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Van Gogh, l’uomo: un viaggio nella vita di Vincent attraverso le sue lettere. Silvana Ramazzotto Moro esplora l'uomo dietro il genio in un'opera unica
Un ritratto umano di Vincent Van Gogh. Con il libro “Van Gogh, l’uomo”, edito da Guido Miano Editore nel dicembre 2024, Silvana Ramazzotto Moro offre un contributo prezioso alla comprensione dell’uomo dietro il celebre pittore.
Un ritratto umano di Vincent Van Gogh. Con il libro “Van Gogh, l’uomo”, edito da Guido Miano Editore nel dicembre 2024, Silvana Ramazzotto Moro offre un contributo prezioso alla comprensione dell’uomo dietro il celebre pittore. L’autrice, appassionata di filosofia, letteratura e arte, si immerge nelle lettere di Van Gogh per restituire al lettore una visione autentica e priva di…
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“ Mettiamo per ipotesi che volessimo ripercorrere la storia di un uomo terribile come Adolf Hitler. La raccontiamo dall’adolescenza alla presa del potere? Dalla presa del potere alla disfatta? Scegliamo solo un episodio significativo? Narriamo tutta la sua vicenda dagli inizi alla morte? Il problema più importante è decidere se il dittatore sarà il protagonista assoluto: sarà «visto» da un altro (o altri) oppure sarà raccontato oggettivamente? Nel primo caso verrà fuori un personaggio «filtrato» attraverso una precisa (e quindi parziale) esperienza; nel secondo egli risulterà così come realmente è stato, nella sua verità storica. Esaminiamo adesso questa seconda eventualità. Al di là della «autenticità» dei fatti che racconteremo, da un punto di vista strettamente narrativo siamo costretti a sciogliere un nodo molto difficile: riusciremo a rappresentare bene un personaggio così «negativo»? O meglio: riusciremo a renderlo in tutta la sua negatività? Nella nostra testa egli è la quintessenza della malvagità e del cinismo, ma poi, passando alla scrittura riusciremo a «restituirlo» così come lo immaginiamo? Sicuramente no, a meno di non renderlo «incredibile», falso, forzato. Non ci riusciremo perché nel momento in cui dobbiamo approfondire il personaggio - anche per cercare le ragioni più o meno oscure della sua violenza - finiamo fatalmente per trovargli una, seppur aberrante, giustificazione. E senza volerlo, faremo di Hitler un eroe, un sublime dannato, grande come un demone dell’apocalisse, una vittima di sé stesso, carismatico com’è carismatico il male.
Penso, ad esempio, al Riccardo III di Shakespeare, allo spietato duca di Gloucester, il quale riesce a salire sul trono d’Inghilterra dopo aver fatto assassinare mezza corte reale. La sete di potere acceca quest’uomo infelice (è nato storpio e claudicante) e quando alla fine il conte di Richmond giungerà a liberare il paese dall’usurpatore, questi, nel momento di morire, acquisterà la sua dimensione tragica ed eroica. Riccardo è un uomo reso cinico dalla natura, un «mostro» suo malgrado. La sua malvagità è in qualche modo legittimata dalla sua infelicità. Come potremmo noi, oggi, senza falsare smaccatamente la storia, trovare la spiegazione delle atrocità naziste nella contorta personalità di Hitler? Ogni tentativo di collegamento tra il carattere del dittatore e gli avvenimenti della storia è destinato al ridicolo.
Uno scrittore (di letteratura, di cinema, di teatro eccetera) non può fare a meno di andare nel fondo dei personaggi, di pescare nelle loro contraddizioni, nella loro essenza segreta. Là dentro si muovono forze creaturali capaci di rendere un uomo libero o schiavo di sé stesso. Ma in tutti e due i casi egli è innocente. Come può uno scrittore lavorare con un personaggio senza un briciolo di luce? Un Hitler tutto nero, insensatamente malvagio, rischia di diventare una caricatura, un burattino, la maschera del cattivo: niente di più schematico. Julien Sorel (protagonista di Il rosso e il nero), personaggio arrivista e assassino, è amato da Stendhal malgrado sia «negativo»: lo scrittore ne descrive con pietas il desiderio frustrato di adeguarsi alla morale della Restaurazione francese. Se volessimo dunque raccontare la malvagità di Hitler, sia come uomo sia come dittatore, senza «salvarlo» in qualche modo, saremmo costretti a farne un ritratto bugiardo. Quindi è meglio trovare un’altra strada, una maniera «trasversale» di raccontare il personaggio. Magari, come avevo accennato, cercando un altro protagonista e lasciare che sia lui a far da intermediario. “
Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Garzanti, 2002; pp. 28-30.
[1ª edizione: Einaudi, 1996]
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Ephimera Dialoghi sulla moda
a cura di Sofia Gnoli
testi di Antonio Mancinelli, Maria Luisa Frisa, Alessandro Michele, Anna Piaggi, Luca Stoppini, Mariuccia Casadio, Quirino Conti, Bonizza Giordani Aragno, Maria Grazia Chiuri, Giuseppe Scaraffia, Gabriella Pescucci, Valeria Palermi, Daniela Baroncini, Silvia Venturini Fendi, Andrea Mecacci
Electa, Milano 2020, 115 pagine, 16x24cm, brossura con alette, ISBN 9788892820319
euro 29,00
email if you want to buy [email protected]
La moda nelle sue innumerevoli sfaccettature è la protagonista Ephimera, un volume nato dal ciclo di conversazioni che si è tenuto al Parco archeologico del Colosseo, nella Curia Iulia, cuore della civiltà romana, tra il 2019 e il 2020.
Fugace, velocissima, radicata nel presente, la moda sta sempre sul punto di diventare qualcos’altro, di cambiare pelle. È proprio per questo che la curatrice Sofia Gnoli ha scelto Ephimera – da epi “sopra” che messo insieme ad emera “giorno”, significa di un sol giorno – come titolo di questi dialoghi. Il risultato è un libro che esplora la moda da una molteplicità di punti di vista: moda come linguaggio di segni, come espressione artistica, senza trascurare argomenti classici quali l’androginia o il dandysmo e il suo legame con il cinema e con la letteratura, con la fotografia e con il kitsch.
