#immagini vivide in poesia
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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In punta di piedi di Silvia De Angelis: una danza poetica tra nostalgia e natura. Recensione di Alessandria today
Un viaggio delicato tra le sfumature dell’autunno, sospeso tra il rimpianto e la leggerezza di un respiro poetico.
Un viaggio delicato tra le sfumature dell’autunno, sospeso tra il rimpianto e la leggerezza di un respiro poetico. In punta di piedi di Silvia De Angelis è una poesia che invita il lettore a immergersi in un’atmosfera malinconica e contemplativa. Con una delicatezza sorprendente, l’autrice dipinge un paesaggio autunnale che diventa metafora del tempo che scorre e del rimpianto per ciò che è…
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aurozmp · 11 months ago
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Ciao, da poco seguo il tuo blog e ho visto che hai scritto un libro, ti andrebbe di spiegarmi di cosa parla e magari anche il perché qualcuno debba comprarlo?
il mio libro parla di poesia, amore, rinascita. è strutturato in maniera tale che leggendo le poesie le puoi interpretare a tuo piacimento, ma al contempo stesso, c’è scritto anche il mio pensiero, il significato che io gli attribuisco. rendo il mio scritto puro, creando immagini vivide e sensazioni che si possono toccare con mano.
ti lascio sotto alcuni commenti che mi hanno scritto, in caso possano aiutarti.
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cinquecolonnemagazine · 6 months ago
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Luna del ghiaccio
Gli sguardi sono amici dei luoghili accompagnanonella loro quieta solitudine al silenzio accordavano la vocealle parolelasciano un'allarmata distanza quando si adombranodopo aver scritturato gli occhiil buio è l'inchiostronel quale intingere la penna Uno psichiatra che da bambino sognava di diventare poeta Sogno, poesia e follia sono accadimenti a cui abbiamo dato un nome, ma di cui sappiamopoco. La follia, per alcuni, è ancora la sorella sfortunata della poesia, si perde nel bosco e vi rimaneintrappolata, preda dei suoi fantasmi e di voci inesistenti Il sogno è un enigma spodestato del suo regno, senza inconscio è diventato il prodottodell’ativazione irregolare di infaticabili neuroni, che anche di notte non smettono di lavorare.Alla pocsia resta l’abbaglio di pochi versi che nell'abisso scoprono la luce. Sognatori, poeti e folli sono inadatti a vivere nel mondo, scomodi ospiti in casa propria,parlano una lingua che neppure loro riescono a decifrare. La maggior parte dei sogni svanisce all’alba e, di giorno, l'assenza di un'ombra di vero agliuomini sembra portare sollievo. 1 sognatori superstiti, dopo lungo peregrinare e ripercorrere più volte da mattina a sera lestesse strade, trovano rifugio nel lettino di un lontano seguace di Freud. Dei poeti, al contrario, si può dire che sono dappertutto, seppur ben mimetizzati tra loro.Ogni poesia, infatti, partorisce un poeta, anche se, per un insondabile mistero, è semprequest'ultimo ad arrogarsene la paternità ancora prima di diventare adulto e laureato.Vorrebbero volare in alto i poeti, essere riconosciuti per il loro canto, raggiungere con unpensiero nuovoi filosofi, che siedono sulle nuvole. Ne condividono l'amaro destino: non lodati ma ignorati dai più comuni mortali che hanno îpiedi ben piantati sulla terra. La follia è una forma altamente contagiosa tra le masse, non tanto la nevrosi dell’uomomoderno quanto la sua declinazione più severa, quella che porta a credere che il nemico stiaparlando direttamente a noi dallo schermo di casa e che l’unica cosa da fare sia uscire acombattere una nuova guerra Per questo da sempre, perlomeno nella nostra civiltà occidental, i folli si cerca di tenerli benisolati dai san, lasciandoli in custodia a medici senza qualità ma affetti da furor sanandi, glipsichiati. Eppure, le voci disperse, le immagini sfilacciate ma così vivide a occhi chiusi, non smettonodi interrogarci e a noi non resta che riceverle, sostenendo la domanda, anche se la rispostatarda o non sembra a prima vista accessibile. Lo sguardo interiore accoglie, senza togliere peso alle distanze, il cinema della notte, chemette in scena non tanto i desideri senza coraggio di ciascuno, quanto l'immagine primadell’esistenza, l'infanzia dell'umanità più di quella del singolo. Nulla unisce, infatti, gli esseri umani quanto l'esperienza onirica che ne testimonia lasostanziale uguaglianza, continuamente negata allo stato di veglia. Ognuno di noi, per quanto piccola e breve possa essere la sua parte ricevuta in sogno, puòesserne messaggero fedele, contribuendo a rendere più vivibile la valle del fare anima,avvera il nostro mondo. Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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ascoltalapoesia · 1 year ago
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La Poesia da Ascoltare: L'Arte del Verbo e del Suono
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La poesia è una delle forme più antiche e potenti di espressione artistica. Attraverso l'uso delle parole, i poeti dipingono quadri emotivi e concettuali che possono toccare il cuore e l'anima dei lettori. Ma cosa succede quando la poesia si fonde con il suono, diventando una forma d'arte da ascoltare? In questo saggio esploreremo il mondo affascinante della poesia da ascoltare.
