#il sessantotto
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morenafanti · 1 year ago
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Perché parliamo spesso per slogan
L’immagine proviene da qui   Negli anni ’60, o meglio nel 1968, nacquero moltissimi slogan che venivano usati durante i cortei per scandire il passo di marcia e per divulgare i ‘nuovi’ pensieri. Gli studenti erano sempre in piazza e per le strade, le scuole erano occupate e c’era aria di rivoluzione. Sembrava dovesse scoppiare un vulcano, anche se poi non successe quello che alcuni avevano…
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missviolet1847 · 2 months ago
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Il comunismo cosmico di Franco Piperno - Jacobin Italia
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Il comunismo cosmico di Franco Piperno
Giuliano Santoro
15 Gennaio 2025
Dalla terribile bellezza del lungo Sessantotto al municipalismo, sempre osservando e raccontando le stelle: addio a Franco Piperno
Nella mia infanzia, al nome di Franco Piperno associavo una specie di brigante- licantropo. Mio padre mi portava ad Arcavacata, nel campus dell’Università della Calabria, a vedere «i lupi di Piperno». Cominciavamo a girare attorno alla rete al di là della quale vivevano i lupi. Mio padre certe volte prendeva un bastone e lo batteva sulla recinzione, perché venissero fuori e li potessimo vedere. Una volta uscirono fuori dagli arbusti all’improvviso, come accade nei film di paura quando la colonna sonora accompagna la tensione fino a farla esplodere. Grosso spavento e poi grosse risate. Chissà se quel Piperno, che Andrea Pazienza disegnava coi peli lunghi che uscivano dalle orecchie (appunto, un licantropo), ci guardava dal suo nascondiglio, con cappello a falde larghe, mantello e stivali.
Ma perché, poi, se ne stava rintanato? Quale sceriffo gli dava la caccia e quale reato gli veniva imputato? Mio padre non me lo spiegava e io non glielo chiedevo. Uno si immaginava questo signore che si era dato alla macchia, ma che allevava a distanza addirittura dei lupi. Venne fuori un altro indizio sulla licantropia del Pip. Proprio lui, «quello dei lupi» era anche solito uscire di notte e guardare le stelle.
Siccome la vita è fatta di cerchi che si chiudono e di anni che ritornano, a vent’anni dal mio primo incontro coi lupi finalmente chiesi a Pip quale fosse la loro storia. «Me li regalò un mio amico del dipartimento di ecologia dell’Università della Calabria che si occupava di lupi e di falchi – ha raccontato Pip – Li allevai amorevolmente, li allattai, li seguii, li filmai. Quei cuccioli mostravano un rapporto con la vita e con la violenza senza nessuna sbavatura e ridondanza. Era una dimostrazione di essenzialità. Sembravano chirurghi, quando azzannavano i conigli vivi». Ma perché li tenevi rinchiusi, Pip? «Volevo loro molto bene. Ne ero affascinato, ma ero costretto a tenerli in quel recinto. Altrimenti avrebbero azzannato le pecore dei contadini e quindi sarebbero stati uccisi. La natura aveva fornito loro un’autonomia totale, ma erano finiti per benevolenza umana in un recinto». In tutto ciò, Pip riconosceva la metafora della sua generazione: «Mi parlavano di quanto accadeva a molti dei miei compagni ed amici e un po’ anche a me stesso. Penso in particolare a mia moglie Fiora, che era stata condannata a dieci anni di galera per associazione sovversiva». Come finì? «Per otto mesi non mi staccai da quei lupi. Poi ricevetti anche io un mandato di cattura e non mi parve il caso di scappare con due lupi, era troppo complicato. Allora il rettore dell’università li accolse in quel grande recinto del campus di Arcavacata».
La storia dei lupi, della loro autonomia e della loro selvaggia potenza costrette dentro una prigione dimostra che Franco Piperno, scomparso a Cosenza il 13 gennaio 2025 a 82 anni, conosceva bene l’arte della retorica e della seduzione linguistica, usava gli aggettivi e gli avverbi da consumato spadaccino della discussione. Come un lupo coltivava l’agguato. Come quando ci spiegava che nel Sessantotto si era smesso di investire sul futuro e si era scelto di giocare tutto sul presente. Era stato il movimento statunitense, diceva Piperno, che «aveva indicato la possibilità di sostituire alla lotta per la presa del potere la sperimentazione collettiva di una diversa vita civile, basata sulla produzione autonoma di relazioni comunitarie, capaci di far posto al corpo, cioè alla sensualità e al piacere». Precisava: «Questo è un punto decisivo perché è come praticare l’esodo, dove esodo non significa più, come gli antichi ebrei, andare via dall’Egitto per raggiungere la terra promessa; piuttosto lasciare emergere un diverso Egitto dal suo stato di latenza».
Piperno dalla Calabria si era spostato, da studente, a Pisa e poi a Roma. Cacciato dal Pci per «frazionismo», era stato tra i fondatori di Potere operaio, con Toni Negri, Oreste Scalzone, Sergio Bologna, Mario Dalmaviva e tanti altri. Era una delle organizzazioni che si formarono nel contesto del lungo Sessantotto italiano ma anche la prima ad autosciogliersi, nel 1973. «Toni dice che eravamo una specie di strana massoneria – mi raccontò una volta, col consueto sarcasmo – Era difficile entrare ma una volta che eri dentro tolleravamo qualsiasi follia». Si differenziava da alcuni suoi compagni di strada che si sono formati alla formidabile scuola della «nefasta utopia» dell’operaismo politico, come la chiamava sarcasticamente Franco Berardi Bifo in un saggio di qualche anno fa. Non cercava nessuna centralità lì dove è più alto lo sviluppo capitalistico. Ma manteneva una caratteristica dello stile operaista, che lo preserva da qualsiasi forma di teorizzazione prescrittiva e lagnosa. La si riconosceva quando affermava che il comunismo, inteso come abolizione della riduzione della forza-lavoro a merce, non bisogna costruirlo magari armati di buone intenzioni e libretti rossi. Esso è già in atto. La potenza della cooperazione sociale è già, qui ed ora, più forte della solitudine del capitalismo. Bisognerebbe prenderne atto, dunque, e per questo vivere meglio. «La festa sessantottina è ritrovare l’interezza dell’essere – scriveva ancora Pip – dove nulla eccede o esclude, per essere completamente sé stessi, occorre fondarsi con gli altri nel tutto; come quando nel carnevale si è donne uomini animali, tutti insieme ebbri fino al punto che l’orgia appare sulla soglia, come assolutamente possibile».
