#natura e professione
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Tra Natura e Professione, viaggio attraverso collaborazioni ed ecosistemi..
Sono un'appassionata della natura, un'eterna esploratrice di boschi, monti e sentieri, ma la mia vita va ben oltre le meraviglie del mondo naturale.
Mi occupo di diverse attività, interagendo regolarmente con professionisti di vari settori, da creativi a ingegneri, da esperti di marketing a tecnici.
Ogni volta che mi confronto con queste menti brillanti, non posso fare a meno di vivere ogni interazione attraverso la lente della natura.
Per me, ogni discussione è come un'escursione in un ecosistema unico: ci sono dinamiche da osservare, relazioni da esplorare e, perché no, un po’ di ironia da cogliere.
Le strategie aziendali si intrecciano con i cicli delle stagioni, e le collaborazioni professionali richiamano alla mente le simbiosi tra piante e animali.
In questo modo, riesco a portare la mia passione per la natura anche nel mondo del lavoro, trasformando ogni incontro in un'opportunità di riflessione e scoperta.
E allora mi chiedo:
In un mondo dove le interazioni sociali sembrano sempre più informali, ci sono ancora quei rari angoli in cui il “lei” regna sovrano, come una maestosa quercia nel bel mezzo di un campo di margherite.
Ma perché, ci chiediamo, questa necessità di dare del “lei”?
Forse perché, come una farfalla che si posiziona delicatamente su un fiore, c'è il desiderio di rispettare la delicatezza delle relazioni umane?
Immaginate di trovarvi in un ufficio, circondati da colleghi che si scambiano battute amichevoli e si danno del tu.
A un certo punto, entra il nuovo manager. Con il suo portamento regale e il suo sguardo che ricorda un gufo saggio, si avvicina e, con un tono grave, inizia a dare del “lei” a tutti. Ecco... in un attimo, l'atmosfera cambia: si passa da un picnic spensierato a una riunione di giurisdizione tra pinguini in un iceberg.
La verità è che il “lei” ha un suo fascino, come un cactus fiorito nel deserto.
Esprime una certa distanza, una sorta di rispetto, come se stessimo dicendo “sì, siamo in un ambiente professionale, ma voglio che tu sappia che ti considero una creatura dignitosa, non un semplice criceto nel mio ingranaggio aziendale”.
È un po’ come se volessimo proteggere il nostro spazio personale, come fa un riccio quando si rannicchia per difendersi.
In natura, ci sono animali che si avvicinano con cautela per non disturbare l’ecosistema. Pensate agli elefanti: non si avvicinano mai a un altro animale senza prima stabilire una sorta di protocollo.
Ecco, il “lei” è un po’ come il rituale degli elefanti: una forma di rispetto per la gerarchia, per il territorio altrui.
In questo modo, possiamo continuare a coesistere senza fare troppi danni, come se stessimo danzando in un bosco incantato.
Quindi, mentre ci ritroviamo a dare del “lei” a chi ci sta di fronte, ricordiamoci che stiamo solo cercando di mantenere quell’equilibrio delicato che rende le nostre interazioni un po’ più simili a un giardino fiorito, piuttosto che a una giungla caotica.
Magari, in fondo, il “lei” è solo un modo per dirci che, nonostante le apparenze, siamo tutti parte dello stesso ecosistema umano, e un po’ di cortesia non guasta mai...
#ecologia umani natura#osservazione del mondo#natura e professione#ecosistemi umani#riflessioni verdi filosofia ed ecologia
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Ius fornicari
Quasi fosse una gentile emanazione di diritto nobiliare, concessa dall'ormai decaduto, ma sempre fascinoso conte, la figlia del custode del parco e il giardiniere, si arrogano il diritto di fornicazione.
Mette la camicia bella lui, al di fuori dell'esercizio ligio della propria professione, mentre lei scopre le gambe, si rende accessibile, sorride alla madre mentre esce.
L'aspetta e le prende la mano, in quel percorso morbido di foglie che li accompagna alla loro panchina, quella vicina al roseto. Un sentiero ampio, con l'odore delle stagioni.
Uno stagno, un deposito per gli attrezzi che fu capanno di caccia e infine un piccolo dosso, ad accoglierli, a nasconderli, a farsi nido per le esigenze della carne.
Prima i baci, lenti, poi il desiderio di contatto genitale, uno strofinarsi calmo che cresce nei baci sempre più profondi.
I tessuti, nella carne, premuti dai gonfiori.
La ricerca della pressione, del piacere, negli occhi e tra le gambe.
Le ginocchia sulla terra battuta, i bottoni che si aprono.
Toccarsi, con le mani, raccogliere gli umori, penetrare con le dita, quello gli è concesso. Quello è permesso dagli sguardi indiscreti delle balie, dei corteggiatori, dei cortigiani segaioli che li guarderebbero per ore.
Si toccano loro, anche gli altri forse, ma non importa, sono solo loro in quell'orgia collettiva, in quella voglia che spargono.
Le falangi dentro, come fossero cazzi e lei a raccogliere con la bocca e con le mani le conseguenze del suo fottere nella sua carne quasi disperata. Si muove, scopa quelle dita, mentre lo guarda pulsare per ciò che dovrebbe essere secondo natura, fa quasi male quel godere e quella privazione dell'ovvio.
Magari si priveranno pure dell'orgasmo, se lo terranno addosso, prima di rotolarsi dove potranno, come potranno, se potranno.
È un gioco difficile, un equilibrio che sa di baratro, ma oggi e lì sono fornicatori. Godono, più della voglia che dell'eiaculazione.
(E il conte lo sa).
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Le verità dell'universo organico si impongono infatti sempre più al nostro amore e alla nostra ammirazione e divengono sempre più belle quanto più profondamente si penetra in ogni loro peculiarità, ed è proprio insensato credere che l'oggettività della ricerca, il sapere, la conoscenza dei fenomeni naturali, possano far diminuire la gioia procurataci dalle meraviglie della natura. Anzi, quanto più l'uomo impara a conoscere la natura, tanto più viene preso profondamente e tenacemente dalla sua viva realtà. E in ogni buon biologo che sia stato chiamato alla sua professione dal godimento interiore che gli procurava la bellezza delle creature viventi, tutte le conoscenze acquistate attraverso la professione non hanno fatto che approfondire il godimento e l'amore della natura e del proprio lavoro.
Konrad Lorenz, Premessa a “L’anello di Re Salomone”
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Per fortuna ci sono tante cose ancora consentite.
È consentito passeggiare nella natura e sporcarsi le scarpe di fango.
È consentito farsi scaldare il viso e il cuore dal sole tiepido di novembre.
È consentito sorridere, accarezzare gli animali, allungarsi per terra su un tappeto di foglie rosse, sentire i capelli impolverati e il sedere bagnato mentre si guarda uno scorcio di cielo.
