#poesia intrisa di emozioni
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Recensione: Un’ode alla vita e all’umano nello stile di Neruda. Recensione di Alessandria today
Canto delle radici profonde evoca l’inesauribile profondità dell’animo umano e il legame indissolubile con la natura
Canto delle radici profonde evoca l’inesauribile profondità dell’animo umano e il legame indissolubile con la natura. Con versi che riecheggiano lo stile del grande Pablo Neruda, questa poesia celebra la memoria, la speranza e la resilienza che permeano la vita. La poesia utilizza immagini potenti e simboliche, come le radici e il fiume, per raccontare il viaggio dell’uomo, un viaggio fatto di…
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Il prossimo evento che suscita grande attesa nel panorama musicale è il lancio dell'atteso album di inediti di Paolo Benvegnù, intitolato "È inutile parlare d’amore". Questo nuovo lavoro, disponibile digitalmente dal 12 gennaio e in versione CD e vinile dal 19 gennaio, si preannuncia come un'opera ricca di significati e profonde riflessioni. Il nuovo album di Benvegnù, seguito dall'EP acclamato dalla critica "SOLO FIORI", presenta due collaborazioni di rilievo: una con Brunori Sas nel brano "L’oceano" e un'altra con Neri Marcorè in "27/12". Questo nuovo lavoro non è soltanto una raccolta di canzoni, ma è un viaggio nel mondo delle emozioni, dei rapporti umani e dell'ineffabile bellezza dell'amore. In "È inutile parlare d’amore", Paolo Benvegnù offre una visione dell'amore e dell'umanità in una società intrisa di pragmaticità e iper-razionalità. L'album, definito come un romanzo di formazione, esplora il valore dell'amore in un mondo ossessionato dalla funzionalità e dalla razionalità. Con uno sguardo critico, Benvegnù pone domande scomode e fondamentali sull'importanza dell'amore, dell'arte e della poesia in un'epoca dominata dalla tecnologia e dalla logica algoritmica. L'artista riflette sull'irrazionalità e sull'inutilità dell'amore, sottolineando, allo stesso tempo, la necessità fondamentale dell'amore e della sua libertà. Attraverso il suo album, Benvegnù incita a una sorta di rivoluzione amorosa, a riscoprire il valore della creatività, dell'istinto e dell'accudimento verso gli altri, sostenendo che amare senza riserve sia l'unica via per ritrovare l'umanità smarrita nel mondo moderno. Il tour "È inutile parlare d’amore – Live 2024" è un'occasione imperdibile per sperimentare dal vivo le tracce dell'album, oltre a esplorare i brani che hanno segnato la straordinaria carriera trentennale di Benvegnù. Le prime date annunciate includono tappe emozionanti in diverse città italiane come Firenze, Torino, Brescia, Roma e Soliera (MO), promettendo spettacoli coinvolgenti e carichi di emozioni. Sei pronto a immergerti in un viaggio musicale intriso di poesia e riflessione? Non perderti l'occasione di assistere al tour di Paolo Benvegnù e lasciarti trasportare dalle emozioni uniche del suo nuovo album "È inutile parlare d’amore".
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Note di poesia: le canzoni italiane più poetiche di sempre
Oggi vogliamo ricordare le canzoni italiane più poetiche di sempre. Il panorama della musica italiana, nella sua ricchezza, offre canzoni per tutti i gusti. Canzoni d'amore, d'impegno politico e sociale, capaci di farci divagare ma anche di riflettere. Alcune canzoni si ergono come vere e proprie opere poetiche, capaci di toccare le corde dell'anima. Immergiamoci, allora, nella bellezza della lingua e delle emozioni che solo la musica può suscitare. Il Cielo in Una Stanza Con "Il Cielo in Una Stanza", Gino Paoli cattura l'essenza dell'amore in un modo delicato e suggestivo. La canzone è un dipinto poetico che esplora la profondità delle emozioni amorose, utilizzando metafore evocative. La dolcezza della melodia completa l'atmosfera romantica e malinconica che caratterizza questo classico senza tempo. Quando Pino Daniele, maestro del blues partenopeo, ci offre una canzone intrisa di poesia e vitalità con "Quando". Il testo riflette sulla vita e sull'amore in un modo fresco e appassionato, mentre la melodia, arricchita dalla maestria chitarristica di Daniele, trasporta l'ascoltatore in un viaggio emozionale intenso e coinvolgente. La canzone, in ultimo, è la colonna sonora di uno dei film più iconici di Massimo Troisi: "Credevo fosse amore invece era una calesse". Rimmel Francesco De Gregori, noto per la sua abilità nelle tessere racconti, ha dato al mondo "Rimmel". La canzone è un dialogo intimo e poetico tra il cantautore e la vita stessa. Le parole, dense di significato, sono accompagnate da una melodia che cattura l'essenza delle esperienze umane. La Canzone del Sole "La Canzone del Sole" è una delle canzoni più rappresentative cantate da Lucio Battisti. La melodia soave e lirica si intreccia con versi che descrivono il ciclo della vita, trasportando l'ascoltatore in un viaggio tra le stagioni e gli stati d'animo. La magia di questa canzone risiede nella sua capacità di