Ellis sull’attivismo e sull’importanza di non liquidare le domande altrui con un “cerca su google”. L’altro giorno ho letto un post in cui si parlava dell’importanza di tenere presente la relativa “novità” di tutte queste risorse per imparare qualcosa, per educarsi e comprendere meglio il mondo. E se penso al Grande Pericolo della Disinformazione e alla enorme barriera d’accesso posta da tutto ciò che serve per “visitare” un sito web, e prima ancora a costruirlo e a tenerlo in piedi, mi chiedo quanto sia particolare la mia, di generazione, l’ultima che ha fatto le scuole medie senza computer e telefonini e però ha cominciato a vederli in giro prima di arrivare al diploma delle superiori. Molti appunti dell’esame di maturità li ho scritti a macchina e il primo pc l’ho comprato di seconda mano solo l’anno dopo, dal mio fidanzato, che ha avuto l’occasione di montarsene uno nuovo. Ricordo che mi salvavo le pagine web per leggere con calma e non occupare la linea telefonica di casa. Mi chiedo se e quanto la nostra prospettiva sia diversa da quella di chi è arrivato online solo quando si è trovato lo smartphone in tasca, perchè un pc non ha mai pensato fosse necessario, e magari ora si trova alle prese con lo Spid e i troll nei commenti su Facebook e non ha idea di cosa sia la netiquette. E da quella di chi sa far partire un video su youtube o fare una videochiamata su whatsapp prima ancora di aver imparato a scrivere. Mi chiedo quanta distanza cognitiva ci sia, quanto sia incolmabile e quanto invece potremo comprenderci, nelle nostre diverse paure e perplessità nei confronti di questo universo di informazioni apparentemente a disposizione. Quanta autorevolezza dovremo mostrare per essere convincenti, quando arriveranno all’età della sfida, e quanta umiltà saremo in grado di mostrare quando arriveranno all’età della maturità. Perchè le loro battaglie saranno diverse dalle nostre, le loro esigenze, i loro pericoli, saranno nuovi e inediti e allo stesso tempo sembreranno simili a quelli che abbiamo affrontato noi e sicuramente in qualcosa lo saranno davvero. Sicuramente alcune battaglie le combatteremo insieme, perchè nessuno sarà ancora riuscito a vincerle definitivamente, purtroppo.
C’è infine il discorso della Serenità, che è una delle mie priorità costanti ed è a volte estremamente difficile da conservare. Perchè ci sono pensieri pesanti e scadenze impellenti e parole sgarbate e caldo opprimente e desideri irrealizzabili. E mantenere a fuoco la prospettiva giusta, allargare l’obiettivo in modo da comprendere ciò che vale la pena di mettere in evidenza, non è facile. E in questi giorni ho visto alcuni video sui fenomeni come cottagecore e dark academia, in cui si parlava anche del fatto che il recente successo di queste “estetiche” stia anche nella possibilità di offrire una via di fuga dalla realtà, quando questa non te ne mette a disposizione molte altre, una valvola di sfogo per la vena creativa che spesso viene frenata o soffocata dalle esigenze della routine quotidiana scandita dagli orari e dai ritmi imposti da attività organizzate da qualcun altro. E però è proprio questa vena creativa che ci rende umani e per quanto possiamo andare avanti in questo modo? E lo so che non sono da sola in questa difficoltà emotiva, a ritagliare e costruire gli spazi e i modi per cercare di Stare Bene. E lo so pure che io stessa pretendo troppo da me stessa. Perchè alla fine in un giorno ci sono 24 ore e poi è l’indomani. E una volta che uno lo sa, si regola di conseguenza, dico sempre. Anche lasciando spazio a una buona dose di caos. E comunque la prossima settimana, caldo o non caldo, gente o non gente, torno a correre.
#cose mie#in questi giorni#pensieri#thoughts#vita da zia#le endorfine della corsa sono insostituibili#ormai lo so#e mi devo dare una regolata u_u
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Cose che ho imparato dopo aver pianto due o tre annetti tutte le notti.
1) Mai pregare una persona di chiamarvi, di venire a trovarvi, di pensarvi.
Le passerà la voglia di farlo, sempre che ne abbia mia avuta.
2)Un “non ti amo più” in due settimane non può tornare ad essere un “ti amo ancora”. Se lo ha fatto qualcosa andrà comunque storto e a breve.
3)Se uno non vi ama più non può aver voglia di scoparvi. Ditegli di scoparsi il lavandino. Non è un punto semplice, mi rendo conto, ma è FONDAMENTALE.
Quindi:
“Non sento più le stesse cose, ma fare l’amore con te era…”
Per te Miss Italia finisce qui, caro.
4)Se uno vi dice che non vi ama più è inutile che gli chiediate “perché”. Non ve lo dirà mai. Vi dirà che siete belle e simpatiche e dolci, ma che purtroppo non è più felice. Ometterà un sacco di cose riuscendo comunque a farvi sentire in colpa. Volete davvero sentirvi in colpa perché qualcuno non vi ama? E’ pieno il mondo di gente innamorata di persone pessime, quindi l’amore-evidentemente-non è un merito e la sua mancanza non è una colpa.
5)Se uno vi dice che non vi ama più non chiamatelo dopo due minuti da quando vi siete salutati implorandolo di poterlo rivedere solo qualche istante perché vi manca il respiro. Vederlo non vi aiuterà, vederlo vi farà sentire peggio di come vi siete sentite quando avete visto Meg Ryan scoprire che Tom Hanks era il proprietario della libreria enorme di “C’è posta per te”.
Vederlo vi farà stare meglio per un nanosecondo, poi andrà ancora peggio. State a casa, diventate esperte di thè, aprite un blog, buttate via le mutande da bambina che avete nel cassetto e non andate in giro con lo smalto di due settimane prima. Si vede anche da quello se una è un po’ triste.
6)Buttate via la scheda del vostro cellulare. Davvero. Se siete appena state lasciate o se siete state lasciate da tanto e avete ancora il brutto vizio di inviare messaggi tipo “scusa se ti scrivo, giuro che è l’ultima volta, ma sono in fin di vita (più o meno) e non so con chi parlarne se non con te…Mi manchi, perdonami, non voglio disturbarti”…ecco, se mandate messaggi del genere buttave via la scheda e non ricompratela. Eliminatevi da facebook. Potrete tornare alla vita sociale cibernetica solo quando avrete imparato la lezione. Non prima. Ci vogliono ottime amiche per fare questo, attenzione.
7)Presentarvi vestite da strafighe nel bar che lui frequenta ogni venerdì per l’aperitivo fingendo di non vederlo non ve lo riporterà indietro. Molto adrenalinico, provare per credere, ma non provare per smettere di soffrire. Essere belle, tutte truccate e profumate, sexy e tornare a casa comunque tristi è davvero deleterio. Le ripicche non servono, le dimostrazioni non servono, la gelosia non serve. Lui non è un pupazzo, è un essere umano. Se vi vede stroieggiare (s’è fatto tutte) penserà “non me la ricordavo così” e passerà oltre. Oppure vi cercherà per fare quello che si fa con quelle che stroieggiano, e in genere non ci sarebbe niente di male, ma siccome si tratta del vostro passato vi rimando al punto 3.
8)Scrivete pure tutte le lettere che vi pare, ma non le inviate. Numero di lettere consentite:1. Poi basta. Le altre tenetele per voi, e scriveteci spesso quanto state soffrendo. Quando state per richiamarlo leggetele e ricordatevi esattamente quanto male vi ha fatto.
Poi non chiamatelo.