Negli anni del ritorno in Calabria, dopo l’esilio in Canada e Francia a seguito della persecuzione giudiziaria che dal 7 aprile del 1979 in poi colpì lui e tanti suoi compagni e compagne, si occupò di Sud, del rapporto tra sviluppo e ricchezza sociale, della critica del tempo lineare del capitale. Prese la cattedra di fisica della materia e promosse, a Cosenza, la nascita dell’emittente comunitaria Radio Ciroma e lanciò in tempi non sospetti, ben prima dell’epoca di Porto Alegre e della democrazia partecipativa su base locale, la suggestione del municipalismo: «Potere alle città, potenza ai cittadini». Un piccolo aneddoto per dire della capacità di stare nelle cose del mondo. Erano i primi anni Novanta quando, ospite di una tribuna elettorale per esporre il programma della lista civica comunale che aveva messo insieme ai suoi, impiegò il tempo che gli era concesso per tessere l’elogio del locale collettivo di studenti medi che si dedicava alla crescita comune e al mutuo appoggio invece che per chiedere esplicitamente voti. Il dettaglio sta nel fatto che quegli adolescenti (mea culpa: quando si è così giovani si ha il diritto di essere estremisti) impegnavano parte del loro tempo anche a criticarlo duramente, imputandogli una qualche deviazione da chissà quale ortodossia rivoluzionaria. Chapeau, Franco.
Divenne, sempre a Cosenza, per due volte assessore «al planetario» e al traffico. Ruolo che interpretò invogliando gli agenti della polizia locale ad applicare con rigore il codice della strada per dissuadere i suoi concittadini dall’uso dell’automobile anche per i piccoli tratti. E uno dei suoi vecchi compagni infilò una battuta fulminante: «Finalmente Franco è davvero a capo di una banda armata». La sua nomina ad amministratore la si deve a Giacomo Mancini, segretario socialista prima di Craxi e ministro che concluse nella sua Cosenza la sua carriera politica. E che in nome del garantismo aveva difeso Piperno e tutti gli autonomi imputati. C’è una scena che rivela cosa rappresentasse Mancini all’epoca della grande repressione. Il 9 marzo del 1985 la polizia aveva ucciso a Trieste il militante dell’autonomia Pietro Pedro Greco, sparandogli addosso con la scusa che aveva scambiato un ombrello per un fucile. I funerali di Pedro si tennero nel suo paese d’origine, un villaggetto della provincia di Reggio Calabria. Bisogna immaginare che clima ci fosse: pochissimi compagni, affranti e braccati, con le bandiere rosse nel paesaggio lugubre della temperie degli anni Ottanta. A un certo punto davanti alla chiesa si fermò un’automobile e ne scese il leader socialista. Era l’unico personaggio politico a partecipare alle esequie e chiedere giustizia per quella morte.
Le analisi di Piperno di questa fase mettevano insieme l’osservazione filosofica e antropologica delle forme di vita meridiane con la strabiliante capacità affabulatoria di quando raccontava il cielo. Chiunque abbia avuto la fortuna di fare un’uscita notturna nei boschi con lui per assistere allo Spettacolo cosmico che metteva in scena spiegando le stelle, non può dimenticare il modo in cui teneva insieme nozioni astronomiche, narrazioni mitologiche, considerazioni esistenziali, divagazioni politiche. Era un modo di mettere in pratica la convinzione che le diverse materie erano fatte per essere mescolate, messe a confronto, intrecciate e che non esisteva la neutralità del metodo scientifico. Questo doveva essere il senso dell’università, sosteneva Piperno: un luogo in cui tutti i saperi si incontrano, oltre la gabbia delle discipline.
Quando, nel 1978, le Brigate rosse rapirono Aldo Moro, Piperno era già tornato in Calabria, a insegnare Fisica della materia all’università. Capì che la morte del presidente della Democrazia cristiana sarebbe stata un disastro per tutti i soggetti in campo e si adoperò per salvargli la vita, approfittando anche del fatto che nel frattempo alcune sue vecchie conoscenze del Potere operaio romano avevano scelto di entrare nelle Brigate rosse. Gli rimase appiccicata una formula, quella che invitava a coniugare la «geometrica potenza» di via Fani con la «terribile bellezza» degli scontri di piazza del 12 marzo del 1977 a Roma. Era un modo per dire che ogni forma di scontro, anche la più radicale, non avrebbe dovuto prescindere dalla dimensione di massa. Ma la formula, che lui stesso avrebbe definito dannunziana, passò per l’esaltazione del terrorismo. Sempre alla Commissione parlamentare d’indagine sul terrorismo, Piperno disse senza mezzi termini ciò che pensava di quella vicenda e dei motivi che lo spinsero a immischiarsi nell’affaire: «Le Br erano davvero convinte che si potesse interrogare Moro e scoprire i legami con gli Stati uniti – affermò – C’era un livello di analfabetismo politico nel gruppo dirigente delle Br che faceva paura e che peraltro secondo me traduceva la situazione ingarbugliata del paese».
