#poesia d’amore vera
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“Se saprai starmi vicino” non è di Pablo Neruda: verità e significato di una poesia spesso attribuita erroneamente
Un testo poetico sull’amore autentico, scritto da Rosita Vicari nel 1991, erroneamente attribuito per anni al poeta cileno Pablo Neruda. “Se saprai starmi vicino” è una poesia delicata e profonda che da anni circola sul web e sui social network, quasi sempre accompagnata dall’attribuzione a Pablo Neruda, il celebre poeta cileno premio Nobel per la letteratura. Tuttavia, la vera autrice di questi…
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Nancy Cunard

Amo la pace, la campagna, la Spagna repubblicana e l’Italia antifascista, i neri e la loro cultura afroamericana, tutta l’America Latina che conosco, la musica, la pittura, la poesia e il giornalismo. Ho sempre vissuto in Francia da quando mi è stato possibile, nel 1920. Odio il fascismo, lo snobismo e tutto quello che gli sta attorno.
Nancy Cunard poeta e militante antirazzista e antifascista, è stata editrice, giornalista, inviata di guerra e traduttrice per la resistenza.
Una vita epica che ha ispirato libri, film e opere teatrali.
Con coraggio e determinazione, rinnegando le origini altolocate e i privilegi di nascita, ha sostenuto le cause delle persone emarginate, discriminate, esiliate, travalicando ogni barriera culturale, sociale e morale del suo tempo.
Nata a Londra il 10 marzo 1896 in una famiglia della ricca borghesia e aristocrazia inglese, suo padre era un baronetto erede di un impero navale e sua madre un’ereditiera americana popolare nell’alta società. Genitori, ricchi e viziati, amanti della bella vita che si erano separati quando lei aveva quattordici anni.
Aveva frequentato i college più prestigiosi in giro per l’Europa e debuttato in società con il principe di Galles a farle da cavaliere, ma il suo anticonformismo morale, sessuale e politico l’ha portata a fare altre scelte.
Negli anni ’20 si era trasferita in Francia, dove aveva iniziato a scrivere e frequentare esponenti delle avanguardie artistiche del surrealismo e dadaismo. Iniziò una importante storia d’amore col poeta Louis Aragon.
Era amica di Ezra Pound, Aldous Huxley e Virginia Woolf, che come lei volevano mettere in discussione e decostruire le soffocanti tradizioni dell’epoca vittoriana, il puritanesimo anglosassone e l’impero colonialista. Fumava, beveva, vestiva in maniera eccentrica e destava scandalo con i suoi numerosi amori omo e eterosessuali.
Nel 1927 aveva fondato la sua casa editrice, The Hours Press, dedicata principalmente alla poesia contemporanea, le copertine dei suoi libri venivano illustrate dai più grandi artisti del momento, come Man Ray e Yves Tangui. Per prima ha pubblicato Samuel Beckett. La sua eredità le permetteva di rischiare finanziando opere che nessun altro editore osava pubblicare.
Nel 1930 ha partecipato alla diffusione del film surrealista L’Âge d’or di Luis Buñuel, che venne fortemente ostacolato e censurato e di cui lei aveva organizzato, con ostinazione, anche una proiezione a Londra.
A causa delle sua relazione con Henry Crowder, musicista jazz afro-americano, che l’aveva resa bersaglio di attacchi razzisti di ogni genere, tanto che sua madre l’aveva diseredata, l’aveva portata a contatto con il razzismo sistemico e la segregazione, che la resero un’attivista a favore dei diritti civili negli Stati Uniti.
Nel 1931 ha scritto un testo durissimo rivolto a sua madre, poi pubblicato con il titolo Black Man and White Ladyship che era un tenace attacco al razzismo.
La sua Negro: An Anthology, del 1934, un volume in sette sezioni, tra poesie, racconti e saggi, che è una vera e propria enciclopedia sociale, politica e culturale della “negritudine” nel mondo, a favore della diversità culturale e del diritto all’autodeterminazione di ogni individuo.
Un’opera di importanza epocale, per la prima volta si dava la parola alle persone protagoniste della discriminazione.
Un’azione culturale militante, che, con approccio documentaristico, raccontava la ricca storia culturale e sociale delle persone nere d’America, Africa e Europa, per dimostrare che il pregiudizio razziale non poggia su alcuna giustificazione.
Aveva messo insieme 150 autrici e autori neri, bianchi, più o meno politicamente impegnati, sportivi, giornalisti, antropologi, storici, scrittori, poeti, musicisti, cantanti, universitari e militanti.
Un’opera scomoda e incredibilmente coraggiosa che fu oggetto di pesanti minacce e pressioni che ne limitarono la diffusione.
Partecipare alla lotta contro razzismo e nazifascismo fu per lei un dovere improrogabile fin da quando aveva messo la sua penna al servizio dell’impegno politico.
Appassionata di arte africana, collezionava giganteschi gioielli di legno e avorio che indossava dal polso al gomito. Portava i capelli corti, il cilindro, abiti argentati e decine di bracciali.
Antifascista e anarchica, si è schierata contro l’occupazione italiana dell’Etiopia e poi a favore dei repubblicani in Spagna, dove era stata inviata come giornalista dal Manchester Guardian, scrivendo reportage sull’esodo e sui campi di concentramento nella Francia del Fronte popolare. Ha portato sostegno ai profughi anche a guerra terminata. Per la sua partecipazione attiva alla causa anti franchista venne accusata di attività cospiratrici e arrestata.
