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Rita Rossa: Ricordo di Andrea Foco
La scomparsa di Andrea Foco mi coinvolge emotivamente per il legame forte che, negli anni, si è trasformato in sintonia politica e in collaborazione istituzionale.
La scomparsa di Andrea Foco mi coinvolge emotivamente per il legame forte che, negli anni, si è trasformato in sintonia politica e in collaborazione istituzionale.Lo conosco da sempre. La sua presenza segna i ricordi della mia infanzia, delle vacanze in campeggio, delle feste di famiglia. Abbiamo abitato per anni nello stesso palazzo, sono cresciuta con Roberto e Lella, suoi figli e Tina, sua…
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Appunti storici sul Cristo.
Ogni tanto ritorna il problema della natura del Cristo e dell'uomo-Gesù. Allora propongo questa comunicazione inedita di Kempis del 5 Giugno 1975 che tratta della figura storica di questo "personaggio".
************************************ Chissà se il Cristianesimo sarebbe mai nato se Cristo non fosse stato ritenuto “figlio di Dio”! Quanti si sono fatti questa domanda! E quanti, più ancora, si sono chiesti se Cristo veramente sia esistito. I primi dubbi nacquero naturalmente ad opera dei Giudei, quando fu fatto osservare che gli Evangeli contengono alcune inesattezze storiche. Per esempio Luca e Matteo dicono che Gesù è nato al tempo di Erode e Luca aggiunge: “Durante il viaggio di spostamento fatto da Giuseppe e Maria, per sottostare al censimento di Quirino il Siriano”.
Ora, come si sa, Erode regnò dal 40 al 4 a.C., mentre il censimento di Quirino il Siriano fu fatto deposto Archelao figlio di Erode; quindi le date non tornano. Il Ricciotti, quasi vostro contemporaneo, cerca di rimediare la faccenda in un modo non certo molto convincente. Del resto poi il pasticcio diventa pasticciaccio quando si confrontano le date del presunto inizio della predicazione del Cristo con quelle di Anna, Caifa, Ponzio Pilato e della presunta morte di Gesù, per cui si perviene a concludere o che Cristo è morto a venticinque anni al tempo di Anna, Ponzio Pilato governatore della Palestina, o che è morto a trentasei anni, al tempo di Caifa, quando Ponzio Pilato non era più in Palestina da circa quattro anni. Altri sostengono che il 15 Nisan non cadde mai di venerdì per tutto il periodo in cui Ponzio Pilato restò in Palestina. Ma a questo proposito, francamente, esprimerei dei dubbi. Ancora: tralasciando la questione delle comete, del terremoto alla morte di Cristo, di secondaria importanza, insomma può far parte di una descrizione figurata, per esempio in Matteo, Gesù rimprovera gli Ebrei di aver ucciso Zaccaria Ben Barachia, mentre questo personaggio è risaputo che morirà 40 anni dopo la morte del Cristo. E non può certo trattarsi di un caso di omonimia perché Matteo ne riferisce i particolari della morte: “ucciso fra il tempio e l’altare”. Gli studiosi laici delle origini del Cristianesimo hanno sostenuto che la figura del Cristo non è sufficientemente testimoniata da documenti dell’epoca o di epoche immediatamente successive. Per esempio il “Mishnah”, che è una raccolta di nomi di ribelli all’autorità del Sinedrio, che va dal 40 a.C. al 200 d.C., non parla di Gesù. Filone di Alessandria, cronista, vissuto dal 30 a.C. al 40 d.C., elenca le sette religiose della sua epoca, perfino gli Esseni, ma non i Cristiani; almeno che non si vogliano identificare gli uni con gli altri. Il discusso passo di “Antiquitates” di Flavio Giuseppe, altro cronista vissuto dal 31 al 100 d.C., è chiaramente una interpolazione successiva; ed analoghi dubbi esistono per la lettera di Plinio il Giovane a Traiano, per quanto ci muoviamo già su un terreno diverso perché, come si sa, Plinio il Giovane è vissuto dal 62 al 114 d.C. Intendo dire che le testimonianze che si possono trarre da, per esempio, “Gli Annali” di Tacito, le “Epistole”, altri scritti di Svetonio, sono tutte di molto successive e non hanno il valore che avrebbero avuto documenti dell’epoca del Cristo; sembrano testimoniare più l’esistenza del Cristianesimo che non del suo fondatore. Tant’è vero che non poche hanno ritenuto il Cristianesimo nato su una figura ideale. E ben lo sapeva questo, l’anonimo autore della lettera di Publio Lentulo a Tiberio il quale, per colmare questa lacuna, parare il colpo, come si usa dire, inventò una bella lettera in cui un subordinato scrive al suo Imperatore in questi termini di Gesù: “Egli è di aspetto maestoso, viso roseo, incomparabile bellezza. Sua madre è la più bella e mesta figura che si sia conosciuta da queste parti”. Certo fa tenerezza questo anonimo autore che cercò di migliorare la situazione peggiorandola invece di molto, perché ci fa pensare che i dubbi sollevati dagli avversari del Cristianesimo, non erano del tutto infondati..
