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Las raíces de la música moderna (parte I)
Las raíces de la música moderna (parte I)
“agarrar una escala y hacerla gemir” Por supuesto las esotéricas y académicas exploraciones de vanguardistas como Anthony Braxton o Cecil Taylor puede que estén ,al menos aparentemente,a años luz de las innovaciones tempranas de Louis Amstrong o Sidney Bechet. Sin embargo en su esencia ambos enfoques divergentes están imbuidos por el espíritu de la creatividad espontánea, Continue reading…
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Era una Geniale Canaglia: Il Thriller Giudiziario di Luigi Manglaviti che Sfida le Regole del Genere. Recensione di Alessandria today
Un racconto corale che mescola giallo psicologico, sociologia e intrighi giudiziari
Un racconto corale che mescola giallo psicologico, sociologia e intrighi giudiziari Con “Era una Geniale Canaglia”, Luigi Manglaviti ci propone un romanzo unico nel suo genere, che intreccia thriller, sociologia e una narrazione avanguardistica. La storia, disponibile in formato Kindle, si articola attraverso un caleidoscopio di voci, testimonianze e punti di vista che trascinano il lettore in…
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CHARLES MINGUS E ORSON WELLES
CAPODANNO AL FIVE SPOT
Capodanno 1959, seduto in prima fila, proprio sotto il contrabbasso di Mingus c’era Orson Welles, quasi un alter ego del jazzista, per genialità, esuberanza, fierezza, complessità. E anche per le tante disavventure artistiche. Per Mingus era un idolo, lo seguiva dai tempi radiofonici di The war of worlds, adorava Quarto potere (dove in una scena c'era il suo amico d'infanzia Buddy Collette che suonava il sax in una festa sulla spiaggia), ammirava il suo modo di vestire, il suo impegno politico (sempre in prima linea per la difesa dei diritti civili, il suo Macbeth tutto nero è del 1936), la sua voce (“mi ricorda Coleman Hawkins. Potevi sentirla a un miglio di distanza”). E non era il solo jazzista a essere stato sedotto dalla voce radiofonica di Orson Welles, anche Miles Davis lo citava come un’influenza sul suo modo di suonare: “Fraseggio, tono, intonazione: tutte queste cose possono avere come modello un maestro della parola”.
Il 1959 sarà un anno d’oro del jazz per quantità, qualità, creatività. Al Five spot, piccolo, fumoso, maleodorante locale di Bowery, scelto come luogo di riferimento da artisti e intellettuali, l'anno comincia con un formidabile double bill: sono di scena, uno dopo l’altro, Sonny Rollins, alla testa di un trio con il bassista Henry Grimes e con il batterista Pete La Rocca, e Charles Mingus con il pianista Horace Parlan, il batterista Roy Haynes (che sostituisce il fedelissimo Dannie Richmond arrestato) e i sassofonisti Booker Ervin e John Handy. È la prima sera dell’anno, ma nel club di Bowery dei fratelli Joe e Iggy Termini è anche l’ultimo impegno di quel prestigioso, favoloso cartellone con Mingus molto irrequieto per tutta la scrittura. Aveva appena registrato la musica per il film di John Cassavetes Shadows, una colonna sonora bocciata nel rimontaggio finale (la stessa cosa sarebbe successa anni dopo con Todo modo di Petri), aveva ripreso i suoi musicisti brutalmente e una volta aveva minacciato violentemente i clienti di un tavolo che, durante il suo set, non smettevano di parlare. Oltretutto ogni sera tendeva ad allargare il suo set e Sonny si inferociva, talvolta rifiutandosi di suonare. Ma era un gran clima, entusiasmante e effervescente. Rollins era in un momento di transizione, alla vigilia di un ritiro clamoroso per rinnovare il linguaggio del suo sax tenore con il leggendario e solitario corso di aggiornamento stilistico sul ponte di Williamsburg: «In un posto tranquillissimo, un angolo morto che oggi sarebbe impossibile ritrovare con il traffico che c’è» il suo racconto, dove poteva esercitarsi liberamente.
