#letteratura di spionaggio
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Obiettivo indecifrabile di Riccardo Forte: un thriller internazionale che lascia senza fiato. Recensione di Alessandria today
Un intreccio complesso di spionaggio, cospirazioni e una corsa contro il tempo
Un intreccio complesso di spionaggio, cospirazioni e una corsa contro il tempo Riccardo Forte, con il suo romanzo “Obiettivo indecifrabile”, ci regala un’avvincente storia di spionaggio internazionale che tiene il lettore con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina. Attraverso un raffinato intreccio di colpi di scena, depistaggi e azioni drammatiche, il libro si colloca tra i migliori…
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Le invenzioni e le scoperte portano benefici a tutti. Il progresso della scienza è una faccenda che riguarda tutto il mondo civile. Non ha una vera importanza il fatto che un uomo di scienza sia inglese, francese o tedesco. Le sue scoperte sono a disposizione di tutti e per trarne profitto non occorre niente di più dell'intelligenza. Il mondo dell'arte, della letteratura e del sapere, è internazionale; quel che vien fatto in un paese, non vien fatto per quel paese, ma per l'umanità. Se ci domandiamo che cosa eleva la umanità al disopra delle bestie, che cosa ci permette di considerare la razza umana più importante di qualsiasi specie di animali, scopriremo che non sono cose delle quali una nazione può avere la proprietà esclusiva, ma sono tutte cose che il mondo intero può spartirsi. Coloro che tengono a queste cose, coloro che desiderano vedere l'umanità feconda nel lavoro che soltanto gli uomini possono fare, non baderanno gran che ai confini nazionali e si cureranno ben poco di sapere a quale Stato un individuo deve fedeltà.
L'importanza della cooperazione internazionale al difuori del campo della politica mi è stata dimostrata dalla mia stessa esperienza. Fino a poco tempo fa ero occupato nell'insegnamento di una nuova scienza che pochi uomini al mondo erano in grado di insegnare. Il mio lavoro si basava soprattutto sull'opera di un tedesco e di un italiano. I miei allievi venivano da tutto il mondo civile : Francia, Germania, Austria, Russia, Grecia, Giappone, Cina, India e America. Nessuno di noi era cosciente di un senso di diversità nazionale. Ci sentivamo un avamposto della civiltà, occupati a costruire una strada nella foresta vergine dell'ignoto. Tutti collaboravano all'impresa comune e nell'interesse di questo lavoro le inimicizie politiche delle nazioni sembravano insignificanti, temporanee e futili. Ma non è soltanto nell'atmosfera piuttosto rarefatta di una scienza astrusa che la collaborazione internazionale è vitale per il progresso della civiltà. Tutti i problemi economici, la questione di garantire i diritti della mano d'opera, le speranze di libertà in patria e di umanità fuori, poggiano sulla creazione di una buona volontà internazionale. Finché odio, sospetto e paura, dominano i sentimenti degli uomini, non possiamo sperare di sfuggire alla tirannia della violenza e della forza bruta. Gli uomini devono imparare ad essere coscienti degli interessi comuni dell'umanità che sono identici, piuttosto che ai cosiddetti interessi dai quali le nazioni sono divise. Non è necessario, e neanche desiderabile, eliminare le differenze di educazione, di usi e di tradizioni tra le diverse nazioni. Queste differenze danno ad ogni singola nazione la possibilità di contribuire in modo distintivo alla somma totale della civiltà del mondo. “
Bertrand Russell, Le mie idee politiche. Una guida per orientarsi nelle ideologie politiche di tutti i tempi, traduzione di Adriana Pellegrini, Longanesi & C. (serie ocra, collana Pocket saggi n° 525), 1977; pp. 144-46.
[1ª Edizione originale: Political Ideals, New York: The Century Co., 1917; full text Here]
NOTA: nella prefazione l’autore puntualizza: «Questo libro è stato scritto nel 1917, ma pubblicato soltanto in America. Avrebbe dovuto essere una serie di conferenze, ma il ministero della Guerra lo impedì. Il primo capitolo doveva essere una conferenza da tenersi a Glasgow, presieduta da Robert Smillie, presidente della Federazione Minatori. Poco prima della data fissata per la conferenza il governo mi proibì l'ingresso in quelle che venivano chiamate « zone proibite », tra le quali era compresa Glasgow. Queste zone comprendevano tutto quanto si trovava vicino alla costa, e l'ordine era inteso contro le spie, per impedire che facessero segnalazioni ai sottomarini tedeschi. Il ministero della Guerra fu tanto cortese da dire che non mi sospettava di spionaggio a favore dei tedeschi; mi accusò soltanto di fomentare il disinteresse industriale, allo scopo di por fine alla guerra. Smillie annunciò che avrebbe tenuto la riunione di Glasgow nonostante la mia inevitabile assenza e infatti lesse la conferenza che avrei dovuto tenere io. Il pubblico rimase piuttosto sorpreso dalla differenza dal suo solito stile; ma alla fine, Smillie annunciò di aver letto la conferenza proibita. Il governo aveva troppo bisogno di carbone per agire contro di lui.»
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ilterzolivello · 4 months ago
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IL TRONO DI PIETRA
Letteratura di spionaggio: la spy story di Giovanni Maio
Letteratura di spionaggio: la spy story di Giovanni Maio È incredibile scoprire intenzioni pedagogiche che diventano letteratura. Come mio solito lascio l’introduzione o prefazione alla fine, dopo aver ingollato tutta la storia. Lui dice che ci prova a cimentarsi in un’impresa che sa d’avventura. Una volta completata la lettura e placata la tensione che questo gran bel thriller accende, secondo…
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William Goldman: uno sceneggiatore da Oscar, uno scrittore da (ri)leggere
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Tutti probabilmente hanno visto Il maratoneta, capolavoro di John Schlesinger del 1976, con uno scontro ‘ad alta recitazione’ fra due mostri sacri: Laurence Olivier e Dustin Hoffman. Ma forse non tutti hanno letto il romanzo omonimo da cui è stato tratto il film, opera dell’ebreo newyorkese William Goldman. Difficile, come sempre, paragonare due forme artistiche così diverse come cinema e letteratura, ma in questo caso la medesima paternità è garanzia del massimo risultato. Nel libro c’è praticamente tutto: azione, stralci di storia contemporanea, caccia a criminali nazisti fuggiti in America del Sud per scampare ai processi, un feroce attacco al maccartismo, trame gialle e di spionaggio, pericolosi legami amorosi… Al protagonista, lo strambo Babe che ricorda un po’ il giovane Holden, mentre è intento a coltivare le sue due grandi passioni (la storia americana e la maratona: davvero esaltante la descrizione dell’impresa dell’etiope Abebe Bikila che a piedi scalzi trionfò alle Olimpiadi di Roma del 1960) capita di innamorarsi, di scoprire oscuri segreti familiari, di essere torturato da un dentista che non usa anestesia (è un ricordo autobiografico!) e di rischiare la pelle, in un susseguirsi a perdifiato di imprevedibili colpi di scena. La vicenda è raccontata con stile e linguaggio multiformi, che variano a seconda dei personaggi. La narrazione è vorticosa, avvincente, ironica e (vivaddio) politicamente scorretta. Ma cos’è l’umorismo? Goldman ne dà una definizione che sicuramente sarebbe piaciuta a Pirandello: “L’umorismo è l’inattesa giustapposizione dell’incongruenza”. Interessantissima l’introduzione, dell’autore stesso, sulla genesi del romanzo, della sceneggiatura e delle riprese, che potete leggere nell’edizione Marcos Y Marcos.
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Qualche parola su questo scrittore, uno dei più importanti sceneggiatori di Hollywood: nato a Highland Park (Chicago) nel 1931, pare che i genitori non riuscissero a tenerlo lontano dalle sale cinematografiche. Ha collezionato due Oscar: alla miglior sceneggiatura originale per Butch Cassidy con la strepitosa coppia, allora ancora inedita, Paul Newman-Robert Redford, “western insolito, accattivante e profondamente malinconico”, sulle note della colonna sonora di Burt Bacarach, e alla miglior sceneggiatura non originale per Tutti gli uomini del Presidente, con Dustin Hoffman e Robert Redford, storia di Carl Bernstein e Bob Woodword, i due giornalisti del «Washington Post» che svelarono lo scandalo Watergate, causando le dimissioni dell’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.
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La sua prima sceneggiatura, era il 1963, fu per Soldato sotto la pioggia (anche in questo caso interpretato da una coppia di autentici fuoriclasse: Steve McQueen e Jackie Gleason) “fu anche il primo dei numerosi adattamenti realizzati per il cinema dai suoi romanzi”.
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Dopo una collaborazione con Michel Piccoli, 50.000 sterline per tradire (Masquerade, 1965), il successo è decretato dal bellissimo Detective’s Story (Harper, 1966) con Paul Newman e Lauren Bacall, tratto da Bersaglio mobile di Ross Macdonald.
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Non si maltrattano così le signore  (1968), con Lee Remick, George Segal e Rod Steiger, da un suo romanzo, racconta la storia di un serial killer che, ossessionato dalla figura materna, uccide donne di mezza età; il titolo si riferisce ad una frase pronunciata dalla madre del detective incaricato delle indagini; La pietra che scotta (1972) con Redford; Magic (1978), un horror-psicologico con Anthony Hopkins, ancora da un suo libro.
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Il resto è storia: da Papillon (1973), con il gigantesco duo Hoffman-McQueen, dal romanzo autobiografico di Henri Charrière, a Il temerario (1975), con Redford, a Quell’ultimo ponte (1977) di Richard Attenborough con un cast stellare, a Misery non deve morire (1990) da Stephen King, a L’ultimo appello (1996) con Gene Hackman, da John Grisham.
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“Lavorò molto e sempre con risultati altissimi, spesso arrivando solo per rimettere a posto le cose o senza ricevere la firma sul film”; una delle sue caratteristiche fu anche la grande versatilità, che gli permise di spaziare da un genere all’altro.
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Ma ecco gli altri libri (ahimè non molti) dell’autore. Io sono Raymond (1957): “Illinois, fine anni ’50. Raymond Euripides Trevitt ha otto anni, è carino, ha un temperamento irrequieto e vuole trovare la sua identità, il suo posto nel mondo. Il passaggio dall’età dell’innocenza all’adolescenza lo cambierà profondamente, ponendolo di fronte a domande universali la cui sola risposta può arrivare dall’esperienza diretta. Come accadde all’Holden Caulfìeld di Salinger, Ray capirà attraverso le vittorie e i fallimenti, le amicizie e gli amori, i tradimenti e gli abbandoni, che l’unico modo per conoscere se stessi è accettare le esperienze che la vita ci pone innanzi. Un toccante e luminoso racconto su che cosa significhi affrontare un rito di passaggio, inevitabile e necessario”.