Nel 1937 chiese ai suoi amici poeti – tra cui Tristan Tzara, W.H. Auden e Pablo Neruda – di donare una poesia contro la guerra che pubblicò con il titolo The Poets of the World Defend the Spanish People. Lo stesso anno spedì a circa duecento scrittori e scrittrici, un questionario che chiedeva loro di prendere posizione sulla guerra civile spagnola. Le risposte uscirono su Left Review con il titolo Authors Take Sides on the Spanish War.
Durante la Seconda guerra mondiale, da Londra, ha lavorato, giorno e notte, come traduttrice per la Resistenza francese, tanto da arrivare a un vero e proprio logoramento fisico e psichico.
Dopo la guerra, indebolita nel corpo e nello spirito, attanagliata da difficoltà economiche e dai troppi abusi, ha vissuto anni difficilissimi. Venne anche ricoverata in manicomio.
È morta in completa solitudine all’Hôpital Cochin il 17 marzo 1965, era arrivata a pesare 27 chili.
Da una condizione di assoluto privilegio ha avuto il coraggio e l’ostinazione di trasformare la propria vita in un inno alla libertà, alla ribellione, alla lotta contro le ingiustizie e contro la stupidità umana.
È stata un’icona e un punto di riferimento per intere generazioni. Ha ispirato Ernest Hemingway che ne fece una delle eroine di Fiesta, Aldous Huxley la raccontò in Punto contro punto, Eveliyn Waugh in Resa incondizionata. In Aspettando Godot di Samuel Beckett il suo nome risuona sei volte, è presente nei Cantos di Ezra Pound, così come nella prima versione della Terra desolata di T.S. Eliot. Louis Aragon le è debitore di due libri, Blanche ou l’oubli e Le Con d’Irène, Tristan Tzara di una commedia, Mouchoir de nuage, Pablo Neruda di una raccolta poetica, Waltz. Il primo bestseller da un milione di copie dell’epoca, The Green Hat di Michael Arlen, l’ha vista protagonista. È stata scolpita da Constantin Brancusi, fotografata da Man Ray e Cecil Beaton, dipinta da Oskar Kokoschka e disegnata da Wyndam Lewis.
Al cinema, nel 1929, è stata interpretata da Greta Garbo nel film Destino che, come recitava la prima didascalia che accompagnava le immagini mute, era la storia di una donna coraggiosa e forse insensata.
Nancy Cunard ha segnato un’epoca, appassionata e intelligentissima, il suo stile originale travalica mode ed epoche.
Una donna che la storia dovrebbe ricordare con molto più entusiasmo e rispetto.
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Una poesia di Danijela Cuk
Foto cortesia di Danijela Cuk VITA La vita non è miele e latte, ma è l’unico che abbiamo, abbiamo bisogno di conoscerci e donarci, affinché anche noi potessimo ricevere. Nessuno è perfetto, né esiste un uomo senza problemi, perché c’è felicità nella vita, quindi non c’è vita senza sfide. Siamo umili per essere ricchi, perché solo così possiamo vedere la vera bellezza, con occhi d’amore, cuore e…
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Non scorderò mai quel periodo in cui non c’eri,
quando l’ultimo atto di fatto era il primo dei miei pensieri.
Kaos - Cose preziose
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Se per un istante
Dio mio se avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’arrivo del sole. Sulle stelle dipingerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.
[...]
Ho imparato così tanto da voi, Uomini…
Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre.
Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saranno granchè utili, perchè quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire.
[...]
Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli. Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.
— Gabriel García Márquez
#Gabriel García Márquez#poesia#poetry#Dio#vita#consapevolezza#bellezza#sausade#letteratura#Van Gogh#Serrat#arte#art
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Se per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di stoffa e mi facesse dono di un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma penserei a tutto ciò che dico. Valuterei le cose, non per il loro valore, ma per ciò che significano. Dormirei poco, sognerei di più, essendo cosciente che per ogni minuto che teniamo gli occhi chiusi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei avanti quando gli altri si ritirano, mi sveglierei quando gli altri dormono.
Ascolterei quando gli altri parlano e con quanto piacere gusterei un buon gelato al cioccolato…
Se Dio mi desse un pezzo di vita, mi vestirei in modo semplice, e prima di tutto butterei me stesso in fronte al sole, mettendo a nudo non solo il mio corpo, ma anche la mia anima.
Dio mio se avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’arrivo del sole. Sulle stelle dipingerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.
Dio mio se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uomo e ad ogni donna che sono i miei prediletti e vivrei innamorato dell’amore.
Mostrerei agli uomini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamorarsi man mano che invecchiano, non sapendo che invecchiano quando smettono di innamorarsi!
A un bambino darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza.
Ho imparato così tanto da voi, Uomini…
Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre.
Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saranno granchè utili, perchè quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire.
Dì sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle ascoltare una e più volte ancora.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.
Sempre c’è un domani e la vita ci dà un’altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò.
Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio. Oggi può essere l’ultima volta che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perchè se il domani non arrivasse, sicuramente compiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio.
Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli. Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.
