#la scienza brutta
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Quando il divulgatore non sa cosa significhi fare il divulgatore (avvicinare le persone alla scienza e non maltrattarla).
E' fondamentale che chi faccia divulgazione scientifica anche sui social abbia un approccio gentile con gli utenti, non arrogante, non presuntuoso, ma solo etico: e non è il caso, Roberto Burioni - che può fare solo un favore alla scienza: togliersi dalle palle.
Importante, in ricerca ed educazione, non essere superbi (come Roberto Burioni) e presuntuosi in virtù di pezzi di carta (lauree), perché si coltivano solo bias cognitivi; quindi, ribadisco: che Burioni faccia un favore alla scienza: CHE SI TOLGA DALLE PALLE.
Allontanare le persone dalla scienza, comporta due conseguenze principali:
- non sarà difficile trasformare la sanità italiana da pubblica a privata
- non sarà difficile che "idioti con la laurea", esercitino la loro professione solo in virtù del compenso, non per curare gli altri.
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Il problema di questi "divulgatori" è che non vedono una patata da una vita e manco la patata vuole vedere loro, per cui se la prendono con la gente che sta sui social.
So' proprio rincoglioniti tosti.
Non sono un'analfabeta funzionale, ma la spocchia di Mario Tozzi ha VERAMENTE ROTTO IL CAZZO: fa pena nella sua crisi esistenziale di mezza età.
Mi guardo un bel film su Prime Video e a fanculo lui, gli stupidi come lui che allontanano dalla Scienza, e i suoi documentari 🖕
La Scienza in Italia fa così schifo al cazzo che non trova di meglio da fare del bullizzare gli utenti sui social, invece di fare Ricerca.
Fate pena!
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Lezioni di chimica: impara la scienza e mettila in cucina
Lezioni di chimica, la serie che riporta Brie Larson in tv dopo United States of Tara, su Apple Tv+, per raccontare in modo avvincente e dolce la storia della scienziata Elizabeth Zott che riuscì ad unire chimica e cucina negli anni '60.
The Bear ci ha insegnato che cucina e salute mentale possono andare a braccetto e sono spesso co-dipendenti l'una dall'altra. C'è una nuova serie che potrebbe farvi scoprire che lo stesso vale per cucina e scienza. Ne parleremo nella recensione di Lezioni di chimica, limited series in otto episodi con protagonista la Captain Marvel Brie Larson su Apple Tv+, che conferma ancora una volta la qualità produttiva del servizio streaming e il suo riuscire a raccontare storie così diverse sempre in modo accattivante e coinvolgente, tanto dal punto di vista della scrittura quanto da quello della messa in scena.
Lezioni di vita
Lezioni di chimica: Brie Larson in una scena
Lezioni di chimica è basata sul romanzo best-seller omonimo della scrittrice, editrice scientifica e copywriter Bonnie Garmus, adattato per la tv da Lee Eisenberg - già creatore per la piattaforma di WeCrashed e Little America, nonché di Hello Ladies per HBO e Jury Duty per Freeve. Il suo sguardo cinico, nonsense eppure incredibilmente dolce è facilmente ritrovabile in questa nuova miniserie, che riporta in tv Brie Larson 12 anni dopo United States of Tara, ben prima che salvasse l'universo insieme agli Avengers nel MCU e fosse prigioniera di un sequestratore abusivo sul grande schermo, qui anche produttrice insieme a Susannah Grant e Jason Bateman.
Lezioni di chimica: una foto di scena
Siamo negli anni '60 e Larson è Elizabeth Zott, una tecnica di laboratorio in una prestigiosa università, che sogna di concludere il proprio dottorato e diventare una scienziata a tutti gli effetti agli occhi dei colleghi maschi. Quella in cui si trova infatti non è una società patriarcale solamente nella vita quotidiana e personale ma anche e soprattutto in quella lavorativa. Reduce da una brutta esperienza che non le ha permesso di continuare la specializzazione, è costretta a lavorare in un laboratorio dove è più intelligente dei suoi colleghi uomini eppure deve fare loro da assistente e preparare il caffè, senza poter eseguire nessun esperimento da sola… almeno durante l'orario lavorativo.
Gli opposti si attraggono
Un'immagine della serie Lezioni di chimica
Elizabeth, tratteggiata in modo perfetto da Brie Larson, è divisa a metà tra il proprio carattere non sempre sociale e socievole (un po' Amy Farrah-Fowler), il rifiuto per ciò che è ritenuto adatto ad una donna nella società americana di Mad Men, e il voler essere parte di quel mondo che tanto pare disprezzare, dopotutto. Una possibile occasione fortuita sarà l'incontro con Lewis Pullman (Top Gun: Maverick, Outer Range), che interpreta Calvin Evans, uno scienziato altrettanto particolare, dedito alla forma fisica che preferisce correre per andare e venire dal laboratorio, facendosi la doccia direttamente lì, che non capisce il senso della discriminazione di genere nei confronti della collega. Nella chimica si dice che gli opposti si attraggono e chissà se questo varrà anche per Elizabeth e Calvin, ma anche per la protagonista e gli altri personaggi che popolano il suo colorato mondo.
Lezioni di chimica: un momento della serie
Un ricco e variegato cast interpretato da Stephanie Koenig (L'assistente di volo, The Offer), Kevin Sussman (l'ex Stuart di The Big Bang Theory), Patrick Walker (Gaslit, Gli ultimi giorni di Tolomeo Grey) e Thomas Mann (Winning Time: L'ascesa della dinastia dei Lakers). Abbiamo detto colorato non a caso, perché - come spesso su Apple Tv+ che sembra essere la nuova HBO in tal senso - c'è un'enorme attenzione nella ricostruzione delle scenografie e nella cura dei colori pastello, tenui e uniformi, che devono rappresentare non solo la società dell'epoca, ma anche il laboratorio, che risulterà tutt'altro che freddo agli occhi del pubblico. O ancora i quartieri fatti di abitazioni una uguale all'altra, con giardino annesso, in cui vivono i personaggi. Compresa Harriet Sloane, interpretata dalla vincitrice del NAACP Image Award Aja Naomi King (Le regole del delitto perfetto, Il risveglio di un popolo), che rappresenta il lato black della tematica discriminatoria che viene raccontata attraverso la scienza.
Scienza e fede o chimica e cucina?
Un momento della serie Lezioni di chimica
Se il binomio che ha popolato la serialità dai primi anni 2000 (ovvero post-Lost) fino ad oggi è stato quello dedicato a scienza e fede, negli ultimi anni ci si è occupati di salute mentale nelle più svariate risonanze e abbinamenti. Ma se vi dicessimo che chimica (e quindi scienza) e cucina (e quindi arte) non sono antitetiche ma anzi complementari? Una delle caratteristiche peculiari del riuscito personaggio di Elizabeth è l'essere appassionata anche di cousine ed essere piuttosto brava. Anche perché, in fondo, le ricette altro non sono che un insieme di leggi scientifiche applicate in cucina. Ed è questo il mix vincente di Lezioni di chimica, che unisce umanità, scienza, sentimenti, colpi di scena inaspettati, la critica di una società patriarcale senza voler essere didascalici. Uno sguardo dolce e intimo su una figura femminile che arriverà nelle abitazioni di tutte le casalinghe d'America attraverso un programma che, insegnando ricette, svelerà loro in realtà le leggi della chimica e, perché no, anche qualche utile lezione di vita.
Conclusioni
Abbiamo parlato di una società patriarcale che non ha i colori dell’oppressione ma quelli della speranza. Questo perché il viaggio della protagonista Elizabeth Zott, interpretata da un’azzeccata Brie Larson, è pieno di sorprese, a volte drammatiche a volte divertenti, e la porterà nel salotto di molte case americane pronta a mescolare sapientemente conoscenze scientifiche, velleità culinarie e un pizzico di carisma per ricordarci che non tutte le ciambelle riescono col buco, soprattutto nella vita, e che per fare una frittata bisogna necessariamente rompere qualche uovo.
👍🏻
Brie Larson è perfettamente divisa tra le due anime del personaggio.
I colori utilizzati per raccontarci la vita e gli ambienti di Elizabeth.