E’ stato anche detto giustamente che molte figure storiche non sono documentate, come quella del Cristo, eppure circa la loro esistenza non si sollevano dubbi. Obbiettivamente, affermare che il Cristo non sia esistito, mi pare un pochino eccessivo, anche tenendo presente il fatto che gli uomini non possono verificare la verità di un avvenimento, cioè verificare se un avvenimento sia realmente accaduto o meno. Gli Ebrei, ed una parte della tradizione occulta, lo identificano in Jeshua Ben Pantera, il figlio di una pettinatrice. Altri nel “Maestro Giusto” degli Esseni, vissuto un secolo prima, circa, del Gesù canonico. Certo è che i Vangeli furono scritti molti decenni dopo la morte del Cristo, sulla base di raccolte di aforismi e sulla tradizione orale, per cui la vita che si può trarre da questi documenti, di Gesù, è alquanto approssimativa. Questo lo riconoscono tutti a cominciare, onestamente, dai Cristiani. Ed altrettanto onestamente debbo dire che uno studio imparziale di questa figura non è mai stato fatto; si è visto raramente nella giusta luce.
Le opinioni ne hanno fatto ora il Figlio di Dio, ora un mistificatore, ora un essere mai esistito, sempre secondo aprioristiche concezioni. Sarei tentato di farla io una puntualizzazione di questa figura, se non mi rendessi conto che non serve a molto.
Vedete, non volete credere che sia Figlio di Dio? Bene! Crediamo che sia figlio di una prostituta. Uso questo termine nel senso dispregiativo che voi gli date, perché personalmente non giudico le creature dalla professione che svolgono e, per quel che posso vedere vi sono molte prostitute rispettabili, come tante rispettate madri di famiglia. Non volete pensare che fosse giustamente esatta la cronologia e la storia narrata dai Vangeli? Bene! Pensiamo che non sia esatta, togliamo tutte le parti che non concordano con fonti più certe, riduciamo cioè gli Evangeli ad una raccolta di aforismi come erano in origine. Volete pensare che il Cristo non sia esistito realmente? Bene! Crediamo che sia un personaggio creato dalla fantasia popolare. Nonostante ciò, niente cambia, perché tutte queste sono parti accessorie.
Lo studioso Harnech disse che se togliamo tutte le sovrastrutture dai Vangeli alla ricerca dell’essenziale, corriamo il rischio di fare come quel fanciullo che tolse via tutte le foglie da un bulbo per trovarvi il nocciolo e rimase con il nulla in mano. Ecco un grande errore! Se togliamo le sovrastrutture dei Vangeli alla ricerca dell’essenziale, rimane il vero valore, ciò che Cristo disse. Ed è un gran valore, anche se in effetti non rimane che una piccola parte, pallida ombra della sua predicazione.
Credete forse che il valore del Cristo stia nel Cristianesimo? E’ da sciocchi crederlo! Se così fosse, gli orrori dell’Inquisizione, le Crociate, le guerre di religione, i genocidi, sarebbero tutti da addebitare al Cristo. Ciò che il cristianesimo ha fatto di bene o di male, non è da addebitare o accreditare al suo fondatore, ma agli uomini, perché rappresenta ciò che gli uomini hanno fatto in nome del Cristo e nulla più. Muta forse il valore della sua predicazione, in dipendenza del fatto che Egli abbia o non abbia operato miracoli? Che Egli sia stato Figlio di Dio? Certo che lo era, come lo siamo tutti! Forse che il suo dire è men vero se sua madre era o non era vergine, se Egli aveva o non aveva fratelli, se si chiamava Gesù di Nazareth o Jeshua Ben Panthera, o Maestro Giusto?
