#paesaggi poetici
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pier-carlo-universe · 11 days ago
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L'Airone: Un viaggio tra malinconia e bellezza nella poesia di Mirella Ester Pennone Masi. Recensione di Alessandria today
Una poesia che intreccia natura, memoria e introspezione. "L'Airone", componimento di Mirella Ester Pennone Masi, è una finestra poetica sul rapporto tra la natura e l’animo umano.
Una poesia che intreccia natura, memoria e introspezione.“L’Airone”, componimento di Mirella Ester Pennone Masi, è una finestra poetica sul rapporto tra la natura e l’animo umano. Attraverso immagini suggestive e un linguaggio elegante, l’autrice ci guida in un percorso tra ricordi, perdite e speranze, dove l’airone diventa simbolo di fugacità e mutamento. Analisi della poesia.La poesia si apre…
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giuseppecocco · 7 months ago
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Lettura del libro «Passeggiate per l'Italia» di Ferdinand Gregorovius
L’opera di Ferdinando Gregorovius, intitolata «Passeggiate per l’Italia» raccoglie in cinque volumi le escursioni in Italia che lo storico tedesco fece tra il 1856 e il 1877, e costituisce ancora oggi uno degli scritti più affascinanti e poetici della letteratura di viaggio. Non fuggevoli impressioni ma esperienze, rappresentazioni pittoresche di paesaggi e città, frutto di uno studio accurato e…
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sognareleggiesogna · 11 months ago
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RECENSIONE: Naufragi di paesaggi interni di Andrea Ravazzini
Cari Sognatori, Maia ha letto la raccolta di componimenti poetici scritta da  Andrea Ravazzini  edito da Sigem!!! GENERE: Poesia / Narrativa DATA D’USCITA: 1 Gennaio 2023 CARTACEO Affiliati Amazon TRAMA Indelebilmente posata nel corso di lunghi anni dalle forme mutevoli, la parola viva e lucente ha sorvolato densi paesaggi interiori, maree polifoniche, radure adombrate, in un farsi e disfarsi…
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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Natura e Poesia: Un'Armoniosa Danza di Ispirazione
La natura e la poesia sono due forze che da millenni hanno ispirato l'umanità. La loro relazione è profonda e intrinseca, poiché entrambe celebrano la bellezza, la complessità e il mistero del mondo che ci circonda. In questo articolo, esploreremo come la natura e la poesia siano legate in un'armoniosa danza di ispirazione. La Poesia come Voce della Natura La poesia è spesso definita come l'arte di esprimere pensieri ed emozioni attraverso le parole. Questa definizione, però, non cattura pienamente il potere della poesia. La poesia è anche l'arte di catturare la bellezza e l'essenza della natura. I poeti hanno da sempre tratto ispirazione dalla natura, osservando i paesaggi, gli animali, le stagioni e gli elementi naturali per creare versi che catturino la magia del mondo naturale. La Natura come Musa La natura è stata una musa senza tempo per i poeti di tutto il mondo. Le montagne imponenti, i fiumi scintillanti, i boschi misteriosi e gli oceani infiniti sono stati fonti inesauribili di ispirazione. La natura offre una vasta gamma di stimoli sensoriali: i colori vivaci di un tramonto, il suono rassicurante di una cascata, il profumo di un giardino fiorito. Tutti questi elementi naturali diventano le parole e i versi dei poeti. Della Semplicità e della Complessità La natura ispira poesie di tutti i tipi, da quelle semplici e lineari a quelle complesse e simboliche. Alcuni poeti abbracciano la bellezza semplice di un campo di fiori o la tranquillità di un lago al tramonto, mentre altri si immergono nella profondità della natura per esplorare il suo significato più profondo. Questa varietà di approcci poetici riflette la vasta gamma di esperienze che la natura può offrire. Le Stagioni come Cicli della Vita Uno dei temi ricorrenti nella poesia legata alla natura è il ciclo delle stagioni. Le quattro stagioni - primavera, estate, autunno e inverno - rappresentano il ciclo naturale della vita, con le sue fasi di nascita, crescita, maturità e declino. Queste fasi si riflettono nelle poesie che celebrano la rinascita della primavera, la vitalità dell'estate, la malinconia dell'autunno e la riflessione dell'inverno. Le stagioni diventano metafore per la nostra stessa esistenza e la nostra connessione con il mondo naturale. L'Importanza della Conservazione Ambientale La poesia che celebra la natura non è solo una manifestazione artistica, ma anche un richiamo alla conservazione ambientale. Molti poeti usano le loro parole per sensibilizzare il pubblico sui problemi ambientali, dalla deforestazione al cambiamento climatico. La bellezza della natura descritta nelle poesie serve come un richiamo alla sua protezione e alla sua perpetuazione per le generazioni future. Foto di copertina: https://pixabay.com/it/photos/alberi-muschio-foresta-3294681/ Read the full article
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valentina-lauricella · 1 year ago
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Interessante per chi vuole conoscere parte di quegli studi leggiadri e sudate carte in cui il giovinetto Leopardi spese il suo miglior tempo. Un'immersione nelle origini di molte errate convinzioni comuni sia al popolo che agli scrittori antichi, ma non ai filosofi, che talvolta giunsero col puro raziocinio a intuizioni successivamente confermate dalla scienza. A soli 17 anni, Leopardi è già maturo: acuto, divertente e divertito, piacevolmente ironico. Affascinante, e talvolta lirica, la sua ricostruzione dei paesaggi e delle situazioni in cui si muovono gli uomini primitivi e quelli del mondo greco arcaico (vedasi ad esempio il quadro del "meriggio"). Appassionato e probabilmente velato di autobiografismo il capo "Dei terrori notturni". Periodare sorprendentemente moderno, non mancano frasi nette e incisive. Vastissima la sua scelta di passi e luoghi poetici greci e latini testimonii di erronee credenze; sterminato il numero degli autori meticolosamente citati. Manieristico il tono del conclusivo, solenne omaggio alla Chiesa, sotto il cui manto non può allignare l'errore.
