#istituzioni e giovani
Explore tagged Tumblr posts
pier-carlo-universe · 3 days ago
Text
Benessere in Frequenza: il nuovo programma radiofonico dedicato alla salute mentale.Una collaborazione tra Comune di Alessandria, Radio Gold e il progetto ALI 2 per sensibilizzare e supportare i giovani
Il Comune di Alessandria, in collaborazione con Radio Gold e il progetto “Volontari delle Connessioni” dell’Ufficio Servizio Civile, lancia “Benessere in Frequenza”, un innovativo programma radiofonico che affronta il tema della salute mentale, con un foc
Un’iniziativa per il benessere psicologico.Il Comune di Alessandria, in collaborazione con Radio Gold e il progetto “Volontari delle Connessioni” dell’Ufficio Servizio Civile, lancia “Benessere in Frequenza”, un innovativo programma radiofonico che affronta il tema della salute mentale, con un focus particolare sui giovani. Il progetto nasce con l’obiettivo di creare uno spazio di dialogo,…
0 notes
raffaeleitlodeo · 3 months ago
Text
Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
50 notes · View notes
curiositasmundi · 7 months ago
Text
[...]
Luana è morta il 3 maggio del 2021 finendo nell’ingranaggio di un orditoio della fabbrica in cui lavorava, a Montemurlo, in provincia di Prato. Lavorava lì da circa due anni, aveva fatto quella scelta per avere una paga sicura anche per dare stabilità al suo bambino. Si era alzata come ogni mattina alle cinque per andare a svolgere il suo lavoro di apprendista. «Quel giorno lei sarebbe dovuta rientrare a pranzo: era il mio compleanno – ricorda la madre Emma – alle 13.40, mentre l’acqua della pasta stava per bollire, sono arrivati due carabinieri a darmi la notizia: mia figlia si trovava all’obitorio».
La signora Marrazzo si batte per il tema della sicurezza sul lavoro, porta avanti le sue istanze, partecipa ai processi, interviene nelle scuole. «Senza la sicurezza, non si torna a casa. Voglio dirlo ai giovani perché le Istituzioni sono assenti e, mentre i responsabili patteggiano o si salvano, in un modo o nell’altro, con attenuanti e con sospensioni della pena, il nostro, di noi famigliari, è un ergastolo a vita. Ci vogliono pene gravi o gravissime».
«Non si può immaginare il dolore di una mamma che perde un figlio. Non passa, aumenta. Mi aggrappo a mio nipote, non ricordo più com’ero prima di quel giorno. Luana riempiva la casa di gioia, mi manca in tutto. Quella porta non si apre più e così la ritrovo nei ricordi e nel suo cellulare, dove riascolto i suoi audio. Mi manca andare in giro con lei, condividere. Quando riscuoteva lo stipendio era felice e mi portava subito fuori. Aveva tempo per tutti, anche dopo il lavoro. Con suo figlio, con me, con le amiche, con il suo compagno: trovava il tempo per amarci tutti. Non è giusto andare a lavorare per produrre quel poco di più per l’azienda e perdere la vita, lasciare un figlio orfano. I sindacati devono unirsi tutti. Non ho mai ricevuto una lettera da parte dell’azienda e il giorno del funerale hanno lasciato aperta la fabbrica. Non voglio vendetta, ma dare un segnale chiaro».
Sono passati diversi anni, ma di lavoro si continua a morire, come ha scritto Raffaele Bortoliero nel libro “Non si può morire di lavoro – Storia di giovani vite spezzate”. L’autore è impegnato a promuovere la sicurezza sui luoghi di lavoro raccontando le storie di giovani, alcuni studenti lavoratori, che hanno perso la vita lavorando e che nessun Paese civile dovrebbe dimenticare. Così come non si dovrebbero dimenticare le loro famiglie, abbandonate al loro dolore e alla rassegnazione.
23 notes · View notes
missviolet1847 · 8 months ago
Text
Lettera aperta del personale accademico e amministrativo delle università di Gaza al mondo | il manifesto
4 mesi fa
PALESTINA. Cancellato lo spazio dell'istruzione palestinese. Uccisi 94 accademici, 4.327 studenti, 231 insegnanti. Il campus di Israa tramutato in centro di detenzione. E nelle accademie israeliane sospesi o espulsi i docenti che hanno chiesto il cessate il fuoco.
1 giugno 2024 — Aggiornato alle 10:59
APPELLI
Lettera aperta del personale accademico e amministrativo delle università di Gaza al mondo
Al-Azhar University a Gaza (Ap)
Al-Azhar University a Gaza - Ap
GAZA. Accademici palestinesi e personale delle università «per affermare la nostra esistenza, quella dei nostri colleghi e dei nostri studenti, e l'insistenza sul nostro futuro, di fronte a tutti gli attuali tentativi di cancellarci»
Pubblicato 4 ore fa
Edizione del 2 giugno 2024
***
Ci siamo riuniti come accademici palestinesi e personale delle università di Gaza per affermare la nostra esistenza, quella dei nostri colleghi e dei nostri studenti, e l’insistenza sul nostro futuro, di fronte a tutti gli attuali tentativi di cancellarci.
Le forze di occupazione israeliane hanno demolito i nostri edifici, ma le nostre università continuano a vivere. Riaffermiamo la nostra determinazione collettiva a rimanere nella nostra terra e a riprendere l’insegnamento, lo studio e la ricerca a Gaza, nelle nostre università palestinesi al più presto.
Invitiamo i nostri amici e colleghi di tutto il mondo a resistere alla campagna di scolasticidio in corso nella Palestina occupata, a lavorare al nostro fianco nella ricostruzione delle nostre università demolite e a rifiutare tutti i piani che cercano di aggirare, cancellare o indebolire l’integrità delle nostre istituzioni accademiche. Il futuro dei nostri giovani a Gaza dipende da noi e dalla nostra capacità di rimanere nella nostra terra per continuare a servire le generazioni future del nostro popolo.