Gabriel García Márquez
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Se per un istante
Se per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di stoffa e mi facesse dono di un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma penserei a tutto ciò che dico. Valuterei le cose, non per il loro valore, ma per ciò che significano. Dormirei poco, sognerei di più, essendo cosciente che per ogni minuto che teniamo gli occhi chiusi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei avanti quando gli altri si ritirano, mi sveglierei quando gli altri dormono.
Ascolterei quando gli altri parlano e con quanto piacere gusterei un buon gelato al cioccolato…
Se Dio mi desse un pezzo di vita, mi vestirei in modo semplice, e prima di tutto butterei me stesso in fronte al sole, mettendo a nudo non solo il mio corpo, ma anche la mia anima.
Dio mio se avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’arrivo del sole. Sulle stelle dipingerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.
Dio mio se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uomo e ad ogni donna che sono i miei prediletti e vivrei innamorato dell’amore.
Mostrerei agli uomini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamorarsi man mano che invecchiano, non sapendo che invecchiano quando smettono di innamorarsi!
A un bambino darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza.
Ho imparato così tanto da voi, Uomini…
Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre.
Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saranno granchè utili, perchè quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire.
Dì sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle ascoltare una e più volte ancora.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.
Sempre c’è un domani e la vita ci dà un’altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò.
Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio. Oggi può essere l’ultima volta che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perchè se il domani non arrivasse, sicuramente compiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio.
Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli. Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.
Gabriel García Márquez
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La marionetta
“Se solo per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di pezza e mi regalasse un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma in definitiva penserei tutto ciò che dico. Darei valore alle cose, non per ciò che valgono, ma per ciò che significano.
Dormirei poco, sognerei di più, capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei quando gli altri si fermano, mi sveglierei mentre gli altri dormono.
Ascolterei mentre gli altri parlano, e come mi godrei un buon gelato al cioccolato !
Se Dio mi facesse dono di un pezzo di vita, vestirei semplicemente, mi butterei disteso al sole, lasciando scoperto non solo il mio corpo, ma anche la mia anima.
Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio, e aspetterei che il sole uscisse. Dipingerei con un sogno di Van Gogh sulle stelle una poesia di Benedetti, e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che gli offrirei alla luna.
Annaffierei con le mie lacrime una rosa, per sentire il dolore delle sue spine, e con le labbra la carnosa sensazione dei suoi petali…
Dio mio, se io avessi un pezzo di vita… Non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente a cui voglio bene, che le voglio bene.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna che essi sono i miei preferiti, e vivrei innamorato dell’amore.
Agli uomini gli dimostrerei quanto si sbagliano al pensare che smettono d’innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono d’innamorarsi!
A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che da solo imparasse a volare.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con l’oblio.
Tante cose ho imparato da voi uomini…
Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità risiede proprio nel risalire la scarpata.
Ho imparato che quando un appena nato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito del padre, lo racchiude per sempre.
Ho imparato che un uomo ha diritto a guardarne un altro dall’alto solo per aiutarlo ad alzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto apprendere da voi, ma in verità a molto non potrebbero servire, perché quando mi metterete dentro quella borsa, infelicemente starò morendo.
Dì sempre ciò che senti e fai ciò che pensi. Se sapessi che oggi sarà l’ultimo giorno in cui ti vedrò dormire, ti abbraccerei forte e pregherei il Signore affinché possa essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che questa è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti bacerei, e ti richiamerei per dartene ancora.
Se sapessi che questa è l’ultima volta che ascolterò la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterla riascoltare una ed un’altra volta all’infinito.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti in cui ti vedo, ti direi “ti amo” senza assumere, scioccamente, che lo sai di già.
Sempre c’è un domani e la vita ci da un’altra opportunità per fare bene le cose, ma se sbaglio, e oggi è tutto ciò che mi resta, mi piacerebbe dirti che ti voglio bene, e che mai ti dimenticherò.
Il domani non è assicurato a nessuno, giovane o vecchio.
Oggi può essere l’ultimo giorno che vedi coloro che ami.
Perciò non aspettare più, fallo oggi, perché se il domani non dovesse mai arrivare, sicuramente lamenterai il giorno che non hai preso tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio, e che sarai stato troppo occupato per concederli un ultimo desiderio.
Mantieni coloro che ami vicini a te, dì loro all’orecchio quanto ne hai bisogno, amali e trattali bene, prenditi tempo per dirgli “mi dispiace”, “perdonami”, “per piacere”, “grazie”, e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per saperli esprimere; e dimostra ai tuoi amici quanto t’importano.