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danzameccanica · 3 years ago
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L’innovazione e l’importanza globale del punk si era canalizzata nei disagi e nei lati più crepuscolari, violenti e corporei del post-punk. Raramente il mondo post-punk è uscito dal regno delle ombre fino al 1984, fino al New Romantic o fin quando la new-wave �� diventata synth-pop. I Felt erano amanti di Lou Reed, di Peter Gabriel, dei T.Rex e degli – udite udite -  Yes (ispirazione che hanno sempre dovuto declinare perché era impensabile ascoltare ancora prog nei primissimi anni ’80) !!! Ma soprattutto Lawrence Hayward amava Tom Verlaine e i Television, sia per l’animo poetico del frontman e sia per i suoi soliloqui con la chitarra. E Hayward finirà per creare i suoi Felt: una creatura intima, calda e introspettiva; essi appartengono al mondo malinconico del post-punk ma emergono di più sul lato etereo e rilassante pescando dal cappello delle influenze i The Wake e i Cocteau Twins.
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La voce tremolante e afona, i testi poetici con vocaboli ottocenteschi, le meravigliose e uniche chitarre… Lo strumento di Hayward è la vera voce principale; lo si sente nella meravigliosa, straziante, solitaria “Evergreen Dazed”: un’intro strumentale dove la chitarra solista canta letteralmente. Non ci sono overdrive, non ci sono iper-tecnicismi, anzi, spesso si sente quella registrazione casalinga dove una nota difficilmente suona come l’altra, passando da una vibrazione a un’incertezza. Ma Hayward è un chitarrista eccezionale, ha un passato classico da autodidatta che decide di rinunciare alla classica posizione-impostazione da chitarrista standard per diventare un cantore orfico privo di assoli ma non privo di bravura. Tutti i brani hanno una batteria appena accennata, la chitarra senza overdrive con eco e flanger che dipinge bianchi paesaggi nebbiosi di rugiada. In “Worship the Sun”, unico esempio abbastanza movimentato, si sentono i Velvet di Loaded; tutto il resto del disco è un ipotetico matrimonio fra “Marquee Moon” e “Sugar Hiccup”. Dopo quattro album sull’inglese Cherry Red Records arriveranno ad essere corteggiati e conquistati dalla Creation Records la quale non apporrà su di loro il suo classico trademark fumoso e fumogeno ma li lascerà andare un pochino più verso il folk-rock con delle vocalità appena più intonate, le chitarre sempre in primo piano ma, ahimè, con meno desolazione.
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fotopadova · 5 years ago
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Viaggio nella fotografia italiana del novecento: dalle associazioni agli anni sessanta
Viaggio nella fotografia italiana del novecento: dalle associazioni agli anni sessanta
di Silvia Berselli da https://www.collezionedatiffany.com/ 
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Lotto 482 - MARIO GIACOMELLI, Gabbiani,1980 ca. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d'argento. Timbro dell'autore al verso. cm 30,5 x 40,5 Valutazione € 800 - 1.200. Venduto € 2.125. Courtesy: Il Ponte Casa d'Aste.
L’anno 1947 segnò un momento importante per la fotografia italiana del Novecento. In quell’anno due autori con stili molto differenti, ma con la stessa forte personalità, posero le basi per una nuova e divergente stagione fotografica.
Giuseppe Cavalli (1904-1961) pubblicò in quell’anno il suo manifesto ideologico nella pagine della rivista “Ferrania”. Promotore del gruppo “La Bussola” e caposcuola di una visione formalista della fotografia vicina all’estetica idealista di Benedetto Croce, era mosso dal desiderio di “allontanare la fotografia, che avesse pretese di arte, dal binario morto della cronaca documentaria”.
Il Gruppo era composto da Mario Finazzi, Federico Vender, Ferruccio Leiss e Luigi Veronesi che prediligevano fotografie astratte, nature morte o paesaggi dalle atmosfere surreali. Lo scontro fu inevitabile con tutti quei fotografi che vedevano nell’impegno sociale e nella documentazione della realtà la vera natura della fotografia, come gli aderenti al Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia.
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Lotto 26 – PAOLO MONTI, Chimigramma, 1961. Stampa fotografica vintage con interventi chimici. Pezzo unico. Firma dell’autore e data al verso. Opera in cornice. cm 28 x 23 (cm 63 x 58). Valuttazione € 1.400-1.500. Venduto € 1.625. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
A Venezia Paolo Monti (1908-1982) fondò il Circolo Fotografico “La Gondola”, nell’ottica di «sviluppare l’autonomia della fotografia, accentuandone i limiti, esprimendosi liberamente senza lasciarsi intimidire dalle regole troppo numerose decretate da chi non sa sopportare il rischio di una completa libertà di espressione».
Alla Gondola aderirono negli anni Fulvio Roiter, Gianni Berengo Gardin e Gino Bolognini. Monti, che aveva una visione più ampia della fotografia, riteneva controproducente il fatto di schierarsi con i formalisti o con i documentaristi; volontà apparsa chiara fina dalla scelta del termine circolo rispetto a gruppo per identificare La Gondola.
Inoltre, egli conosceva i grandi maestri americani come Minor White o Aaron Siskind dai quali aveva attinto una personale perizia tecnica nella stampa dell’immagine. 
I gemelli Emanuele e Giuseppe Cavalli
   Giuseppe Cavalli, uomo colto ed accentratore, ritiratosi in un piccolo comune come Senigallia, fu una figura centrale nella fotografia italiana. Il suo stile, personale ed inedito nel panorama internazionale lo portò a lavorare su immagini dai toni delicatissimi o dai bianchi accecanti, nelle quali trovano posto leggere sfumature di grigio, mentre il nero era quasi bandito.
In antitesi al lavoro dei grandi maestri internazionali che consideravano questo il tono attorno al quale costruire l’immagine in un periodo storico in cui il concetto di “colore” era ancora lontano.
La figura di Giuseppe è stata in parte studiata e i suoi lavori sono presenti in importanti collezioni museali, mentre ancora molto poco si conosce del fratello gemello Emanuele Cavalli (1904-1981) pittore vicino alla Scuola romana e figura centrale nella crescita artistica di Giuseppe.