Chi fonda il giudizio sul Cristo su questi elementi, è come colui che giudica il vino dalla forma della bottiglia. Ed a questi dico: “se credete al Cristo per quel che è stato detto di Lui e non per quel che Lui ha detto, allora disilludetevi: il Cristo della tradizione è falso, come lo dimostra il fatto che gli Evangeli non corrispondono alla narrazione storica. Ciò che lo fece conoscere non fu una nascita facoltosa, una ricchezza, una sapienza accademica, non le amicizie influenti, non tutto questo. Ma unicamente ciò che disse lo fa sopravvivere ancora oggi nonostante l’opera disgregatrice delle Chiese che portano il suo nome, perché è verità che dura nel tempo. ********************************
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Prof., credo che non abbia risposto alla mia domanda. Ragioniamo per assurdo: Cristo sia veramente esistito -> che strano! Suo cugino era a capo di una congrega gnostica e cabalistica -> hanno fatto di tutto per convincerci che le profezie del Vecchio T si siano avverate -> nuova religione. Quindi se e' tutto vero e' un'ortodossia se e' tutto falso e' un'eresia, immagino. Sta di fatto che rimane pur sempre una mitologia degna d'attenzione visto il palese sincretismo con altri culti del tempo,Grz
Nella mia risposta mi sono riferito ai Vangeli tramandati e anche a quelli gnostici.E' indubbio che così come è stata presentata la figura di questo personaggio, la sua storicità sia dubbia.Quindi ogni giudizio di eresia o ortodossia o a quanto abbia detto e a cosa possa aver appoggiato la sua predicazione, rimane nella fantasia di chi ha scritto o tramandato i vangeli.A questo proposito ti copio un intervento effettuato in una seduta medianica del Cerchio Firenze 77, in cui un'Entità esprime la sua opinione su questo argomento:******************************“Chissà se il Cristianesimo sarebbe mai nato se Cristo non fosse stato ritenuto “figlio di Dio”! Quanti si sono fatti questa domanda! E quanti, più ancora, si sono chiesti se Cristo veramente sia esistito.
I primi dubbi nacquero naturalmente ad opera dei Giudei, quando fu fatto osservare che gli Evangeli contengono alcune inesattezze storiche. Per esempio Luca e Matteo dicono che Gesù è nato al tempo di Erode e Luca aggiunge: “Durante il viaggio di spostamento fatto da Giuseppe e Maria, per sottostare al censimento di Quirino il Siriano”.
Ora, come si sa, Erode regnò dal 40 al 4 a.C., mentre il censimento di Quirino il Siriano fu fatto deposto Archelao figlio di Erode; quindi le date non tornano. Il Ricciotti, quasi vostro contemporaneo, cerca di rimediare la faccenda in un modo non certo molto convincente. Del resto poi il pasticcio diventa pasticciaccio quando si confrontano le date del presunto inizio della predicazione del Cristo con quelle di Anna, Caifa, Ponzio Pilato e della presunta morte di Gesù, per cui si perviene a concludere o che Cristo è morto a venticinque anni al tempo di Anna, Ponzio Pilato governatore della Palestina, o che è morto a trentasei anni, al tempo di Caifa, quando Ponzio Pilato non era più in Palestina da circa quattro anni. Altri sostengono che il 15 Nisan non cadde mai di venerdì per tutto il periodo in cui Ponzio Pilato restò in Palestina. Ma a questo proposito, francamente, esprimerei dei dubbi. Ancora: tralasciando la questione delle comete, del terremoto alla morte di Cristo, di secondaria importanza, insomma può far parte di una descrizione figurata, per esempio in Matteo, Gesù rimprovera gli Ebrei di aver ucciso Zaccaria Ben Barachia, mentre questo personaggio è risaputo che morirà 40 anni dopo la morte del Cristo. E non può certo trattarsi di un caso di omonimia perché Matteo ne riferisce i particolari della morte: “ucciso fra il tempio e l’altare”. Gli studiosi laici delle origini del Cristianesimo hanno sostenuto che la figura del Cristo non è sufficientemente testimoniata da documenti dell’epoca o di epoche immediatamente successive. Per esempio il “Mishnah”, che è una raccolta di nomi di ribelli all’autorità del Sinedrio, che va dal 40 a.C. al 200 d.C., non parla di Gesù. Filone di Alessandria, cronista, vissuto dal 30 a.C. al 40 d.C., elenca le sette religiose della sua epoca, perfino gli Esseni, ma non i Cristiani; almeno che non si vogliano identificare gli uni con gli altri. Il discusso passo di “Antiquitates” di Flavio Giuseppe, altro cronista vissuto dal 31 al 100 d.C., è chiaramente una interpolazione successiva; ed analoghi dubbi esistono per la lettera di Plinio il Giovane a Traiano, per quanto ci muoviamo già su un terreno diverso perché, come si sa, Plinio il Giovane è vissuto dal 62 al 114 d.C. Intendo dire che le testimonianze che si possono trarre da, per esempio, “Gli Annali” di Tacito, le “Epistole”, altri scritti di Svetonio, sono tutte di molto successive e non hanno il valore che avrebbero avuto documenti dell’epoca del Cristo; sembrano testimoniare più l’esistenza del Cristianesimo che non del suo fondatore. Tant’è vero che non poche hanno ritenuto il Cristianesimo nato su una figura ideale. E ben lo sapeva questo, l’anonimo autore della lettera di Publio Lentulo a Tiberio il quale, per colmare questa lacuna, parare il colpo, come si usa dire, inventò una bella lettera in cui un subordinato scrive al suo Imperatore in questi termini di Gesù: “Egli è di aspetto maestoso, viso roseo, incomparabile bellezza. Sua madre è la più bella e mesta figura che si sia conosciuta da queste parti”. Certo fa tenerezza questo anonimo autore che cercò di migliorare la situazione peggiorandola invece di molto, perché ci fa pensare che i dubbi sollevati dagli avversari del Cristianesimo, non erano del tutto infondati..