Johnny Welch
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Storia Di Musica #106 - Mad River, Mad River, 1968
Febbraio verrà dedicato a 4 storie di band poco (o pochissimo) conosciute, che però hanno regalato dei dischi davvero pregevoli e che sono per me dei capolavori musicali. La storia di oggi ci porta a San Francisco, nella Bay Area, fine anni ‘60: la California in quel decennio è il faro della trasformazione sociale e culturale giovanile. Nel quartiere di Haight Ashbury si riuniscono le comuni culturali, che per prime sperimenteranno le contaminazioni di genere: tra reading di poesie, musiche che seguivano i flussi sensoriali dell’uso delle droghe, la riscoperta della cultura dei nativi e una forte spinta politica, soprattutto sui diritti civili, delle minoranze e contro una certa ipocrisia “degli adulti”. Lawrence Hammond, cantante e chitarrista, veniva dall’Ohio, dove nel 1965 fonda insieme a Dave Robinson (anch’egli cantante e chitarrista) e Tom Manning (che suona il basso) un gruppo che suona il blues, dal nome di Old Time Jug Band. Dopo le prime promettenti esibizioni, a loro si aggiunge Greg Dewey alla batteria. Si trasferiscono con questa formazione a Yellow Spring, dove frequentano il college. La sorella di Dewey va in California, proprio a San Francisco, e quando Rick Bockner si aggiunge al gruppo, i ragazzi decidono nel 1967 di tentare la carta californiana. La fortuna volle che a Berkeley, uno dei centri Universitari più attivi nelle manifestazioni politiche e civili, fosse organizzato un concerto a Provo Park, dove la band suonò in una sorta di festival di band emergenti (tra cui i Blue Cheer). Tra il pubblico c’era uno scrittore e poeta, Richard Brautigan, che proprio in quel 1967 vedeva esplodere la sua popolarità grazie al successo del suo libro, Pesca Alla Trota Negli Stati Uniti, un romanzo prosimetro (cioè scritto in parte in prosa e in parte in poesia) che racconta lo spirito ribelle e selvaggio di quei tempi. Brautigan è colpito dall’aura cupa e particolare della musica dei nostri, dalle loro improvvisazioni musicali legate al blues e dagli assoli dolenti e magici delle loro canzoni: nel frattempo in onore di un affluente del fiume Ohio, si chiamano Mad River, mischiando le radici blues con cui hanno imparato a suonare con potenti e incisivi innesti di musica psichedelica, in un incrocio davvero riuscito tra la forza del blues elettrico e le sognanti e immaginifiche strutture sonore della musica della Bay Area. Brautigan convinse la prestigiosa Capitol Records a dare un’opportunità ai Mad River, che nel frattempo perdono Tom Manning che si chiama fuori. Con la formazione a 4 pubblicano questo disco, omonimo, vera gemma della musica del periodo. Vi svelo subito che Mad River, che esce nel 1968, non ha successo anche perchè le canzoni furono incise sul vinile a velocità aumentata, mortificando tutto l’insieme. La Edsel, piccola etichetta discografica tedesca, anni dopo, ripristinerà la velocità originale, e questa versione consiglio di ascoltare. Merciful Monks è l’apertura del disco, tra beat psichedelico e la voce dolente di Hammond e le schitarrate in jingle jangle di Robinson, che a metà brano parte in un assolo formidabile; High All The Time aperta da lancinanti riff di chitarra, una sorta di manifesto programmatico, sfoggia in più delle armonie vocali niente male, dato che tutti e 4 i componenti contribuiscono ai cori; Amphetamine Gazzelle è il primo piccolo capolavoro, veloce e brutale canzone in pieno effetto trip, con le parti recitate iniziali che assomigliano a incubi e cattivi consiglieri. La band riesce a sviluppare a pieno il canovaccio di band poi divenute leggendarie come i Grateful Dead o i Quicksilver Messenger Service (a cui forse si ispirano di più): la prova sono le due meravigliose canzoni centrali: Eastern Light è un favoloso blues su un rapporto d’amore a distanza, con eccezionale parte strumentale di chitarra e pianoforte, dove la voce di Hammond è davvero a tratti sofferta e dolorosa, e rimane una delle canzoni più sottovalutate degli anni ‘60; Wind Chimes, monumentale strumentale di oltre 7 minuti, è uno degli esempi più riusciti e vibranti della musica psichedelica della Bay Area, a tratti allucinata, ma coinvolgente come poche. La vetta arriva poi con The War Goes On, sorta di flamenco schizzato, con testo profondamente anti-militaristico, che per 12 minuti trasporta in un viaggio musicale davvero particolarissimo. Chiude il tutto la calma e il folk di Hush, Julian, quasi a calmare le acque oscure di questo fiume pazzo. Come accennato, il successo di pubblico fu nullo, sebbene la band avesse un piccolo seguito ai concerti. La Capitol permise un secondo disco solo per motivi legali e la band pubblicò, nel 1969, Paradise Bar & Grill: in anticipo rispetto alle altre band di San Francisco, i Mad River virano al country e al folk, seguendo il percorso tracciato sull’altra sponda degli Stati Uniti dalla The Band. Il disco non è granchè, e i due migliori momenti sono Leave Me Stay (che riprende le sonorità del primo) e Academy Cemetery. La Edsel pubblicò i due dischi in un doppio cd a prezzo speciale, che vale la pena cercare: Mad River è uno di quei dischi che ascoltandoli lascia la straniante sensazione di capire il perchè non sia nella discografia di ogni appassionato.
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L'aprì quando fu a letto. Conteneva soltanto un foglio di carta velina su cui era scritta una poesia:
A Mara
Mara, fanciulla coraggiosa, che sai soffrire in silenzio. Mara, se ti avessi incontrata prima, ti avrei fatto le più infuocate profferte d’amore. Ma tu sei di un altro; e io ti rispetto troppo per dirti: «Ti amo». Perciò dico addio al sogno, dico anche a te: « Addio, fanciulla ».
Non c’era nemmeno la firma, e Mara, che si aspettava una vera lettera, rimase delusa. Rilesse anche la lettera di Bube: nemmeno quella parlò al suo animo. “Ma dunque sono destinata a passare la mia giovinezza così , senza l’amore?”. Un mese prima, aveva compiuto diciassette anni; e le pareva che il meglio della vita fosse già passato.