È consentito sognare ad occhi aperti, lanciare sguardi di tenerezza, diventare madri di noi stessi e stringere forte al petto quel bimbo spaventato e ferito che abita dentro ognuno di noi.
È consentito ascoltare le onde sonore del silenzio, che riempie di musica sacra lo spazio vuoto tra le montagne e sentire l’eco che fa nella nostra anima.
È consentito salutare, perdonare, esprimere gratitudine per i traguardi raggiunti, ringraziare Dio per il dono della vita.
È consentito essere felici della felicità altrui. Sono consentite solo critiche garbate e costruttive, solo parole di incoraggiamento ed ammirazione. Sono consentiti solo gesti di gentilezza e attenzione.
È consentito provare a sentire con la pelle altrui.
È vietato dire “al tuo posto farei” perché sono diverso da te e non sono al tuo posto.
È vietato pretendere aiuto e rispetto senza essere rispettosi per primi.
È vietato pretendere amore, senza avere prima imparato ad amare. Sono sempre vietati assembramenti di critici professionisti, di moralisti e perbenisti.
È vietato avere per ogni domanda la risposta giusta. Sono, invece, consentiti dubbi e insicurezze.
È raccomandato farsi domande su quale sia la strada buona da percorrere.
È raccomandato pensare.
È fortemente vietato arrendersi, è obbligatorio resistere alle numerose e dure prove della vita.
È consentito tornare all’essenza. Tutto ciò che è essenziale resterà sempre consentito. PAOLA DI GREGORIO art _by_ectosplash ************************ Luckily there are many things still allowed.
It is allowed walk in nature and get your shoes dirty with mud.
It is allowed have your face and heart warmed from the warm November sun.
Smiling is allowed, petting animals, stretch out on the ground on a carpet of red leaves, feel your hair dusty and wet bottom while watching a glimpse of sky.
It is allowed daydreaming, cast glances of tenderness, become mothers of ourselves and hold tightly to your chest that scared and hurt child that lives inside each of us.
It is allowed listen to the sound waves of silence, which fills with sacred music the empty space between the mountains and hear the echo it makes in our soul.
It is allowed greet, forgive, express gratitude for the goals achieved, thank God for the gift of life.
It is allowed be happy with the happiness of others. They are allowed only polite and constructive criticism, only words of encouragement and admiration. They are allowed only gestures of kindness and attention.
It is allowed try to feel with other people's skin.
It is forbidden to say "in your place I would do it" because I'm different from you and I'm not in your place.
It is forbidden demand help and respect without being respectful first.
It is forbidden demand love, without having first learned to love. They are always prohibited gatherings of professional critics, of moralists and respectable people.
It is forbidden to have for every question the right answer. However, they are allowed doubts and insecurities.
It is recommended ask yourself questions about which one it is the right way to go.
It is recommended to think.
It is strictly forbidden to surrender, it is mandatory to resist to the numerous and harsh trials of life.
It is allowed to return to the essence. Everything that is essential will always remain permitted. PAOLA DI GREGORIO art _by_ectosplash
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Dunque.....
Ci stramazzate con la tutela della natura. Giusto!! Però permettete che una donna sia una incubatrice di bambini, scelti da catalogo, come mutande del Postal market, permettendo anche la rinuncia al bimbo se non è di gradimento.
Emergono carte aberranti sulla gestione pandemica,non per incapacità ma per il business di Big Pharma.
Vi indignate se si filmano delle ladre dichiarate che ,pure si vantano della professione.
Vi preoccupate di accogliere indiscriminatamente, trattando poi chi arriva, da animale, spacciandovi per buonisti, invece è il business che vi rende buoni e, inoltre questi saranno un enorme bacino di voti, in futuro
Regalate redditi a iosa, anche ai criminali con i miei soldi , per avere voti.
Siete sempre contro le forze dell'ordine, rendendole incapaci di difenderci e di difendersi . Buonisti da 4 soldi dicono di non avere simpatia per le divise. Fra di voi un bieco personaggio apre un ristorante e lo chiama "allo sbirro morto", per voi tutto normale anzi ha pure una ong finanziata da voi.
Fate di una manifestazione canora uno spettacolo di bullismo da parte di signori nessuno...carovane di nani e ballerine di una sola parte, inscendando un pietoso circo, sempre con i miei soldi.
Imperversate in tv con fare arrogante , tutti sono cretini se non la pensano così usando il risolino idiota o gli insulti, i programmi non li avete ,quindi aggredite in quanto il re è nudo.
Ora tutto ciò per dire che "IO NON MI VERGOGNO DI ESSERE ITALIANA ,MA MI VERGOGNO CHE LO SIATE VOI!!!! ARRIVERÀ LA LIBERTÀ DALLA VOSTRA PRESENZA???? NON CREDO POICHÉ SIETE RIUSCITE A RENDERE ZOMBIES QUELLI CHE VI SEGUONO.
Detto ciò....MI FATE SCHIFO!!
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"Venetian Perspectives"
Luci, ombre e storie di una Venezia irripetibile.
Le luci di Venezia che si riflettono sull’acqua la notte, macchie di colore che illuminano le persone nel buio: attimi di vita, dettagli, piccoli particolari che raccontano la storia di una città da prospettive diverse.
Sono quelle di “Venetian Perspectives”, la mostra del giovane fotografo fiorentino Leonardo Mincolelli, presso la galleria Artespaziotempo nel Campo del Ghetto Nuovo di Venezia.
Una mostra che nasce da un progetto che ha vinto il primo premio in un concorso della casa editrice Snap Collective, diventato un libro che porta lo stesso titolo dell’esposizione: “Venetian Perspectives”.
Sono prospettive multiple in diversi sensi quelle di Leonardo, dal punto di vista dello stile e dei soggetti, quelle di chi conosce la tecnica per riprodurre un’immagine dalla giusta angolazione, con le luci naturali, ma con la sensibilità che permette di cogliere in uno scatto istanti irripetibili nei colori della notte: una bambina che corre illuminata dal blu, una coppia che cammina tenendosi per mano nelle luci fredde dei lampioni; una pausa sul ponte tinta di giallo; i ponti, la laguna, una signora che stende i panni, nelle sere rosse di caravaggesca memoria.
Giochi di luce anche nel bianco e nero, che catturano un ballo improvvisato, una maschera di carnevale che procede controcorrente, l’acqua alta che bagna i piedi.
«Sono cose che si vedono solo a Venezia: i riflessi delle luci sull’acqua la notte, le persone illuminate da quelle poche luci colorate – spiega Leonardo - Ho vissuto a Venezia, prima come turista, poi come residente, ma non tutti hanno questa fortuna e tante cose non riescono a vederle.