La Poesia Come Musica delle Parole
La poesia da ascoltare è una manifestazione dell'arte che combina le abilità del poeta con quelle del musicista. Invece di limitarsi a scrivere versi, il poeta da ascoltare sfrutta la potenza del suono, aggiungendo tonalità, ritmo e melodia alle parole. Il risultato è una composizione che può catturare l'attenzione dell'ascoltatore e condurlo in un viaggio emotivo.
Ritmo e Musicalità
Il ritmo è un elemento chiave nella poesia da ascoltare. Le parole vengono scandite con cura per creare un ritmo coinvolgente. Questo ritmo può essere veloce e incalzante o lento e meditativo, a seconda dell'umore che il poeta desidera trasmettere. Il ritmo è spesso enfatizzato dalla scelta delle parole e dalla loro disposizione, creando un'esperienza sonora unica.
Il Potere dell'Oratoria
Nella poesia da ascoltare, l'abilità dell'oratore è cruciale. Il modo in cui le parole vengono pronunciate e enfatizzate può influenzare profondamente l'impatto emotivo del componimento. La voce del poeta diventa uno strumento musicale in sé, in grado di trasmettere sfumature di significato e emozioni.
L'Armonia delle Parole
L'armonia è un altro aspetto importante della poesia da ascoltare. Le parole vengono selezionate non solo per il loro significato, ma anche per il loro suono. I poeti da ascoltare scelgono le parole in base alla loro musicalità, cercando combinazioni che siano piacevoli all'orecchio. Questo crea un effetto sinestetico, in cui il suono delle parole si fonde con il loro significato.
La Poesia Come Esperienza Sensoriale
La poesia da ascoltare è una forma d'arte multisensoriale. Coinvolge l'udito e il senso del linguaggio, ma può anche suscitare immagini vivide nella mente dell'ascoltatore. La combinazione di suono e significato crea un'esperienza sensoriale unica che può essere profondamente coinvolgente.
L'Influenza Culturale e Sociale
La poesia da ascoltare può essere influenzata dalla cultura e dalla società in cui è creata. Può essere un veicolo per esplorare temi sociali, politici o culturali. Allo stesso tempo, può unire le persone attraverso l'ascolto condiviso, creando un senso di comunità tra coloro che partecipano all'esperienza.
Conclusione
La poesia da ascoltare è una forma d'arte affascinante e in continua evoluzione. Unisce le meraviglie della parola parlata con il potere della musica per creare un'esperienza unica e coinvolgente. Attraverso il ritmo, la musicalità, l'oratoria e l'armonia delle parole, la poesia da ascoltare solletica l'udito e l'anima, offrendo un'esperienza che va oltre il semplice atto di leggere versi. È un'arte che celebra la bellezza della lingua e l'emozione della voce umana.
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...libro da divorare in pochissimo tempo...struggente e malinconico, amaro, vero. Immagini vivide, come una pittura. Vi troviamo il piccolo e l'universale, il passato ed il presente uniti nel destino di un mondo che non cambia mai, l'umano e il disumano, il reale e l'immaginario, la Storia e l'intreccio, la politica e l'amore, la fragilità ovunque, il sapore amaro della vita e quello altrettanto amaro della morte, dietro ogni virgola il metaforico ed il simbolico e la cruda realtà dietro ogni metafora e simbolo. Nulla manca a questo libro, un capolavoro assoluto di narrativa scritto con incommensurabile poesia. Uno strazio costante ed una delizia per ciò che di più profondo risiede nell'anima di un uomo. Letteratura eccelsa, non solo preziosa ma soprattutto tagliente ed eterna come un diamante. E, in fin dei conti, nient'altro che la sincera confessione delle paure e sconfitte di una vita intera...Bellissimo...#bookstore #instabook #igersravenna ##ig_books #libri #instaravenna #consiglidilettura #bookstagram #booklovers #cesarepavese #regalinatale (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/CXDM5-aIARg/?utm_medium=tumblr
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comicsovunque · 3 years ago
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Il mistero di dio Grant Morrison, Jon J. Muth Ed. Magic Press - Vertigo, 2002
Grant Morrison non ha certo paura di sporcarsi le mani con i testi sacri di qualsivoglia religione. In tempi più recenti si è dedicato all'interpretazione a fumetti dell'epica induista con la trasposizione della Bhagavad Gita, qualche anno prima si è tuffato nell'Antico Testamento, per lo meno fino a quando non gli è morto Dio tra le mani.
Così il nostro geniale scozzese comincia a tessere un mosaico in stile shakespeariano dove la morte di Dio non pare essere soltanto un evento teatrale, ma piuttosto un rimando alla filosofia di Nietzsche. Un fatto simbolico che dà il via a una presa di consapevolezza sempre più dolorosa che il male alberga nel cuore di ognuno: rende cinico il sacerdote, inquinati i fiumi, vizioso il sindaco, imbrattati i muri, lussurioso il giornalista, anempatico il medico, cattive le persone.