dipingere immagini poetiche che si fondono con le note, creando un sole luminoso di emozioni. Chi, da ragazzo non l'ha strimpellata almeno una volta con la chitarra? La Canzone di Marinella Fabrizio De André, maestro della canzone d'autore, crea un capolavoro poetico con "La Canzone di Marinella". La canzone narra, rigorosamente in rima, la storia di Marinella, una donna dal destino difficile. La prosa di De André offre un'immersione profonda nella vita di Marinella, con una combinazione di empatia e delicatezza che trasforma la canzone in una poesia cantata. L'Anima Vola Con la sua voce eterea e il testo evocativo, Elisa ci porta in un viaggio emozionale con "L'Anima Vola". Le parole affrontano temi di libertà interiore e di espansione dell'anima, rendendo la canzone un inno all'essenza umana. La melodia, delicata ma potente, si fonde perfettamente con il contenuto poetico del brano. Canzoni poetiche italiane: emozioni che arrivano a tutti noi Con questi esempi non possiamo esaurire il panorama delle canzoni poetiche della musica italiana; ne abbiamo dato solo un piccolo assaggio. Perché le consideriamo così poetiche? I testi trattano temi universali come l'amore, la libertà e la vita, toccando corde emotive con le quali chiunque può identificarsi. Inoltre, la scelta accurata delle parole e delle immagini crea dipinti vividi nella mente dell'ascoltatore, trasportandolo in un viaggio emotivo. Infine, la combinazione di melodia e testo crea un'esperienza completa, in cui la poesia della lingua si fonde armoniosamente con la bellezza della musica. In copertina foto di Ri Butov da Pixabay Read the full article
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ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND- Michel Gondry (2004, USA). Soggetto: Charlie Kaufman, Michel Gondry, Pierre Bismuth.
Genere: commedia, fantascienza, drammatico, sentimentale.
“Puoi cancellare qualcuno dalla tua mente, ma farlo uscire dal cuore è tutta un'altra faccenda.”
Si tratta di una pellicola che richiede, per la sua completa comprensione, ripetute visioni ed un processo di decifrazione delle sue diverse sfaccettature di significato che sono del tutto “invisibili” ad una prima visione.
“Se mi lasci ti cancello” (“Eternal Sunshine of the Spotless Mind”) è un film che vede investire le figure di protagonisti Jim Carrey e Kate Winslet. La sceneggiatura, vincitrice dell'Oscar 2005, è opera di Charlie Kaufman, che conferma la sua inclinazione per i film di impianto psicologico e visionario (“Essere John Malkovich, "Il ladro di orchidee” e “Confessioni di una mente pericolosa”).
Il titolo originale, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, è preso da un verso dell'opera “Eloisa to Abelard”(1717), del poeta inglese Alexander Pope. Alcuni versi della poesia vengono inoltre citati all'interno del film:
“Com'è felice il destino dell'incolpevole vestale!
dimentica del mondo, dal mondo dimenticata.
Infinita letizia della mente candida! Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.”
Il film è una metafora della facoltà di tollerare non solo le emozioni negative nella rottura di una relazione, ma anche il passaggio dall'innamoramento all'amore, e quindi dalla visione idilliaca e perfetta, intrisa dell'idealizzazione di sé e dell'altro, alla presa di coscienza della complessità nella coppia, dove insieme ai due membri entrano in gioco le loro storie, gli apprendimenti, i legami di attaccamento pregressi, dai primari ai secondari, e infine la relazione nell'attualità.
In questa pellicola si intravede quella infinitesima possibilità che le realtà, una volta entrate in quell'anticamera chiamata inconscio, diventino eterne. Perché null'altro è l'inconscio se non la porta che immette nella trascendenza umana verso il divino. La mente può tradire -è l'uomo a dare il proprio consenso- ma il cuore quando resta fedele è impossibile imbrogliarlo, poiché dimostra che l'uomo stesso si inganna. Con la mente ci si può illudere, ma il cuore non conosce riserve, e prova dolore del modo più sanguinolento. E qui sorge l'ipotesi scientifica più diabolica: cancellare il dolore attraverso i ricordi dolorosi. La chimera scientifica di poter mettere le mani sull'anima umana è stata da sempre la pretesa pseudo-divina della psicologia. Cancellare i ricordi di una persona sarebbe la soluzione, o almeno un palliativo per porre al male esistenziale del dolore, ma… è davvero un male il dolore? No, il dolore in questo film è la scia attraverso la quale Joel Barish e Clementine Kruczynski -i protagonisti- riescono a rintracciarsi in meandri di incomprensioni, sentimenti e frustrazioni di deliranti inconsci. Il dolore deve essere ascoltato, vissuto, bisogna immergersi in esso per poi riemergerne temprati dal suo travolgimento.
Gondry viviseziona il dolore del post-rottura e lo correla ai ricordi, un miscuglio eterogeneo di piaceri e dolori che agiscono come spilli sul cervello di una persona lasciata, ma, allo stesso tempo, diventano oro nel momento in cui stanno per scomparire.