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Lotto 195 – EMANUELE CAVALLI, Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento, Firenze 1950-51. Timbro Eredi Cavalli al verso. cm 17 x 23. Bibliografia/Literature Valeriana Rizzuti, “Emanuele Cavalli fotografo”, Quaderni di AFT, Prato, 2008, pag. 54. Venduto € 3.750. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Le fotografie di Emanuele, decisamente più graffianti, presentano una carica grottesca e ironica estranea ai lavori più formali del fratello. La rivalità che lega i due e la complessità degli scatti di questi autori, a volte attribuiti all’uno a volte all’altro, restano un’affascinante pagina della fotografia italiana ancora tutta da studiare.
“La Bussola” era un piccolo feudo di pochi eletti su cui regnava incontrastato Giuseppe Cavalli che nel 1953, auspicando un ricambio generazionale,  decise di creare l’Associazione Fotografica Misa.
Tra i nuovi soci c’erano giovani fotografi come Mario Giacomelli, Piergiorgio Branzi e Alfredo Camisa che, insieme a Pietro Donzelli, rinnovarono la fotografia alla fine degli anni Cinquanta con stile e raffinatezza ponendo fine alla disputa tra forma e contenuto che aveva contrapposto tanti autori del dopoguerra.
Mario Giacomelli il poeta
   Mario Giacomelli (1925-2000) è un ‘gigante’ della fotografia italiana e non solo. Nato in provincia, di umili origini e con una modesta educazione, ha saputo rivoluzionare dal basso il modo di fare fotografia. Legato alla terra, al mondo rurale e ai suoi abitanti, il suo sguardo è molto lontano da quello dei neorealisti. Egli piega, plasma e modella il mezzo fotografico per dare voce al suo sentire.
Il mondo per Giacomelli non è da documentare, la sua è un’operazione di stravolgimento, nulla è meno verosimile di un suo scatto. La realtà diventa il tassello – aggiunto, sovrapposto o annerito – che gli permette di dar forma al suo mondo interiore fatto di sogni e incubi, di luci e ombre “ogni immagine è il ritratto mio, come se avessi fotografato me stesso”.
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Lotto 101 – MARIO GIACOMELLI, Paesaggio,  1980 ca. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento. Valutazione € 2.000 – 2.500. Venduto € 3.500. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
La fotografia diventa un materiale malleabile nelle mani di Giacomelli, da incidere in camera oscura. I paesaggi marchigiani si trasformano in un’inchiostrata calligrafia fatta di segni; gli anziani dell’ospizio diventano fantasmi evanescenti, fragili e poetici; i pretini sono dervisci danzanti senza tempo.
«Prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da una fotocopiatrice, ma venga bloccata in un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per me forma e segno dell’inconscio».
Gli anni Sessanta e la decostruzione del mezzo fotografico
   L’intero paese, il mondo dell’arte in particolare, ebbe in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta una spinta innovativa straordinaria. Oggi, infatti, artisti italiani di allora sono tra i più ammirati nei musei di tutto il mondo e i loro nomi risultano ai primi posti nelle classifiche di vendita.
Autori come Ugo Mulas, Paolo Gioli, Franco Vaccari, Mario Cresci restano ai più sconosciuti tanto che le loro opere si possono acquistare con poche centinaia di euro. Come si è già verificato in altri contesti, sono i migliori studiosi stranieri a ricordarci il valore artistico dei nostri autori.
Quentin Bajac, già direttore del dipartimento di Fotografia del MOMA, sottolinea come i fotografi italiani abbiano un primato: «La grande decostruzione del mezzo fotografico attuata negli anni Sessanta e di cui il contesto italiano è stato in Europa l’attore principale con i lavori di Pistoletto, Paolini, Jodice, Mulas, Di Sarro o Gioli. In nessun’altra scena artistica europea è stata condotta – con la stessa costanza, e nello stesso periodo – un’azione simile di indagine del mezzo fotografico».
Le riflessioni sui linguaggi, che serpeggiavano nel mondo dell’arte concettuale, trovarono risposta nei lavori fotografici con forme e contenuti innovativi.
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Lotto n° 455 – UGO MULAS, Alberto Burri, 1960 ca. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento. Timbro dell’autore al verso. Opera accompagnata dall’autentica dell’archivio Ugo Mulas. Opera in cornice cm 32 x 42 (cm 26 x 37). Venduto € 3.500. Courtesy: Casa d’Aste Il Ponte
Ugo Mulas (1928-1973), già noto per il memorabile reportage sugli artisti di New York, pubblica poco prima della sua giovane dipartita le Verifiche “nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé”.
Lotto n° 123 – FRANCO VACCARI, 700 Km di esposizione Modena Graz, 1972. Opera composta da venti stampe vintage a colori procedimento cromogeno applicate su cartone con testi manoscritti ad inchiostro. Testo, firma dell’autore, data e 46/60 al recto. Opera in cornice. cm 99 x 69 (cm 103 x 73). Venduto € 5.625. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Franco Vaccari (1936) utilizza il mezzo fotografico in relazione alle sue riflessioni connesse allo spazio e al tempo, organizzando delle performance che chiamerà Esposizioni in tempo reale. Nel 1972 partecipa alla Biennale di Venezia e scrive: “ho esposto una cabina Photomatic (una di quelle che si trovano nelle grandi città per realizzare le fototessere) ed una scritta in quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Io mi sono limitato ad innescare il processo facendo la prima photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000”.
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Lotto n° 130 – PAOLO GIOLI, Film finish – ritmo figura, 1979. Stampa fotografica vintage alla gelatina sali d’argento. Firma dell’autore, titolo e data la verso. cm 24 x 17,5 Bibliografia/Literature Roberta Valtorta, “Paolo Gioli”, Art&, Udine, 1996, pag.19 (variante). Venduto € 1.875 Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Paolo Gioli (1942) si dedica allo studio dell’immagine e della visione nel cinema e nella fotografia, affascinato dai principi dell’ottica. Azzera il fare fotografia ripartendo dalle origini, il foro stenoeco ma anche la spiracolografia: un omaggio a Leonardo dove l’immagine è ottenuta utilizzando il pugno della mano come macchina fotografica. Gioli esplora le diverse tecniche fotografiche manipolando e ricostruendo le immagini come nelle polaroid trasferite in omaggio ai proto-fotografi.