Lo sguardo quasi ingenuo di Lewis Pullman.
Il mescolare chimica e cucina per parlarci di vita vera.
👎🏻
La protagonista potrebbe risultare respingente come spesso capita coi ritratti di geni scientifici.
La serie procede con cautela nel raccontarci le varie tappe della vita della protagonista.
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TACCHINI INGRIFATI
youtube
Stava cominciando a mancarmi la scienza BRUTTA! 🙏🏻❤️
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Quando la scienza non fa il suo dovere di curare, offrendo dignità al paziente.
Recentemente, leggendo l'account di FNOMCeO su Twitter, mi sono imbattuto su questa storia, che mi ha posto nell'obbligo di fare le dovute ricerche del caso:
Ho cercato su internet conferma di quanto qui narrato e ho trovato che il blog a cui fa riferimento @mangiamy (Gioia, su Twitter) esiste: si trova sulla piattaforma Blog di Google (blogspot), e non è stato semplice rintracciarlo; la testimonianza è raccapricciante.
Non ravvedo motivi per cui un utente anonimo debba mentire, raccontando su un blog vicende personali non reali, pertanto chiedo direttamente al destinatario della denuncia (Marco Cappato) delucidazioni in merito:
#Il caso di Gioia#Testimonianze#psichiatria#centri di salute mentale#FNOMCeO#Blog#Google#Blogspot#testimonianza#Stanza1241
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Lizzie Velásquez: Una Vita Dedicata all’Attivismo e alla Lotta contro il Bullismo
Elizabeth Anne Velásquez, meglio conosciuta come Lizzie, è un esempio vivente di resilienza e attivismo. Nata il 13 marzo 1989 a Austin, Texas, questa giovane donna ha trasformato la sua esperienza di vita unica in una missione per ispirare gli altri e combattere il bullismo. La sua storia, caratterizzata da una rara condizione genetica e da sfide personali straordinarie, è una testimonianza del potere dell’attivismo nel generare cambiamenti significativi.
La Sfida della Malattia
Lizzie è nata con una condizione genetica estremamente rara conosciuta come sindrome dall’aspetto progeroide e marfanoide con lipodistrofia. Questa malattia le impedisce di accumulare grasso corporeo, mantenendo il suo peso corporeo al di sotto dei 29 chilogrammi per tutta la vita. Nonostante il suo aspetto unico e le difficoltà fisiche che affronta quotidianamente, Lizzie non ha mai permesso che la sua condizione definisse chi è o limitasse le sue ambizioni. Con una dieta rigorosa che prevede fino a 8.000 calorie al giorno e un atteggiamento determinato, ha affrontato la sua malattia con grazia e forza.
La Scoperta dell’Attivismo
L’attivismo di Lizzie è emerso come risposta al bullismo e al cyberbullismo che ha subito durante la sua adolescenza. Uno degli episodi più significativi è stato quando, all’età di 17 anni, un video su YouTube la definì “la donna più brutta del mondo”. Questo attacco devastante avrebbe potuto abbattere chiunque, ma Lizzie ha scelto di rispondere con forza e determinazione. Questa esperienza ha acceso in lei una passione per l’attivismo, spingendola a condividere la sua storia per sensibilizzare sul bullismo e promuovere la gentilezza.
Un’Autrice e Oratrice Ispiratrice
Lizzie è una scrittrice prolifica e un’oratrice motivazionale di fama internazionale. Tra i suoi libri più noti ci sono “Lizzie Beautiful: The Lizzie Velásquez Story”, scritto con sua madre, e “Dare to Be Kind”, una guida che esplora l’importanza della gentilezza basata sulle sue esperienze personali. Attraverso questi testi, Lizzie ha consolidato il suo ruolo di leader nell’attivismo contro il bullismo, incoraggiando le persone a vedere oltre le apparenze e a concentrarsi sulle qualità interiori.
Il suo celebre TED Talk, “How Do YOU Define Yourself”, è un manifesto di empowerment personale e un invito a sfidare gli stereotipi. Questo discorso ha avuto un impatto globale, raccogliendo milioni di visualizzazioni e ispirando persone di ogni età a ridefinire il proprio valore.
La Scienza Dietro la Sua Condizione
La malattia di Lizzie è stata oggetto di studi approfonditi, che hanno identificato una mutazione genetica nel gene FBN1 come causa della sua condizione. Questi studi hanno anche contribuito a migliorare la comprensione di altre malattie genetiche rare, sottolineando l’importanza della ricerca medica. Nonostante le sfide fisiche e mediche, Lizzie continua a promuovere l’attivismo, dimostrando che ogni ostacolo può essere trasformato in un’opportunità.
L’Influenza dei Suoi Valori
La fede ha giocato un ruolo cruciale nella vita di Lizzie. Crede fermamente nel cristianesimo e attribuisce la sua forza e resilienza alla preghiera e alla connessione con Dio. Questi valori sono centrali nel suo messaggio, rendendo il suo attivismo una missione non solo sociale, ma anche spirituale.
Dal Cyberbullismo al Successo Mediatico
Nel 2015, il documentario “A Brave Heart: The Lizzie Velásquez Story” ha fatto il suo debutto al South by Southwest Festival, narrando la vita di Lizzie e il suo viaggio verso l’attivismo. Questo film ha ulteriormente solidificato la sua posizione come figura ispiratrice e ha attirato l’attenzione su questioni cruciali come il bullismo e l’accettazione.
Lizzie ha anche condotto il talk show “Unzipped”, dimostrando ancora una volta la sua versatilità e il suo impegno nel sensibilizzare il pubblico. Attraverso i suoi libri, discorsi e apparizioni mediatiche, Lizzie continua a essere una voce potente nel mondo dell’attivismo.
Conclusione: Un Modello di Attivismo per Tutti
La vita di Lizzie Velásquez è una testimonianza di come il coraggio personale e l’attivismo possano trasformare le avversità in opportunità di cambiamento. Con la sua voce e la sua determinazione, Lizzie ha toccato milioni di cuori, dimostrando che l’aspetto esteriore non definisce il valore di una persona. Il suo impegno nell’attivismo ha non solo cambiato la sua vita, ma anche ispirato una generazione a essere più gentile, accogliente e resiliente.
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It all started with the big bang
Stasera, novembre 2023, ho guardato l'ultima puntata di big bang theory.
E ho pianto, credo.
Perché ho cominciato a vedere big bang theory nel 2007, un po' a sgamo, in inglese sottotitolato in italiano (ma hey ai tempi per vederlo non c'erano altre possibilità).
Ho visto crescere nel tempo i personaggi, li ho visti maturare, e io sono cresciuto con loro. Ci sono stati alti e bassi, per anni ho anche litigato con loro, perché c'erano cose che non sopportavo. Che non volevo vedere. Che non mi interessava vedere.
A grandi linee era la storia di un gruppo di nerd che hanno a che fare con delle avventure quotidiane, ed ai tempi, facendo informatica all'università, me ne innamorai subito. Cazzo, ero io. Erano me. Avrei voluto essere loro, o con loro, non importava.
Ricordo che una delle prime battute era sul fatto di saper distinguere tra un'equazione differenziale ed un integrale: in quel periodo stavo provando a studiare analisi, una delle tante volte. Non sapevo niente di differenziali, ma avevo capito cos'era un integrale e avevo capito la battuta.
Voleva dire che ero come loro. Intelligente. Nerd. Avevo anche capito una battuta finissima. Mi sentivo coinvolto in quella ristretta cerchia.
Poi, alla terza stagione, litigammo. Litigammo, perché le cose erano noiose. Perché molte cose cambiavano. Perché stava somigliando tutto alla vita reale, stava somigliando troppo. Troppo simile al mondo dove le cose brutte accadono, dove le cose non vanno sempre come vorresti, dove c'è tempo e spazio per la noia, l'ansia. La tristezza.
Così smettemmo di vederci: uscì in Italia, la gente ne andava matta, ma io non la volevo vedere. Un altro motivo era che i personaggi stavano crescendo in fretta, troppo in fretta, e io che ero come loro, io che ero loro, no. Sopportavano i fallimenti, andavano avanti e si rialzavano. Io no.