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Il silenzio dei gondolieri, pubblicato con lo pseudonimo di S. Morgenstein, “è una vera perla nascosta riscoperta grazie al traduttore, Dimitri Galli Rohl. Si narra che Goldman abbia avuto una folgorazione durante la sua prima visita a Venezia, e sia corso in albergo a scrivere questa storia che si era visto nella testa già completamente formata”. La recensione: “Un tempo, a Venezia, tutti i gondolieri cantavano, ed erano i più meravigliosi cantanti del mondo. Ma sono in pochi, ormai, a ricordare quei tempi gloriosi. Nessuno si spiegava perché all’improvviso tutti i gondolieri avessero smesso di cantare. Un bel giorno Goldman sbarcò a Venezia, ebbe un’illuminazione e andò sino in fondo al mistero. Scoprì così la nobile e triste storia di Luigi, il gondoliere con il sorriso da tontolone. La sua impareggiabile maestria, le sue disavventure e il suo riscatto finale. Ecco dunque tutte le verità mai raccontate su Giovanni il Bastardo, Laura Lorenzini, Enrico Caruso, il Piccoletto, Porcello VII, Sorrento il Grande, la regina di Corsica e naturalmente su Luigi, l’unico e il solo. Lui, che ha conquistato Venezia con un atto di coraggio maestoso, resterà per sempre anche nei nostri cuori, con il suo sorriso, il suo sogno e il suo canto”.
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La principessa sposa, da cui nel 1987 è stato tratto il film fantasy La storia fantastica, diretto da Rob Reiner, con la colonna sonora di Mark Knopfler, interpreti Peter Falk, Robin Wright e Billy Crystal; l’ormai introvabile Calore (1985), un thriller-noir ambientato a Las Vegas e Fratelli (1986), il seguito de Il maratoneta, libro veramente imperdibile che consigliamo per queste agognate, meritatissime vacanze!
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queerographies · 3 years ago
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[Aphra Behn][Vita Sackville-West]
Questo libro riguarda non una, ma tre scrittrici: Aphra Behn, donna del Seicento dalla vita ribelle, Vita Sackville-West e Virginia Woolf, autrici del Novecento unite da un sodalizio intellettuale e amoroso.
Aphra Behn (1640-1689) fu la prima scrittrice professionista della letteratura inglese. In Una stanza tutta per sé Virginia Woolf ne scrive con ammirazione, riprendendo le idee espresse da Vita Sackville-West in questa avvincente biografia. Aphra Behn ebbe una vita costellata di avventure: il viaggio in Suriname, lo spionaggio internazionale, la prigione per debiti, la fama come commediografa e…
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weirdesplinder · 4 years ago
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Lista di libri dedicati a furti e ladri
Sull’onda della visione del telefilm La casa di carta on #Netflix ho deciso di proporvi una lista di romanzi che parlino appunto di ladri e furti. Un argomento che ha sempre interessato molto la letteratura. Naturalmenet non è una lista esaustiva, i titoli sono così tanti, ma ho cercato di darvi più titoli in ogni nicchia del genere e tutti reperibili in italiano.
Partiamo dai classici naturalmente:
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- L' eredità misteriosa. Rocambole. Vol. 1 (1857) di Pierre Alexis Ponson du Terrail
Primo volume del ciclo dedicato al ladro Rocambole
1812, mentre le truppe di Napoleone si ritirano dalla Russia, si compie una sanguinosa vendetta tra due ufficiali della Grande Armata francese. Molti anni dopo, a Parigi, gli eredi di quella faida danno vita a una lotta senza esclusione di colpi tra il Bene e il Male. Da una parte il conte Armand de Kergaz, che impiega le sue risorse a favore dei più deboli, dall'altra il fratellastro Andréa, alias sir Williams, vero e proprio genio del crimine, mentore del futuro protagonista: Rocambole. Sullo sfondo di una città affascinante quanto pericolosa, inizia così uno dei capisaldi del romanzo d'appendice, dove non mancano amori, passioni e cruenti delitti.
- Raffles: il ladro gentiluomo (1898) di Ernest William Hornung
Primo libro della serie sul ladro gentiluomo Raffles
È mezzanotte sull’Albany Street londinese. Harry “Bunny” Manders ha perso tutto al gioco. Negli ultimi tempi la sfortuna lo perseguita. Il suo lavoro come giornalista non rende e l’unica cosa sensata da fare sembra quella di introdursi nell’appartamento di uno dei creditori. A.J. Raffles è un suo vecchio compagno di scuola, forse a lui può confessare l’inutilità degli assegni che ha firmato, il suo conto in rosso. Raffles lo guarda con i suoi occhi azzurri taglienti, accende una Sullivan e prepara due whisky e soda. Ma Bunny non ha voglia di bere, Bunny ha una pistola nella tasca del suo cappotto e se la punta dritta sulla tempia. Intravedere una via d’uscita dalla situazione è quasi impossibile, eppure Raffles, carezzandosi il suo curato pizzetto, propone un piano. Forse un suo amico può aiutarli entrambi; ma quale amico si va a trovare nel cuore della notte, alla luce dei fiammiferi, in un appartamento abbandonato che guarda caso sta proprio sopra la famosa gioielleria dell’amico in questione?
- Arsenio Lupin (1905) di Maurice Leblanc
Anche questa è una serie di libri, ma Newton Compton ha raccolto tutti i vari racconti in un unico volume nel caso vi interessi intitolato Tutte le avventure di Arsenio Lupin
Arsenio Lupin è un raffinato ladro gentiluomo, amante delle donne, del gioco d'azzardo e dotato di uno spiccato sense of humor. Per questo personaggio pare che Maurice Leblanc si sia ispirato a Marius Jacob, anarchico francese e ladro inafferrabile.
- La primula rossa (1905) di Emma Orczy
Primo libro di un ciclo dedicato alla Primula Rossa
Parigi, anno di grazia 1792. Il Regime del Terrore semina il caos. I “maledetti aristos”, sventurati discendenti delle famiglie aristocratiche francesi, vengono mandati a morte dall'implacabile tribunale del popolo: ogni giorno le teste di uomini, donne e bambini cadono sotto la lama della ghigliottina. Ma in loro aiuto interviene un personaggio inafferrabile e misterioso, il quale, attraverso rocambolesche e ingegnose fughe, riesce a portare oltremanica i perseguitati del regime, nella libera Inghilterra. Dietro di sé non lascia tracce, se non il proprio marchio: un piccolo fiore scarlatto, che gli varrà il soprannome di Primula Rossa. Ma quale identità si cela dietro questo pseudonimo? Chi è l'audace salvatore, disposto a rischiare la propria vita in nome della nobile causa? L'incognita ossessiona l'astuto e crudele funzionario del governo francese Chauvelin e affascina l'alta società inglese: ma la soluzione del mistero si rivelerà tanto insospettabile quanto geniale. romance e romanzo d'avventura, il ciclo della "Primula Rossa" viene qui presentato in una nuova traduzione.
- Simon Templar, alias il Santo (1928) di Leslie Charteris
Serie di più di 50 romanzi
Simon Templar è un Robin Hood moderno, un giustiziere che agisce ai margini della legge e che, almeno nelle apparizioni iniziali, non disdegna l'omicidio a fini di giustizia. Di lui si sa poco: è probabilmente di umili origini, è dotato di uno spiccato sense of humour e ha una nutrita serie di identità fasulle. Il suo segno di riconoscimento è una stilizzata figura umana con un'aureola sui bigliettini che lascia a mo' di firma sul luogo delle sue imprese per lo scorno dei rappresentanti della legge, abitualmente beffati: l'ispettore Teal di Scotland Yard e l'ispettore John Fernack della polizia di New York.
- Il barone fa il poliziotto (The Baron), di John Creasey sotto pseudonimo Anthony Morton
Anche questa è una lunga serie di libri brevi
Protagonista delle storie è John Mannering, un antiquario inglese con negozi a Washington, Parigi e Londra; in realtà è un agente segreto ex ladro di gioielli che sta indagando su casi di spionaggio internazionale con l'aiuto del suo collaboratore David Marlowee.
- Il ladro che credeva di essere Bogart (1977) di Lawrence Block
Un ladro, una città, un mistero. Il ladro è Bernie Rodhenbarr, disincantato libraio con l'hobby del furto e una netta inclinazione a ficcare il naso in faccende pericolose. La città è New York, una categoria dello spirito più che una metropoli, con i suoi cinemini d'essai dove è ancora possibile scambiare la realtà per un sogno in bianco e nero. Il mistero è quello di un cadavere in cerca d'autore
 Romanzi più Contemporanei:
- La grande rapina di Nizza di Ken Follett
Il libro è una ricostruzione delle vicende connesse con la grande rapina di Nizza, portata a termine ai danni della filiale nizzarda della banca Société Générale da una banda di malviventi capeggiati da Alberto Spaggiari. La "grande rapina" fu definita tale per l'ammontare del maltolto (circa cento milioni di franchi dell'epoca) e per le modalità, dal momento che i ladri penetrarono nel caveau della banca tramite una galleria scavata a partire da alcuni cunicoli fognari cittadini.
- Vuoto di luna di Michael Connelly
Cassie Black ha passato sei anni in prigione per un furto al casinò dove ha perso la vita il suo compagno. Durante la libertà vigilata progetta di riprendersi la figlia, in adozione, arraffare un sacco di soldi e scomparire nel nulla. Ma qualcuno le sta alle costole...
- Il principe dei ladri di Chuck Hogan
Claire Keesey, direttrice di filiale di un istituto di credito di Boston, viene presa in ostaggio durante una rapina. I banditi sono quattro: Doug, Jem, Gloansy e Dez. "Fanno banda" sin dai tempi della scuola, e oggi sono rapinatori affiatati, precisi, spregiudicati e inafferrabili. Sono cresciuti insieme a Charlestown, un quartiere di Boston dove "guadagnarsi il pane" equivale a svaligiare una banca. Ma Doug, il cervello della banda, non aveva messo in conto che, insieme con una montagna di quattrini, dal colpo in banca si sarebbe portato a casa anche un cuore ferito. Gli sono bastati pochi attimi per innamorarsi di Claire. Continua a pensarla, dopo la rapina: sa dove abita, la segue, fa in modo di incontrarla, di sedurla.