E’ stato anche detto giustamente che molte figure storiche non sono documentate, come quella del Cristo, eppure circa la loro esistenza non si sollevano dubbi. Obbiettivamente, affermare che il Cristo non sia esistito, mi pare un pochino eccessivo, anche tenendo presente il fatto che gli uomini non possono verificare la verità di un avvenimento, cioè verificare se un avvenimento sia realmente accaduto o meno. Gli Ebrei, ed una parte della tradizione occulta, lo identificano in Jeshua Ben Pantera, il figlio di una pettinatrice. Altri nel “Maestro Giusto” degli Esseni, vissuto un secolo prima, circa, del Gesù canonico. Certo è che i Vangeli furono scritti molti decenni dopo la morte del Cristo, sulla base di raccolte di aforismi e sulla tradizione orale, per cui la vita che si può trarre da questi documenti, di Gesù, è alquanto approssimativa. Questo lo riconoscono tutti a cominciare, onestamente, dai Cristiani. Ed altrettanto onestamente debbo dire che uno studio imparziale di questa figura non è mai stato fatto; si è visto raramente nella giusta luce.
Le opinioni ne hanno fatto ora il Figlio di Dio, ora un mistificatore, ora un essere mai esistito, sempre secondo aprioristiche concezioni. Sarei tentato di farla io una puntualizzazione di questa figura, se non mi rendessi conto che non serve a molto.
Vedete, non volete credere che sia Figlio di Dio? Bene! Crediamo che sia figlio di una prostituta. Uso questo termine nel senso dispregiativo che voi gli date, perché personalmente non giudico le creature dalla professione che svolgono e, per quel che posso vedere vi sono molte prostitute rispettabili, come tante rispettate madri di famiglia. Non volete pensare che fosse giustamente esatta la cronologia e la storia narrata dai Vangeli? Bene! Pensiamo che non sia esatta, togliamo tutte le parti che non concordano con fonti più certe, riduciamo cioè gli Evangeli ad una raccolta di aforismi come erano in origine. Volete pensare che il Cristo non sia esistito realmente? Bene! Crediamo che sia un personaggio creato dalla fantasia popolare. Nonostante ciò, niente cambia, perché tutte queste sono parti accessorie.
Lo studioso Harnech disse che se togliamo tutte le sovrastrutture dai Vangeli alla ricerca dell’essenziale, corriamo il rischio di fare come quel fanciullo che tolse via tutte le foglie da un bulbo per trovarvi il nocciolo e rimase con il nulla in mano. Ecco un grande errore! Se togliamo le sovrastrutture dei Vangeli alla ricerca dell’essenziale, rimane il vero valore, ciò che Cristo disse. Ed è un gran valore, anche se in effetti non rimane che una piccola parte, pallida ombra della sua predicazione.
Credete forse che il valore del Cristo stia nel Cristianesimo? E’ da sciocchi crederlo! Se così fosse, gli orrori dell’Inquisizione, le Crociate, le guerre di religione, i genocidi, sarebbero tutti da addebitare al Cristo. Ciò che il cristianesimo ha fatto di bene o di male, non è da addebitare o accreditare al suo fondatore, ma agli uomini, perché rappresenta ciò che gli uomini hanno fatto in nome del Cristo e nulla più. Muta forse il valore della sua predicazione, in dipendenza del fatto che Egli abbia o non abbia operato miracoli? Che Egli sia stato Figlio di Dio? Certo che lo era, come lo siamo tutti! Forse che il suo dire è men vero se sua madre era o non era vergine, se Egli aveva o non aveva fratelli, se si chiamava Gesù di Nazareth o Jeshua Ben Panthera, o Maestro Giusto?
