#neve e poesia
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"Pennellate pensose" di Lucio Zaniboni: la poesia come riflesso di emozioni e memoria. Recensione di Alessandria today
Un viaggio poetico tra sentimenti, natura e ricordi che evocano la fragilità e la bellezza della vita.
Un viaggio poetico tra sentimenti, natura e ricordi che evocano la fragilità e la bellezza della vita. Recensione di “Pennellate pensose” “Pennellate pensose”, poesia firmata dal Prof. Lucio Zaniboni, è un’opera che si distingue per la sua straordinaria capacità evocativa. Attraverso versi densi e immagini poetiche, l’autore intreccia natura e introspezione, portando il lettore in un viaggio…
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NEVE IN SICILIA
Nivi liggera, nivi fridda, janca lenta scinni, tuttu cummogghia e ora chi ogni culuri manca lentu u jonnu, da luci si spogghia. Vidi nto ventu u fumu di braceri Senti buci i ciarameddi luntani mentri u friddu gela i pinseri ti femma u cori, sicca i mani. Muti, munti e abbiri janchiaru mentri nto cielu niviru, nimicu l’aceddi si ceccunu nu riparu nte rami chi puru iddi mureru. Senti u ventu gridari raggiatu u so cantu di friddu e di motti come pacciu nto ghianu gilatu malignu dici chi non c’è chiù sotti. Inveci, dà nto cielu scuru scuru s’apri na gran spacca janca e pura strazza u grigiu chiù gelidu e duru a fini dà resta, s’allagga, dura. U suli affaccia e nun ni lassa u munnu s’incumencia a rusbigghiari u bruttu tempu a fini passa u tempu bonu e già nto rivarivari Accussì nta l’omini è puru u cori chi ora s’accupa ora si stimulia poi a spiranza chi mai sinni mori ci dugna fozza, duma a poesia
Neve leggera, neve fredda, bianca, scende lenta e tutto ricopre, ed ora che ogni colore manca, lento il giorno della luce si spoglia. Vedi nel vento il fumo dei camini, senti la voce delle cornamuse lontane, mentre il freddo gela i tuoi pensieri, ti ferma il cuore, ti secca le mani. Muti i monti e gli alberi sono imbiancati, mentre nel cielo nero e nemico, gli uccelli si cercano un riparo sopra rami che anch’essi sono morti. Senti il vento gridare arrabbiato il suo canto di freddo e di morte, come un pazzo nel piano gelato, maligno dice che non vi è più una sorte. Invece, li nel cielo scurissimo, si apre una grande fessura bianca e pura, strappa il grigio più gelido e duro, alla fine resta, s’allarga e dura. Il sole si affaccia e non ci lascia, il mondo si incomincia a svegliare, il brutto tempo alla fine passa, il bel tempo sta già arrivando. Così negli uomini è anche il cuore, che ora si soffoca, ora si preoccupa, poi la speranza che mai se ne muore, gli dona forza e gli accende la poesia.
Light snow, cold snow, white, it falls slowly and covers everything, and now that every color is missing, slowly the day is stripped of light. You see the smoke of the chimneys in the wind, you hear the voice of the distant bagpipes, while the cold freezes your thoughts, stops your heart, dries your hands. The mountains are silent and the trees are white, while in the black and hostile sky, the birds seek shelter on branches that are also dead. You hear the wind shouting angrily its song of cold and death, like a madman in the frozen plain, malignantly says that there is no more fate. Instead, there in the very dark sky, a large white and pure crack opens, tears away the coldest and hardest gray, in the end it remains, it widens and lasts. The sun peeks out and does not leave us, the world begins to wake up, the bad weather finally passes, the good weather is already arriving. So it is also in men the heart, which at one time suffocates, at another worries, then the hope that never dies gives it strength and lights up its poetry.