- La modista, un romanzo con guardia e ladri di Andrea Vitali
Nella notte hanno tentato un furto in comune, ma la guardia Firmato Bicicli non ha visto nulla. Invece, quando al gruppetto dei curiosi accorsi davanti al municipio s'avvicina Anna Montani, il maresciallo Accadi la vede, eccome: un vestito di cotonina leggera e lì sotto pienezze e avvallamenti da far venire l'acquolina in bocca. Da quel giorno Bicicli avrà un solo pensiero: acciuffare i ladri che l'hanno messo in ridicolo e che continuano a colpire indisturbati. Anche il maresciallo Accadi, da poco comandante della locale stazione dei carabinieri, da quel momento ha un'idea fissa. Ma intorno alla bella modista e al suo segreto ronzano altri mosconi: per primo Romeo Gargassa, che ha fatto i soldi con il mercato nero durante la guerra e ora continua i suoi loschi traffici; e anche il giovane Eugenio Pochezza, erede della benestante signora Eutrice nonché corrispondente locale della "Provincia"
- La falsaria di B.A. Shapiro
Sono circa tre anni che per il mondo dell’arte Claire Roth è un paria, una grande millantatrice. Dopo uno scandalo che la ha coinvolta sia sul piano personale che su quello professionale, Claire si è ridotta a lavorare per un’azienda che vende online «repliche perfette» di capolavori della storia dell’arte. Un giorno riceve l’inaspettata visita di Aiden Markel, il proprietario della famosa Markel G, una delle gallerie più in vista di Boston e New York. Markel irrompe nel suo loft con una singolare proposta: una mostra, nella sua galleria, delle opere originali di Claire in cambio della realizzazione di un falso da parte sua. Non una replica à la Roth, ma un vero e proprio falso da dipingere su una tela d’epoca. Una mostra tutta sua è qualcosa di irrinunciabile per Claire. Quando, però, Markel si ripresenta al loft con l’opera originale da falsificare, il cuore di Claire Roth sobbalza. Il quadro, uno dei grandi capolavori di Degas, fu staccato, infatti, in una notte di pioggia, dalle pareti dell’Isabella Stewart Gardner Museum e la tela strappata alla sua cornice da una coppia di ladri maldestri, impegnati nel più grande furto d’arte ancora irrisolto della storia.
 Romanzi più leggeri e rosa:
Un sentimento pericolo di Suzanne Enoch
Samantha Jellicoe è una ladra e ne è orgogliosa. Amante delle cose belle, non esita a procurarsele rubando ai ricchi le loro opere d’arte. Tutto cambia, però, la notte in cui tenta un furto in una villa a Palm Beach: l’esplosione di una bomba uccide una guardia e lei finisce per salvare la vita del padrone di casa, il playboy miliardario Richard Addison. Samantha è una ladra, è vero, ma se qualcuno pensa di farla passare per un’assassina si sbaglia di grosso. E se Richard è abituato a essere assediato dalle donne, quella che ha trovato in casa sua non sembra affatto interessata a lui. Però è vivo solo grazie a lei, l’unica a potergli dare le risposte che cerca. Così, fra gli intrighi del mondo dorato di Palm Beach, la seducente Samantha e l’affascinante Richard seguiranno gli indizi per scoprire anche il mistero di ciò che li unisce.
Ladro lui, ladra lei di Dani Sinclair
Brenna ama l'avventura, ma deve ammettere che introdursi in casa d'altri per sottrarre un dipinto sia un tantino eccessivo. Eppure non ha scelta: la reputazione del nonno, famoso pittore, dipende da lei. Ma quando Brenna, invece di mettere le mani sulla preziosa tela, un sensualissimo nudo femminile, si trova tra le braccia del ladro più sexy che abbia mai visto, il suo stupore è alle stelle. In realtà Spencer Griffen è un onesto cittadino, costretto a dare la caccia al fantomatico quadro per... comune senso del pudore! Insieme...
Una ladra tra le lenzuola di KRISTIN GABRIEL
Michael Wolff è giovane, scapolo e carino. In più è miliardario. Perciò è normale che le donne lo cerchino e mirino al suo denaro. Quello che Michael proprio non si aspetta è di trovarne una addirittura che sta aprendo la sua cassaforte! Sarah Hewitt, questo il nome della presunta ladra, in realtà ha un ottimo motivo per avere... le mani nel sacco. Il difficile sarà convincere Michael delle sue buone ragioni. Così, quando lui le fa una proposta che non si può rifiutare...
Il ladro di cuori di KRISTIN GABRIEL
Maddie Griffin è decisa a dimostrare al padre che ha tutte le carte in regola per far parte dell'agenzia investigativa di famiglia. Così, quando sulle pagine di una rivista riconosce la foto del famigerato Bandito Casanova, alias Tanner Blackburn, decide che deve essere lei a consegnare il fuggiasco alla giustizia. In realtà Tanner non ha mai nemmeno preso una multa per eccesso di velocità, ma prima di riuscire a spiegarlo a Maddie... è già in manette!
 Una pericolosa rubacuori di TORI CARRINGTON
 Nicole Bennett, flessuosa e sensuale come un gatto, sa anche tirare fuori gli artigli e, poiché è una inafferrabile ladra di gioielli, questa dote le è molto utile. Spera che lo sarà ancora di più quando cercherà di rubare il cuore di Alex Cassevetis.
  All’interno del Genere fantasy:
Sei di corvi di Leigh Bardugo
A Ketterdam, vivace centro di scambi commerciali internazionali, non c'è niente che non possa essere comprato e nessuno lo sa meglio di Kaz Brekker, cresciuto nei vicoli bui e dannati del Barile, la zona più malfamata della città, un ricettacolo di sporcizia, vizi e violenza. Kaz, detto anche Manisporche, è un ladro spietato, bugiardo e senza un grammo di coscienza che si muove con disinvoltura tra bische clandestine, traffici illeciti e bordelli, con indosso gli immancabili guanti di pelle nera e un bastone decorato con una testa di corvo. Uno che, nonostante la giovane età, tutti hanno imparato a temere e rispettare. Un giorno Brekker viene avvicinato da uno dei più ricchi e potenti mercanti della città e gli viene offerta una ricompensa esorbitante a patto che riesca a liberare lo scienziato Bo Yul-Bayur dalla leggendaria Corte di Ghiaccio, una fortezza considerata da tutti inespugnabile. Una missione impossibile che Kaz non è in grado di affrontare da solo. Assoldati i cinque compagni di avventura – un detenuto con sete di vendetta, un tiratore scelto col vizio del gioco, uno scappato di casa con un passato da privilegiato, una spia che tutti chiamano lo "Spettro", una ragazza dotata di poteri magici –, ladri e delinquenti con capacità fuori dal comune e così disperati da non tirarsi indietro nemmeno davanti alla possibilità concreta di non fare più ritorno a casa, Kaz è pronto a tentare l'ambizioso quanto azzardato colpo. Per riuscirci, però, lui e i suoi compagni dovranno imparare a lavorare in squadra e a fidarsi l'uno dell'altro, perché il loro potenziale può sì condurli a compiere grandi cose, ma anche provocare grossi danni...
Gli inganni di Locke Lamora di Scott Lynch
Piccolo di statura, deboluccio e un po' imbranato con la spada, Locke Lamora ha però un grande punto di forza: nessuno lo può battere quanto ad astuzia e abilità truffaldina. E benché sia vero che ruba ai ricchi nessun povero ha mai visto un soldo bucato dei suoi furti. Tutto ciò su cui mette le mani lo tiene per sé e per i Bastardi Galantuomini, la sua banda. A suo modo, Locke è il re di Camorr, una città che sembra nata dall'acqua, ornata di migliaia di ponti e di sontuosi palazzi barocchi e popolata da mercanti, soldati, accattoni e, ovviamente, ladri. In realtà, Camorr è il dominio di Capa Barsavi, perversa mente criminale, che da qualche tempo è impegnato in una lotta senza quartiere con il Re Grigio, altro personaggio decisamente poco raccomandabile. Impiccione per natura, Locke si ritrova suo malgrado in mezzo a questo scontro di titani e rischia di lasciarci le penne. Anche perché il suo misterioso passato nasconde un segreto che può mettere in pericolo l'intera nazione camorrana...
Ladri di spade di Micheal J. Sullivan
Royce Melborn, ladro matricolato, e il suo degno compare, il mercenario Hadrian Blackwater, si guadagnano comodamente da vivere portando a termine imprese rischiose per conto di nobili di dubbia moralità, finché non vengono ingaggiati per sgraffignare una spada leggendaria. Questa volta, però, si troveranno coinvolti nell'assassinio di un re e intrappolati in una trama oscura che va ben oltre l'assassinio di un sovrano. Riusciranno i nostri eroi - l'ambizioso furfante e lo spadaccino idealista - a dipanare un antico mistero che ha rovesciato re e distrutto potenti imperi? Inizia così la nostra storia, densa di avventure, tradimenti, duelli, magia e leggende.
Harold il ladro di Aleksej Pechov
Un'immensa armata si sta radunando: migliaia di giganti, ogre e altre creature stanno unendo le forze da tutte le Terre Desolate, unite, per la prima volta nella storia, sotto un solo vessillo nero. Entro la primavera, forse anche prima, colui che è conosciuto come il Senza Nome raggiungerà con il suo esercito le mura della grande città di Avendoom. A meno che Harold l'Ombra, uno dei ladri più abili al mondo, non trovi un modo di fermarlo. Un romanzo che porta ai vertici la epic fantasy, il primo di una trilogia che segue le imprese di Harold l'Ombra, leggendario ladro di Siala, alla ricerca di un corno magico in grado di riportare la pace nel suo regno. Compagni d'avventura nel suo viaggio saranno una principessa elfica, Miralissa, la sua scorta, dieci Cuori Selvaggi, i guerrieri più esperti e mortali del mondo... e il giullare di corte del re (che potrebbe essere molto più - o molto meno - di quanto sembra).
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Agatha Christie la regina del crimine
https://www.unadonnalgiorno.it/agatha-christie/
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Agatha Christie è la più importante giallista della letteratura e la romanziera più venduta di tutti i tempi, circa due miliardi di copie.
Le sue opere sono al terzo posto nella classifica dei libri più pubblicati al mondo, dietro solo alla Bibbia e a quelle di Shakespeare. Ha scritto 66 romanzi polizieschi e 14 raccolte di racconti.
Dalla sua penna sono usciti i celeberrimi personaggi di Hercule Poirot e Miss Marple, protagonisti di buona parte della sua produzione letteraria e di una vasta serie di adattamenti cinematografici e televisivi.
Oltre ai romanzi gialli che l’hanno resa celebre, ha scritto anche racconti, opere teatrali e alcuni romanzi rosa pubblicati con lo pseudonimo di Mary Westmacott.
Agatha Mary Clarissa Miller nacque a Torquay, nel Devon, il 15 settembre 1890 in una ricca famiglia dell’alta borghesia. Era una bambina molto curiosa e lettrice vorace sin dalla tenera età. A dieci anni scrisse la sua prima poesia.
La prima parte della sua istruzione fu domestica, nel 1902 venne mandata in una rigida scuola per ragazze e tre anni dopo andò a studiare a Parigi.
Tornata in Inghilterra nel 1910, trovò la madre, rimasta vedova che era malata. Andarono insieme a Il Cairo, destinazione turistica allora molto comune per i ricchi britannici, dove ebbe modo di visitare le piramidi e conoscere le atmosfere esotiche che tanto torneranno nei suoi libri.
Tornata in Gran Bretagna si dedicò al teatro, scriveva sceneggiature e recitava.