Le prospettive di luce, le ombre, la notte e il giorno; i colori e il bianco e nero; le diverse tecniche che uso sono funzionali al messaggio che voglio mandare con le foto: Venezia è fatta di tante cose, è sempre diversa, e per notare queste diversità del suo essere, bisogna viverla in momenti e luoghi diversi, va esplorata.
L’obiettivo è mostrare questi lati della città a persone che non potranno mai viverci».
Leonardo Mincolelli, giovanissimo artista dell'immagine ha scoperto la fotografia non attraverso un progetto ben definito, ma seguendo il filo sottile e imprevedibile delle circostanze.
Da bambino, si divertiva a collezionare vecchie macchine fotografiche trovate tra i ricordi polverosi dei nonni.
Non sapeva ancora che quei semplici giochi sarebbero stati i primi passi verso una passione che avrebbe trasformato la sua vita.
Anni dopo, trasferitosi in Germania, un incontro fortuito avrebbe cambiato tutto: una ragazza, fotografa di professione, gli insegnò a guardare il mondo attraverso l'obiettivo.
Insieme, trovarono due vecchie macchine analogiche in un mercatino dell’usato, ancora cariche di rullini in bianco e nero.
Con quelle, tra scatti imperfetti e sperimentazioni, Leonardo scoprì quanto gli piacesse raccontare storie attraverso le immagini.
Il viaggio continuò a Firenze, dove recuperò una macchina digitale del 2006 e tornò a fotografare la Germania.
Grazie a internet, iniziò a seguire fotografi da ogni angolo del mondo, immergendosi in guide, corsi e tecniche.
Ogni giorno era un’opportunità per praticare, imparare le regole di composizione, affinare l’esposizione e capire il linguaggio visivo.
Il suo percorso trovò una svolta significativa quando, per il compleanno, ricevette una macchina fotografica più seria.
Quella macchina diventò la sua compagna nella natura: ai margini della foresta, tra rapaci in volo, aironi e papere, la fotografia naturalistica lo catturò con la sua magia.
Ma fu Venezia a regalargli un nuovo capitolo: per le calli e le piazze cominciò a esplorare la street photography, alla ricerca di soggetti e dettagli che potessero raccontare storie uniche.
In quei giorni, scoprì quasi per caso il VenicePhotoLab, dove si offrì come volontario.
Fu lì che la fotografia artistica prese forma, grazie a incontri con persone che lo guidarono, lo consigliarono e lo aiutarono a perfezionare il suo stile.
Oggi, ogni scatto di Leonardo è un omaggio al percorso che lo ha portato fino a qui: un intreccio di coincidenze e di scelte, dove il caso ha acceso la scintilla, e la passione ha alimentato il fuoco.
Riccardo Rescio
Venezia Gennaio 2025
La Mostra, organizzata dall’Associazione LAB77 in collaborazione con Snap Collective, e curata da Federica Bozzetti, resterà aperta, con ingresso libero, fino a sabato 1 febbraio, con orari da martedì a sabato 10.00-13.00 e 14.00-18.00. https://artespaziotempo.it/
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Nostradamus una brillante carriera di medico
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La famiglia di Nostradamus era saldamente legata alla terra di Provenza e i suoi discendenti da circoncisi erano stati battezzati. Ciò aveva permesso loro di acquisire non pochi diritti e aveva fatto sì che le arti liberali fossero appannaggio dei suoi figli. Nella famiglia Notre Dame la medicina era una tradizione che si tramandava senza interruzione: il padre di Giacomo Pierre de Notre Dame era stato medico ad Arles e solo l’invidia dei suoi concittadini speziali lo avevano costretto a cercare rifugio presso i potenti. Infatti gli speziali non tolleravano che egli fosse in grado di curare i propri pazienti con rimedi che preparava egli stesso e pertanto non avevano esitato a denunciarlo come falsificatore. Destituito dalla sue funzioni di medico cittadino Pierre entrato a servizio da prima del duca di Calabria e poi del re Renato d’Angiò che lo aveva nominato suo medico personale. Pierre versato nella medicina godette della massima fiducia da parte del re. Fu pure abbastanza naturale che allorquando Michel de Notre Dame fu in età di scegliere la sua futura professione venisse avviato allo studio della medicina. A quel tempo per chi viveva in Provenza Avignone rappresentava la città per eccellenza nella quale convergevano da ogni angolo della provincia tutti coloro che auspicavano a diventare qualcuno o più semplicemente tutti quelli che desideravano evadere dalla campagna per trovare il modo di sbarcare il lunario alla meno peggio. Nostradamus giunse dunque ad Avignone e dette inizio ai propri studi con serietà e tenacia. Lo studio era per lui una vera vocazione anche se l’età estremamente giovane lo rendesse vulnerabile alle seduzioni di una vita scapigliata e goliardica. Nostradamus dimostrò sin dall’inizio una netta propensione per tutto ciò che era introspezione e ricerca della verità. Egli non era condizionato da qualsiasi ambizione legata a successi puramente personali. Ad Avignone il giovane Michel alternava il proprio tempo tra due occupazioni ovvero i doveri scolastici e l’osservazione del cielo stellato che da sempre aveva esercitato su di lui un fascino smisurato. La matematica l’astronomia e l’astrologia erano materie a lui familiarissime e delle quali era in grado di discutere con profonda conoscenza e competenza coinvolgendo sempre chi lo ascoltava. A questo primo periodo di studio condotto ad Avignone ne seguì un secondo a Montpellier dove Nostradamus si trasferì per potervi frequentare i corsi di medicina. Nel Cinquecento Montpellier aveva una fama grandissima grazie appunto alla sua facoltà di medicina che era famosa entro e fuori i confini della Francia. Per tale ragione il giovane Nostradamus scelse Montpellier per i suoi studi di medicina. Nostradamus impiegò tre anni per conseguire il dottorato. Questi tre anni furono un periodo di tempo nel quale il nostro autore divenne padrone dei segreti del corpo come poi sarebbe diventato padrone di quelli dello spirito. La natura esercitava un fascino grandissimo su di lui : per tale motivo egli non si accontentò di essere medico ma volle anche approfondire le conoscenze in fatto di erbe e di rimedi che da esse si potevano ottenere. Non dimentichiamo infatti come a quel tempo medicina ed erboristeria andassero di concerto e rappresentassero l’unico rimedio a disposizione dell’uomo per combattere le malattie che si manifestavano in molti modi diversi. Di tutto questo dunque si interessava il dottor Nostradamus. La sua reputazione di ottimo medico era già solitamente affermata allorché accadde un avvenimento grazie al quale il nostro autore ebbe la possibilità di dimostrare una volta di più il proprio valore di medico. In effetti l’arrivo della peste diede modo a Nostradamus di dimostrare che i suoi studi medici non erano stati vani. A quel