Il continuo scambio tra presente e passato, così come la natura polimorfica di questa disciplina si riflettono anche sulla diversa formazione dei partecipanti di Ephimera, nonché autori del volume: direttori creativi, artisti, saggisti, studiosi e giornalisti, hanno approfondito, attraverso la loro personale visione, un aspetto della contemporaneità. Attraverso tutti questi racconti, Ephimera traccia un quadro della moda con le sue mutevolezze, le sue imprevedibilità e le sue compulsive morti e rinascite. Così, tra presente e passato, tra effimero ed eternità, la moda non smette di incantare.
EPHIMERA SOFIA GNOLI L’AVVENIRE È LA PORTA, IL PASSATO È LA CHIAVE ANTONIO MANCINELLI E SILVIA VENTURINI FENDI ALESSANDRO MICHELE: ARCHEOLOGO DELLE COSE A VENIRE MARIA LUISA FRISA E ALESSANDRO MICHELE MODA: STRUMENTO DI CONSAPEVOLEZZA, ARTE DEL POSSIBILE VALERIA PALERMI E MARIA GRAZIA CHIURI LE D.P. “DOPPIE PAGINE” DI ANNA PIAGGI LUCA STOPPINI ANNA PIAGGI “PRIVATE” PAOLO CASTALDI FENOMENOLOGIA DEL DANDY GIUSEPPE SCARAFFIA IL DANDISMO DI LUIGI ONTANI MARIUCCIA CASADIO L’INDISTINTA SESSUALITÀ DELLA MODA QUIRINO CONTI OSCAR AI COSTUMI GABRIELLA PESCUCCI IL GUARDAROBA DELL’EROS: LETTERATURA, MODA E EDUZIONE DANIELA BARONCINI SGUARDI ITALIANI: LA FOTOGRAFIA DI MODA IN ITALIA BONIZZA GIORDANI ARAGNO CONSIDERAZIONI SUL KITSCH ANDREA MECACCI
23/05/24
#Ephimera#Sofia Gnoli#Anna Piaggi#Luca Stoppini#Maria Luisa Frisa#Bonizza Giordani Aragno#Quirino Conti#fashion books#fashionbooksmilano
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ANATOMIA DI UNA CADUTA
Preambolo: non amo particolarmente il cinema di parola, piuttosto preferisco il teatro dove la parola riveste un altro ruolo, oppure la letteratura dove la parola, con la sua infinita combinatoria, risulta essere l'essenza stessa della sostanza artistica. Il cinema racconta eminentemente per immagini e, ove queste siano sacrificate massicciamente a favore dei dialoghi sembra, a mio parere, tradire la sua stessa essenza. Ma naturalmente, ogni regola ha la sua eccezione: è il caso, per esempio del cinema di Rohmer o di Resnais, ma anche di tanti altri registi francesi e non solo. Forse non è un caso che Justine Triet, regista di "Anatomia di una caduta", in questi giorni nelle sale, sia una giovane regista e sceneggiatrice francese (è nata nel 1978), con alle spalle una discreta carriera tutta centrata su un cinema di forte impegno sociale. "Anatomia di una caduta" ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes lo scorso anno e così, con non eccessiva convinzione, ho pensato valesse la pena vederlo. La vicenda è quella della scrittrice tedesca Sandra Voyter che dopo un'intervista concessa ad una giovane giornalista, viene coinvolta nella straziante morte del compagno, anche lui scrittore, Samuel Maleski caduto o gettato da una mansarda, nella loro casa di montagna, sulla neve ghiacciata. Nella casa, insieme a Sandra e a Samuel, vivono il piccolo Daniel, figlio della coppia, bambino ipovedente a seguito di un incidente, e il loro cane. Sospettata di essere la potenziale omicida, il film si svolge tutto attorno alla figura di Sandra e procede come un tipico "courtrooom drama" con tutte le limitazioni del caso (scenografia inesistente, riprese in interni piuttosto monotone, ecc.). Tuttavia senza anticipare nulla ai miei lettori, circa il finale del film, il meccanismo dello svolgersi degli avvenimenti è oliato alla perfezione: i dialoghi sono serrati e incalzanti, i tratti psicologici dei personaggi sono di assoluto realismo, le implicazioni psicologiche del dramma sono fondate e plausibili e poi ancora il ritmo narrativo del film è calibratissimo, le riprese volutamente claustrofobiche non concedono nulla allo spettacolo, la recitazione degli attori, specie quella di Sandra Hüller (Sandra Voyter) e di Milo Machado Graner (il piccolo Daniel), è semplicemente superlativa e bravissimo anche il di lei avvocato Vincent Renzi, con quella espressione tipica da parigino bene, interpretato da Swann Arlaud. Insomma, forse un film più da “ascoltare “che da “vedere”, ma che riesce a far scorrere velocemente le due ore e mezza di proiezione.

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Azar Nafisi pubblicò quello che nel 2010 considerai il mio libro preferito, una definizione forse sommaria e superficiale per chi si è sempre definita lettrice compulsiva. Eppure fu così. Ricordo di me seduta su un prato, immersa nella lettura di quell’Adelphi dalla copertina per niente affascinante, che, però, mi rapiva pagina dopo pagina. Mi trasportava in un mondo culturalmente lontano e, mentre parlava dei libri che avevo amato all’università, mi raccontava anche di un paese che sognavo di visitare per la sua bellezza artistica e il suo fascino culturale: l’Iran.
Era il 2010, ero una ragazza piena di sogni e di aspettative. Quel libro rappresentava per me l’emblema dei miei studi, la più alta espressione di tutto ciò che avevo approfondito negli ultimi dieci anni: la letteratura, in particolare quella inglese, la cultura dei paesi occidentali, la spaccatura culturale che spesso divide, solo apparentemente, popoli distanti geograficamente, la condizione della donna – subordinata nel mondo mediorientale nella sua manifestazione più evidente – il potere emancipatore dell’istruzione, il diritto islamico e la funzione del matrimonio all’interno della società.
Erano gli anni in cui cominciavo a conoscere internet come luogo di confronto, in cui conducevo seminari all’università sul matrimonio forzato, considerato rappresentazione dello scontro culturale nelle seconde generazioni di popolazioni di fede islamica in Occidente. In quei seminari, però, ribadivo sempre quanto questo istituto fosse stato parte integrante anche della nostra cultura, utilizzato come mezzo di controllo per soffocare ogni ribellione ai canoni pre-impostati delle società patriarcali, solo apparentemente lontane dalla cultura islamica.