Il colore di capelli di Clementine guida lo spettatore attraverso le fasi della sua storia d'amore con Joel: infatti una delle prime cose che gli rivela nel loro secondo incontro, è proprio l'impressionante quantità di colori che la sua chioma ha sfoggiato. In verità, ogni colorazione è frutto di un'oculata scelta stilistica. Il blu, quando la donna appare per la prima volta sullo schermo, è il colore della dimenticanza, della solitudine e dell'abbandono. E’ il colore presente quando i due si riconoscono. Il colore rosso è quando la passione tra i due è forte, quando si vedono davvero innamorati; ovvero i momenti in cui Joel si rende conto di non voler più dimenticarla. L'arancione, un rosso sbiadito, è il colore della crisi, delle litigate, della fine; è il colore di un amore che sta lentamente scomparendo. Il verde, la speranza, è invece il colore del loro primo, vero, incontro.
I capelli di Clementine forniscono quindi una chiave di lettura per i ricordi di Joel.
“Joel: Non riesco a vedere niente di brutto in te.
Clementine: Ma lo vedrai! Certo, col tempo lo vedrai! Io invece mi annoierò con te e mi sentirò in trappola, perché è così che succede.
Joel: Ok.
Clementine: Ok?
Joel: Ok.”
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Intervista – ‘La Distruzione dell’amore’, l’omoaffettività che travolge e cauterizza nelle poesie di Anna Segre
Roma, 18 feb. – L’amore come tema fondante dell’ultima raccolta poetica di Anna Segre. La scrittrice e psicoterapeuta spalanca le porte della sua esperienza amorosa al verso che diventa linea della vita, pronto a raccontare l’omoaffettività e la forza travolgente di un sentimento totalizzante, naturale, ma spesso devastante.
L’approccio alla scrittura della Segre è istintivo, obbedisce alle regole del mondo animale, multi sfaccettato come l’animo umano. Attraverso i suoi versi i sensi si avvicinano al mondo della natura, dove le percezioni, gli odori, la gestualità, definiscono l’uno per il tutto, facendone ribalzare forze e contraddizioni.
Nella raccolta ‘La Distruzione dell’amore’, la poetessa racconta l’amore omosessuale con delicatezza, profondità ed essenzialità. Ribadisce che due donne si amano mai da uguali, ma sempre da diverse, dando vita alla danza amorosa che è battaglia intrisa di tregue e passioni.
Si abbatte così un tabù, dando voce all’amore lesbico anche con la lingua ebraica. Le origini della Segre vibrano nei suoi versi e l’ebraicità li pervade tutti. Così facendo si focalizza l’attenzione sul vero significato delle emozioni, scevre da ogni preconcetto sulla diversità di manifestazione amorosa.
“In fondo alla parola – scrive la poetessa in merito all’omoaffettività – troverei appropriato, preciso, somigliante ed onesto che ci fosse affettività. Senza escludere la pelvi, che è solo una comparsa nella metafora gloriosa dell’anima condivisa”.
L’ INTERVISTA
-Anna, da quando si è avvicinata alla poesia, cosa rappresenta per lei questa espressione artistica?
E’ sublimazione dal solido all’aeriforme. Penso che la poesia sia parte integrante dell’individuo che si esprime tramite le parole per come è. La scrittura assurge la personalità dell’uomo. Con essa non ci si può nascondere. La mia poesia è frutto di tutti i “calcoli renali” che il mio corpo ha patito in termini di conseguenza emotiva dell’amore. Vede, esiste un punto di partenza per la scrittura che è il pensiero. La cosa più difficile è tramutare questo pensiero in espressioni, con la sua validità per come lo si è formulato. Con la poesia ci si muove in un gioco di equilibrio puro tra i due ambiti. La mia poesia è istintiva; tutta la mia scrittura lo è e da sempre è interamente pervasa da poesia. Scrivere significa essere!
– Perchè ha scelto di parlare di distruzione dell’amore e che rapporto ha con il sentimento?
L’amore è come lo starnuto: lo idealizzi, speri in esso con intensità delirante, ti fai delle prospettive assurde, ti vai ad infrangere contro i limiti dell’altro che poi finisci per amare, portandoti dietro tutte le nevrosi infantili. Entri in conflitto anche con te stessa. Il tormento è un particolare registro di tutte le emozioni che mi hanno colpito nelle relazioni amorose e che sono venute fuori tramite la poesia. Tutte le ex che ho amato fanno ancora parte della mia vita, nonostante non siamo più insieme. Rido ancora delle cose che di loro ho adorato, che poi sono le cose che rimangono vere nell’animo. Non cancello niente; ricorderò per sempre tutto delle mie relazioni amorose, tanto da commuovermi ancora per ogni minimo dettaglio. L’amore copre il male…la verità è che io il bene non lo mollo mai anche se ho sofferto. Questo è il mio rapporto con il sentimento.
– Nella sua raccolta non parla di amore omosessuale ma di omoaffettività. Provi a definire questa espressione.
Il problema della stigmatizzazione arriva nella mia vita prima che in altre esistenze, perchè sono ebrea. Quando vieni definita omosessuale, questo suffisso è parte per il tutto; è perversione. Non puoi definirmi per ciò che faccio sessualmente. Il sesso è parte della relazione che deriva dall’amore. Ciò significa che io per essere lì con una persona devo stare nella relazione, vivere l’altro, innamorarmi dei suoi limiti, dei suoi difetti. Per questo credo sia opportuno parlare di omoaffettività e non di omosessualità.