Lanciamo questo appello da sotto le bombe delle forze di occupazione nella Gaza occupata, nei campi profughi di Rafah e dai luoghi di un nuovo esilio temporaneo in Egitto e in altri paesi ospitanti. La diffondiamo mentre l’occupazione israeliana continua a condurre quotidianamente la sua campagna genocidaria contro il nostro popolo, nel tentativo di eliminare ogni aspetto della nostra vita collettiva e individuale.
Le nostre famiglie, i nostri colleghi e i nostri studenti sono stati assassinati, mentre noi siamo stati ancora una volta resi senza casa, rivivendo le esperienze dei nostri genitori e dei nostri nonni durante i massacri e le espulsioni di massa da parte delle forze armate sioniste nel 1947 e nel 1948.
Le nostre infrastrutture civili – università, scuole, ospedali, biblioteche, musei e centri culturali – costruite da generazioni del nostro popolo, sono diventate rovine a causa di questa Nakba deliberata in corso. La deliberata presa di mira delle nostre infrastrutture educative è un tentativo evidente di rendere Gaza inabitabile e di erodere il tessuto intellettuale e culturale della nostra società. Tuttavia, ci rifiutiamo di permettere che tali atti spengano la fiamma della conoscenza e della resilienza che arde in noi.
Gli alleati dell’occupazione israeliana negli Stati Uniti e nel Regno Unito stanno aprendo un altro fronte scolastico promuovendo presunti schemi di ricostruzione che cercano di eliminare la possibilità di una vita educativa palestinese indipendente a Gaza. Rifiutiamo tutti questi schemi e invitiamo i nostri colleghi a rifiutare qualsiasi complicità in essi. Esortiamo inoltre tutte le università e i colleghi di tutto il mondo a coordinare qualsiasi sforzo di aiuto accademico direttamente con le nostre università.
Esprimiamo il nostro più sentito apprezzamento alle istituzioni nazionali e internazionali che sono state solidali con noi, fornendo sostegno e assistenza in questi momenti difficili.
Sottolineiamo tuttavia l’importanza di coordinare questi sforzi per riaprire effettivamente le università palestinesi a Gaza.
Sottolineiamo l’urgente necessità di riaprire le istituzioni scolastiche di Gaza, non solo per sostenere gli studenti attuali, ma per garantire la resilienza e la sostenibilità a lungo termine del nostro sistema di istruzione superiore. L’istruzione non è solo un mezzo per impartire conoscenze; è un pilastro vitale della nostra esistenza e un faro di speranza per il popolo palestinese.
Di conseguenza, è essenziale formulare una strategia a lungo termine per riabilitare le infrastrutture e ricostruire le strutture delle università. Tuttavia, tali sforzi richiedono un tempo significativo e finanziamenti consistenti, mettendo a rischio la capacità delle istituzioni accademiche di sostenere le operazioni, con la potenziale perdita di personale, studenti e della capacità di operare nuovamente.
Considerate le circostanze attuali, occorre passare rapidamente all’insegnamento online per mitigare le interruzioni causate dalla distruzione delle infrastrutture fisiche. Questa transizione richiede un sostegno completo per coprire i costi operativi, compresi gli stipendi del personale accademico.
Le tasse studentesche, principale fonte di reddito per le università, sono crollate dall’inizio del genocidio. La mancanza di entrate ha lasciato il personale senza stipendio, spingendo molti a cercare opportunità esterne.
Oltre a colpire il sostentamento dei docenti e del personale universitario, questa tensione finanziaria causata dalla deliberata campagna di scolasticidio rappresenta una minaccia esistenziale per il futuro delle università stesse.
Pertanto, è necessario adottare misure urgenti per affrontare la crisi finanziaria che le istituzioni accademiche stanno affrontando, per garantire la loro stessa sopravvivenza. Chiediamo a tutte le parti interessate di coordinare immediatamente i loro sforzi a sostegno di questo obiettivo critico.
La ricostruzione delle istituzioni accademiche di Gaza non è solo una questione di istruzione; è una testimonianza della nostra resilienza, della nostra determinazione e del nostro incrollabile impegno a garantire un futuro alle generazioni a venire.
Il destino dell’istruzione superiore a Gaza appartiene alle università di Gaza, ai loro docenti, al personale e agli studenti e al popolo palestinese nel suo complesso. Apprezziamo gli sforzi dei popoli e dei cittadini di tutto il mondo per porre fine a questo genocidio in corso.
Invitiamo i nostri colleghi in patria e a livello internazionale a sostenere i nostri risoluti tentativi di difendere e preservare le nostre università per il bene del futuro del nostro popolo e della nostra capacità di rimanere nella nostra terra di Palestina a Gaza. Abbiamo costruito queste università partendo dalle tende. E dalle tende, con il sostegno dei nostri amici, le ricostruiremo ancora una volta.
(sotto il testo originale segue traduzione inglese e nomi firmatari)
Tumblr media
—Al-Azhar University a Gaza -
23 notes · View notes
dinonfissatoaffetto · 3 months ago
Text
Mi sono spesso chiesto, strada facendo, da dove sarebbe arrivata la soluzione al problema che affrontiamo, quello dell'umanità che mi sembra stia annaspando nella sua ricerca di una soluzione a quello che non va. Una volta, attraversando in nave lo stretto di Malacca, in una di quelle belle serate in cui si stava sulla tolda della nave a guardare il tramonto, vidi all'orizzonte decine di splendide isolette e mi venne la divertente idea che la soluzione sarebbe arrivata da una congiura di poeti. Perché soltanto la poesia mi pareva potesse ridarci una spinta di speranza. Identificai un'isola lontanissima, insignificante, che non era segnata su nessuna carta, ma in cui immaginavo crescesse una generazione di giovani poeti che aspettavano il momento di prendere in mano le sorti del mondo. Avevo in qualche modo il sentimento che non c'era una soluzione nei partiti, nelle istituzioni, nelle chiese, dove tutti ripetono le stesse cose.