Mario Cresci (1942) usa la fotografia ad ampio raggio mischiando generi e linguaggi: installazioni, grafica, urbanistica e antropologia. Nel 1968 crea uno striscione antimilitarista, composto da immagini note e “trouvè” che srotola dalla finestra di un palazzo romano; nel 1969 crea un’installazione di mille scatole trasparenti con all’interno uno spezzone di pellicola con riproduzione di oggetti di consumo. L’interesse sociale di Cresci lo spinge a Tricarico e Matera dove lavora utilizzando in chiave concettuale gli studi di antropologia.
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Lotto n° 146 – MICHELE ZAZA, Mimesi, 1975. Opera composta da dodici stampe fotografiche vintage alla gelatina sali d’argento. Firma dell’autore sul cartoncino di montaggio delle singole fotografie. Opera in cornice. Opera accompagnata da autentica. (cm 18 x24 cad.). Venduto € 15.000. Courtesy: Il Ponte Casa d’Aste
Il Sud, la terra, le origini sono temi che si ritrovano in questa nuova lettura delle relazioni famigliari nei lavori di Michele Zaza (1948). Il padre, la madre e il pane sono gli elementi di una “primordialità” ricorrente che si misura con l’espressione del corpo e del tempo. Essere stato un artista-fotografo e non un artista-artista ha certamente penalizzato il lavoro di Zaza malgrado avesse, come altri colleghi, esposto a New York da Leo Castelli e partecipato alla Biennale di Venezia.
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Silvia Berselli
Laureata in Storia dell’Arte, si occupa da molti anni di conservazione, restauro e valorizzazione della fotografia. La sua formazione è avvenuta presso l’International Museum of Photography di Rochester New York e l’Atelier de Restauration des Photographies del Comune di Parigi. Accanto alla docenza universitaria presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e l’Università di Udine ha diretto i dipartimenti di Fotografia per le case d’aste Bloomsbury, Minerva e Bolaffi: attualmente ricopre questo incarico per la Casa d’Aste Il Ponte. E’ perito per il settore fotografico di Axa Assicurazioni, ha collaborato con numerose istituzioni del Ministero dei Beni Culturali.
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artwort · 5 years ago
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I poetici paesaggi nebbiosi di Sebastiano Del Gobbo
https://www.artwort.com/2019/10/07/fotografia/la-mappa-e-il-territorio-sebastiano-del-gobbo/
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soggettivita · 7 years ago
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PAESAGGIO
                                         ...par le cylindre, la sphèere, le cone...                                                                                P.CEZANNE
Diedri, poliedri. Solidi equivalenti di rotazione, conifere. Triangoli vertici di ghiacciai. Formazioni durissime dell’ordine. Contrappesi e forze sostengono gli angoli, ingranaggi e propulsori mantengono l’energia dolorosa dei cateti esprimono il taglio delle mobili ipotenuse. Ripetute varietà, sonore, ruvide, invisibili: nervature di farfalle, foglie e membrane e setti. Forme della bellezza. Genitrici. O nichelio, violàno, o tetraedro, icositetraedro reticolo d’atomi, o lamelloni, o fibrosi raggiati nell’oscurità mineraria dove scorrono fiumi ciechi e in alto aggregati nelle rocce, slanci di terra corrosi.
-Pier Luigi Bacchini, da Distanze Fioriture Non avevo mai fatto, prima di venire a conoscenza di questa poesia, un collegamento fra Bacchini e Cezanne. Mi chiedo come...ora mi sembrano così simili! Entrambi rendono i paesaggi vivi esaltandone le sfaccettature. Prestano attenzione a tutti i microcosmi della natura. Tanti piccoli mondi rotanti, che si intersecano e creano la grande terra, anch’essa rotante, madre e vita. E l’emozione di riconoscere, davanti ai loro quadri mentali, la propria esperienza della natura. Vedere in quelle piante le tue piante, in quei fiori i tuoi fiori, in quelle montagne le tue montagne. Riempire con la propria esperienza - con i propri sensi - i loro vuoti poetici. Poliedrica bellezza di una foglia rigirata dal vento, come una mente che cambia idea costantemente.
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pier-carlo-universe · 14 days ago
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La città del vento: un viaggio tra poesia e anima. Cinzia Rota dipinge l’amore per una città e per ciò che essa rappresenta. Recensione di Alessandria today
Un inno poetico alla bellezza e alla malinconia. La città del vento, l’ultima opera poetica di Cinzia Rota, si presenta come un inno alla natura, alla nostalgia e alle emozioni universali.
Un inno poetico alla bellezza e alla malinconia.La città del vento, l’ultima opera poetica di Cinzia Rota, si presenta come un inno alla natura, alla nostalgia e alle emozioni universali. Ogni verso evoca immagini vivide, trasportando il lettore in una città senza nome ma con un’anima pulsante, che si manifesta attraverso il vento, il mare e le strade deserte. Questa poesia è un richiamo potente…
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sguardimora · 4 years ago
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“Cerchiamo di creare uno spazio composto da una moltitudine di spazi, uno dentro l’altro. Spazi astratti, poetici, fluidi, immaginari, spazi che lasciano traccia.Il lavoro è un lavoro infinito di sovrimpressione. È sempre incluso nel cambiamento il segno di ciò che era prima. Creiamo dei luoghi, dei paesaggi mostruosi e impuri attraverso il sovrapporsi e il mescolarsi di elementi diversi. La nostra intenzione è di aprire questo spettro, creare delle strade aperte e percorribili all’interno di un’unità. Spazi cyborg, nel quale il corpo e la natura morta si rivelano come paesaggio technobioscientifico.”