Accanto a saggi pensosi e a scritti densi (molti dei quali raccolti negli ultimi tempi dalla rivista online Machina), Piperno era abilissimo nel motto di spirito, nella risposta ironica lapidaria e dalla logica stringente, maneggiava paradossi che ti mettevano con le spalle al muro. A un interlocutore che in un programma televisivo gli rinfacciava di aver esaltato l’uso della violenza, replicò trasecolato ricordando con una metafora iperbolica il contesto della «piccola guerra civile italiana» degli anni Settanta: «Mi chiede se la violenza è giusta? È come se mi chiedesse se cacare è bello. Cacare non è giusto, è inevitabile». In un’altra occasione, venne accusato di aver favorito coi suoi amici sessantottardi la pratica del libero amore, contro la famiglia tradizionale: «Noi non costringevamo nessuno – replicò Pip, sinceramente sgomento – Se uno voleva essere libero poteva farlo, ma non era obbligato. Con noi a volte c’erano anche preti e suore, nessuno li costringeva al libero amore».
Una vita talmente piena, colma di tentativi, errori, sconfitte avventurose ed esperienze irripetibili, viene riassunta dalle cronache con formule giudiziarie e immaginette pigre e precostituite. Delle quali Piperno era consapevole. Anzi, ci giocava. Una decina di anni fa mi trovai con Franco a Torino, per un dibattito al quale avremmo dovuto partecipare. A un certo punto entrammo in una piccola rosticceria di fronte a Palazzo Nuovo per mangiare un boccone. Venne fuori che anche la signora che ci serviva al bancone era di origini calabresi. Allora attaccammo discorso. Lei era evidentemente sedotta dal suo eloquio elegante. (C’era un vezzo, non solo di Franco devo dire, che portava a mescolare il linguaggio di tutti i giorni a parole d’altri tempi: gendarme per dire poliziotto, malfattore per dire bandito, querulo per dire piagnone e così via). «Ma sa che non si sente molto che lei è di giù? Che mestiere fa?», gli disse la locandiera. Lui rispose con gli occhi di ghiaccio che ridevano, l’inconfondibile erre arrotata e i peli che gli uscivano dalle orecchie ben pettinati: «Dev’esserhe che sono stato in prhigione».
* Giuliano Santoro, giornalista, lavora al manifesto.
# Franco Piperno
# fondatore e dirigente di Potere operaio 1968
#università della Calabria / professore di fisica
# esilio in Francia e Canada
Brillante e raffinato intellettuale, rivoluzionario alla luce del sole ( citazione da "Il Manifesto), mai contraddittorio. Uomo profondamente legato alla sua terra di origine : la Calabria.
13 /1/2025 C' è luna piena e Venere e le stelle.. Buon viaggio. 🌹💫💫💫
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fashionbooksmilano · 2 months ago
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Il bijou italiano tra gli anni '50 e '60
Italian fashion jewellery in the 50s and 60s
Alba Cappellieri, Bianca Cappello
Book design : Pietro Corraini con corrainiStudio
Maurizio Corraini Edizioni, Mantova 2015, 144 pagine, 20x26cm, ISBN 9788875 705268
euro 25,00
email if you want to buy [email protected]
La Dolce Vita è quell’epoca meravigliosa e felice, fra la metà degli anni Cinquanta e il Sessantotto, in cui è nato il mito italiano nel mondo. Insieme alla moda e al design anche il bijou italiano è riuscito a esprimere caratteristiche di bellezza formale, qualità manifatturiera e innovazione tecnologica che lo rendono un testimone esemplare dello spirito del tempo.  Il bijou italiano tra gli anni ’50 e ’60, di Alba Cappellieri e Bianca Cappello, si articola in 4 capitoli, dedicati rispettivamente al contesto, agli stili, i protagonisti e i materiali lo rendono uno strumento di immediata comprensione per chiunque voglia avvicinarsi allo scintillante mondo dei bijoux. 
20/01/25
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raffaeleitlodeo · 8 months ago
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anders breivik - che ne ha ammazzati 77, nove con un'autobomba e sessantotto ragazzi nell'isola di utopia - tiene l'acqua calda, la tv via cavo, il pc, l'aria condizionata e la palestra. ma si lamenta per l'isolamento. qui, invece, pure che sei in carcere per spaccio, un magistrato si permette di dire che se vuoi l'acqua calda, il carcere non è un albergo - e a uta, cagliari, dentro le celle ci sono 43 gradi. o sono scemi in norvegia o siamo infami qui. ma pure tutt'e due le cose. Lanfranco Caminiti, Facebook
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stralci · 10 months ago
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alcune frasi asperse da contesto da Fantasmi, di Cerami: «basta scoprire la tranquillità una volta ed è finita. è la doccia che uccide l'allegria, sono il dentifricio alla menta, la penombra delle imposte mezze chiuse, dell'abat-jour posata sul pavimento» / «il povero è uno straniero in casa propria» / «un vago odore di sessantotto stagnava nell'aria» / «un'intensa fanciulla che corre scapigliata nel silenzio» / «ritornava profumata d'orto» / «il bacio fu così lungo che si addormentarono labbra contro labbra» / «con raffinatissima, bizantina intelligenza» / «l'aria era fresca, saporita di gerani» / «ma lei non deve pensare alla potenza dei regnanti o dei magnati, dei maghi o chissà chi. deve pensare alla potenza di un albero, ecco, alla potenza di un albero» / «penso che sia un errore rincorrere, migliorare gli altri. chi ce lo dà questo diritto? e perché mai dovrebbe essere un dovere, chi ce lo ha imposto?»
