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Sleepy lamp, lampada libreria https://www.design-miss.com/sleepy-lamp-lampada-libreria/ I #designer milanesi Marco Maturo e Alessio Roscini, fondatori di Studio Klass, hanno realizzato per Busso Sleepy Lamp, una lampada con una scala che diventa una libreria o una portariviste. Sleepy Lamp si appoggia e […]
#Alessio Roscini#alfemminile.com#arredamento#Busso#lampada#libreria#Marco Maturo#porta riviste#scala#Studio Klass
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Vittorio è un ragazzo Napoletano che confessa in una lettera la propria omosessualità al papà. La risposta è spettacolare! Leggete! ❤️
"Caro papà perdonami, sono gay.
Non so bene quando è cominciato, forse alle elementari. Forse alle superiori, quando solo guardando gli occhi di un compagno di classe mi batteva il cuore.
Mi dispiace perché la storia con Gianna non andava bene, le volevo bene, questo è certo, siamo stati insieme 3 anni, ma c'era sempre qualcosa che tra di noi non andava.
Mi dispiace perché spesso commentavi le Veline di Striscia la Notizia e io non ti andavo dietro con le battute, MA NON LO SAPEVO ANCORA.
Per fortuna siamo Napoletani, e ho vissuto questo periodo di accettazione con una popolazione speciale. Per fortuna siamo Napoletani, e abbiamo nel DNA l'amore per il prossimo, quello che ho trovato nelle persone che come me cercavano di capire.
Sono ormai 5 anni che vivo da solo, perché mi sentivo DIVERSO.
A soli 19 anni ho voluto scappare da quel nucleo familiare PERFETTO, e forse è stato quello a spingermi ad andare via... forse ero io a RENDERLO IMPERFETTO, non volevo rovinare il tuo immenso lavoro di padre e capofamiglia.
Ora mi ritrovo in una casa da SOLO a 24 anni, CON LA CONSAPEVOLEZZA di essere gay .
Per fortuna siamo Napoletani, dove non mi sono mai sentito solo e mai sentito DISPREZZATO da nessuno. Non so come sarebbe andata a finire in una altra citta'.
CARO papà mi manchi tanto, POSSO TORNARE A CASA ? questa volta da Gay...
Vittorio"
"Caro Vittorio.
Mi dispiace ma allora si STUNZ... ( in modo affettivo )
Io e tua mamma avevamo già intuito i tuoi gusti sessuali da bambino, quando non ti interessava giocare con i compagni ai famosi soldatini, ma collezionavi migliaia di riviste per adolescenti.
Perdonami, forse avrei dovuto dirtelo prima, in modo che evitavi questo inutile IMBARAZZO, ma ho sempre ritenuto che siano stati "CAZZI tuoi" (scusa la battuta, pero' è simpatica ja' , ejaa').
Visto che siamo Napoletani, e per fortuna che siamo Napoletani, la nostra storia ci ha sempre insegnato che solo aprendo la mente e non creando muri c'è la possibilità di SALVARSI, di SOPRAVVIVERE.
Mi sei sempre mancato dal primo giorno, sei mio figlio e CASTANO, BIONDO O GAY per me non fa differenza.
È solo un gusto, a me ad esempio piacciono le cozze, a te forse piaceranno i CANNOLICCHI (scusa ja' è n'altra battuta, uammamia non si puo' pazziare qua, e che è?)
Grazie a DIO siamo Napoletani.
Da genitore devo farti un rimprovero.
Non azzardarti mai, e poi mai di ritenermi cosi stupido...
La tua stanza è pronta, vieni quando vuoi, non vedo l'ora... Ricordati i genitori la porta di casa non la chiudono mai, la lasciano sempre un pochino aperta per fare in modo che il figlio possa “INFIZZARSI” da un momento all'altro.
TI AMO
Papa'"
P.S
Nella mia famiglia non esiste, e non dovrà esistere mai nessun tipo di RAZZISMO mai tranne per gli JUVENTINI... a casa mia JUVENTINI non ne voglio... CHIARO?
Puoi anche fidanzarti con un CAMMELLO e portarmelo a casa, basta che non sia Juventino.
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Storia Di Musica # 313 - AA.VV. - She Rocks Volume 1, 2017
Un giovane chitarrista di origini italiane (i nonni arrivarono negli Stati Uniti dalla Lomellina) nel 1978, quando ha appena 18 anni, manda una cassetta e una trascrizione del leggendario pezzo The Black Page al suo creatore, Frank Zappa. Il brano si chiama così perchè lo spartito è così pieno di segni musicali (punti, segni, note) ed è famoso perchè di una complessità mostruosa. Zappa impressionato dal talento del giovane chitarrista lo contatta e dopo che il nostro giovane eroe finisce la scuola, lo invita a Los Angeles, gli fa un provino e lo stipendia prima come trascrittore ufficiale e poi, dal 1980 fino al 1985, lo porta sul palco e in studio a registrare, presentandolo come il suo "little Italian virtuoso" e gli assegna spettacolari assolo definiti "impossible guitar parts". Quel giovane chitarrista è Steve Vai, unanimemente considerato uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi. Oltre ai dischi, ai concerti, ai premi, al ruolo di innovatore dello strumento (leggendarie le chitarre Ibanez Jem con lui sviluppate) il suo è sempre stato un lavoro di ricerca sia strumentale sia umano: cacciatore di talenti prima, e poi produttore ed editore musicale. Nel 1999 infatti fonda insieme a Ray Scherr, il fondatore di Guitar Center, la più grande catena di negozi di strumenti musicali di tutte le Americhe (con oltre 300 negozi) una etichetta discografica, Favored Nations, con il preciso obiettivo di sviluppare la musica chitarristica, di scovare nuovi artisti e di produrre quelli già affermati. Il primo disco prodotto è del 2000, Coming To Your Senses del chitarrista jazz fusion Frank Gambale, di lì in poi è un susseguirsi di grandi nomi. A metà del decennio successivo, Vai sente la necessità di rispondere, con un disco, ad una domanda: Who says the ladies can’t rock?.