Nel 1914 sposò Archibald Christie, ufficiale nato in India, da cui prese il cognome che conservò anche dopo il loro divorzio, nel 1928. Dalla loro unione nacque la sua unica figlia Rosalind Margaret, nel 1919. Insieme viaggiarono tanto, andarono in Australia, Nuova Zelanda e Hawaii. In Sudafrica è stata la prima donna inglese a praticare il surf.
Gli esordi come scrittrice non furono facili, fronteggiò molti rifiuti prima di vedere un suo libro pubblicato  nel 1920, Poirot a Styles Court, iniziato a scrivere quattro anni prima. Il protagonista è Hercule Poirot, ex ufficiale di polizia belga noto per i suoi baffi e la testa a forma di uovo, rifugiato in Gran Bretagna dopo l’invasione tedesca. L’ispirazione le derivò dai molti soldati belgi che aveva curato come infermiera volontaria durante la prima guerra mondiale. È stato il suo protagonista più longevo, apparso in 33 romanzi e 54 racconti.
Dopo l’esordio la sua produzione fu inarrestabile e ancora, oggi dopo un secolo, le sue opere continuano a essere ristampate.
Il personaggio di Miss Jane Marple, comparso per la prima volte nel 1927, nella raccolta Miss Marple e i tredici problemi, ispirato dalla nonna di Christie e le sue amiche, appare in 12 romanzi e 20 racconti.
Dopo il divorzio la scrittrice lasciò l’Inghilterra e cominciò a viaggiare. Sull’Orient Express, andando a Baghdad, incontrò un giovane archeologo, Max Mallowan, che sposò nel settembre del 1930. Accompagnò spesso il marito nelle sue spedizioni archeologiche in scenari che contribuirono a fare da sfondo a molti dei suoi romanzi ambientati in Medio Oriente.
Altri romanzi di ispirazione meno esotica, erano ambientati nella sua città natale e nelle residenze di campagna dove ha soggiornato.
Assassinio sull’Orient Express, del 1934, fu scritto all’Hotel Pera Palas di Istanbul, che conserva ancora intatta la stanza dove aveva soggiornato.
Tutti i luoghi dove Agatha Christie ha vissuto in Inghilterra sono considerati di interesse storico e culturale.
Durante la seconda guerra mondiale, lavorò nella farmacia dell’University College Hospital di Londra, dove acquisì una conoscenza dei veleni che mise a frutto nei suoi romanzi polizieschi post-bellici.
Per la dovizia di particolari con cui scrisse di spionaggio subì addirittura un’indagine da parte dell’agenzia di intelligence britannica che aveva temuto che Agatha Christie avesse una spia nel centro top-secret della loro divisione.
Nel 1956, per i meriti letterari venne nominata comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico e l’anno successivo, divenne presidente del Detection Club. Nel 1971 fu promossa a Dama comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico.
Si ammalò di demenza senile o probabilmente Alzheimer e morì nella sua Winterbrook House il 12 gennaio 1976 all’età di 85 anni. È stata sepolta nel cimitero della chiesa di Santa Maria a Cholsey.
Tra i vari primati di Agatha Christie, c’è anche quello di aver scritto l’opera teatrale più longeva della storia, Trappola per topi, andata in scena ininterrottamente dal 1952 al 2020. Si è fermata soltanto a causa della pandemia da Covid-19.
Il suo romanzo E poi non c’era nessuno è uno dei libri più venduti di tutti i tempi, circa 100 milioni di copie.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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12 ott 2020 10:38
''LA VITA È UN’AVANZATA VERSO LE PALLOTTOLE E LE MITRAGLIATRICI: QUANDO SEI LONTANO NE SENTI IL FISCHIO, POI, MAN MANO CHE TI AVVICINI, È SEMPRE PIÙ DIFFICILE CAVARSELA, E PRIMA O POI TI BECCANO. DOBBIAMO RASSEGNARCI, MA ANCHE VIVERE AL MEGLIO PERCHÉ NON SAREMO MAI PIÙ GIOVANI COME IN QUESTO MOMENTO''. CHE ALTRO AGGIUNGERE ALLE FRASI DI PIERO ANGELA, 91 ANNI E ORA SU RAIPLAY CON SUPERQUARK+ CON UN GRUPPO DI GIOVANI DIVULGATORI?
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Mario Manca per www.vanityfair.it
Se Piero Angela è arrivato a 91 anni con la stessa energia e lo stesso entusiasmo che aveva quando mise per la prima volta piede in Rai nel 1951 deve dire grazie al colesterolo e alla glicemia. «Le ho entrambe basse, e questo vuol dire che il sangue circola ancora bene. Se non si hanno delle malattie gravi, si può e deve continuare» spiega al telefono dalla sua casa di Roma, prendendosi le pause giuste e nuotando nei ricordi come se la memoria fosse un’enorme piscina da perlustrare a bracciate e a sforbiciate.
Dopo il successo dell’ultima edizione di SuperQuark andata in onda nella prima estate post Covid-19 della nostra storia, Angela torna su RaiPlay con il secondo ciclo di episodi di SuperQuark+, 10 racconti di scienza della durata di 15 minuti che cercano di affrontare gli argomenti più diversi in maniera completa, chiara, mai volgare. Un invito ai giovani a rimanere informati e a stare attenti, vigili verso un futuro ricco di insidie che dovrà fare i conti non solo con la denatalità crescente, ma anche con un aumento sempre più alto di anziani cui versare la pensione.
«Secondo le proiezioni di uno studio commissionato dall’università di Washington, l’Italia in futuro potrebbe avere una popolazione di appena 28/30 milioni di abitanti. La classe produttiva dovrà reggere non solo i pensionati, ma anche i giovani che dovranno impegnarsi per pagare le pensioni. Oltre a questo, sarà necessario che il nostro Paese sia competitivo sul piano internazionale, altrimenti il debito pubblico per ognuno di noi salirà e nessuno comprerà più i nostri titoli di Stato, cosa già in corso d’opera, tra l’altro». Piero Angela, giornalista, divulgatore, 38 libri all’attivo e 11 lauree honoris causa appese alle pareti, però, ci tiene a sottolineare di non essere un «profeta di sventure», ma solo un messaggero: «Dobbiamo dimostrare che il futuro non sarà così, il tempo è brevissimo».
Il giorno dopo la conferenza di SuperQuark+ tutti hanno parlato delle sue dichiarazioni sul Covid-19, quando spiegava che sarebbe dovuto intervenire l’esercito per controllare il corretto utilizzo delle mascherine da parte dei cittadini. Si aspettava tanto clamore?
«Qualsiasi cosa dicano i personaggi viene spesso utilizzata per fare dei titoli. Una volta non era così, credo che ci sia molto sensazionalismo oggi nell’informazione».
Per questo è finito nei Trend Topic di Twitter: ha famigliarità con il digitale?
«No, per niente. Non sono né su Facebook né su Twitter, non ho nessuna chat. Niente. Dico sempre che mi piace navigare su un’altra tastiera, quella del pianoforte. Tutto il tempo che gli altri spendono per questi interventi io lo dedico alla musica».
Eppure SuperQuark+ sbarca proprio su una piattaforma digitale, RaiPlay.
«Molto si sta spostando lì, soprattutto i giovani. Le interazioni digitali li attraggono di più».
Il format prevede puntate molto brevi che, però, lei aveva già «predetto»: negli anni Ottanta testò le Pillole di Quark che duravano appena 30 secondi.
«Mi resi conto che eravamo visti solo dalle persone che sceglievano di vedere i nostri programmi, ma io volevo provare ad arrivare anche agli altri. Così mi vennero in mente delle pillole di 30 secondi da distribuire come coriandoli un po’ dappertutto, infilandocele tra i programmi e le pause pubblicitarie. Nell’Almanacco del giorno dopo, che andava in onda prima del telegiornale ed era seguitissimo, ce n’erano addirittura 2, una in testa e l’altra in coda. Parlavano un po’ di tutto, di musica, di letteratura, di educazione civica, dei pericoli della casa. Ci fu anche Renzo Arbore che partecipò con degli spot divertentissimi contro il fumo».
A proposito di spot: lei nel 1988 ne girò uno che andò in onda a reti unificate e che spiegava il corretto utilizzo del preservativo. Ebbe mai problemi con la Chiesa?
«Prima di andare in onda ci furono due sondaggi tra le suore e i preti e venne fuori che il loro programma preferito era il mio. Sono sempre stato molto attento a separare scienza e fede: quello che va in onda nei nostri prodotti si trova nelle riviste di divulgazione scientifica, che si parli di cosmo o di corpo umano».
In SuperQuark+ ci ha messo anche del suo: nella puntata sui capelli, ha detto che comprò a New York una parrucca e un paio di baffi finti per poi metterseli a Roma. Lo fece sul serio?
«Me li misi a Carnevale. Non metterei mai una parrucca, altrimenti. I giovani soffrono molto per la caduta dei capelli, ma io non ho mai avuto questo complesso, tant’è che non ho mai fatto niente per farli ricrescere».
Una volta disse che in Italia il pensiero scientifico era un po’ emarginato. Oggi è ancora così?
«Le televisioni funzionano con un criterio: collocare i programmi con un ascolto più alto in prima serata in modo da favorire gli introiti pubblicitari dai quali derivano i soldi per andare avanti. Questo succede indipendentemente dal fatto che il programma sia di cultura o meno. Mio figlio Alberto l’ultima volta ha battuto “l’isola delle tentazioni” (Temptation Island, ndr): si dice sempre che la prima serata di Raiuno è quella che paga gli stipendi».
Lei li guarda i programmi di Alberto?
«Certo. Guardo anche i miei perché cerco i difetti. C’è chi si irrita quando qualcuno gli fa un’osservazione, mentre io le critiche vado a cercarle tra la gente, cercando di capire se c’è un modo per migliorare, se qualcosa piace o non piace».
Siamo sinceri: lei di critiche ne riceve pochissime.
«La cosa che mi colpisce è che sono amato dai giovani di tutte le età e le categorie professionali e culturali. È una gratificazione che mi rende felice perché questi ragazzi vivranno un secolo per niente facile e dobbiamo stare loro vicino affinché arrivino preparati. Non devono vivere alla giornata, ma applicarsi negli studi e conoscere la scienza, perché è in grado di aiutarli. Lasceremo questo mondo non solo ai posteri, ma ai figli e ai nipoti che sono già qua e vanno a scuola».
La scuola fa abbastanza per i giovani d’oggi, secondo lei?
«A scuola l’insegnamento procede ancora con il retrovisore: si insegnano la storia, il greco, il latino, la letteratura, tutte robe del passato che vanno benissimo, per carità, perché è necessario saperle. Dobbiamo, però, anche capire un po’ cos’è il presente e quello che ci aspetta. A scuola si insegnano le scienze, ma non la scienza e il suo metodo. Quando io l’ho scoperta ho capito meglio tantissime cose e mi sono appassionato».