alcune altre frasi asperse da contesto da Fantasmi, di Cerami, pt II: «era confinato dietro una linea invisibile che raccoglieva cittadini a cui nulla poteva mai capitare tranne le sciagure» / «si incistava, metteva radici» / «si chiese se la gioia per un pericolo scampato non spinga le anime innocenti a caccia di rischi» / «aveva un sorriso onesto e profumava di funerale» / «tutti e tre finirono nei versi dell'ecclesiaste dove si dice che i vivi sanno almeno che moriranno mentre i morti non sanno proprio niente» / «la casa era pulita pulita, ordinata e senza soprammobili, profumata di caldo» / «aprii con il cuore in bocca» / «di conseguenza lasciava che mi muovessi da solo, salvo farsi trovare sempre a braccia aperte sotto il burrone»
alcune altre frasi ancora asperse da contesto da Fantasmi, di Cerami, pt III: «perché la difformità fa tanto paura agli uomini, perché è tanto insopportabile? forse perché coincide con la deformità» / «perché i ragionamenti, si sa, scavano dove è inutile scavare e dimostrano tutto e il contrario di tutto» / «altro pensiero: basta volerlo e si esiste anche da soli» / «la realtà non sarà mai come la vogliono le parole» / «accorata fin quasi alla smanceria» / «insieme rubavano paradiso anche ai minuti» / «ho paura di non essere più capace di soffrire. ogni tanto ci penso e mi allarmo» / «aveva sognato le montagne che respirano»
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curiositasmundi · 11 months ago
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[...]
«Penso sia molto bello che una parte della gioventù prenda a cuore i problemi gravi del mondo. Fanno bene a sperare per il futuro», commenta Carlo Rovelli, fisico e saggista, che dopo aver insegnato in Italia e negli Stati Uniti oggi è professore ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille in Francia. Spiega di non avere basi per sapere se il movimento di contestazione che sta prendendo forma sarà unitario e duraturo, né per sostenere o contraddire chi dice che potremmo essere di fronte ai semi di un “nuovo Sessantotto”: «La storia non si ripete. Penso che nessuno possa già sapere come evolveranno le cose». Ma crede che il movimento a supporto del popolo palestinese si stia allargando velocemente in tutti i paesi occidentali «a causa della flagrante contraddizione fra le notizie che arrivano a tutti su quanto accade in Palestina e il racconto dei principali media. In Palestina c'è un massacro in corso, e questo è ovviamente intollerabile per la generosità di molti giovani, che sono immuni, per fortuna, alla pelosità e all'ipocrisia di chi pensa che in fondo vada bene così». 
Secondo il professore nel mondo contemporaneo c’è tanta violenza: «una minoranza, a cui apparteniamo, non esita a massacrare per difendere il proprio dominio e i propri privilegi. Il colmo dell'ironia è che usiamo la parola "democrazia" per giustificare il dominio armato di una minoranza ricca sul resto del mondo: il 10 per cento dell'umanità controlla il 90 per cento della ricchezza del pianeta. Il mondo si sta ribellando e andiamo verso un conflitto globale, in più in piena crisi ecologica. E pensiamo solo a vincere, invece che a cercare soluzioni. Spero che i giovani sappiano spingere a cambiare rotta», aggiunge Rovelli, con la speranza che la voce dei giovani non rimanga inascoltata perché «prendere posizione è importante: il massacro in corso in Palestina è insopportabile. La gente muore di fame, a pochi chilometri da uno stato ricco che li massacra con le bombe». 
Il fisico, conosciuto per le sue posizioni a favore della pace, già durante il Concertone del Primo Maggio 2023 aveva esortato pubblicamente i giovani ad agire. A prendere in considerazione i problemi che mettono a rischio il pianeta, come la crisi climatica, le disuguaglianze crescenti e soprattutto la tensione del mondo che si prepara alla guerra: «La guerra che cresce è la cosa più importante da fermare. Invece di collaborare, i paesi si aizzano uno contro l’altro, come galletti in un pollaio. […] Il mondo non è dei signori della guerra il mondo è vostro. E voi il mondo potete cambiarlo, insieme. […] Le cose del mondo che ci piacciono sono state costruite da ragazzi, giovani che hanno saputo sognare un mondo migliore. Immaginatelo, costruitelo», aveva detto dal palco di Roma, a conclusione di un discorso in grado di scatenare non poche polemiche.  
«Le accuse di antisemitismo sono ciniche e completamente infondate. Questi stessi giovani scenderebbero egualmente in piazza per difendere la popolazione ebraica massacrata.  Anzi, lo farebbero con ancora più furore. Ma è peggio di così: perché brandire la stupida accusa di antisemitismo è soffiare sul fuoco del razzismo: razzismo è leggere tutto in termini di razza, invece che nei termini di chi muore sotto le bombe e chi dà l’ordine di sganciarle. Chi continua a parlare di antisemitismo non sa liberarsi dal suo implicito razzismo», aggiunge oggi. A difesa dei movimenti studenteschi che lottano affinché la guerra a Gaza abbia fine, a sostegno della popolazione palestinese che stanno prendendo sempre più spazio nelle università: «Penso che l'entrata della polizia negli atenei sia un grande insegnamento per i giovani - conclude- insegna loro a diffidare delle istituzioni. A capire che qualche volta il potere non è per loro. È contro di loro, contro la loro sincerità, contro chi muore sotto le bombe». 
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colonna-durruti · 2 years ago
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https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0NrsvH2wjzhjD4h87G47ytQb5ix1yD1L5FN2k75EVAfinDWouJ5BTpW8iD7SHzQYPl&id=100068807366162
NON C'È CORDOGLIO PER UN NEMICO DELLA NOSTRA GENTE
Sono diversi gli articoli che ci attaccano a causa della nostra scelta di non dimostrare cordoglio per la morte di Silvio Berlusconi.
Un cordoglio che, da destra a centro-sinistra, ha pervaso la comunicazione politica: "A Dio, Silvio" (Meloni); "Rispetto per quello che è stato un protagonista della storia del Nostro paese" (Schlein); "Un imprenditore e un politico che in ogni campo ha contribuito a scrivere pagine significative della nostra storia" (Conte).
Noi invece vogliamo ricordare #Berlusconi per quello che è stato: un nemico della nostra gente.