9)Guardate tutti i film d’amore che volete, piangete fino a che non vi cadrà il naso, ma tenete ben a mente che lui non è il protagonista dei film che guardate, né il protagonista dei libri che leggete. Non perdete di vista la realtà, non idolatrate chi non c’è più. Hugh Grant è meglio di lui, sarà sempre meglio di lui e solo Hugh Grant rischia di morire settanta volte per raggiungere Julia Roberts prima che prenda l’aereo in “Notting Hill”.
Solo lui.
10)Fa male, non fidatevi di chi dice il contrario. Se non vi sentite di uscire non uscite. Se il pensiero di un appuntamento con un altro vi fa venire il vomito mettete “La Bella e la Bestia” e tanti saluti. State male, piangete: vi è concesso. Entro un certo limite. Lavatevi sempre i capelli e continuate a fare quello che vi piace fare. Piangete, ma non per questo smettete di truccarvi per paura che il mascara possa colare. Vi pulirete, al limite. Vi asciugherete le lacrime, al limite.
11)Dite pure a tutte le vostre amiche che non ce la farete mai, che lo amerete per sempre, che non sopravviverete, che vi fa male il cuore, ma tanto lo sappiamo tutti che poi torna la primavera, che c’è quella nostra conoscente che era sposata da 25 anni e dopo esser stata tradita ha ritrovato l’amore, lo sappiamo tutti che poi d’estate viene voglia di spogliarsi e d’inverno d’abbracciarsi, che non tutte le persone sono insipide e che poi qualcuno volenti o nolenti viene a prenderci e ci porta via. Autoconvincetevi che possa bastarvi soffrire per un uomo per tutta la vita, tanto non è vero.
12)Sforzatevi. “Ma io lo amo” deve diventare “non ci voglio pensare”. E “non ci voglio pensare” deve diventare “non mi ama” che a sua volta deve diventare “ce la posso fare”. Ma io lo amo non è una giustificazione per tutte le cagate che fate o che farete. Se ha un’altra non potete ucciderli, anche se l’istinto parla chiaro. Se vi ignora non potete darvi fuoco sotto casa sua, non vi considererebbe comunque.
13)Le persone non tornano, le persone si rincontrano. E si imparano a conoscere di nuovo, da capo. Non voglio mica dirvi di non sperare, non sono nessuno per togliervi la speranza, ma voglio che sappiate che in genere-quando qualcuno torna-è perché non ha trovato niente di meglio.
Non vi accontentate di un “ti amo, ho fatto un errore” (durato 13 mesi circa). Ricominciate dall’inizio, perché quando il tempo passa si cambia anche senza rendercene conto e quello che un tempo amavate potrebbe essere diventato un topo peloso e puzzolente che non vi garba più poi così tanto. Ascoltatevi, prendetevi il vostro tempo, analizzate quello che sentite. Con i ritorni di fiamma c’è da stare attenti il doppio.
14)Se avete incontrato qualcuno (sìììììììììììì uhhhhhhhhhhhhhhh yeahhhhhhhhhhhhhhh) che vi piacicchia andateci a fare una passeggiata, prendeteci un gelato, una birra. Attenzione alle cene e al farci l’amore. Sono due cose che fanno piangere, se ancora non siamo proprio proprio del tutto libere di cuore. Fatevi toccare da qualcuno solo quando vi sentirete davvero davvero pronte. Non fatevi prendere dall’entusiasmo per aver trovato una persona interessante dopo 8000 persone “niente di che”.
15)Non state mai in silenzio per paura di perdere qualcuno o di disturbarlo. Se qualcosa vi fa male ditelo, se non vi sentite amate ditelo, se siete infelici ditelo. Abbiate sempre il coraggio delle vostre emozioni, sempre. A 15, a 20, a 40, a 70 anni. Mamma litiga sempre con babbo perché lei parla e lui non l’ascolta e lui le chiede puntualmente scusa. Non è mai migliorato, però la tiene ancora per mano., quando camminano.
Non accontentatevi: meritate amore. Niente di più e niente di meno. Se non è amore ciò che avete ma è amore ciò che cercate mandate tutto a fanculo e ricominciat. Non è nemmeno così difficile come sembra. Davvero.
16)Non aggiungete su facebook quelli senza maglia. Mi raccomando.
17)Non fate come me, che per capire questa roba ho fatto esattamente tutto il contrario di quello che ho scritto.”
Susanna Casciani.
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MAG106 - Caso #0081002 - Una questione di prospettiva
[Episodio precedente]
[PDF con testo inglese a fronte / PDF with English text to the side]
CLICK]
MELANIE
Resoconto di Jan Kilbride del periodo che ha passato sulla stazione spaziale, uh, Daedalus. Data della dichiarazione 10 febbraio 2008. Registra Melanie King.
Inizio.
[Clap]
MELANIE (Dichiarazione)
La cosa più difficile da immaginare, da comprendere davvero, è, è la dimensione a cui l’universo opera. Potreste scavare al punto tale da raggiungere particelle e mattoncini da costruzione così piccoli che il vostro cervello semplicemente non riesce a connettere. La realtà fisica in cui abitate, il fatto che la maggior parte del vostro stesso corpo è spazio vuoto, riempito solo con le deboli forze che legano i vostri atomi disperati gli uni agli altri - quello può essere capito solo su un piano intellettuale. Interiorizzare davvero il pensiero, crederci, sarebbe troppo per la maggior parte della gente.
E d’altro canto - la scala assoluta a cui l’universo opera - letteralmente non può essere concettualizzata dalla mente umana. Dobbiamo ridurla in fattori, o lunghe serie di zeri comparativi. La maggior parte della gente non può neanche apprezzare davvero la dimensione del nostro stesso pianeta, vedendo solo diagrammi rozzamente approssimati o mappe. Ma paragonato a noi, il pianeta è immenso. Più che abbastanza grande da permettere alla marea dell’umanità di crescere, e alla fine di estinguersi.
Eppure paragonato all’universo ben più ampio, non è neppure una particella degna di nota. La mente umana vorrebbe automaticamente il punto mediano, un centro perfetto bilanciato tra l’incredibile vastità dell’universo e l’inimmaginabile piccolezza del subatomico. Ma questo non è altro che ego - una manifestazione della nostra ossessione per il considerarci un qualche punto di riferimento normale con il quale tutto il resto viene misurato. In verità, siamo molto più vicini ai piccoli atomi meccanici che compongono i nostri corpi rispetto a quanto lo siamo a un universo così enorme che immaginarlo per intero è semplicemente impossibile.
Anche con tutto quello che ho visto, ancora non riesco a esprimerlo. Non posso far capire davvero alle persone quanto terribilmente e ripugnantemente sconfinato sia questo universo, e quando ci penso troppo, mi sento come se stessi per vomitare. Come una sorta di vertigine esistenziale.
Non mi ha mai spaventato così. Ero solito trovarci una specie di conforto, nel pensiero che eravamo così piccoli, un lampo così breve nella vita dell’universo. Dove gli altri vedevano solo una mancanza di significato e di senso, io trovavo la libertà. Una sorta di ottimismo nichilista, credo.
So adesso che era solo negazione, ovviamente. Non è facile avere paura di qualcosa a cui non puoi neanche pensare. Mi mancano quei giorni: fumare fuori dalla finestra di una palazzina, guardare fuori sopra le luci della città che brillano verso l’alto come sfida verso il vuoto, e pensare a quanto fosse stupido. Come una formica che agita il pugno verso un dio.