Per questo in collaborazione con l'associazione Women’s International Music Network mette su una compilation, insieme con Brad Tolinski, direttore di una delle bibbie dei chitarristi e chitarriste, Guitar World, di strepitose chitarriste, a cui dà il titolo di She Rocks Vol.1, sottotitolo: A Collection of Kick-Ass Guitar Goddesses, che esce nel gennaio del 2017. In scaletta 11 brani di 11 chitarriste che comprendono diversi generi, dal jazz rock al blues, ma che spingono forte verso l'hard rock e l'heavy metal, per un assortimento niente male. C'è una delle scoperte di Vai, la tedesca Yasi Hofer (qui presente con una torrida sua composizione, Cosmic Star), c'è la leggenda del rock femminile Lita Ford, delle Runwayas, che si unisce alle Lez Zeppelin, una tribute band femminile dei mitici Led Zeppelin, cantando The Lemon Song (uno dei testi più maliziosi ed erotici del catalogo di Plant e soci, nello slang "lemon" è una metafora del pene) accompagnata da Steph Paynes, che nella compilation regala una meravigliosa The Sun At Her Eastern Gate (Payne è stata anche scrittrice e giornalista del rock per riviste come il New Music Express e Rolling Stone). C'è il blues di U Know What I Like di Kat Dyson (che è stata più volte la lead guitar dei tour internazionali di Zucchero), il trascinante heavy metal di Transmogrify, brano scritto da Orianthi, chitarrista e polistrumentista australiana che accompagnò Micheal Jackson nel suo ultimo tour This Is It. Jackson era un grande estimatore di chitarriste, tanto che nella compilation c'è pure il contributo di un'altra sua storica sessionista, Jennifer Batten, che lo ha accompagnato nei tour di Bad, Dangerous e History: qui è presente la sua In The Aftermath. Si passa dal jazz rock di Sarah Longfield (The Taxi Time Travel Task Force) alle sonorità sofisticate di Yvette Young, uno dei talenti più puri in circolazione (Hydra), alle super prove di nomi più famosi come Nita Strauss (la chitarrista di Alice Cooper), che contribuisce con Pandemonium e Gretchen Menn con Scrap Metal. Da ricordare anche il brano di Nili Brosh, A Matter Of Perception, la chitarrista è stata per anni star degli spettacoli musicali del Cirque Du Soleil e insieme ad altre protagoniste di questa compilation suonerà in una tribute band, The Iron Maidens, che omaggia al femminile la musica degli inglesi Iron Maiden. In copertina c'è un disegno di Laura B. Whitmore, musicista, produttrice e ex manager di importantissime etichette discografiche, che nel 2012 fondò la WiMN per fornire supporto, informazioni e un senso di comunità alle donne in tutti gli aspetti del settore musicale, compresi artisti, addetti ai lavori, educatori e studenti.
La dicitura Vol.1 mi ha fatto sempre sperare in un Vol.2 che al momento non è ancora arrivato. Tuttavia questo disco è prova viva che " A Lady Can Surely Rocks".
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Il Centro Del Fiume
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Figure di carta che bevono nuovi pensieri
e fragili miti creati dal mondo di ieri
disperdono giovani forze sottratte al domani
lasciando distorte le menti e vuote le mani.
Consumi la vita sprecando il tuo tempo prezioso
raggeli la mente in un vano e assoluto riposo
trascorri le ore studiando le pose già viste
su schermi elettronici oppure su false riviste.
E tieni le orecchie tappate agli inviti del suono
e questa è una polvere grigia che cade sugli occhi dei figli dell’uomo.
Deciso a sfuggire il tuo tempo che soffia e ribolle
non abile a prendere il passo di un mondo che corre,
coraggio è soltanto una strana parola lontana
tu cerchi rifugio in un pezzo di canapa indiana.
Il sesso che prendi con facile e semplice gesto
rimana ancora e di nuovo soltanto un pretesto
e ancora nascondi la testa alla luce del sole
il sesso è scoperto però hai coperto l’amore.
E tieni le orecchie tappate agli inviti del suono
e questa è una polvere grigia che cade sugli occhi dei figli dell’uomo.
Fai parte di un gregge che vive ignorando il domani
e corri da un lato e dall’altro ad un cenno dei cani
il mito di un lupo mai visto ti ha fritto il cervello
e corri perfino se il branco ti porta al macello.
E dormi nel centro del fiume che corre alla meta
e niente che possa turbare il tuo sonno di seta
qualcuno ti grida di aprire i tuoi occhi nebbiosi
ma tu preferisci annegare in giorni noiosi.
Non senti che ti stanno chiamando con voce di tuono
e questa è una polvere grigia che cade sugli occhi dei figli dell’uomo.
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Per la donna il cui marito fa una "sosta extra" ogni sera dopo il lavoro.
Per la donna che piange la perdita di una gravidanza che nessun altro conosceva.
Per la donna che guarda sempre avanti, anche se si perde dentro.
Per la donna licenziata per il quarto ritardo perché sveglia da una settimana di fila con un bambino malato.
Per la mamma single che non sa come pagare le utenze questo mese.
Per la donna che ha avuto 2 FIVET e ha provato per cinque anni senza successo ma si presenta comunque ad ogni baby shower per i suoi amici.