- Tiziano Terzani
15 notes · View notes
smokingago · 1 year ago
Text
Il discorso integrale di Gino Cecchettin al termine dei funerali della figlia Giulia, 22enne uccisa dall'ex fidanzato.
Tumblr media
«Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l'impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente,
un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà:
il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà
prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso
e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente,
a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie,
ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme
per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio.
43 notes · View notes
tizianacerralovetrainer · 1 year ago
Text
Tumblr media
Risuonano forti le parole lette in chiesa durante l’ultimo saluto a Giulia dal suo papà, Gino Cecchettin.
“Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria.
Allegra, vivace, mai sazia di imparare.
Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita.
Come può accadere tutto questo?
Come è potuto accadere a Giulia?
Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere.
Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possessoe all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro.
La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza.
La prevenzione della violenza di gene e inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti.
Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere.
Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.
La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne.
Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma.
Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia.
Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotta questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano.
Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare.
E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio”.
26 notes · View notes
crazy-so-na-sega · 4 months ago
Text
collettivisti da cortile
Ascoltando questi ultimi ho scoperto che il divide et impera del pollaio si è ultimamente arricchito di una nuova categoria di kulaki: i proprietari di case (al plurale: seconde, terze, quarte...) che, a seconda del narratore, sottrarrebbero con le loro smanie da rentier ora clienti agli albergatori, ora alloggi agli studenti, ora un tetto ai bisognosi, ora un nido alle giovani coppie. A questi neghittosi speculatori che in certi casi avrebbero – orrore! – ereditato dette case dagli zii e dalle nonne, pare si debbano inoltre le seguenti piaghe: inflazione immobiliare, occupazioni abusive, gentrificazione dei centri urbani, improduttività, sovraffollamento turistico, vagabondaggio e forse anche dissesto erariale, giacché alcuni di essi avrebbero osato chiedere e ottenere incentivi pubblici per la riqualificazione edilizia. Costoro andrebbero dunque, se non espropriati, almeno castigati con una generosa sferza fiscale, additati alla riprovazione di chi-lavora, costretti a mettere i loro vani a disposizione di chi-dico-io, alle condizioni che-decido-io e a prezzi drasticamente calmierati. Così imparano.
Per quanto circoscritto, il caso è affascinante perché illustra quasi ad absurdum la potenza seduttrice del benecomunismo a comando e il suo ben prestarsi a dissimulare obiettivi del tutto estranei da quanto sembra promettere. Restando nell'ovvio, già da parecchi secoli le civiltà si sono strutturate per demandare alla sfera pubblica (lo Stato, le chiese, le associazioni, le corporazioni ecc.) il compito di gestire i problemi sopra elencati e, insieme, di tutelare la proprietà e la produzione, essendo queste ultime non solo bisogni parimenti meritevoli di protezione ma anche presidi di prosperità da cui scaturiscono le forze con cui le istituzioni assolvono alle loro funzioni.
Un sovrano orientato a nutrire e non a divorare le proprie risorse può (deve) intervenire in tanti modi per soddisfare il bisogno abitativo, il più evidente dei quali è quello di acquistare, noleggiare, riscattare o direttamente realizzare gli allogi, contribuendo così anche a raffreddare il mercato.
Lo si era ad esempio fatto in un'Italia incomparabilmente più povera di oggi, quando con il solo piano INA-Casa furono consegnati più di trecentocinquantamila alloggi in un poco più di un decennio. I pluriproprietari e i plurilocatori esistevano anche allora, erano anzi la norma, ma non risulta siano stati di ostacolo a un progetto che, semplicemente, ieri si è scelto di realizzare, oggi si è scelto di abbandonare.
Ma queste sono, appunto, ovvietà. Il succo della faccenda sta invece in un fatto bizzarro: che il nemico del popolo che possedesse oggi case per un valore, diciamo, di un milione, cesserebbe del tutto di essere tale qualora disponesse dello stesso importo, o anche del doppio, o del decuplo, in depositi e titoli finanziari. In quel caso allora no: è roba sua. Ne faccia quel vuole, anzi beato lui! E qui si scopre il gioco. La differenza pratica tra i due capitalisti è pressoché nulla: entrambi traggono un godimento da ciò che hanno, entrambi sono responsabili dell'uso che ne fanno (perché quello finanziario non presta i soldi a chi-dico-io, alle condizioni che-decido-io? magari per comprarsi una casa?). La differenza teorica è invece sostanziale. Il casettaro ha osato mettere le sue sostanze in una cosa vera e, peggio ancora, utile. Ha voltato le spalle alla futilità dei consumi, al rischio dei mercati e specialmente all'impalpabilità del soldo elettronico, fiduciario e finanziario, per spingersi là dove solo i grandi possono incedere: nella realtà, nei bisogni senza tempo. È questo che non gli si perdona, di avere dato materia al suo lurido gruzzolo ereditato o sudato sottraendolo dagli ologrammi bancari, dalla possibilità di svalutarlo, decurtarlo, metterlo fuori corso, dal mare magno a cui attingono gli investitori, anche per iniziative immobiliari. Perché loro possono, il casettaro no, sicché lo danno in pasto ai Sancho Panza dell'equità. Egli deve essere fluido e ricollocabile, negli averi come nell'esistenza.
Il mattone diffuso offende dunque il denaro, mette in crisi la sua magia, disturba l'incanto in cui ci è chiesto di credere e di vegetare. Con un nemico così, c'è da temere che un giorno la polemicuccia di cui ci siamo occupati sarà rilanciata dal burattinaio sulle prime pagine e sui banchi dei parlamenti. In parte sta già avvenendo, ma avvenga almeno senza il nostro plauso.
-Il Pedante
3 notes · View notes
vecchiorovere · 2 months ago
Text
Tumblr media
COMPLOTTISTI DI ALTRI TEMPI
Socrate, il più grande filosofo di tutti i tempi, era in realtà l’uomo più odiato di Atene. Venne accusato di empietà e corruzione dei giovani. Il tribunale popolare, l’eliea, lo condannò a morte: e Socrate, una delle menti più brillanti della storia, morì sorbendo una tazza di cicuta. Ma perché tanto accanimento?