tempo la peste non conosceva ostacoli di alcun genere. I cronisti delle varie epoche storiche hanno descritto in maniera efficace quale evento apocalittico fosse la peste per tutti gli infelici che dovevano affrontarla brivido di morte che la preannunciava bastava da solo a seminare il terrore in tutti gli individui cosicché anche il più potente dei sovrani era inerme e indifeso come un fanciullo. La peste questo mostro insaziabile generalmente proveniva da Oriente. Il contagio dilagava con incredibile rapidità e velocità giorno dopo giorno. Purtroppo scienza e medicina nulla potevano per arrestare il flagello della peste cosicché saggi e sapienti scomparivano allo stesso modo di tutti gli altri individui. Comunque al primo annuncio della peste le Chiese si riempivano di penitenti dal momento che chi ne aveva il tempo preferiva preparare l’anima al trapasso piuttosto che tentare di combattere il morbo. Così fu anche in Provenza allorché l’epidemia si abbatté sulla regione causando nel giro di poche settimane tanti morti che sembrava impossibile che possedesse tanta violenza. In quest’atmosfera apocalittica gli unici che osavano muoversi per dare seguito alla missione di cui erano investiti erano i medici. Essi masticando aglio che si diceva avesse il potere di tenere lontano il contagio passava da un ammalato all’altro senza poter fare altro che constatare il galoppare della malattia nell’intera contrada. Anche il dottor Nostradamus si muoveva nell’infuriare della peste a differenza dei suoi colleghi egli era realmente in grado di portare aiuto agli infelici vittime del morbo. Vi era in lui un che di taumaturgico che faceva sì che al suo passaggio migliorasse la situazione degli ammalati di peste. Egli stesso ci ha lasciato scritto qualcosa sul modo in cui cui curava la peste. A quanto c’è dato sapere Nostradamus faceva preparare tale rimedio contro la peste da uno speziale di sua fiducia che abitava a Marsiglia. Secondo quanto tramandato dalla tradizione quelle persone che usarono tale rimedio durante l’epidemia furono preservati dalla peste. Non è possibile controllare oggi a tanti secoli di distanza se realmente la sua medicina ebbe effetti così miracolosi come narra la tradizione. Ma nonostante tutto un fatto è certo e inoppugnabile : Nostradamus ebbe fama di grandissimo medico non solo per la sapienza della sua scienza ma anche per l’animo missionario con cui la prodigò. Tuttavia i suoi conterranei gli dimostrarono senza nessun dubbio la gratitudine che egli ben meritava : dove egli passava c’era gente che gli si gettava ai piedi benediceva il suo nome la fama di salvatore lo precedeva e lo accompagnava per tutta la Provenza allorquando alla fine la terribile peste mostra segni di esaurimento e smise di mietere vittime umane a migliaia No strada venne onorato con un pubblico riconoscimento e colmato di doni. Ma oro ricchezza e fama non potevano certo intaccare il suo animo dedito alla ricerca della verità pertanto non gli servì molto tempo per tornare a vivere appartato e schivo scegliendo come suo domicilio la città di Aix. Qui riprese il suo lavoro di medico e al tempo stesso continuò a occuparsi di erboristeria di cosmesi e di balsami nonché di confetture e distillati che gli assicurarono la riconoscenza di quanti lo usarono. la vita scorreva tranquilla e a un certo punto accadde che il dottor Nostradamus sposò una giovane donna. Ben presto accadde che la sua casa fu allietata dalla nascita di due figli. In seguito a ciò il fuoco della preveggenza il desiderio di penetrare i segreti della vita diminuirono fortemente in lui. Gli insegnamenti che sin da fanciullo gli erano stati tramandati dagli anziani della famiglia la sua capacità di osservare gli astri con l’occhio acuto di chi sa interpretare il loro cammino prevedendo gli eventi futuri sembravano molto lontani dalla vita di Nostradamus. Una professione rispettabile una famiglia che completava la sua esistenza sembravano un baluardo sufficientemente forte per impedire al suo io di riprendere la via delle stelle. E invece niente può arrestare talune predestinazioni che segnano l’uomo. Così Nostradamus quasi a sua insaputa e certamente aldilà della propria volontà si trovò sospinto dagli eventi a continuare sulla strada della preveggenza. Infatti di colpo la sua vita subì un mutamento a causa della morte della moglie e dei due figli. Abbandonata Aix che certamente restava nel suo animo ricordi troppo dolorosi Nostradamus si trasferì nella tranquilla cittadina di Salom dove prese alloggio in una casa che si affacciava su una piazza. Pur continuando a esercitare la sua professione di medico trascorreva ora lunghe ore in una profonda meditazione. Se non fosse stato per la fama di grande medico che lo aveva preceduto Nostradamus avrebbe potuto avere qualche problema tra i cittadini di Salom. Nel frattempo la sua reputazione di astrologo e di veggente cominciava a guadagnare sempre più terreno e lo poneva su un piano del tutto diverso agli occhi della gente che con lui aveva contatti. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
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[Italian translation of Eli Kittim’s article]
[Traduzione italiana dell’articolo di Eli Kittim]
——-
La rinascita si basa sui sacramenti o sull'esperienza?
Eli Kittim
Il Papa ha recentemente fatto una dichiarazione scioccante secondo cui è pericoloso cercare una relazione personale con Cristo al di fuori della Chiesa. La sua affermazione implica che non c'è salvezza fuori della Chiesa. Tuttavia, né Gesù né alcuno degli evangelisti ha mai detto che “chiunque crede nella chiesa di Cristo sarà salvato” (Marco 16:16). Né Gesù ha mai detto che bisogna rinascere nella chiesa. L’apostolo Paolo non ha mai detto “se qualcuno non appartiene alla chiesa, non appartiene a Cristo” (Romani 8:9). Piuttosto, ha detto che siamo rinati solo in Cristo (Romani 5:12-21). La Bibbia è molto chiara nel dire che siamo salvati attraverso un'esperienza di rinascita di Gesù Cristo (Giovanni 3:3-5; Atti 2:1-4). Filippesi 2:12 dice: "Operate alla vostra salvezza con timore e tremore", mentre Efesini 4:22-24 ci insegna a rivestire una nuova identità per rinnovare lo spirito della nostra mente. Romani 8:9 ci ricorda che a meno che lo Spirito Santo non ci abbia trasformato radicalmente e non abbia dimorato in noi, non apparteniamo a Cristo. Questo è il motivo per cui 2 Corinzi 5:17 dice che coloro che sono rinati in Cristo sono una nuova creazione. La loro personalità è cambiata. La loro mente è cambiata. Ecco perché, nella Bibbia, coloro che vengono trasformati radicalmente ricevono nuovi nomi (ad esempio Abramo/Abramo, Giacobbe/Israele, Saulo/Paolo e così via). Purtroppo nient’altro può purificare la nostra natura carnale e renderci vasi di santità.