Io ero bloccato. Ed ero invidioso. No. Ero arrabbiato.
Non facemmo pace nemmeno quando le cose andarono meglio, lentamente ma inesorabilmente, nella mia vita.
Poi, un giorno di tanti anni dopo, pensai di dargli un'altra possibilità.
Perché forse ora avrei potuto sopportare, o forse solo perché ero un po' cresciuto anche io e non mi sentivo così indietro.
Così ricominciai a guardarlo, e scoprii che altro ancora sarebbe successo, che intoppi, inconvenienti, passi indietro ed errori sarebbero piovuti dal cielo anche addosso a loro. Ma anche che la parte brutta che devi attraversare prima o poi finisce. Perché è fisiologico. Mi sentii stupido. Come potevo pensare che sarebbe finita lì? Che mi avrebbero lasciato con l'amaro in bocca? Certo, il rischio c'era. E non era affatto detto che non sarebbe stato definitivo. Alla fine un sacco di serie tv non finiscono come vorresti. Da buon nerd/uomo di scienza, non potevo escluderlo.
Ma non potevo mica vivere tutta la vita nell'indecisione e nella paura. Così pian piano, un pezzetto per volta, ricominciai lentamente a rivederlo.
E fu bellissimo.
E adesso, che è finita, ho pianto un po', perché ho capito che sono passati dodici anni, anzi molti di più, e in questi anni loro sono cambiati, e anche io lo sono, ed è successo tutto così gradualmente che se guardo la prima stagione, tutto è radicalmente diverso.
Persino i loro volti: erano dei giovani ventenni ai tempi, l'ultima stagione sono donne e uomini fatti.
Anche nella loro psicologia.
La loro trasformazione è la rivincita dei nerd: è il racconto di come anche delle persone estremamente introverse e "strane" piano piano crescono, si aprono. Si rendono vulnerabili. Diventano grandi. Diventano adulti.
E sono uniti da un'amicizia indistruttibile. Perché hanno vissuto tanto, troppo, insieme.
E guardando indietro, anche a me è successo. Sono "diventato grande" con loro. E adesso, che con un ultimo, fantastico inchino, le tende rosse si sono lentamente chiuse, ho capito che mi mancheranno. Tanto.
E che mi hanno dato tanto.
E soprattutto, che sono diventato grande. E anche se mi fa paura, ho degli alleati intorno a me per batterla: i miei amici e le persone che mi vogliono bene.
E un'altra cosa: che un viaggio di mille miglia incomincia con un singolo passo. E che davvero, ssmbra ogni giorno non cambi nulla, ma se guardi indietro ti accorgi di come le cose cambino.
Quindi niente, per me le tende rosse sono ancora aperte.
Sono pronto.
Si va in scena.
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LA SCIENZA BRUTTA. - Quando la scienza non è scienza. (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1343456589-la-scienza-brutta-quando-la-scienza-non-%C3%A8-scienza?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=LeonMarchon&wp_originator=w%2Brg3vky%2BV%2FdLm1wYMfIt%2B08CeyXD0sDGLyD1pbWDDyoOUf93iprnxIEFI%2B0SoX5%2FIkBOITuUWy77EHg4NBCn72wPHMD34PrzNYPNDLSVekv%2Fo4SGHvMXLApvFduhcXZ La cultura, il sapere, la scienza, non sono solo un insieme di dati, ma soprattutto il modo in cui uno specialista usa essa per aiutare gli altri - chiunque, non solo chi trovi gradevole, simpatico.
#cultura#difficile#disuguaglianza#divario#elaborazione#forte#gradevole#lavoro#passeggiata#politica#salute#sapere#scienza#simpatico#soluzione#tristezze#casuale#books#wattpad#amreading
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Amo la vita, per
questo non sopporto la morte.
La morte è il sangue dell'agnello,
è l'occhio aperto sul corpo immobile del vitello.
La morte è l'odore della paura del cinghiale
quando corre sul fango con i battiti del cuore dei cani da caccia in gola
e la sua anima cade sulle bacche di quercia.
È il cane sull'asfalto del cortile,
ghiaccio d'inverno nelle ossa,
rinnegato fuori dalla porta,
intrappolato senza ripari di bosco,
senza fratelli caldi.
La morte sono le tasche degli uomini dei laboratori della scienza,
una piena di soldi sporchi,
l'altra gonfia di cuori strappati agli animali più deboli.
È la luce negata dei capannoni,
dove i maiali leccano le ore sui muri e
sognano di correre.
È la lama che taglia la gola, la corda che la stringe.
La morte è una cosa brutta,
un sogno senza speranza, il sapore amaro
della sofferenza.
Gilda Jocle🖋
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Irresponsabili frequenti e casi rari - seconda parte del pippone
Ehi, ciao, sono sempre l'anon che ti ha spedito il pippone sulla reazione avversa e su come sono stato trattato al pronto soccorso, quello che ha rifiutato le benzodiazepine, sono il caso raro, quello che ha avuto tutti i sintomi della miocardite, ma senza la miocardite (che culo), sono quello che è stato un mese fermo a letto con il battito cardiaco e l'affanno di chi sta correndo, o a tratti scappando da cani ringhiosi, a letto.
Sono passati quasi due mesi dalla reazione avversa, da qualche giorno sono quasi quello di prima, sto molto meglio, e il non sentirsi quasi sempre sul punto di avere un infarto è molto rinfrancante.
Ho dato una mano a scaricare il green-pass a qualche conoscente che ha la carta d'identità elettronica e lo smartphone con l'nfc, e vedo gente che neanche voleva vaccinarsi, che ora scorrazza liberamente con il buon green-pass cartaceo ritirato in farmacia, fatto plastificare perché sennò si rovina, gente che ovviamente non ha avuto il minimo effetto collaterale.
Sicuramente ti starai chiedendo "E tu, caro anon?! Ti sei procurato il green-pass?"
La triste realtà e che neanche mi serve, perché non ho un euro e non vado da nessuna parte, ma per citare il buon Matteo Flora che ha fatto ormai suo il motto "estote parati", ho deciso di incominciare a muovermi per procurarmelo, ed essere eventualmente pronto. La circolare ministeriale che chiarisce cosa succede dal 6 agosto a chi non ha potuto terminare il ciclo vaccinale, e stata diramata il 5 agosto, e l'abbiamo letta in 7 o 8 circa: ho pensato "Bene, almeno è uscita".
Per farla breve, sono andato al centro vaccinale, ho spiegato tutto, mi hanno creduto, mi hanno detto che sono il loro primo caso raro (nuovamente che culo), ma non vogliono prendersi la responsabilità di produrre un certificato che mi esenti dalla seconda dose, e in generale da una vaccinazione, che mi ha fatto oggettivamente stare molto male. "Deve fartela il cardiologo" mi hanno detto, ho cercato di spiegare loro che è un mio diritto e un loro dovere verificare ed eventualmente certificare, ma nulla da fare. Allora sono andato dal cardiologo, il quale mi ha creduto, perché mi ha visitato quando stavo male, è ha trovato un cuore sano ma che batteva inspiegabilmente troppo in fretta, perché ha riscontrato delle disautonomie, delle anomalie al sistema nervoso autonomo, dei problemucci all'orologio del cuore, che anche a suo dire sono una reazione avversa alla vaccinazione. Ma il cardiologo non vuole prendersi la responsabilità di produrre il certificato di esenzione, perché, cito testualmente "Io mi occupo del cuore, e il tuo cuore è sano, quindi per me la questione e risolta, devi chiedere al medico di famiglia."
Ho fissato l'appuntamento con il medico di famiglia, gli ho accennato della circolare e tutto, pregate per me.
Da individuo che solo due anni fa si è vaccinato con il richiamo dell'antitetanica, antidifterica, ecc..., continuo a stare dalla parte della scienza, della microbiologia, della logica, e delle persone che nonostante tutto fanno del loro meglio per il bene di tutti, ma il fatto è che sto sviluppando una brutta reazione avversa all'umanità, spero mi passi in fretta.
Con viva cordialità, un saluto a tutti voi dal vostro pro-vax sfigato.