Penso che fosse il vero motivo per cui volevo andare nello spazio - per mettere tutto in prospettiva. Che per un momento, potessi guardare giù e vedere tutto, ogni umano che fosse mai esistito, i vivi e i morti, sospesi sotto di me in una piccola sfera di carbonio.
E sapete? Ne è valsa la pena. Per lo meno, lo pensai al tempo. Quel momento, quel primo sguardo alla Terra che cadeva lontana sotto di noi, era tutto come me lo ero sognato. E quante volte capita? La Daedalus era in un’orbita abbastanza bassa per cui non avevo una vista completa del pianeta, come avevo sperato. Ma non importava. La prima volta, quando ho guardato giù e ne ho ammirato l’impressionante dimensione, rimane la sensazione più magnifica che abbia mai provato.
Non so come io sia stato selezionato per la missione. Un rappresentate di un qualche consorzio privato mi aveva contattato circa un anno prima. Avevo fatto domanda qualche volta, ma sapevo di non essere la prima scelta per nessuno come astronauta. Semplicemente non ero abbastanza eccezionale.
In oltre, pensai… il signor Fairchild non aveva menzionato esattamente perché fossi stato scelto, anche se aveva fatto riferimento al mio profilo psicologico qualche volta durante il mio colloquio. Non volevo fargli troppe pressioni sul ragionamento, nel caso in cui avessi perso in qualche modo l’opportunità. Che idiota.
Tecnicamente eravamo in tre lassù, anche se in verità ho trascorso del tempo solo con Manuela. L’altro che era venuto su con noi - Chilcott, penso si chiamasse - stava a quanto pare facendo un qualche studio separato sull’isolamento. Non posso dire che lo invidiavo. La porta alla sua sezione della stazione era a dir poco scoraggiante. Voglio dire, sono un ingegnere, e onestamente sembrava che fosse più robusta dello scafo stesso.
Io e Manuela avevamo l’ordine di non provare a comunicare in alcun modo con lui, e per essere onesto, la cosa mi stava bene. In quelle occasioni in cui dovevamo chiamare con l’interfono la sua piccola stanza, di solito per una parte della manutenzione o un controllo dei sistemi, sembrava sempre così distante. Quel piatto tono monotono e metallico che mi faceva stringere i denti, come una vibrazione acuta.
Quindi lo lasciavamo per i fatti suoi. Noi avevamo già abbastanza da fare con il nostro lavoro, in ogni caso. Manuela Dominguez era un nome abbastanza importante in alcuni campi della comunità dei fisici - o, per lo meno, lo era stata. Non avevo sentito nulla sugli studi che aveva condotto per diversi anni. E, come ho detto, io sono più sul lato dell’ingegneria, quindi non era proprio qualcosa che seguivo nei minimi dettagli.
Sebbene fosse felice di chiacchierare, a Manuela a quanto pare non piaceva parlare della sua vita lavorativa sulla Terra, o dei dettagli della ricerca che stava facendo sulla Daedalus. Come Chilcott, la sua ricerca era tenuta completamente separata dalla mia. E anche se passavamo molto tempo insieme, non ho mai capito davvero che cosa fosse. Qualcosa con dei laser, credo.
Per quel che riguardava il mio lavoro, per essere onesto, sembrava molto una serie di compiti per tenermi occupato. Stress-test, effetti della gravità zero, valutazioni dei materiali - per ogni test che mi veniva detto di fare, avrei potuto elencare almeno una mezza dozzina di studi che citavano ricerche simili della ISS, la maggior parte dei quali avevano ottenuto risultati abbastanza definitivi. Se aveste detto che mi era stato ordinato di fare le stesse cose che avevano fatto là, ma due anni più tardi, avrei avuto dei problemi a controbattere.
Ma c’era dell’altro. Un tipo diverso di preoccupazione che stava crescendo dentro di me. Era come un aumento graduale della pressione dell’aria: non ti accorgi che sta succedendo fino a quando le tue orecchie non fanno pop. Non mi accorsi di quanto fosse diventata intensa la sensazione fino a che, tutto d’un colpo, capii che cos’era - che cosa stavo provando.
Era la sensazione di una presenza, che ci fosse qualcosa là fuori. Qualcosa che non era la Terra. E si stava avvicinando.
Quando era iniziata, avevo provato a parlarne con Manuela, ma lei sembrò pensare che stessi parlando degli alieni e cambiò velocemente l’argomento. Credo che, in un certo senso, fosse vero, ma non come s’immaginava lei. ‘Aliena’ sarebbe stato il modo migliore per descrivere quella presenza, ma non perché eravamo sul confine dello spazio aperto. Perché quello che mi faceva provare andava oltre ciò che potevo descrivere a parole.
E continuò ad avvicinarsi. Quando questa cosa, questo essere, finalmente emise il suo richiamo, non solo lo udii. Lo sentii vibrarmi attraverso con un’intensità così tremante che ero sicuro che le ossa mi si sarebbero polverizzate sotto la pelle.
La stazione intera tremò violentemente, tintinnando e beccheggiando. Il mio primo istinto fu controllare che la Terra fosse ancora sotto di noi, e che non fosse la vittima di un qualche terribile disastro cosmico. Ma quando raggiunsi la finestra, era ancora sospesa lì, serena sotto di noi.
Mentre guardavo, vidi gocce di rosso galleggiare nell’aria di fronte a me. Allungai una mano verso le orecchie, e venne via bagnata. Non provate a dirmi che il suono non può viaggiare nel vuoto, lo so. Mi spinsi verso i miei alloggi e il kit medico, ma appena iniziai a muovermi attraverso la stazione, mi fermai. Non mi aggrappai o urtai nulla, non feci niente per rallentare la mia spinta, mi fermai e basta. Galleggiando lì immobile, sentendomi come se l’intera esistenza fosse bloccata sul posto.
Poi, lentamente, con cautela, feci per afferrare una delle maniglie, per tirarmi fuori da questo limbo a gravità zero. Ma non riuscii a raggiungerla. La stazione era piccola, così piccola che potevo solo allungarmi completamente nella sezione usata per gli esercizi, ma ora, in qualche modo, in questo piccolo corridoio, non riuscivo ad afferrare le pareti. Mi dimenavo e provavo ad afferrare e urlavo, ma in qualche modo, tutto era semplicemente troppo distante.
E seppi tutto d’un colpo che sarei rimasto sospeso lì immobile fino a che non sarei morto, e vidi l’illusione priva di senso della stazione - del pianeta sottostante - e tutto quello nascosto a me dall’incurante vastità dell’universo, nel quale mi trovavo adesso eternamente intrappolato. La stazione era la vuota scusa di un guscio che non faceva nulla per separarmi dal vuoto.
E quell’urlo venne di nuovo, così forte e lungo e profondo che non poteva che essere il suono di una cosa vivente, così vasta e così antica che pensarci mi faceva piangere. E urlai a mia volta.
Le mie mani toccarono il corrimano nell’esatto momento in cui Manuela venne a controllarmi. Mi muovevo di nuovo. Mi chiese se stessi bene, anche se chiaramente non le importava della risposta. Disse che aveva sentito la stazione tremare, ma quando glielo chiesi, affermò di non aver udito nulla. I suoi occhi erano rossi, e notai per la prima volta che aveva la punta delle dita bruciacchiate. Non so perché glielo chiesi, davvero. Seppi allora che lei non lo aveva udito, che lei non lo avrebbe mai udito. E mi sentii completamente solo. Mi ricordo che quasi invidiai Chilcott, perché per lo meno lui sapeva che cosa aveva accettato.