Per la donna che ancora non si è perdonata per l'aborto avvenuto 20 anni fa.
Per la donna che guarda se stessa e i suoi figli mentre conta le monete al supermercato.
Per la donna che apre la porta alla notizia della morte del marito all'estero tre settimane prima del suo ritorno a casa.
Per la donna che soffre di ansia ma nessuno capisce cosa potrebbe stressarla.
Per la donna che dà alla sua famiglia tutto il giorno, ogni giorno e ha solo bisogno di una pausa.
Per la donna che sorride agli estranei tutto il giorno in pubblico, ma piange silenziosamente ogni notte.
Per la donna che voleva farla finita ma ha trovato la forza per continuare.
Per la donna che ogni notte dorme accanto a uno sconosciuto.
Per la donna la cui genetica non le permetterà mai di sembrare come nelle riviste.
Per la donna che sopporta una relazione interrotta dopo l'altra perché nessuno le ha insegnato cos'è l'amore.
Per la donna che alleva una figlia senza padre e prega che la storia non si ripeta.
Per la donna che ama con tutto il cuore e che ha un disperato bisogno di essere amata.
[Traduzione e adattamento La vita di una donna Arte: Yehuda Devir]
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Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista».
Queste le parole nell’ultima intervista di Michela Murgia.
Definire Michela Murgia non è semplice: da scrittrice a presentatrice, da speaker radiofonica ad attrice. In ogni ruolo in cui si applica riesce sempre a contraddistinguersi con la sua grande passione e forza che porta in ogni sua opera.
Michela Murgia nasce a Cabras, in Sardegna, il 3 giugno 1972 e la sua terra natia sarà sempre fonte di orgoglio e di costante presenza in tutte le sue opere, da quelle letterarie a quelle per il teatro. Prima di diventare scrittrice ha sperimentato una grande quantità di altre professioni e in questi lavori ha potuto conoscere persone e storie sempre diverse che sono state fonte di ispirazione per le sue narrazioni. Ed è proprio durante una di queste esperienze lavorative che avvia la sua carriera da scrittrice: stava infatti lavorando in un call center quando si rende conto che deve far sapere a tutti le condizioni e la realtà quotidiana che vivono gli operatori telefonici. Decide quindi di aprire un blog dove descrive e racconta tutto questo, dagli articoli di quel blog nascerà il suo primo libro Il mondo deve sapere, che verrà pubblicato nel 2006. Il libro diventerà un vero cult e un regista come Paolo Virzì lo prenderà come modello e ispirazione per produrre la sceneggiatura del proprio film Tutta la vita davanti.
Il primo romanzo che decreterà il successo di Michela Murgia è l’Accabadora che uscirà nel 2009 per Einaudi. Un libro molto forte che narra la storia di una professione antica, quella di colei che aiuta le anime ad andare nell’Aldilà. Si tratta di un romanzo ambientato in Sardegna e che riceverà molti premi, tra i quali il Premio Campiello nel 2010.
Il suo forte legame con la Sardegna è sancito anche dalla fondazione con altre persone della rete di librai, bibliotecari e associazioni culturali del territorio sardo dal nome Lìberos, con i quali mirano a sostenere le realtà legate al mondo della cultura e della lettura in Sardegna.
Negli anni Michela Murgia collabora con molte riviste e testate giornalistiche, con le quali porta avanti una lotta contro il maschilismo per ristabilire il valore della donna.
Lo fa anche attraverso un importante podcast ideato e condotto con Chiara Tagliaferri dal titolo Morgana.
Il successo del podcast è così forte che verranno realizzate varie stagioni e soprattutto dal podcast nasceranno ben due volumi in cui sono raccolte le storie delle donne che vengono raccontate: Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe (2019) e Morgana. L'uomo ricco sono io (2021).
Tra le sue celebri storie troviamo anche un volume illustrato: Noi siamo tempesta (2019), che nello stesso anno vince il premio Morante e la menzione speciale della giuria del premio Andersen.
Non si tiene fuori dalla politica, infatti, oltre a candidarsi in Sardegna esordisce con un pamphlet politico dal titolo Istruzioni per diventare fascisti, che ebbe un grande riscontro di pubblico al punto da essere tradotto in cinque lingue.
Dopo alcune esperienze come drammaturga teatrale, con discreto successo, dal 2018 è lei stessa a calcare le assi del palcoscenico portando a teatro sia Istruzioni per diventare fascisti sia Dove sono le donne, un monologo sulla parità di genere molto apprezzato.
Su questo tema nel 2021 esce il saggio Stai Zitta, e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, dove indaga alcune delle espressioni maschiliste utilizzate nei confronti delle donne.
L’autrice si spegne a Roma il 10 agosto 2023.
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Ci sono persone speciali che hanno un cromosoma in più 💕
#sapeviche
John Langdon Down, fu il medico britannico che nel 1866 pubblicò la prima descrizione accurata della sindrome che porta il suo nome.
Nel 1959 il genetista francese Jérôme Lejeune scoprì che i bambini down nascono con un cromosoma in più, ne hanno cioè 47 invece di 46. In seguito i ricercatori scoprirono che il cromosoma extra è una copia del cromosoma 21.
📚🔍Per un interessante approfondimento vedi l'articolo:
"Crescere un figlio con la sindrome di Down"
(Gioie e soddisfazioni)
📌
https://www.jw.org/it/biblioteca-digitale/riviste/g201106/Crescere-un-figlio-con-la-sindrome-di-Down-tra-sfide-e-soddisfazioni/
Trovi il link anche nel mio profilo Threads 😊
There are special people who have an extra chromosome 💕
#did you know that
John Langdon Down was the British doctor who in 1866 published the first accurate description of the syndrome that bears his name.