Il detective percorre la sua via crucis, illuminato dalla luce della mandorla, circondato dai due ladroni, il sindaco e il prete, tradito dal suo alleato più vicino che lo rinnega per tre volte per poi ereditarne il sudario quando apparentemente arriverà a ottenere la fortuna che ha desiderato in terra.
Dopo i divertenti esperimenti di rottura della quarta parete con Animal Man e prima di affondare le mani nell'epica superoica della Multiversity DC, Morrison non scardina i pilastri della fede cristiana, li nutre e li innalza a una dimensione sovrumana, ma ne mostra le fragilità, fragilità che sono prima di tutto umanissime perché interpretate con lo sguardo parziale dell'uomo. Solo il folle detective Carpenter cerca di ergersi oltre alla visione riduzionista del particolare per cercare di comprendere un'immagine del tutto, una visione olistica e onnicomprensiva, quindi in qualche modo blasfema. Ma siamo di fronte a un uomo solo, liberato e schiacciato ad un tempo da un passato che l'ha portato a toccare il fondo e a poterlo bene comprendere.
L'arte di Muth è poesia disegnata: le espressioni sempre vivide e vitali paiono cangianti a svelare i moti d'animo dei personaggi; suono e luce si confondono e si compenetrano tra le brume di un cielo tempestoso come i cuori e i polmoni di chi lo respira. Luce poi che in combinazione con un uso sapiente del colore accentua ulteriormente la polarizzazione tra bene e male fino a mescolare tutti gli estremi e giungere ad accostare la carta da parati per bambini al sangue.
Immagini potenti e epiche. Ma se l'ispirazione artistica rivela la sua natura divina, qui l'impatto grafico e narrativo, la sua evocatività, la sua ambizione luciferina di creare un simulacro di Dio fatto di parole e immagini e di mostrare la corruzione dell'uomo diventano lo strumento stesso per sconfessare la definitiva morte di Dio in quanto presente proprio nelle mani e nelle menti che hanno generato questo piccolo capolavoro artistico.
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pangeanews · 7 years ago
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“Autumn at Sorrento”: la parodia del viaggio in Italia per Robert Browning. Ovvero: riflessioni sull’opera di un poeta da rileggere (senza di lui, non potremmo capire T. S. Eliot, Ezra Pound e Kavafis)
Un autore che non è più letto è un autore che non parla più. La sua voce è condannata al silenzio. Dimenticato, passato di moda (ma cosa c’è di più effimero e fuorviante delle mode letterarie?). Quando poi l’autore in questione si chiama Robert Browning, il poeta vittoriano che per oltre trent’anni fu, nonostante il suo genio, il «grande estraneo» della letteratura inglese, in quanto le sue opere venivano sistematicamente ignorate dal pubblico e stroncate dalla critica, può venire il legittimo sospetto che il destino si accanisca con certi artisti con una particolare determinazione. Eppure Browning è poeta grandissimo, senza il quale sarebbe impossibile comprendere autori del Novecento di primo piano, da T. S. Eliot e Ezra Pound, fino a Konstatinos Kavafis. Come mai, dunque, nessuno più lo legge? La prima risposta che mi verrebbe da dare è che è poeta troppo difficile per i nostri tempi (come altri poeti venuti dopo di lui poco o nulla letti, penso a Luis Cernuda, Hart Crane, Wallace Stevens). Tempi di semplificazioni, che rifuggono la complessità. E tuttavia Browning va letto e riletto (mi riferisco soprattutto ai suoi superbi «monologhi drammatici», e a tutta la produzione antecedente al poema che lo rese finalmente famoso, «L’anello e il libro», nel 1868), perché è dalla sua poesia che ha origine la modernità, così come la intendiamo oggi, così come la interroghiamo oggi, a dispetto della volontà di metterlo in soffitta. Così, dal momento che ruolo del critico è anche quello di ridare voce agli autori dimenticati, tenterò di farlo con una poesia di Browning, non la sua più importante, ma una di quelle a cui sono più affezionato, una poesia di estrema (ma solo apparente) semplicità, composta al ritorno dal suo secondo viaggio in Italia, nel 1845 (il terzo, e ultimo, lo compirà un anno dopo, nella sua fuga d’amore a Firenze con la moglie Elizabeth Barrett, appena posata).