Il mese seguente passò più normalmente, credo - anche se dopo un certo punto, al confine di tutto quello che hai sempre saputo, la parola ‘normale’ perde il suo significato. Manuela diventò sempre più e più ritirata, più concentrata sulle sue ricerche, qualunque cosa fossero, mentre io più o meno smisi completamente di fare la mie. Non ricevetti altre istruzioni. Mi ritrovavo a fissare fuori nello spazio per qualche minuto, e poi quando controllavo l’orologio erano passate delle ore. Non mi ricordo se dormivo.
Onestamente non mi ricordo se uscire per lavorare sui pannelli solari fosse una riparazione, o se finalmente mi fosse stato dato un nuovo incarico che richiedeva di andare fuori. Mi ricordo di aver sigillato la voluminosa tuta EVA e di essere entrato nel portellone, di essermi spinto fuori, nel nulla.
Il cavo si snodava dietro di me, liberandosi metro dopo metro dopo metro… ma non stavo andando verso i pannelli solari. Perché? Dove stavo andando? Fluttuai via lentamente nel vuoto spazio senza fine, e il cavo continuava.
La stazione si allontanava sempre e sempre di più. Potevo sentirmi cadere su, cadere fuori, cadere giù da tutto quello che poteva essere chiamato mondo. La stazione era sparita, come lo era il mio pianeta natale - tutto quello che mi dava la mia esistenza. Rimpicciolì mentre guardavo, fino a che non divenne un puntino piccolissimo.
Non sarei potuto essere così lontano. È impossibile. Ma lo ero. Ero così lontano da tutta l’esistenza, circondato dal vuoto di tutto. Potevo sentire la mia anima che provava a espandersi, per riempire l’assenza infinita. E faceva male.
Non so per quanto tempo fluttuai. So che fu meno di un miliardo di anni, che è a malapena un battito del cuore nella vita dell’universo, quindi come si può dire che sia stato rilevante?
Le stelle iniziarono a spegnersi, una per una, e pensai - forse per un secondo, forse per un centinaio di anni - che avevo raggiunto la fine del tempo, e che stavo guardando il graduale scomparire dell’universo. E poi mi resi conto dell’ovvio: non potevo vedere le stelle perché qualcos’altro le stava bloccando.
Si muoveva e scorreva di fronte alla mia visione. Ogni movimento sembrava soffocare più luce. Non c’era alcuna sagoma da vedere, nessun contorno che potesse essere disegnato di questa cosa, così oscura ed enorme che potevo sentire il mio stomaco che provava a vomitare, la mia mente che provava a espandersi, ad assimilare la dimensione di quello che si muoveva tra le stelle, riempiendo tutto il mio campo visivo e oltre.
Sapevo che se avesse deciso di urlare, mi avrebbe distrutto completamente. E so che non c’era la possibilità che si sarebbe mai potuto accorgere che esistevo.
Non credo in Dio. Non posso credere che un essere con un potere e una conoscenza così sconfinati noterebbe comunque l’umanità, che capirebbe o che si curerebbe della sua esistenza.
Ma continuo a ripensare a un mio vecchio professore, dei tempi in cui ho brevemente studiato neuroscienze. Parlava della coscienza, di come onestamente non sappiamo ancora che cosa sia, da dove venga, quali aspetti del cervello la rendano possibile. E mi chiedo se non possa esserci una forma di coscienza là fuori così lontana dalla nostra comprensione che non potremmo riconoscerla davvero come tale. Menti così strane e colossali che non sapremmo nemmeno mai se siano menti. Forse, là fuori nella vastità senza fine, neanche loro si accorgeranno o ci riconosceranno.
E desidero potermi convincere che l’ignoranza sia la stessa cosa che essere al sicuro. Ma poi, nell’arco della tua vita quante erbacce hai calpestato senza rendertene conto?
MELANIE
Fine della dichiarazione.
Oh! Questo... um, beh, questo sembrerebbe... questo sembrerebbe essere… è tutto? Hmm.
Beh, Jan Kilbride è sicuramente tornato sulla Terra con i suoi colleghi, e sicuramente sembra aver rilasciato la sua dichiarazione di persona, quindi… Voglio dire, è tornato in qualche modo. Supponendo che sia mai andato via. Sarebbe potuta essere un’allucinazione di qualche tipo. L’isolamento e lo stress possono farti strane cose, certo. [Heh] Per non parlare dell’evidente insonnia.
E se fosse vero - se quello che Jan Kilbride ha visto fosse vero, voglio dire… a essere onesta, sembra essere un po’ fuori dal mio stipendio. [Heh] Qualsiasi sia il mio stipendio. E ho già abbastanza insonnia di mio.
Ho fatto delle ricerche sulla Daedalus - voglio dire, devi pur fare qualcosa, no? Il signor Kilbride sembra aver ragione, per quel che riguarda il suo lavoro. Ci sono state esattamente zero ricerche revisionate inter pares che abbiano in qualche modo fatto riferimento o citato gli studi o gli esperimenti condotti sulla Daedalus - dal punto di vista della comunità scientifica, il progetto avrebbe potuto anche non essere mai esistito.
Inoltre, um, non riesco a rintracciare Jan Kilbride. È sicuramente tornato. Ho trovato più di una fotografia del rientro del trio sulla Terra: Carter Chilcott che viene assistito dal personale medico, e gli altri due che sembrano stanchi… ma vivi. Ci sono anche un paio di brevi articoli di giornale che parlano del loro rientro andato bene.
Ma sembrerebbe che se Kilbride è venuto all’Istituto qualche settimana dopo l’atterraggio, abbia rilasciato la sua dichiarazione, e poi: nulla. Non riesco a trovare nessuna traccia di lui, e neanche Basira o Martin. Non sulla Terra, per lo meno. Davvero non voglio dire che è sparito nel vuoto, ma… è sparito da qualche parte.
Oltre a quello, ci sono solo poche cose degne -
BASIRA
Pronta per quel drink?
MELANIE
Beh -oh, sì, sì, dammi solo un secondo. Sto finendo una dichiarazione.
BASIRA
Oh, scusa. Pensavo che, sai, visto che la porta era aperta…
MELANIE
Oh, no, no, avevo solo bisogno di un po’ d’aria.
BASIRA
Già, non, non è bello qua sotto.
MELANIE
L’estate nel seminterrato, direi.
BASIRA
Già. Sai, parlando di non bello - Martin ha detto se sarebbe venuto oggi?
MELANIE
Wow. Ahi.
BASIRA
Oh, che, tu giudichi me? Letteralmente non conosco nessuno qua che tu non abbia fatto piangere.
MELANIE
Conosci solo Tim e Martin!
BASIRA
Ed Elias.
MELANIE
Avrei fatto piangere Elias...?
BASIRA
Non lo so. Probabilmente. Puoi essere molto cattiva.
MELANIE
[Hah!] Già, beh… la giuria non si è ancora espressa su Elias. E comunque, Martin è sempre stato adorabile con te.
BASIRA
Hmm. Non saprei, voglio dire, avresti dovuto vederlo quando sono arrivata l’anno scorso. Credo che abbia pensato che stessi provando a rubargli il suo prezioso Archivista.
MELANIE
Ahhh. Mi ha fatto la stessa cosa quando John si stava nascondendo, ed è venuto da me con la sua storia della “talpa”. Martin non era felice.
BASIRA
[Ugh] Quel ragazzo deve rilassarsi.
MELANIE
O per lo meno trovare qualcun altro per cui struggersi!
BASIRA
Già, è proprio cotto.
[Pausa]
BASIRA
Sai se lui e John hanno mai…
MELANIE
Non ne ho idea, e non m’interessa! Anche se… stando a Georgie, John non lo fa.