“La ragazza di Bube” - Carlo Cassola (1960)
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Oggi Leopardi compie gli anni. Insieme agli auguri, sveliamo l’autore che il divo Giacomo ha “plagiato” per scrivere “L’infinito”. Ovvero, modesta proposta per una storia della letteratura italiana alternativa
Senza Amore, sottotitolo L’ultimo capitolo della letteratura italiana, è l’ultimo testo scritto da Andrea Sciffo, insegnante di liceo, poeta, novellista e saggista, edito dalla rivista digitale sui generis Il Covile, cui l’autore monzese contribuisce regolarmente con meditazioni che hanno in due viennesi, Hofmannsthal e Illich, in due lombardi, Corti e Quadrelli, e in Simone Weil, i puntelli di un pensiero radicalmente altro – cristiano, cattolico, dunque fedele all’intuizione poundiana per cui il sentire (per esempio: il potere della musica) unisce, col cuore, nella carne, mentre il pensare (per esempio: il vuoto cerebralismo) divide, nella mente, nelle idee, o meglio nelle ideologie, quindi negli ideologismi, nonché all’et-et asburgico, tardobarocco e antimoderno – insomma controcorrente rispetto alla letteratura e alla critica gnostica, e a-gnostica, del XX e XXI secolo.
*
Lui è Andrea Sciffo
Senza Amore, sottotitolo L’ultimo capitolo della letteratura italiana, perché tale è secondo la sua tesi la storia delle patrie lettere, da intendersi come letteratura post-unitaria (l’equazione di base è proprio questa e vale a dire che tutto ciò che è post-unitario si colloca in un ambiente decisamente post-amoroso) ossia della falsa patria di nome “Italia” e non delle sue singole parti – le quali soffrono tuttavia di una falsa “identità” che si fonda appunto sulla totale mancanza d’amore, da cui deriva, e che deriva, da una storia anch’essa “senza amore” che abbraccia – o meglio strangola –, soffocandola in una stretta mortale tutta la letteratura italiana – o meglio italofona –, a partire dal cronologismo (“la crudeltà di Chronos”, ovvero “il male radicale”, scriveva il leibniziano Gilles Deleuze a proposito del naturalismo di Émile Zola) che limita le scuole e la scuola.
Si tratta ovviamente dello storicismo e dello scuolismo dei Tiraboschi prima e poi dei De Sanctis, dei Croce, e infine dei Ferroni, dei Sapegno, contro i quali Sciffo scrive in quello che si direbbe un piccolo pamphlet, non fosse che quello pamphlettario è un tono che non appartiene alle sue sue corde, cor–cordis, al suo cuore, libero dal grottesco gioco delle parti di cui è vittima un paese preso tra Commedia dantesca (cf. Inf.) e quotidiana commedia farsesca – “senza amore”.
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“Se esiste una definizione sintetica che possa abbracciare la letteratura italiana nella sua interezza, […] è proprio questa endiadi che consta delle due sole parole che non andrebbero mai accostate. Se è senza amore la storia delle patrie lettere, a maggior ragione lo sono anche le storie individuali dei singoli che popolano la cultura italica, cresciuti nel suo cono d’ombra come tanti arlecchini senza arte né parte”.
Così esordisce Sciffo puntellandosi, o meglio, come scrive egli stesso facendo eco a una massima apocrifa metà anni Cinquanta di Noventa, che denunciava come tutta la cultura ufficiale italiana fosse fondata sugli errori della scuola torinese, e così la scuola di Stato, lo stato delle cose delle stantie scuole “scuolastiche” ancora e sempre deamicisiane (Cuore) basate a loro volta sulla continua coscrizione degli studenti e cittadini (senza amore e ormai senza civitas) e sul disamore quale condizione forse irrimediabile in assenza della parola-chiave che è summa di tutti gli affetti e aspetti (eros, agàpe, filìa, storghé, dilectio) del sommo affetto – per rilanciare poi l’idea di un apprendimento più libero – non meno impegnato – con mezzi propri – magari più essenziale – anche in povertà – anarcronistico nel senso di libero dal potere del tempo – come Pinocchio.
“[…] E poi verrebbe la grande amorosa agnizione, un ritrovarsi in armonia con l’altro da sé, una catarsi purificatrice del gran difetto del soggetto moderno: l’ipocrisia. La vecchia pagliacciata sarebbe finita e soltanto i suoi estremi attori fingerebbero di non accorgersene: il trucco scivolato dalle guance e i costumi logori; le battute del copione prevedibili e comunque i guitti ne dimenticano ogni volta una o due”.
Come Pinocchio con un libro trovato quasi per caso, o con la convivialità, tema fondamentale del pensiero di Illich, oppure nella natura, o nello spazio rurale, come fece la Weil, due ambiti quasi del tutto assenti tra gli autori “italiani” del XIX e XX secolo – certo con qualche eco nella Brianza di Manzoni, nella Padanìa della Scapigliatura, nel Veneto di Comisso, di Zanzotto, ma di norma declinati in senso atrocemente negativo come sul Vesuvio di Leopardi, nella Sicilia di Pirandello, di Verga, in Cristo si è fermato a Eboli, e nella Roma di Moravia, di Pasolini, tanto per citare degli esempi d’altri universi etnici e letterari.