Erano anni in cui passavo ore a parlare, con chiunque fosse interessato, su quanto l’istruzione fosse liberatoria, quanto la considerassi l’arma più efficace contro le dittature politiche e la segregazione culturale. Erano anni in cui mi battevo per dimostrare il potere della parola.
Un giorno incontrai questo libro, in enorme ritardo rispetto alla sua pubblicazione e fu amore incondizionato sin dalle prime pagine. Un manifesto di ribellione disarmata e disarmante. Un manifesto forse troppo politically correct per le voci più forti dell’epoca, forse anche un filino borghese, ma, per me, un grido di battaglia potente e coinvolgente.
Leggere per resistere
Azar Nafisi, professoressa all’Università di Teheran, è costretta a interrompere il suo corso di letteratura inglese a causa delle pressioni del regime insediatosi dopo la rivoluzione di Khomeini nel 1979. Spettatrice della repressione e della violenza subita dalle sue studentesse ad opera della polizia morale, decide, nonostante tutto, di non rinunciare all’insegnamento. Ogni giovedì riunisce un piccolo gruppo di ex studentesse nella sua casa, che diventa così il rifugio per la lettura e il confronto. In questo spazio tutto al femminile, lontano dalle repressioni dittatoriali, queste donne parlano di loro stesse e della nuova condizione post-rivoluzione. Vivono un momento di libertà, studiando e rivivendo sulla loro pelle le pagine dei testi proibiti dall’ayatollah, dialogando attraverso le parole di autori come Nabokov, Austen e Fitzgerald.
I romanzi diventano strumenti per analizzare la quotidianità, dando alle donne l’opportunità di mettersi a nudo nelle loro fragilità e, allo stesso tempo, fornendo loro una chiave di lettura per decostruire il nuovo regime. Lolita ridotta a oggetto dalla mostruosità di Humbert, diventa il simbolo della loro stessa reificazione, mentre le opere di Jane Austen, caratterizzate dal magistrale uso del detto e non detto, offrono spunti di riflessione sull’evoluzione del ruolo della donna in paesi ed epoche diverse.
La professoressa spiega alle sue alunne come il divario tra amore e sesso, nella loro cultura, rappresenti un ostacolo alla vera percezione della figura femminile; così si presenta a uno degli ultimi incontri con Orgoglio e pregiudizio in una mano e un libro sulla sessualità intitolato Noi e il nostro corpo nell’altra. La letteratura diventa, ancora una volta, un’arma per conservare la propria dignità e sviluppare una consapevolezza di se stesse a tutto tondo. Nafisi propone la ribellione attraverso la letteratura, il conoscersi e il conoscere come unica forma di resistenza alla censura, al pensiero obbligato e pilotato da una società che ha paura delle donne, della parità, dell’equità, ma più di tutto, del sapere.
Ho amato questo libro, l’ho letto e riletto fino a consumarlo. Solo pochi giorni fa, però, ho scoperto dell’esistenza di un film di Eran Riklis, regista israeliano, uscito nel novembre 2024.
La trasposizione cinematografica: una sfida complessa
Il film di Riklis affronta una delle sfide più complesse e, in un certo senso, anche più spirituali: la trasposizione sullo schermo di un’opera letteraria. Operazione delicata che, personalmente ho rispettato solo in Ivory e Zeffirelli. Riklis, oltretutto, ha affrontato la sfida di portare sullo schermo un libro che, come già detto, è un vero e proprio spartito di voci letterarie, distanti per epoca e provenienza geografica. Nabokov, Austen, Brontë, Flaubert, Naipaul e Fitzgerald sembrano dialogare tra loro, interrogando il lettore su quali siano i limiti della propria libertà di agire.
Il regista riesce, a mio avviso, a rispondere abbastanza bene all’obiettivo che si era prefissato, mostrando anche a uno spettatore privo di nozioni storiche o politiche, l’atmosfera di oppressione della Teheran post-rivoluzionaria. Enfatizza il contrasto tra il mondo esterno, rigido e soffocante, e gli incontri segreti tra Azar Nafisi e le sue allieve, offrendo allo spettatore momenti alternati di respiro e angoscia.
Eppure, nonostante il messaggio legato al potere della letteratura risulti chiaro ed efficace, manca proprio la forte analisi sociologica che Nafisi trasmette attraverso il suo straordinario intreccio letterario. Riklis sembra sottolineare superficialmente quello che Nafisi precisa nella sua opera: l’Islam e rivoluzione islamica sono due cose distinte e distanti. Il regista, inoltre, soprassiede anche sulle molte citazioni letterarie della cultura persiana, in particolar modo tratte da Le mille e una notte di Sherazade, che l’autrice ritiene potenti quanto la desiderata e proibita cultura occidentale.
Le figure maschili, inoltre, sembrano essere svuotate di personalità, una visione quasi macchiettistica della società iraniana, che fa, in alcuni punti, pensar male lo spettatore della produzione israeliana del film. Un altro limite, inoltre, potrebbe essere anche la ridotta rappresentazione dei fatti storici – se non all’inizio con le proteste studentesche alla rivoluzione – che invece emerge con forza nella narrazione accurata in cui l’autrice racconta i suoi vent’anni in Iran, dal ritorno dagli Stati Uniti fino alla nuova fuga alla fine degli anni ’90.
Se il film avesse osato di più su questo fronte narrativo e avesse avuto un occhio più attento sull’Iran e la sua storia, avrebbe potuto raggiungere un pubblico più vasto e convincere di più, invece, si ha, purtroppo, la sensazione che la pellicola si rivolga a una nicchia di spettatori già familiari con il libro di Nafisi che abbiano le coordinate interpretative delle molte citazioni del testo.
Il potere della parola
È un film potente, che merita comunque di essere visto, ma che, se mi è concesso, perde in qualche modo l’occasione di denunciare un tema che non si riduce all’Iran della polizia morale e della rivoluzione. Il compito della parola – così come quello dell’immagine, in questo caso – è quello di risvegliare le coscienze sopite: vittime della fragilità del nostro tempo, della sua precarietà e della provvisorietà esistenziale che accomuna la storia contemporanea mondiale.