Chi fonda il giudizio sul Cristo su questi elementi, è come colui che giudica il vino dalla forma della bottiglia. Ed a questi dico: “se credete al Cristo per quel che è stato detto di Lui e non per quel che Lui ha detto, allora disilludetevi: il Cristo della tradizione è falso, come lo dimostra il fatto che gli Evangeli non corrispondono alla narrazione storica. Ciò che lo fece conoscere non fu una nascita facoltosa, una ricchezza, una sapienza accademica, non le amicizie influenti, non tutto questo. Ma unicamente ciò che disse lo fa sopravvivere ancora oggi nonostante l’opera disgregatrice delle Chiese che portano il suo nome, perché è verità che dura nel tempo.”*******************************************************************+
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Giampaolo Pansa: il ricordo del sindaco di Casale Monferrato, Federico Riboldi
“Ci lascia una delle figure della casalesità, tra le più importanti di tutti i tempi. Giornalista pungente, seppe negli anni della maturità andare controcorrente lasciandoci pagine storiche importantissime. Non dimenticò mai, nei suoi scritti, la sua Casale Monferrato che oggi piange un figlio illustre e unico. È mia intenzione proclamare una giornata di lutto cittadino … Leggi... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
da Quotidiano Piemontese - Home Page https://ift.tt/35RJlEK via Adriano Montanaro - Alessandria
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La Grande Civiltà delle “fake news”: dal Prete Gianni ai Protocolli dei Savi di Sion, le bufale che hanno fatto la storia
Le notizie false – pardon, oggi è di moda dire fake news – non fanno solo ridere, quando le si scoprono. Hanno conseguenze nefaste sulla realtà, che risulta così manipolata, dando a noi un senso di smarrimento e di sfiducia nel mondo editoriale, già assediato da una crisi che va al pari passo con l’ignoranza degli italiani. E così Internet si può trasformare in un pozzo di veleni, in un’arma, tra le più subdole per distorcere orientamenti politici e sbilanciare equilibri economici. Ma le bufale non sono tipiche di questa nostra epoca digitale, popolata da spaesati e da sovraeccitati, da creduloni e da cretini. Alcune bugie hanno condizionato per decenni o per secoli la storia. Pensiamo alla presunta donazione di Costantino, con cui l’imperatore avrebbe donato, nel VIII secolo, tutto il mondo che obbediva a Roma. Quel “regalo” influenzò persone di grande levatura come Dante e Ludovico Ariosto. La falsa donazione (Constitutum Constantini) si sgretolò al suono delle trombe dei bersaglieri quando nel 1870 fecero la breccia di Porta Pia. È uno dei tanti casi in cui il falso ha un immenso valore politico e militare. Certi scrittori di bestseller come Dan Brown hanno intinto la penna nel calamaio del sentito dire o comunque della balla storica, poco importa se sia stata in precedenza demolita. La fandonia, occorre riconoscerlo, ha il suo fascino narrativo.
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Dicono che la Storia non insegna. A ciascuno la sua opinione. Fatto sta che la conoscenza di tante antichissime bugie non ci pone sempre in un sano stato di allerta. Quando nel 2001 ci fu l’attentato contro le Torri Gemelle, a New York, la fiera delle bufale cominciò a girare veloce. Non mancò chi sosteneva che quel drammatico crollo non fosse mai avvenuto. Alla pari dello sbarco sulla luna, nel 1969. Come si ricorderà, il volto del terrore coincise con lo ieratico viso di Bin Laden. Ci fu chi giurò che lo sceicco del terrore in realtà non esisteva, morto da tempo. E allora? Semplice, secondo questa teoria: nel mondo circolava almeno una decina di suoi cloni (o più semplicemente sosia). Estate del 1945: Hitler si spara dopo aver ordinato ai suoi fedeli di bruciare il suo corpo (e pure quello di Eva Braun, appena sposata). Più di una fonte asserì che quei cadaveri non erano quelli dei coniugi Hitler. E fideisticamente molti si posero la seguente domanda: «Può morire?». I falsi sono e sono stati, tanti. Ce ne parla con prosa brillante Errico Buonanno in Sarà vero (Utet, 2019).