Anche Welles, come Mingus, era reduce da una delusione cinematografica: la Universal gli aveva tolto di mano la post-produzione del nuovo film, L’infernale Quinlan, ne aveva tagliato una ventina di minuti e aveva fatto girare nuove scene, modificando il primo montaggio. Più o meno nello stesso periodo era finito in soffitta un documentario intitolato Viva Italia (Portrait of Gina) perché Gina Lollobrigida aveva messo un veto, non gradendo il suo ritratto di giovane attrice ambiziosa e la Abc tv lo aveva bocciato ritenendolo cosi poco ortodosso da non poter essere trasmesso. Era un film di mezz’ora scarsa sull’Italia, paese che Orson ha frequentato per 20 anni (la terza moglie è stata l’attrice italiana, Paola Mori). Dopo un lungo oblio (Orson aveva perduto l'unica copia esistente all'Hotel Ritz di Parigi) è stato riscoperto nel 1986, proiettato al festival di Venezia ma poi di nuovo bandito su intervento della Lollobrigida.
La presenza del regista di Quarto potere al Five spot non era casuale
Nel club di Bowery si poteva incontrare chiunque, da Jack Kerouac che leggeva le sue poesie, alla mitica baronessa Pannonica de Koenigswater scesa dalla sua Rolls Royce, a William de Kooning che voleva respirare la libertà del jazz, a Leonard Bernstein che si divertiva a curiosare nella notte, allo scrittore Norman Mailer con la sua passione per quella musica. Ma la musica da sempre è stata una grande passione di Welles. La mamma pianista gli aveva fatto prendere lezioni di piano e violino e Orson aveva anche mostrato un certo talento, tanto da essere considerato un ragazzo prodigio. In gioventù era stato un grande sostenitore del jazz di New Orleans, ma sicuramente ammirava Charles Mingus per la sua musica e la sua personalità, il suo impegno, il suo agire tellurico.
(Marco Molendini)
Non potevo non condividerlo.
Due miei ingombranti miti nella stessa foto, nello stesso locale, nello stesso articolo.
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Storia Di Musica #307 - Edizione Speciale Natale 2023 - Dylaniati Vol.1
Per queste due ultime storie musicali del 2023 ho voluto giocare un po', sempre però partendo dal disco del mese, Bringing It All Back Home di Bob Dylan. Pochi dischi sono stati più seminali, nel vero senso del termine: non si parla solo di successo commerciale, questione che con Dylan è sempre stata relativa (per dirne una, ha più numeri 1 in Gran Bretagna che negli Stati Uniti), ma di una fondamentale spinta creativa e di ispirazione, che dura da 6 decenni. Dylaniato è il titolo che Tito Schipa Jr diede ad una sua compilation di riletture di classici dylaniani, nel 1987. Il titolo mi è sempre piaciuto, e lo userò per una carrellata di omaggi al menestrello di Duluth, che insieme ai Beatles è l'artista più coverizzato di sempre.
Isabella Lundgren è una giovane e talentuosissima jazzista svedese, che nel 2019 prende in prestito l'iconica copertina, cambiandone dei particolari: lei è insieme ai suoi musicisti, Dylan era con la moglie del suo manager Grossman, i dischi sul tappeto riprendono l'idea della copertina originale, tra le scelte dell'artista svedese spicca Kind Of Blue di Miles Davis. Lundgren sceglie alcuni capolavori della discografia di Dylan e li riarrangia con stile, accompagnata dalla sua voce calda e bellissima: spiccano una versione riuscitissima di The Times They Are A-Changin' (sempre dolorosamente attualissima) e una Forever Young dolcissima; il titolo non è una canzone di Dylan ma una nuova canzone scritta da Brian Kramer, cantautore newyorkese.
La musica di Bob Dylan è stata a lungo molto apprezzata in Giamaica (i Wailers registrarono una strana, inquietante versione di Like A Rolling Stone già nel 1966), e data la sorprendente elasticità mutevole delle sue canzoni (e l'altrettanto elastica adattabilità delle sue canzoni ai ritmi reggae), ecco a voi un disco celebrativo in stile reggae delle sue composizioni: sebbene suonino stranissime, alcune canzoni acquistano significati ancora più profondi, come Toots Hibbert che a Maggie's Farm conferisce un'ulteriore intensità in ricordo dei canti per far rimanere glis chiavi nelle piantagioni a lavorare, ma è notevole anche la Mr. Tambourine Man interpretata dal grande Gregory Isaacs. Del disco esiste anche un Volume 2, questo:
dove le stesse canzoni sono remixate in dub style.