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Storia Di Musica #329 - Diaframma, Siberia, 1984
Nella scatola ritrovata in soffitta, questo disco stava sotto un altro, con la copertina leggermente rovinata dall'umidità (e che sarà protagonista di una prossima Storia di Musica). All'interno c'era il bigliettino da visita di un negozio di dischi, Data Records 93, Via dei Neri, Firenze. Il disco di oggi è l'inizio di una delle più intense e importanti storie musicali italiane degli ultimi 40 anni nel nostro paese. Tutto inizia a Firenze, fine anni '70, quando l'onda punk in Europa è al massimo livello: in un liceo si formano i CFS, con Federico Fiumani alla chitarra e due suoi amici, Gianni Cicchi (batterista) e Salvatore Susini (bassista). Suonano cover delle band punk rock britanniche, nel 1980 Susini se ne va e viene sostituito dal fratello di Cicchi, Leandro, e nascono così i Diaframma, nome scelto per la comune passione dei tre per la fotografia (il diaframma fotografico è il meccanismo usato in ottica per regolare la quantità di luce che deve attraversare un obiettivo). Sin da subito, si appassionano alle sonorità post punk che in quegli anni saranno chiamate darkwave, ispirati a gruppi leggendari come i Joy Division o i primissimi The Cure di Robert Smith. Nel 1981 conoscono Nicola Vannini, un giovane cantante, e gli propongono di entrare nel gruppo: pubblicano in pochi mesi due canzoni unite in un singolo, Pioggia/Illusione Ottica e poi Circuito Chiuso (1982) e Altrove (1983). Vannini non si ambienterà mai del tutto, e poco prima delle registrazione del loro primo disco, viene sostituito da Miro Sassolini. Nelle stesse settimane, vengono scritturati da una neonata casa editrice musicale, la IRA Records di Firenze: fondata da Alberto Pirelli insieme alla moglie Anne Marie Parrocel diviene una delle etichette più attive e creative del panorama italiano. Ne è esempio il primo disco prodotto, Catalogue Issue, una compilation con alcune delle più interessanti band del territorio, tra cui oltre che i Diaframma si ricordano i Litfiba, i Moda, ed gli Underground Life. Pirelli coniò lo slogan nuova musica italiana cantata in italiano, dando consistenza all'impegno delle 4 band sull'utilizzo della lingua italiana nella musica alternativa del nostro paese, contro l'anglofila e l'alglofonia dominante di quegli anni.
Tutto è pronto per il primo disco: scritto tutto da Federico Fiumani, prodotto da Ernesto De Pascale (che fu anche grande giornalista di musica) Siberia esce nel Dicembre del 1984. È un album in cui l'eleganza e la forza espressiva della musica incontra la poetica decadente di Fiumani, che nella voce di Sassolini trova un interprete perfetto del suo pensiero musicale e artistico. 8 brani che sono una carrellata di immagini che regalano sensazioni fredde, pungenti, dominate dalle falciate chitarristiche tipiche della musica del periodo e dal ritmo sincopato della batteria, e illuminati dai testi romantici e decadenti di Fiumani. Siberia, che apre il disco, è già l'emblema: una chitarra malinconica, il basso dai toni ombrosi ed un elegante sassofono accompagnano una voce tenebrosa rendendo il brano misterioso, Aspetterò questa notte pensandoti,\nascondendo nella neve il respiro,\poi in un momento diverso dagli altri\io coprirò il peso di queste distanze…\di queste distanze… di queste distanze. Non da meno Neogrigio, angosciante, turbinante, ventosa, capolavoro per i più sconosciuto. Impronte è una dolente poesia ritmata (Ho preferito andare prima di esser lasciat\Prima che il cuore da solo scivolasse nel buio\Insieme ai ventagli ingialliti\Resti un lampo intravisto oltre i vetri del treno\Nello spazio improvviso sopravvive in un sogno), e arriva un altro capolavoro: Amsterdam, dal leggendario ritornello (Dove il giorno ferito impazziva di luce\Dove il giorno ferito impazziva di luce) è una speranza di uscita dal dolore, e l'anno dopo, nel 1985, diventerà un formidabile duetto con i Litfiba di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, band amica\nemica di quei tempi e destinata d un futuro radioso. Delorenzo è una ode baudeleriana, incentrata su un asfissiante basso, Memoria è un altro brano di discesa nell'oscurità, potente e misterioso, Specchi D'Acqua dal ritmo incalzante e quasi galoppante, è una fuga dagli incubi (Forse non sento le voci\Che mi allontanano\Sempre più in fretta\Dal ricordo latente\Di quei giorni sofferti), chiude il disco Desiderio Dal Nulla, trepidante, spasmodica, che continua nei suoi testi decadenti a raccontare il disagio.