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Andiamo indietro nel tempo e riportiamo un episodio che ha il sapore dell’aneddoto. Camminava in una polverosa strada di Francia – siamo nel 1080 – il nobiluomo Everard de Breteuil, il quale aveva deciso da tempo di ritirarsi dall’alta società per condurre una vita da eremita. Conformemente alla decisione presa, indossava soltanto un saio. Gli venne incontro per caso un mendicante con abiti da straccione, ma con un portamento elegante e dignitoso. Affascinato da quel tipo, gli chiese come si chiamasse. Risposta: «Evrard de Breteuil, ricco, un tempo, in Francia e ora relegato in esilio volontario per espiare i propri peccati». Attimi di grandi perplessità, poi il vero nobile riprese la sua passeggiata e decise di smetterla con l’ascesi, se non voleva che il paese si popolasse di impostori come quello appena incontrato. Ancora in Francia, secoli dopo. Si presenta a Grange-aux-Ormes, una ragazza che si dichiara come Giovanna d’Arco, la pulzella di Orléans. Rediviva, ovviamente. Sapeva andare bene a cavallo, ottenne omaggi e favori, venne presentata alla duchessa di Lussemburgo, dalla città di Orléans riuscì a spillare quattrini. La sua commedia durò quattro anni. Alla fine l’Università di Parigi la costrinse a confessare la menzogna.
Gli impostori medievali arrivano come mosche. È l’epoca dei ritratti incerti, pur in circoli di buona fama intellettuale. È uno strascico storico, visto che nell’antichità certe scuole di retorica commissionavano pastiches che spesso finivano in commercio, nelle bancarelle di strada. Anche la biblioteca di Alessandria era un magazzino di falsi. Il medico Galeno si diceva amareggiato dopo aver scoperto che in strada si vendevano scritti non suoi, ma col suo nome. La stessa cosa capitò per Sofocle, Euripide. A Roma, Varrone sosteneva che delle 130 commedie di Plauto, ben 109 erano spurie. Le frodi recavano vantaggi. Sia onorato Gesù Cristo, d’accordo. Ma molto meno le presunte migliaia di pezzi della croce dove morì. Si arrivò a inginocchiarsi alle gocce di latte delle mammelle di Maria madre del Nazzareno, al cervello di Pietro, alla mandibola della Morte che aveva visitato Lazzaro. Senza contare le migliaia di nasi, denti, dita e orecchie di santi.
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Una delle figure più grottesche passeggia lungo i sentieri mondiali del Medioevo: padre Gianni. Narra il Chronicon di Alberico delle Tre Fontane che attorno al 1165 Manuele Comneno, imperatore di Bisanzio, ricevette una lettera a dir poco insolita. La missiva, piena di ossequio, era firmata, appunto, da padre Gianni che si definiva grande Monarca delle Indie, re di 72 province, discendente dai Re Magi. E, tra le altre cose, scriveva al monarca erede dell’impero romano: «Se tu sei in grado di contare le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare, allora sarai in grado anche di valutare la grandezza del nostro regno e del nostro potere». Non conosciamo la reazione del destinatario, ma è facile supporre che rimase interdetto da questo Presbyter Johannes. Una sua lettera fu consegnata anche a Federico Barbarossa, lettera nella quale, a parte i consueti omaggi, proponeva un’alleanza contro i Mori. Padre Gianni talvolta faceva esercizio di modestia dichiarandosi semplicemente “prete”, proprio lui che si diceva gran sacerdote e imperatore. Nel frattempo un messaggero proveniente dall’India s’intrufolava nelle stanze vaticane. Saluti rivolti anche al Santo Padre. Ma questo Gianni su che cosa regnava? Su un qualcosa che somigliava da vicino a un Eden, che si estendeva dai confini del Paradiso «fin nelle vicinanze della Torre di Babele, e comprendeva fonti di latte e di miele, un fiume di pietre preziose, un mare di sabbia, il vero sepolcro di San Tommaso, tutti gli animali della Terra tranne i serpenti velenosi, palazzi d’oro nonché sassi dal potere taumaturgico». Non era finita lì: Padre Gianni rendeva noto che «ogni mese siamo serviti a tavola da sette re, ciascuno secondo il suo turno, da 62 duchi e da 265 conti». In quell’Eldorado c’erano anche belle donne? Certamente. Ma Padre Gianni le incontrava «solo per far figli». Questa è indubbiamente la truffa