La potenza della parola. La potenza del sapere. La libertà di conoscersi come risposta alla soffocante repressione del pensiero unico.
Leggere come più alta forma di libertà, questa è da sempre la vera grande ribellione.
Source: Leggere Lolita a Teheran: la ribellione della parola
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Christy Brown: Genio Irlandese dell’Arte e della Letteratura
Christy Brown è stato un artista straordinario, la cui vita e carriera hanno rappresentato un esempio di determinazione, talento e passione per l’arte. Nato il 5 giugno 1932 a Dublino, Brown ha sfidato le difficoltà imposte dalla paralisi cerebrale, dimostrando al mondo intero che l’arte e la letteratura non conoscono limiti fisici.

Gli Inizi di un Talento Unico
Christy Brown nacque in una famiglia numerosa della classe operaia irlandese. Nonostante le sfide legate alla sua condizione fisica, i suoi genitori rifiutarono l’idea di ricoverarlo in un ospedale e decisero di crescerlo a casa. Fu durante l’infanzia che Brown scoprì la sua inclinazione per l’arte, imparando a scrivere e disegnare con il piede sinistro, l’unico arto che riusciva a controllare pienamente.
Durante l’adolescenza, un assistente sociale gli fornì materiali artistici e letterari, stimolando la sua creatività. Questo fu il primo passo verso una carriera che avrebbe ridefinito il concetto di arte e letteratura inclusiva.
L’Ascesa nell’Arte e nella Letteratura
Il talento di Brown non passò inosservato. Grazie all’aiuto dello scrittore Robert Collis, riuscì a pubblicare la sua autobiografia “My Left Foot” nel 1954. Quest’opera, che racconta la sua lotta contro le avversità e la sua passione per l’arte, divenne rapidamente un successo internazionale e fu successivamente adattata in un film del 1989 con Daniel Day-Lewis nel ruolo di Brown.
Oltre alla letteratura, Brown si dedicò con fervore alla pittura. La sua arte, caratterizzata da un’espressione vibrante e colori intensi, rifletteva la sua visione unica del mondo. Ogni pennellata rappresentava una sfida superata, un’emozione vissuta intensamente, una vittoria sulla sua condizione fisica.
Un Capolavoro Letterario: “Down All the Days”
Dopo il successo di “My Left Foot”, Brown lavorò per anni al suo romanzo più ambizioso, “Down All the Days”, pubblicato nel 1970. Questo libro, ispirato alla tecnica del flusso di coscienza di James Joyce, venne tradotto in 14 lingue e fu definito “il romanzo irlandese più importante dopo Ulysses”.
L’arte narrativa di Brown si distingue per la capacità di catturare la vita quotidiana di Dublino con umorismo, dialetti autentici e descrizioni vivide. La sua scrittura, come la sua arte pittorica, è un tributo alla bellezza della vita nonostante le difficoltà.
Amore, Successo e Difficoltà
Durante il periodo di scrittura di “Down All the Days”, Brown conobbe Beth Moore, una donna americana che ebbe un ruolo fondamentale nel completamento del libro. Tuttavia, la loro relazione terminò quando Brown incontrò Mary Carr, con la quale si sposò nel 1972. Questo matrimonio, purtroppo, segnò l’inizio di un periodo oscuro per l’artista. La sua salute peggiorò e la sua vita divenne sempre più isolata, alimentando sospetti su maltrattamenti subiti.
L’Ultimo Periodo e l’Eredita dell’Arte di Brown
Negli ultimi anni, Brown continuò a scrivere e dipingere, lasciando un’eredità artistica indelebile. I suoi successivi romanzi, come “A Shadow on Summer” (1972) e “Wild Grow the Lilies” (1976), confermarono la sua straordinaria capacità di narrazione. Inoltre, pubblicò diverse raccolte di poesie, tra cui “The Collected Poems of Christy Brown”, che testimoniano il suo profondo amore per l’arte e la scrittura.
L’Influenza di Brown nella Cultura Popolare
L’arte e la letteratura di Christy Brown continuarono a ispirare generazioni. Il film “My Left Foot” ricevette grande riconoscimento, con Daniel Day-Lewis che vinse l’Oscar per la sua magistrale interpretazione.
Anche la musica rese omaggio a Brown: la band The Pogues e gli U2 scrissero canzoni dedicate a lui, sottolineando l’impatto che la sua arte ha avuto nel panorama culturale.
Conclusione
Christy Brown è stato un artista eccezionale, la cui vita dimostra che l’arte non conosce barriere. Con il solo uso del piede sinistro, ha scritto libri acclamati e dipinto opere straordinarie, lasciando un segno indelebile nel mondo della cultura. La sua storia continua a ispirare coloro che credono nella forza dell’arte come mezzo di espressione e di superamento delle difficoltà.
La vita e l’arte di Brown sono una testimonianza del potere della determinazione e della creatività, dimostrando che il talento può emergere e brillare anche nelle condizioni più avverse. Oggi, il suo contributo alla letteratura e alla pittura rimane una fonte di ispirazione per artisti di tutto il mondo.
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Ivan Francesco Ballerini “Linea d’ombra”
Il primo singolo che anticipa il nuovo disco di inediti

Una preghiera di pace di amore
Un viaggio che alla guerra risponde con la poesia Una speranza per le nuove generazioni
Inizia da questo primo singolo il viaggio verso il nuovo disco di inediti del cantautore toscano Ivan Francesco Ballerini che torna a distanza di due anni con nuove canzoni. In rete il video ufficiale diretto da Nedo Baglioni con le tavole disegnate da Leonardo Marcello Grassi.
La penna si è mossa assai prima dei conflitti a cui stiamo assistendo. La penna di Ivan Francesco Ballerini non si ferma dal 2019, anno del suo esordio con il disco “Cavallo Pazzo” uscito per la Radicimusic Records. Uscirà molto presto questo suo quarto lavoro di inediti dal titolo emblematico “La guerra è finita”, un monito,
una speranza, un urlo di pace dal peso poetico e dal suono romantico di ballate folk dai contorni a pastello, come ci ha abituati sin dal suo esordio.
Ad anticipare tutto ecco il primo singolo estratto dal titolo “Linea d’ombra”.