Molte persone si ingannano pensando di essere salvate con atti personali della mente o della volontà, cioè o credendo in Cristo, o facendo una pubblica professione di fede, pregando la preghiera del peccatore, attraverso riti, sacramenti , leggi alimentari, attraverso opere della legge, o attraverso un assenso intellettuale alle verità del cristianesimo. Ma tutti questi comportamenti, opere e rituali alimentari non sono capaci di trasformare radicalmente un peccatore in un santo perché non purificano realmente la nostra natura carnale, né ci riempiono di Spirito Santo. Solo una rinascita esistenziale in Cristo può fare questo. Questo perché una persona è ancora carnale e la sua natura peccaminosa continua a dominare la sua mente anche dopo aver preso parte ai sacramenti o aver compiuto opere della legge. Solo una trasformazione radicale della mente può cambiare tutto questo.
Quindi la mia domanda è questa: come conciliare il comando di Gesù di nascere dallo Spirito Santo con l'insegnamento cattolico romano e ortodosso orientale della salvezza attraverso i sacramenti?
Si tratta di una questione della massima importanza in cui è in gioco la vita delle persone. Questo è molto serio. Stiamo parlando se le persone vengono salvate oppure no. Se le persone vengono indotte in errore a pensare che andranno in paradiso, quando ciò non è vero, allora devo avvertirle. Il Nuovo Testamento non suggerisce che i meriti della redenzione siano appropriati direttamente attraverso i sacramenti, poiché ciò costituirebbe una spiritualità carnale basata su sostegni esterni, che non possono assolutamente cambiarci dall'interno. I sacramenti sono un'estensione della Pasqua ebraica e delle leggi alimentari ebraiche. Nessuno dei due può veramente cambiare la nostra natura carnale dall’interno. In Matteo 15,11, Gesù spiega che le leggi alimentari non fanno nulla perché non sono i cibi che mangi a purificarti o a contaminarti, ma piuttosto ciò che esce dal tuo cuore non purificato e non rigenerato che ti contamina: “non è ciò che entra nel bocca che [pulisce o] contamina una persona, ma ciò che esce dalla bocca; questo contamina l’uomo”.
Secondo l'apostolo Paolo, prima di rinascere (cioè rinnovati nello spirito della mente) operiamo in base ai desideri della carne (mente carnali), ma dopo che rinasciamo otteniamo un nuovo sistema operativo che opera attraverso l’amore, non la lussuria (Efesini 4:22-24)! Pertanto, la partecipazione ai sacramenti non fa nulla per cambiare o purificare la nostra natura carnale (o natura peccaminosa). Possiamo condurre esperimenti psicologici per dimostrare che la stessa mente carnale opera dopo aver preso i sacramenti come prima. Se un cristiano cattolico o ortodosso è onesto, dovrà ammettere che gli stessi pensieri peccaminosi, inclinazioni e desideri lussuriosi sono ancora presenti dopo aver preso i sacramenti. Come possono allora le Chiese cattolica e ortodossa affermare che la Santa Comunione è un "sacrificio espiatorio" per i fedeli e che noi rinasciamo attraverso i sacramenti?
Comprendiamo davvero cosa significa la nuova nascita? Dobbiamo leggere Atti 2:1-4, Efesini 4:22-24 e Filippesi 2:12, tra gli altri passaggi, per vedere come viene realizzato. Comprende un'esperienza personale ed esistenziale di Dio in cui arrendiamo la nostra mente e la nostra volontà a Lui. Leggi Galati 2:20, dove Paolo dice: “Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me”. Pensi che la crocifissione o la morte di Paolo siano il risultato della sua partecipazione ai sacramenti? Ovviamente no! Paolo si riferisce alla morte del vecchio sé, come menzionato in Efesini 4:22-24. Questa esperienza esistenziale è conosciuta e scritta da contemplativi cattolici, come Giovanni della Croce, ma rifiutati dal Magistero della Chiesa, anche se Giovanni della Croce è un Dottore della Chiesa cattolica.
Essere innestati in Cristo (Rm 11) significa diventare parte del corpo di Cristo. Ciò può avvenire solo quando lo Spirito ci ricrea mediante il battesimo dello Spirito Santo, mediante una nuova nascita, simile all'esperienza esistenziale che hanno avuto i fedeli (At 2,1-4). Gesù ha detto che devi rinascere dallo Spirito, non dalla terra. Non ha detto che devi mangiare pane o bere vino o frequentare la chiesa per nascere da Dio.
In conclusione, nulla di esterno può cambiare la nostra natura carnale e riempire i nostri cuori di amore, o darci la pace che supera la comprensione. Ciò può avvenire solo in una notte oscura dell’anima, quando la nostra identità viene cancellata e Dio stesso diventa la nostra nuova identità o il nostro nuovo sé (cfr Galati 2,20)! Purtroppo non esistono scorciatoie per la salvezza.
Per ulteriori dettagli si veda il seguente saggio:
Il Battesimo dello Spirito Santo
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"Ma perchè FACCIAMO Animazione?" : Marino Guarnieri si specchia nei "suoi" Maestri in un dialogo-confronto per Tunuè
Un regista e animatore, dedito da sempre con passione e tenacia alla sua professione, a un certo punto attraversa un momento di crisi, interrogandosi sulla natura e sull’essenza stessa del suo lavoro. Per rispondere alle proprie domande, con grande umiltà, mette a nudo i propri dubbi, soprattutto sul versante motivazionale: come continuare a lavorare in ciò che si crede, sviluppare le proprie…
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Alla Scoperta dei Funghi: Passione e Lavoro dei Cercatori di Funghi tra Porcini e Altre Delizie del Bosco. Di Alessandria today
Funghi Porcini e Altri Tesori del Bosco: Dalla Raccolta alla Cucina, Una Guida per Professionisti e Appassionati
Funghi Porcini e Altri Tesori del Bosco: Dalla Raccolta alla Cucina, Una Guida per Professionisti e Appassionati. Funghi: Tra Passione e Professione dei Cercatori La raccolta dei funghi è una tradizione che unisce il piacere dell’esplorazione nei boschi alla scoperta di tesori gastronomici. Per alcuni, cercare funghi è una passione, un hobby che permette di vivere la natura, mentre per altri è…
#Alessandria today#alimentazione naturale#alimentazione stagionale#ambiente boschivo#autunno e funghi#Biodiversità#cercatori di funghi#cercatori professionisti#conservazione dei funghi#cucina a base di funghi#cucina autunnale#Cucina tradizionale#cultura del bosco#ecosistema forestale#esperienze enogastronomiche.#esperienze outdoor#funghi chiodini#funghi commestibili#funghi del bosco#funghi e gastronomia#funghi e salute#funghi ed ecosostenibilità#funghi ovoli#Funghi porcini#Google News#hobby e lavoro#identificazione dei funghi#italianewsmedia.com#licenze per la raccolta#micologia
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"Quanto manca?" (Kdope): Lorenzo Tiezzi pubblica il suo anti-manuale dell'ultra trail
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Lorenzo Tiezzi, scribacchino & chiacchierone per professione (è ufficio stampa e giornalista), tra il luglio 2021 ed il settembre 2024 ha completato sei Cento Miglia, tra le corse più dure tra quelle di lunga distanza in montagna e sui sentieri. Ha corso tre volte Adamello Ultra Trail (167 km circa, 11.500 di dislivello), la Cento Miglia del Monviso, che parte e torna a Saluzzo dopo aver 'scalato' il Re di pietra, e pure due volte la Tuscany Crossing, in Val D'Orcia.