Non sorprende che la destra, i fascisti, i mafiosi, i padroncini, i palazzinari e gli speculatori, gli evasori, i razzisti, gli ipocriti bigotti lo santifichino, tanto che il Governo Meloni, contro la prassi che prevede per gli ex premier i soli #funeralidistato, ne ha approfittato per chiamare arbitrariamente una giornata di #luttonazionale.
Berlusconi è stato il loro migliore rappresentante e insieme uno di loro. La sua storia imprenditoriale, ben prima di quella politica, è stata la storia di una commistione malsana tra potere politico, imprenditoriale e borghesia mafiosa.
Una storia che ha visto il Berlusconi rampante costruttore degli anni Settanta giocare sempre su due piani, ma con lo stesso scopo: sul piano pubblico, favorire l'ascesa di Bettino Craxi al potere e la trasformazione del PSI in un partito neoliberista e anticomunista; sul piano occulto, finanziare e sostenere quegli apparati dello stato ed ex fascisti, che erano dapprima stati sovvenzionati in funzione antisovietica dagli USA, e che si erano ri-organizzati nella cosiddetta "Loggia P2" per favorire un golpe soft in funzione anticomunista.
Entrambi quei piani rispondevano a uno scopo preciso: farla finita con il "lungo Sessantotto" italiano, ossia con quella stagione di lotte che aveva limitato il potere di speculatori e sfruttatori e consentito la modernizzazione del paese e lo sviluppo di diritti e potere per le classi popolari. E farla finita con l'immaginario, con la cultura politica e organizzativa e con la crescita elettorale comunista, che di quella stagione era stata protagonista e che veniva giustamente individuata dal Berlusconi della fine degli anni Settanta come un pericolo mortale per i suoi progetti speculativi.
Fu solo con l'inizio degli anni Novanta, però, che Berlusconi riuscì a catalizzare un ampio consenso intorno alla sua figura. Nel 1992 l'inchiesta di "Mani Pulite" dissolveva il sistema dei partiti al potere, PSI e DC in particolare, mentre la contemporanea auto-dissoluzione dell'Unione sovietica portava alla fine del PCI.
Lo spazio politico che si apriva era immenso.
La sua discesa in campo nel 1994 – preparata con largo anticipo con il tacito assenso della borghesia mafiosa e l'appoggio di settori consistenti degli apparati – ha così permesso a fascisti, leghisti, evasori e mafiosi di essere sdoganati, di diventare culturalmente e socialmente vincenti. Berlusconi al potere li ha fatti arricchire, a spese del pubblico e delle classi lavoratrici, ha fatto leggi su misura per loro, che gli permettevano di imbrogliare e di sfruttare i giovani, i migranti - ma gli ha anche offerto una rivalsa ideologica nel bullizzare quella parte d'Italia che per decenni aveva rappresentato, con tutti i limiti, i valori della solidarietà, della giustizia, dello studio e del sacrificio, della questione morale.
Erano gli anni dei condoni edilizi e dell'esplosione dell'evasione fiscale, delle leggi ad personam, dei tagli indiscriminati a scuola e sanità, della deregolamentazione del diritto del lavoro, dello sdoganamento dell’estrema destra, dei legami sempre più evidenti il suo partito e la mafia, della politica del malaffare. Gli anni del "mors tua vita mea" e del massacro del G8 di Genova.
Certo non a tutta la borghesia italiana quel modo di gestire le cose andava bene: quando nel 2011, in piena crisi del debito, il berlusconismo rischiava di mettere in pericolo la tenuta finanziaria del paese, sottomettendola agli interessi degli evasori e alle mancette elettorali del Cavaliere, la parte della borghesia italiana più internazionalizzata lo fece fuori, mettendo un tecnico come Monti alla presidenza del Consiglio e facendo di Berlusconi un improbabile martire anti-austerity. Si trattava però di un regolamento di conti interno alla borghesia italiana. Basti pensare che lo stesso Governo Berlusconi all'esplodere della crisi nel 2008 aveva tagliato ben 8 miliardi di euro a scuola e Università, scaricando su giovani e classi popolari i costi dell'austerity e la salvaguardia dei privilegi del suo blocco sociale.
Che oggi tutti i partiti dell'opposizione in Parlamento - dal PD che sull'antiberlusconismo ha campato, passando per i 5 Stelle che sono cresciuti sullo "psiconano" e i comizi di Grillo, per arrivare a Sinistra Italiana e Soumahoro che scrivono parole "umane" per ricordarlo - si subordinino alla celebrazione della destra, la dice lunga su quanto il progetto egemonico berlusconiano abbia avuto successo.
Guardate le dichiarazioni di Schlein, Conte, Fratoianni, guardate il PD che rimanda la sua riunione di Direzione: sono tutti dalla stessa parte, tutti d'accordo, tutti senza memoria. Una melassa buonista e ributtante, che parla di rispetto verso chi ha letteralmente determinato la morte di migliaia di persone nelle fabbriche, in mare, negli ospedali smantellati e regalati ai privati, l'emigrazione dal nostro paese di migliaia di giovani.
Noi non dimentichiamo la Bossi-Fini o la riforma Gelmini, non dimentichiamo i parlamentari comprati, gli accordi con la mafia, le parole verso Eluana Englaro "che poteva restare incinta", lo spregio del genere femminile, i legami con i cattolici più oscurantisti, l'uso della cosa pubblica come affare privato, la guerra in Iraq del 2003...
L'unico vero problema per noi è che Berlusconi e i suoi Governi hanno lasciato danni indelebili nel paese. Quello che Berlusconi ha avviato è ancora davanti a noi, è ancora al governo.
Ma certo non proviamo tristezza. Perché nulla ci unisce, nemmeno il cordoglio, come loro non lo hanno avuto per Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, e tutti i "nostri" morti.