– Nei suoi versi compaiono molte identificazioni con il regno animale. A quale animale si sente più vicina per il modo di concepire l’amore?
Sono un misto tra l’elefante e la mucca, perchè l’elefante ha memoria poderosa, fedeltà feroce, capacità di aggregarsi tra femmine in modo fantastico; è mite ma allo stesso tempo pericoloso. Sono anche mucca nel senso bovino del termine; nello scodinzolare nell’affettività.
– Oltre ad essere una poetessa è anche psicoterapeuta. Come ci spiega dunque l’amore ed in che modo cambia la percezione del sentimento tra il maschile ed il femminile?
L’amore è un dio e con esso si tocca l’incommensurabile. Noi abbiamo un corpo che è limitato…l’amore ci dà invece la possibilità di compiere il salto. I nostri sentimenti sono enormi rispetto a qualsiasi parte del corpo. Noi possiamo anche morire per amore quando questi sentimenti ci soverchiano e il sentimento è vissuto come dannazione. L’amore altro non è che uno stato alterato di coscienza. E’ come se le chiedessi di definirmi cosa sia la realtà. La risposta a questa domanda è sempre soggettiva. Lo stesso vale per l’amore in cui ogni ‘io’ dà la sua risposta.
Da psicoterapeuta ho compreso che il maschile vive il sentimento in modo più astruso, nel senso che gli uomini non sono educati a cogliere il sentimento dell’amore nella sua enormità. Vero è che spetta a noi donne in primis educare al sentimento.
–Esiste una parola che funga da filo rosso per ogni suo componimento? E ritiene che ogni innamorato sia un eroe?
La parola che racchiude il tutto è ingenuità. Per questo scrivo nei miei versi: “L’ingenuo si muove nella fiduciosa predisposizione che un angelo gli copra la testa. Dei rovi di complotti non sente le spine, ci passa accanto con la fede di non ferirsi senza la foia di districarli. Non ci sono trappole in cui cada perchè, anche in fondo a una fossa, è protetto dalla fiducia che nulla di brutto possa accadergli. E non si può chiamarla stupidità, visto che è ancora vivo, sorride e combatte meglio di chi dispera”. Vivo l’amore fidandomi non solo dell’amato, ma delle persone che incontro nella vita. E si, l’innamorato è un eroe che deve cimentarsi con l’idealizzabile che spesso depista, ma è anche colui che vive l’eros come passione sfegatata.
-Cosa intende comunicare al lettore con le sue poesie?
Non sarebbe bello se fosse il lettore a dirmi cosa gli ho comunicato? Mi piacerebbe arrivare all’inverso. Certamente la poesia mi toglie pietre e veleno da dentro, mi cauterizza perchè non esce da me pensata. Scrivo e viene fuori qualcosa che acquista significato per me e spero per chi lo legge, perchè la poesia è sigillo della vita.
source https://www.ilmonito.it/intervista-la-distruzione-dellamore-lomoaffettivita-che-travolge-e-cauterizza-nelle-poesie-di-anna-segre/
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Sono un bottone blu.
Nessuno di voi umani ricorda il momento della propria nascita, l’istante in cui una donna “vi dà alla luce”, come siete soliti dire. Eppure per noi “cose” è tutto diverso. Io, ad esempio, sono un bottone blu.
Ricordo di essere stato una miscela di plastica sciolta, bollente, prima di essere pressato sotto quella che sarebbe diventata un giorno la mia forma di oggi.
Ricordo di aver passato i miei primissimi mesi, quando ancora ero scombussolato dal fragore di questo nuovo mondo, in una scatola di latta. Sul rivestimento erano disegnati dolcetti e scritte corsive, che come dice la parola correvano tutt’attorno la superficie arrotondata, perciò pensavo sempre che nessuno si sarebbe ricordato che proprio lì dentro stavo io, assieme agli altri bottoni, aggrovigliati senza alcuna logica in una meravigliosa trama del disordine. E l’idea di restare in incognita per tutta la vita, detto tra noi, non mi dispiaceva.
Ricordo di aver passato anni interi a fissare quella fascia di luce che con il passare delle ore si spostava e penetrava da quel bordo di metallo che era diventato la mia casa. Provavo ad immaginare la terra fuori, dipinta di quei guizzi di luce che facevano innamorare persino i miei occhi, rinchiusi in un mondo millimetrico.
Ma il momento che ricordo meglio, sarà per sempre quella mattina di primavera, quando, tra i profumi dei boccioli e i tremori della rugiada al vento, tra le voci di un vinile graffiato e quelle delle rondini, una mano fece sobbalzare il nostro piccolo rifugio. Ciò che ci teneva al buio diede spazio a miliardi di colori, di bagliori… credevo che il cuore non potesse reggere questo tumulto vorticoso di sensi.
La pelle delle sue dita era molto chiara, e l’intensità dello smalto con cui erano state laccate le sue unghie curate accentuava la loro purezza cromata. Ricordo che scorse i polpastrelli caldi su ognuno di noi, come ci accarezzasse. Ora, che sono io a raccontare con le lacrime agli occhi, risulterà ovvio che scelse me, ma io mai me lo sarei aspettato. Non sono mai stato in attesa nella mia vita, prima di quel momento, ho soltanto riposato e spinto la mente su altalene di immagini inventate.