Alexia Sarantopoulou e Ondina Quadri
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valoriontinuit · 5 years ago
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(via SPACE AND TIME)
Pitture ad olio su tela, tecniche miste su jeans conducono ad una riflessione sulla vita e l’uomo. “SPACE AND TIME” Il rapporto “spazio – tempo”  è  ciò che Luigi De Giovanni  coglie e riversa, dopo averlo fatto proprio, nelle sue opere. Queste  non sono solo istantanee di ciò che  vede, ma, anche, immagini del suo animo: sensibilità che si trasferisce  nei colori sino a vivificarli  e renderli comunicativi e poetici. Lo  “spazio e il tempo” è colore che cambia nei diversi ambienti, con l’alternarsi del giorno e della notte, con le stagioni,  è  jeans che parla di luoghi e d’eventi, non sempre belli. Le pennellate che si sovrappongono, inseguendo la luce o le idee, diventano trasposizioni dei climi temporali che fanno emergere la poetica dello spirito. Mettono in luce, nel groviglio che prende forma, la follia e la cecità del genere umano che non rispetta se stesso e la sua casa: terra. Osservando la natura ferita, l’artista, riflette amaramente sulla sconsideratezza dell’uomo e trasla i sentimenti nelle sue opere che diventano icone di dolore  e di sogni. Aleggia una lirica cruda, mitigata solo dall’armonia coloristica, in un rimando continuo all’uomo, al tempo e allo spazio. Il tempo e la natura, spazio vitale, solo apparentemente sconfitti dall‘incoscienza umana, per De Giovanni,  hanno sempre  ragione e i fatti lo dimostrano.   La linea guida dell’esposizione è data dall’espressività aspra dei jeans che parlano, attraverso colori e segni aggressivi, di sogni infranti che coabitano con nuovi sogni, suggeriti dai  paesaggi e dai fiori. In queste opere si ritrova una narrazione della sterilità dell’animo umano, saccheggiatore  non solo dell’ambiente ma, spesso, anche dei sentimenti, Un’univocità di discorso, poetico e pittorico allo stesso modo, che trova la sua ragione d’essere nell’analisi di "spazio e tempo" che conducono alla vita e alla distruzione di essa. “Space and time”, dai molteplici significati, titolo della mostra che vuole essere il racconto di come l’artista avverte il mondo e l’arte.                                                                                    Federica Murgia
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tmnotizie · 5 years ago
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PORTO SANT’ ELPIDIO – Siete pronti a volare sull’Isola che non c’è? Il “Peter Pan” della compagnia Teatrino dell’Erbamatta di Savona vi aspetta domenica 24 novembre, alle ore 17, al Teatro delle Api di Porto Sant’Elpidio, per il secondo appuntamento della rassegna domenicale di teatro per ragazzi e famiglie a cura de Lagrù Ragazzi.
Lo spettacolo è una serie di immagini che si susseguono, accompagnate da un costante tessuto sonoro su cui i paesaggi, come in un film degli anni ‘30, si modificano. Nei colori chiari, grigi, seppia, marroni della scenografia si scopre, con pochi tratti essenziali, l’ambiente di Londra e dell’Isola che non c’è. La particolarità della messa in scena e dello sviluppo scenografico è  che l’immagine cambia e si modifica, creando i vari luoghi della storia.
La rappresentazione segue il testo in maniera fedele, in cui innesta momenti comici e poetici, sviluppando la tematica dell’eterna giovinezza, espressa nel paesaggio di Peter, punto cardine di tutta la storia.
Biglietto unico €5
INFO e PRENOTAZIONI: 3287756579 o [email protected]
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digitalandy · 6 years ago
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Myung Whun Chung, Orchestra di Santa Cecilia, Tchaikovsky Patetica, Weber, Strauss ultimi lieder.
Il panorama musicali degli ultimi lieder di Strauss è pieno di belle suggestioni. I testi poetici si innestano nella musica che riesce a ricreare paesaggi unici. A questa composizione si è accompagnata una nervosa Patetica suonata con forza.
Il maestro Myung Whun Chung ricorda bene le virtù e capacità di questa orchestra che ha diretto per tanti tempo e rende il concerto molto di effetto.
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retegenova · 7 years ago
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Teatro della Tosse
LA TOSSE D’ESTATE
Apricale (Imperia)
2018
  …e le stelle stanno a guardare
UN MILIONE DI SCATOLE CINESI
Prima nazionale
Dal 5 al 15 agosto, ore 21.15
        Dal 5 al 15 agosto si rinnova il tradizionale appuntamento con Apricale, il borgo medioevale ospita per il ventinovesimo anno il nuovo spettacolo del Teatro della Tosse.
Quest’anno ci immergeremo nelle pagine de Il Milione di Marco Polo e di Rustichello da Pisa con la messa in scena tra le piazze e le vie del piccolo borgo di Un milione di scatole cinesi di Emanuele Conte e Amedeo Romeo con la collaborazione ai testi di Alessandro Bergallo ed Elisa D’Andrea, regia Emanuele Conte.  
Il rapporto tra Apricale e il Teatro della Tosse va avanti dal 1990, dalla prima edizione della rassegna … e le stelle stanno a guardare. 
Ogni agosto attori, registi e maestranze del teatro genovese si spostano nelle strette vie di questo meraviglioso paese, per mettere in scena uno spettacolo a stazioni sempre nuovo.
  Il Teatro della Tosse è stato selezionato dalla Compagnia di San Paolo quale realtà d’eccellenza nel panorama dello spettacolo dal vivo
  La stagione estiva è realizzata con il sostegno della Compagnia di San Paolo, del Mibact Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, da Regione Liguria.
      Apricale (IM)
Dal 5 al 15 agosto, ore 21.15
UN MILIONE DI SCATOLE CINESI Marco Polo, come perdersi sulla via della seta
di Emanuele Conte e Amedeo Romeo regia Emanuele Conte collaborazione ai testi Alessandro Bergallo e Elisa D’Andrea
Canzoni Giua costumi Daniela De Blasio luci Matteo Selis e Andrea Torazza con Nicholas Brandon,  Enrico Campanati, Massimiliano Caretta, Enrico Casale,
Pietro Fabbri, Lisa Galantini,  Giua,  Susanna Gozzetti,  Sarah Pesca, Pietro Romeo,
Roberto Serpi, Graziano Sirressi, Mariella Speranza
direttore di scena Roberto D’Aversa attrezzista Renza Tarantino fonico Massimo Calcagno macchinisti Fabrizio Camba, Kyriacos Christou,  Giovanni Coppola capo elettricista Andrea Torazza elettricisti Matteo Selis, Davide Bellavia costruzioni Carlo Garrone sarta Anna Romano con Naomi Ingaria, Marta Balduinotti, Viviana Bartolini (stagiste)
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse
    Quest’anno, per la ventinovesima edizione di “E le stelle  stanno a guardare…” ci immergeremo nelle pagine de Il Milione di Marco Polo e di Rustichello da Pisa.