più duratura (pare per 500 anni) e diffusa di tutta la storia occidentale. Anche perché il fantomatico personaggio (ovviamente padre di numerosi imitatori) solleticava ambizioni politiche, invasioni, diatribe tra monarchi. Si sa: certi miti collettivi possono tradursi in realtà. O rafforzare certi timori. Ci riferiamo a quei vescovi che, per una feroce diatriba interna alla Chiesa, si radunarono a Viterbo (in una situazione coatta, a dir poco) per eleggere il Papa. In una “cronica” Ottone di Babenberg, vescovo di Frisinga, narrò della visita a Viterbo di Ugo di Gabala, vescovo siriano dai natali francesi, che portava una lettera. Sì, proprio la lettera di Prete Gianni. In essa la solita paccottiglia di un improbabile immenso impero orientale, zeppo di mostri e di mirabilia ma anche l’accenno a una lettera che Alessandro Magno avrebbe spedito al suo precettore Aristotele. Peccato che noi sappiamo che il grande conquistatore macedone non vergò mai una sua “cronica”. Altri ci pensarono con il Romanzo di Alessandro, testo ellenistico, naturalmente apocrifo. Ottone, uomo colto e storico attento, aveva spesso l’umor nero e leggeva le vicende del mondo come un lunghissimo cammino spirituale. All’orizzonte vedeva la disgregazione, la decadenza delle istituzioni terrene. Avvertiva il fiato dell’Apocalisse. Attorno a lui l’Europa e il Medioriente erano terre infuocate dalle dispute e dagli scontri, dinastici e non.
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Il 1600 si apre con la messa al rogo di Giordano Bruno a Roma, condannato prima a Venezia e poi nella sede del papato per eresia. Il Seicento è un secolo importantissimo per il pensiero scientifico e filosofico. Basti pensare a vette intellettuali come Galileo e Spinoza. Ma sono anche decenni di fandonie. Una delle quali si chiama la Confraternita dei Rosacroce. Nome suggestivo senza dubbio, ma anche senza fondamento storico nel senso questa accolita dai contorni nebulosamente e cristianamente ascetici deriva da un opuscolo attribuito a tale Valentinus Johannes Andreae, comparso a Kassel (Gemania) nel 1614, intitolato Fama fraternitatis Rosae Crucis, che raccontava la vita, ovviamente più che esemplare, di tale Christian Rosenkreuz. Strabiliante il fatto che il suo corpo sarebbe stato ritrovato intatto a 120 anni dal decesso, contornato da simboli esoterici e vaghe insegne iniziatiche. Qualcuno afferma che l’opuscolo fosse già circolato a partire dal 1610. Le nebbie storiche aiutano la formazione del mistero e spesso ne conferma l’autenticità. Siamo dinanzi a un testo oscuro, dai caratteri sacrali, frutto dell’esperienza di un uomo che aveva molto studiato e viaggiato, riuscendo a rimanere in vita per 106 anni. I confratelli di Rosacroce si dicevano pronti ad avviare un periodo di pace, amore e saggezza. Insomma, un manifesto così generico da non scomodare la parola eresia. Si promettevano guarigioni e la fine delle pestilenze. La Terra poteva salvarsi. Erano in molti, in anni di scismi, sette e trattati alchemici, a pensare che dei Rosacroce non sarebbe rimasta alcuna eredità, a parte l’indubbio fascino del nome. Era passato un solo anno e la stessa (?) mano misteriosa fece circolare un altro libello, la Confessio Fraternitatis un manifesto, attribuito a tale Valentinus Johannes Andreae, meno blando del primo. I Rosacroce rivelavano che l’universo intero era popolato dai segni che Dio vi aveva impresso per l’annuncio della nuova era. Non c’era tempo da perdere: si sarebbe salvato solo colui non aveva mai peccato, e avrebbe parlato con gli eccelsi spiriti, finalmente affrancato dalle meschinità umane. Ecco il vero Vangelo di Luce! Non passò un anno che comparve un altro libello, intitolato Le nozze chimiche di Christian Rosencreutz, il resoconto dettagliato del cammino iniziatico compiuto e descritto dal padre della confraternita. Il testo sollevò comunque speranza, nuova fede o terrore? Niente di tutto questo perché non ci furono né dispute, né ribellioni, né rivolte. Pare che siano stati in molti a giurare di essere da anni dei rosacrociani. Uno studioso tedesco sostenne nella sua “Eco della Confraternita illuminata da Dio” (1615) che la dottrina era stata fondata nientemeno che da