Il disco fu osannato dalla critica dell'epoca, ma vista anche la dimensione indipendente del progetto, vendette poco. I Diaframma si fanno però un nome nella scena musicale alternativa italiana: è meno cupo ma altrettanto bello 3 Volte Lacrime, del 1986 e dopo Boxe (1988), un po' deludente, Fiumani scioglie il gruppo e lo riforma prendendo le redini anche del canto: pubblicherà con i nuovi Diaframma In Perfetta Solitudine (1990), che segnerà la sua volontà di continuare una carriera solista, tra cantautorato e musica rock, incisiva a volte a tratti scostante, con in primo piano la sua poesia dei testi, mai mancata.
Questo disco verrà ripubblicato in cd per la prima volta nel 1992, con aggiunta di altri due brani Elena e Ultimo Boulevard e nel 2001 con Amsterdam cantata con i Litfiba e numero brani live. Nel 2012, per il suo centesimo numero dell'edizione italiana, la rivista Rolling Stone Italia lo inserisce nella classifica del 100 migliori dischi italiani addirittura al 7.mo posto. È una riscoperta per almeno due generazioni: persino io lo comprai, non conoscendoli e non sapendo che nella soffitta di casa era, integro e impolverato, uno dei dischi più compiuti, affascinanti e belli non solo della stagione new wave post punk degli anni '80, ma dell'intera musica italiana.
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Mi hai chiesto una poesia
che parlasse del Natale,
che ti piace così tanto,
ma non l’ho;
la cerco in questa casa senza facce,
fra le rose luminose con la pila,
che ho comprato dai cinesi, già frugate
nei cestoni da altre mani,
ma non c’è.
Io vorrei darti le pigne che ti aspetti,
i teatri in miniatura con la neve.
Non lo sai quanta cannella, quanto muschio,
quanti piccoli pacchetti bianchi e rossi,
ti darei,
ma il Natale non è
qui con me;
l’ho lasciato alla bambina che guardava
il disegno sul servizio
di piatti di Limoges,
svenduto al primo offerente,
l’ho soffiato via col talco nelle calze
di mia nonna,
l’ho perduto nel gonfiore delle dita
che graffiavano nel gelo i parabrezza
di una fuga,
l’ho mangiato,
a piccoli pezzetti, anno
dopo anno,
sulla tavola, da sola.
L’ho dormito,
pregato via, dissolto
nella scusa fosse un giorno come un altro.
E ora non ho più
Natale
per la semplice poesia che tu mi chiedi.
Mi è rimasta:
la coda da lucertola a ricrescere
della stella che realizza i desideri
e la nascita del giorno
di ogni giorno che verrà,
te le lascio tutte e due,
a te che forse
sei l’unica persona che saprebbe
farmi amare anche il Natale.
Beatrice Zerbini
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Depressol (poesia, novembro 2024)
Hoje o sol resolveu não aparecer
Preocupado se aquecia o bastante
Do norte ao sul, frio e escurecer
Do astro-rei agora tão distante
Soturna, a lua se perguntava
Se um dia voltaria a inspirar
Tudo que a tênue luz brilhava
Ondas, amantes e o sonhar
Secou completamente o mar sem o sono
"Criem pernas, andem com seus pés!"
Os sete marés bradaram em uníssono
Agora impossível velejar sem as marés!