Perché il futuro la preoccupa così tanto?
«Non lo vivrò perché non sarà roba mia, ma delle prossime generazioni. Ho avuto la fortuna di vivere nel periodo migliore di tutta la storia dell’umanità. Sono nato l’anno dopo che Lindbergh attraversò l’Oceano».
E pensare che rischiò di morire quando aveva un anno per la polmonite.
«Ho pagato il mio biglietto di ingresso genetico. Penso anche di aver vissuto la guerra, ma di aver avuto la fortuna di non andare sotto le armi».
Nel 1967, però, fu arrestato quando era in Iraq. Come andò?
«Stavamo girando di nascosto un servizio sul petrolio per Tv7: quando arrivammo, avevano già impiccato 11 persone per spionaggio perché c’era la sindrome degli Israeliani e in quel momento l’Italia aveva adottato un atteggiamento pro-Israele. Un giorno riprendevamo da lontano, ma qualcuno ci ha visti e così, poco dopo, è arrivata una camionetta con i mitra spianati che ci ha portato prima in commissariato e poi in prigione. Pochi parlavano inglese, i telefoni non funzionavano, ma a mezzanotte venne il capitano dei servizi e capì la situazione in cui eravamo finiti. Ci sequestrarono tutto, ma ci liberarono».
Nella sua lunga vita ha dovuto anche affrontare uno scherzo malevolo da parte di alcuni colleghi: quando stava per partire il primo telegiornale sul secondo canale che lei avrebbe condotto, le fecero arrivare la notizia falsa della morte di Moravia. Come la prese?
«Malissimo, non si fanno queste cose. Soprattutto perché stavamo iniziando un telegiornale nuovo: un’ora prima di cominciare arrivò questa notizia che ci sballò tutta la scaletta, contattammo l’amico di Moravia Enzo Siciliano e iniziammo a lavorare sugli approfondimenti e su cosa avremmo detto. Quando nessuna agenzia di stampa confermava la notizia ci venne il dubbio e scoprimmo che era uno scherzo di quelli del primo canale. Ricordo benissimo che richiamai Siciliano per dirgli che era uno scherzo e lui mi disse che aveva già cominciato a telefonare a tutti gli amici per dire che Moravia era morto. “No, fermi tutto”, gli dissi».
È possibile, invece, che lei non abbia mai visto il Festival di Sanremo?
«Confermo. Vidi quelli con Nilla Pizzi negli anni Cinquanta, poi stetti via 13 anni fuori fuori dall’Italia e, quando tornai, continuai a non vederlo perché non mi interessava. Sono un jazzista, per noi le canzonette sono come fumo negli occhi, infatti non ho mai visto neanche adesso nessun programma di canzoni. Non le saprei fischiettare nessun brano di quelli attuali. Però ammetto che una volta a Sanremo ci andai con Rita Levi Montalcini per promuovere la sua fondazione per le donne e la Sla».
Il primo incontro con la Levi Montalcini, però, non andò benissimo.
«Ci incontrammo perché volevo parlare della sua ricerca sul fattore di crescita nervoso, quella che poi le valse il Nobel. Arrivai all’incontro informatissimo ma, quando le spiegai come sarebbe stato il programma e che avremmo trasmesso 3 minuti sul suo lavoro, mi raggelò: “Solo 3 minuti?”. Rimasi paralizzato. Anni dopo la incontrai in stazione e mi disse di avere un debito con me: da lì siamo diventati grandi amici. Al tempo non sapeva che un documentario è fatto di diverse tessere che vanno a comporre un quadro d’insieme».
Un altro suo grande amico era Enzo Tortora, che però lei trovava «poco naturale» in tv. C’è qualcuno che le piace tra i presentatori oggi?
«Li trovo bravi nel loro genere, specie se sono divertenti e attenti al loro pubblico. La televisione è uno strumento che arriva alle famiglie e ritengo che ci voglia molta attenzione per evitare che vadano in onda cose che danno fastidio. È importante dire le cose in maniera educata, “in punta di penna”, senza inseguire la volgarità, il sensazionalismo e la ricerca assoluta dell’applauso o dell’emozione».
Oltre alla tv, è molto legato al cinema. Il film che non si stancherebbe di rivedere?
«Quelli di Fellini li riguarderei tutti perché mi considererei molto fortunato nel farlo. Quando ero ragazzo andavo di più al cinema e ricordo titoli come Miracolo a Milano e Ladri di biciclette, che rividi 10 volte ma che fu un flop d’incassi fino a quando non vinse un premio in Belgio. Il problema è che questi film oggi non li danno più».
Molti sono sulle piattaforme streaming, come Netflix o Prime Video.
«Dovrei abbonarmi perché ho visto che ci sono offerte di vecchi film che rivedrei volentieri. A cominciare da quelli di Kubrick, un genio».
Kubrick rispose di persona a una sua lettera quando gli chiese se poteva usare delle scene di 2001 Odissea nello spazio per un suo documentario. La conserva ancora?
«Sì, dovrei recuperarla. Quando gli scrissi non mi aspettavo che mi rispondesse, ma fu molto cordiale. Le case di produzione mi dissero che le immagini del film erano bloccate e che il nullaosta doveva arrivare solo da Kubrick. Dissi, benissimo, mi date il suo indirizzo?».
Intraprendente.
«Se uno bussa a tutte le porte qualcosa succede, specie se lo si fa in buona fede e con cortesia, come dice un famoso proverbio veneto».
Nelle ultime interviste che ha rilasciato le chiedono sempre della morte: la infastidisce?
«Sono un novantenne, per forza lo chiedono. La morte non piace a nessuno. Nel momento in cui succede di solito le persone entrano in un piccolo letargo e non si rendono conto del momento del trapasso. Dico sempre che la vita è un’avanzata verso le pallottole e le mitragliatrici: quando sei lontano ne senti il fischio, poi, man mano che ti avvicini, è sempre più difficile cavarsela, e prima o poi ti beccano. Dobbiamo rassegnarci, ma anche vivere al meglio perché non saremo mai più giovani come in questo momento. Sono, però, d’accordo con Woody Allen che, a un giornalista che gli chiese cosa ne pensasse della morte, rispose “non ho cambiato idea. Sono decisamente contrario”. Ecco, anch’io la penso come lui».
È consapevole, però, di aver scritto la storia? Il suo nome probabilmente lo studieremo per tanto tempo in futuro.
«Ho aiutato la diffusione del sapere. Le lauree mi sono state date non per quello che so, ma per l’aiuto che ho dato per diffondere la cultura scientifica. Mi fa piacere perché vuol dire che il lavoro che ho fatto era serio, ma non posso non pensare a Ruggero Orlando, che era il corrispondente della Rai a New York, un personaggio molto popolare e caratteristico. Mi sono reso conto che ormai se lo ricordano solo quelli che hanno più di 50 anni. Magari nessuno si ricorderà di me: forse i bambini, ma solo perché mi hanno visto in tv. I libri di divulgazione hanno una vita breve, quelli di letteratura sono eterni».
Anche i dischi. Il suo di musica jazz a che punto è?
«Non riesco mai a esercitarmi abbastanza, ma sono arrivato a buon punto e penso di farlo».
(Finita l’intervista, Piero Angela mi saluta così: «Mi piace parlare e fare divulgazione. Anche con un solo spettatore»).
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billworking-blog · 8 years ago
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Libri per bambini e non morirà mai
Libri per bambini e non morirà mai - E 'stato davvero non molto tempo fa, i ragazzini si sedevano nelle aule, indossando uniformi, senza parlare, seduto dritto, i capelli tagliati, gli occhi spalancati e la mente su; la lettura di antichi libri di testo timorosi della occhio sempre vigile del loro oscuro signore tutore / insegnante / mentore. Per dire una parola fuori linea garantito abusi violenti e di essere in ritardo o non adeguatamente vestite comportato il ricovero in ospedale. L'idea di libri pageless era pura fantascienza.Per essere un autore è stato quello di annegare se stessi in whisky e sigarette più di un secondo macchina da scrivere mano guardando fuori attraverso una finestra fradicio di pioggia che contempla il più profondo abisso delle emozioni umane. E 'stato a perdere il sonno personaggi, lo scorrimento enciclopedia simile serie d'avventura'.Questi erano i giorni prima bambini potevano sfogliare on-line flip-libri sul proprio Android, mentre prendere il bus a scuola, prima di infilare due frasi intelligenti insieme su reddit si fatto un paroliere genio e prima di condividere storie potrebbe essere fatto con un semplice click.I bambini ancora bramano l'avventura, i bambini cercano ancora fantascienza, e il divertimento, la fantasia e la fuga da questo mondo, ma anche altri mezzi per ottenere tali contenuti sono emerse dal fango nello stesso modo in cui Dio creò Eva dalla costola di Adamo. piattaforme multimediali non cessano di espandersi, diventando sempre più piccolo, sempre più veloce e sempre più facile per noi Zona semplicemente fuori dalla realtà. È ora possibile anche leggere i flip-book per i bambini in linea.Tuttavia, un fenomeno peculiare è bollito alla superficie del superficiale futuro irragionevole chiamiamo presente. Libri, libri particolari per bambini, sono rimasti non solo il corso. Sono state nuotando attraverso l'era digitale, come se su una nuvola di immortalità, la tecnologia beffe con l'illustre silenzio di una mucca due volte al morso.Secondo varie fonti online, le vendite di romanzi di fantascienza copertura duri e molli stanno tenendo forte contro i loro omologhi elettronici. E mentre gli e-book sono notoriamente conosciuti per essere di più facile accesso e più economico, la maggioranza degli intervistati concorda sul fatto che la lettura della copia fisica reale di un libro è molto più piacevole.Ma perché? digitale ha raggiunto il suo massimo infiltrazione nella nostra vita? Le persone in ritirata dalla intrusione di e-spionaggio? O la gente semplicemente preferiscono la consistenza della carta e inchiostro? L'odore di nuove pagine? La bellezza di queste domande è che ogni persona risponderà in modo diverso.Ci sarà sempre un posto per i libri digitali, assumendo grandi piattaforme facili da usare, come iPad e Kindle. entreprenuers in erba possono anche fare soldi in tasca in più la vendita di altri autori di libri tramite reti di affiliazione, consentendo ai clienti di bypassare negozi reali.Tuttavia il posto migliore per un naso di essere (secondo i lettori più accaniti) sarà sempre essere sepolto tra le copertine di una pagina profumavano di fresco Turner di un racconto. Il prodotto è lo stesso, a prescindere se è stato acquistato in linea o da una libreria.La prova è nel pudding.La parte interessante di tutto questo hoo-ha e escursione è che i pezzi di classico della letteratura e finzione non si stanno perdendo, invece, conservati. Roald Dahl è ancora il re di raccontare strane meravigliosi e stravaganti avventure, nuovi arrivati ​​sulla scena, come J.K. Rowling sono ammassando i fan di tutto il mondo attraverso copie cartacee fisiche delle loro storie.Per quanto riguarda i giorni di scuole campo di concentramento, in cui l'istruzione è arrivato secondo alla disciplina, sarà l'opposto della nostra generazione pagare per la switcheroo della successiva ed ex in futuro? Questo è per la clessidra. Tutto ciò che dovrebbe essere importante è il sorriso su una faccia bambini, persi in avventura.