Siamo due mondi diversi. Teniamolo bene in testa.
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ma-come-mai · 1 year ago
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nuntereggae più
Abbasso e alè (nun te reggae più)
Abbasso e alè (nun te reggae più)
Abbasso e alè con le canzoni
Senza fatti e soluzioni
La castità (nun te reggae più)
La verginità (nun te reggae più)
La sposa in bianco, il maschio forte
I ministri puliti, i buffoni di corte
Ladri di polli
Super pensioni (nun te reggae più)
Ladri di stato e stupratori
Il grasso ventre dei commendatori
Diete politicizzate
Evasori legalizzati (nun te reggae più)
Auto blu
Sangue blu
Cieli blu
Amore blu
Rock and blues (nun te reggae più)
Eya alalà (nun te reggae più)
Pci psi (nun te reggae più)
Dc dc (nun te reggae più)
Pci psi pli pri
Dc dc dc dc
Cazzaniga (nun te reggae più)
Avvocato Agnelli, Umberto Agnelli
Susanna Agnelli, Monti Pirelli
Dribbla Causio che passa a Tardelli
Musiello, Antognoni, Zaccarelli (nun te reggae più)
Gianni Brera (nun te reggae più)
Bearzot (nun te reggae più)
Monzon, Panatta, Rivera, D'Ambrosio
Lauda Thoeni, Maurizio Costanzo, Mike Bongiorno
Villaggio, Raffa, Guccini
Onorevole eccellenza, cavaliere senatore
Nobildonna, eminenza, monsignore
Vossia, cherie, mon amour
Nun te reggae più
Immunità parlamentare (nun te reggae più)
Abbasso e alè
Il numero 5 sta in panchina
S'è alzato male stamattina
Mi sia 'onsentito dire (nun te reggae più)
Il nostro è un partito serio (certo)
Disponibile al confronto (d'accordo)
Nella misura in cui
Alternativo
Aliena ogni compromesso
Ahi lo stress
Freud e il sess'
È tutto un cess'
Ci sarà la ress'
Se quest'estate andremo al mare
Solo i soldi e tanto amore
E vivremo nel terrore che ci rubino l'argenteria
È più prosa che poesia
Dove sei tu?
Non m'ami più?
Dove sei tu?
Io voglio tu
Soltanto tu, dove sei tu?
Nun te reggae più
Ue paisà (nun te reggae più)
Il bricolage (nun te reggae più)
Il quindicidiciotto
Il prosciutto cotto
Il quarantotto
Il sessantotto
Le pitrentotto
Sulla spiaggia di capocotta
(Cartier Cardin Gucci)
Portobello e illusioni
Lotteria a trecento milioni
Mentre il popolo si gratta
A dama c'è chi fa la patta
A settemezzo c'ho la matta
Mentre vedo tanta gente
Che non c'ha l'acqua corrente
E non c'ha niente
Ma chi me sente
Ma chi me sente
E allora amore mio ti amo
Che bella sei
Vali per sei
Ci giurerei
Ma è meglio lei
Che bella sei
Che bella lei
Ci giurerei
Sei meglio tu
Che bella sei
Che bella sei
Nun te reggae più
Che bella lei
Vale per sei
Ci giurerei
Sei meglio tu
Che bella sei
Nun te reggae più
Compositori: Salvatore Gaetano
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paoloferrario · 14 days ago
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Marcello Flores e Giovanni Gozzini, 1968. un anno spartiacque, il Mulino, 2018, nuova edizione 2025
1968. Un anno spartiacque di 1968. Un anno spartiacque di Marcello Flores e Giovanni Gozzini, pubblicato da Il Mulino nella collana Biblioteca storica, analizza il 1968 come evento globale che ha segnato una svolta epocale nella storia contemporanea Contenuto e approccio Il libro interpreta il Sessantotto come il primo movimento simultaneamente globale, con rivolte che coinvolsero tutti i…
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viunews · 5 months ago
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"L'indimenticabile 1956", i giorni della Rivoluzione Ungherese
Oggi nella storia: "L'indimenticabile 1956", i giorni della Rivoluzione Ungherese
Iniziata il 23 ottobre, la Rivoluzione ungherese del 1956 fu un’insurrezione spontanea e popolare contro il governo della Repubblica Popolare d’Ungheria e le sue politiche filo-sovietiche. In questi giorni di sessantotto anni fa scendevano nelle piazze studenti, lavoratori e intellettuali che chiedevano riforme politiche ed economiche. Facendo un piccolo passo indietro, dopo la Seconda Guerra…
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bigarella · 5 months ago
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La seconda importante iniziativa del Sessantotto avviene all’interno del mondo operaio
Il rovesciamento delle priorità – dalla riforma alla rivoluzione – aveva portato gli studenti ad individuare nell’unione con la classe operaia, o nelle forme più ideali con un più generico mondo degli esclusi, lo strumento per dare attuazione a quel progetto. Si poneva dunque il problema, classico per ogni soggetto rivoluzionario, del che fare. La questione diventava bruciante perché spinte verso…
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adrianomaini · 5 months ago
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La seconda importante iniziativa del Sessantotto avviene all’interno del mondo operaio
Il rovesciamento delle priorità – dalla riforma alla rivoluzione – aveva portato gli studenti ad individuare nell’unione con la classe operaia, o nelle forme più ideali con un più generico mondo degli esclusi, lo strumento per dare attuazione a quel progetto. Si poneva dunque il problema, classico per ogni soggetto rivoluzionario, del che fare. La questione diventava bruciante perché spinte verso…
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fashionbooksmilano · 4 months ago
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Il bijou italiano tra gli anni '50 e '60
Italian fashion jewellery in the 50s and 60s
Alba Cappellieri, BiancaCappello
Corraini, Mantova 2015, 144 pagine, ISBN 9788876705 268
euro 25,00
email if you want to buy [email protected]
La Dolce Vita è quell’epoca meravigliosa e felice, fra la metà degli anni Cinquanta e il Sessantotto, in cui è nato il mito italiano nel mondo. Insieme alla moda e al design anche il bijou italiano è riuscito a esprimere caratteristiche di bellezza formale, qualità manifatturiera e innovazione tecnologica che lo rendono un testimone esemplare dello spirito del tempo. 