Ma uno dei più recenti, siamo nel 2010, e interessanti omaggi al genio è questo, che si intitola Subterrean Homesick Blues: A Tribute to Bob Dylan's Bringing It All Back Home, dove alcuni dei più interessanti cantanti e musicisti della scena indie rock americana rilegge i classici immortali di questo disco, avvicinando ai capolavori originali l'ennesima generazioni di giovani. La compilation presenta le cover di artisti come The Morning Benders, Peter Moren del gruppo Peter Bjorn And John, i Castanets (con una versione originalissima di Maggie's Farm), Asobi Seksu, Mirah, o The Helio Sequence che rifanno con delicatezza Mr Tambourine Man. Tra le canzoni, anche alcune outtakes che uscirono nella leggendaria prima uscita delle Bootleg Series (The Bootleg Series Volumes 1–3 (Rare & Unreleased) 1961–1991, un disco fatto di "canzoni scartate" che sono tutti dei gioielli assoluti). Tra le curiosità, la versione di una di queste, If You Gotta Go, Go Now, reinterpretata da Josh Tillman, che fa parte dei bravissimi Fleet Foxes, grazie al fatto che venne usata in una serie TV, divenne una piccola hit.
Meraviglia di Dylan e delle sue canzoni!
Buon Natale e il 31 Puntata Speciale Numero 2.
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Nel 2001 quando ancora avevo belle speranze musicali andavo a lezione da un jazzista ganzo, e mi ricordo bene che era il 2001 perché lui dava lezione in uno scantinato-bunker isolato dal mondo e fui io a dirgli il pomeriggio dell’11 settembre che avevano tirato giù le torri gemelle a nuovayork, e lui mi guardò con quell’attimo di dubbio e smarrimento che al suo posto avrei avuto ugualmente, chiedendosi se fosse più probabile una cosa del genere o che io fossi fuori come una cotenna.
Delle sue lezioni ricordo in particolare una volta che parlando di jazz e assoli mi disse “Puoi tenerli anche semplici, l’importante è che tu non faccia piri-piri” (pronunciato con faccia schifata). Alla mia richiesta di chiarimenti su cosa fosse di preciso piri-piri inizia a tirare uno slegone jazzettone a manetta e dopo una trentina di secondi si ferma guardandomi. Io avevo capito che mi stava mostrando una cosa da non fare ma ero troppo impegnato a raccogliere la mascella per realizzare cosa ci fosse di sbagliato. “Capito?” “Certo! E questo non va bene perché....” “È morto! Ritmicamente è morto. Non comunichi niente.” E lì ho realizzato che in effetti aveva tirato una sfilza ininterrotta di turbotrentaduesimi senza un minimo di variazione ritmica. A più di vent’anni di distanza, sarei felice di dirgli che in vita mia non ho mai fatto piri-piri, però per i motivi sbagliati.
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Il jazzista americano Chet Baker (1929 - 1988)
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¿Existe la originalidad?
"Los buenos artistas copian, los genios roban".
Una frase que alguna vez Steve Jobs pronunció la cual atribuyó a Pablo Picasso. Hace referencia a que la genialidad muchas veces solo es la capacidad de ver lo que ya existe a través de una nueva luz.
Esta es una verdad que los jazzistas conocen bien, básicamente la evolución del jazz se dio a través de un montón de músicos copiándose unos a otros, irónicamente el jazz es sinónimo de creatividad, originalidad e innovación.
De hecho existe una práctica muy común dentro del jazz llamada contrafact que consiste en tomar la armonía de una canción existente para crear una nueva. Algunos contrafact famosos son Donna Lee atribuida a Charlie Parker (aunque en alguna ocasión Davis reclamó su autoría) la cual toma su armonía del standard Back Home Again In Indiana, otro muy famoso es Oleo de Sonny Rollins que toma su armonía de I Got Rhythm.
Un músico que llevó está práctica un paso más allá fue John Coltrane, etiquetado como genio en más de una ocasión. En 1957 publicó el álbum Blue Train donde se encuentra uno de sus temas más famosos: Lazy Bird el cuál es básicamente un contrafact del tema Lady Bird de Tadd Dameron, sin embargo a la progresión original coltrane sustituye los movimientos de ll-V por una back door cadence para luego resolver en una sorpresiva modulación de tercera mayor descendente.