In rete troviamo il video ufficiale diretto da Nedo Baglioni, una clip densa di semplicità che cattura la potenza visionaria dei disegni firmati dal fumettista Leonardo Marcello Grassi (Dark Horse Comics di Milwaukie, OR.)
“LINEA D’OMBRA” - Official Video
youtube
Questa canzone parla di un viaggio, sia fisico che spirituale, un viaggio a cui non possiamo sottrarci. Non si sa esattamente dove ci condurrà e non è dato saperlo. L’unica certezza è che al ritorno nulla sarà più come prima, la nostra vita, le nostre convinzioni, i nostri amori, insomma tutto quel fardello che ci teneva inchiodati per terra, mentre la nostra mente e il nostro cuore ci urlavano disperatamente di volare... volare liberi.
«Quando lessi, anni or sono, il bellissimo racconto “La linea d'ombra" di Joseph Conrad, ne rimasi subito affascinato. Il racconto descrive quel momento della vita, capitato ad ognuno di noi, in cui ci accorgiamo che per qualche motivo, stiamo lasciandoci alle spalle il periodo della giovinezza e la stagione bellissima dell'adolescenza per entrare a pieno titolo nella cosiddetta età adulta.». I. F. Ballerini
Ivan Francesco Ballerini
Biografia
Ballerini Ivan Francesco (Manciano, 15 gennaio 1967), nato nell’entroterra maremmano, sin da piccolo ha mostrato uno spiccato interesse per la musica, la letteratura e il canto. Suo padre, Romano Ballerini, è un noto pittore, conosciuto grazie alla mostra di pittura di Manciano divenuta, col passare degli anni, un punto di riferimento per moltissimi pittori provenienti da tutto il mondo.
A casa di Ballerini sono stati ospiti pittori davvero illustri: Annigoni, Barbisan, Guttuso, solo per citarne alcuni. Sua madre è stata una insegnante, ed è a lei che, sul finire delle scuole elementari, Ivan chiese di acquistare un pianoforte per poter così iniziare a studiare musica.
Nel 2019 esordisce con il disco “Cavallo Pazzo”, un concept - album, interamente dedicato agli Indiani d’America. Il disco, realizzato negli studi di registrazione Brahms di Cavriglia, a quattro mani col chitarrista e arrangiatore Alberto Checcacci. Nello stesso anno riceve un prestigioso Diploma di Merito dalla casa editrice Aletti – Mogol, venendo selezionato con il brano “Preghiera Navajo”, una vera e propria preghiera laica, in cui l’autore immagina un punto di contatto tra i nativi americani e l’uomo bianco, usurpatore di terre e di libertà.
Nel 2021 esce il suo secondo disco di inediti intitolato “Ancora Libero”. Si tratta denso di riferimenti all’attualità: solitudine, amore, nuove tecnologie e tanto altro ancora.
Ad ottobre del 2022, per la casa discografica Milanese Long Digital Playing, Ballerini esce col suo terzo album dal titolo “Racconti di mare – la via delle spezie”, un album molto impegnativo che narra di un viaggio, non si sa se fisico o spirituale, ma un viaggio che ogni uomo, giunto ad un dato punto della sua vita sente il bisogno di compiere. La direzione artistica si riconferma nelle mani di Alberto Checcacci e ad affiancarlo troviamo: Alessandro Golini (violino), Alessandro Melani e Luca Trolli (batteria), Giancarlo Capo (chitarra, basso, arrangiamenti, cori), Stefano Indino (fisarmonica), Silvio Trotta (chitarra acustica, chitarra battente, mandolino) Marco Lazzeri (tastiere e pianoforte) Lisa Buralli (voce solista e cori).
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L'Associazione Culturale Poeti solo Poeti Poeti è un'organizzazione dedicata alla promozione della cultura letteraria, con un focus particolare sulla poesia. Fondata con l'obiettivo di valorizzare sia gli autori emergenti che quelli affermati, l'associazione si impegna attivamente nella diffusione della passione per la scrittura e la lettura attraverso diverse iniziative.
Tra le sue attività più rilevanti spicca l'organizzazione del Premio Letterario Internazionale Città di Sarzana, un evento annuale che attrae poeti e scrittori da tutto il mondo. Il premio rappresenta un'importante vetrina per talenti di ogni provenienza, offrendo loro l'opportunità di farsi conoscere e apprezzare per le proprie opere.
Oltre al premio letterario, l'associazione promuove reading di poesie, incontri con autori, laboratori di scrittura creativa ed altre iniziative culturali, tutte finalizzate a stimolare la creatività e l'interesse verso la letteratura.
L'Associazione Culturale Poeti solo Poeti Poeti si distingue per il suo impegno nel creare un ambiente accogliente e stimolante per gli amanti della poesia, offrendo loro occasioni di incontro, confronto e crescita artistica.