Il bijou italiano tra gli anni ’50 e ’60, di Alba Cappellieri e Bianca Cappello, si articola in 4 capitoli, dedicati rispettivamente al contesto, agli stili, i protagonisti e i materiali lo rendono uno strumento di immediata comprensione per chiunque voglia avvicinarsi allo scintillante mondo dei bijoux. 
30/11/24
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bagnabraghe · 5 months ago
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La seconda importante iniziativa del Sessantotto avviene all’interno del mondo operaio
Il rovesciamento delle priorità – dalla riforma alla rivoluzione – aveva portato gli studenti ad individuare nell’unione con la classe operaia, o nelle forme più ideali con un più generico mondo degli esclusi, lo strumento per dare attuazione a quel progetto. Si poneva dunque il problema, classico per ogni soggetto rivoluzionario, del che fare. La questione diventava bruciante perché spinte verso…
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collasgarba · 5 months ago
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La seconda importante iniziativa del Sessantotto avviene all’interno del mondo operaio
Il rovesciamento delle priorità – dalla riforma alla rivoluzione – aveva portato gli studenti ad individuare nell’unione con la classe operaia, o nelle forme più ideali con un più generico mondo degli esclusi, lo strumento per dare attuazione a quel progetto. Si poneva dunque il problema, classico per ogni soggetto rivoluzionario, del che fare. La questione diventava bruciante perché spinte verso…
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arocchi · 6 months ago
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occidente
Rampini, secondo lei va riscritta una storia dell’Occidente?
«No, il ruolo dell’Occidente come laboratorio di progresso è stato studiato benissimo, finché da noi si studiava la storia in modo serio. Nel mio libro attingo a grandi storici, i più autorevoli, e offro un concentrato delle loro lezioni. In particolare, la ricognizione del formidabile progresso scientifico, tecnologico, economico, civile e culturale che si è concentrato in Occidente negli ultimi tre secoli, e da qui ha irradiato benefici all’umanità intera. La nostra medicina, la nostra agricoltura hanno salvato dallo sterminio per malattia e per fame tutti gli altri. L’accumulo di scoperte e invenzioni nate in così poco tempo in Occidente dà le vertigini, è così vasto che per elencarle e calcolarne i benefici mi sono fatto aiutare perfino dall’intelligenza artificiale. Il problema è che questa magnifica epopea del progresso non viene più insegnata. La scuola e l’università, i media e il mondo dello spettacolo, le élite che fanno opinione, cancellano il progresso occidentale, lo disprezzano e lo rovesciano nel suo contrario: ne fanno un grande romanzo criminale, in cui l’Occidente è l’unica civiltà veramente malvagia e oppressiva. Le nuove generazioni in particolare vengono indottrinate con questa falsificazione della storia».
Quali sono le ferite culturali che ci stiamo infliggendo? E da dove nascono, dalla cultura Woke?
«Le ferite culturali che ci infliggiamo sono gravi. Ne elenco solo qualcuna. Alleviamo dei giovani depressi, pessimisti, apocalittici, esposti ad ogni sorta di patologie psichiche perché privati di ogni autostima, convinti di appartenere a una razza infame. Perfino la denatalità ha questa componente psicologica. La demonizzazione dello sviluppo economico – visto come causa di tutti i mali, dal cambiamento climatico alle diseguaglianze – educa docili reclute dello statalismo. Poi rendiamo impossibile l’integrazione degli immigrati: dicendogli che la nostra civiltà è molto peggiore di quelle da cui provengono gli stranieri. Su queste basi una società multietnica si distrugge. Il termine woke, che significa “risvegliato”, è rivelatore perché richiama le due grandi rivoluzioni puritane nell’America dell’Ottocento, definite appunto “Grandi Risvegli”. La dimensione religiosa è essenziale per capire l’autoflagellazione delle élite bianche, che vogliono espiare le proprie colpe (presunte). La woke culture è un’etichetta recente per un fenomeno ben più antico. L’università di Stanford, nel cuore della Silicon Valley, abolì il corso di storia della civiltà occidentale nel 1962, sei anni prima del nostro Sessantotto».
Noi italiani dovremmo ricordarci meglio quale è stato il ruolo dell’Italia nella storia del progresso?
«L’Italia è la culla di due antefatti fondamentali: umanesimo e Rinascimento preparano il terreno per Illuminismo, positivismo, rivoluzione scientifica e industriale. Senza Galileo non ci sarebbero stati Henry Ford, Bill Gates e Steve Jobs. Ringraziare l’Occidente, è anche ringraziare l’Italia che di questa storia meravigliosa è parte integrante. Poi sul nostro territorio geografico si situa un antefatto ancora più antico, quella Repubblica romana che anticipa l’idea di uno Stato di diritto, poi ripresa dalle rivoluzioni americana e francese alla fine del Settecento. Oggi sia la Cina che l’Iran si autodefiniscono Repubbliche, ma è un concetto del tutto estraneo alle loro civiltà, inesistente in Confucio e nel Corano».
Le autocrazie copiano le democrazie, nei prodotti, negli stili. Non nelle regole. Noi e loro come possiamo confrontarci?