La poesia è The Englishman in Italy (inizialmente con il sottotitolo Autumn at Sorrento, che mi fa venire sempre in mente, per assonanza, il malinconico e cullante standard di Vernon Duke, Autumn in New York, cantato da Billie Holiday): è ispirata al soggiorno di Browning a Piano di Sorrento, sui Colli di San Pietro, dove probabilmente il poeta fu ospite presso il Castello Colonna. Seppure priva di quella spiccata componente narrativa e drammatica tipica delle poesie che Browning andava elaborando per la raccolta Dramatic Romances and Lyrics, pubblicata nello stesso anno, questa poesia prende chiaramente le distanze dall’astrazione e vaghezza shelleyana scaturita dai viaggi italiani, rovesciando il sublime romantico in un elogio della concretezza e dell’infinitamente piccolo, della semplicità e dell’osservazione minuta, che l’avvicina, paradossalmente, al «prose-poet» del mai amato Wordsworth, per il quale la poesia doveva scegliere «eventi e situazioni dalla vita comune» (ma, come vedremo, l’avvicinamento è solo un pretesto, perché in Browning nulla è mai ciò che sembra). Non c’è più traccia qui di identificazione del Soggetto con la Natura, la quale è riscoperta piuttosto con uno sguardo microscopico, con un’attenzione al dettaglio, all’elencazione precisa, alla catalogazione quasi pignola, alla «descrizione pura» che cancella ogni residua partecipazione sentimentale. La componente emotiva è invece tutta sviluppata sul versante delle sensazioni visive, uditive e tattili, come una gioiosa rapsodia sensoriale, un caleidoscopio di immagini, suoni e colori. In questo eden ritrovato che è l’emblema di quella «rara, traboccante bellezza d’Italia» di cui Browning parlerà nella tarda raccolta poetica Asolando, l’io lirico descrive a un’immaginaria bimbetta di nome Fortù, sullo sfondo autunnale di una giornata di pioggia e scirocco, le vivide immagini di un paesaggio e dei suoi natural objects, caratterizzate da un notevole dinamismo descrittivo, tra cui il cibo svolge una funzione di primo piano.
Così, mentre «fuori, sui tetti a terrazza /dove seccavano i fichi, /le ragazze mettevano i graticci al riparo», a causa del maltempo, non c’è lo spettacolo del pescatore che torna da Amalfi, con il suo cesto «tutto palpitante / di polpi grigio-rosei e frutti di mare», mentre attorno a lui si stringono «come diavoletti mocciosi nudi strillando, / bruni come i suoi gamberetti».
Intanto è cominciata la vendemmia:
Nel tino in mezzo al portico /ribolle sanguigno il mosto, / e vi danza a gambe nude tuo fratello, / finché ansando fa una smorfia, / stremato dalla fatica incessante / di pigiare l’uva; / e quando pare abbia finito /nuovo bottino riversano /le ragazze che vanno e vengono senza posa / con la gerla sulle spalle / socchiudendo gli occhi alla pioggia sferzante.
Attraverso queste descrizioni vivide, Browning accumula pennellate di tonalità, con accostamenti cromatici, come in un quadro: il rosso del pomodoro «polposo», il porpora delle «fette di zucca fritta», insieme al blu dell’uva, al bianco della caciotta che «si sfalda come una cipolla» e ancora al rosso della polpa del fico d’India. Ma qual è lo scopo del poeta? Questa scoperta componente pittorica, questo colorismo, che cosa nascondono? Per capirlo dobbiamo arrivare alla seconda sezione della poesia, che è anche la centrale e più ampia, dove viene descritta la scalata, a dorso di mulo, sul «Monte Calvano», ovvero il Monte Vico Alvano, un’altura di 613 metri nei pressi di Arola, una frazione di Vico Equense (un’escursione che mi è capitato di fare a piedi, in pellegrinaggio, per omaggiare Browning e questa sua deliziosa poesia).
L’inizio ha un tono dimesso, ironico, in perfetta sintonia con la serena e gaudente bonarietà dell’introduzione:
Ieri pomeriggio sono salito alla montagna: / tuo fratello, che mi faceva da guida, / presto mi lasciò / per rimpinzarsi di mirtilli / che offrivano sul ciglio della strada / le bacche nero lucide e succose / o per cogliere il tesoro dei sorbi, le biondo rosee mirabili / sorbe lanuginose. / Ma il mio mulo continuava cauto sul sentiero, sicuro e sobrio, / fermandosi solo a ragliare / quando scorgeva giù nella valle / i compagni per via, / carichi di barili d’acqua e di fascine.
I riferimenti espliciti alla lirica di Shelley Marenghi sono qui utilizzati più per prendere le distanze dai suoi toni poetici solenni che per rendere omaggio al suo modello. Ed è proprio questa distanza ironica la chiave di lettura dell’intero componimento. L’immagine della guida che abbandona il poeta per «rimpinzarsi di mirtilli» – laddove il cibo e l’atto del mangiare svolgono ancora una volta un ruolo centrale – è infatti scopertamente comica, e anche quando il registro si fa più elevato, nell’accenno al tesoro dei «mirabili» sorbi, subito dopo il tono si abbassa con la descrizione del mulo che prosegue ragliando. Poi assistiamo ancora a un mutamento di tono: nel continuare la descrizione dell’escursione, e in particolare il movimento ascensionale del percorso, la natura viene antropomorfizzata, ma non per farsi specchio dello stato d’animo del poeta, secondo il tradizionale canone romantico, al contrario per enfatizzarne l’alterità, la distanza dall’uomo, la separazione, perfino l’ostilità. L’atteggiamento del poeta di fronte a questo nuovo aspetto della natura non cambia: il suo occhio resta impassibile, e continua ad essere attento alle manifestazioni più minute della realtà, con un approccio quasi da botanico, annotando le piante selvatiche come la «fumaria», i «mirtilli», i «nespoli», i «sorbi», i «fichi», e i sempreverdi come il «rosmarino» e i «lentischi». Solo quando viene raggiunta la vetta del monte Browning sembra cedere al topos romantico dell’ascesa alla montagna che conduce a una visione rivelatrice: «L’abisso divino /era sopra di me, e attorno, a me le montagne, /e sotto il mare, /e dentro di me il mio cuore a testimoniare / ciò che fu e che sarà».