Lei, però, scelse me. Mi prese fra le sue mani, e per la prima volta vidi i suoi occhi, quegli occhi che con il tempo sarebbero diventati anche i miei, di giorno in giorno, di viaggio in viaggio, di sguardo in sguardo. Mi posò sul bracciolo di una poltrona color porpora, prese un filo di cotone bianco e con delicatezza chiese all’ago di farle spazio per lasciar passare la fibra sottile attraverso il mio corpo, per unirci in un legame di solo contatto. Nel tempo di un brivido facevo già parte di qualcosa di più grande.
La donna dalla quale ero stato scelto, aveva deciso che la mia nuova dimora sarebbe stato il suo petto, legato ad una blusa candida. Da quel momento sarei per sempre restato, protetto dall’abbraccio di un’asola spaziosa.
Incominciai a conoscere di chi era il corpo che mi aveva accolto; ogni mattina, le sue mani ancora calde di sogni e di caffè, mi avvolgevano per ripormi nuovamente al mio posto. Il momento che preferisco, prima che si esca di casa per andare a lavoro, è l’ultimo sguardo sfuggevole che si dà allo specchio, per mettere a posto qualche capello fuori posto o per accarezzare le lunghe ciglia nere come a pettinarle. D’altronde, durante la giornata, lo specchio è l’unico mezzo che ho per guardare i suoi occhi, il suo viso, solitamente vedo soltanto quello che è lei a vedere. Stiamo dalla stessa parte.
Con il tempo ho imparato a capire anche i movimenti della sua anima. Le ansie, le paure, gli amori, le felicità, le riflessioni… ognuno di essi possiede un ritmo proprio, e il suo petto si muove, sotto il mio corpo, secondo la frequenza dei propri battiti.
In questi anni ho sempre adorato l’inverno insieme a lei. Passavamo le giornate avvolti in cappotti roventi del suo profumato calore, seppure non potessi mostrare quasi a nessuno il mio bel colore acceso.
Niente, però, mi ha mai fatto tremare quanto i suoi innamoramenti fugaci. Ricordo la prima volta che successe, nel bel mezzo di un parco, quello proprio nel centro della città. Era autunno, e ogni foglia aveva già iniziato da un po’ la sua metamorfosi cromatica, in un vortice di baleni tenui. La mia donna aveva deciso di voler alzare un po’ di più lo sguardo, e così si era incamminata tra le vie di ciottoli bagnati, osservando la biancheria stesa alle finestre del centro, dalle magliette di bambini a bande rosse e bianche, alle vestaglie in pizzo nero di spose annoiate. Comprò un caffè, velocemente, con un debole sorriso soltanto accennato, dissolto tra quei pensieri che la sopraffacevano. Arrivata al parco scelse una panchina, quella priva del terzo asse in legno, sfilò il cappotto e ne estrasse un libricino dalla copertina bianca, con soltanto alcune parole scritte sopra. Mentre lei leggeva, io seguivo i fluttui che le lettere, una accanto all’altra, creavano. Era poesia, posso assicurarlo, non tanto perchè io sapessi estrarne un qualche significato, quanto perchè le frasi, sovrapposte, costruivano una scala; erano le sue preferite.
Non ho mai amato la musica perchè, solitamente, ogni volta che Lei ascoltava una melodia, il ritmo del suo petto, che io sentivo così forte, scombussolava l’andamento dei battiti provenienti dal giradischi. Eppure, quel giorno, ogni vibrazione che arrivava a me, sembrava essere in sintonia. In lontananza, l’eco delle corde di una chitarra dal corpo umido, rifletteva su ogni tronco d’albero, su ogni velo d’acqua, per poi giungere a noi, quasi amplificato.
E’ stato proprio in quell’atmosfera mistica, intrisa di stimoli sensoriali, che quella prima figura d’amore avanzò verso la mia donna. Con il suo energico incedere, si scoprì alla luce un giovane uomo flessibile, dalle lunghe dita affusolate che sembravano appoggiarsi all’aria ad ogni passo. La sua barba mora e quasi folta si scostò dalle sue labbra per fare spazio ad alcune parole, con le quali avrebbe poi convinto Lei a regalargli un po’ di quella preziosa poesia bianca.
Da quel giorno lo vedemmo spesso, Lei parlava alle sue orecchie e io mi dondolavo su quella serenità. Ricordo la tenerezza delle prime volte. Ricordo le sere passate davanti al camino, tra calici di vino rosso e incenso, il calore che mi bruciava il corpo ogni volta che si avvicinava al fuoco per aggiungere della legna. I suoi occhi ed io avevamo lo stesso riflesso lucido al fronte delle fiamme, io a causa della mia vernice lucida, e loro a causa delle emozioni che si nascondevano appena sotto le palpebre. Ricordo anche quando rimaneva nuda di fronte a lui, coperta soltanto da me e dalla blusa bianca, quasi trasparente. Quando lui la stringeva a sè, sentivo attorno a me una confusione inverosimile, incomprensibile. Si mescolavano, ed io, appoggiato tra i suoi capezzoli turgidi che sporgevano dal tessuto, riposavo palpitante, felice delle sue sensazioni forti.