Os insetos promoveram uma greve
Em seus casulos se enclausuraram
Sem luz ou alimentos, apenas neve
No frio e penumbra aguardaram
De suas casas todos se recusaram a sair
E então o deserto definitivo floresceu
Nada mais havia que pudesse o impedir
E a visão do último corvo enfim escureceu
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
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Pratiche gentili
Imparare a governarsi
a bastarsi
ad aspettarsi.
Imparare a tollerare la propria assenza,
il cuore latitante
dolorante
esangue.
Acquisire l’arte del cullarsi
offrendo lo sguardo alla luce,
al vento,
a visi dagli occhi lucidi.
Essere maestri
padre
madre
fratelli
di se stessi:
adottarsi
scegliersi,
prendersi in braccio
canticchiando.
Leggere
una poesia
per placare l’anima,
per accarezzarla
come si carezza
un cane
un gatto
un bambino.
Parlarsi sottovoce
tra sé e sé,
con questa formula semplice:
“Puoi piangere,
correre a perdifiato
stare sottocoperta,
consolare i tuoi fantasmi”.
Infine,
affondare nella musica,
respirare la neve.
Si, la neve.
(Simona Garbarino)
Immagine : Lisa Aisato
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La fragilità, negli slogan mondani dominanti, è l'immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell'indicibile e dell'invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d'animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi.
[...]
La fragilità è un modo di essere emozionale ed esistenziale che vive del cammino misterioso che porta verso l'interno e che non si riconosce se non andando al di là dei comportamenti, e scendendo negli abissi della nostra interiorità e dell'interiorità altrui. Ancora oggi si tende ingiustamente a guardare alla fragilità come ad una forma di vita inutile e antisociale, e anzi malata, che ha bisogno di cure e che non merita nel migliore dei casi se non compassione; e non si sanno intravedere in essa le tracce incandescenti della sensibilità e della gentilezza, della timidezza e della tenerezza, della creatrice malinconia leopardiana.
Certo, come la sofferenza passa, ma non passa mai l'avere sofferto, così anche la fragilità è un'analoga esperienza umana che, quando nasca in noi, non viene mai meno in vita e che imprime alle cose che vengono fatte, alle parole che vengono dette, il sigillo della delicatezza e dell'accoglienza, della comprensione e dell'ascolto, dell'intuizione dell'indicibile che si nasconde nel dicibile.
Sì, ci sono momenti in cui la presenza, o almeno la percezione, che ciascuno di noi ha della sua fragilità si accentua, o si inaridisce, ma in ogni caso dovremmo educarci a riconoscerla in noi ma soprattutto a riconoscerla negli altri da noi: un impegno etico, questo, al quale noi tutti siamo chiamati in vita.
Nel concludere queste mie nomadi considerazioni sulla fragilità vorrei citare una breve e stremata poesia di Rainer Maria Rilke.
La poesia è questa:
Era tenero e fine il suo sorriso come brillio d'antico avorio, come nostalgia, come neve che a Natale sull'oscuro villaggio discende, come turchese in mezzo a fitte perle, come raggio di luna su un caro libro.
Cosa c'è di più fragile di un sorriso, e cosa di più fragile della nostalgia, della neve che cade a Natale e di un raggio di luna su un caro libro? Vorrei augurarmi che in queste bellissime immagini possa riassumersi il senso umbratile e fugace di un discorso incentrato sulla fragilità come leitmotiv della condizione umana.
Eugenio Borgna
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- Mi scrivi una poesia d’amore?
- D’amore felice o d’amore triste?
- Come ti rendo?
- Felice
- Dunque?
- Dunque felice
- Bravo, vorrei proprio una poesia d’amore felice
- Hai delle preferenze?
- Cosa intendi per “hai delle preferenze”?