I versi qui rievocano l’immagine del quadro di Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, divenuto poi emblema del Romanticismo, e naturalmente della Ehrebung di matrice kantiana. Non c’è più traccia di «common life»: il tono sembra adeguarsi ora al travelogue poetico, a quel genere, cio��, del diario di viaggio in versi tipico del periodo romantico, dal tono uniformemente solenne, ispirato proprio dal Grand Tour in Italia, come il celebre Childe Harold’s Pilgrimage di Lord Byron, o Italy di Samuel Rogers. Anche la citazione biblica cui Browning ricorre, quando accenna al «terrible crystal» del cielo, riprendendo l’immagine da Ezechiele, è tipico del genere. E l’invito rivolto a Fortù di rinnovare l’avventura di Ulisse con le sirene, di fronte alla visione degli isolotti dei Galli, è un chiaro riferimento all’Italia immortalata come terra del mito e dell’antichità, come vuole la tradizione. Ma siamo sicuri che Browning non stia ancora parodizzando il suo modello? L’ironia, in effetti, è qui nascosta, ma continua ad agire ed è corrosiva. L’intero brano della poesia, infatti, assomiglia molto di più a un congedo definitivo, a un ultimo e tardivo omaggio a un periodo storico-culturale ormai chiuso del tutto, non a caso inserito proprio all’interno di un componimento che si confronta con un modello della tradizione romantica solo per prenderne le distanze, in un audace rovesciamento parodico. E difatti, chiusa la parentesi solenne della Ehrebung, Browning ritorna bruscamente al tono minore della prima parte, quasi a ricordarci la reale dimensione della sua poesia, fatta di notazioni minute, di personaggi umili, di distanziazione ironica: la comparsa in scena del «fabbro calderaio», che «ha piantato il suo fornello a mantice / e si è subito accovacciato / a martellare là sotto il muro» dilegua il climax romantico per contrasto, come se una miniatura avesse preso il posto di un affresco, con un procedimento non troppo dissimile da quello che utilizzerà di lì a poco Gustav Mahler nelle sue Sinfonie, opponendo triviali marcette militari e canzoni popolari a temi più «alti». Ora la scena è occupata interamente dai preparativi per la processione della Vergine del Rosario, con gli «addobbi apparecchiati» in chiesa – le colonne e gli stipiti decorati con «bandierine rosse e azzurre», la volta che «è uno sventolio di nastri», gli altari che brillano di ceri – e il palco pronto ad accogliere i musicisti che suoneranno indifferentemente Auber e Bellini. Browning indugia al pittoresco, ma la descrizione, animata e ricca di dettagli, va letta ancora una volta in chiara funzione ironica e oppositiva rispetto alla maestosità della «visione» sulla cima del monte. Così la «Madonna dai capelli di stoppa», condotta «in pompa magna / attraverso Piano», e i fuochi d’artificio esplosi a chiusura della «processione sgargiante» lasceranno il posto, a notte, alle «vampe di falò» che guizzeranno «dalla cresta del Calvano» e ad altri scoppi. E il racconto dell’io lirico si conclude, non a caso, con un altro invito alla fanciulla Fortù: stavolta, però, il poeta non le chiede di unirsi a lui per partire sulle tracce del mito di Ulisse, ma molto più modestamente – e l’abbassamento drastico di tono ha ancora una volta una funzione parodicamente antitetica – a vederlo «battere con una zappa sull’intonaco / finché non cade uno scorpione / dalle grandi pinze irose», come se l’unica odissea possibile fosse quella da vivere all’interno del proprio «orto», dove le fatali sirene da affrontare sono trasformate in un piccolo scorpione.