Utilizando esta técnica Coltrane crearía varias canciones a las que se les conoce como temas de sustitución de Coltrane.
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Nell’operazione gli fu rimossa la malformazione e anche un pezzo del lobo temporale sinistro, una porzione della corteccia cerebrale collegata prevalentemente al linguaggio. Quando si svegliò, raccontò in seguito, non riconobbe le persone in piedi intorno al suo letto. Erano i suoi genitori.
«Quando non ricordi qualcosa non hai idea della sua esistenza. E risvegliandomi dall’operazione, non ricordavo niente. Ma non era un sentimento straniante. Se avessi saputo che ero un chitarrista, se avessi saputo che le due persone in piedi vicino a me erano i miei genitori, avrei provato i sentimenti che ci si aspetta in casi simili. Sarebbe stato molto doloroso capire che cosa stavano passando, e perché erano lì a guardarmi. Ma non era doloroso perché per me erano solo sconosciuti»
Martino non sapeva più come si chiamava, chi erano le persone care della sua vita, e aveva perso qualsiasi conoscenza e inclinazione musicale. «Non avevo interesse verso la musica, né la memoria muscolare di come si suona la chitarra» scrisse in seguito.
Ma la sua famiglia lo aiutò pian piano a ricordare, con le storie, con le foto, e con i suoi dischi. Era stato suo padre a farlo appassionare alla musica da bambino, utilizzando la psicologia inversa: gli proibì di suonare una chitarra conservata sotto il letto fino ai 12 anni. Per Martino fu una sofferenza nella sofferenza assistere al dolore del padre che lo vedeva senza memoria della grande musica che aveva composto e suonato negli anni precedenti. Musica di cui lui non ricordava niente, almeno all’inizio.
[...]
Nel 2000, dopo un concerto al Blue Note di Manhattan, il celebre attore Joe Pesci andò a salutarlo nel camerino. Lui si disse suo grande fan, menzionando alcuni dei suoi film più famosi, e Pesci gli disse: «Non ti ricordi, vero? Ti dirò cosa bevevi nel 1963 allo Small’s Paradise: il Grasshopper». Martino, stimolato dal nome di quel cocktail, improvvisamente ricordò di quando quarant’anni prima era stato un caro amico di Pesci, che all’epoca faceva il cantante nei club di jazz.
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Zumi Rosow. Una diva para el postcapitalismo punk.
Por Cinocéfalo.
La nueva ley salvaje de las ciudades nos habla de la dispersión de las diferencias desde hace ya tiempo, como producto de valor y cambio. Las rígidas normas del conservadurismo de mercado quedaron atr��s para algunos: aquellos que comprendieron con detalle las reglas del renovado juego. Al menos de manera visible, para quien pueda pagarlo, todo es flexibilidad discursiva por vender. Esto, a los códigos del esfuerzo marcial disfrazados de emprendedurismo, puede sonarle algo lejano, aunque ahora siempre deseable. La autoridad neoliberal puede, como espectadora que se toma un tiempo para soñar, permitirse el arte, aunque siempre para el mercado. Porque los oropeles del nuevo postcapitalismo son pagados cada vez mejor.
Y, tenemos representantes seductores que, a pesar de emitir señales sobre el desarrollo de las nuevas subjetividades reproducidas al infinito, nos cautivan a muchos de quienes, de un modo u otro, vivimos de ello a pesar de las contradicciones que les subyacen. Acá uno de estos casos: Zumi Rosow aparenta ser una pirata transexual cuasi-yonki venida de las calles, con su diminuto diente de oro y joyería que envuelve todo su cuerpo, y que parece haber sido encontrada en las alcantarillas o en bazares de pulgas. Pero, a pesar de ese acercamiento a un cierto tipo de indigencia, nada más inexacto: se trata de una modelo que en recientes fechas le ha prestado su nombre, nada menos, que a uno de los bolsos de la marca Gucci.