BASIRA
Tipo, mai?
MELANIE
Già.
BASIRA
Già, questo spiega delle cose - un secondo, aspetta, conosco, conosco Georgie?
MELANIE
Non credo. Georgie Barker? Fa What the Ghost.
BASIRA
Impossibile. Adoravo quello show. Voglio dire, le prime due stagioni, per lo meno. Ha preso una strana direzione nella terza stagione, quando hanno introdotto -
MELANIE
Beh, lei e John, loro, sono usciti insieme…
BASIRA
Già.
MELANIE
Voglio dire, è stato anni fa…
BASIRA
Huh. Ascoltavo sempre i podcast, quando guidavo in giro, sai, quando non ero di servizio. Voglio dire, quando a Daisy non serviva la radio.
MELANIE
[Ridendo] Letteralmente non riesco a immaginarmi Daisy che ascolta la radio!
BASIRA
The Archers.
MELANIE
No. [Ride]
BASIRA
Hands of God.
MELANIE
Davvero non ti credo!
BASIRA
Non si perdeva mai un episodio.
[Forte sospiro]
BASIRA
Oh, scusa, dovevi finire?
MELANIE
No... io, onestamente, non ho idea di quello che stavo per dire. Avevo altri appunti su, um, lo spazio, credo, ma, uh… lascia perdere. Andiamo.
BASIRA
Va bene, beh, dovrei probabilmente andare da Martin, sai. Vedere se gli va di venire.
MELANIE
Per avere conferme sui tuoi pettegolezzi.
BASIRA
Io non spettegolo! Io ho la mente di un investigatore.
MELANIE
Va bene, okay. Comunque, vado io a trovarlo. Mi servirebbe davvero la camminata. Vuoi andare avanti, e prendere il tavolo?
BASIRA
Sì, certo. Posso aspettare. Ho un libro.
MELANIE
Ovvio che ce l’hai.
[CLICK]
[CLICK]
[Bussare su una porta]
ELIAS
Avanti, Melanie.
MELANIE
Martin ha detto che volevi vedermi?
[Porta che si chiude]
ELIAS
Sì, per favore vieni dentro. Penso che sia giunto il momento per la tua prima valutazione della performance.
[Melanie ride]
MELANIE
Io, um, io non sapevo neppure che ci… beh, non c’era programmato nulla.
ELIAS
No. Beh, viste le recenti, um, tensioni in ufficio -
MELANIE
[Heh]
ELIAS
- pensavo che probabilmente fosse meglio che tu non ne fossi a conoscenza in anticipo.
MELANIE
Bene.
ELIAS
Meno tempo per prepararti, capisci.
MELANIE
Giusto.
ELIAS
Allora. Accomodati.
Sei stata con noi per qualche mese ormai, credo.
MELANIE
Sì.
ELIAS
E come ti trovi?
MELANIE
È uno scherzo?
ELIAS
A parte che per l’ovvio, voglio dire.
MELANIE
Oh, beh. Io, io suppongo che… che è stato… poco strutturato… Senza John in giro, e con te che te ne sei rimasto nascosto qui, non c’è stata una direzione molto utile.
ELIAS
Capisco.
MELANIE
Voglio dire, tu scegli una dichiarazione qualche volta, e John potrebbe telefonare e chiedere qualche informazione. Ma a essere onesta, nessuno mi ha mai detto davvero che cosa un “assistente d’archivio” dovrebbe fare.
ELIAS
Quindi come hai impiegato il tuo tempo?
MELANIE
[Sospira infastidita] Leggendo, principalmente. Facendo le mie ricerche personali.
ELIAS
Su cosa?
MELANIE
I miei progetti personali.
ELIAS
Ma certo. E pianificando la mia morte.
MELANIE
Quando ne ho la possibilità, sì.
ELIAS
Hm.
MELANIE
Suppongo che questo non faccia bella figura sulla mia valutazione.
ELIAS
Abbastanza onestamente, no.
MELANIE
Beh, se devi licenziarmi, non farò una scenata.
ELIAS
No. No, temo di no.
MELANIE
Va bene. [Sospira]
ELIAS
Vorrei sapere cosa dire perché tu mi creda.
MELANIE
Cosa? Che tu sei letteralmente un dispositivo dell’uomo morto? [borbottando] Per l’amor del Cielo…
[Melanie ride e interrompe impazientemente mentre Elias le fa un monologo]
ELIAS
Sai, se quello fosse l’unico problema, avrei potuto semplicemente piazzare la conoscenza nella tua mente.
MELANIE
Cosa!?
ELIAS
Hai già dei dubbi, però. Hai parlato con Tim, e ti sei convinta che -
[Melanie ride]
ELIAS
- anche se stessi dicendo la verità, sono troppo pericoloso per restare vivo.
MELANIE
Beh.
ELIAS
Qualsiasi cosa io stia pianificando deve essere fermata -
[Melanie ride]
ELIAS
- anche a costo di qualche vita. Inclusa la tua.
MELANIE
Beh, quello non è neanche -
ELIAS
Una razionalizzazione, certo. Una bugia sul tuo stesso egoismo: che preferiresti essere morta piuttosto che intrappolata senza l’autodeterminazione a cui tieni così tanto. Vorrei sapere quali parole ti convincerebbero che è per il meglio.
[Pausa]
MELANIE
Abbiamo finito?
[Elias riprende il monologo, Melanie riprende a interrompere con rumori esasperati]
ELIAS
È troppo profondo. Posso vedere quasi qualsiasi cosa voglia -
MELANIE
[Borbottando] Cristo.
ELIAS
- recuperare la conoscenza dalla mente di qualcuno, o piazzarcela. Ma non posso cambiare direttamente la natura di una persona. E sto avendo problemi a capire che cosa potrebbe farti perdere questa rabbia mal riposta.
MELANIE
Allora lasciami andare! Oppure, uccidimi!
ELIAS
Sai, questa è la seconda volta che ho sentito un ultimatum del genere in altrettante settimane. Ma no. Ci sono sempre altre opzioni. E non sono al di sopra delle minacce.
MELANIE
Minacciami, allora. Non ho nulla.
ELIAS
Questo è… quasi vero. La tua vita è davvero sorprendentemente priva di legami importanti. Onestamente questo è uno dei motivi per cui ti ho scelta per questo lavoro.
Tuo padre era il tuo ultimo vero appiglio, no?
MELANIE
Non sono affari tuoi.
ELIAS
Forse. Cinque anni sono abbastanza tempo per elaborare un lutto. È una vera tragedia no. La demenza senile? Specie così presto. Ma si è sempre ricordato di te, no? “Piccola falena.”
MELANIE
Chiudi il becco.
ELIAS
Per lo meno lo hai portato in una casa di cura decente. Difficile permettersela con delle entrate poco costanti come le tue, ma l’assicurazione sulla vita di tua madre ha aiutato molto.
[Melanie respira forte, probabilmente trattenendo le lacrime]
E Ivy Meadows non era costosa quanto alcune delle altre. L’incendio è stato un vero peccato. Ma penso che sia stato confortante in qualche modo.
MELANIE
Di che cosa stai parlando?
ELIAS
Oh. Ma certo. Ti avevano detto che era morto nel sonno, no? Intossicazione da fumo. Una vera tragedia, ma almeno non ha sofferto.
MELANIE
Io -
ELIAS
Vuoi sapere che cosa l’ha ucciso veramente?
[Melanie sussulta e singhiozza]
[Elias continua con il suo monologo, parlando sopra Melanie mentre lei piange]
ELIAS
Terribile, no? Ha sofferto davvero. Non è stata colpa tua. Solo sfortuna. Questo non ti consola, non è vero?