  Un milione di scatole cinesi – Marco Polo come perdersi sulla via della seta è la nuova produzione del Teatro della Tosse. Lo spettacolo è scritto da Emanuele Conte e Amedeo Romeo con la collaborazione ai testi di Alessandro Bergallo ed Elisa D’Andrea, regia di Emanuele Conte.
Enrico Campanati, Nicholas Brandon, Pietro Fabbri e Susanna Gozzetti, protagonisti già delle prime edizioni della rassegna estiva degli anni novanta, fanno parte del cast dello spettacolo insieme a Massimiliano Caretta, Enrico Casale, Lisa Galantini, Giua, Sarah Pesca, Pietro Romeo, Roberto Serpi, Graziano Sirressi e Mariella Speranza.
Le canzoni originali dello spettacolo, che accompagneranno il pubblico nel viaggio alla scoperta dei misteri d’oriente  sono state composte ancora una volta da Giua che le eseguirà dal vivo. 
I costumi sono firmati dalla costumista della Tosse Daniela De Blasio e le luci sono di Matteo Selis e Andrea Torazza.
    Un milione di scatole cinesi è un viaggio in compagnia di Marco Polo, che noi consideriamo uno dei più grandi esploratori di ogni epoca.
Per il mercante veneziano però, le spedizioni asiatiche sono state avventure inaspettate e non calcolate.
Partito per l’oriente per fare commerci si è imbattuto in un mondo così diverso e affascinante da restarne suo malgrado sedotto.
Durante i suoi viaggi Marco Polo si è trovato davanti a situazioni incredibili e i suoi “occhi da occidentale” non potevano certo far finta di niente. È stato l’entrare in contatto con tradizioni, usi e costumi così lontani dal suo mondo a farlo diventare quello che oggi noi ricordiamo come uno dei primi occidentali della storia a portare notizie sulle misteriose terre d’oriente.
I suoi viaggi in Asia sono stati avventurosi, emozionanti e  rocamboleschi fatti di incontri con personaggi strani, coraggiosi, saggi, poetici e divertenti.
Nel nuovo spettacolo targato Tosse il pubblico incontrerà alcuni di questi personaggi: una donna e il suo giovane genero nella lontana  provincia D’Ardanda, dove gli uomini non devono fare niente mentre le donne sono costrette a lavorare per non far affaticare i mariti anche nel giorno del parto; una vedova della Provincia di Maabar, dove le donne per tradizione alla morte del marito devono bruciare insieme al suo cadavere, una sciamana siberiana nella provincia di Tramontana.
Una puritana dama occidentale scandalizzata da alcune pagine de Il Milione si confronterà con le disinibite donne della provincia del Tebet. 
Durante il viaggio si incontrerà anche il grande Kan, rimasto solo a riflettere sulle conseguenze del potere, e un prigioniero rinchiuso dentro la prigione di un castello, privato di tutto ma con uno spirito che lo rende libero di viaggiare ovunque nello spazio e nel tempo e quindi libero.
  Ci saranno anche Marco Polo e il Rustichello da Pisa con la loro visione molto diversa del viaggio in oriente, per il mercante veneziano è un’occasione per accrescere i propri commerci, importare merci preziose, arricchirsi; per il poeta pisano è un’avventura fantastica, non sempre aderente alla realtà dei fatti, mitizzata e favoleggiante, come in un poema cavalleresco. 
  Con gli occhi ora dell’uno, ora dell’altro – e spesso con lo sguardo di entrambi – trasformeremo il borgo di Apricale in un oriente magico, dove un milione di scatole cinesi si apriranno per svelarci un universo infinitamente ricco e moderno, una civiltà avanzata e spregiudicata, invenzioni, tradizioni, paesaggi che senza Polo e Rustichello non sarebbero mai giunte fino a noi e che, molto più di quanto non immaginiamo, hanno contribuito a far diventare il nostro occidente quello che è oggi. 
      Biglietti:
intero 16 euro / ridotto 14 euro
ridotto € 8 per ragazzi fino a 14 anni
          APRICALE
Il borgo medievale di Apricale ( 570 ab. / 291 mt. s.l.m. ) è situato nell’entroterra di Bordighera e Ventimiglia a 13 Km dal litorale. Il suo nome deriva da “Apricus ” : esposto al sole. Circondato e protetto dalla catena delle Alpi Marittime gode di un ottimo clima. Le sue origini si perdono nella preistoria come testimoniano i tumuli sepolcrali dell’età del bronzo rinvenuti in località ” Cian deu Re “. Il borgo attuale fu eretto a partire dal IX secolo intorno al Castello dei Conti di Ventimiglia e dal 1270 in poi appartenne ai Doria di Dolceacqua. Gli statuti rurali del 1267, i più antichi della Liguria, restaurati recentemente, sono esposti in un’apposita sala dedicata al Medioevo, nell’ambito del museo tematico, ivi allestito presso il Castello della Lucertola. Le norme in esso convenute regolavano la vita del paese nel XIII secolo. SI notano in essi una certa ancestralità e crudeltà: i colpevoli d’omicidio venivano sepolti vivi con le loro vittime, le adultere decapitate, gli accusati di incendi, guasti e furti di bestiame dovevano provare la loro innocenza trasportando senza bruciarsi un ferro rovente per nove piedi. Le principali bellezze artistiche ancora ben conservate, sono le mura medioevali, l’arco acuto e il castello con il giardino pensile. L’oratorio di San Bartolomeo, conserva invece un polittico su legno del 1544 mentre la parrocchiale della Purificazione di Maria è stata completamente rifatta nel secolo scorso. Nella parte bassa del paese risulta invece assai caratteristica la chiesa di Santa Maria Alba di ascendenza medioevale. Presso questo edificio sacro è altresì interessante rammentare l’esistenza di una piccolo fonte giudicata di qualità terapeutiche e molto venerata dai fedeli del luogo. Di grande e piacevole interesse sono poi i “Murales”, affreschi di artisti moderni che, dipinti negli angoli più caratteristici del borgo, contribuiscono a distinguerlo con l’appellativo di paese degli affreschi
    Ufficio stampa -Teatro della Tosse – Davide Bressanin- tel 010 2487011 – cel 3938258710- [email protected]
      Info su www.teatrodellatosse.it
Tel 0102470793
  Biglietti:
intero 16 euro / ridotto 14 euro
    Davide Bressanin
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APRICALE dal 5 al 15 agosto – UN MILIONE DI SCATOLE CINESI Teatro della Tosse LA TOSSE D’ESTATE Apricale (Imperia) 2018   …e le stelle stanno a guardare UN MILIONE DI SCATOLE CINESI…
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colospaola · 7 years ago
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Un’idea per una passeggiata fuori porta, un giro in moto, è quella del Sacro Monte di Varese e del Parco del Campo dei fiori. Facilmente raggiungibile si trova a nord del centro di Varese, sul monte Orona nelle Prealpi varesine.