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Informazioni generali sulla narrativa di Doniyorova Zulayho
Informazioni generali sulla narrativa. Università di Alfraganus, Facoltà di Medicina,. Studente del 2° anno in Farmacia Doniyorova Zulayho. La narrativa è un potente strumento di espressione artistica e sociale. Scopri il suo ruolo nella cultura, i generi letterari e il suo impatto sulla società su Alessandria today. Annotazione: Questo articolo fornisce informazioni essenziali e precise…
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La Befana, il Presepe e l’Epifania in Letteratura

La Befana, il Presepe e l’Epifania in Letteratura La Befana, il Presepe e l’Epifania in Letteratura, un articolo che analizza i legami tra la festa della befana, il presepe, e l'epifania nella letteratura e nella psicanalisi, come stimolo alla creazione artistica e intellettuale. L’ Epifania tutte le feste porta via, infatti una volta giunti al 6 gennaio il periodo vacanziero del Natale si conclude, e con esso le vecchie feste ormai passate e si accoglie l’inizio di un nuovo anno con le sue relative nuove festività. Carl William Brown In ogni casa elegante c’è la porta principale per i signori e c’è la porticina di servizio per i fornitori; ma non deve mancare la porta celeste per gli dei. Si potrebbe dire che la cappa del camino è il tunnel che congiunge la terra al cielo... Per colpa di certe convenzioni, e d’una diffusissima mancanza di coraggio ascensionale, forse questa porta è poco adoperata. Ciò non toglie che la porta della Befana sia la vera porta principale: la porta che si apre sull’universo. Gilbert Keith Chesterton Zitti, zitti bimbi buoni, presto, presto giù a dormire. La Befana è per venire col suo sacco pien di doni. Anonimo Non ho mai fatto una delle mie scoperte attraverso il processo del pensiero razionale. Albert Einstein La Befana, cara vecchietta, va all’antica, senza fretta. Non prende mica l’aeroplano per volare dal monte al piano, si fida soltanto, la cara vecchina della sua scopa di saggina: è così che poi succede che la Befana non si vede! Gianni Rodari La Befana a volte tarda perché ormai è vecchia e sorda, ma a coloro che son buoni lascia sempre tanti doni. Tra la cenere e il carbone ecco a te un suo bacione! Anonimo Ognuno chiudendo gli occhi, sogna dolci e balocchi. E Dori, il più piccino, accosta il suo visino alla grande vetrata per veder la sfilata dei Magi, su nel cielo, nella notte di gelo. Guido Gozzano Viene viene la Befana, vien dai monti a notte fonda. Come è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana. Giovanni Pascoli Arriva la Befana, è già partita da una settimana, con la scopa di saggina, lei vola per arrivare prima. Viva viva la Befana! Anonimo Cara Befana. Prendi un trenino che fermi a casa d’ogni bambino, che fermi alle case dei poveretti con tanti doni e tanti confetti. Gianni Rodari Il dovere di un artista è piuttosto quello di rimanere di mentalità aperta e in uno stato in cui può ricevere informazioni e ispirazione. Bisogna sempre essere pronti per quella piccola Epifania artistica. Nick Cave

Befana, prtesepe, epifania e ricordi Nel folclore italiano, la Befana rappresenta una figura unica e affascinante, profondamente radicata nella tradizione natalizia. Il suo nome deriva da una trasformazione linguistica del termine "Epifania" (dal greco epifáneia, "manifestazione"), passato attraverso il latino epiphaníam fino a diventare "Befana". Secondo la tradizione popolare, la Befana è un’anziana signora che, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, porta doni ai bambini. Coloro che si sono comportati bene trovano calze riempite di dolciumi, frutta secca e piccoli regali, mentre i più dispettosi ricevono carbone o aglio. Anche il carbone, però, spesso si rivela dolce, trasformando la punizione in un gioco indulgente. Le origini della Befana si intrecciano con leggende e tradizioni religiose e pagane. Una delle storie cristiane più conosciute racconta che i Re Magi, durante il loro viaggio verso Betlemme, chiesero indicazioni a una vecchina e la invitarono a unirsi a loro. Lei rifiutò, ma poi si pentì e tentò invano di raggiungerli. Da allora, per espiare il suo errore, porterebbe doni ai bambini di tutto il mondo. Questa leggenda sembra cristianizzare una figura più antica, legata ai riti pagani della dodicesima notte dopo il solstizio d’inverno, quando si celebrava il ciclo di morte e rinascita della natura. La Befana rappresenta simbolicamente l’anno vecchio, ormai consumato, che si lascia alle spalle. La scopa che porta con sé non è solo un mezzo di trasporto, ma simboleggia anche il gesto di “spazzare via” i problemi dell’anno appena trascorso, unendo così il folclore alla speranza di un nuovo inizio. L’Epifania è anche il giorno in cui, secondo la tradizione cristiana, i Re Magi giungono alla grotta di Betlemme per adorare il Bambino Gesù. La loro figura, citata in appena 12 versetti del Vangelo di Matteo, è stata arricchita nei secoli da dettagli simbolici e narrativi. Non è storicamente provato che fossero tre, né che si chiamassero Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, ma queste aggiunte hanno rafforzato il loro significato spirituale e culturale. Nei presepi di tutto il mondo, l’arrivo dei Magi rappresenta un momento culminante. Le loro offerte di oro, incenso e mirra simboleggiano rispettivamente la regalità, la divinità e la sofferenza umana di Gesù. La tradizione del presepe, introdotta da San Francesco d’Assisi, mira a rendere tangibile e familiare la narrazione della nascita di Cristo, creando un legame diretto tra la spiritualità e la vita quotidiana. La Befana principalmente è un'icona tutta italiana. Tuttavia, se per noi l'Epifania è sinonimo di Befana, possiamo dire che viene celebrata anche in altri Paesi, seppur con nomi e usanze diverse. In Francia la befana diventa un re o una regina! La tradizione ruota attorno alla Galette des Rois, un dolce tipico che nasconde al suo interno una fava. Chi la trova nella propria fetta viene incoronato re o regina della festa. In Islanda invece la Befana è la moglie di Babbo Natale e viene celebrata con fiaccolate, fuochi d'artificio e la presenza simbolica di Babbo Natale, insieme al re e alla regina degli elfi. In Romania, i bambini bussano alle porte dei vicini per raccontare storie e ricevono in cambio frutta secca o qualche moneta. Un'usanza semplice e carica di significato che celebra l’arrivo dei Re Magi. In Russia l’Epifania coincide con il Natale ortodosso, celebrato il 6 gennaio. In questa notte speciale, Padre Gelo porta doni ai bambini, accompagnato dalla dolce Babushka, una figura simile alla nostra Befana.