In 1959, French geneticist Jérôme Lejeune discovered that children with Down syndrome are born with an extra chromosome, that is, they have 47 instead of 46. Researchers later discovered that the extra chromosome is a copy of chromosome 21.
📚🔍For an interesting in-depth analysis see the article:
"Raising a child with Down syndrome"
(Joys and satisfactions)
📌
https://www.jw.org/it/biblioteca-digitale/riviste/g201106/Crescere-un-figlio-con-la-sindrome-di-Down-tra-sfide-e-soddisfazioni/
You can also find the link in my Threads profile 😊
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Soul Kitchen - Bugs Bunny Crazy Castle 3
Sono preso male quindi scrivo. Vediamo se mi passa...
Non sono qui per parlare del gioco in se, ma piuttosto delle sensazioni di un momento, in un posto che per qualche motivo riesco ancora a ricordare abbastanza vividamente.
Mi trovo nella cucina di casa di mia nonna.
E' un martedì pomeriggio, giorno di chiusura dell'attività dei miei nonni all'epoca (avevano un bar), e si stanno preparando per andare a fare la spesa per casa/bar.
Io sono in questa cucina che gioco a Crazy Castle 3 e di base non c'è¨ niente di strano, normale amministrazione di me che gioco allo stesso gioco da un sacco di tempo perché sono bloccato all'ultimo livello della seconda tranche cioè la Hall (le tranche sono, in ordine: Garden > Hall > Basement > Treasury).
Fuori fa freddo, è febbraio.
Il sole è già in procinto di salutarci, sono circa le 16.30.
Dalla porta semiaperta della cucina vedo la sala del bar, buia e vuota.
Ogni tanto anche ripensare al bar pieno mi fa quasi strano.
In quel periodo, ovvero inverno del 2000 ("ritmo del duemila / adrenalina puraaaaah" cit. Ritmo - Litfiba - Mondi Sommersi - 1997) come si confà a un individuo di 7 anni (manco compiuti, fai anche 6) non ho un accesso a internet e quindi ignoro bellamente cosa mi si parerà davanti dopo questa sequela di livelli della Hall di sto castello sempre più difficili e ostici.
Ad un certo punto il miracolo. Supero il (per me) famigerato livello 39, mi prodigo di trovare carta e penna per segnarmi la password per continuare poi dal livello 40, siccome in quel momento mi chiama mio nonno dicendomi esser pronti per andare.
E proprio in quell'istante qualcosa da qualche parte del mio cervello si materializza, e rimane li ancora oggi come una fotografia che riesco a rivedere se ci ripenso. Come una fotografia su pellicola di quel tempo, che a lungo andare perde in dettagli ma rimane sempre riconoscibile.
"La camera ha poca luce
E poi è molto più stretta di come da giù immaginavo"
diceva Ligabue in Bambolina e Barracuda, e devo dire che la descrizione corrisponde quasi del tutto.
Questa cucina è una stanza dalla forma rettangolare, ma non troppo lunga. Un rettangolo un po' tozzo ma comunque non Umberto.
Al centro un grande tavolo con piano in marmo grigio la fa da padrone, sopra di esso una fruttiera in vetro verde, sempre piena.
Ai lati del tavolo (punto di vista dalla porta d'entrata) rispettivamente:
A sinistra
subito dietro la porta un piccolo angolo credenza zeppo di libri di cucina (sopra), incarti di vari prodotti, sacchetti di carta per il pane (nel mezzo) e due piccole ante contenenti ogni sorta di attrezzo quali chiavi, cacciaviti o anche prodotti spray tipo insetticida e simili che ovunque stan bene tranne che in una cucina (sotto). Superato questo angolo il frigorifero, un vecchio frigorifero incassato ricoperto dall'anta in legno, seguito dal piano cottura, un doppio lavello e alla fine della parete una delle due finestre.
A destra
subito all'altezza del gomito inizia quello che è un mobile angolare in legno anch'esso con piano di marmo grigio che fa il paio con suo fratello The Table, che proseguirà sino all'altro capo della stanza.
La parte sotto è composta di semplici ante che nascondono il loro contenuto fra vecchie riviste, la stecca di MS Bionde e attrezzi da cucito in capo, il posto dove viene tenuto il pane della giornata nell'angolo e poi (perdonate la ridondanza) lungo la parte lunga tovaglie, tovagliette, tovaglioli, pentole, bicchieri (che non erano li da ieri), insalatiere, e altri suppellettili TASSATIVAMENTE DA NON USARE MAI.
Sopra questo mobile vi sono diverse situazioni, anche abbastanza diverse fra loro. Sempre in prossimità del gomito, qualora si stesse entrando, è visibile con la coda dell'occhio un posacenere blu dell'Aperol cui da che ho memoria ha sempre ospitato al suo interno un mazzo di chiavi del quale ho sempre ignorato quali porte avrebbe potuto aprire, un elastico giallo, una graffetta e una 200 lire.
A fianco immancabile è la combo Sorrisi&Canzoni + rivista di gossip a piacere. Ma più ci si addentra con lo sguardo e più la situazione si fa complessa.
L'angolo viene dominato da una tv a tubo catodico della Mivar (top orgoglio italiano non ironicamente), con lo schermo bombato che mangia buona parte delle barre dell'energia in quasi tutti i picchiaduro che era possibile giocare su ps2 da li a pochi anni.
Dietro questo Golia ai fosfori osserviamo un buco nero nel quale nemmeno la luce fa in tempo a venire assorbita, non lo raggiunge proprio.