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tmnotizie · 7 years ago
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SAN BENEDETTO – Esce in questi giorni il libro d’esordio del giovane scrittore abruzzese Giustino Travaglini, dal titolo “9800 Km”, ambientato in Russia e con il titolo che si ispira alla lunghezza della ferrovia transiberiana che porta da Mosca a Vladivostok, importante città portuale russa situata sul Pacifico, nella baia di Zolotoj Rog vicino al confine con la Cina e la Corea del Nord.
La trama racconta la storia di Chris Kuznetsov, giovane miliardario russo nato negli Stati Uniti ed erede dell’impero Kuznetsov Oil&Gas, viene contattato dall’FSB, i servizi di sicurezza russi, affinchè si rechi in Qatar in seguito al blocco imposto al piccolo stato da parte degli altri paesi arabi. Il libro racconterà poi un’intricata vicenda dove non mancheranno fascinose agenti dei servizi russi e il ritorno di demoni del passato.
“Scorrevolezza della narrazione, semplicità del linguaggio ed accuratezza delle descrizioni vengono subito a galla. La trama non è mai scontata, piena di colpi di scena e il lettore non può mai dare nulla per scontato – così si sono espressi i critici sull’opera prima di Travaglini – I personaggi maschili e femminili sono sullo stesso piano. Anzi, sono quelli femminili ad avere le armi e ad usarle. Inoltre si indaga un  nuovo filone narrativo: lo spionaggio russo dalla parte dei buoni. C’è anche l’introduzione di personaggi di origine cinese, mentre il contesto storico e i luoghi narrati e descritti sono reali”.
Giustino Travaglini è nato a Casoli, piccolo borgo abruzzese in provincia di Chieti. «L’ispirazione mi è stata data da alcuni amici – dice – una sera mentre parlavamo al bar, nonché dalla mia passione per la Russia e la scoperta della mancanza di un filone narrativo, cioè spie russe protagoniste e positive nella letteratura occidentale. Il libro ha visto la luce in un periodo un po’ difficile per me in quanto avevo appena deciso di abbandonare l’università ed ero alla ricerca di un progetto da sviluppare. Posso dire che, in un certo qual modo, questo libro rappresenta per me una “start up” letteraria e lo vedrei benissimo in una trasposizione cinematografica. Mi piace essere creativo, stupire le persone con colpi ad effetto ed immaginare scenari improbabili agli altri. Odio invece la prevedibilità, la monotonia del quotidiano che si ripete giorno dopo giorno come il ciclo delle stagioni».
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pier-carlo-universe · 4 months ago
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Il Fattore Umano: Il Thriller Psicologico di Graham Greene tra Spie e Tradimenti. Recensione di Alessandria today
Una storia di suspense e introspezione: Maurice Castle, funzionario segreto, e il rischio di tradire o essere tradito.
Una storia di suspense e introspezione: Maurice Castle, funzionario segreto, e il rischio di tradire o essere tradito. Il Fattore Umano è uno dei grandi classici di Graham Greene, un romanzo che mescola abilmente i temi del tradimento, del dovere e della paranoia all’interno di una vita segnata dalla routine e dalla segretezza. Pubblicato per la prima volta nel 1978, è considerato uno dei suoi…
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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La Luce del Lago di Fabrizio Gentili: Un Thriller tra Segreti e Cospirazioni Globali. Recensione di Alessandria today
Fabrizio Gentili ci porta nel cuore di un'élite segreta con un romanzo carico di suspense, dove il destino dell'umanità è in gioco.
Fabrizio Gentili ci porta nel cuore di un’élite segreta con un romanzo carico di suspense, dove il destino dell’umanità è in gioco. La Luce del Lago, scritto da Fabrizio Gentili, è un romanzo che intreccia magistralmente elementi di spionaggio, romanticismo e suspense in un avvincente racconto di segreti e cospirazioni globali. Ambientato tra il suggestivo lago di Castel Gandolfo e i Castelli…
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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Il direttore di notte di John le Carré: un viaggio nel nuovo mondo dello spionaggio globale. Recensione di Alessandria today
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L’ex agente Pine affronta le nuove dinamiche del traffico d’armi e della droga in uno scenario post-guerra fredda Recensione: Il direttore di notte è uno dei romanzi più coinvolgenti e attuali di John le Carré, maestro del genere spionistico. Pubblicato per la prima volta nel 1993 e successivamente in edizione flessibile il 21 maggio 1996, questo libro rappresenta un punto di svolta nella…
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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Un letto di leoni - La corsa contro il tempo di Ken Follett. Tra l'Afghanistan e il cuore di un grande thriller: Ken Follett ci porta in un'avventura mozzafiato con "Un letto di leoni", un romanzo carico di tensione e adrenalina. Recensione di Alessandria today
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Ken Follett, uno dei più grandi maestri del thriller, ci regala un’avvincente avventura con “Un letto di leoni”, una storia che si svolge tra i paesaggi ostili dell’Afghanistan. Con una trama ricca di colpi di scena, il libro segue un gruppo di operativi britannici e americani impegnati in una pericolosa missione di salvataggio. Il protagonista, Jean-Pierre Debout, è un ex agente della CIA che…
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giancarlonicoli · 5 years ago
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24 giu 2020 12:30
DAGOSPIA, COME E PERCHÉ – INTERVISTA: ‘’IL SITO È UN “PENSIERO DEBOLE” PERCHÉ DISDEGNA QUALSIASI COMANDAMENTO IDEOLOGICO - PER QUALE MOTIVO LA GENTE DOVREBBE SCAPICOLLARSI ALL’EDICOLA E SBORSARE DUE EURO PER COMPRARE UN GIORNALE CHE GLI DICE, NERO SU BIANCO, CHE È UN COGLIONE POLITICAMENTE DIPLOMATO SE NON LEGGE LE PIPPE DI CAROFIGLIO, UNA TESTA DI CAZZO SE MANDI A QUEL PAESE IL MEE-TO DI ASIA ARGENTO, UN DECEREBRATO SENZA SPERANZA SE TROVA FABIO FAZIO UTILE PER CAMBIARE CANALE?’’
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Sebastiano Caputo - https://www.lintellettualedissidente.it/confessioni/roberto-dagostino/
Tutte le strade di Roma portano sul Lungotevere. E di notte, in una città che si tinge di giallo ocra (e guai se il comune sostituisce quei lampioni antiquati con le luci a led, manco fossimo a Time Square) le palme fosforescenti della casa museo di Roberto D’Agostino ormai sono diventate parte integrante del paesaggio urbano.
Un nuovo, e unico, esemplare di pianta, patrimonio dell’urbe, puttana e santa. Quello non è soltanto un terrazzo di un edificio qualsiasi, bensì trasposizione cinematografica del barad-dûr di Tolkien, una sorta di torre nemmeno troppo oscura, di controllo, di comando, di spionaggio e contro-spionaggio. Lì nasce Dagospia, quella è la sua inespugnabile fortezza. Ormai da 20 anni.
 dago con la redazione (giorgio rutelli francesco persili federica macagnone riccardo panzetta alessandro berrettoni)
Un caravanserraglio collocato sulla riva sinistra del fiume dove si incrociano persone, circolano informazioni, si parla del più e del meno, e ogni tanto, nemmeno troppo raramente, escono fuori grandi retroscena.
Dagospia non è una preghiera laica del mattino, ma un manuale romanzato di guerriglia per chi vuole imparare a muovere i passi tra i luoghi della mondanità (anche se “non ce so’ più le feste de ‘na volta” come disse al Bestiario il mitico Luciano Bacco) e i palazzi del potere, quelli veri.
Molti, per anni, hanno considerato i contenuti pubblicati su un sito apparentemente trash (ma non kitsch bensì camp) “stupidi pettegolezzi”, ignari della filosofia profonda di questo girone dantesco di articoli e racconti fotografici in cui esistono tantissimi e psichedelici livelli di lettura che molte volte si sovrappongono fino a svelare storie di letto, di potere, o tutte e due insieme. In barba a qualsiasi “classifica di segretezza”.
Su Dagospia, niente è segreto, segretissimo, riservatissimo, riservato. E se Filippo Ceccarelli ci ha scritto un libro, raccontando la storia d’Italia  attraverso il sesso, nella sua dimensione pubblica e privata, da Mussolini a Vallettopoli bis, Roberto D’Agostino invece ci ha fatto un sito internet, con milioni di visitatori al giorno, e la capacità incredibile di coniare neologismi e nomignoli per tutti i suoi protagonisti, dai più ai meno noti.
È un arte tutta italiana, ormai dimenticata dai super mega direttori, quella di riuscire a inventare parole, definizioni, espressioni, e che oggi, morti Gianni Brera e Tommaso Labranca, eredi dei Longanesi, dei Maccari e dei Papini, non si vede quasi più.
Chi è, chi non è, chi si crede di essere Roberto D’Agostino. Definirlo ribelle o incarnazione dello spirito decadente del nostro tempo è profondamente sbagliato, “Rda” non è altro che un artista che oltre ad essersi inventato un genere giornalistico-letterario, è riuscito a fabbricare uno star system italiano composto da intellettuali, soubrette, personaggi dello spettacolo affermati, emergenti o tramontati, finanzieri, politici di ogni Repubblica, e a dissacrarlo a suo piacimento.
“Avendo io vissuto quel periodo negli anni Sessanta mi sono ritrovato in questa filosofia della Silicon Valley”, ci confessa al telefono. Dagospia infatti è un social network –“de noantri”, nella sua accezione positiva e italianissima – della mondanità in cui invece di raccogliere dati, raccoglie i segreti, svelati per narcisismo, vanità o protagonismo dai suoi stessi protagonisti, “morti di fama” li chiama, anche a costo di farsi tenere sotto ricatto per sempre.
Del resto era l’Italia quel Paese dove non potrà mai esserci nessuna rivoluzione perché gira e rigira ci si conosce tutti. Chissà allora se in quel “tempio della magnificenza e della decadenza del mondo occidentale” (Massimiliano Parente) non si nascondano cellule dormienti. Solo i ferventi professanti della “taqiyya” potranno salvarci. Se non sarà quello stesso tempio di “mezzi divi” e starlette a dissimulare loro.
Sono passati vent’anni, non pochi. Quando hai capito di aver fatto il botto?
Il botto con Dagospia non si può fare perché non è in formato analogico. Nel digitale non abbassiamo quasi mai la saracinesca, è un flusso continuo. I click sono tanti, ma la verità è che il mondo di carta è un mondo lontano e contrario al nostro. Dagospia è un “pensiero debole”, una tavola da surf che cavalca le onde in tempo reale della realtà.