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Senza Amore, sottotitolo L’ultimo capitolo della letteratura italiana, e le ultime pagine sono proprio quelle di Manzoni, e soprattutto di Leopardi, alle quali non è corrisposto secondo Sciffo nessun rinascimento ��� essendo stato il cosiddetto risorgimento politico la fine, – quanto un trionfo – sancito dalle istituzioni, dagli scuolismi, e dalla scuola, – di una serie d’istanze tipicamente leopardiane come il senso del dolore e della noia, tra erudizione e freddezza, e della figura del “letterato” denunciato dalla Weil, proprio a proposito del poeta recanatese cui Sciffo oppone il dalmata Tommaseo, che considera ben superiore.
Dietro c’è una vera e propria censura, ovvero l’ostilità verso tutta la letteratura del Seicento, parallela a quella ancor più dichiarata dei Savoia e di tutto il risorgimento nei confronti del Barocco, del Tardo-Barocco, con la sua Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte “totale” che va dalla figurazione pittorica alla parola alla musica alle figure architettoniche che negli esiti del movimento controriformista trovò un altro ultimo capitolo (nel 1866 nel monastero cretese di Arkadi, unico esempio greco ortodosso di Barocco, dava rifugio a dei martiri resistenti agli ottomani – nel mentre da cinque anni gli “italiani” inneggiavano al fatto di essersi cinti il capo con l’elmo pagano appartenuto a Scipione l’Africano)… – e nelle lettere autori come Filicaia, Magalotti, Maggi, Menzini, Redi, Salvini… – e De Lemene, che secondo Sciffo fu plagiato proprio dal poeta de L’infinito…
“Riempie il tutto, e se fingendo io penso / oltre al confin de’ vasti spazij, e veri, / deserti imaginati…”.
Questi versi sono tratti da una raccolta di poesie sacre edita a fine Seicento, e che per Sciffo “quasi certamente Leopardi plagiò per poi rifonderli forse inconsciamente nel più celebre dei suo i Canti”. Così come nel libro Sette giornate del mondo creato (1686) “per esempio […] le due terzine con cui Giuseppe Girolamo Semenzi immortalò Il passero solitario [sic]”, con queste melodiose parole: “Sto poetando al ciel ne l’erma cella / talora e far godo la vita anch’io / selvaggia quanto più, tanto più bella, // Passero solitario è detto pio. / Gloria però del solitario è quella, / onde un bruto non è ma quasi un Dio”.
Come si può evincere dalla lettura del volume Arcadia edificante, edito da ESI a Napoli nel 1969 e curato da Carmine Di Biase, prima di Leopardi e della letteratura unitaria ovvero “senza amore” l’universo italofono era ben altro, dal “controcanto” lombardo a quello partenopeo con poeti che cantano il Creatore, le Creature, la loro creaturalità, e infatti un terzo esempio che egli cita è una strofa – “strofa che espone il legame psicobiologico del poeta tardobarocco con la ‘natura’ sentita come simbiotico altro-da-sé con cui però è inevitabile la pulsione fusionale: in un processo di integrazione tra organico e inorganico che mi pare di una limpidezza mai più ottenuta in tempi recenti, per la quale il ‘creante’ viene chiamato ‘autore’ delle cose che un individuo sente come maggiormente intime e personali”.
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L’entità chiamata “Italia” – come ha fatto con la cultura di alcune sue regioni – come ha fatto recidendo l’albero che costituivano – che tali erano sotto occupazioni non più estranee – come sotto quelle cristiane spagnole e austriache – ha annichilito, annullato, o meglio emarginato, questo suo possibile “controcanto” che dice di un mondo del tutto differente, radicato nella creaturalità, d’uomini connessi col Creato come lo sono i passeri, e gli alberi, e in cui l’autore, il poeta, non canta soltanto del suo dolore, della sua noia, ma anche e soprattutto della sua “comunione” con Dio, per tramite di ciò che è “altro-da-sé”.
In questo Sciffo è allievo della scuola-non-scuola della Weil, di Quadrelli, e dunque erede della vera tradizione, quella del Cristianesimo, della poesia di Hölderlin, del Tardo-Barocco, e della censurata “Arcadia edificante” di cui ha voluto testimoniare: non senza ma con amore.
Marco Settimini
L'articolo Oggi Leopardi compie gli anni. Insieme agli auguri, sveliamo l’autore che il divo Giacomo ha “plagiato” per scrivere “L’infinito”. Ovvero, modesta proposta per una storia della letteratura italiana alternativa proviene da Pangea.
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Cercavo un accesso al tuo mondo complesso e inseguendo il tuo senso coglievo me stesso.
Murubutu - Paradiso perduto
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(In questa ulteriore parentesi mi viene da osservare che, in ogni modo, girano per i libri, per le riviste e per la rete decine e decine di filastrocche di qualità molto superiore a decine di migliaia di liriche di “poeti laureati” in cui non scorre né il sangue né la ragione: sprechi di tempo, carta e spazi fisici o digitali che avrebbero fatto meglio a restare nella mente dei loro creatori, ma che magari hanno dato loro la soddisfazione effimera di un parto indolore e improduttivo. Fuffa né vera, né utile, né dilettevole, né interessante. Metafore di seconda mano, discorsi inutili, forme incerte e concetti consunti dal tempo. Poesie/sveltine, versi facili facili che danno il piacere, a lettori poco avvezzi all’arte amatoria, di aver goduto anche loro di una storia d’amore con la poesia. Ma in genere si tratta di roba che genera poco altro che un fenomeno editoriale o qualche intervista su qualche giornale che leggono in pochi o nessuno e che è destinato a durare lo spazio di un mattino).