Apparentemente Socrate non faceva nulla di pericoloso: poneva domande, parlava con chiunque, con i nobili, con i comuni cittadini, con i giovani. Ma proprio le sue domande, nella loro schiettezza, nella loro semplicità demolivano le certezze dei suoi interlocutori, li costringevano a confortarsi con la vacuità delle proprie certezze, con l’incoerenza dei propri ragionamenti.
Insegnavano a dubitare.
Socrate era un personaggio fin troppo scomodo con i dubbi che instillava. Aveva avuto l’ardire di smascherare i politici corrotti e i falsi maestri che, credendo di sapere, dispensavano false verità e falsa conoscenza. Ecco perché venne messo a morte. Era una minaccia allo status quo, un pericolo da eliminare.
Durante il processo, Socrate non volle pentirsi o implorare clemenza. Rifiutò persino di ricorrere all’aiuto di un oratore (antesignani dei nostri avvocati). Perché? Perché secondo Socrate: «Non puoi usare la tua arte retorica giocando con le parole, incantando la folla, magari mentendo, neppure se è in gioco la vita”.
L’intelligenza è scomoda, questo ci insegna il processo contro Socrate.
La massa vuole illusioni e non verità, desidera in poche parole essere adulata.
Gli uomini intelligenti vengono messi alla gogna.
Sono banditi, ostracizzati, disprezzati, poiché turbano il sonno delle masse, mettono in dubbio l’autorità, svelano gli inganni delle istituzioni.
2 notes · View notes
fridagentileschi · 1 year ago
Text
Tumblr media
I dieci danni che ci lasciò il '68
Mezzo secolo fa l'arroganza del (presunto) contropotere generò la dittatura chiamata "politicamente corretto"
Sono passati cinquant'anni dal '68 ma gli effetti di quella nube tossica così mitizzata si vedono ancora. Li riassumo in dieci eredità che sono poi il referto del nostro oggi.
SFASCISTA Per cominciare, il '68 lasciò una formidabile carica distruttiva: l'ebbrezza di demolire o cupio dissolvi, il pensiero negativo, il desiderio di decostruire, il Gran Rifiuto.
Basta, No, fuori, via, anti, rabbia, contro, furono le parole chiave, esclamative dell'epoca. Il potere destituente. Non a caso si chiamò Contestazione globale perché fu la globalizzazione destruens, l'affermazione di sé tramite la negazione del contesto, del sistema, delle istituzioni, dell'arte e della storia. Lo sfascismo diventò poi il nuovo collante sociale in forma di protesta, imprecazione, invettiva, e infine di antipolitica. Viviamo tra le macerie dello sfascismo.
PARRICIDA La rivolta del '68 ebbe un Nemico Assoluto, il Padre. Inteso come pater familias, come patriarcato, come patria, come Santo Padre, come Padrone, come docente, come autorità. Il '68 fu il movimento del parricidio gioioso, la festa per l'uccisione simbolica del padre e di chi ne fa le veci. Ogni autorità perse autorevolezza e credibilità, l'educazione fu rigettata come costrizione, la tradizione fu respinta come mistificazione, la vecchiaia fu ridicolizzata come rancida e retrò, il vecchio perse aura e rispetto e si fece ingombro, intralcio, ramo secco. Grottesca eredità se si considera che oggi viviamo in una società di vecchi. Il giovanilismo di allora era comprensibile, il giovanilismo in una società anziana è ridicolo e penoso nel suo autolesionismo e nei suoi camuffamenti.
INFANTILE Di contro, il '68 scatenò la sindrome del Bambino Perenne, giocoso e irresponsabile. Che nel nome della sua creatività e del suo genio, decretato per autoacclamazione, rifiuta le responsabilità del futuro, oltre che quelle del passato. La società senza padre diventò società senza figli; ecco la generazione dei figli permanenti, autocreati e autogestiti che non abdicano alla loro adolescenza per far spazio ai bambini veri. Peter Pan si fa egocentrico e narcisista. Il collettivismo originario del '68 diventò soggettivismo puerile, emozionale con relativo culto dell'Io. La denatalità, l'aborto e l'oltraggio alla vecchiaia trovano qui il loro alibi.
ARROGANTE che fa rima con ignorante. Ognuno in virtù della sua età e del suo ruolo di Contestatore si sentiva in diritto di giudicare il mondo e il sapere, nel nome di un'ignoranza costituente, rivoluzionaria. Il '68 sciolse il nesso tra diritti e doveri, tra desideri e sacrifici, tra libertà e limiti, tra meriti e risultati, tra responsabilità e potere, oltre che tra giovani e vecchi, tra sesso e procreazione, tra storia e natura, tra l'ebbrezza effimera della rottura e la gioia delle cose durevoli.
ESTREMISTA Dopo il '68 vennero gli anni di piombo, le violenze, il terrorismo. Non fu uno sbocco automatico e globale del '68 ma uno dei suoi esiti più significativi. L'arroganza di quel clima si cristallizzò in prevaricazione e aggressione verso chi non si conformava al nuovo conformismo radicale. Dal '68 derivò l'onda estremista che si abbeverò di modelli esotici: la Cina di Mao, il Vietnam di Ho-Chi-Minh, la Cuba di Castro e Che Guevara, l'Africa e il Black power. Il '68 fu la scuola dell'obbligo della rivolta; poi i più decisi scelsero i licei della violenza, fino al master in terrorismo. Il '68 non lasciò eventi memorabili ma avvelenò il clima, non produsse rivoluzioni politiche o economiche ma mutazioni di costume e di mentalità.