MELANIE
[Piangendo] Fallo andare via, fallo, fallo andare via...
ELIAS
Temo che non sia proprio qualcosa che posso fare. Posso prometterti di non renderlo peggiore però.
MELANIE
Cosa... no...
ELIAS
Sai come tuo padre è morto veramente. E sono sicuro che questo sia incredibilmente doloroso per te. Ma fai attenzione: se lo volessi, potrei fartelo vedere.
MELANIE
No... no, no...
ELIAS
Se provi di nuovo a interfere con me in alcun modo, pianterò quell’immagine così a fondo nella tua psiche che anche se tu rimanessi sana - anche se tu sopravvivessi - sarà lì ogni volta che chiuderai gli occhi.
[Elias finisce il suo monologo e fa una pausa; Melanie continua a piangere]
ELIAS
[Con un tono normale] Va bene. Prenditi del tempo. Sai che ti dico, perché non ti prendi il resto della giornata? Sono sicuro che hai molto da processare.
Comunque, a parte questo, direi che la tua performance è stata soddisfacente.
[CLICK]
[Traduzione di: Victoria]
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The one with a million things to tell you
È notte fonda quando Ermal sente il cellulare vibrare sul comodino.
Chiara, accanto a lui, sta dormendo. Ermal, invece, non riesce a chiudere occhio.
La serata è stata elettrizzante, di certo non si aspettava di essere primo in classifica. Quindi, anche se ormai i festeggiamenti si sono conclusi da un po' e lui è tornato in camera da più di un'ora, non riesce a dormire. È colpa di tutte quelle emozioni, lo sa.
Essere di nuovo sul palco dell'Ariston, anche se senza pubblico, è un'emozione enorme. E poi la canzone...
Lo sa che la maggior parte delle emozioni di quella sera sono dovute a quella canzone.
Allunga la mano verso il comodino e sblocca lo schermo, strizzando leggermente gli occhi per la luce improvvisa.
Il messaggio che ha ricevuto è di Fabrizio, ma questo Ermal già lo sapeva. A nessun altro dei suoi amici o conoscenti verrebbe in mente di mandargli un messaggio alle 4 del mattino.
Apre la conversazione di WhatsApp e legge le poche righe sullo schermo, in cui Fabrizio si congratula per il primo posto nella classifica provvisoria. Dice di essere orgoglioso di lui ed Ermal non può fare a meno di sorridere.
Si volta leggermente e osserva Chiara. Sta dormendo profondamente, quindi cercando di non svegliarla si alza, si infila una felpa sopra alla maglia del pigiama, ed esce sul piccolo balcone della sua camera.
Socchiude la porta alle sue spalle, cercando di non svegliare la sua ragazza, e afferra sigarette e accendino dalla tasca della felpa.
Ne accende una aspirando con calma, riempiendosi i polmoni di nicotina. Sta fumando di meno rispetto al solito, ma deve ammettere che gli piace concedersi una sigaretta ogni tanto.
Quando ormai l'ha fumata quasi fino al filtro, prende il cellulare e cerca il numero di Fabrizio in rubrica. Poi fa partire la chiamata, consapevole di trovarlo sveglio.
"Non dirmi che ti ho svegliato" dice Fabrizio preoccupato, rispondendo dopo il secondo squillo e senza nemmeno preoccuparsi di salutare il collega.
Ermal sorride gettando il mozzicone nel posacenere. "No, figurati. Non penso dormirò questa notte."
"Male. Poi vedi che occhiaie ti ritrovi domani!"
"E quando mai sono senza occhiaie?"
Fabrizio dall'altra parte del telefono ride, ed Ermal chiude gli occhi beandosi di quella risata che gli manca così tanto sentire dal vivo.
"Davvero, Ermal, perché non dormi?" chiede Fabrizio serio, qualche attimo dopo.
"Non lo so, Bizio. Credo di essere un po' troppo su di giri per come è andata. Non mi aspettavo tutto questo successo."
"Io invece me lo aspettavo."
"Davvero?" chiede Ermal sorpreso.
"Certo. Non avevo dubbi che la tua canzone sarebbe stata un capolavoro."
Ed Ermal, non sa nemmeno spiegarsi perché, crede più alle parole di Fabrizio che a chiunque altro prima di quel momento gli abbia detto che la sua canzone era effettivamente bella.
È come se le cose dette da Fabrizio fosse più vere.
"Ricordi quella sera a Lisbona? Prima della finale, quando stavamo sul divano del camerino ed eravamo agitati per come sarebbe andata?" dice Ermal a un certo punto.
"Tu eri agitato, parla per te" scherza Fabrizio.
"Non solo io. Ricordi cosa mi hai detto?"
"Ho detto un sacco di cose quella sera."
"Hai detto che avevi paura di fare la fine della cantate di Israele e cadere dalle scale mentre scendevamo dal palco."
Fabrizio sembra ricordarsi improvvisamente di quel momento e si mette a ridere, mentre dice: "E tu mi hai detto che allora avresti fatto finta di cadere anche tu per solidarietà."
"E se non riesci ad alzarti starò con te per terra" mormora Ermal.
Fabrizio rimane in silenzio.
Ha ascoltato solo una volta la canzone del suo compare, eppure sa benissimo che Ermal ha appena citato il suo stesso testo.
Ermal, non sentendolo replicare, capisce immediatamente cosa sta pensando Fabrizio, a che conclusione sta arrivando. E sa che è la conclusione giusta.
Ma lui sta con Chiara, lui è innamorato di Chiara, e tutto ciò che poteva esserci e che c'è stato con Fabrizio non è che un ricordo racchiuso in una canzone. E sarebbe troppo doloroso ammetterlo ad alta voce.
Quindi si limita a dire: "Quella sera, quando eravamo seduti uno accanto all'altro, avrei voluto dirti un sacco di cose."
"Ma non hai detto niente" conclude Fabrizio, citando anche lui in parte la canzone del collega.
"Mi sembrava che le parole fossero superflue tra noi."
"Infatti" concorda il romano.
Non avevano mai avuto bisogno di parole. Riuscivano a leggersi a vicenda senza alcun problema ed entrambi sapevano che c'era stato un periodo in cui le cose tra loro erano cambiate. C'era stato un periodo in cui definirsi amici sarebbe stato troppo poco.
Lo avevano capito entrambi, senza bisogno di parole. Ma nessuno dei due aveva mai fatto un passo verso l'altro.
Forse, a pensarci bene, se avessero impiegato meno tempo a guardarsi e un po' di più a parlare, se avessero usato quelle parole di cui credevano di non aver bisogno, le cose sarebbero andate diversamente. Forse avrebbero avuto il coraggio di dire ciò che provavano invece di aspettare inutilmente che fosse l'altro a esporsi.
"Ti penti di come sono andate le cose?" chiede Ermal a bassa voce, timoroso di sapere la risposta.
"A volte. Tu?"
"A volte."
"Pensa un po', avremmo potuto essere i nuovi Albano e Romina. Pensa che figurone a Sanremo" ironizza Fabrizio.
Ermal non riesce a evitare di scoppiare a ridere, coinvolgendo anche Fabrizio.
Ridono per un po', fin troppo divertiti da quella che non era poi chissà che battuta. Per un attimo ad entrambi sembra di essere tornati indietro di tre anni, ai tempi del festival che hanno fatto insieme, ai tempi dell'Eurovision.
Poi però le risate si spengono ed entrambi tornano con i piedi per terra. Non sono più le stesse persone di tre anni prima, anche se vorrebbero.