Letteralmente la camera dei segreti, nella camera.
Si dice vi sia stato ritrovato di tutto dietro a quel monolito grigio opaco, da svariate sorprese di ovetti kinder a un centrotavola che sembrava essere andato perduto per sempre.
Li giaceva anche un misterioso contenitore grigio, in metallo, che ricordava la forma di quelli che si appendono in doccia per poggiarvi i vari shampoo, bagnoschiuma e simili. Forse il suo scopo in origine era proprio quello, ma poi qualche sconvolgimento spazio-temporale ha fatto si che venisse dimenticato in quell'anfratto nascosto.
Sempre dietro al televisore, oltre al suo cavo di alimentazione se si disponevano di arti lunghi a sufficienza ci si poteva addentrare fino a scoprire sia ben tre prese a muro più una spina volante, anche lei senza padrone.
Un cavo di alimentazione si, ma per chi?
Se ci si chiede chi controlla i controllori allora sarebbe giusto anche chiedersi cosa alimenta l'alimentazione? Who watches the Watchmen?
Superata la Notte Eterna ritorna la luce, e a fianco del televisore spunta un cesto di vimini con al suo interno vari giochi e fumetti miei fra cui macchinine, volumi di Topolino, quaderni di disegni, pennarelli e cosi via.
Accanto vi è quella che per forma e scopo risulta esser a tutti gli effetti un'anfora. Non dell'avidità ma quasi. "Quindi chi sei tu per giudicare?" direbbe qualcuno a riguardo.
La sua forma ricorda una donna di Willendorf per le sue rotondità che suggeriscono fertilità e abbondanza. E di abbondanza in quell'anfora ce n'era, sicché era stata riempita fino all'orlo di documenti, ricevute, scontrini, un blocchetto di assegni, collane, bracciali, orecchini, alle volte anche monete. Ovviamente era imperativo il "LASCIA STARE NON TOCCARE".
E noi senza toccare, limitandoci a guardarla in tutta la sua bianca e lucente ceramica, gettiamo l'occhio (e non il cuore) oltre l'ostacolo per incontrare un piccolo forno a microonde che termina l'allestimento del piano.
Fra il piano e il muro vi è un angusto spazietto di 1 metro circa, nel quale viene confinata una rossa sedia da giardino.
Quello che per anni ha rappresentato un angolo strategico in quanto era l'angolo del termosifone, luogo di sollievo per i lunghi inverni passati col Game Boy fra le mani, a cercare sia calore che un angolo illuminato in epoca pre GBA SP.
Ah, che male al collo.
A parete troviamo una composizione di pensili che segue il perimetro del mobile di cui sotto, anche questo pieno di situazioni abbastanza varie dietro alle sue ante marroni.
Anche qui si nascondono servizi di piatti e bicchieri che si e no si vedevano a natale, alcuni calici "griffati" di varie bevande che si servivano nel bar ma la sezione più pittoresca rimane quella perpendicolare al tv, che precedentemente abbiamo battezzato come Notte Eterna.
Anta ad angolo, che si apre piegandosi su se stessa rivelando due mensole dalla conformazione quasi simile ad una casa delle bambole. Mancava solo una piccola scala per rendere comunicanti primo piano e piano terra. Videocassette, nastri vergini, palette di trucchi, altre collane e gioiellini fra bigiotteria e non sono solo alcuni dei generi che si possono trovare all'interno. E, come sotto, un infinita oscurità.
"Putèl, andom?"
Le parole di mio nonno che mi chiama per andare con loro,
spengo il gbc dopo aver segnato la password e inizio a fantasticare su cosa troverò poi nel Basement, del quale ho visto solo la schermata di selezione del livello.[continua nei commenti]
#racconti#flusso di coscienza#immagini tumblr#images and words#images#raccontare#in memoriam#memoriaspoeticas
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da quanto ne so, chi ha voglia di studiare, di solito, si siede davanti a un libro e studia. evito discorsi sull'adhd e territori adiacenti: non è quello a cui mi riferisco. fintanto mi limito a leggere libri e riviste per diletto, mi pare di assimilare ogni concetto; sono in grado di leggere un articolo di giornale, un paragrafo di un libro e spiegare abbastanza bene cosa vi è riportato. nel momento in cui l'attività si direziona verso un approccio didattico, finalizzato a un esame, si presentano un vuoto nella comprensione e una serie di insicurezze: leggo e rileggo; inizialmente credo di aver capito ma poi nell'esposizione mentale mi forzo a ripetere doverosamente ogni riga o quasi del paragrafo, che inevitabilmente mi porta a ritenere fallacea la mia immagazzinazione del testo e da lì: credevo di avere capito, ma se così non fosse? non è che ci sono significati sfuggevoli in quel che ho letto, un substrato di informazioni? perché non sento la scintilla della comprensione, un eureka! permeo di sensazione fisica, un bagliore cerebrale nel leggere un testo? non è che forse non ho capito nulla? cosa significa capire un testo? che so spiegarlo a parole mie? perché non sono capace di esprimermi con parole mie su ogni argomento che mi interessa? non è che faccio così anche per i libri, per i saggi, per le riviste che leggo? che non capisco niente e faccio finta? di fronte a un esperto, sarei in gado di reggere un confronto verbale? inizio dunque a fissare il testo, a rileggere le parole, concentrandomi su ogni frase che, dopo un po', inizia a perdere di significato, chiedendomi se tra una lettera e l'altra magari si cela, magari riesco a trovare una nuova chiave di lettura