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L’improvvisa e insopportabile campagna contro gli scienziati “gufi” Di Selvaggia Lucarelli Tira una brutta aria per la scienza. Avevano iniziato i no-vax, dopo la fine della prima ondata, a inseguire ambulanze, a riprendere le anticamere dei pronto soccorso, a creare gruppi Telegram in cui progettare rivolte contro la dittatura sanitaria, contro gli esecutori dello sterminio di massa negli ospedali, contro i soloni della medicina. Poi i no-vax si sono fatti via via più silenziosi e il processo di delegittimazione della scienza ha cominciato ad avere interlocutori più autorevoli: la stampa e la politica. Non so se ve ne siete accorti, ma la scienza è passata dall’essere riferimento e àncora di salvezza a qualcosa di antipatico e fastidioso. I virologi non sono più “esperti”, ma “saccenti”. Se nella prima fase bersaglio di ironia e critiche erano stati i grandi ottimisti (da Zangrillo a Bassetti), ora tocca ai pessimisti: i meme su Crisanti, le battute sul “gufo” Galli e così via, fino alla inspiegabile campagna contro il consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi. Campagna che va avanti da giorni, con toni sprezzanti e impensabili, fino a qualche mese fa. Il tutto perché Ricciardi ha osato dire che servirebbe un “lockdown totale” e il Cts ha bocciato la riapertura degli impianti di sci. Un lockdown totale invocato anche da Galli, Pregliasco e Crisanti, tanto per citare qualche nome, e che non sarebbe certo il capriccio di qualche esperto che gode nel mettere i lucchetti ai bar. Semplicemente, la diffusione delle varianti del virus sembra fuori controllo e, considerato che a quanto pare la variante inglese ha un tasso di mortalità molto più alto del ceppo originario, secondo Ricciardi e gli altri la chiusura totale sarebbe necessaria. Apriti cielo. La corazzata anti-chiusure sui giornali ha ribattezzato Ricciardi “Cassandra”, ha rispolverato dei vecchi video sul suo passato da attore, ha riportato sue frasi inesatte sul virus del febbraio 2020, ha addirittura ipotizzato che questa sua “cannonata” sulle chiusure nasca da un supposto livore per non essere stato nominato ministro. In pratica, Ricciardi vorrebbe chiudere tutti gli italiani in casa per ripicca nei confronti del governo, certo. Se gli muore il cane che fa, ci fa inoculare arsenico anziché il vaccino? Ma l’insofferenza, nei confronti di Ricciardi, si estende anche alla politica. A parte i soliti leghisti – per cui l’idea di chiudere è impensabile (Salvini: “Non ci sta che un consulente del ministero della Salute una mattina si alzi e senza dire nulla a nessuno dica che bisogna chiudere le scuole e le aziende. Prima di terrorizzare tutti ne parli con Draghi”) – Davide Faraone di Italia Viva ha twittato: “Qualcuno comunichi a Ricciardi che siamo passati alla fase in cui si parla meno e si lavora di più”. Quindi, per Faraone, Ricciardi deve smettere di giocare a freccette al pub. Pub che vuole pure chiudere, per giunta, ma come si permette. “Ricciardi fa piombare la grande mietitrice sul collo, in un perenne ‘ricordati che devi morire’” scrive qualcun altro, come se non fosse chiaro che nel caso qualcosa dovesse andare storto e le varianti sfuggissero da ogni controllo, la colpa, ovviamente, sarebbe di Ricciardi, del ministro Speranza e di chi “doveva proteggere il paese e invece”. Come se non bastasse, arriva anche Matteo Bassetti che, forte delle sue previsioni azzeccatissime alla prima ondata, si lancia in nuovi suggerimenti: “Il lockdown totale non serve, bisogna tenere il virus sotto controllo e conviverci come stiamo facendo adesso, cambiando i colori a seconda della diffusione”. In pratica, siamo passati dal “bisogna precedere il virus” a “bisogna rincorrerlo con un’Ape Piaggio”. Il ministro leghista del Turismo, Massimo Garavaglia, battezza così la sua stima per Speranza e i suoi consulenti in tema di salute: “Assurdo che un ministro decida da solo”. Ma tu pensa, in tema di salute decide il ministro della Salute. Giovanni Toti propone che nella cabina di regia Covid entrino anche i ministri economici: “Entrino anche quei ministri che rappresentano la parte economica del paese, ovvero quelle categorie che più hanno sofferto le misure di contenimento del virus, così da poter far compenetrare le misure sanitarie con gli effetti che producono anche sul mondo dell’economia”. Dunque, la salute non è più una cosa della scienza, ma è cosa dell’economia. Esattamente un anno fa il virus si diffondeva in Val Seriana, si decideva di non fermare le aziende in una delle zone più produttive del paese e si contavano migliaia di vittime. Commentavamo indignati quell’osceno compromesso tra economia e salute, andavamo a caccia dei cinici che avevano deciso di non chiudere le aziende, ci sono indagini ancora in corso per accertare le responsabilità e oggi, quel compromesso odioso, lo si rivendica. A gran voce per giunta, e senza che nessuno si scandalizzi. Del resto, non guardiamo neanche più i bollettini dei morti, siamo assuefatti. Quello che però sembra sfuggire alla politica e alla stampa che percula “i pessimisti” è che non dobbiamo perdere di vista un tema fondamentale: arginare le varianti vuol dire mettersi in condizione di continuare a vaccinare. Se la pressione sulla sanità tornerà quella pesante della prima ondata, tutto il personale ospedaliero e i medici di base che devono vaccinare non potranno più farlo. Tutto verrà nuovamente inghiottito dall’emergenza, entreremo in un vortice di inefficienza che posticiperà le vaccinazioni e la ripresa per tutti, dunque anche per l’economia. Volete le piste da sci piene e la moglie ubriaca, ma non si può. E dirò di più: andrebbe ricordato ogni tanto che Cassandra, alla fine, aveva ragione. Speriamo che la variante muti anche la mitologia greca, ma per ora – forse – meglio darle ascolto.
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Oltre la morte
Un amico lettore mi ha scritto chiedendomi di parlare di un tema molto legato alla spiritualità, alla filosofia, nonché alla nostra vita: la morte. Essendo un argomento centrale della spiritualità a tutti i livelli, dobbiamo spaziare il più possibile tra le varie filosofie a nostra disposizione, questo non solo nel tentativo di rendergli giustizia, ma anche per sensibilità verso tutti i differenti approcci a questo delicato argomento.
Quando l’identificazione col corpo e la materia è molto forte, la morte dei cari è certamente una delle più strazianti cause di dolore e il solo pensare alla propria morte è ovviamente motivo d’angoscia e paura. Tendiamo dunque a non pensarci, a ritenerci immortali. La paura latente si presenta solo nei momenti in cui siamo faccia a faccia con la morte, così come il dolore per la morte altrui si scatena solo quando subiamo una perdita effettiva. Ognuno di noi, attraverso la ricerca interiore, filosofica o religiosa, cerca di trovare una chiave di lettura a questo fenomeno naturale ma sconvolgente. Il fatto che in ogni cultura e in ogni tempo troviamo la tendenza a negare o a giustificare in qualche modo il fenomeno della morte non è da sottovalutare, si potrebbe quasi dire che l’immortalità, o il superamento della morte, è lo scopo della spiritualità. A livello teorico ci sono tantissime ‘risposte’ e non possiamo trattarle esaustivamente. Possiamo però identificare tre filoni, con le tre ipotesi più diffuse.
Il corpo muore e nessuno lo nega. Continua qualcosa?
La risposta della spiritualità orientale, quasi nella sua totalità, sia teistica che agnostica, propone il samsara (ciclo di nascite e morti) e il famosissimo modello del karma. Il corpo sottile, composto da mente, vita e volontà, non termina con la morte del corpo ma si reincarna. Questo sistema filosofico è notoriamente improntato sull’importanza della responsabilità personale nella qualità delle vite che verranno vissute nel samsara.