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Viene sempre dalle mie considerazioni sull'utile e il dilettevole nella composizione poetica, che potete leggere qua in versione integrale, anziché a pizzichi, mozzichi e pinzillachere.
aitanblog.wordpress.com/2023/02/21/lutile-e-il-dilettevole/
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Ricerca John Giorno
John Giorno, poeta che ha vissuto la poesia prima che scriverla. Nato a New York da genitori di Aliano e di Tursi, nel 1936, ha attraversato e ispirato i momenti capitali della scena culturale americana. È stato l’amante di Andy Warhol e di Robert Rauschenberg, ha collaborato con William S. Burroughs, si è inventato il “Giorno Poetry Systems”, registrando versi con Frank Zappa, Laurie Anderson, i Sonic Youth. Fu buddista in India e anticonformista in Usa e un guru della controcultura.
John Giorno è stato un protagonista della Performance Poetry, che ha deciso di affidare i suoi versi, perfino alle scatole di cerini e alle tavolette di cioccolata, oltre che ai libri e alle biblioteche. Lui stesso ha raccontato in più di una occasione, che aveva l’abitudine di scrivere fin da bambino e nel corso del tempo non ha mai smesso. «Lo faccio ogni giorno e sto lavorando da vent’anni a un’opera di 675 pagine», affermava.
Attivo nella Factory, elaborò le idee della Pop art – di cui amava soprattutto la spregiudicatezza, la mancanza di riferimenti a mondi tradizionali, così come il miscelamento di linguaggi e la possibilità di realizzare opere collettive – e poi fece germinare i sentieri anarchici della Beat Generation.
La sua curiosità intellettuale con gli affini non si è affievolita, anzi è rimasta a salda, volenterosa di trovare nuovi spunti, in particolare Il suo interesse per la tecnologia e i suoi sviluppi. Già alla metà degli anni Sessanta lo portò alla fondazione del Giorno Poetry Systems, associazione no profit ed etichetta che ha pubblicato oltre cinquanta album di poesie e musica. La rete che forniva idee, materiali tecnici e supporti ha visto lavorare, e in qualche caso esordire, le migliori menti creative di quegli anni – da Laurie Anderson a Gregory Corso, fino a Patti Smith, Philip Glass, Frank Zappa e, naturalmente, Burroughs. C’erano anche Robert Rauschenberg, la coreografa Trisha Brown e il fotografo Mapplethorpe, a testimoniare una «piattaforma» underground dell’arte, «catalizzata» nella personalità vulcanica di John Giorno (che intanto si esercitava nel concettuale con le sue pitture/scritture).
Nei decenni successivi, i soldi raccolti dall’associazione furono devoluti per progetti sull’Aids, fornendo assistenza ai malati, medicinali e alloggi. Oltre a spendersi per le carriere degli amici, fu «generoso» anche come attivista, appoggiando e lanciando campagne contro la guerra in Vietnam, per i diritti dei gay e per quelli degli afroamericani.
Fra gli ultimi tributi, la mostra che l’artista svizzero Ugo Rondinone, suo marito, ha concepito al Palais de Tokyo (2015-16). Una dichiarazione d’amore suddivisa in otto capitoli, ciascuno imperniato su un aspetto dell’opera di Giorno.
La sua opera più celebre è Dial-A-Poem (nata nel 1967 e poi sbarcata nella rassegna Art by Telephone, a Chicago).
Dial-A-Poem scaturì da uno scambio con il sodale Burroughs; all’inizio, le linee previste erano dieci, poi crebbero: bisognava strappare più persone possibile dalla banalità della quotidianità. Giorno si accorse che il picco di chiamate coincideva sempre con l’orario di lavoro in ufficio, segno della necessità perenne di uscire da sé e di non poter ingoiare solo noia e regole indigeste per tutta la vita.
“Take down this number,” I’d say. “641-793-8122. Don’t ask questions. Just call it. You’ll love it.”
L’opera di Giorno ha dimostrato come l’essere umano abbia sempre più bisogno di ristabilire un contatto diretto con la propria umanità, soffocata da una sempre giù grigia quotidianità. Il suo gesto è così innovativo, romantico e umanista. Ha davvero rotto le regole autoimposte di una società che ormai, sembra sempre di più, una vera e propria catena di montaggio. Lo ha fatto utilizzando lo stesso oggetto, ovvero il telefono, che se da una parte ha reso più semplice la comunicazione, avvicinandoci, dall’altro ci ha stretto un immaginario “cappio” intorno al collo, rendendoci schiavi passivi della vita. Un piccolo gesto folle e romantico, per farci riscoprire la bellezza e la semplicità delle piccole cose.