Polifacética, como cualquier productor cultural contemporáneo que, habiendo pasado por las instituciones de educación, se ha dado cuenta más pronto que tarde de que todo ahí se pudre. Así, no hace falta leerlo en su biografía: Zumi Rosow también se ha saltado las leyes anacrónicas de los sistemas disciplinares (que perviven, a pesar de todo). Actriz, modelo, diseñadora de joyas, saxofonista y diva elevada a condición de rockstar por sus compañeros del grupo Black Lips: banda que ha transitado por los mismos caminos. Sus ritmos de un garage duro y abiertamente profano retan, desde los canales alternos de la difusión, los mitos y moralidades de las clases medias norteamericanas. Sus señales son, evidentemente, venidas del punk y toda su reconstrucción mercadológica, luego de sus primeros años contraculturales. Lo que Rosow hace es muy parecido: un revival del todo efectivo para los hijos de las distopías civiles contemporáneas.
Habiendo nacido en Atlanta, una de las ciudades estadounidenses con mayor índice delictivo, la banda Black Lips evoca una belle epoque punkera que enfila toda su potencia con la máscara de los terrores demoniacos, para plantarle cara a los puritanismos de las nuevas eras de hiperdifusión y conectividad. Y aquello funciona muy bien: vómitos y sangre, orgías en el bosque, drogas y violencia, como si se tratara de un berrinche dirigido hacia la normalización de un sistema que requeriría de una moral de perogrullo para hacer que los hijos gringos crecidos en los suburbios sean parte de la gran maquinaria de mercado. Antes de la llegada de Zumi Rosow a la banda, estimulaban una producción motivada por el accionismo vienés, movimiento de arte de la década de los sesenta en el cual, por ejemplo, Hermann Nitsch rociaba sangre y trabajaba con cuerpos de reses muertas en galerías y espacios abiertos. Baste ver tales reminiscencias en el video de la canción Family Tree (https://www.youtube.com/watch?v=hKzmsgXz5GM).
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Zumi Rosow se integró posteriormente a la banda, participando en una ocasión como saxofonista en una gira, lo cual provocó que le pidieran continuar con ellos. A partir de eso, el frente vocal Cole Alexander y ella comenzaron una relación. Sin embargo, su camino musical tenía su origen en la infancia, estimulado por su madre; escritora que habría estudiado los ritmos afrocubanos para diversos trabajos. Nacida en Nueva York, los acercamientos musicales de Rosow están en el registro de jazzistas como Miles Davis o Dizzy Gillespie; bluseros como Nina Simone o músicos más contemporáneos ligados a los movimientos de vanguardia contemporánea como Patti Smith, Grace Jones o Brian Eno. Pero es hasta su mudanza a la zona de la costa oeste que se acerca al bullicio del underground californiano. Ahí, además, ejerce como modelo para firmas como Demna Gvasalia y Alessandro Michele, recorriendo pasarelas incluso para Gucci, para la cual su nombre fue tomado después para la fabricación de un bolso de la casa. A partir de ello, su producción es incasable: joyas formadas con piedras callejeras o huesos diminutos; experimentación con todo tipo de objetos para generar música (como la sierra); o la creación de su propia línea de ropa que mezcla influencias de distintas épocas, desde los nómadas de los desiertos, gitanos y egipcios, hasta la clásica influencia del punk de los setenta.
Se trata, pues, de una constante en estas formas de la actual opulencia descastada en un enfrentamiento seductor contra la normatividad que, ya no paradójicamente, sino de manera integrada, va de la mano de las conductas y tendencias vinculadas al mercado. Un hedonismo que detalla con claridad el espíritu de la época presente, riquísima en referentes, aunque muchas veces ocluida para la autocrítica de su propia condición. Esta frase suya parece confirmarlo:
"No creo en las reglas. Es más interesante para mí hacer cosas inesperadas. Y honestamente, nunca hago cosas pensando en otra persona. Simplemente los hago".
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El jazzista de la 8
Encendí la radio para no sentirme solo en medio de la nada, el camino era largo, debía cruzar el desierto antes del anochecer para llegar a Puerto Peñasco como parada obligada. Avancé tanto como pude, tanto como dio el motor, tanto como el sol me permitió. Cansado del camino paré a vomitar.
Continué siguiendo el atardecer, le di un buen rato por la federal 8, ya divisaba el ocaso, fue en ese momento cuando todo comenzó a cambiar. La señal del radio iba y venía, las estaciones se mezclaban y extrañamente sentí que el calor iba cediendo al tiempo que un gélido frío abrazaba mi cuerpo. Casi al instante rodeando el cerro en el primer entronque estaba parado sobre el asfalto un hombre viejo y de aspecto sucio que pedía aventón; al parecer había tenido una falla en su carro, un oldsmobile rojo del 66, según me dijo unos minutos después, con el cofre levantado y sin poder hacerlo arrancar. La primera vez pasé de largo. Él se me quedó mirando cuando pasé a su lado. Hice lo mismo y lo seguí con la mirada, poseía un rostro endurecido, decadente y decrepito; las arrugas en surcos.