- Ci vuoi dentro baci, gatti, tette, occhi, ci vuoi una bici, due bici per passeggiare assieme, ci vuoi dentro dei prati o il vento, o sia prati, sia vento, ci vuoi dentro dei riccioli neri, ci vuoi sospiri, ci vuoi dei sassolini, delle nocciole, una strada, una musica, e se sì che musica vuoi, ci vuoi un letto, delle lenzuola rosse, ci vuoi una mela, le tua gambe lunghe affusolate, un divano, un morbido tappeto, ci vuoi del sesso, la vuoi a colazione o la vuoi notturna, vuoi che faccia innamorare altre donne al di fuori di te, vuoi un finale matto, vuoi che sia primaverile o autunnale, la vuoi invernale, vuoi un bellissimo vestito, vuoi un molo e una barca di legno sul lago, vuoi che ci sia un grande ballo e che io ti venga a prendere in carrozza, vorresti dei gessetti colorati, vuoi che sia ambientata nel bosco, ci saranno delle castagne, la luna, la neve, vuoi che sia una poesia rassicurante, calda, che ti faccia sorridere, vuoi che ci siano dei grilli che ti fanno la serenata per tutta la notte, cosa ci vuoi dentro questa poesia d’amore felice?
- Puoi metterci davvero dentro tutto questo?
- Tutto questo e assai di più
- Voglio tutto con aggiunta di mozzarella di bufala
- Sei una morbida ragazza dalle idee chiarissime
- Procedi pure.
Guido Catalano
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Poesia di https://www.tumblr.com/maripersempre-21
Tu non sei come gli altri,
tu sei diverso...
sei i colori tenui di un'alba
e quelli intensi di un tramonto,
sei giornate di pioggia
sei vento forte che soffia sul cuore,
la bellezza della neve quando scende
sei sole che brucia la pelle
nebbia che confonde ogni cosa,
sei un cielo di notte
carico di stelle...
tu sei diverso
sei unico...
sei quel bacio,
quelle mani,
sei quella presenza
che riempie il mio cuore,
sei la mia forza
e la mia più grande debolezza,
tu sei diverso,
tu sei speciale...
e non solo a parole,
ed è per questo che infinitamente...
...t'amo...
M.C.©
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Ti amo, come se fossi
la preda indifferente, la più oscura
delle amanti. Amo il tuo volto
di bianche stanchezze, le tue mani
che esitano, ciascuna delle parole
che senza volere mi hai dato. Voglio
che mi ricordi e dimentichi come io
ti ricordo e dimentico: su uno sfondo
in bianco e nero, spogliata come
la neve mattinale si spoglia della notte,
fredda, luminosa,
voce incerta di rosa.
Nuno Júdice, Poesia d'amore per uso topico, Poesia riunita
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Il morire non è grande ferita: La poesia di Emily Dickinson tra vita e morte. Recensione di Alessandria today
Un’analisi profonda di una delle poesie più emblematiche della grande poetessa americana
Un’analisi profonda di una delle poesie più emblematiche della grande poetessa americana Emily Dickinson, una delle voci più intense e innovative della letteratura americana, affronta in questa poesia il tema universale della vita e della morte. Il componimento esprime la sofferenza dell’esistenza, rappresentando il morire non come una ferita insuperabile, bensì come un passaggio verso un…
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Poesia di Renzo Pezzani
Gennaio
Bigio il ciel, la terra brulla,
questo mese poverello
nella sporta non ha nulla
ma tien vivo un focherello.
Senza greggia e campanello
solo va, pastor del vento.
Con la neve sul cappello
fischia all'uscio il suo lamento.
Breve il dì, lunga la notte,
cerca il sole con affanno.