Non diciamo al lettore come deve vivere, pensare, votare. Col mondo digitale, quello che era considerato il popolo bue, una volta che ha preso in mano il mouse è diventato un popolo toro.
E quindi tu non hai mai pensato a un supporto cartaceo in questi 20 anni?
In vent’anni non ho mai scritto un editoriale, perché è proprio il contrario della filosofia del web. Che ha origine dall’hippismo californiano, teorizzato da Stewart Brand, padre spirituale della controcultura degli anni ’70 (a cui Steve Jobs rubò la frase “Stay hungry, stay foolish”), che teorizzò la rivoluzione digitale con un testo che aveva per titolo un videogioco, “Spacewars”, che metteva il dito nel nuovo orizzonte mentale da cui tutto proviene.
Il vero atto geniale fu di trasformare il computer, fino allora in dotazione solo all’esercito e alle grandi aziende, in uno strumento personale, individuale, da mettere sulla tua scrivania. A Brand si deve anche la geniale espressione ‘’personal computer’’: “Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo”.
Il segreto del successo della rivoluzione del Web è l’interattività: mentre la letteratura isola, la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, la rivoluzione digitale, al pari dei videogiochi, include. Dalla platea al palcoscenico. Non siamo più semplici spettatori ma protagonisti.
Con i social, il narcisismo ognuno di noi ha trovato la maniera di dire quello che gli frullava nella testa. Ovviamente, le polemiche quali sono state? Fake news, leoni da tastiera, volgarità a gogò… ma siamo 7 miliardi e 700 milioni di abitanti, di cui 3 milioni e mezzo sono connessi. Ora, su questi numeri, è ovvio che devi prevedere una quantità di idioti, di cretini, di maleducati. Del resto, l’essere umano non è mai stato perfetto…
Quando Umberto Eco disse che Internet dà la facoltà a qualsiasi imbecille di dire la sua stronzata, io gli risposi: “Scusi, esimio professore, quando Lei è in aula al DAMS di Bologna, i suoi studenti hanno tutti la stessa capacità? Hanno tutti la stessa qualità? Hanno tutti la stessa educazione e cultura?”.
�� chiaro che gran parte di queste polemiche sono un gigantesco rosicamento con versamento di bile che ha avuto il mondo analogico della carta stampata. Prima, imperanti le ideologie, ogni mattina l’editoriale dava la linea al popolo-bue, alle 20 poi toccava al telegiornale condizionare il consenso dei cittadini.
Poi, con Internet, nulla è stato come prima: nessuno sta più alle 8 di sera ad aspettare il bollettino di Saxa Rubra, nessuno sta più ad aspettare che la mattina si apra un’edicola per avere notizie. Oggi hai in tasca un computer chiamato smartphone. E tutto questo ha spazzato il loro potere.
È quella famosa battaglia, duello, sfida, tra popolo “armato” di connessione ed élite appesa alla biblioteca. E costantemente dobbiamo leggere articoli di tipini col ditino alzato che sentenziano che siamo trash e cafoni, ignoranti e teste di cazzo se ci sollazziamo con Maria De Filippi anziché con Corrado Augias.
E nessuno di tali sapientoni si chiede per quale motivo la gente dovrebbe scapicollarsi all’edicola e sborsare due euro per comprare un giornale che gli dice, nero su bianco, che è un coglione politicamente diplomato se non legge Carofiglio, una testa di cazzo se mandi a quel paese il Mee-to di Asia Argento, un decerebrato senza speranza se trovi Fabio Fazio utile per cambiare canale.
Con il sito, dato che non sto scrivendo i dieci comandamenti, considerando la verità solo un punto di vista, tra un dagoreport e un cafonal, scodello una selezione di notizie che credo che  valga la pena di leggere presa dai giornali.
Poi sarà il lettore a farsi un’idea di dove siamo finiti e a farsi il proprio editoriale. Io non voglio dare nessuna indicazione, io sto qui a prospettare quello che è lo spirito del tempo. Il principio culturale che ho sempre avuto nel mio lavoro è questo: ognuno vede quello che sa.
Dato che, come dicevano i pizzicaroli e i baristi, “il cliente ha sempre ragione”, ho fatto anche una mossa anti Dagospia: ho tolto il sommario, lasciando l’occhiello e ampliando il titolo. Perché, sparando oltre 100 pezzi ogni giorno, molti lettori non hanno il tempo per poter leggere tutti gli articoli. In modo tale che leggendo solamente i titoloni, possa farsi un’idea di ciò che sta succedendo intorno a lui.
Dagospia è un unicum del giornalismo mondiale anche perché è profondamente italiano. Però volevo sapere se vent’anni fa, quando ti è venuta l’idea, ti sei ispirato ad un progetto preesistente.
Avevo un amico che mi ha introdotto in questo mondo, che aveva vissuto come me gli anni del Flower Power, del Peace & Love, delle canne e degli acidi. Perché siamo arrivati alla rivoluzione digitale grazie agli hippies, ai freaks, ai beatnick della California degli Anni 70. Che avevano un proposito ben chiaro, prendere le distanze dal sistema, dall’American Dream, dal maledetto Secolo Breve delle guerre mondiali e dell’Atomica.
E lo hanno fatto. Ma senza appoggiarsi all’ideologia, alla politica politicante, come in Europa. Dove l’obiettivo finale è abbattere il Palazzo, la rivoluzione, il sole dell’avvenire, etc. No, come Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, Ken Kesey, l’hippismo aveva messo radici profonde nel buddismo del vicino oriente.
E fra Zen e Budda, il freak aveva capito che l’energia dell’essere umano, non essendo illimitata, non andava sprecata in modalità distruttiva ma creativa. Anziché assediare la Casa Bianca, intrupparsi in qualche partito da combattimento, o mettersi in fila per un posto all’IBM, mejo rinchiudersi in un garage e inventarsi con quattro pezzi di metallo un computer, come appunto fece Steve Jobs.
Non a caso nessuno degli attuali padroni del mondo, da Bezos a Zuckerberg, da Jobs al duo di Google fino a Bill Gates, ha conseguito una laurea a Stanford o ad Harvard. Non a caso nei social c’è un termine fondamentale per la sottocultura hippie: comunity. Non a caso Facebook segue i vecchi dettami del Peace & Love e ha solo il “mi piace”.
La scelta di stare fuori dal sistema è stata fatta con determinazione e spirito pratico, magari senza avere un’idea precisa di quello che sarebbe poi avvenuto. Da una parte. Dall’altra il Sistema, il Potere era ben felice e tranquillo, visto le insurrezioni e il terrorismo che stava sconvolgendo l’Europa.
Il Sistema americano era ben felice che le comunità freak e hippie, anziché gettare molotov e ammazzare la gente per strada, si trastullassero inventando videogiochi e computer, senza dar fastidio al manovratore, fuori da ogni contestazione politica. Una miopia che poi hanno pagato in termini pesantissimi: Microsoft si è mangiata l’IBM, Netflix ha oscurato Hollywood, Amazon dove va non fa prigionieri, Spotify ha conquistato l’industria musicale.
Avete mai letto dichiarazioni politiche dei vari pionieri del web Gates, Bezos, Jobs? No, perché sprecare energia e retorica contro il vecchio mondo? Più facile creare un Nuovo Mondo. Anzi, un mondo parallelo partendo da Space Invaders che ha portato via il calciobalilla dai bar e che per la prima volta ci ha fatto interagire con uno schermo. E dopo venti anni Jobs presenterà il primo modello di Iphone (9 gennaio 2007, San Francisco).
Quello che Jobs e compagni avevano capito è questo: se tu vuoi cambiare la testa di una persona non riuscirai mai a farlo con le parole. Se tu vuoi cambiare una persona gli devi dare in mano uno strumento, un utensile, un oggetto. L’essere umano nel corso della sua millenaria vita non è cambiato per una ideologia, per una religione, per un partito, per il comunismo, per il liberalismo, per il femminismo. L’uomo nel corso del tempo è cambiato perché un giorno ha scoperto il fuoco, il coltello, la ruota, il fucile, il treno a vapore, la lampadina, la pillola anticoncezionale, il telefonino, etc.. Sono gli oggetti che cambiano il mondo, non le ideologie.
Si è molto americana come cosa, tutta l’ideologia della prassi, della realtà…
Ma la stessa cosa che successe quando arrivò il Rinascimento. Che noi italiani lo identifichiamo con i capolavori di Michelangelo, Leonardo, Caravaggio. Invece il grande passaggio dal Medioevo al Rinascimento è soprattutto merito dell’invenzione dei caratteri mobili di stampa ad opera di un tipografo tedesco di nome Gutenberg. Strumento che permetteva il passaggio della conoscenza dalla élite di papi, principi e monaci alle nuove classi emergenti.
Mentre lasciava sul campo, stecchita, buona parte della cultura orale (ai tempi dominatrice indiscussa di un mondo di analfabeti), apriva orizzonti sconfinati al pensiero umano, alla sua libertà e alla sua forza. Di fatto scardinava un privilegio che per secoli aveva inchiodato la diffusione delle idee e delle informazioni al controllo dei potenti di turno.
Per far circolare le proprie idee non era più necessario disporre di una rete di monaci amanuensi. Una smagliante accelerazione tecnologica che ha terremotato la postura mentale degli umani, dando vita al Rinascimento, alla modernità, all’Illuminismo.
Io credo che quello a cui noi stiamo assistendo con la rivoluzione digitale sia un procedimento tutto sommato simile, anche se in scala enormemente più vasta, al Rinascimento.
In tutto il mondo, dal deserto del Sahara sotto le tende dei beduini ai villaggi del Bangladesh o in un’isola sperduta della Polinesia, chiunque con una connessione e un computer può accedere alla biblioteca di Babele, alla biblioteca totale. C’è la totale disponibilità della cultura, dei libri, della lettura a tutti. Questo non può non produrre che un Rinascimento Digitale, una mutazione che noi adesso non possiamo neanche immaginare.
Vista questa consapevolezza della rivoluzione digitale in cui siamo, ti manca lavorare in TV?
La TV l’ho fatta per tantissimi anni, in Rai. Ho cominciato nel ’76 mettendo le musiche per “Odeon”, poi ho partecipato alla scrittura del varietà di Rai1 ‘’Sotto le Stelle’’, poi “Mister Fantasy” come autore, però in video ci sono andato solamente con Arbore a ‘’Quelli della notte’’, nel 1985, ma sempre come partecipante.
Poi due anni di ‘’Domenica in’’ con Boncompagni. Non ho mai avuto nessuna intenzione di fare un programma televisivo, perché implica un lavoro collettivo: non è che vai lì e quello che fai tu è quello che poi alla fine la gente vede, ed è un aspetto che non mi è mai piaciuto.