No avancé mucho, recordé las razones de mi viaje y decidí volver. Di vuelta en u y me estacioné delante de su auto. Se acercó a pasos lentos, con caminar casi eterno, pero con seguridad. Me pidió llevarlo al siguiente pueblo con un mecánico. La noche comenzaba a asomarse así que decidí llevarlo, correría el riesgo. Al pedirle que se suba hace un gesto con las manos y me pide esperar.
“Wait” -me dice- y corre rumbo a su carro.
Siento miedo por primera vez, regresa y en su mano izquierda carga una trompeta. Sube a mi carro y terminando de acomodarse en el asiento se asoma en su rostro una sonrisa discreta, después me muestra el instrumento.
-¿Por qué la trompeta? -pregunté-.
-Nunca viajo sin ella, si lo hiciera sería como alejarme de mi vida y entregarme a la muerte. Entregaría mi alma a la mismísima muerte. -repitió-.
Me pareció poético y también patético. De la aprehensión culpé a su edad.
¿Cómo te llamas? –pregunté nuevamente-.
Chesny -me dijo- Pero mi madre me dice Henry.
¿Qué le pasó a tu carro? -No lo sé, supongo que es un modelo tan viejo, del 66, que tengo suerte que me haya traído a este último viaje.
-¿Por qué no llamas para que vengan a asistirte? -No tengo teléfono. Un viejo como yo no sabría qué hacer con un aparato de esos-.
-¿Y hacia dónde vas?
A Phoenix, allí me espera mi banda. Tocaremos en un bar. ¿Y tú?
-A Tijuana -le dije, después me arrepentí, sentí como un error revelar mi destino a un desconocido-.
¿De qué huyes? -me dijo-
De nada -respondí-.
¿Así crees olvidarla? -preguntó nuevamente-.
No sé de qué me hablas mejor duérmete y te despierto cuando hayamos llegado al pueblo –respondí en tono visiblemente molesto-.
-Yo también soy hombre de semblanzas, ambos vamos en sentido contrario del lugar al que verdaderamente queremos llegar. Es por eso que este viaje nos parece tan utópico que cuanto más avanzamos hacia un nuevo destino más deseamos regresar al lugar del cual partimos-.
-Ya cállate si no quieres que te baje aquí en medio del desierto y de la nada -le grite-.
Frunció el ceño y se mantuvo callado no más de 5 minutos, cantó la estrofa final de un blues que sonaba en ese instante, apagó la radio y comenzó a tocar la trompeta. Me perdí en el sonido hipnótico. El ambiente a oscuras, en la carretera no había luces ni señalamientos, todo parecía sin vida; aunque es sabido que la noche, aunque no las veamos, esta siempre llena de criaturas nocturnas.
-¿Regresarás con ella? -me preguntó-.
¡No! -le dije- con voz firme y si dudar. Sin apartar la vista del volante.
-Yo siempre lo hice, siempre volvía. Pero es cierto, tú nunca lo harás-.
Cuando llegaron los paramédicos una aguja colgaba de mi brazo, una liga estaba amarrada a mi antebrazo arriba de mi codo, el carro desecho con el cofre levantado, contraído, sumido por el impacto. Sobre el asiento trasero, intacto, como si hubiera sido colocado después del accidente, encontraron un estuche negro, al parecer de una trompeta, con la inscripción C.H.B.Jr en el lomo. Dentro de éste había varias dosis de heroína, un par de jeringas, una dentadura rancia y una boquilla ennegrecida. En la radio, que aún seguía transmitiendo, se escuchaba almost blue interpretada por Chet Baker.
la-muerte-chiquita
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John Scofield y sus influencias
John Scofield y sus influencias Lo crean o no, había decidido ser un guitarrista profesional antes de ni siquiera haber tenido una guitarra entre mis manos
Lo crean o no, había decidido ser un guitarrista profesional antes de ni siquiera haber tenido una guitarra entre mis manos. Después de algunos ruegos, mis padres que no entendían mi verdadera vocación me alquilaron una guitarra barata , y empecé a practicar. Me concentré en aprender a tocar con un entusiasmo gozoso aunque obstinado que no se ha desvanecido todavía. Continue reading Untitled
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Era una geniale canaglia di Luigi Manglaviti: Un giallo psicologico avvincente che esplora i limiti della verità. Recensione di Alessandria today
Luigi Manglaviti ci porta in un intreccio di testimonianze e memorie, un romanzo che sfida le percezioni della realtà e della giustizia.