La risposta della spiritualità occidentale religiosa è che continua l’anima personale. L’anima di cui si parla nella religione occidentale non è descritta come mente e volontà ma come ‘spirito’ individuale, un termine forse ancor più etereo di ‘corpo sottile’. Riflettendo però, dato che il tratto individuale continua, deve comunque avere una sorta di qualità interiore e la parola ‘mentale’ può ben adattarsi, a mio avviso, a descrivere la natura o il contenuto di tale tratto personale. L’anima individuale può corrispondere, più di quanto si creda, quindi al corpo sottile delle filosofie orientali. L’ anima viene chiamata ad un piano d’esistenza celestiale o spirituale. In altre filosofie religiose l’anima può essere chiamata anche ad un piano d’esistenza materiale, come nel caso della resurrezione. Tutte le religioni parlano di un qualche tipo di paradiso o inferno, ossia di un’esistenza più bella e spirituale o più brutta e penosa, anche nei contesti religiosi occidentali si dà dunque molta importanza alle azioni che compiamo, sottolineando che hanno delle conseguenze tangibili.
Una risposta agnostica in occidente sembra non esserci, invece c’è. Io ho tentato di mettere insieme i pezzi del puzzle con le comuni nozioni scientifiche e filosofiche che una persona di solito possiede in occidente, per far capire che la risposta c’è. Non serve per forza studiare filosofia, anche da completi ignoranti, come me, si può arrivare a comprenderla con semplicità. La continuità non è negata dalla scienza, né tantomeno dall’evidenza dei fatti. Non sperimentiamo ogni giorno le conseguenze delle nostre azioni e di quelle dei nostri predecessori nel mondo? Come abbiamo un dna per il corpo fisico, così abbiamo un ‘dna’ mentale e psichico, tra l’altro ben più potente di quello materiale. Lasciamo ai posteri un’eredità immateriale composta dalle qualità interiori e psichiche della nostra evoluzione, esattamente come un lascito materiale e le conseguenze pragmatiche delle nostre azioni. È la semplice legge della causalità a volerlo. È davvero importante che l’agnostico occidentale arrivi a capire e vivere questa realtà, perché le azioni che compie e il suo livello di maturazione mentale hanno conseguenze immense per lui e per tutta l’umanità. Solo comprendendo questo l’agnostico evolve interiormente e spiritualmente, senza bisogno di credere a nulla. (Per approfondimenti su tale modello leggi ‘La comprensione della mente’). L’unica cosa che cambia in questo modello è che l’’eredità’ non è per forza intesa come personale, ma può essere percepita in modo impersonale, evolutivo appunto.
Se le ponderiamo, le tre risposte sono molto più simili di quanto sembri a prima vista. Il karma sostiene la possibilità di vivere altre esperienze positive o negative e contempla un sistema di paradisi e inferni, proprio come in tutte le religioni che credono nell’anima personale. Il religioso non le interpreta quasi mai come ‘reincarnazioni’ in vite future o passate ma il fatto che l’anima continui ad esistere in altre realtà è innegabilmente simile. In fondo se un’anima personale continua a vivere e ad avere esperienze, deve avere una qualche forma di ‘corpo’, anche se celestiale ed etereo.
Il karma è anche molto vicino al sistema evolutivo occidentale che ho tentato di mettere insieme. L’interpretazione diversa riguarda esclusivamente l’identità. È un’anima personale a vivere più vite? O è un dato livello d’evoluzione mentale a prendere altre forme e vite? La differenza sta solo nel sentire il fenomeno come personale o impersonale. Una persona che ricorda vite passate può dedurne che lui, come entità individuale, ha vissuto quel ciclo di trasmigrazioni. Un’altra invece può interpretare quelle vite come il tragitto storico del ‘software’ che ha ereditato. L’evoluzione attraverso tanti ‘hardware’ (corpi fisici) e tante esperienze (vite) è di certo prova di continuità, ma non del fatto che sia personale o meno. Il fenomeno esiste ed è palese, mentre l’interpretazione che gli diamo è un punto di vista. A livello teorico purtroppo risposte definitive non ce ne sono, ci sono solo modelli di pensiero e filosofie. Le verità qui sono tutte ‘relative’. A questo stadio non possiamo fare altro, non abbiamo prove oltre a quelle che ci provvedono i sensi ogni giorno, le teorie che leggiamo e le percezioni che abbiamo grazie alla nostra intelligenza.
La cosa comune che salta agli occhi in tutte le risposte è però importantissima ed è il fatto che ciò che continua è fortemente influenzato da quanto s’impara nella vita presente. Questo è l’elemento comune a tutte le teorie e non è un caso. Perché finché percepiamo noi stessi come materia (grossolana o sottile) siamo soggetti alla legge naturale della causalità e dunque all’inevitabile formarsi di un ‘destino’ autodeterminato inconsciamente (da madre natura oppure da Dio per i credenti). Il fattore comune e centrale è anche la lezione che più urgentemente dobbiamo capire. Si deve prendere coscienza dell’enorme importanza che ha il modo in cui conduciamo la nostra attuale vita e l’inevitabilità delle conseguenze che produce. C’è chi la vede come una sorta di punizione divina e chi come una mera legge di natura, questo non è tanto rilevante quanto il risvegliarci al fatto che siamo qui per imparare ed evolvere.
Un altro elemento comune in questi modelli è che purtroppo nessuno di essi è davvero consolatorio. Sebbene sia fondamentale cominciare a ponderare seriamente la verità di base che esprimono, il ‘credere’ ad una di queste ipotesi solleva solo minimamente dal dolore del lutto e dalla paura della morte. Così come tendono a responsabilizzare molto poco l’essere umano, nonostante vergano tutti alla sua responsabilizzazione. Come sempre, purtroppo, la teoria non aiuta tanto, ma il nostro impegno personale nella ricerca diretta della verità può cambiare tutto.
Solo chi ha comprensione diretta della realtà esposta in quelle ‘nozioni’ sviluppa la responsabilizzazione e contemporaneamente anche una prima accettazione delle dinamiche della vita e della morte. Ancor più forte è l’esperienza diretta del fenomeno stesso della continuità, come si può avere nelle esperienze di pre-morte, di morte e ritorno, le esperienze mistiche, le esperienze di contatto con ciò che chiamiamo l’aldilà o con altre forme di spirito. Esperienze simili danno una certezza ben più profonda, in grado di liberare dalla paura della morte ed accettarla pienamente. Quasi nella totalità dei casi queste esperienze, se genuine, sono un detonatore per il proprio progresso spirituale. Aggiungo però che non sono strettamente necessarie, l’analisi profonda della vita e della propria interiorità può avere lo stesso risultato. La vita stessa è un’esperienza mistica, non serve per forza far esperienza di ‘altro’. Se si riflette molto su ciò che si vive di giorno in giorno si può giungere ad avere una percezione diretta della realtà, che ha lo stesso identico effetto delle esperienze mistiche. Ciò che in occidente chiamiamo illuminazione, il momento di comprensione profonda che inizia a trasformare la percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo, avviene spesso con (o non è altro che) un’esperienza di morte. Quasi nessuno lo dice direttamente, forse perché è talmente bella che la parola morte non si addice o forse perché non avrebbe un effetto molto allettante. Sta di fatto che la morte e la spiritualità sono intimamente connesse. ‘Rincarnatevi ora!’ diceva con tutta la sua energia Krishnamurti. Rumi poetava: ‘Se d’amore morirete tutti spirito sarete’. Ma anche chi ha avuto una qualsiasi esperienza di pre-morte o di morte ne descrive la dolcezza e non sarebbe mai voluto tornare indietro, quindi è la nostra concezione della morte ad essere sbagliata, almeno per chi ne ha avuto un assaggio! Un altro fatto da non sottovalutare è che la conoscenza diretta che ne deriva, nonostante sia confinata al singolo individuo e non costituisca una prova per gli altri, è talmente forte da non necessitare di alcuna convalidazione esterna. Ci sono persone libere dalla paura della morte che vivono senza parlare della loro esperienza rivelatrice per tutta la vita, per pudore, per umiltà o per rispetto alla grazia ricevuta. Qui si ha già una spiritualità palpabile e davvero utile alla propria vita, qualsiasi sia l’interpretazione personale dell’accaduto, si superano la paura e l’angoscia legate alla morte, grazie al salto di qualità che la conoscenza diretta rende possibile. Ciò non vuol dire però che si è alla fine del viaggio e chi lo vive in qualche modo lo sente. Come dicevo prima, l’esperienza diretta fa da detonatore al proprio progresso spirituale, è sia segno che motivo di progresso, il che vuol dire anche che non è la fine, semmai è l’inizio della vera spiritualità. Cerco di spiegare il perché.