TOSSICO Un altro versante del '68 preferì alle canne fumanti delle P38 le canne fumate e anche peggio. Ai carnivori della violenza politica si affiancarono così gli erbivori della droga. Il filone hippy e la cultura radical, preesistenti al '68, si incontrarono con l'onda permissiva e trasgressiva del Movimento e prese fuoco con l'hashish, l'lsd e altri allucinogeni. Lasciò una lunga scia di disadattati, dipendenti, disperati. L'ideologia notturna del '68 fu dionisiaca, fondata sulla libertà sfrenata, sulla trasgressione illimitata, sul bere, fumare, bucarsi, far notte e sesso libero. Anche questo non fu l'esito principale del '68 ma una diramazione minore o uscita laterale.
CONFORMISTA L'esito principale del '68, la sua eredità maggiore, fu l'affermazione dello spirito radical, cinico e neoborghese. Il '68 si era presentato come rivoluzione antiborghese e anticapitalista ma alla fine lavorò al servizio della nuova borghesia, non più familista, cristiana e patriottica, e del nuovo capitale globale, finanziario. Attaccarono la tradizione che non era alleata del potere capitalistico ma era l'ultimo argine al suo dilagare. Così i credenti, i connazionali, i cittadini furono ridotti a consumatori, gaudenti e single. Il '68 spostò la rivoluzione sul privato, nella sfera sessuale e famigliare, nei rapporti tra le generazioni, nel lessico e nei costumi.
RIDUTTIVO Il '68 trascinò ogni storia, religione, scienza e pensiero nel tribunale del presente. Tutto venne ridotto all'attualità, perfino i classici venivano rigettati o accettati se attualizzabili, se parlavano al presente in modo adeguato. Era l'unico criterio di valore. Questa gigantesca riduzione all'attualità, alterata dalle lenti ideologiche, ha generato il presentismo, la rimozione della storia, la dimenticanza del passato; e poi la perdita del futuro, nel culto immediato dell'odierno, tribunale supremo per giudicare ogni tempo, ogni evento e ogni storia.
NEOBIGOTTO Conseguenza diretta fu la nascita e lo sviluppo del Politically correct, il bigottismo radical e progressista a tutela dei nuovi totem e dei nuovi tabù. Antifascismo, antirazzismo, antisessismo, tutela di gay, neri, svantaggiati. Il '68 era nato come rivolta contro l'ipocrisia parruccona dei benpensanti per un linguaggio franco e sboccato; ma col lessico politicamente corretto trionfò la nuova ipocrisia. Fallita la rivoluzione sociale, il '68 ripiegò sulla rivoluzione lessicale: non potendo cambiare la realtà e la natura ne cambiò i nomi, occultò la realtà o la vide sotto un altro punto di vista. Fallita l'etica si rivalsero sull'etichetta. Il p.c. è il rococò del '68.
SMISURATO Cosa lascia infine il '68? L'apologia dello sconfinamento in ogni campo. Sconfinano i popoli, i sessi, i luoghi. Si rompono gli argini, si perdono i limiti e le frontiere, il senso della misura e della norma, unica garanzia che la libertà non sconfini nel caos, la mia sfera invade la tua. Lo sconfinamento, che i greci temevano come hybris, la passione per l'illimitato, per la mutazione incessante; la natura soggiace ai desideri, la realtà stuprata dall'utopia, il sogno e la fantasia che pretendono di cancellare la vita vera e le sue imperfezioni... Questi sono i danni (e altri ce ne sarebbero), ma non ci sono pregi, eredità positive del '68? Certo, le conquiste femminili, i diritti civili e del lavoro, la sensibilità ambientale, l'effervescenza del clima e altro... Ma i pregi ve li diranno in tanti. Io vi ho raccontato l'altra faccia in ombra del '68. Noi, per dirla con un autore che piaceva ai sessantottini, Bertolt Brecht, ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati. Alla fine, i trasgressivi siamo noi.
Marcello Veneziani
Editorialista del Tempo, sul '68 ha scritto Rovesciare il '68 (Mondadori, anche in Oscar, 2008)
9 notes · View notes
principessa-6 · 6 months ago
Text
Perché é stato ucciso Socrate?
Socrate, il più grande filosofo di tutti i tempi, è stato in realtà l'uomo più odiato di Atene. È stato accusato di crudeltà e corruzione dei giovani. II tribunale popolare, l’Eliea, lo condannò a morte: e Socrate, una delle menti più brillanti della storia, morì bevendo la cicuta... Ma perché tutto questo?
Tumblr media
A quanto pare Socrate non stava facendo nulla di pericoloso. Semplicemente faceva domande, parlava con chiunque: con i nobili, con i cittadini comuni, con i giovani. Ma le sue domande, nella loro franchezza, nella loro semplicità demolivano le certezze dei suoi interlocutori, costringendoli a confrontarsi con il vuoto delle loro stesse certezze, con l'incoerenza del loro ragionamento.
Insegnava a dubitare.
Socrate era un personaggio troppo scomodo con i dubbi che inculcava. Ha avuto l'audacia di smascherare politici corrotti e falsi insegnanti che propugnavano false verità e false conoscenze.
Per questo è stato condannato a morte. Era una minaccia per lo status quo, un pericolo da eliminare.
Durante il processo, Socrate non ha voluto pentirsi né implorare pietà. Si è anche rifiutato di farsi assistere da un oratore. L'intelligenza è scomoda, questo ci insegna il processo contro Socrate. Le masse vogliono illusioni e non verità; vogliono essere lusingate e vivere felici nell’ignoranza.
Gli uomini intelligenti sono imbarazzanti, proibiti, ostracizzati, disprezzati, perché turbano il sonno delle masse, mettono in discussione l'autorità, rivelano gli inganni delle istituzioni.
Trovato sul web.
3 notes · View notes
pier-carlo-universe · 18 days ago
Text
Lotta contro le truffe online: un problema crescente nel mondo digitale. Come difendersi dai rischi sempre più sofisticati delle truffe digitali e proteggere i propri dati. Alessandria today
La minaccia crescente delle truffe online. Con la digitalizzazione sempre più pervasiva delle nostre vite, le truffe online rappresentano una minaccia in costante evoluzione.