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[…]A quella guisa, però, che cumuli di terriccio e di materie celavano agli occhi dei Romani e dei forestieri gran parte dei monumenti antichi, sepolti ma non interamente distrutti, così anche nei tempi pìu foschi del medio evo la cultura latina non era totalmente morta, lo spirito della Roma antica non era spento; ma attendeva soltando chi lo ridestasse. Primo grande risuscitatore ne fu Dante, che pìu d’ogni altro senti il fascinio politico di Roma e ne proclamò la potenza universale. Venne il Petrarca, che la chiamò capitale del mondo, la regina dalle città; ed a poco a poco cominciarono a rivivere gli antichi ideali di grandezza e di poesia. Il genio della’antichità tornava ad affascinare gli Italiani. I cuori di molti eruditi arsero d’amore per la civiltà pagana, per il bello classico della’Ellade e di Roma antica. La passione per la latinità diventò una vera mania, un fanatismo, una frenesia. Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Il Platina, Guarino Veronese e cento altri percorrevano i paesi in cerca di manoscritti antichi. In tutta l’Italia si ebbe un ardente desiderio di approfondire il pensiero dei Latini, di imitarlo; e dopo che ai Latini, la mente si rivolse anche ai Greci. Dappertutto era un indefesso lavoro di ricerche, d’erudizione, di traduzione. E tali studi classici non furono soltanto opera d’erudizione, ma ebbero sulla vita e sul pensiero degli Italiani un influsso di ben altra natura e portata. Essi stabilirono il contatto spirituale con l’antichità, riavvicinarono gli Italiani alla cultura classica, alla concezione greco-romana del bello e della vita. Al calore di quell’antica civiltà l’uomo venne ricondotto al pieno e libero svolgimento di tutte le sue facoltà. Nuovi pensieri ravvivarono la speculazione filosofica; la letteratura e l’arte si accostarono alla natura, alla realtà della vita, al culto della bellezza terrena. II. La Roma dei Borgia.
Gustavo Sacerdote, Cesare Borgia: La sua vita, La sua famiglia, I suoi tempi.
#auth: gustavo sacerdote#house borgia#italian renaissance#ancient rome#sacerdote doesn't seem to be much of a fan of paganism and the ancient way of life™ lol#so really bless his heart for writing so beautifully about the rebirth of classical knowledge#and how that deeply influenced the renaissance and ~~la roma~~ that the borgias then lived on#i loved this passage#great stuff#<3
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Se solo per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di pezza e mi regalasse un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma in definitiva penserei tutto ciò che dico. Darei valore alle cose, non per ciò che valgono, ma per ciò che significano.
Dormirei poco, sognerei di più, capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei quando gli altri si fermano, mi sveglierei mentre gli altri dormono.
Ascolterei mentre gli altri parlano, e come mi godrei un buon gelato al cioccolato !
Se Dio mi facesse dono di un pezzo di vita, vestirei semplicemente, mi butterei disteso al sole, lasciando scoperto non solo il mio corpo, ma anche la mia anima.
Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio, e aspetterei che il sole uscisse. Dipingerei con un sogno di Van Gogh sulle stelle una poesia di Benedetti, e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che gli offrirei alla luna.
Annaffierei con le mie lacrime una rosa, per sentire il dolore delle sue spine, e con le labbra la carnosa sensazione dei suoi petali…
Dio mio, se io avessi un pezzo di vita… Non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente a cui voglio bene, che le voglio bene.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna che essi sono i miei preferiti, e vivrei innamorato dell’amore.
Agli uomini gli dimostrerei quanto si sbagliano al pensare che smettono d’innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono d’innamorarsi!
A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che da solo imparasse a volare.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con l’oblio.
Tante cose ho imparato da voi uomini…
Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità risiede proprio nel risalire la scarpata.
Ho imparato che quando un appena nato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito del padre, lo racchiude per sempre.
Ho imparato che un uomo ha diritto a guardarne un altro dall’alto solo per aiutarlo ad alzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto apprendere da voi, ma in verità a molto non potrebbero servire, perché quando mi metterete dentro quella borsa, infelicemente starò morendo.
Dì sempre ciò che senti e fai ciò che pensi. Se sapessi che oggi sarà l’ultimo giorno in cui ti vedrò dormire, ti abbraccerei forte e pregherei il Signore affinché possa essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che questa è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti bacerei, e ti richiamerei per dartene ancora.
Se sapessi che questa è l’ultima volta che ascolterò la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterla riascoltare una ed un’altra volta all’infinito.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti in cui ti vedo, ti direi “ti amo” senza assumere, scioccamente, che lo sai di già.
Sempre c’è un domani e la vita ci da un’altra opportunità per fare bene le cose, ma se sbaglio, e oggi è tutto ciò che mi resta, mi piacerebbe dirti che ti voglio bene, e che mai ti dimenticherò.
Il domani non è assicurato a nessuno, giovane o vecchio.
Oggi può essere l’ultimo giorno che vedi coloro che ami.
Perciò non aspettare più, fallo oggi, perché se il domani non dovesse mai arrivare, sicuramente lamenterai il giorno che non hai preso tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio, e che sarai stato troppo occupato per concederli un ultimo desiderio.
Mantieni coloro che ami vicini a te, dì loro all’orecchio quanto ne hai bisogno, amali e trattali bene, prenditi tempo per dirgli “mi dispiace”, “perdonami”, “per piacere”, “grazie”, e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per saperli esprimere; e dimostra ai tuoi amici quanto t’importano.
Gabriel García Márquez - Lettera d'addio.
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