Le parole ‘mondi’, ‘paradisi’, ‘vite’, ‘esperienze’ ricordano comunque la materia, (anche se più sottile) ed è l’identificazione con la materia a causare il nostro sentirci separati, individui, anime personali. Finché ci interessa la continuità dell’anima individuale non stiamo cercando la libertà assoluta alla quale possiamo aspirare. Il lato incoraggiante è che questa vita, che di etereo ha ben poco, possiede, in realtà, già tutto ciò che serve per realizzare la liberazione. Andiamo più a fondo.
Finché c’è qualcosa da esperire nella dualità, c’è separazione. La separazione è composta dalla triade: ‘io, mondo e Dio (o verità)’, la quale ha sede in un’altra triade basilare: conoscitore, conoscenza, conosciuto. Se l’esperienza o la manifestazione vissuta non porta ad uno scioglimento totale di questa triade si rimane in una specie di ‘materialismo spirituale’, in cui sappiamo dell’immortalità della nostra vera natura e ci sentiamo molto più vicini al divino, ma siamo ancora separati, siamo ancora anime individuali. Solo la realizzazione piena della propria natura arriva a spezzare la triade e a far vivere l’unità della vera sostanza: l’immanifesto nel manifesto, il trascendente nell’immanente, l’Assoluto dietro ad ogni manifestazione. Per far questo dobbiamo indagare il soggetto, conoscere chi sta dietro alla triade: il conoscitore.
Chi parte da agnostico e comincia a conoscere se stesso ha quasi un vantaggio in questo, perché, se ricordate, già dagli inizi mette in dubbio l’elemento dell’io ‘personale’, non solo, ma tende a ritenerlo la causa di tutti i suoi guai. Quello che in altri sistemi viene chiamato ‘anima personale’, ‘corpo sottile’ e viene sentito come qualcosa di positivo, che si brama continui, nella ricerca interiore è chiamato ego ed ha un’accezione tutt’altro che positiva. Spesso la via del ‘conosci te stesso’ o della non dualità è chiamata la ‘via diretta’ proprio per questo. Si fa prima, meno esperienze mistiche, meno giri turistici, meno nomi e forme, meno manifestazioni, meno pratiche (una sola) e soprattutto meno voglia di continuità. Ciò che spinge a cercare la liberazione in questo caso è spesso proprio l’opposto della continuità, è l’insofferenza per il samsara, si comincia a cercare la via d’uscita. Seguendo gli insegnamenti si indaga direttamente l’ego, se ne scopre l’inesistenza, ossia l’inesistenza della separazione e si arriva all’assoluto, alla non dualità (advaita vedanta).
Con ciò non voglio dire che un mistico non ci arrivi, me ne guardo bene! Il mistico arriva all’unione con Dio attraverso la via duale, la via dell’amore duale che scioglie l’individuo in Dio. Santa Teresa descrive dolcemente e cautamente (per via dell’inquisizione) come arriva a questa unione della sua anima con Dio, così come tantissimi altri mistici. Non metto in questione il percorso, perché alla fine arrivare all’unione è solo una questione d’intensità, di quanto lo si desideri. Una volta un devoto di Ramana Maharshi gli chiese: ‘perché non ho ancora raggiunto la realizzazione?’ e Bhagavan Ramana rispose: ‘perché non ne hai ancora avuto abbastanza!’ Che sia attraverso l’amore estatico o attraverso il grande desiderio di liberazione dal samsara, la giusta intensità arriva proprio quando non ci interessa la continuità del nostro piccolo ‘io’ separato, ma si brama solo l’assoluto. Allora si arriva all’unione. Non nel senso che si ‘raggiunge’ come un premio, ma nel senso che finalmente ‘ci si arriva’, si capisce e si riesce a vivere e a manifestare questa verità!
Tale grande realizzazione è possibile solo diventando ‘cibo per Dio’ (Ramana Maharshi). Nessuno può ‘vedere’ l’assoluto, non è una manifestazione; è ciò che c’è dietro a tutto, ed è per questo che se ne può divenire preda proprio andando profondamente dentro di sé. L’illusione dell’ego svanisce rimanendo nella propria fonte, dimorando nella propria vera natura. Così muore l’illusione della separazione: della materialità, della realtà oggettiva di un io individuale, di un mondo lì fuori e di una conoscenza oggettiva (di oggetti, di materia) di ‘cose’ separate.
Non a caso gli insegnamenti che vergono esclusivamente alla realizzazione offrono un modello di riferimento della percezione del mondo molto diverso dai modelli discussi prima, offerti dalle filosofie e le religioni che ammettono inizialmente questa triade. Il modello offerto dai più grandi saggi è l’irrealtà del mondo. Il mondo come un sogno. Pensateci bene, ciò che è davvero impermanente, transitorio e inafferrabile come un sogno è la materia. Un caro oggi c’è e domani no. Di giorno abbiamo un corpo, di notte un altro. Più studiamo la materia più scompare sotto ai nostri occhi. La materia può davvero essere una realtà fondamentale? Non con queste caratteristiche. Tutti i mistici, i medium, i filosofi, i saggi, i santi e gli yogi ai più alti livelli d’intensità e di serietà lasciano tracce di questa fase di ribaltamento della percezione della ‘realtà’. ‘Il problema è che abbiamo scambiato l’irreale per il reale, dobbiamo abbandonare quest’abitudine’ (Bhagavan Ramana Maharshi).
La continuità non è davvero il punto cruciale, dobbiamo scoprire chi è che continua e identificarci con la nostra vera natura. Stiamo vivendo una fase di ‘crisi d’identità’ nel samsara. L’identificazione con la materia è la causa di tale crisi e dobbiamo imparare a tornare in noi. L’identificazione piena con la nostra vera sostanza, con la coscienza/spirito, elimina ogni dualità, inclusa la dualità di vita e morte. Noi siamo oltre la vita e la morte, dobbiamo riscoprirlo.
‘La parola morte non ha significato’ (J. Krishnamurti).
Nota: Mi rendo ben conto che tutta questa teoria non ha alcun potere consolatorio, soprattutto se si sta vivendo un lutto. Tutte queste parole sembrano quasi un’offesa allo strazio di chi vive un lutto... è molto più utile l’abbraccio di un amico! Tutto suona talmente impersonale da apparire assurdo. Lo so, ci sono passata anch’io e credevo che questa filosofia non avesse alcuna applicabilità nella nostra vita di paure, di cordoglio, di malattie e di morte, invece ne ha! Se s’intraprende davvero il cammino, la differenza è notevole da subito e si fa più importante di giorno in giorno, donando incredibile sollievo nei momenti più critici del samsara. Anche se non arriveremo ad essere totalmente oltre la dualità e la morte, non c’è altro che funzioni così profondamente e così immediatamente e così efficacemente che conoscere davvero di che sostanza siamo fatti.
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HUNATI
(da Edmond Hamilton, “HUNATI”)
“L'uomo morto se ne stava ritto in piedi in una piccola radura nella giungla rischiarata dalla luna, quando Farris lo vide. Era un tipo piccolo, di carnagione scura e vestito di bianco, un tipico indigeno del Laos in quella che era allora l'Indocina francese. Se ne stava ritto senza appoggiarsi a niente, gli occhi sbarrati che fissavano senza batter ciglio innanzi a sé, un piede leggermente alzato. E non respirava. — Ma non può essere morto! — esclamò Farris. — I morti mica se ne vanno in giro per la giungla. Fu interrotto da Piang, la sua guida. Quel piccolo annamita presuntuoso aveva cominciato a perdere la sua impudente sicurezza non appena si erano allontanati dalla pista, e lo spettacolo di quel morto – ritto e immobile – aveva finito per deprimerlo completamente. Da quando erano capitati tra i kapok di quella zona così folta della foresta e per poco non erano finiti addosso al morto, Piang non aveva fatto che fissare con tanto d'occhi, terrorizzato, la figura impietrita. Ma ora sbottò, impetuosamente: — Quell'uomo è hunati! Non toccatelo! Dobbiamo andarcene subito. Siamo finiti in una brutta parte della giungla!”