Presepe, epifania e ricordi In Messico il 6 gennaio è noto come El Día de los Reyes, è dedicato all’arrivo dei Re Magi. Protagonista della tavola è la Rosca de Reyes, una ciambella a forma di corona che nasconde al suo interno una statuina di Gesù Bambino. Chi la trova diventa il "padrino" per l’anno successivo. In Bulgaria, l’Epifania si celebra con un rituale spettacolare: un crocifisso viene gettato in laghi o fiumi ghiacciati, e i più coraggiosi si tuffano per recuperarlo. Il vincitore avrà un anno di fortuna e buona salute. In Germania infine il 6 gennaio non è festeggiato ovunque. Nei luoghi dove si celebra, i preti e i chierichetti visitano le case, cantando e raccogliendo offerte. Tuttavia, per molti, è un giorno lavorativo e le scuole rimangono aperte. Il termine "Epifania" comunque non si limita solo alla sfera religiosa, ma trova un posto significativo anche in letteratura. Originariamente indicava una manifestazione divina, come un sogno o una visione. Con il cristianesimo, ha assunto un significato più specifico legato alla rivelazione di Gesù come Figlio di Dio. Per Joyce, il termine "Epifania" riprende il significato originale di "manifestazione", ma lo trasporta in un contesto letterario: si tratta di un’improvvisa illuminazione, un momento in cui qualcosa di apparentemente banale e quotidiano si carica di un significato profondo, rivelando una verità nascosta. Questa epifania non è mai grandiosa o spettacolare, ma si annida nei piccoli dettagli: una frase, un gesto, un oggetto. È un’illuminazione intima e personale che consente al personaggio (o al lettore) di cogliere una connessione tra il mondo materiale e quello spirituale, tra la vita quotidiana e le sue implicazioni più profonde. Ad esempio, nei Dubliners, queste epifanie emergono da momenti quotidiani che, per i personaggi, diventano rivelatori: un’ombra sulla loro vita o una consapevolezza improvvisa delle loro limitazioni, desideri o rimpianti. L’idea joyciana di epifania trova un parallelo nella psicanalisi freudiana, in particolare nell’interpretazione dei sogni e dei lapsus. Freud riteneva che i sogni e i dettagli apparentemente insignificanti della vita quotidiana potessero rivelare i desideri inconsci, le paure e i conflitti interiori di un individuo. Entrambi i concetti - epifania e interpretazione psicanalitica - condividono l’idea che i dettagli ordinari possano aprire una porta verso verità più profonde. In psicanalisi, queste connessioni sono spesso guidate dall’associazione libera: un dettaglio apparentemente insignificante può richiamare emozioni o ricordi nascosti, portando alla luce significati nascosti. Allo stesso modo, nelle epifanie di Joyce, dettagli minimi si trasformano in catalizzatori di rivelazioni emotive e spirituali. La creazione letteraria stessa si nutre di questo processo di connessione. Gli scrittori, come gli psicanalisti, spesso partono da elementi concreti o autobiografici per costruire una narrazione che trascende il personale, trasformandolo in universale. Joyce, con la sua tecnica dello stream of consciousness, esplora questa dinamica: il flusso di pensieri e associazioni dei suoi personaggi riflette il modo in cui la mente umana connette idee disparate, creando nuove intuizioni.

Presepe di porcellana, mamma e ricordi Un esempio è il modo in cui Joyce utilizza dettagli materiali – come una semplice frase o un oggetto – per evocare un mondo interiore complesso. Questo processo è parallelo all’esplorazione psicanalitica, dove i simboli concreti (nei sogni o nei ricordi) vengono interpretati per rivelare significati nascosti. In sintesi, l’epifania joyciana e la psicanalisi condividono l’idea che il banale possa diventare simbolico e rivelatore, creando connessioni tra mondi apparentemente separati. Entrambi i concetti si basano sull’intuizione che i dettagli del quotidiano siano portatori di significati più ampi e profondi, in grado di illuminare la condizione umana. Per la creazione letteraria, queste connessioni sono essenziali, poiché permettono agli scrittori di trasformare l’ordinario in qualcosa di straordinario e di parlare direttamente alla sensibilità del lettore. Anche Gabriele D’Annunzio, nella poesia “I Re Magi” dalle Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi, utilizza l’Epifania per evocare immagini di gloria celeste. In questa visione, il paesaggio, il canto degli angeli e l’arrivo dei Magi diventano simboli di una rivelazione divina che illumina l’umanità. Per concludere possiamo dire che la Befana, il Presepe e l’Epifania in letteratura condividono un elemento comune: la capacità di trasformare il quotidiano in straordinario. Che si tratti della dolce attesa dei doni, della magia del presepe o di una rivelazione letteraria, l’Epifania ci invita a riflettere sul valore delle manifestazioni, grandi o piccole, che illuminano la nostra vita. Buona Epifania a tutti! Se amate il Natale, le feste e la letteratura potete anche leggere i seguenti articoli: Aforismi e citazioni sul Natale Aforismi divertenti sul Natale Mercatini di Natale in Italia Mercatini di Natale in Germania Barzellette sul Natale La favola del pupazzo di neve Aforismi di C.W. Brown sul Natale Pensieri e riflessioni sul Natale Un buon libro per Natale Numeri sul Natale Un Natale surreale Odio il natale (Umorismo) Storielle divertenti sul Natale Una favola per Natale e non solo A Christmas Carol by Charles Dickens Other books by Charles Dickens Fairy tales and other stories by Hans Christian Andersen Best Christmas songs videos and karaoke Christmas markets in England Christmas markets in America Christmas markets in Italy and Germany Christmas quotes 60 great Christmas quotes Christmas tree origin and quotes Christmas jokes Christmas cracker jokes Funny Christmas Stories Amusing Christmas stories Christmas food Christmas thoughts Christmas story Christmas in Italy Christmas holidays Christmas songs Christmas poems An Essay on Christmas by Chesterton Aforismi per argomento Aforismi per autore Pensieri e riflessioni Saggi e aforismi Notizie e opinioni

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" Stando alla testimonianza di chi ha avuto la fortuna di vederlo in teatro, il Totò che noi conosciamo, quello del cinema, non vale un decimo rispetto al comico caricato a molla sulle tavole del palcoscenico. Si racconta che, al momento del bis, prima di rientrare in scena, dicesse agli attrezzisti: «Adesso li faccio ridere con la A!». Entrava, improvvisava un paio dei suoi irresistibili lazzi e ritornava dietro le quinte mentre la sala si sganasciava a bocca spalancata: «Ah! Ah! Ah!». Prima del secondo bis prometteva ancora: «Adesso li faccio ridere con la I!». Infatti, la platea: «Ih! Ih! Ih!». Al terzo bis era la volta della U. Entrava in scena di sbieco come un burattino di legno, snodato, e si arrampicava su per il sipario come uno scoiattolo. E gli spettatori: «Uh, Uh, Uh!». Le risate con la A, con la I e con la U hanno sostanza ben diversa le une dalle altre: sono le reazioni emotive a tre differenti espressioni della comicità, o meglio a tre gag di natura diversa. In genere la risata con la A esplode al terzo ritorno di un tormentone o nella «chiusa» di un movimento comico a lunga durata con esplosione finale. La risata con la U è fulminante, quasi sempre provocata da una gag inattesa, da una caduta improvvisa, da una battuta a sorpresa. Quella con la I, invece, è più legata all’umorismo, alla finezza verbale o alla gag «buttata via», regalata ai pochi: arriva sempre con un attimo di ritardo e si espande nella sala per contagio, perché chi non ha capito subito l’arguzia la decifra attraverso lo scompisciarsi degli altri. "
Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Garzanti, 2002; pp. 173-174.