Quell’Italia che Byron definiva nel suo Childe «garden of the world», con tutto il suo carico di mitologie e fascinazioni è qui ridotta dunque a «garden» familiare, domestico, recintato da un muretto. Un microcosmo di piccole cose e di eventi minuscoli. «Bazzecole», come le definisce la stessa Fortù – «Such trifles!» – alle quali non resta che contrapporre, a chiusura della poesia, un riferimento concretissimo, cronachistico, alla discussione sull’abolizione del dazio sul grano – ancora il cibo come topos ricorrente, rivelatore direi – prevista in quegli stessi giorni nel Parlamento inglese. Una sorta di ritorno forzato in patria, un’Itaca non desiderata, che incarna il freudiano principio di realtà, a sancire una volta per tutte la fine del «sogno italiano». Il viaggio, l’evasione, l’alterità non sono più possibili. La fine dell’utopia, del mito, del Romanticismo, si celebra qui nella familiarità dello sguardo, nella reticenza dell’immaginario, nella percezione che il mondo finisca là dove la vista può estendersi. Un passo avanti, e siamo già alla vita misurata «con cucchiaini da caffè» dal Prufrock di Eliot. Anche per questo Browning è un grande poeta. E per questo va letto, dunque, per questo bisogna lasciare che la sua voce ritorni a parlare, la voce dei suoi fanatici religiosi, ciarlatani, artisti rovinatisi con le proprie mani, amanti traditi, cattivi poeti, insani uxoricidi, sofisti, mascalzoni di varia natura, viaggiatori caduti in disgrazia, truffatori; la voce del suo Pictor Ignotus, che si fa una ragione del suo anonimato, vi si arrocca dentro come se fosse una corazza, e finge di averlo scelto volontariamente; la voce del suo adorabile Fra Lippo Lippi, l’artista del corpo e dell’esperienza, convinto che, nonostante tutto, il mondo abbia pur sempre un significato «intenso» e «buono»; la voce del suo Orlando, il cavaliere in cerca della Torre Oscura, con la sua vocazione al fallimento. Solo così si può riscoprire il genio sorprendente di questo poeta vittoriano che, forse, ci può aiutare a guardare al nostro presente da una prospettiva più sghemba, più ardita, più imprevedibile, e soprattutto più ricca. In fondo, non è ancora questo lo scopo della poesia?
Fabrizio Coscia
*
(La traduzione dei versi della poesia è di Angelo Righetti, tratta dal volume: R. Browning, Poems-Poesie, Mursia, 1990).
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cotrozzilivio · 5 years ago
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mentre dorme le immagini le frasi della musica, devastano la notturna fioritura e vivide lacrime tra te e la notte - while sleeping the images the phrases of music, devastate the nocturnal flowering and vivid tears between you and the night #buongiorno #morning #mondobongo #poesiaitalianacontemporanea #poesia #poetry #art #photo #stefanbeutler https://www.instagram.com/p/B0429LXomny/?igshid=1f6p5jlhhn1zk
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unballerino-blog · 6 years ago
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Vivide immagini scagliano emozioni, sibila il cosmo all'acerbo agire mentre avide facce s'ornan d'azioni. E cade infine l'uomo all'imbrunire mentre cielo e terra si tingon di rosso cade una civiltà e il mondo esprime l'eterna gioia d'un peso mosso dal suo petto ormai sfinito, cade l'uomo ed io scosso guardo un bimbo piangere impietrito. #poesia #poetry #rime #metrica #ilballerino #emozioni https://www.instagram.com/p/BtMLZFShX12/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=11smzi50zh6h9
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violet-d-enfer · 7 years ago
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Pénélopes usées, Juliettes avachies
La neve è, per sua natura, generatrice di meditazione. Facile a dirsi, che subito arrivano i problemi dietro la fronte di Giulia, appoggiata sul freddo del vetro, a guardare il piccolo lembo di mondo cambiare in bianco, le mani a scaldarsi sul termosifone. Esiste il ‘per natura’? Beh, anche no. Come sintetizzare ‘generatrice di meditazione’ in una sola parola? Qualche tentativo, incerto e cacofonico, di neologismo usando gli arcaismi del greco. Poi, una resa, piccata: troppa meditazione, troppo logos. Sta così.
In fondo alla testa, le sussurra una poesia, che lì per lì le sembra adatta, se la segna mentalmente: dopo, andrà a ricercarla per leggersela e assaporarla. Evidentemente la poesia non era così importante, perché ‘dopo’ non riuscirà davvero a ricordarsi quale fosse. Con suo sommo fastidio.
Il gioco mentale cambia, sulle note e sulle parole, riadattate al suo caso, di una canzone in sottofondo. “Tornano sempre” e il più delle volte mentre io me ne sto andando via. “Tornano e tornano a tornare. Dagli amanti amati e da quelli trascurati.” Vorrebbe, e chi non lo vorrebbe, essere della prima risma. La vocina stridula e cattiva le ricorda di essere della seconda. E non è neanche detto. E aggiunge, con (im)pertinente e quasi compiaciuta precisione: neanche una Penelope consumata o trasfigurata. Solo una Giulia, Giulietta per gli affetti, estenuata sul ciglio tremolante dell’abbandono.
Il pensiero si disperde in rivoli che scendono in basso, profondi, e riemergono, subdoli, carsici, a tradimento a volte piacevole a volte no.
La fronte ormai ghiacciata le devia alcuni rigagnoli, da periferici a centrali. Con passo disordinato, nell’assenza irreale di rumori del piccolo appartamento, Giulia si muove verso il disordine della libreria. Il disordine le ricorda tutte le volte quante volte si sia ripromessa di scacciarlo, e sta lì beffardo, con aria di sfida. Lei finge di non notarlo, ma quando afferra, sicura della posizione, il libro dallo scaffale fa una piccola linguaccia mentale al suo nemico-amico. Il libro è un vecchio ricordo dell’infanzia, un’edizione per bambini dell’Odissea. Quando le capita di ripensarci da lontano, si ricorda i toni dei colori: i blu scuri declinanti verso il nero, il bianco della veste di Nausicaa, la luce di Atena, lo sguardo nero di Penelope. Sfoglia il libro sorridendo e indugiando sulle pagine dedicate a lei. E le immagini del profilo perfetto, irresistibile di Irene Papas si sovrappongono a quelle del libro.