Tutto questo l'ha fatto avendo più o meno 50 anni ed un fisico normale, niente di più. Ex bagnino ed ex maestro di nuoto, lavori in cui non si è mai davvero "ex", non ha mai raggiunto risultati sportivi importanti in gioventù, eppure è riuscito in ognuna delle sue piccole grandi imprese, gare che durano spesso anche 50 ore. Le sue prime cinque Cento Miglia Tiezzi le ha raccontate in "Quanto manca?" (Kdope), un anti-manuale pensato dedicato a chi ama correre (e/o) arrancare sui sentieri o vorrebbe iniziare a farlo. Non è un "metodo vincente" per diventare runner estremi. Tutt'altro: è un diario a volte molto personale su come correre nella natura possa essere rilassante e non solo dannatamente faticoso.
"Ho iniziato a pensare questo anti-manuale quando ho visto che in giro i veri manuali sull'ultra trail sono spesso inutili, noiosi o addirittura dannosi. Anche quelli scritti da veri campioni spesso lo lo sono", spiega Lorenzo Tiezzi. "A proposito di campioni, prima e dopo le mie parole e le mie limitate esperienze in 'Quanto Manca?' ci sono interventi di Francesca Canepa ed Oliviero Bosatelli, due vere leggende dell'ultra trail. Hanno vinto più o meno tutto, ma hanno comunque dedicato del tempo al piccolo libro di un amatore. Tutto questo fa parte della magia del trail. E', a volte, ancora un sport umano".
Altre volte, invece, chi fa ultra trail inizia a sentirsi un eroe, e non è logico. "Correre a lungo non serve assolutamente a niente se non a noi stessi e non trasforma tutti in super atleti", spiega ancora Tiezzi. "Marchi sportivi ed alcuni organizzatori, come è giusto che sia, vogliono convincere i loro clienti del contrario. Il bello del trail sarà però sempre che in ogni gara davvero lunga e dura, la competizione con gli altri conta molto meno di quella con se stessi e del piacere di correre in luoghi splendidi".
"Quanto manca?" dà consigli pratici a chi è alla prime armi ed è molto facile da leggere. Ognuno può scegliere se seguire il sottile filo logico dell'autore, oppure saltare tra un chilometro e l'altro: tecniche di corsa (in salita, in discesa, in piano, con e senza bastoncini), percentuale di grasso, alimentazione in gara, allenamenti, progressività, scarpe, attrezzatura, capacità di stare per ore e ore da soli nella natura... Tiezzi tocca tanti temi. Ovviamente al suo ritmo, purtroppo non eccelso.
Il libro è anche dedicato al 'fallimento' di chi ha il coraggio di partire quando tutto dice di restare. "E' un insieme, spesso sconclusionato, di spunti per correre a lungo sui sentieri. In altre parole, è un insieme di idee e spunti per godersi il viaggio, l'allenamento, le salite, le discese, i ristori, la pioggia, la luna e e le stelle. Personalmente adoro Venere, che non manca mai di salutarmi quando corro sull'Adamello", conclude Lorenzo Tiezzi.
E ovviamente "Quanto manca" è prima di tutto un inno alla fatica, quella sana e serena che toglie inutili pensieri. Perché per chi corre sui sentieri, il traguardo conta soltanto prima di averlo tagliato. Subito dopo si continua a correre, sempre col sorriso sulle labbra.
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"Quanto manca?" (Kdope): Lorenzo Tiezzi pubblica il suo anti-manuale dell'ultra trail
Lorenzo Tiezzi, scribacchino & chiacchierone per professione (è ufficio stampa e giornalista), tra il luglio 2021 ed il settembre 2024 ha completato sei Cento Miglia, tra le corse più dure tra quelle di lunga distanza in montagna e sui sentieri. Ha corso tre volte Adamello Ultra Trail (167 km circa, 11.500 di dislivello), la Cento Miglia del Monviso, che parte e torna a Saluzzo dopo aver 'scalato' il Re di pietra, e pure due volte la Tuscany Crossing, in Val D'Orcia.
Tutto questo l'ha fatto avendo più o meno 50 anni ed un fisico normale, niente di più. Ex bagnino ed ex maestro di nuoto, lavori in cui non si è mai davvero "ex", non ha mai raggiunto risultati sportivi importanti in gioventù, eppure è riuscito in ognuna delle sue piccole grandi imprese, gare che durano spesso anche 50 ore. Le sue prime cinque Cento Miglia Tiezzi le ha raccontate in "Quanto manca?" (Kdope), un anti-manuale pensato dedicato a chi ama correre (e/o) arrancare sui sentieri o vorrebbe iniziare a farlo. Non è un "metodo vincente" per diventare runner estremi. Tutt'altro: è un diario a volte molto personale su come correre nella natura possa essere rilassante e non solo dannatamente faticoso.
"Ho iniziato a pensare questo anti-manuale quando ho visto che in giro i veri manuali sull'ultra trail sono spesso inutili, noiosi o addirittura dannosi. Anche quelli scritti da veri campioni spesso lo lo sono", spiega Lorenzo Tiezzi. "A proposito di campioni, prima e dopo le mie parole e le mie limitate esperienze in 'Quanto Manca?' ci sono interventi di Francesca Canepa ed Oliviero Bosatelli, due vere leggende dell'ultra trail. Hanno vinto più o meno tutto, ma hanno comunque dedicato del tempo al piccolo libro di un amatore. Tutto questo fa parte della magia del trail. E', a volte, ancora un sport umano".
Altre volte, invece, chi fa ultra trail inizia a sentirsi un eroe, e non è logico. "Correre a lungo non serve assolutamente a niente se non a noi stessi e non trasforma tutti in super atleti", spiega ancora Tiezzi. "Marchi sportivi ed alcuni organizzatori, come è giusto che sia, vogliono convincere i loro clienti del contrario. Il bello del trail sarà però sempre che in ogni gara davvero lunga e dura, la competizione con gli altri conta molto meno di quella con se stessi e del piacere di correre in luoghi splendidi".