La minaccia crescente delle truffe online.Con la digitalizzazione sempre più pervasiva delle nostre vite, le truffe online rappresentano una minaccia in costante evoluzione. Secondo recenti rapporti delle autorità italiane e internazionali, gli attacchi informatici sono aumentati del 30% negli ultimi anni, coinvolgendo milioni di cittadini e aziende. Phishing, smishing (truffe via SMS),…
0 notes
marcoleopa · 2 years ago
Text
19 07 23
Corte d’Appello di Caltanissetta, sentenza sul depistaggio del 12 luglio 2022: «il più grande depistaggio della storia d’Italia», «partecipazione morale e materiale di altri soggetti (diversi da Cosa nostra)». E c’erano anche «gruppi di potere interessati all’eliminazione» del magistrato». «Tra amnesia generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (...) e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche, l’accertamento istruttorio sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative»
Salvatore Borsellino: «Non vogliamo che ci siano avvoltoi in via D’Amelio, ipocriti che portino corone e onori fasulli, ho promesso che non avrei più permesso simboli di morte laddove c’è l’Albero della pace voluto da mia madre e dove intendo realizzare un Giardino della pace». «Le sue esternazioni (Min.Nordio), al di là del loro esito, hanno mostrato la volontà di demolire la legislazione pensata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per dare gli strumenti necessari a combattere la criminalità organizzata. E se avrò modo di incontrare il premier Meloni - aggiunge - le vorrei chiedere come si concilia il suo entrare in politica dopo la strage di via D’Amelio e la morte di Paolo Borsellino e le esternazioni di un suo ministro che promette di smantellare la legislazione antimafia attaccando proprio l’articolo del concorso esterno in associazione mafiosa eliminando il quale la quasi totalità dei processi per mafia verrebbero ad essere annullati. Io da Giorgia Meloni non mi aspetto parole ma fatti. Lo censuri o lo faccia uscire dal governo come si merita». «Questa volta non ci saranno problemi: sarò io ad accogliere i giovani del corteo delle associazioni e insieme entreremo in via D’Amelio. Forse all’albero Falcone è mancato questo».«L’antimafia non si è spaccata oggi, le varie organizzazioni non hanno lavorato all’unisono anche perché si occupano di cose diverse. Libera di beni confiscati, le Agende rosse di giustizia e verità. Purtroppo quello che mi ha addolorato in questo ultimo anniversario è chi ha trovato la maniera di attaccare i movimento delle Agende rosse, predicando che non ci siano divisioni»
21 notes · View notes
curiositasmundi · 9 months ago
Text
[...]
«Penso sia molto bello che una parte della gioventù prenda a cuore i problemi gravi del mondo. Fanno bene a sperare per il futuro», commenta Carlo Rovelli, fisico e saggista, che dopo aver insegnato in Italia e negli Stati Uniti oggi è professore ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille in Francia. Spiega di non avere basi per sapere se il movimento di contestazione che sta prendendo forma sarà unitario e duraturo, né per sostenere o contraddire chi dice che potremmo essere di fronte ai semi di un “nuovo Sessantotto”: «La storia non si ripete. Penso che nessuno possa già sapere come evolveranno le cose». Ma crede che il movimento a supporto del popolo palestinese si stia allargando velocemente in tutti i paesi occidentali «a causa della flagrante contraddizione fra le notizie che arrivano a tutti su quanto accade in Palestina e il racconto dei principali media. In Palestina c'è un massacro in corso, e questo è ovviamente intollerabile per la generosità di molti giovani, che sono immuni, per fortuna, alla pelosità e all'ipocrisia di chi pensa che in fondo vada bene così». 
Secondo il professore nel mondo contemporaneo c’è tanta violenza: «una minoranza, a cui apparteniamo, non esita a massacrare per difendere il proprio dominio e i propri privilegi. Il colmo dell'ironia è che usiamo la parola "democrazia" per giustificare il dominio armato di una minoranza ricca sul resto del mondo: il 10 per cento dell'umanità controlla il 90 per cento della ricchezza del pianeta. Il mondo si sta ribellando e andiamo verso un conflitto globale, in più in piena crisi ecologica. E pensiamo solo a vincere, invece che a cercare soluzioni. Spero che i giovani sappiano spingere a cambiare rotta», aggiunge Rovelli, con la speranza che la voce dei giovani non rimanga inascoltata perché «prendere posizione è importante: il massacro in corso in Palestina è insopportabile. La gente muore di fame, a pochi chilometri da uno stato ricco che li massacra con le bombe». 
Il fisico, conosciuto per le sue posizioni a favore della pace, già durante il Concertone del Primo Maggio 2023 aveva esortato pubblicamente i giovani ad agire. A prendere in considerazione i problemi che mettono a rischio il pianeta, come la crisi climatica, le disuguaglianze crescenti e soprattutto la tensione del mondo che si prepara alla guerra: «La guerra che cresce è la cosa più importante da fermare. Invece di collaborare, i paesi si aizzano uno contro l’altro, come galletti in un pollaio. […] Il mondo non è dei signori della guerra il mondo è vostro. E voi il mondo potete cambiarlo, insieme. […] Le cose del mondo che ci piacciono sono state costruite da ragazzi, giovani che hanno saputo sognare un mondo migliore. Immaginatelo, costruitelo», aveva detto dal palco di Roma, a conclusione di un discorso in grado di scatenare non poche polemiche.  