Luogo di culto e storia, inserito nel parco regionale del Parco dei Fiori, in un contesto ambientale di valore, con sentieri che consentono camminate per tutti i gusti, immersi nella natura e che offrono paesaggi spettacolari. Una vista che abbraccia il Lago di Varese, il Lago Maggiore, le prealpi luganesi, le Orobie, la catena delle Alpi fino al Monviso e alle Alpi Marittime, la pianura padana e l’appennino con i contrafforti emiliani. La vetta maggiore del Campo dei Fiori è la punta di Mezzo a quota 1.227, mentre a Punta Paradiso, si trova la “Cittadella di scienze della natura”, con l’Osservatorio astronomico Schiaparelli, fondato nel 1956 da Salvatore Furia.
Il complesso del Sacro Monte di Varese è stato inserito nel luglio 2003, nel patrimonio dell’Unesco, assieme ad altri otto siti simili come “Paesaggio culturale dei Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia”.
E’ una storica e nota meta di visite e pellegrinaggi composto da quattordici cappelle, splendidamente collocate nell’ambiente naturale, dedicate a un Mistero del Rosario. Probabilmente già utilizzato come luogo di culto ai tempi dei primi abitanti che avevano colonizzato il lago di Varese con palafitte, 4/5mila anni a.C. poi dai Celti. Dal medioevo è diventato una nota meta di pellegrinaggio per i devoti lombardi e del Canton Ticino. Si può raggiungere con mezzi pubblici o privati, percorrendo la suggestiva strada che porta in vetta, attraverso storiche ville liberty, palazzi della ricca borghesia imprenditoriale, boschi, pinete, lasciando poi i mezzi nell’apposito piazzale, vicino al Santuario. Si può raggiungere anche con la spettacolare funicolare, in stile liberty, che parte poco sotto la Prima Cappella e porta dritto nel cuore del borgo del Sacro Maria del Monte. Una corsa in funicolare pari a 1 Euro.
Nel 1474 fu edificato nella zona più elevata del monte un monastero, fondato dalle beate Caterina da Pallanza e Giuliana da Verghera (Beata Giuliana), dove ancora oggi sono ospitate le Suore Romite Ambrosiane.
All’inizio del Seicento il frate cappuccino Giovanni Battista Aguggiari e la madre badessa suor Tecla Maria Cid, iniziarono a edificare un acciottolato che seguisse il percorso del monte con quattordici Cappelle sui Misteri del Rosario, nasceva così la Via Sacra delle Cappelle del Rosario. Quest’ ambizioso progetto fu portato avanti per tutto il XVII secolo da scultori come Bussola, e pittori come Nuvolone e Morazzone, che lavorarono seguendo l’architetto Giuseppe Bernascone, mentre a sovvenzionare i lavori ci pensò la città di Varese. Creando così un percorso sacro, di circa 2 km che parte dalla Prima Cappella, a quota 550 slm, fino a raggiungere il santuario di Santa Maria del Monte a 820 metri.
Verso la fine del Novecento sono stati eseguiti alcuni lavori di restauro delle Cappelle voluti dal vescovo Pasquale Macchi, prima Arciprete del Santuario e poi Segretario del Papa Paolo VI.
Quasi all’inizio della Via Sacra si trova la Chiesa dell’Immacolata, mentre le 14 cappelle che celebrano i Misteri del Rosario si snodano lungo un tragitto scandito da tre archi ogni cinque cappelle, l’Arco dei Misteri Gaudiosi, l’Arco dei Misteri Dolorosi e l’Arco dei Misteri Gloriosi. La terza cappella è stata dipinta negli anni 80′ da Renato Guttuso, con un affresco che è un’esplosione di colori raffigurante la “Fuga in Egitto”.
Le cappelle della Via Sacra finiscono poco prima della fontana del Mosè, ideata all’inizio dell’Ottocento con uno stile neoclassico dall’architetto Francesco Maria Argenti di Viggiù.
Superata la scalinata, si arriva nella Piazza del Santuario con la torre campanaria ideata da Giuseppe Bernasconi nel 1598, il pozzo, inquadrato da due colonne ioniche, collegate da un architrave e un monumento bronzeo dedicato a Paolo VI, di Floriano Bodini, mentre a destra, in alto, si trova la seicentesca Chiesa dell’Annunciata. Piazza che è anche uno dei principali e spettacolari punti per ammirare il panorama. Santuario che da alcuni anni è facilmente raggiungibile con un comodo ascensore, posizionato proprio sotto la piazza, che ha facilitato l’accesso ad anziani e disabili.
Nel Santuario della Madonna Assunta si trova sull’altare principale il quindicesimo mistero del Rosario, l’Incoronazione della Madonna.
Nel 2013 lo scavo nella piccola cripta romanica a tre navate, ha riportato alla luce, reperti, mura e pavimenti che documentano chiaramente la preesistenza di un ben più antico edificio di culto mariano, a oggi non noto. Ritrovamenti che oggi sono visitabili a pagamento.
Il Sacro Monte, però è anche un piccolo borgo antico, abitato, dove il tempo sembra sospeso, ricco di viuzze e scalinate ripide, tra lanterne e numerose ville in stile liberty, ristoranti, bar caratteristici dalla lunga e particolare storia, spesso con terrazze che garantiscono la vista sottostante. Inoltre conta su due musei, il Museo Baroffio, posizionato sulla parte posteriore del Santuario, con uno dei più spettacolari terrazzi del Sacro Monte. Al suo interno la storia di Santa Maria del Monte tra sculture romaniche, miniature preziose, paliotti sforzeschi e dipinti dal XV al XVIII secolo, sino alla sezione di arte sacra contemporanea. Artisti varesini come Borghi, Frattini, Montanari, Quattrini, Tavernari, in mostra accanto a maestri italiani (Biancini, Cantatore, Conti, Minguzzi, Radice, Sironi, Sassu) e ad alcuni protagonisti assoluti dell’arte europea del XX secolo come Buffet, Rouault e Matisse.