«Le autocrazie ci copiano perché senza i benefici dell’Occidente le loro popolazioni non sopravviverebbero. Mao Zedong provò a ripudiare la scienza occidentale, chiuse le università, mandò una generazione a lavorare i campi per costruire “l’Uomo Nuovo”. Il risultato furono carestia e guerra civile. La Cina di oggi è una nazione prospera e moderna perché ha adottato tutto il progresso occidentale. Le autocrazie soffrono di un complesso d’inferiorità anche nei confronti dei nostri sistemi politici e dei nostri modelli valoriali, tant’è che la Cina non ripudia la democrazia bensì sostiene di averne inventato una versione migliore; non disconosce la Dichiarazione universale dei diritti umani, anzi dice di esserne la paladina più autentica. Però è dalla Cina, dalla Russia, dai paesi islamici, che si continua a emigrare verso l’America, non viceversa. Un grande intellettuale di origine libanese, Amin Maalouf, profondo conoscitore di una civiltà antioccidentale come quella araba e islamica, sostiene che tutti quelli che hanno cercato di soppiantare l’Occidente hanno generato catastrofi. Succederà anche stavolta».
L’Occidente in pericolo: aggredito il 7 ottobre in Israele. Aggredito in Ucraina da Putin. E sempre pronto alla resa, alla massima concessione al nemico… Perché noi italiani siamo diventati arrendevoli, più che diplomatici, cedevoli?
«L’Italia ha sempre avuto tre grandi correnti politico-culturali ostili all’Occidente e in modo particolare antiamericane: fascismo, cattolicesimo, comunismo. Nulla di nuovo sotto il sole. L’ignoranza storica però è grave: non ci si rende conto che solo perché siamo sotto l’ombrello protettivo americano è stato possibile contestare sistematicamente l’America; un privilegio che altri imperi (russo-sovietico, cinese) non hanno mai concesso né concedono tuttora ai propri sudditi».
Le elezioni americane incideranno anche sull’Europa “indecisa a tutto”?
«Le elezioni americane possono accelerare un disimpegno degli Stati Uniti dalla sicurezza europea se vince Donald Trump, possono rallentarlo se vince Kamala Harris. Ma l’isolazionismo è un vento che soffia sia a destra sia a sinistra, negli Stati Uniti. Inoltre, è destino che l’America debba dedicare le sue risorse scarse alla sfida cinese, prioritaria. Quindi un’Amministrazione democratica a Washington nei prossimi quattro anni sarebbe solo una cura palliativa, dando agli europei l’illusione di poter ancora rinviare la presa di responsabilità».
Serve un nuovo patto occidentale, oltre a un nuovo Patto Atlantico? Una rinnovata alleanza tra i paesi che hanno guidato il mondo fino a pochi anni fa?
«Credo che un nuovo patto occidentale emergerà nei fatti, via via che l’ostilità degli altri comincerà a infliggerci dei danni sempre più visibili. Qualcosa sta già accadendo. Nel campo energetico l’aggressione di Putin all’Ucraina ha obbligato gli europei ad una maggiore integrazione con Stati Uniti Canada e Australia, geopoliticamente affini. La Cina sta esportando la sua crisi economica, avendo dei consumi interni depressi cerca di smaltire sui nostri mercati una immensa eccedenza di produzione industriale, con una pressione feroce sui nostri mercati. Anche i tedeschi, gli ultimi ad aver prosperato sulla Globalizzazione Felix, saranno obbligati un po’ alla volta a convertirsi alle barriere protettive contro l’invasione cinese. La comunità atlantica si fonda su uno zoccolo duro di interessi materiali: basta studiarsi la composizione della nostra bilancia dei pagamenti, più lo stock di capitali esteri, per capire che l’Italia è legata a Europa e Nordamerica, mentre tutte le altre aree del mondo hanno un peso marginale sul nostro interscambio e i nostri flussi di investimenti. Chi aveva ululato che le sanzioni contro Putin ci avrebbero impoverito, inventava un mondo che non esiste: la Russia è un nano economico, con il Pil della Spagna. Perfino la nostra regione più orientale, il Friuli-Venezia Giulia, esporta molto più in Nordamerica che a Est. L’alleanza tra noi occidentali è quanto di più naturale, se vi si aggiunge l’affinità nei valori. In quanto a guidare il mondo, se l’Occidente smetterà di denigrarsi da solo, scopriremo quanti filoccidentali ci sono anche nel Grande Sud globale: molti africani per esempio sanno benissimo che le continue polemiche contro il neocolonialismo bianco sono un alibi con cui le loro classi dirigenti corrotte e rapaci dirottano l’attenzione dalle loro colpe».
La Russia si fermerà, la Cina si conterrà se inizieremo a investire un po’ di più per la difesa comune?
«Putin capisce solo i rapporti di forza e rispetta solo la potenza altrui. Investire nella nostra sicurezza, costruire un robusto apparato di deterrenza, è l’unico modo per fermare l’espansionismo imperiale delle potenze dispotiche. In quanto alla Cina, va colpita nei suoi interessi materiali. Finora le abbiamo perdonato tutto: furto di know how, concorrenza sleale, sfrenato protezionismo (quello cinese cominciò decenni prima dei dazi di Trump). Bisogna applicare la reciprocità in modo spietato. Le multinazionali cinesi che vogliono investire in Occidente dovrebbero essere soggette alla stessa imposizione che ha colpito molte aziende americane ed europee: l’obbligo di scegliersi un socio locale e di rivelargli i propri segreti industriali. È così che i cinesi hanno carpito tecnologie alla nostra industria automobilistica».
L’orgoglio occidentale, per tornare in conclusione al suo libro, come si rilancia?
«Il mio libro è una cura ricostituente per la nostra autostima e in modo particolare quella dei nostri giovani. Investire nella conoscenza di sé, nell’orgoglio per quel che fecero i nostri antenati, è un primo passo per fermare l’autodistruzione e scongiurare la nostra decadenza. A restituirci orgoglio a volte basta ascoltare i nostri ammiratori dall’esterno. Le femministe iraniane sognano le conquiste delle donne occidentali. In ogni zona del pianeta dove ci sono diritti calpestati, libertà negate, il modello rimane l’Occidente».
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