"La canzone però l'hai dedicata a una donna" dice Fabrizio dopo qualche attimo, ed Ermal non capisce se sia una semplice constatazione o se sia risentito dalla cosa.
"Sarebbe stato un po' troppo palese farla al maschile, no?" replica con ovvietà.
"Sui social mettono gli asterischi quando non vogliono specificare il genere" dice Fabrizio, ricordandosi qualche post letto negli ultimi mesi.
"E come la canto una canzone con gli asterischi, Bizio?"
Scoppiano a ridere di nuovo, questa volta un po' più forte, e a quel punto Ermal la sente davvero la mancanza di Fabrizio.
È come avere fame, come sentire lo stomaco che si stringe e il nodo alla gola. E improvvisamente le lacrime che si sono formate agli angoli degli occhi a forza di ridere, gli scendono lungo le guance e si accorge che non sono più lacrime dovute alle risate.
Sono lacrime di tristezza. Perché Fabrizio gli manca più di quanto è disposto ad ammettere, e sa che la cosa è reciproca.
Ma sa anche che il loro treno ormai è passato. Sono cambiate tante cose, troppe.
E ci sono certe occasioni che capitano una sola volta nella vita. Se si perde quel treno è finita, non passa più.
Per loro è stato così e alla fine i loro sentimenti - o almeno quelli di Ermal - sono finiti dentro a una canzone.
"Grazie, Ermal" dice Fabrizio dopo aver smesso di ridere.
"Per cosa?"
"Per avermi pensato."
Ad un ascoltatore poco attento potrebbe suonare come un semplice ringraziamento per averlo pensato in quel momento, per averlo pensato al punto da chiamarlo.
In realtà, è molto di più.
È per averlo pensato mentre scriveva la canzone, per averlo pensato mentre decideva di portare quel brano al festival, per averlo pensato mentre cantava. È dietro a tutto quello c'è un grazie per averlo amato, anche se in silenzio.
"Grazie a te per avermi ispirato" risponde Ermal. E tra le righe anche Ermal ringrazia Fabrizio per averlo amato, forse come nessuno aveva mai fatto e come nessuno sarà mai in grado di fare.
Fabrizio chiude la chiamata senza salutare, senza dire altro. E va bene così.
In fondo, tra loro ci sono sempre state milioni di cose da dire, ma nessuno dei due ha mai detto niente.
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Campioni d'Europa🇮🇹
Premessa: so che nessuno leggerà queste parole ma non è per questo che le scrivo. Voglio fissare da qualche parte queste emozioni per tornare a rileggerle ogni volta che vorrò.
È il 12 luglio 2021 e sono le 15:56
Ho appena terminato di rivedere le battute finali della partita di ieri sera. La FINALE DEGLI EUROPEI DI CALCIO.
A mente fredda (ma manco tanto) voglio spendere due parole su questa vittoria: innanzitutto bisogna ringraziare sinceramente il Mancio, Luca Vialli, DDR e tutto lo staff perché senza di loro, senza quell'ambiente, quell'armonia, quell'amore fraterno, famigliare, non ci sarebbe stata una base solida su cui costruire un GRUPPO anzi una vera e propria FAMIGLIA e questo ha influito parecchio in questo cammino. Non bisogna mai sottovalutare l'importanza di una coesione forte e del senso di appartenenza alla maglia, alla squadra, al gruppo, perché è ciò che può (e fa!!) la differenza.
Altro ringraziamento, ovviamente doveroso, va ai ragazzi. Ragazzi che davvero ci tengono, ragazzi pronti al sacrificio, ragazzi seri, ragazzi con entusiasmo, voglia, grinta, speranza, ragazzi che non si arrendono, duri da battere, duri a morire, che hanno dato tutto e anche più per la maglia in questo mese.
Quando abbiamo vinto con la Spagna dopo una partita soffertissima fino ai rigori, mi ero quasi messa l'anima in pace, sono sincera. Ho pensato "bene, ora in finale facciano quello che vogliono, non potrei essere più orgogliosa di loro dopo questo cammino". Ma dannazione. DANNAZIONE. Sono riusciti non a rendermi orgogliosa, a farmi proprio VOLARE. VO-LA-RE.
Voglio essere chiara: era da un pezzo ormai che non provavo così tanta felicità, era da un pezzo che non piangevo di gioia così tanto, era da un pezzo che volevo essere felice e loro mi hanno fatto un regalo enorme, non lo sanno. Mi sono sentita più viva in questo mese che in 20 anni.
Questa vittoria è importantissima. In realtà anche arrivare ai quarti già la consideravo una vittoria, ma essere riusciti a portarla a casa è ancora più bello. È bello per tante ragioni, ma soprattutto per il momento di estrema difficoltà che abbiamo passato lo scorso anno e che ancora stiamo affrontando a causa della pandemia. Questo Europeo, questa vittoria, ha riportato positività, spensieratezza, voglia di tornare come prima e di rialzarsi. È il tornare in piazza a fare casino, ad abbracciarsi a volersi bene e stringersi e gioire insieme dopo più di un anno di sacrificio. E poi è importante, fondamentale, per il movimento calcistico italiano. La mancata qualificazione ai Mondiali russi del 2018 ci aveva letteralmente ammazzati. Feriti nell'orgoglio, spazzati via, delusi, amareggiati, la peggiore sconfitta degli ultimi non so quanti anni.
Mancini (e ora facciamo i nomi) è stato in grado di risollevare il movimento. Gli ha dato una nuova vita, nuova linfa, nuova energia. È stato il miglior "muratore" che potessimo incontrare. Ha rimesso a posto le macerie di quell'Italia-Svezia del 13/11/2017. Da lì è partita la ricostruzione. Con dedizione, con passione, con determinazione e circondato da persone che per lui sono come una famiglia, ha cominciato una graduale ed efficace operazione di rinascita. Pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone, con materiali nuovi e materiali che ce l'avevano sempre fatta e potevano farlo ancora.
Quel tragico 13 novembre 2017 è stato vendicato.
Grazie all'instancabile e straordinario lavoro del Mancio.
E per la serie di "ora facciamo i nomi", mi scuso in anticipo per il fatto che, quando si parla della Nazionale, non si dovrebbero fare preferenze o altro. Non farò preferenze. Ma voglio dire grazie ad alcuni ragazzi che mi hanno veramente fatta sognare.
-Leonardo Spinazzola: esce contro il Belgio ai quarti di finale. Siamo tutti in lacrime quando lo vediamo uscire dal campo in barella devastato e consapevole che per lui il torneo finiva lì e che sarebbe stato un lungo recupero. Leonardo, anzi, "Spina", è stato incredibile. Ammiro tanti calciatori ma pochi mi entrano così nel cuore. Quella fascia apparteneva a lui, che per 90 ma anche 120 minuti non faceva altro che andare avanti e indietro in continuazione, recuperando palloni, creando azioni, senza mai mollare e soprattutto senza fermarsi un attimo e sempre con la stessa intensità. Instancabile, pronto, pericoloso, necessario. Si è sentita la sua mancanza nelle due partite successive, lo sappiamo tutti e lo sa anche lui. Ha dato un contributo davvero troppo importante e se siamo riusciti ad arrivare in fondo, molto del merito in campo è suo. No cap🚫🧢.