Chi sa lo sforzo che faceva Penelope per nascondere alla luce i suoi pensieri. Chi sa le parole amare che giravano in vortice nella sua testa, mentre sfidava la tela, e le parole di odio, mentre la disfaceva. Quando malediceva Troia “odiata dalle donne greche”, quando lanciava strali contro il colpevole di quella guerra, di quella lontananza.
“Oh se allora, quando con la nave si dirigeva verso Lacedemone, l'adultero fosse stato sommerso dal furore delle acque! Io non sarei rimasta nel gelo di un letto vuoto e, abbandonata, non mi sarei lamentata dell'interminabile trascorrere dei giorni, né, mentre cercavo di ingannare il grande spazio della notte, la tela ricadente avrebbe stancato le mie mani, prive di te. Quando non ebbi a temere pericoli più spaventosi di quelli reali? L'amore è un sentimento permeato di paure angosciose.”
E il terrore, scacciato con un gesto della mano, ma misurato ché nulla deve trapelare attraverso la compostezza, ché nessuna breccia deve aprirsi sul gorgo, anche se un assalto, un’imboscata, la fierezza dei Troiani possono, da un momento all’altro, scagliarsi contro Ulisse.
“Alla fine, chiunque venisse sgozzato in campo Acheo, il mio cuore di innamorata diventava più freddo del ghiaccio”.
E il ristoro delle notizie che leniscono.
“Troia è ridotta in cenere, nuda terra quello che prima era muro”.
E il rimbrotto dell’amante che trema.
“Hai avuto il coraggio, troppo, troppo dimentico dei tuoi, di entrare nell'accampamento dei Traci con un agguato notturno e, di trucidare con l'aiuto di un solo compagno tanti guerrieri. Eri davvero prudente e ti preoccupavi anzitutto di me! Per la paura il cuore mi palpitava di continuo finché si seppe che, vittorioso, avevi attraversato il campo alleato sui destrieri traci.”
Il tempo scorre, lungo le recriminazioni.
“Distrutta per gli altri, per me sola resti ancora in piedi, Pergamo che, il colono vincitore ara con i buoi catturati. Dove una volta sorgeva Troia, ora c'è il grano e il terreno da mietere con la falce è in pieno rigoglio, reso fecondo dal sangue troiano; le ossa affioranti dei guerrieri sono colpite dalle lame ricurve degli aratri, l'erba ricopre le rovine delle case.”
Il tempo corre lungo due dimensioni, quella del lampo che muggisce, quella delle sabbie mobili che inghiottono.
Il tempo pulsa e diventa una bocca aperta a voragine, nera, muta, in cui i rigagnoli delle angosce si buttano a capofitto, penetrano e squassano, beffardi, dalle radici.
“Tu, che pure sei vincitore, te ne stai lontano e non mi è dato sapere quale sia la causa del ritardo o in quale parte del mondo tu, crudele, te ne stia nascosto. In quali terre vivi, o dove indugi lontano? Sarebbe meglio che fossero ancora in piedi le mura di Febo - mi adiro, ahimè, incoerente, contro i miei stessi desideri! -: saprei dove combatti e avrei timore solo della guerra ed il mio lamento si unirebbe a molti altri. Non so di cosa ho paura, ma, da insensata, ho paura di tutto e vasto spazio si offre alle mie angosce. Qualunque pericolo del mare e della terra sospetto che sia la causa di un ritardo così prolungato. Mentre sono in preda a sciocchi timori, tu puoi essere preso dall'amore per una straniera - tale è l'indole vogliosa di voi uomini! Forse le racconti anche quanto è zotica tua moglie, buona soltanto a cardare la lana. Possa io ingannarmi e questo sospetto svanisca nell'aria leggera, e non avvenga che tu, libero di tornare, voglia restare lontano!"
La promessa a blandire il ritorno, a scongiurare la separazione insopportabile. La devozione senza condizioni.
“Il padre Icario mi spinge ad abbandonare il letto vuoto e continua a rimproverare la mia interminabile attesa. Continui pure a rimproverare! Sono tua, devo essere considerata tua: io, Penelope, sarò sempre la sposa di Ulisse.”
Il rimpianto, quasi una scusa per quando gli occhi dai suoi occhi scenderanno quasi involontariamente lungo il suo corpo, quando la volontà negherà quel lampo di delusione negli altri occhi e lei lo vedrà, senza poter credere alle parole, senza poter fare a meno di sentire una lama affondare e rigirarsi, scardinando quello che resta del suo spirito.
“Io, che alla tua partenza ero una giovane donna, per quanto presto tu possa tornare, di certo ti sembrerò diventata una vecchia.”