Quindi ho sempre preferito il ruolo di ospite. A un certo punto hanno detto: «Ah è facile stare sul divano a fare il criticone». E allora ho realizzato un programma solo per soddisfazione personale, per far vedere cosa può essere la televisione contemporanea.
Ed ecco 30 puntate di ‘’Dago in the Sky’’. La TV di oggi è radiofonica, si chiacchiera da un talk all’altro; io posso seguire la Gruber o Vespa anche lavorando, non c’è quasi mai bisogno di alzare gli occhi. La televisione è immagine in movimento e oggi la fanno Netflix, Amazon Prime…
Dagospia chiaramente ha uno dei punti di forza nel fare leva sull’ego delle persone. Tu ti aspettavi un’élite italiana, cultural-mondana e intellettuale, così vanitosa come l’hai scoperta in questi vent’anni di Dagospia?
Hanno ripubblicato da poco un formidabile libro degli anni Ottanta, si intitola ‘’La cultura del narcisismo’’ ed è stato scritto dal sociologo Christopher Lasch. Se lo riprendi in mano già si intravede, a partire da quel decennio, il protagonismo della gente, insieme all’idea che la politica sarebbe poi diventata solo una questione di leadership.
Lo abbiamo visto con Silvio Berlusconi. Prima c’era il partito, poi il segretario, alla fine è emerso il leader. Oggi la politica è dei leader, o emerge il leader oppure il partito non esiste. Quindi la cultura del narcisismo nasce in quegli anni Ottanta, l’epoca dell’edonismo reaganiano, del godimento di breve durata. Stasera è l’ultima sera.
Il narcisismo e l’effervescenza culturale degli anni Ottanta nel mondo è stata raccontato in maniera mirabile, mentre in Italia a causa della presenza di politici come Craxi e De Michelis, è stato schiantati dalla sinistra come gli “anni peggiori”. Ma, al di là di Chiasso, Ottanta vuol dire postmoderno nell’architettura, transavanguardia nell’arte, il successo letterario de “Il nome della rosa”, il trionfo del made in Italy nella moda, etc.
Gli anni Ottanta sono anche quelli della caduta del muro di Berlino. E la cosa fantastica è che nel 1989 mentre si sbriciola la Cortina di Ferro, un grande informatico britannico come Tim Berners Lee, a Ginevra, inventa la Rete, il web, la e-mail. Un passaggio di consegne fra due epoche E la Rete non ha ideologia. Internet è amato e desiderato in tutto il mondo, non c’è un Paese che detesti internet, anche i regimi più autoritari ne hanno bisogno.
Con Dagospia ti sei fatto più amici o più nemici in questi anni?
Abbiamo tanti conoscenti, ma pochi amici. Saranno, quando va bene, tre o quattro che senti tutti i giorni, a cui confidi i tuoi problemi, i tuoi disagi, mentre gli altri, i conoscenti, li incontri, ci parli, ci bevi un drink, e basta. L’amicizia è tutta un’altra cosa. Il fatto che poi tanti mi abbiano querelato, o insultato, fa parte delle regole del gioco.
Lo Star System italiano che avete raccontato in questi anni su Dagospia esiste oppure ve lo siete inventato?
E’ da un pezzo che lo Star System è senza star, sostituite ormai dal narcisismo social che ha prodotto le micro-celebrità. Poi con questa maledetta quarantena è emerso che la celebrità, la popolarità, ha senso solo nelle momenti di benessere collettivo. Quando i tempi sono bui i post e i video su Instagram dei cosiddetti famosi fanno cagare.
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pangeanews · 5 years ago
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“Quasi ci fosse del merito a morire”. Charles Dickens, ovvero: sul potere della tradizione. (In UK esce l’ennesima biografia: meglio leggere i giudizi di Larkin e Greene)
Il soggetto è drammatico già di suo: un uomo, Charles Dickens, di razza bianca inglese, che a 23 anni ha la forza di comporre Pickwick e che è già sposato e ha scontato da ragazzino i lavori forzati non per colpa sua, ma per una condanna inflitta al padre latitante. Il mondo inglese dove nasce Dickens, dopo Waterloo, è stremato: cosa che i giornalisti inglesi oggi stentano a riconoscere. È la famosa ipocrisia, una forma sottile di menzogna che consente anche e soprattutto di mentire a se stessi. Di qui il successo e il plauso di cui godono gli argomenti di spionaggio nella loro letteratura, pane quotidiano dell’informazione.
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Dickens fa la galera da ragazzino, incomincia a scrivere in modo torrenziale dopo le prime prove di Nicholas Nickleby e poi ingrana in modo originale a 23 anni con Pickwick. Quando avevo io 23 anni nelle vie parallele intorno la stazione di Porta Nuova, una passeggiata kafkiana di pomeriggio ad agosto mi faceva sentire una carogna fradicia perché accumulavo vita e orrore senza riuscire a far nulla che fosse all’altezza di Pickwick: né, va da sé, riuscivo a leggerlo.
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Gli inglesi risarciscono i loro debiti di maltrattamenti sociali scrivendo, ogni anno che dio manda in terra, una biografia di Dickens. L’ultima è una buona narrative, una grande storia composta con l’ausilio di fonti secondarie. Il giornalista del progressista Guardian che ne ha dato notizia pochi giorni fa, ha rimarcato questo fatto snocciolando le considerazioni di Larkin su Dickens. Traduco qui: “Dimmi, cara Monica, dimmi tutto quel che vuoi su Dickens perché ci diverte, ma non lo possiamo considerare per nulla come uno scrittore. Il suo è un melodramma lurido, ostentato e illuminato a gas – melodramma da fienile con ampio spazio per i suoi villici. Ma comunque rileggendo Grandi speranze me la sono goduta e continuerò a leggere le altre cose sue”.
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Parentesi. Che bello sarebbe se anche noi avessimo uno scrittore stagionato da più di un secolo al quale fare continuo riferimento, che figata sarebbe poter elencare come amici i suoi personaggi in un articolo di giornale come fanno gli inglesi quando parlano degli zii e dei cattivoni nei romanzi di Dickens… Questa si chiama tradizione. Una cosa che consente di passare con disinvoltura dall’Otto al Novecento e di saltare, come si fa su Guardian, da Dickens a Larkin in men che non si dica. Anche perché ora c’è una Larkin Renaissance e verranno fuori le lettere di Monica a Larkin. Quelle del poeta sono già pubbliche: salienti, ad alta gradazione. Ne riparleremo: intanto beccatevi questa considerazione che faceva su Yeats, ne parla come di un amore da ventenne, da sala comune in college, una mascotte: “Yeats era solo una cosa ovvia, eccoti accontentata. Avevo un grande amore per lui tra i 21 e i 22 anni che da allora è considerevolmente svanito. Ora non riesco a sopportare l’atmosfera fervente e irreale di tutti quei suoi modi, le sue storie da vecchio saggio, la sua arroganza – è la vera e propria antitesi di Lawrence & Hardy. Comunque, sa scrivere.” (10 ottobre 1950).
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Questa battuta su Larkin era d’obbligo per capire il senso di un articolo che per parlare di Dickens parte da altre citazioni. E Dickens? L’articolo racconta cose note e tuttavia affascinanti: dopo 22 anni di matrimonio, arrivato al decimo figlio, Dickens mette un punto fermo alla relazione, porta in scena un’opera teatrale e cade innamorato della sua primattrice diciottenne. Per lei arriverà a divorziare. Come direbbero oggi, senza pagare gli alimenti alla prima moglie.
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Cose note. Il biografo ci marcia sopra e stampa un libro da 18 sterline. Il giornalista si sdilinquisce: “Quando Dickens ci restituisce il terrore abietto e senza speranze della sua gioventù, con quella lieve risata, è un romanziere ipocrita che s’inganna ma ci fa una gentilezza senza paragoni”. E ci informa sull’ultimo meeting con l’attrice che fa venire il crepacuore a Dicken. La cosa non è impossibile, Dickens morì a soli 58 anni. Ma su quella morte favoleggiano tutti: Fruttero & Lucentini composero un giallo dove l’assassino risultava essere l’amico-rivale Wilkie Collins, in veste di avvelenatore. Per dire…
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Tutti s’imbambolano con la fama a chiaroscuro di Dickens anche perché il suo ultimo romanzo, Il mistero di Edwin Drood, è incompiuto: di qui il fiorire di biografie come quella discussa oggi, Il mistero di Charles Dickens. È l’ennesima conferma che un’epoca incapace di produrre grandi uomini e grande scrittura può solo rimuginare gli aneddoti e i divorzi dei giganti che l’hanno preceduta.
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Ora, a costo di farmi fucilare dal direttore nominando ancora una volta Graham Greene, concedo a lui l’ultima parola su Dickens: “Un critico deve evitare di finir prigioniero del proprio tempo e se vogliamo apprezzare un libro di Dickens dobbiamo dimenticare la lunga fila di libri sullo scaffale, tutti intesi a soffocare la grandezza dello scrittore con gli scandali e le controversie della sua vita privata (…) Non so se quando Dickens aveva 24 anni, alla vigilia di Pickwick, ed era autore di sketch giornalistici e operette comiche, ci sarebbe stato un avventuriero, un Cortez letterario in grado di mettersi sugli scaffali uno dei suoi libri. Poi improvvisamente la popolarità e la fama. La fama è come una mano morta che si appoggia sulla spalla dello scrittore, ed è bene per lui che ci si appoggi più tardi possibile nella sua vita. Quanti al posto di Dickens avrebbero sopportato quel che James ha chiamato ‘il grande contatto corruttore col pubblico’, la popolarità fondata, come sempre accade, sulla debolezza e non sulla forza di un autore?”.
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E ancora: “Il giovane Dickens a 25 anni aveva toccato una mina che gli pagò un terribile dividendo. Oliver Twist si rivelò un libro senza forma precisa e per questo ebbe successo, con quei passaggi in prosa che influenzarono Proust dove c’è solo una mente che parla a se stessa. Il suo mondo era senza Dio; al posto del potere e la gloria dell’onnipotente e onnisciente, solo pochi riferimenti a paradiso, angeli, dolci visi di defunti e, come dice Oliver, ‘Il paradiso è davvero distante e lassù sono troppo felici per scendere qui sotto a fianco del letto di un povero ragazzo’. In questo mondo manicheo possiamo credere nell’opera del maligno, mentre il bene appassisce in filantropia, gentilezza e in quel vago languore dove precipitano così frequentemente le giovani donne di Dickens – il bene agli occhi dello scrittore assomiglia a un lasciapassare per la virtù, quasi ci fosse del merito a morire”. Così Greene nel 1950, Young Dickens. Un testo sempreverde, e forse siamo noi i morti che camminano e sparlano di uno scrittore e della sua attrice. (Andrea Bianchi)
  L'articolo “Quasi ci fosse del merito a morire”. Charles Dickens, ovvero: sul potere della tradizione. (In UK esce l’ennesima biografia: meglio leggere i giudizi di Larkin e Greene) proviene da Pangea.
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