ha le tasche vuote e rotte,
ma nasconde il pan d'un anno
Benvenuto Gennaio ❄
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" È consolante riandare alle proprie letture. Penso alle fughe nel fantastico quando si leggeva dei pirati della Malesia di Emilio Salgari, o Giulio Verne e i viaggi per ventimila leghe sotto i mari, o le memorabili avventure di Oliver Twist in Dickens, o l’Odissea che lessi da piccolo in una edizione illustrata a colori, e i favolosi volumi della «Scala d’oro» che la Utet stampava, divorati nel tepore della cucina. Daniel Pennac ricordava la sua lettura di Guerra e pace «che si svolse di notte, alla luce di una lampada tascabile, e sotto le coperte tirate su come una tenda in mezzo a un dormitorio di cinquanta sognatori, russatori e sussultatori»*. Walter Benjamin, in Infanzia berlinese, ricorda i romanzi di avventura della sua infanzia che gli venivano incontro come venti del Sud o tempeste di neve: «I paesi lontani che vi incontravo danzavano confidenzialmente l’uno intorno all’altro come fiocchi di neve. E poiché ciò che scorgiamo lontano attraverso la neve non ci invita fuori, ma dentro, cosí Babilonia, e Bagdad, Akka e l’Alaska, Tromsö e il Transvaal abitavano dentro di me»**. Tutto ciò che l’umanità ha pensato, concretizzato, fantasticato, sentito e intuito sta nei libri. La finzione della poesia o della narrativa ci fa percepire il mondo presente e ricostruire il passato. È simulazione potente di vita vera e di emozioni. Grande consolazione è il sapere che tutto sta nei libri, nella loro presenza fisica. "
* D. PENNAC, Come un romanzo [1992], Feltrinelli, Milano 2000, p . 122.
** W. BENJAMIN, Infanzia berlinese [1950], Einaudi, Torino 1973, p. 78.
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Gian Luigi Beccaria, In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi (collana Vele), 2022. [Libro elettronico]
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Matinata exordial
Disrítmicos acordes, cesáreo parto, chegada e partida, recém nascido recém morrido ano, corpo vivo, morto? Novo, vivo? Estrangeiro, apenas. Ser poeta é viver sempre em terra estranha, sob hostil idioma e léxicos… Genetlíaco. Natalício. Aniversário. Níver. Natal. Calendário. Dia de colecionar lembranças, de se ver recordado, de querer fugir dos abraços e do constrangimento das emoções murchas. Como em uma saturnália infernal, uma bacanal onde todos broxarão…
Campo minado, corpo estranho, tatame e músculos, relva e pétalas, granizo tuas lágrimas empedraram, tatuadas nos olhos meus; duras, duro falo, falho, a chuva descai pelos implúvios, chorarás pedras preciosas estrelas de saudade e gelo, sagas de fogo e neve, cadáveres inimigos, só os vícios são constantes, onde a vida é impermanente, os desejos traiçoeiros atraem e traem a si mesmos
Quânticas físicas e doses de desamor, redamar, redes ao mar, o mundo é um trocadilho, as emoções são trocados meros de uma conta impagável, quanto devemos, ou se nos devem, se pá, quiçá. Uma onda lambe a praia, um pé, o tornozelo torneios de prazeres olfatados, a fome morre à primeira mordida; eu mais eu, rasta?, arrasto-me por pernas como um barata, enojo-me repelido; carícias são insetos entomólogo emocional devêra ser? A pontuação é como um aramado demarcando glebas de carne invadida. Possuída apenas, só que não, nem tanto desejo, menos gozo que fastio, engodo, ungido por um ídolo pagão. Mas não creio em deuses nem em super-heróis, a quem recorrerei, se a realidade falece-me sempre na hora h, no dia d, no pico da pica obelisco ebúrneo inúteis pujanças, pajelanças vírgulas importunas, virruelas vielas, ósculos felinos, regularidade clísmea, pontualidades fecais. O afeto é arisco como um gato sem dono, impossuído, jamais teria a constância das fezes, não nos desperta, não nos chama. Nem tampouco nos conserva, clinômanos, eu leitos, posto que desfeitos.