A Farris verrà in seguito inoculata, contro la sua volontà (meglio non svelare perché per non rovinare lo sviluppo), la sostanza che trasforma gli umani in hunati…
“Farris si svegliò e restò un attimo stordito, domandandosi che cosa lo sgomentasse tanto. Poi capì. Era la luce del giorno. Arrivava e spariva a distanza di pochi minuti. La camera da letto era avvolta nell'oscurità della notte, poi l'alba esplodeva improvvisa. Un breve istante di sole splendente e ancora notte. Andava e veniva (mentre lui guardava, allibito) come il battitio lento e regolare di un gigantesco polso... sistole e diastole di luce e oscurità. Giorni ridotti a minuti? Ma come poteva essere? Poi, quando si svegliò completamente, ricordò. - Hunati! Mi ha iniettato la droga alla clorofilla nelle vene! Sì, era proprio hunati, ora. Viveva con un ritmo cento volte inferiore a quello normale. Per questo, giorno e notte gli sembravano cento volte più veloci di quanto non fossero in realtà. Erano già passati parecchi giorni. Si alzò in piedi barcollando e urtò la pipa, che cadde dal bracciolo della poltrona. Però non la vide cadere: sparì per un istante e l'istante dopo era là, per terra. - È successo tanto in fretta, che non ho potuto vederla. Farris sentì la sua ragione vacillare per l'impatto contro l'assurdo e si accorse di tremare violentemente. Lottò per riacquistare il dominio di sé. Questa non era stregoneria. Era una scienza segreta e diabolica, ma niente di soprannaturale. Si sentiva normalissimo. Solo dall'ambiente, soprattutto dal rapido susseguirsi di notti e giorni, capiva di essere cambiato”.
(...)
“Si addentrarono nella foresta, salendo verso il plateau di alberi giganteschi. Ora c'era un'orribile atmosfera di irrealtà in quel mondo assurdo. Farris non sentiva nessuna differenza in sé, nessuna sensazione di rallentamento. I suoi movimenti e le sue percezioni gli sembravano normali. Solo che tutto intorno a lui la vegetazione aveva acquisito una capacità di movimento frenetica, animale, nella sua rapidità. Le erbe gli spuntavano sotto i piedi come sottili lance verdi che si protendevano verso la luce. I boccioli si gonfiavano, esplodevano, allargavano nell'aria i petali dai colori vivaci, emanavano la loro fragranza e...morivano. Le foglioline novelle balzavano fuori gioiosamente da ogni rametto, vivevano intensamente il loro breve istante, poi appassivano e morivano. La foresta era un caleidoscopio di colori che mutava di continuo dal verde pallido al giallo-bruno e che fremeva quando le rapide ondate della crescita e della morte gli passavano sopra. Ma la sua vita non era pacifica e serena. Prima era sembrato a Farris che le piante vivessero in una placida inerzia, completamente diversa da quella degli animali che devono di continuo uccidere o essere uccisi. Ora capiva di essersi sbagliato. Lì presso, un'ortica tropicale strisciava verso l'alto, accanto a una felce gigantesca. I suoi tentacoli, simili a quelli di una piovra, si protesero di scatto, avvincendo la pianta vicina. La felce appassì, le sue fronde si agitarono con violenza, gli steli lottarono per liberarsi. Ma la morte pungente la sconfisse. Le liane strisciavano come grossi serpenti tra gli alberi, aggrappandosi ai tronchi, attorcigliandosi rapidamente sui rami, affondando le dure radici da parassita nella corteccia viva. E gli alberi si ribellavano. Farris vedeva i rami frustare e colpire i rampicanti assassini. Era come assistere alla lotta di un uomo contro un pitone che lo stesse stritolando tra le sue spire. E il paragone calzava. Perché gli alberi e le piante capivano. In un modo singolare, diverso, erano esseri senzienti come i loro fratelli più veloci. Cacciatore e cacciato. Le liane che strangolavano, la bella e mortale orchidea che come un cancro rodeva il tronco sano, i funghi striscianti come lebbra...erano i lupi e gli sciacalli di quel mondo fronzuto. Perfino tra gli alberi - Farris se ne rendeva conto - l'esistenza era una squallida lotta senza tregua. Anche il kapok, il bambù e il ficus conoscevano il dolore, la paura e il terrore della morte. Li udiva. Ora che il suo nervo acustico aveva acquisito una sensibilità straordinaria, udiva la voce della foresta, la vera voce che non aveva niente a che fare con il fruscio ben noto del vento fra gli alberi. La voce primordiale della nascita e della morte che parlava prima ancora che l'uomo fosse giunto sulla Terra e che avrebbe continuato a parlare quando se ne sarebbe andato. Dapprima aveva captato solo un tumulto frusciante. Ora riusciva a distinguere i suoni separati... il grido sottile dei fili d'erba e dei germogli dei bambù che schizzavano fuori dal terreno, il gemito dei rami strangolati, la risata delle foglie novelle alte nel cielo, il sussurro infido dei rampicanti che si attorcigliavano. E quasi riusciva a udire i pensieri parlargli nella mente. I pensieri antichissimi degli alberi. Si sentì invadere dal terrore. Non voleva ascoltare i pensieri degli alberi. E il lento, costante pulsare di ombra e luce continuava. Giorni e notti che passavano a velocità vertiginosa sopra l'hunati”.
Se vi ha sedotto, buona caccia per le bancarelle dei libri usati...
#harry kipper#weird#science fiction#hunati#alfred elton van vogt#zonen van guttusen#racconti fantastici#racconti fantascienza#avvincente
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Uno dei miei peggiori difetti è che non riesco ad avere mai la risposta pronta. Provo una profondissima invidia verso quelli che sanno rispondere sempre a tono e non si fanno mettere i piedi in testa da qualsivoglia persona. Sciaguratamente io non sono così brava. Al minimo attrito col prossimo perdo subito il filo, non ricordo più quello che stavo dicendo e dopo tre secondi mi trovo in testa non solo i loro piedi, ma persino le ruote dell'auto, il bidone dell’organico e la pianta di gerani dal balcone. Ho ragione di credere che il mio sia semplicemente un problema emotivo in quanto io in realtà la risposta ce l'ho, il problema è che mi viene in mente dopo un paio di settimane e, credetemi, è molto fastidioso svegliarsi alle tre di notte gridando " il quadro prospettico da lei paventato non rispecchia la realtà delle cose!" ed è ancor più imbarazzante trovarsi a cena al ristorante con la tua migliore amica e d'improvviso gridare: "Il suo linguaggio molto poco aulico e forbito non mi spaventa sa caro lei!" e risvegliarsi dal coma momentaneo davanti agli occhi spiritati dell'amica spaventata ignara di cosa stia parlando peggio di me.
E' per questo motivo che ho iniziato ad appuntarmi in anticipo le risposte a tutte le probabili contestazioni, confutazioni, recriminazioni e interpellanze varie le quali potrebbero essermi rivolte. È un lavoro certosino e faticoso, ovvio, ma onestamente non riesco a trovare una soluzione migliore al mio dramma psicologico. Da questo duro lavoro ho ricavato un primo elenco di , diciamo così, risposte preincartate di cui potrei iniziare a testare l'utilità iniziando con i miei amici per arrivare ai parenti, ai vicini e così fino ai salumieri (brutta razza). Almeno così, se proprio non posso avere la risposta pronta, posso sperare di trovarne una dalla lista già incartata con il fiocchetto rosso. Successivamente dovrei però anche riuscire ad impararle tutte a memoria se non voglio rischiare di perdere troppo tempo nel cercarla in lista con la conseguente sparizione dell'interlocutore dopo avermi fanculizzato per bene.
Eccone alcuni esempi:
Non ci sono più le canzoni di una volta.