Il secondo museo è Casa Museo Lodovico Pogliaghi, di proprietà della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Una casa-atelier, posta sulla parte finale della salita, prima del borgo, dove il grande ed eclettico artista lombardo, ha lavorato per anni a qualcosa di unico, come nel caso del gesso a grandezza naturale del portone del Duomo di Milano. Una gran mole di bozzetti e sculture dell’artista, reperti di tutte le epoche. Ogni stanza è diversa dall’altra e si viene condotti in un vero e proprio mondo a parte.
Santa Maria del Monte conta anche su un emporio dove si possono trovare opere di carattere sacro e non solo.
Sabato 17 marzo, dopo la chiusura invernale, riapriranno tutti i musei del complesso del Sacro Monte di Varese, Centro Espositivo Mons. Macchi, Casa Museo Pogliaghi, Museo Baroffio e del Santuario e la Cripta.
Il calendario del 2018 sarà molto ricco di eventi e appuntamenti, tra visite tematiche, percorsi e campus per bambini e concerti che popoleranno il sito.
Due sono gli appuntamenti con i quali il Sacro Monte di Varese aprirà la nuova stagione.
Il primo sarà la presentazione della monografia artistica Guido Villa, Cicli pittorici, prevista per sabato 17 marzo alle 17, presso le Sala Conferenze del Centro Espositivo Mons. Pasquale Macchi presso la prima cappella, a ingresso gratuito.
Il volume, ideato da Graziano Campanini insieme a Paola Locatelli, edito da Pendragon di Bologna, vede una cospicua selezione delle opere e dei cicli pittorici realizzati dall’artista vercellese, come Montagne, Ritratti e omaggi, Pittura sociale, Arte sacra, Nature morte, Sport, Africa, Video scenografie, Teatrini poetici, Copertine e manifesti, dove Villa usa un segno grafico-pittorico denso e ricco d’intensità cromatica.
Uomo di poche parole, Guido Villa si esprime attraverso un’arte prorompente, con un’esecuzione veloce e impetuosa, dove crea immagini, usando veloci pennellate e segni dall’andamento fluido e sinuoso.
Interverranno alla presentazione della monografia, ideata da Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese, l’editore Antonio Bagnoli, il curatore Graziano Campanin, direttore del Museo della Sanità e dell’Assistenza presso il complesso monumentale di Santa Maria della Vita a Bologna, e monsignor Franco Givone, ora parroco di Gattinara, ma per molti anni Missionario a Isiolo – Kenya e quindi testimone della realizzazione del Ciclo di dipinti dell’Esodo dello stesso Villa.
Il secondo appuntamento è la prima visita tematica di approfondimento del ciclo d’incontri sul Sacro Monte Contemporaneo, Lello Scorzelli: inaugurazione della formella ritrovata della Via Crucis, prevista per domenica 25 marzo alle 15 presso il Centro Espositivo Monsignor Pasquale Macchi nella prima cappella al Sacro Monte di Varese.
Nato a Napoli nel 1921 e deceduto a Roma nel 1997, Scorzelli, figlio del pittore Eugenio, iniziò la propria formazione da autodidatta e in seguito frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Verso la fine degli anni Trenta iniziò l’attività espositiva, con alcune Mostre Sindacali della sua città natale e in seguito alla Biennale di Venezia del 1942, quindi alla Mostra del Ritratto svoltasi a Napoli nel 1945 e a una mostra collettiva degli artisti campani nello stesso anno.
Nel dopoguerra andò a vivere a Firenze per studiare il Rinascimento italiano, grazie alla lettura della Vita di Benvenuto Cellini poi, ispirato dalla figura umana, realizzò numerosi nudi femminili, ma si affermò come ritrattista, modellando nel bronzo immagini che mostravano la sua abilità nel restituire con viva penetrazione psicologica il carattere dei personaggi, come il Ritratto di Orio Vergani del 1947.
Tra le sue opere c’è il bassorilievo in bronzo per la facciata del Nuovo Teatro San Ferdinando di Napoli, eseguito nel 1953 su incarico di Eduardo De Filippo.
Dagli anni Sessanta si dedicò intensamente all’arte sacra, lavorando per la Santa Sede su commissione di Paolo VI, che gli mise a disposizione uno studio in Vaticano, oltre ad alcune opere per la chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma, il monumento commemorativo di Paolo VI per la cattedrale di Brescia e la Fontana del Guerraccino per la città di Napoli.
Il Museo Baroffio e del Santuario e il Museo Pogliaghi, propongono un biglietto unico vantaggioso per turisti e appassionati d’arte che vogliano visitare le due sedi museali del Sacro Monte. Il biglietto cumulativo, fissato a 5 €, consente anche di distanziare nel tempo l’accesso al secondo museo, avendo la validità di un mese.
12 € biglietto cumulativo (permette la visita ai tre musei e ha validità di sei mesi: Casa Museo Pogliaghi, Museo Baroffio e Cripta)
12 € biglietto famiglia (2 adulti + 2 o più bambini)
È attiva una convenzione con le Autolinee Varesine che permette ai visitatori di entrambi i musei del Sacro Monte di viaggiare gratuitamente. Esibendo il biglietto di visita del Museo Baroffio e della Casa Museo Pogliaghi è possibile scendere gratuitamente da Santa Maria del Monte utilizzando gli autobus della linea urbana C (partenza da piazzale Pogliaghi).
La convenzione non include l’utilizzo della funicolare.
Nel periodo di apertura della funicolare, è prevista una corsa ogni 10 minuti. Per chi utilizza l’autobus, è garantita una corsa ogni 20‘ (ogni 30′ nei festivi) in partenza dalle stazioni e dal centro di Varese, effettuata dalla linea urbana “C” e in arrivo e/o partenza dalla stazione del Vellone vi è la coincidenza con la funicolare. Biglietto funicolare+bus 1,40 Euro.
Sacro Monte di Varese, le novità della primavera 2018 Un'idea per una passeggiata fuori porta, un giro in moto, è quella del Sacro Monte di Varese…
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