«Le accuse di antisemitismo sono ciniche e completamente infondate. Questi stessi giovani scenderebbero egualmente in piazza per difendere la popolazione ebraica massacrata.  Anzi, lo farebbero con ancora più furore. Ma è peggio di così: perché brandire la stupida accusa di antisemitismo è soffiare sul fuoco del razzismo: razzismo è leggere tutto in termini di razza, invece che nei termini di chi muore sotto le bombe e chi dà l’ordine di sganciarle. Chi continua a parlare di antisemitismo non sa liberarsi dal suo implicito razzismo», aggiunge oggi. A difesa dei movimenti studenteschi che lottano affinché la guerra a Gaza abbia fine, a sostegno della popolazione palestinese che stanno prendendo sempre più spazio nelle università: «Penso che l'entrata della polizia negli atenei sia un grande insegnamento per i giovani - conclude- insegna loro a diffidare delle istituzioni. A capire che qualche volta il potere non è per loro. È contro di loro, contro la loro sincerità, contro chi muore sotto le bombe». 
4 notes · View notes
missviolet1847 · 5 months ago
Text
Bambini in guerra che a scuola non tornano | il manifesto
Tumblr media
Una bambina legge nella scuola dell’Unrwa usata come rifugio dai palestinesi - foto Ansa
Il primo giorno. Il primo giorno in classe è il primo giorno del mondo nuovo, il nostro pensiero va a Gaza: buco nero dell’umanità, inizio e fine di ogni principio etico e morale sull’esistere
Pubblicato 21 ore fa
Edizione del 12 settembre 2024
Valeria Parrella
Il primo giorno di scuola è importantissimo, è la notizia, perché la scuola salva la vita, come il servizio sanitario nazionale, né più né meno. E certo tra le istituzioni su cui si incardinano le democrazie ci sono entrambi.
E certo un pronto soccorso ti salva la vita sull’urgenza e la scuola pubblica te la salva sulla lunga percorrenza: sul resto dell’esistenza. E certo per noi sono i pilastri, il fondamento, il motivo per cui siamo sicuri che pagare le tasse non è solo un dovere ma anche un diritto, e questa cosa riesce ancora a essere vera, nonostante da anni i governi che si avvicendano non diano importanza né all’uno né all’altra, smantellandoli nel senso e nelle risorse.
Ma, come meritoriamente Cartabellotta ha lanciato l’appello Salviamo il Servizio sanitario nazionale, così ugualmente dobbiamo fare con la scuola pubblica, salvarla dalla fatiscenza delle strutture, dalla privazione delle risorse, dall’ingaggio truffaldino dei docenti, dalle graduatorie umilianti, dall’emigrazione colpevole, dal reclutamento sine ratione dei docenti di sostegno.
Dobbiamo salvare la nostra scuola dall’indebolimento dell’idea stessa di Scuola, costretta a viversi come un’azienda, con i presidi che si devono chiamare dirigenti. Come se fosse una cosa privata, in cui va meglio chi produce, e di cui però non si sanno valutare i meriti.
E nessuna prova invalsi ha mai provato nulla.
E nessuna corsa alle iscrizioni ha mai provato nulla.
E nessuna graduatoria di «quanti cento alla maturità» ha mai provato nulla.
Da sud a nord la prova di una buona scuola è che ci sono ragazzi che vengono dalle situazioni famigliari più disparate, dalle condizioni economiche e psicofisiche più diverse, e si ritrovano negli stessi banchi, ad ascoltare le stesse parole, a studiare dagli stessi testi, a confrontarsi con le stesse paure, a criticare o amare gli stessi professori.
Entrano insieme ed escono insieme e riescono a dividere tutto. È questa la buona scuola.
Un posto dove sappiamo che i nostri figli sono al sicuro, dove si sentono liberi, dove possono fare domande, ricevere risposte, e anche sconfessarci.
Lì si crea il cittadino, in quel momento lì.
E noi questa cosa la sappiamo, la sappiamo da sempre perché è stato lo strumento con cui si sono emancipate le nostre madri, la sappiamo perché, assieme al voto, è il vero lascito di cui parla Cortellesi nel suo bel film. La sappiamo perché c’è un’ondata di populismo che parte da Trump e arriva a palazzo Chigi in cui si dice il contrario, ci si permettono ignoranze, e grammaticali, e istituzionali, e di contenuti. Si avallano le stesse come se questo garantisse una maggiore aderenza alla realtà. Quando l’unica cosa che garantisce è maggior servaggio. Chi è ignorante può essere condotto, chi studia è libero.
Noi lo sappiamo da sempre, è per questo che mentre ci arrivano nelle chat foto di primi giorni di scuola, di ragazzine con i trolley rosa e giovani genitori alle prese con l’inserimento, il nostro pensiero va a quelle ragazzine a cui è negata l’istruzione, a chi un primo giorno di scuola non ce l’ha perché dei governi oscurantisti vogliono le donne come schiave, e sanno che la prima catena nasce dall’analfabetismo.
Mentre ci arrivano le foto delle nostre bambine che incerte sui passetti vanno a conoscere il mondo il nostro pensiero va a quelle bambine costrette in casa, nei campi, come nei racconti di Carlo Levi: non era molto tempo fa, che una bambina o un asino per portar la gerla erano la stessa cosa, picchiate uguale, asservite uguale, ammogliate senza scelta.
E ma appunto, noi lo guardiamo appena girandoci di 50 anni dietro, ma qui e ora, proprio nello stesso smartphone sul quale ci arrivano le speranze e le emozioni e i saluti delle mamme dei liceali, lì dove ci diciamo «buon primo giorno!» in quello stesso smartphone ci arrivano le immagini senza volto delle stesse bambine, nate qualche meridiano più in là.
Proprio perché sappiamo che il primo giorno di scuola è il primo giorno del mondo nuovo, il nostro pensiero va a Gaza, buco nero dell’umanità, inizio e fine di ogni principio etico e morale sull’esistere. Abominio sotto gli occhi di tutti, luogo perduto- vicino, lontano- dove si scavano a mani nude corpi di altri bambini che la scuola l’avrebbero amata come l’amiamo noi.
14 notes · View notes
lapolani · 7 months ago
Text
Tumblr media
“Simposio” di Platone. L’elogio di Eros (Amore) Dialogo introdotto, letto e commento da Lapo Lani
• • • • • • • • •
Convento di Santa Maria delle Grazie
Comune di Gravedona ed Uniti (CO)
Sabato 27 luglio, ore 21:00
• •
L’evento rientra nel programma della manifestazione culturale ‘Maieutikà’, curata da Stefania Gobbetti e Giulia Zanesi, e promossa dalla Pro Loco e dal Comune di Gravedona ed Uniti (CO). 