[1ª edizione: Einaudi, 1996]
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𝐏𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐜𝐢𝐜𝐥𝐨 𝐌𝐎𝐍𝐎𝐆𝐑𝐀𝐅𝐈𝐄
— dal 7 gennaio 2025
Due anniversari: 50 anni e 15 anni. La scomparsa di Pier Paolo Pasolini (1975) e quella di Edoardo Sanguineti (2010). Fin dalle pagine di "Officina" alla metà del secolo scorso, due dei massimi poeti e intellettuali italiani ingaggiano una disputa – quella tra neosperimentalismo e neoavanguardia – che è più di un conflitto tra poetiche: sono due visioni del rapporto tra letteratura e tradizione, tra letteratura e società, tra letteratura e impegno; sono due visioni del mondo. Apriamo il 2025 con due corsi paralleli per ripercorrerne l'opera poetica integrale, discutere Pasolini e Sanguineti alla prova dei testi, tracciare il bilancio di una storia, di una battaglia artistica e culturale, i cui effetti dirompenti scontiamo ancora oggi.
Con Stefano Colangelo, Maria Teresa Carbone, Bernardo De Luca, Emanuele Franceschetti, Giuseppe Garrera, Massimiliano Manganelli, Valerio Massaroni, Francesco Muzzioli, Angelo Petrella, Gian Luca Picconi, Gilda Policastro, Francesca Santucci.
Tutto su www.centroscritture.it
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Taobuk va ad Algeri: le parole di Antonella Ferrara, Presidente e direttrice artistica di Taobuk
Con grande emozione mi preparo a portare Taobuk ad Algeri per vivere l’incanto del Salon International du Livre d’Alger.
Il 13 novembre avrò il piacere di unirmi a due grandi voci della letteratura siciliana, Maria Attanasio ed Evelina Santangelo, per un incontro dedicato al Mediterraneo: quel “mare Nostro, mare dentro” che ci lega in profondità.
Questo evento, organizzato in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Algeri e promosso dal Ministero degli Affari Esteri, è per me una tappa significativa di un percorso che, dopo Rabat e Tunisi, continua a celebrare il nostro impegno nell’abbattere confini e promuovere il dialogo tra le culture che si affacciano sul Mediterraneo.
Sono grata di poter condividere con il pubblico algerino la bellezza della mia isola raccontata attraverso le parole di Maria, Evelina e Don Cosmo Laurentano con cui esplorerò il significato profondo di appartenere a questo mare che, per noi siciliani, è casa, storia, e un potente ponte verso l’altro.
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Cristina Caprioli

L’arte deve disorientare, deve trasmettere una sensazione di cui non puoi appropriarti, non puoi “comprarla”, è questione di immaginazione, di accettazione, di “arrendersi”.
Cristina Caprioli è la danzatrice, coreografa, teorica sperimentale e accademica che ha vinto il Leone d’oro alla carriera della Biennale Danza 2024 come riconoscimento a chi lavora nella ricerca per salvare l’artedal consumismo.
Con un approccio artistico inclusivo e sostenibile, è autrice di lavori che scardinano le convenzioni linguistiche e percettive della danza.
La sua idea di coreografia è quella di discorso critico in continuo movimento, in cui l’atto creativo non è mai disgiunto dalla riflessione.
Figura di primo piano della scena internazionale della danza contemporanea, la sua opera è caratterizzata da precisione, complessità e forme nuove di virtuosismo fisico. Le basi filosofiche del suo canone bilanciano ricerca concettuale rigorosa ed esperienza concreta coinvolgente e altamente praticabile.
Tutte le sue produzioni sfidano le regole e le economie di scambio del settore.
È nata a Brescia il 22 ottobre 1953 da madre svedese, suo padre era il pittore Adriano Grasso Caprioli.
Ha studiato danza da quando aveva sei anni, ma la convinzione che fosse la sua strada è arrivata qualche anno più tardi, dopo aver visto Rudol’f Nureev esibirsi.
Ha lavorato come ballerina professionista in giro per il mondo prima di trasferirsi definitivamente a Stoccolma, dove, nel 1998, ha fondato ccap (cristina caprioli artificial projects), organizzazione indipendente che gestisce progetti di ricerca interdisciplinari, produce spettacoli teatrali, installazioni, video e pubblicazioni.
Mescola insieme danza, arte, letteratura, scienza e architettura.
Lavorando con persone anziane e bambini e adulti con disabilità, soprattutto cognitive, crea danze meravigliose che fuoriescono dal contratto sociale.
Ha partecipato alla Biennale di Venezia per la prima volta nel 2010 con cut-outs & trees, che ancora oggi va in giro, dal MoMa di New York a Londra.
Alla periferia di Stoccolma gestisce la Hall dove, facendosi bastare le sovvenzioni dello stato, propone soltanto spettacoli gratuiti.
In una concezione che rifiuta di comprare il diritto di consumare l’arte, la sua compagnia offre resistenza. Producono con pochissimi soldi, circa 180 spettacoli all’anno con un decimo delle risorse di cui avrebbero bisogno.
Nel 2008 è stata nominata docente di composizione coreografica presso la School of Dance and Circus (DOCH) di Stoccolma.
Ha curato e prodotto diversi festival come Talking Dancing (1997) e Movement is a Woman (2002), oltre ai progetti di ricerca t.lab (2004) e after cover (2009-2011).
È stata anche curatrice dell’antologia di danza Choreographies (2008) e ha curato e prodotto il simposio WEAVING POLITICS (2012).
Nel 2021 è stata il governo svedese l’ha premiata con l’Illis Quorum meruere labores la medaglia d’oro assegnata a coloro che apportano contributi e benefici in ambito culturale, scientifico e di pubblica utilità.
Nel 2022 il festival berlinese Tanz im August le ha dedicato una retrospettiva completa.
Due anni dopo, anche la più importante manifestazione artistica italiana ha voluto renderle omaggio con il Leone d’Oro alla carriera.
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