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Perché C'è ancora domani non è un film femminista, a mio parere (mentre Barbie invece sì)
Ho temporeggiato per vedere C'è ancora domani perché tutte e tutti ne hanno parlato come di un film bellissimo e “femminista”. E quando sento gli uomini usare l'aggettivo femminista come una caratteristica positiva i miei sensi di femminista formicolano. E a ragione. Il film parla di una donna, Delia, sposata con un uomo, Ivano. Il film è la rappresentazione didascalica e anche pedissequa del maschilismo più becero, violento e, soprattutto, riconoscibile. Talmente riconoscibile che qualsiasi uomo può guardare a quel modello di maschilista e prenderne tranquillamente le distanze. Peccato che il modello rappresentato dal personaggio di Ivano sia solo l'1% del patriarcato, quello che abusa fisicamente, verbalmente, economicamente, sessualmente. Ma Ivano è solo la punta dell'iceberg e il film ignora totalmente tutti quei piccoli, apparentemente innocui, atteggiamenti che costituiscono la base sommersa su cui il marito violento trova la cultura che lo cresce e lo protegge. Ogni uomo che abbia visto C'è ancora domani può tranquillamente dire “io non sono come Ivano quindi non sono parte del patriarcato. Pertanto il problema non mi tocca”. Purtroppo la questione è che questo film non mette in scena tutte gli atteggiamenti con cui ogni uomo si può rendere parte del problema. Non si vede il catcalling, gli apprezzamenti invadenti e non richiesti, le battute sessiste, il paternalismo benevolo, le riviste, i film, i cartelli pubblicitari tappezzati di corpi femminili più o meno vestiti... tutto questo fa parte del patriarcato e ogni uomo (e anche qualche donna) lo porta avanti senza rendersi conto che anche questo è maschilismo, anche questo è patriarcato. Ma questo film non punta il dito contro questi atteggiamenti che appartengono ad ogni uomo (chi più chi meno), non fa quest'opera di denuncia. Il patriarcato è rappresentato come bianco o nero (letteralmente) perciò o sei come Ivano oppure sei una brava persona.
Dopo averlo visto ho capito perché tanti uomini hanno dichiarato questo film femminista. È il femminismo che piace a loro, quello che li rassicura, che gli dice che loro no, loro sono bravi ragazzi, non stanno facendo niente di male, non hanno bisogno di rivedere i loro comportamenti, le loro parole e i comportamenti e le parole degli altri uomini che frequentano.
A differenza di Barbie. Barbie presenta il patriarcato in maniera apparentemente più chiara a didascalica, ma in realtà Barbie presenta il patriarcato nelle sue sfumature più subdole, più sottili e, quindi, meno facilmente riconoscibili. In tutto il film nessun Ken alza mai le mani su una Barbie, nessun Ken offende una Barbie, nessun Ken fa catcalling o molesta sessualmente una Barbie. Quello che fanno i Ken è togliere alle Barbie ogni loro ambizione, ogni loro sogno, la loro identità. Per farne degli oggetti da possedere ed esibire e di cui disporre a loro piacimento. Un'azione terribile, innegabilmente, e la cosa che ha scatenato le ire di (quasi) ogni uomo è che quest'azione terribile non è stata operata da un burino in canotta, ma da quello che potrebbe essere definito il classico bravo ragazzo. Ken è il prototipo di giovanotto di belle speranze che, in fondo, non ha fatto niente di male, no?! Ken è il personaggio in cui ogni uomo si identifica ma quando si vede rappresentato in tutto il male che fa a Barbie ecco che, anziché cogliere l'occasione per una riflessione e una sana autocritica, il maschio medio si butta per terra a piangere e urlare che “questo non è femminismo, il femminismo è quello che mi dice che io sono bravo e bello e buono”.
In conclusione C'è ancora domani è un film contro il patriarcato? Certo che sì, ma contro una percentuale minima del patriarcato. Quella frazione che è la più evidente e la più facilmente condannabile. C'è ancora domani è un film femminista? A mio parere no. Il film non è scomodo, non fa nascere una discussione, non critica la società. La protagonista non fa niente per contrastare questo status quo e l'unica cosa che fa alla fine del film non è merito suo. È un diritto per cui lei non ha lottato e lo ha esercitato in segreto, in silenzio, per non urtare la sensibilità del patriarcato. Mentre invece vorresti dirmi che Barbie è un film femminista?! Sì, perché racconta il patriarcato come un potere strisciante, che penalizza entrambi i generi (anche se in modo molto diverso), che viene esercitato da ogni singolo uomo, anche quelli “bravi”. Non a caso Barbie ha fatto arrabbiare molti maschi medi che ancora oggi ne parlano come di un film sciocco, innocuo. Ma come si spiega che un film così insignificante faccia ancora arrabbiare tanti maschi dopo tanto tempo?
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Quarant'anni fa esatti, sull'onda dell’improvviso interesse che il basket NBA ed il football NFL suscitano in Italia, dovuto alle partite trasmesse dalle reti Mediaset e commentate da un indimenticabile Dan Peterson, un perfetto Rino Tommasi ed un giovanissimo Guido Bagatta, proprio quest’ultimo pubblica due libretti, distribuiti in edicola, uno intitolato ‘’American Football Superstars’’ e l’altro ‘’American Basketball Superstars’’.