Così finisco di raccontare quel poco di vita che la mia Donna è stata capace di regalarmi fin’ora. Nonostante io sia soltanto un oggetto silenzioso, immobile. E’ giusto, credo, che vi ricordiate della mia quieta presenza, che vi ricordiate di darmi uno sguardo, ogni tanto, quando attraverso i viali appoggiato alla mia blusa, sul corpo della mia Donna. E soprattutto che ripensiate a questa mia breve esistenza, raccontata in poche righe, che ho visto da questo petto caldo.
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Christmas nail art: da Babbo Natale al fiocco di neve, tutte le unghie con i simboli del Natale 2019
Christmas nail art: tutte le unghie con i simboli del Natale 2020
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Christmas nail art: tutte le unghie con i simboli del Natale 2020
C’è chi freme al pensiero del Natale e già a Novembre non vede l’ora di “tuffarsi” nel magico mondo delle decorazioni per sognare e ritornare un po’ bambino! Di fatto, l’attrazione che spesso nutriamo per il Natale, per la sua magica atmosfera intrisa di luce, decorazioni e simboli, altro non è che un “sentiero” che riconduce all’infanzia e all’entusiasmo dettato dalle magiche emozioni vissute nei giorni di festa. Ecco perché immergersi nell’atmosfera natalizia e circondarsi dei suoi simboli iconici rende felici e aiuta a evidenziare e a prolungare quella sensazione di eccitazione che tanto riscalda il cuore! Per vivere al meglio lo spirito del Natale, e sentirsi addosso tutta l’energia positiva della festa più amata dell’anno, anche la nail art si adegua, lasciando libera la creatività di interpretare al meglio la manicure con i simboli natalizi iconici. A proposito, conoscete il significato dei più diffusi?
1.BABBO NATALE Lo conosciamo come Babbo Natale, Papa Noël, Father Christmas o Santa Claus ed è il simbolo per antonomasia del Natale dei bambini, ma anche degli adulti che non hanno mai smesso di credere nella “magia” della festa! La sua storia ha origini antiche e pare sia collegata a quella di San Nicola, al tempo in cui, vescovo a Myra in Turchia, nel IV secolo, portava doni a tutti i bambini della regione in groppa a un asinello. Da qui nacque la tradizione olandese di Sinterklaas, che si diffuse poi in tutta Europa e successivamente negli Stati Uniti, dove divenne Santa Claus, San Nicola appunto.
2.LE RENNE E LA SLITTA Sono le otto preziose “alleate” di Santa Claus che la notte di Natale volano in tutti i cieli del mondo per portare doni ai bambini! La comparsa delle renne nella tradizione natalizia avviene ufficialmente nel 1823, in una poesia pubblicata a New York dal titolo A visit from St. Nicholas.
3.IL PUPAZZO DI NEVE Nell’iconografia natalizia ha un posto di tutto rispetto anche l’amato pupazzo di neve! Secondo alcune leggende sarebbe un aiutante di Babbo Natale, cui è affidato il compito di far nevicare, creando le condizioni ideali per la consegna dei doni la notte di Natale.
4.IL FIOCCO DI NEVE La leggerezza con cui cade fa pensare a una grazia che scende direttamente dal cielo, mentre il candore e la complessità della forma geometrica cui è associato richiamano la purezza e l’idea di perfezione naturale.
5.LA GHIRLANDA Tradizionalmente di forma rotonda, realizzata in legno, agrifoglio, stoffa e materiali vari, la ghirlanda ha un’origine lontana. È storicamente un simbolo di vittoria: già ai tempi dell’Impero romano gli atleti ricevano infatti corone di alloro che venivano poi appese anche alle porte di casa per segnalare le vittorie conseguite.
6.LA CALZA DI NATALE Secondo la leggenda, San Nicola salvò tre povere fanciulle senza dote e una notte, arrampicandosi sul tetto della loro casa, lasciò cadere delle monete d’oro nelle calze che le ragazze avevano steso sul camino. In molti Paesi è pertanto usanza appendere le calze al camino, nella speranza di trovare una sorpresa il mattino successivo.
7.I BASTONCINI DI ZUCCHERO Molto popolari nella tradizione natalizia anglosassone, si racconta che i candy cane, invitanti bastoncini di zucchero bianchi e rossi, usati anche per le decorazioni dell’albero di Natale, siano stati inventati da un pasticcere americano desideroso di dedicare un dolce a Gesù. Creò pertanto un bastoncino (il bastone del “pastore”) a forma di J (come Jesus), di colore bianco, a significare la purezza di Gesù, e rosso, a ricordare il sangue da lui versato.
8.LA STELLA COMETA La stella ha un significato metaforico associato alla luce, allo splendore, alla capacità di portare speranza e positività. La prima stella cometa con la coda fu disegnata da Giotto nell’Adorazione dei Magi della Cappella Scrovegni di Padova, probabilmente dopo aver personalmente assistito al passaggio della Cometa di Halley, avvenuto nel 1301.