-Federico Chiesa: che dire, le mie esperienze al Fantacalcio parlano da sè. Amo questo giocatore fin dal primo momento in cui l'ho visto entrare in campo. E no, non agli Europei. Alla Fiorentina. Mi è piaciuto subito, la grinta e la volontà (oltre che la qualità!!) che lo contraddistinguono, me l'hanno fatto apprezzare fin dai primi passi. Federico ha disputato un Europeo superlativo ed è entrato nel cuore di tutti (soprattutto delle ragazze.. i motivi sono chiari!). Un ragazzo d'oro, figlio d'arte con grandi qualità e tanta tanta voglia. È uscito anche lui ieri sera infortunato (niente a che vedere con Spina però fortunatamente) ed è dispiaciuto a tutti. Giocatore che può e ha fatto la differenza, un vero e proprio asso nella manica. Grazie Fede! Non ho fede nella Chiesa ma ho fede in Fede Chiesa.
-Gigio Donnarumma: non dico che l'ho visto esordire ma l'ho visto esordire. Ricordo quando Miha l'ha buttato nella mischia a soli 16 anni. Mai gesto fu più azzeccato. Gigio è giovanissimo ma con un talento veramente incredibile, un fuoriclasse nel suo ruolo. Ieri sera para due rigori e ne indirizza uno sul palo col pensiero. Anche lui, così come Chiesa e Barella, li conosco da tempo e mi sento come una madre orgogliosa dei suoi figli. Sebbene io continui a tirargli le orecchie per i battibecchi con il Milan, la sua casa, non posso fare a meno di essere fiera di lui. Me lo ricordo quando era un ragazzino alle prime partite con il Milan. Il tempo sembra volato e lui ieri sera, a soli 22 anni, ha alzato una coppa prestigiosa e bellissima, giocando un Europeo veramente coi fiocchi. Senza di lui ieri sera non avremmo vinto. Para il rigore a Saka e noi siamo Campioni d'Europa per la seconda volta nella storia. Immenso Gigione, sai che in fondo ti voglio bene.
-Jorginho: dal Napoli di Sarri al Chelsea. Vince la Champions League e alza la coppa dell'Europeo nello stesso anno. Un delitto non dargli il pallone d'oro, spero vivamente che la mia profezia (no la profezia l'ho fatta dopo il Belgio, mica ieri sera! Troppo facile) si avveri. Si merita anche quel trofeo dopo una stagione piena di soddisfazioni. In campo recupera palloni su palloni e sbaglia pochissimo, veramente niente. Europeo, anche per lui, da incorniciare, giocatore fondamentale a centrocampo. Il professore ♡.
-Bonucci&Chiellini: sisi, la Juve non la sopporto e nemmeno loro in campionato perché sono troppo difficili da aggirare. Ma che Europeo ragazzi. Un'altra volta. Vorrei che potessero giocare a calcio per sempre perché non passa manco l'aria se ci sono loro a difendere. Il prossimo anno ci sono i Mondiali e non ho intenzione di crearmi aspettative perché se gli Europei sono complicati, i Mondiali sono assurdi. Ma comunque sia, spero vivamente che Chiello abbia voglia di disputare un ultimo Mondiale prima di ritirarsi, abbiamo bisogno di Giorgione nazionale!
Menzioni speciali: O TIR A GIR di Lorenzo il Magnifico che trasferisce per una sera il suo potere incredibile a Fede Chiesa. Noi godiamo. Grazie.
Non so se ho detto tutto, bo, però le cose che avevo nel cuore, più che nella testa, le ho scritte e qui rimangono.
Siamo CAMPIONI D'EUROPA, CAMPIONI D'EUROPA, CAMPIONI D'EUROPA!!!!!!!
GRAZIE RAGAZZI, AMO QUESTO SPORT
🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹
IT'S COMING (TO) ROME 💚🤍❤
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Covid, governare la barca nella tempesta non basta: serve coraggio per un’alternativa Voglio partire dalla coda chilometrica che si è creata quattro giorni fa a Milano per poter avere un pasto caldo, dopo ore di fila, a pochi passi dallo shopping sfrenato che si stava consumando in centro, un segno tangibile della crisi prodotta dalla quarantena per contenere la pandemia. Sono aumentate le difficoltà delle persone e le persone in difficoltà. Per capire la portata di questa crisi occorre leggere il contesto globale, fatto di diverse realtà socioeconomiche. L’impronta che accomuna tutte queste realtà è il consumo, un’economia basata sul consumo, che rende disponibili a tutti e a prezzi accessibili una miriade di oggetti dall’uso più disparato. Il fatto è che stiamo divorando la Terra, nel senso letterale del termine. Inoltre il sistema economico che regola tutto l’apparato è costruito in maniera tale da produrre una disparità economico-sociale enorme, se si pensa che l’1% della popolazione possiede quanto il restante 99% della popolazione. La crisi pandemica non ha fatto altro che acuire questa disparità perché ha arricchito i 2153 Paperoni e contemporaneamente impoverito tutti gli altri. Un giusto sistema dovrebbe ricompensare il lavoro e non la ricchezza, invece tutte le persone sono letteralmente schiavizzate dal mercato del lavoro. I principali azionisti di un qualunque settore, solitamente non più di 5 o 6, percepiscono dividendi così alti che un terzo di questa cifra sarebbe sufficiente a garantire un salario dignitoso a milioni di persone, sufficiente a evitare l’umiliazione di fare ore di fila solo per avere un tozzo di pane e una minestra. Quello che si è distrutto è il lavoro, non la ricchezza, che è rimasta intatta. Passata la pandemia, siamo sicuri che tutto andrà meglio? Ci ributteremo nel lavoro per guadagnare due soldi e comprare oggetti superflui, senza svoltare nella nostra vita, ma soprattutto danneggiando il pianeta e la nostra futura esistenza. L’insegnamento che il Covid dà è che non basta il buonsenso, ma occorrono disposizioni di legge per evitare tanti morti e per avere un comportamento adeguato, di protezione e salvaguardia del prossimo. Il semplice buonsenso sfocia nell’anarchia decisionale, quindi non mi aspetto il buonsenso da questo 1%. Inoltre, se la crisi si dovesse prolungare per un periodo di tempo indefinito, anche questo 1% incontrerebbe difficoltà arrivando a favorire un cambio di paradigma come fu al tempo della peste nera del 1348 che ha determinato un cambio dei modelli culturali, con la differenza che nel ‘300 sono stati i morti per malattia e oggi potrebbero essere i morti economici per mancanza di lavoro a determinare questo cambio. I primi segni di una crisi di solvibilità che potrebbe diventare inarrestabile sono stati denunciati da Mario Draghi che ha affermato che le autorità devono agire prontamente. Voglio dire che ora bisogna studiare per trovare nuovi modelli socioeconomici, rispettosi dell’ambiente e della popolazione, senza aspettare i morti di una crisi senza ritorno. Si sta tamponando la situazione con le associazioni di volontariato che danno un sostegno alle persone bisognose. L’aiuto arriva anche con il reddito di cittadinanza. E meno male che esistono queste possibilità, ma sono strumenti incapaci di raddrizzare la stortura economica che stiamo vivendo trasformandosi in palliativi. È ora che la politica prenda coraggio e cominci a pensare di costruire alternative tracciando una nuova rotta e non semplicemente governando la barca nella tempesta. Gli strumenti per il cambiamento li abbiamo: abbiamo computer, cellulari, la moneta elettronica, mezzi, voglia di lavorare e di migliorare, siamo tutti connessi. Abbiamo contro chi vuole difendere i propri interessi e il proprio potere economico costituito dal denaro accumulato sul lavoro e sulla pelle degli altri. Occorre solo tracciare una via, avere la volontà di cercarla e la capacità di trovarla e farla accettare a tutti, per un mondo migliore. Blog Sostenitore "Il Fatto"
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