Io giovanissimo pre-adolescente che non si perdeva nemmanco una sola di quelle trasmissioni, risparmio la esorbitante cifra necessaria all’acquisto (i libretti costavano lire 5.000 cadauno, per un totale di lire 10.000: praticamente il budget di un mese) e me li accaparro, passando i pomeriggi a studiarli a memoria, a leggere e rileggere le piccole biografie dei giocatori, suddivisi per squadra, a fantasticare di ipotetiche partite fra le stelle, confrontare cifre statistiche, memorizzare nomi; molti dei miti che tutt’ora ho, legati a quel mondo, derivano dall’averli visti su quei libretti, prima ancora di averli visti giocare in TV: Joe Montana, Ken Anderson, Walter Payton, Julius Erving, Larry Bird, Magic Johnson, Kareem Abdul Jabbar, Moses Malone sono solidamente parte del mio immaginario sportivo, ancora oggi, e da quelle pagine sono usciti: alcuni di loro non sono nemmeno più in vita.
Poi si cresce, si cambia (anche se ci si promette, con amici di cui non ci ricordiamo nemmeno più il nome, di non farlo mai) si studia, lavora, si cambiano case e città, e certe cose che per un periodo consideravamo alla stregua di patrimoni e tesori, vanno irrimediabilmente perdute.
Per me, vanno perduti anche i due libretti, e con loro se ne vanno anche la spensieratezza di quegli anni, la serietà con cui attendevo l’uscita in edicola delle riviste Superbowl e Superbasket, i milioni di sogni ad occhi aperti che avevo fatto.
Ma qualche giorno fa mi tornano alla memoria, e mi travolge, insieme ad una infinita nostalgia, anche una smania di riaverli, di ritrovare quelle pagine, di scoprire che ancora mi ricordo quei nomi, che ancora bene so quali giocatori, quali frasi usate per descriverli, avevano colpito la mia immaginazione e la mia suggestione.
Ebbene, li trovo, usati, in vendita on-line su di un sito che vabbè la sicurezza dei dati, e li ricompro per una cifra di cui mi vergogno.
Sono arrivati oggi, via posta, e quella che vedete è la loro fotografia.
Ed io sono un tredicenne nuovamente, perso dietro un vecchio sogno americano, inebriato dal sapore, dall’odore di quei giorni; e se chiudo gli occhi, Magic porta palla, la passa a Kareem, laggiù appostato in post basso, che, nonostante la strenua difesa di Robert Parish, manda la palla a carezzare il cotone della retina con uno dei suoi memorabili sky hook, una gancio cielo, come avrebbe commentato Dan Peterson.
#cose mie#trascurabili felicità#per un istante#è l'inizio degli anni ottanta#la verità ed altri disastri#foto mia
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MARCO BELLOCCHIO: “RAPITO”
A leggere le recensioni di "Rapito" il bel film di Marco Bellocchio, sembrerebbe trattarsi di un film eminentemente storico ed effettivamente di questo si tratta. L'episodio raccontato risale al 1858 e a quei tempi Bologna era ancora sotto il dominio del Papa-Re, Pio IX, quando il piccolo Edgardo Mortara, di famiglia ebraica, viene segretamente battezzato dalla donna di servizio che, fraintendendo e pensandolo in fin di vita, decide di sottrarlo al limbo, a cui erano destinate le anime non battezzate ( e tali erano anche considerati gli ebrei). Venuto misteriosamente a conoscenza del fatto, il Papa decide di far prelevare il piccolo e, grazie all’intervento del braccio armato della Chiesa, la Santa Inquisizione, viene strappato alla famiglia d’origine per imporgli una vita di fede cristiana. La vicenda, realmente accaduta, è certamente significativa dell'esercizio del potere da parte della Chiesa in quegli anni, ma come avvisa lo stesso Bellocchio, "È un film, non è né un libro di storia o di filosofia, né una tesi ideologica" ed è quindi evidente che si tratti del racconto di una vicenda e non certo di una lezione sulla Storia della Chiesa (e del suo potere temporale). Ma c'è di più (o, almeno c'è dell'altro). "Rapito" è un grande film di "segni". Si tratta forse di un aspetto secondario dell'opera, ma visto che giornali e riviste specializzati, puntano tutto sul racconto storico e sui giudizi che si possono dare su una simile assurda vicenda, vale la pena considerare anche questo aspetto, niente affatto trascurabile. Già dal principio a dare fuoco alle polveri è un segno: la fantesca vede i genitori del piccolo Edgardo recitare una preghiera davanti alla culla del bambino e da quel "segno" deriva una convinzione, cioè che il bambino sia malato. Non per tirarla troppo per le lunghe, ma come affermato da teorie semiotiche, é il caso di ricordare che un "segno" per funzionare ha bisogno di un "emettitore" e poi di un "ricettore" che, tramite un "messaggio", riceve una informazione. Tutto questo però non può avvenire senza un "contesto". E nel nostro caso il punto è proprio questo contesto, formato da un substrato di pregiudizi millenari contro gli ebrei e, in generale, contro le culture, le fedi, le idee non omologate. In fondo le fedi sono fatte anche di segni esteriori forti. Edgardo già adulto, nel corso della sua durissima "rieducazione", per punizione verrà obbligato dal Papa a tracciare con la lingua tre croci per terra, in una scena tra le più drammatiche del film. Gli ebrei si differenziano alla vista, proprio grazie ai segni: la piccola Mezuzah data dalla madre al piccolo Edgardo, lo "Shema Israel", così come la Kippah che ricopre il capo degli ebrei. Tutto questo nel film è ben evidenziato poiché, poi in fin dei conti le due grandi religioni, quella cristiana e quella ebraica hanno più punti di unione che punti di divisione, a cominciare dal fatto, e non è cosa da poco, che pregano lo stesso Dio. Il fim di Bellocchio è ben ambientato, prima in una lugubre Bologna e poi in una altrettanto inquietante Roma che ben rispecchiano la realtà di quei tempi difficili (ammesso che ne esistano di facili). Alla cacciata di Pio IX, a seguito della breccia di Porta Pia nel 1870 Edgardo Mortara, ormai sacerdote, inveirà contro il fratello, (arruolato nelle truppe sabaude e appena entrate in Roma) che cerca di convincerlo a tornare a casa. Una storia difficile da raccontare che non ha scoraggiato il coraggioso Marco Bellocchio che ne ha fatto un film non manicheo, molto originale e di grande bellezza.