"Quanto manca?" dà consigli pratici a chi è alla prime armi ed è molto facile da leggere. Ognuno può scegliere se seguire il sottile filo logico dell'autore, oppure saltare tra un chilometro e l'altro: tecniche di corsa (in salita, in discesa, in piano, con e senza bastoncini), percentuale di grasso, alimentazione in gara, allenamenti, progressività, scarpe, attrezzatura, capacità di stare per ore e ore da soli nella natura... Tiezzi tocca tanti temi. Ovviamente al suo ritmo, purtroppo non eccelso.
Il libro è anche dedicato al 'fallimento' di chi ha il coraggio di partire quando tutto dice di restare. "E' un insieme, spesso sconclusionato, di spunti per correre a lungo sui sentieri. In altre parole, è un insieme di idee e spunti per godersi il viaggio, l'allenamento, le salite, le discese, i ristori, la pioggia, la luna e e le stelle. Personalmente adoro Venere, che non manca mai di salutarmi quando corro sull'Adamello", conclude Lorenzo Tiezzi.
E ovviamente "Quanto manca" è prima di tutto un inno alla fatica, quella sana e serena che toglie inutili pensieri. Perché per chi corre sui sentieri, il traguardo conta soltanto prima di averlo tagliato. Subito dopo si continua a correre, sempre col sorriso sulle labbra.
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"Quanto manca?" (Kdope): Lorenzo Tiezzi pubblica il suo anti-manuale dell'ultra trail
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Lorenzo Tiezzi, scribacchino & chiacchierone per professione (è ufficio stampa e giornalista), tra il luglio 2021 ed il settembre 2024 ha completato sei Cento Miglia, tra le corse più dure tra quelle di lunga distanza in montagna e sui sentieri. Ha corso tre volte Adamello Ultra Trail (167 km circa, 11.500 di dislivello), la Cento Miglia del Monviso, che parte e torna a Saluzzo dopo aver 'scalato' il Re di pietra, e pure due volte la Tuscany Crossing, in Val D'Orcia.
Tutto questo l'ha fatto avendo più o meno 50 anni ed un fisico normale, niente di più. Ex bagnino ed ex maestro di nuoto, lavori in cui non si è mai davvero "ex", non ha mai raggiunto risultati sportivi importanti in gioventù, eppure è riuscito in ognuna delle sue piccole grandi imprese, gare che durano spesso anche 50 ore. Le sue prime cinque Cento Miglia Tiezzi le ha raccontate in "Quanto manca?" (Kdope), un anti-manuale pensato dedicato a chi ama correre (e/o) arrancare sui sentieri o vorrebbe iniziare a farlo. Non è un "metodo vincente" per diventare runner estremi. Tutt'altro: è un diario a volte molto personale su come correre nella natura possa essere rilassante e non solo dannatamente faticoso.
"Ho iniziato a pensare questo anti-manuale quando ho visto che in giro i veri manuali sull'ultra trail sono spesso inutili, noiosi o addirittura dannosi. Anche quelli scritti da veri campioni spesso lo lo sono", spiega Lorenzo Tiezzi. "A proposito di campioni, prima e dopo le mie parole e le mie limitate esperienze in 'Quanto Manca?' ci sono interventi di Francesca Canepa ed Oliviero Bosatelli, due vere leggende dell'ultra trail. Hanno vinto più o meno tutto, ma hanno comunque dedicato del tempo al piccolo libro di un amatore. Tutto questo fa parte della magia del trail. E', a volte, ancora un sport umano".
Altre volte, invece, chi fa ultra trail inizia a sentirsi un eroe, e non è logico. "Correre a lungo non serve assolutamente a niente se non a noi stessi e non trasforma tutti in super atleti", spiega ancora Tiezzi. "Marchi sportivi ed alcuni organizzatori, come è giusto che sia, vogliono convincere i loro clienti del contrario. Il bello del trail sarà però sempre che in ogni gara davvero lunga e dura, la competizione con gli altri conta molto meno di quella con se stessi e del piacere di correre in luoghi splendidi".
"Quanto manca?" dà consigli pratici a chi è alla prime armi ed è molto facile da leggere. Ognuno può scegliere se seguire il sottile filo logico dell'autore, oppure saltare tra un chilometro e l'altro: tecniche di corsa (in salita, in discesa, in piano, con e senza bastoncini), percentuale di grasso, alimentazione in gara, allenamenti, progressività, scarpe, attrezzatura, capacità di stare per ore e ore da soli nella natura... Tiezzi tocca tanti temi. Ovviamente al suo ritmo, purtroppo non eccelso.
Il libro è anche dedicato al 'fallimento' di chi ha il coraggio di partire quando tutto dice di restare. "E' un insieme, spesso sconclusionato, di spunti per correre a lungo sui sentieri. In altre parole, è un insieme di idee e spunti per godersi il viaggio, l'allenamento, le salite, le discese, i ristori, la pioggia, la luna e e le stelle. Personalmente adoro Venere, che non manca mai di salutarmi quando corro sull'Adamello", conclude Lorenzo Tiezzi.
E ovviamente "Quanto manca" è prima di tutto un inno alla fatica, quella sana e serena che toglie inutili pensieri. Perché per chi corre sui sentieri, il traguardo conta soltanto prima di averlo tagliato. Subito dopo si continua a correre, sempre col sorriso sulle labbra.