Para que falar difícil, cara? Para tapar ocos que as cenas deletadas deixam. Pelo que as possibilidades dos miados schrödingerianos sequer sugeriram. Contudo, pressenti-as e encalcei meu próprio rastro. E, dessarte, escorrem as horas pelas calhas; inúteis precauções, rondas e rondós. Ereções desafiam a gravidade, mas nos longes pensamentos, ruem como ídolos abatidos… estátuas marmorizadas esculpidas pelo acaso, estetizam-se na imperceptível amputacão de gestos escultores…a poesia é para os que se suicidam na ressurreição da carne, para os que se almejam matar muitas vezes, vezes tantas em hóstias putrescentes, em sórdidos bordéis, e profanos missais. O amor muda de nome, de sexo, de número, de grau, de endereço; subtilmente impessoal… suicida-se a cada contacto com o real, com o inimigo objeto, sujeito (rejeito) de suas reiteradas imolações. Morre Adônis assim como morre o verão. Dimuz, Tamuz, Dumuzi , Adônis, cambiam-se onomasticamente os deuses onanistas no apoditório de seus propileus. E contorcem-se as pernas, confundidas nos passos que, juntas, não darão, celebrando descaminhos, desbravando a ausência de bravuras… cansei de tantas iterações, deste andantino e de minha falta de sabedoria para improvisos e desvios…
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Raiar de olhar (poesia, 2024)
Até você me perceber
(até os faróis dos seus olhos me iluminarem)
Estou entre as sombras
Não incompleto
Mas uma versão cujo seu olhar
Ainda não reluz
Ainda não pousou
Como raio laser
Rebatendo entre as paredes
Como lâmpadas acendendo em sequência
Até lá sou canto escuro, perigoso
Até lá o dia não raiou
E as aves de rapina caçam impiedosamente
Até lá a neve cai
E o vento gelado curva todas as criaturas
Até o sol do seu olhar me atingir
Sou pupa, sou casulo
Semente que não brotou
Potencial de perfume
Aguardo teus olhos refulgirem
#delirantesko#espalhepoesias#pequenosescritores#lardepoetas#carteldapoesia#projetoalmaflorida#poetaslivres#Poesia
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flashback with @maredoomstryke at the tavern.
Seu maior crime era a indulgência. Desde a morte de Alya, há muito havia deixado de temer a própria sentença: se entregava aos prazeres vazios como maneira de anestesiar a dor da ausência e, na maior parte do tempo, a estratégia parecia funcionar. Naquela noite em particular, havia voado com Buruk até Zelaria, cada passo o levando pelo mesmo caminho de pedras desgastadas que um dia havia percorrido com a mulher que amava. Fora ela quem o apresentara ao lugar, e visitá-lo havia se tornado uma espécie de templo ao luto, uma maneira de unir suas tentativas de se sentir vivo com a necessidade de cultuar sua memória. Aos olhos de Tadhg, no mundo haviam poucos prazeres maiores que o de ouvir uma boa poesia, e era por versos e rimas que buscava na taverna familiar. O lugar era recanto entre os changelings com o mesmo apreço pela arte, e um dos únicos em que se sentia seguro deixando a guarda baixa diante de desconhecidos – física e metaforicamente.
A terceira ilha era território neutro mas, mesmo nela, cada classe parecia preferir seu próprio espaço. Naquele estabelecimento, de propriedade de uma feérica, podia recitar, cantar, dançar e tocar entre os seus, sem medo de julgamentos, cada talento um segredo jamais revelado fora das quatro paredes que os escondiam. Havia preparado uma música para aquela ocasião em particular: algo que escrevera após um pesadelo, ao acordar com a cama fria ao seu lado e a memória do corpo ainda quente em seus braços, sem respirar. Deixou sua capa junto a entrada e, com cuidado para não espalhar a lama da neve que havia esmagado sob o coturno na caminhada até ali, limpou as botas contra o tapete antes de se acomodar em um dos bancos do balcão, gesticulando para que o trouxessem o de sempre nos meses de inverno – uma caneca de vinho quente com uma pitada de gengibre para o esquentar. Com a bebida em mãos, se voltou para o pequeno palco improvisado, onde encontrou uma figura feminina a dançar.
Não a conhecia, e não conseguiu desviar o olhar.
#─── few thıngs are more deceptıve than memorıes. › ınteractıons | tadhg barakat.#with maredoomstryke.
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