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Milano, a Palazzo Reale la mostra di Vincent Peters “Timeless time”
Milano, a Palazzo Reale la mostra di Vincent Peters “Timeless time”. Dal 12 gennaio al 26 febbraio, Palazzo Reale porta a Milano gli scatti senza tempo del fotografo Vincent Peters con la mostra a ingresso gratuito dal titolo “Timeless Time”, una selezione di novanta lavori in bianco e nero in cui la luce è protagonista nel raccontare le storie dei soggetti ritratti. La mostra, promossa da Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Nobile Agency, è curata da Alessia Glaviano, Curator & Head of Global PhotoVogue. Christian Bale, Kim Basinger, Monica Bellucci, Vincent Cassel, Laetitia Casta, Cindy Crawford, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Matt Dillon, Michael Fassbender, Scarlett Johansson, Milla Jovovich, John Malkovich, Charlize Theron, Emma Watson sono solo alcuni dei personaggi famosi i cui ritratti, realizzati tra il 2001 e il 2021 da Vincent Peters, sono esposti a Palazzo Reale. Quello ritratto da Vincent Peters è il mondo delle star e delle celebrities, un moderno Olimpo in cui i ritratti sfumano in un’atmosfera da cinema neorealista italiano. I suoi scatti sono infatti composti da un sovrapporsi di strati che dialogano tra loro completandosi: ciascun elemento che converge e si condensa in ogni suo singolo scatto, forma uno strato che non perde mai la propria identità e distinzione. È proprio nell’incontrarsi di questi strati singolari che ogni immagine di Peters arriva a raccontare una storia, fino a diventare un film in un solo fotogramma. Nel percorso della mostra, grazie a Cinecittà, sono esposti anche i primissimi scatti del progetto “Timeless Talent”, un racconto fotografico realizzato da Peters dei mestieri e dei talenti degli storici studi cinematografici che, oggi come in passato, ne fanno punto di riferimento della creatività del cinema e della televisione nazionale e internazionale. Un progetto di valorizzazione del talento dell’art department, dei falegnami, degli operai, pittori, macchinisti, elettricisti, tecnici dello sviluppo della pellicola e di tutti gli artigiani di Cinecittà, che da dietro la macchina da presa e al fianco dei registi, contribuiscono alla creazione dei capolavori realizzati negli studi. Con uno stile senza tempo, i lavori di Vincent Peters esposti nell’ Appartamento dei Principi al piano nobile di Palazzo Reale sono valorizzati da un allestimento curato da Silvestrin & Associati che esalta le potenti immagini in bianco e nero e al tempo stesso sposa la bellezza delle signorili sale quattrocentesche che lo ospitano. Vincent Peters Nato a Brema, in Germania, nel 1969, all’età di vent’anni si trasferisce a New York per lavorare come assistente fotografo. Tornato in Europa nel 1995, ha lavorato per diverse gallerie d'arte e su progetti personali e nel 1999 ha iniziato la sua carriera presso l'agenzia di Giovanni Testino come fotografo di moda. Negli anni Vincent Peters si specializza nei ritratti di celebrità, scattando campagne leggendarie per riviste di tutto il mondo, distinguendosi con il suo stile cinematografico. Il suo portfolio comprende lavori per brand come Armani, Celine, Hugo Boss, Adidas, Bottega Veneta, Diesel, Dunhill, Guess, Hermes, Lancome, Louis Vuitton, Miu Miu, Netflix, solo per citarne alcuni. Le sue opere sono state esposte in gallerie d'arte internazionali tra cui, ad esempio, Camera Work a Berlino, Fotografiska a Stoccolma e il prestigioso Art Basel in Svizzera. Info Ingresso gratuito, da martedì a domenica, dalle 10 alle 19.30 (ultimo ingresso ore 19), giovedì apertura serale fino alle 22.30 (ultimo ingresso ore 22). Lunedì chiuso palazzorealemilano... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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“Apro la porta. Non c’è traccia di Robert, a parte un biglietto sullo specchio.-Vado sulla Quarantaduesima.Ti amo. Blu.-Ha sistemato le sue cose…Riviste maschili impilate e le bombolette di vernice spray allineate sotto il lavandino. Prendo dell’acqua del rubinetto.
Bisogna lasciarla scorrere perché all’inizio scende marrone. Soltanto un po’ di ruggine e di deposito. La mia roba è nell’ultimo cassetto.Tarocchi,fiocchi di seta,un barattolo di Nescafé e la mia tazza –una reliquia della mia infanzia…
—Patti Smith,Just Kids
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Portariviste Inquadro https://www.design-miss.com/portariviste-inquadro/ #Inquadro è il #portariviste dalle linee #semplici ed essenziali che esaltano sia l’oggetto che il contenuto.
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L'amore per gli animali ci costringe a coltivare buone qualità.
Per questo ci rende migliori.
©D.C.
L'amore è un sentimento prolifico non viene mai da solo. Porta con sé compassione, bontà, generosità, spirito di sacrificio.
L'amore è attivo, ravviva il nostro cuore e ci aiuta a "restare umani".
Su questo toccante tema puoi vedere l'articolo:
Dio si interessa degli animali?
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https://www.jw.org/it/biblioteca-digitale/riviste/g201112/Dio-si-interessa-degli-animali/
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