_______________
Diotima di Mantinea [1], iniziando Socrate ai misteri amorosi, in uno dei passaggi essenziali del dialogo gli riferisce: «Tutti gli uomini concepiscono [2] e secondo il corpo e secondo l'anima» [3]. Nell'uomo quindi nasce l'esigenza di accedere alla dimensione dell'eternità, oltrepassando quella del mondo delle cose, in cui tutto nasce, diviene e muore. Gli è possibile farlo in due modi: generando figli attraverso l'accoppiamento, creando così la nuova generazione; oppure, grazie alla persona amata, conoscendo la bellezza [4], quella del corpo prima, poi, incrementandone il pregio, quella dell'anima, riuscendo così a partorire ragionamenti e pensieri belli. Continuando a seguire la retta ed erta via della conoscenza, l’uomo imparerà il bello che sta nel rendere migliori i giovani (scuola e istruzione), per poi essere portato a considerare il bello che è nelle istituzioni e nelle leggi. E dopo, sempre sotto la guida dell'amato, potrà dirigersi più in alto, verso la bellezza delle scienze [5], dove, contemplando la distesa di tanta bellezza, partorirà molti, magnifici ragionamenti e pensieri, fino a riuscire a elevarsi alla visione di quell'unica scienza che è la scienza di tanta bellezza: la filosofia, la conoscenza della verità [6]. La beatitudine perciò consiste nell'oltrepassamento del mondo del divenire, cosa possibile solo conoscendo la verità, quella bellezza eterna e immutabile che possiede una spinta morale: perché solo stando nel bello si possono compiere azioni e opere buone.
Anche le parole di Gesù invitano a oltrepassare questo mondo, condizione realizzabile solo entrando nella dimensione della verità: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» [7]. In uno dei passaggi più scandalosi [8] del Vangelo di Giovanni, Gesù dice: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» [9]. «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» [10]. «Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» [11].
Ma se mangiare la carne del Figlio dell’uomo e bere il suo sangue non rappresentano poi un concetto molto diverso da quello Greco di "concepire", ossia prendere in sé; e se la salvezza da questo mondo – in cui le cose sono inesorabilmente segnate dalla paura, dal dolore, dall'angoscia, dalla morte – è possibile solo oltrepassando la dimensione del divenire per accedere a quella della verità, eterna e immutabile, allora il pensiero filosofico dell'antica Grecia non è così distante da quello cristiano.
Tuttavia un sostanziale fondo di diversità rimane: Platone concede a ogni uomo la possibilità di affrontare l'erta e diritta via della conoscenza per apprendere la verità, la quale per necessità non deve appartenere a questo mondo; Gesù invita ciasun uomo a vivere la verità, qui e adesso, in questa vita: «Vi do un comandamento nuovo; che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» [12].
Lapo Lani Milano, giugno 2024
Note:
[1] Non sappiamo se sia un personaggio storico o di fantasia. Il nome Diotima significa “onorata da Zeus”. Alcuni storici pensano che potrebbe essere una sacerdotessa straniera molto ben reputata, che, capitata ad Atene alcuni anni prima della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) e della pestilenza che afflisse la città, suggerì agli ateniesi dei sacrifici rivelatisi successivamente salvifici.
[2] "Concepire", dal latino "concĭpĕre", composto da "con" ("cum") e "capĕre" ("prendere"); quindi "prendere in sé", "accogliere in sé", "contenere". Da qui il doppio senso: se riferito a una donna: accogliere in sé il germe di una nuova vita, ovvero essere ingravidata, essere fecondata; se riferito alla mente e all'anima: apprendere, comprendere, conoscere, imparare.
[3] “Simposio. Il dialogo dell’Eros”, La Biblioteca Ideale Tascabile, 1995, cap. XXVIII, traduzione di Emidio Martini.
[4] Nella cultura della Grecia antica una delle virtù più importanti è “kalòs kai agathòs”, il “bello” e il “buono” (il bene); la bellezza è concepita come una virtù eterna e immutabile, donata dagli dèi agli uomini; per Platone il bello è la causa dell'azione morale, quindi strettamente legato al buono. Plotino scrive nelle “Enneadi”: «Al bene bisogna risalire, a quel bene a cui ogni anima agogna… e sa in che modo sia bello». “Kalokagathìa”, concetto derivato da “kalòs kai agathòs”, identifica l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo, virtù dell'uomo ottimo.
[5] Scienza, dal latino "scientia", derivazione di "sciens scientis", participio presente di "scire", cioè "sapere".
[6] I greci antichi chiamano la verità “epistème”, parola che deriva dal greco (ἐπιστήμη) ed è composta dalla preposizione epì- (“su”) e dal verbo histemi (“stare”); quindi “stare sopra”. L'epistème designa la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che intende porsi “al di sopra” di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti. Platone contrappone epistème a “dòxa” (opinione personale soggettiva).
[7] Vangelo di Giovanni, 1,9. Bibbia CEI (Conferenza Episcopale Italiana).
[8] Scandalo, dal latino tardo "scandălum" (greco "σκάνδαλον"), ossia “ostacolo”, “inciampo”, “impedimento”.
[9] Vangelo di Giovanni, 6,51. Bibbia CEI.
[10] Vangelo di Giovanni, 6,53. Bibbia CEI.
[11] Vangelo di Giovanni, 6,55-56. Bibbia CEI.
[12] Vangelo di Giovanni, 13,34. Bibbia CEI.
_______________
Copertina: “Il bacio”.
Disegno di Lapo Lani, realizzato con inchiostri giapponesi su carta, e successivamente elaborato con processi digitali. Dimensioni: cm 23x26. Anno: giugno 2024.
_______________
2 notes · View notes