In compenso però le frasi fatte sono sempre uguali.
Non si dimentichi con chi stai parlando.
Impossibile, lei ha un alito inconfondibile.
Lei non sa chi sono io.
E me ne magnifico.
Facciamo che se decido di venire ti chiamo.
No, facciamo direttamente che non vieni, così ti risparmio una telefonata.
Fuori menù abbiamo anche una favolosa faraona all’aceto balsamico.
No, grazie, gli avanzi li dia pure al gatto.
Non dirmi che non lo sai.
Perché sforzarmi di sapere cose che posso chiedere al primo fesso che mi capita davanti?
Sei una persona triviale.
Mi sforzo continuamente di piacerti.
La scienza non spiega tutto.
Certo, ma almeno tenta di farlo a dispetto tuo che non ci provi nemmeno.
Forse non sai cos’è l’amore.
Se è quello che poi ha prodotto come frutto di sè te è molto meglio che non lo conosca.
Bisogna avere le palle.
Vedi che le tue le hai dimenticate l'ultimo Natale sull'albero.
Non mi faccio illusioni.
A parte quest'ultima.
Come fai a non credere a nulla?
E tu come fai a credere a tutto?
Ci vorrebbe una democrazia dal basso.
Più dal basso di così non credo sia possibile.
Se Dio non esiste, tutto è permesso: rubare, uccidere...
Come anche inventare religioni.
Bestemmiare è stupido.
Sì, ma è l'unica cosa che possiamo fare.
Il sistema non funziona.
Ah, ecco, giusto questo volevo sapere: spiegami nei particolari in cosa consiste questo stramaledetto sistema, che obiettivi ha, quali dettami segue, chi li ha stabiliti, quali sono e quante le persone che ne fanno parte, perché cazzo non funziona mai e soprattutto rispetto a cosa dovrebbe funzionare. Dopodiché spiegami anche come mai sei qui a sfondarti di birra con me invece che insegnare a Cambridge.
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Dopo molto tempo scrivere solo per me è una novità. Novità che in realtà non so se potrà portare solo cose positive. Ho in mente tanti progetti, tante cazzate, tante ambizioni e mentre gli One Direction cantano nelle mie orecchie canzoni parecchio velate su notte di sesso sfrenato mi chiedo se la vita sia veramente vivibile in una società solo se le cose che pensiamo, viviamo o siamo sono ricoperte da un velo. So perfettamente che da sotto un velo si possono comunque vedere la luce e i colori ma forse dovremmo solo pensare meno e agire di più, e mandare dolcemente a fare in culo tutti quelli che dicono che dovremmo essere razionali e ragionare prima di muoverci.
È stata una brutta giornata, iniziata male e finita peggio, perciò forse è solo questo che in realtà mi fa venire voglia di mettere le mani sulla tastiera, a schiacciare tasti, di scrivere le mie emozioni perché sono la prima a non saperle gestire e, cazzo, io voglio saperle gestire. L'unica certezza che ho sempre avuto della matematica è che in un modo o in un altro la soluzione può essere solo una, e il modo per arrivarci può essere il più complicato del mondo ma ci arrivi, ti scavi la fossa, usi la calcolatrice per sbrogliare la matassa di calcoli che compongono qualsiasi cosa tu stia tentando di risolvere e alla fine riesci a vedere la luce, la conclusione, la soluzione a tutto.
Per questo, quando paragonano la matematica alle lingue ci rido sopra, non potrai mai dirmi che ottomila verbi sono paragonabili alla certezza assoluta dei calcoli, nella lingua puoi improvvisare in modo o in un altro ti capiscono comunque, la matematica è una scienza incredibilmente piena di certezze e non c'è possibilità di cambiarla.
Allo stesso tempo sono la prima ad essersi messa in gioco scegliendo quello che per me era tutt'altro che certezza, le emozioni sono sciocchezze, troppo complesse da analizzare, andiamo avanti con le bende sugli occhi come in quel cavolo di film e pretendiamo di riconoscere tra il buio davanti a noi qualcosa di concreto.
Perché purtroppo inciampare fa perdere tempo, meglio girare in tondo che fermarci a ragionare, meglio respiri corti e veloci a lunghi e controllati. Siamo, sono, l'incoerenza presa dal dizionario e fatta di carne, con un assurdo egocentrismo narcisistico, voglia di sopravvivere, sottostanti al capitalismo, sottostanti alle regole, alla politica, alla normalità, alla routine, alle emozioni, a noi stessi più che agli altri. La gabbia dove ci siamo infilati non sarà mai come l'esterno ma almeno ci protegge dalle tempeste.
Uccelli che si sono tarpati che ali da soli perché volare comporta anche la possibilità di morire e siamo troppo egoisti verso noi stessi per poter pensare di perderci anche solo un minimo secondo di una vita intera, la monotonia, le certezze, un conto in banca su cui possiamo contare, le persone su cui possiamo contare, la certezza del non abbandono da parte della famiglia, la voglia di vivere in confronto ci sembra una mera merendina delle macchinette presa a un euro perché non abbiamo avuto il tempo di avere un pranzo decente tanto vogliamo continuare a fare cose che non ci porteranno da nessuna parte.
Forse questi sono solo gli sfoghi di una diciassettenne in piena crisi sentimentale, forse sono gli sfoghi di un'intera generazione di adolescenti che preferisce guardare a fare, sognare a creare, forse sono solo piena di pare mentali e forse non riuscirò mai a capire dove possa portarmi questo discorso ma, in un modo o in un altro, è un inizio, il mio inizio e se non vi sta bene fanculo, ho perso troppe certezze nella vita è il momento di crearle, di trovare il mio di risultato.
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Ma è un canto brasileiro - Lucio Battisti (1973)
Io non ti voglio più vedere, mi fai tanto male
Con quel sorriso professionale
Sopra a un cartellone di sei metri
Od attaccata sopra a tutti i vetri
Non ti voglio più vedere, cara
Mentre sorseggi un'aranciata amara
Con l'espressione estasiata
Di chi ha raggiunto finalmente un traguardo nella vita
Io non ti voglio più vedere sul muro davanti ad un bucato
Dove qualcuno ci ha disegnato pornografia a buon mercato
Oh no, non ti voglio vedere intanto che cucini gli spaghetti
Con pomodoro "peso verità tre etti"
Mentre un imbecille, entrando dalla porta
Grida un “evviva” con la bocca aperta
Col dentifricio “pure trasparente"
Dove ti fanno dire che illumina la mente
E mentre indossi un "super, super, super reggiseno
Per casalinga tutta-veleno"
E mentre parli insieme a una semplice comparsa
Vestito da dottore, che brutta farsa!
Ti fanno alimentare l'ignoranza
Fingendo di servirsi della scienza! Oh no!
Ah, ma è un canto brasileiro
Ah, ma è un canto brasileiro
Ah, ma è un canto brasileiro
Ah, ma è un canto brasileiro
Eppure non sei meno bella in casa senza cerone
Non voglio dire che sei una rosa, sarei un trombone
Ma ti vorrei vedere qualche volta in bikini
Senza sfondi di isole lontane e restare un po' vicini
Io ti vorrei vedere mentre cogli l'insalata dell'orto
Che vorrei avere coltivato prima di essere morto
Oh no! Anche se guadagni centomila lire al giorno
Non ti puoi scordare che la vita è andata e ritorno
Oh no, no, oh no
Non ti voglio vedere vendere i giorni e le sere
Ti capirò se un altro uomo un giorno vorrai
Ma consumare la tua vita così non puoi
Non puoi partecipare a quella storia
Dove racconti che la benzina
Quasi, quasi, quasi purifica l'aria
Sarà al mentolo l'ultima scoria!
Fotografata insieme a dei bambini
Che affidi al fosforo dei formaggini!
Ah, ma è un canto brasileiro
Ah, ma è un canto brasileiro
Ah, ma è un canto brasileiro
Ah, ma è un canto brasileiro
#ma è un canto brasileiro#lucio battisti#mogol#giulio rapetti#il nostro caro angelo#1973#musica#musica italiana#musica rock#rock#Youtube
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