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Natura Tododia Cabelos vs Natura Lumina Cabelos qual a melhor linha para você? Natura Tododia como o próprio nome diz é uma linha mais leve para cuidados diários e com resultados cumulativos. E a Linha Tododia Cabelos vem para preencher essa necessidade das Brasileiras para serem mais efetivas em seu cronograma capilar e saúde dos cabelos vindo como alternativa à linha Natura Luma que é um tratamento professional Probiótico e com um custo superior. Visite nossa loja oficial Natura e conheça todas as alternativas disponíveis para seu tipo de cabelo: https://www.natura.com.br/c/cabelos?consultoria=grazicosmeticos https://www.natura.com.br/consultoria/grazicosmeticos
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Quali sono i principali rischi professionali per un medico
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Numerosi, e di diversa natura, i rischi che coinvolgono i medici possono avere ripercussioni professionali o personali, con ricadute nella sfera civile o penale. Proteggersi dai rischi della professione è un dovere e altresì un obbligo di legge per difendere se stesso, il proprio patrimonio, il nucleo familiare, e gli eredi in caso di dipartita. Elemento chiave di una corretta protezione è la sottoscrizione di una polizza RC medici. I rischi e le responsabilità della professione medica Nello svolgere l’attività quotidiana, un professionista sanitario come il medico deve assumersi importanti responsabilità nei confronti dei pazienti. Sono, infatti, molti e di diversa natura i rischi che un medico è costretto a correre ogni giorno nell’affrontare la propria attività. Si tratta di rischi e responsabilità che possono avereripercussioni professionali e personali, con possibili ricadute nel campo civile e penale. Fra i rischi principali troviamo le richieste di risarcimento e le denunce penali, per danni causati involontariamente. In tema di rischi non possono mancare quelli dovuti ad avvenimenti che provocano impedimenti nello svolgimento della professione. Per fare chiarezza si tratta di situazioni indipendenti dalla volontà del medico, come eventuali infortuni e malattie, impossibilità di utilizzare il proprio studio e la strumentazione medica. Le richieste di risarcimento possono essere avanzate dai pazienti oppure dai parenti degli stessi, o dagli eredi in caso di morte del medico. A procedere con la richiesta di risarcimento possono essere anche le ASL, le direzioni sanitarie, l’Erario, i dipendenti e i collaboratori del professionista, così come tutti gli organi di vigilanza e controllo. Denunce e richieste di risarcimento possono sopraggiungere anche postume, dopo il pensionamento, per eventi che si sono verificati durante il periodo di attività. I rischi e la responsabilità civile e penale La responsabilità medica può avere risvolti civili o penali. Prendendo in esame la responsabilità civile è corretto considerare una formula risolutiva come quella del risarcimento dei danni, quale conseguenza dei disagi che il paziente subisce in seguito a un errore del medico. Laddove si verifichi un danno, il paziente ha il diritto di chiedere il risarcimento per danneggiamento materiale o immateriale in seguito a danni fisici, spese mediche sostenute, dolore e perdita reddituale. Elemento discriminante della responsabilità civile è ‘l’obbligo di diligenza’, un dovere che impone ai medici di esercitare la professione adottando tutte le precauzioni del caso, per garantire al paziente la corretta assistenza. La responsabilità penale scatta nel caso in cui il medico commetta un vero e proprio reato, frutto di un comportamento lesivo, che viola le leggi e i regolamenti che disciplinano la professione. È il caso dell’omicidio colposo e delle lesioni personali colpose, reati per i quali il medico viene perseguito legalmente, e sottoposto a regolare processo. Categorie e rischi: quali sono i medici più esposti Da un’attenta analisi della Legge Gelli, che disciplina la responsabilità medico-sanitaria, emergono dettagli specifici sulle tutele, indispensabili per limitare le pratiche che possono esporre ai rischi della professione. Fra i medici maggiormente esposti ai rischi, le statistiche di settore collocano ortopedici, oncologi, ginecologi e chirurghi. Si tratta di specializzazioni che, più di altre, risultano soggette a denunce a causa dell’alto rischio delle prestazioni diagnostiche e terapiche. In tutti i casi, la formazione continua si rivela un elemento imprescindibile, indispensabile per adempiere ai principi della responsabilità professionale, fare prevenzione e limitare i rischi. La polizza RC medici elemento centrale di protezione Il medico ha l’obbligo di proteggersi dai rischi della professione, come stabiliscono le vigenti norme di settore. Se prima di tutto si tratta di una scelta responsabile, nei confronti della propria persona, la protezione coinvolge indirettamente il nucleo famigliare e gli eredi in caso di dipartita. Solo scegliendo di proteggersi il medico tutela il patrimonio, e gli introiti mensili, garantendo a sé e alla famiglia la giusta tranquillità economica. I tre punti chiave per tutelarsi dai rischi Per garantirsi il maggior livello di protezione il medico deve: · dedicarsi con costanza alla formazione professionale, e adottare tutte le possibili misure di prevenzione; · esaminare le esigenze individuali, approfittando del parere di un professionista accreditato; · sottoscrivere una polizza assicurativa in grado di coprire tutti i rischi tipici della professione. Dotarsi di una polizza RC medici non è solo un obbligo ma, soprattutto, una garanzia. Con coperture assicurative come quelle prese in esame da Lokky, un professionista così a rischio può sentirsi più sicuro nello svolgimento della professione. Le assicurazioni professionali pensate per i medici proteggono gli specialisti sanitari offrendo loro una tutela legale, e specifiche garanzie in tema di responsabilità civile professionale e colpe gravi. Read the full article
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Covid, problemi di memoria e 'meno intelligenti' dopo infezione: lo studio
(Adnkronos) - Depressione, ansia, stanchezza, ma anche problemi di memoria e un Qi più basso: questa la pesante eredità che Covid-19 può lasciare, anche 2-3 anni dopo il contagio e il ricovero in ospedale, secondo un nuovo studio pubblicato su 'Lancet Psychiatry'. Covid e problemi di memoria Condotto da un gruppo di ricercatori in tutto il Regno Unito, guidati dalle Università di Oxford e di Leicester, il lavoro evidenzia la natura persistente e significativa di disturbi cognitivi e psichiatrici, nonché l'emergere di nuovi sintomi anni dopo l'infezione. La ricerca è condotta su 475 partecipanti, che erano ricoverati durante la prima ondata di pandemia, a cui è chiesto di completare una serie di test cognitivi tramite il proprio computer e di segnalare la presenza di depressione, ansia, stanchezza e la percezione soggettiva dei problemi di memoria. Inoltre, è chiesto loro se avessero cambiato professione e perché. Dai risultati è emerso che due o tre anni dopo essere stati infettati dal Covid-19, i partecipanti hanno ottenuto in media punteggi significativamente più bassi nei test di attenzione e memoria: in pratica sono persi, in media, 10 punti di quoziente intellettivo. Inoltre, una percentuale sostanziale ha riportato sintomi gravi di depressione (circa 1 persona su 5), ansia (1 su 8), affaticamento (1 su 4) e problemi di memoria (1 su 4), che col tempo peggioravano. Sebbene in molti questi sintomi fossero già presenti 6 mesi dopo l'infezione, alcuni hanno anche manifestato 2 o 3 anni dopo l'infezione problemi che non avevano sperimentato prima. Sintomi e recupero Ciò suggerisce che i primi sintomi - evidenziano gli scienziati - possono essere predittivi di disturbi successivi e più gravi, sottolineando l'importanza di una gestione tempestiva. Non solo. Più di un partecipante su quattro ha riferito di aver cambiato professione e molti hanno addotto come motivo proprio i deficit cognitivi più che la depressione o l'ansia sperimentati dopo la malattia. Il grado di recupero a sei mesi dall'infezione è un forte predittore degli esiti psichiatrici e cognitivi a lungo termine: intervenire precocemente per gestire i sintomi potrebbe prevenire lo sviluppo di sindromi più complesse e migliorare il recupero complessivo, raccomandano i ricercatori. [email protected] (Web Info) Foto di PIRO da Pixabay Read the full article
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