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Oggi il blog consiglia un libro che attraverso la musica parla al nostro io più profondo "Tu sei Musica" di Simona Bianchera, Panesi editore. Imperdibile!
Oggi il blog consiglia un libro che attraverso la musica parla al nostro io più profondo “Tu sei Musica” di Simona Bianchera, Panesi editore. Imperdibile!
La musica regala emozioni, libertà, gioia, commozione.
Ma avete mai pensato che potrebbe anche cambiarvi la vita?
Questo è quello sta per succedere ad Alaska e Daniel: grazie alla musica si conosceranno… e niente sarà più come prima. Una rocambolesca storia d’amore, amicizia, avventura, intrisa di arte, di pittura, di fotografia, di poesia e di tanta musica vi aspetta.
Tanti spunti…
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Rosetta Sacchi, una nuova voce poetica su Alessandria Today. L’autrice che esplora le profondità dell'anima attraverso la poesia
Presentazione ai lettori di Alessandria Today
Presentazione ai lettori di Alessandria Today: Rosetta Sacchi è una nuova autrice che si unisce alla grande famiglia di Alessandria Today. Nata nel 1962 a Palata, in provincia di Campobasso, ha trascorso la sua vita esplorando l’arte della poesia, che ha iniziato a coltivare fin dall’adolescenza. La sua scrittura è intrisa di emozioni profonde, dove ogni verso cattura un momento dell’esperienza…
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“Stai cavalcando la marea, e sei sola”: le lettere di Robert Lowell a Anne Sexton e a “Jackie” Kennedy
Anne Sexton pubblica il primo libro nel 1960. S’intitola To Bedlam and Part Way Back. La Sexton ha 32 anni, si ammazza 14 anni dopo, alla Boston University, nel 1958, frequenta il corso di scrittura di Robert Lowell. Lowell le insegna la malia del verso, il verso come binocolo sadico spinto nei rifugi del cuore. In quello stesso ambito la Sexton conosce Sylvia Plath, di cui percorre, drasticamente la via – ma era la Plath, invero, a essere invidiosa, per così dire, della spavalderia lirica della Sexton. Nella lettera in cui Lowell accusa la lettura del libro della Sexton, che si prepara a pubblicare All My Pretty Ones, il maestro elogia l’audacia dell’allieva. Tuttavia, le ricorda che le sue scelte liriche sono riconducibili a Life Studies, la raccolta “confessionale” di Lowell edita nel 1959. Eppure, leggendo Rosaria Lo Russo (in: Anne Sexton, Poesie d’amore, Le Lettere, 1996), “bisogna sfatare il pregiudizio: di solito viene indicato Lowell, con Life Studies, come iniziatore dello stile confessional, e quindi modello, in quanto maestro e mentore, della Sexton. Ma il libro del maestro e la prima raccolta dell’allieva sono stati scritti contemporaneamente: all’epoca del corso e della stesura del libro Anne non conosceva la poesia di Lowell, mentre questi aveva letto e supervisionato il manoscritto dell’allieva molto prima della pubblicazione di Life Studies. Nelle interviste la Sexton non si stancherà mai di ricordare, non senza una certa stizza, che il maestro aveva avuto il merito d’insegnarle cosa cancellare da un testo ma non cosa scriversi”. In verità, nella lettera tradotta, si legge come Lowell riconosca una specifica verità stilistica, un percorso poetico autonomo, alla Sexton. Donna di spericolata nitidezza.
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Mi affascinano le lettere non per ciò che di vero si cela in esse, ma per la maschera che indossa lo scrittore nel redigerle. Il linguaggio è sempre un fraintendimento – parlo & scrivo per dare ad altri una certa immagine di me – ma la lettera, che sovverte il tempo (scrivo ora qualcosa che ti arriverà, forse, poi) e il metodo (tu non puoi rispondermi subito, le mie parole depositano una attesa, una attrazione verso la replica), è una menzogna così audace che ammette l’estrema nudità. In fondo, la lettera è una consegna: fai del mio scritto ciò che vuoi. Lascia, per lo meno, che fugga.
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La lettera di Lowell a Jacqueline Kennedy non dimostra soltanto il suo status – viene da famiglia bene di Boston – ma la sua disciplina politica. Negli Usa, come nella vecchia Atene e nell’anglicana UK, fare politica è vivere, l’artista non è rinchiuso nella torre d’avorio, in una schifiltosa magione di intellettuali. Lowell ha sputtanato la sottana della Casa Bianca, ma ha anche dato il suo aiuto durante le campagne elettorali, sempre da poeta, cioè da uomo errante, che sbaglia, che fa lirica e delirio. Che sta nella mischia, che alterna la lotta senza lottizzare la solitdine. La poesia a ‘Bobby’ Kennedy, in ogni caso, è molto bella – sintomo di un tempo, di un’indole, ora sopraffatta dal cinismo.
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Nei lati d’ombra delle lettere, negli angoli, una specie di tenerezza. Come se stessimo sotto il tavolo della sala, mentre qualcuno si muove, tra questa e altre stanze, alcuni si baciano, forse, e questo lo intuiamo dall’alberatura che prendono le gambe. (d.b.)