Giulia chiude il libro, con un sospiro che non avrebbe voluto sospirare. Perché se fosse Penelope tesserebbe quella odiosa tela con mani sicure, dita sapienti, lo sguardo concentrato, sicuro di sé e della sua arte, quasi di sfida. Sì, potrebbe essere una maschera, ma senza la minima crepa. L’ultima maschera, definitiva. E, invece, da Penelope consumata, da Giulietta guastata, la scelta, inconscia e per questo più dura da scardinare, è un vigliacco, lento procrastinare.
Uno stillicidio.
Il pensiero si raggruma, inizia a girare su se stesso e avviluppato alle immagini troppo vivide dei ricordi. Le viene l’idea di restare lì, sul divano, a vedere quanto a lungo e quanto dentro arriva a torturarsi. Qualcosa oppone un muro, ribatte con un’altra idea, più salubre. Fuori c’è un mondo bianco, abbacinante. Si alza, infila in ordine sparso papala, guanti, piumino, sciarpa a tre giri di collo, prende le cuffie, le spinge nelle orecchie, prende le chiavi, spegne la luce. Che la neve riesca ad abbacinare anche i suoi pensieri, li scartavetri, li levighi e infine ne lasci solo uno netto, il pensiero che dà un taglio deciso, un dolore appuntito, preciso, fulmineo e poi la ferita da leccare.
Sulla soglia di casa, sulle labbra fa il verso alla musica.
Flicka flicka flicka.
Here you are.
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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Adriano Guerrini: Un Poeta tra Tradizione e Modernità. Il viaggio poetico di un autore che ha saputo innovare senza dimenticare le radici. Di Alessandria today
Adriano Guerrini, nato ad Alfonsine nel 1923 e scomparso a Genova nel 1986, è stato un poeta, insegnante di filosofia e storia, saggista e organizzatore culturale italiano.
Adriano Guerrini, nato ad Alfonsine nel 1923 e scomparso a Genova nel 1986, è stato un poeta, insegnante di filosofia e storia, saggista e organizzatore culturale italiano. La sua opera poetica, che abbraccia oltre quattro decenni, si distingue per la capacità di fondere tradizione e modernità, esplorando temi universali con un linguaggio raffinato e profondo. La vita e il percorso…
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pier-carlo-universe · 7 days ago
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Gennaio: La poesia di Rosetta Sacchi tra ombre e luci. Recensione di Alessandria today
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Un viaggio introspettivo attraverso i freddi paesaggi dell’anima. La poesia “Gennaio” di Rosetta Sacchi è un’opera che affascina per la sua profondità e per la capacità di trasmettere emozioni con immagini vivide e penetranti. In pochi versi, l’autrice riesce a evocare il contrasto tra il gelo del mese invernale e il calore delle riflessioni interiori, portando il lettore in un viaggio intimo e…
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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“Acrobazie circensi” di Lucio Zaniboni: Una danza tra quotidianità e metafisica. Recensione di Alessandria today
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Un viaggio poetico che esplora le sfaccettature dell’esistenza, dall’ordinario alla rivoluzione interiore, tra immagini vibranti e riflessioni profonde. Un viaggio attraverso le parole di Lucio Zaniboni La poesia “Acrobazie circensi” del Prof. Lucio Zaniboni, nato e cresciuto a Lecco, è un’opera che intreccia con maestria immagini concrete e simboli universali, trasportando il lettore in un…
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pier-carlo-universe · 5 days ago
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Un viaggio tra passato e presente. “Questa via stretta” di Umberto Saba è una poesia che celebra il potere della memoria e il legame indissolubile con le radici, attraverso immagini vivide e un linguaggio semplice ma profondamente evocativo. La poesia ci conduce in un viaggio nostalgico attraverso i ricordi di un’infanzia povera ma ricca di significato, in cui la città natale diventa simbolo di…
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pier-carlo-universe · 15 days ago
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Un omaggio lirico alla città del Tanaro, scritto con amore e nostalgia. Recensione.La poesia “Poesia per Alessandria” di Fabrizio Rescia è un inno lirico e appassionato dedicato alla città natale dell’autore. Un componimento che intreccia immagini vivide e sentimenti profondi, evocando l’anima di una città che vive nei ricordi, nei paesaggi e nel cuore della sua gente. Alessandria, culla di…
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pier-carlo-universe · 20 days ago
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"La parola" di Lucio Zaniboni: il potere evocativo del linguaggio e il richiamo alla semplicità. Recensione di Alessandria today
Una poesia che esplora la forza e la fragilità della parola, il suo ruolo nel caos moderno e il suo legame con le radici della vita umana.
Una poesia che esplora la forza e la fragilità della parola, il suo ruolo nel caos moderno e il suo legame con le radici della vita umana. Recensione di “La parola” La poesia “La parola” di Lucio Zaniboni è un’intensa riflessione sul potere e il significato del linguaggio, in un mondo che sembra travolto dalla confusione e dalla perdita di autenticità. Attraverso immagini vivide e un ritmo…
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