Luigi Manglaviti ci porta in un intreccio di testimonianze e memorie, un romanzo che sfida le percezioni della realtà e della giustizia. Era una geniale canaglia, di Luigi Manglaviti, è un’opera originale che si colloca al crocevia tra thriller giudiziario, detective story e giallo psicologico, arricchito da una riflessione sociologica sulla natura umana. Il protagonista è un celebre architetto…
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✅🍀🚩¡Hola🖐️familia👨👩👧👦!, un día como hoy, 07 de julio pero del año 1936, en Santander, Cantabria, España 🇪🇸, nació el Músico🎹, Compositor🎶, Productor, Arreglista y Empresario: "Juan Carlos Calderón". Juan Carlos Calderón López de Arróyabe. Jazzista nato. Multipremiado. Compositor de éxitos. Participó con: "Nino Bravo", "Mocedades", "Massiel", "Trigo limpio", "Sergio y Estíbaliz", "José José", "Cecilia", "Camilo Sexto", "Ángela Carrasco", "Lani Hall", "Herb Alpert", "Sheena Easton", "Cole Porter", "María Conchita Alonso", "Luis Miguel", "Paloma San Basilio", "Emmanuel", "Simone", "Alejandra Ávalos", "Myriam Hernández", "Mijares", "Chavela Vargas", "Alejandra Guzmán", "Edith Márquez", "Sin Bandera", "Ricky Martin", "Miguel Ríos", "Chayanne", "Rocío Dúrcal", "Joan Manuel Serrat", "Natalie Cole", "Pandora", "Julio Iglesias", "Cristian Castro". Reconocido con 3 Premios Billboard, con 5 Grammy, con 5 ASCAP.
#JuanCarlosCalderon
#ElijoSerPositivo
#LeónFelipePeñaNieto
Te invito a conocerle
Mira aquí, súbele 👇
https://youtu.be/XcNnVT0NixU
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Fikret Mualla Saygi
Untitled (?) Fovismo
Una alegre pintura de unos jazzistas en la ciudad de París.
📍Colección Privada
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JAZZ em Cena traz @chicopinheiro ao vivo e à cores. O músico brasileiro dos mais requisitados e aplaudidos da cena jazzista e que reside nos Estados Unidos chega à Fortaleza para o show no projeto @jazzemcena de concepção e produção de @mouradalwton e @lucasbenedecti .
Em 2018 o músico foi homenagem pelo guitarrista Hermano Faltz e levou com ele para a cena um grupo especial de intérpretes.
Dessa vez a convite do próprio Chico Pinheiro os músicos são convidados a participarem de seu show.
O resultado desse encontro não planejado o público saberá no sabado dia 23 as 19h no palco CCBNB.
Orienta-se que o público chegue com antecedência para garantir o acesso.
O Centro Cultural Banco do Nordeste se localiza à Rua Conde D'eu, 560 Centro de Fortaleza.
É noite de JAZZ , bebê!
Nas imagens de 2018 Marcus Caffe @marcuscaffe interpreta AQUELA, composição de Chico Pinheiro e Chico Cesar na quela ocasião acompanhado por Hermano Faltz Tito Freitas Luis Hermano e André Benedecti !
ÚNICA APRESENTAÇÃO!!!
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https://www.instagram.com/reel/DCY_c9KRkOn/?igsh=MWp2bHpmcXMxeDRmbg==
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AVO
AVO es una marca que existe desde 1987, cuando las ligas eran hechas por Hendrik Kelner, quien era el master blender de Davidoff. Los productos de AVO se vendían exclusivamente en las tiendas de Davidoff, con una producción pequeña que apenas alcanzaba las 5 mil unidades mensuales. La marca originalmente era propiedad de Avo Uvezian, un jazzista libanés nacido en 1926, quien murió en 2017.…
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