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New York, 1 dicembre 1961
Cara Anna,
lasciami scrivere alcune impressioni generali, generiche, sparse. Se sono incoerenti, non importa. La cosa migliore del tuo libro è la pienezza incontaminata. Ho come l’impressione che tu aumenti l’offerta e il peso; le migliori poesie della prima parte, infatti, si riversano nella seconda, vi si aggiungono. Non dovresti essere troppo critica, non dovresti essere alla mercé della tua paura, devi soltanto avere paura di perdere il tuo centro e urlare nel vago. Questo non l’hai fatto. La mia poesia prediletta l’hai pubblicata sulla “Hudson Review”, quella su tuo padre, forse la stampa aiuta, ma lì sento passione e concentrazione. Diverse poesie replicano grosso modo lo stile del mio Life Studies; il metodo e spesso le emozioni (questo dipende non da imitazione ma da una esperienza simile – penso spesso e sento così, anche se scrivo altrimenti) mi sono familiari, e ora quasi ti invidio. Sono felice che tu ti sia addentrata nel nuovo, le poesie religiose, gli schizzi sui personaggi. Hanno esiti diversi, ma danno al libro un tono professionale e non solo confessionale, un piacere nella scrittura. La tua Lettera finale è un’ottima idea, si legge come una delle tue lettere. Dubito sia la tua poesia migliore. Forse, finirò per imitarla.
Errori? Non penso ci siano. Sono inevitabili limitazioni umane – le tue! Ci sono alcuni spigoli, una certa monotonia, un modo di scrivere che molla il tema centrale in modo troppo frettoloso, ci sono zone vuote, momenti poco ispirati che sbucano con la maschera della poesia, poesie che tutti potranno dire “sono Sexton” e quindi sono preziose. A volte ho la sensazione che tu sia uno dei pochi poeti in grado di scrivere un libro intero, come l’Antologia di Spoon River, in cui i piccoli momenti giustificano i grandi momenti, con pochi sprechi. In certa misura, così hai fatto – e hai fatto tesoro della tua vita. Questo suona sapienziale! Dopo tutti questi anni “Spoon River” non è proprio così, sopravvive in una manciata di pezzi migliori. Comunque, che pugnalata una raccolta intera di brevi poesie!
Ultimamente, mi stupisce che pur facendo molte cose diverse restiamo sempre gli stessi. La maggior parte delle persone, tuttavia, non è che all’inizio nella scoperta di sé. Quando qualcuno sa chi è, come hai fatto tu, e si denuda con questa profondità, è assurdo sottolineare i piccoli difetti. Ne hai molti, ma non contano, perché il libro, in generale, dà l’idea di una revisione profonda, di una rielaborazione radicale. Penso che il tuo prossimo libro costituirà un ulteriore passo avanti.
Sarò a Boston dal 7 al 9, da Bill Alfred. Ho una raffica di impegni, ma potremmo lavorare su qualcosa, sabato o domenica, altrimenti potremmo accordarci per telefono e potresti fermarti qui un giorno. Dubito tuttavia che sarebbe utile discutere di poesia. Stai cavalcando la marea e sei sola. Sarebbe bello vederti, però.
Grazie per la lettera e il libro, con affetto.
Cal
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New York, 10 giugno 1968
Cara Jackie,
avrei voluto scriverti una lunga lettera, una lettera intrisa di lutto, ma anche di scuse, perché penso che avrei potuto fare qualcosa per Bobby, avrei potuto aiutarlo, con qualche parola, qualche consiglio di cautela, forse. Ci ho provato molte volte, non con intenzione cosciente, con istinto. Sapeva quale fosse il suo destino, ha scelto: una vita gloriosa, benché breve. E forse è questo il meglio. Spero che non mi sottrarrai dagli impegni per la campagna di Eugene McCarthy. Non potrei fare altro. Penso di essere una delle poche persone a desiderare ardentemente tuo cognato o McCarthy.
Sono stanco, non posso scriverti una lunga lettera, ti prego di considerare questa breve poesia – parte di una serie di 120, intitolata Notebook of a Year) come un tributo.
R.F.K Qui nel mio studio, la sua indolenza vacanziera, una vecchia casa vittoriana, ermetica e rivestito da vecchie estati, lontano dal calabrone che ronza – è solo solitudine, traccia di fumo che screzia l’aria. Che cosa posso prenderti ora? Sventura era intessuta nei tuoi nervi, nella camicia, sventura intrisa nel grande clan; furono leali tu eri il più leale tra di loro… da morirne. Per loro, come un principe, partivi ogni giorno dalla torre verso la miseria nel tuo vestito migliore. Qui, solo, ora, nella mia sfera plutarchiana, mi manchi dolorosamente, tu, fatto di carne, creatura di Plutarco – per sempre fai ingresso nella nostra giovinezza.
Non so dire altro. Condivido il tuo dolore. Come sempre, con affetto, Cal.
*I testi sono tratti da: Robert Lowell, “The Letters of Robert Lowell”, ed. Saskia Hamilton, Farrar, Straus and Giroux, 2005
**In copertina: Anne Sexton e Galway Kinnell, 11 novembre 1968, photo Jill Krementz
L'articolo “Stai cavalcando la marea, e sei sola”: le lettere di Robert Lowell a Anne Sexton e a “Jackie” Kennedy proviene da Pangea.
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