Adamo, conservata da Noè e poi trasmessa a Zoroastro per giungere infine nelle mani di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Il famoso alchimista inglese Robert Fludd si diceva convinto che i misteriosi confratelli sapessero fabbricare l’oro. In un suo scritto aggiunse: «Non possiamo sapere né i luoghi dove si incontrano né i tempi…ma è certo che conoscono la vera astronomia, la vera fisica, la matematica, la medicina e la chimica…». I Rosacroce non si facevano mai vedere, ma c’era chi assicurava che fossero molto operosi, moderati, frugali e sinceri. Unanimità sul fatto che vivessero in incognito. Persone perbene insomma, anche se restie alla pubblicità? Non mancarono i detrattori, che gridavano: sono imbroglioni, adepti del demonio, lussuriosi, scansafatiche, malfattori. Ma un giorno d’agosto del 1623 i parigini si stupirono non poco vedendo appesi ai muri alcuni manifesti. Erano quelli dei Rosacroce, senza alcuna firma. Pomposo l’incipit: «Noi, deputati del Collegio principale dei fratelli Rosa-Croce, stiamo facendo soggiorno visibile e invisibile in questa città per grazia dell’Altissimo…». E la sostanza qual era? Questa: «Riveliamo e insegniamo senza libri né segni come parlare le lingue dei paesi dove vogliamo essere, e come trarre gli uomini dall’errore e dalla morte». In un secondo, e leggermente inquietante, manifesto questi fantomatici “maestri” avvertivano il lettore di conoscere il suo pensiero, aggiungendo che avrebbe potuto aderire alla confraternita per fede e non per semplice curiosità. Ci furono reazioni indignate, a cominciare dal cardinale Richelieu e dai gesuiti (poco prima erano stati indicati come nemici della Confraternita). Più in generale si parlò di stregoneria e di attacco al buoncostume. Dopo nove anni di messaggi criptici i Rosacroce, intenzionati «a riformare l’Universo» percorrendo la strada di una non meglio spiegata utopia, venivano allo scoperto. Si fa per dire dato che non rinnegavano la loro invisibilità. Un papocchio pseudo-religioso, di cui alcuni si avvalsero per carriera, opportunismo e altri fini poco nobili. Poco dopo si arriva al comico. Il maestro Andreae nel 1617, in un’operetta titolata Menippus, rivelò che i Rosacroce altro non erano che un simbolo, un puro ludibrium curiosorum. Insomma: una burlesca invenzione. Di questo gruppo s’interessò anche Cartesio nel suo viaggio in Germania. Nessun risultato. Rimase in piedi un gran fascio di ipotesi e una certa voglia di esoterismo. Un misterioso manoscritto venne alla luce in Germania nel 1710. In esso si annunciava che i Rosacroce dei bei tempi s’erano trasferiti in India, «per vivere maggiormente in pace». In un certo senso anticiparono di molto gli hippies del Novecento.
*
Dal faceto al tragico, dalla suggestione all’istigazione. Sempre nel solco – in terra assai fertile – dei falsari. Parliamo dei famigerati Protocolli dei Savi di Sion, secondo i quali gli ebrei sarebbero, con tutti i mezzi, arrivati alla conquista e al controllo del mondo intero. Per comprendere meglio il fenomeno, occorre soffermarsi su alcuni “precedenti”. L’autore di Sarà vero riassume in poche righe il meccanismo vincente di un falso storico: «Spargere voci in fondo è facile: basta un pochino di retorica, un certo gusto per il romanzesco, un minimo di perspicacia nell’individuare obiettivi sensibili. Un falso influente non può e non deve mai concedersi voli eccessivi di fantasia, non può sperare di far colpo creando storie totalmente nuove. Quel che deve fare è ripetersi, andare incontro alle credenze già diffuse tra il proprio pubblico ideale e coccolarle, confermarle, con tutta la grandiosa forza dello stereotipo». È una buona ricetta. Ed è facile realizzarla quando sono in ballo gli ebrei, da sempre considerati “deicidi” (non furono loro a mettere in croce Gesù figlio di Dio?) e usurai (a dire il vero erano costretti a esserlo in quanto la pratica del prestito era interdetta ai cristiani). Ci pensava la fantasia a condire le accuse contro “i nasi lunghi”, indicandoli come colpevoli un po’ di tutto. La Francia degli inizi 1300 sarebbe stata martoriata dalla lebbra. A chi dar la colpa? Un autorevole studioso come Carlo Ginzburg riporta quanto scritto in una cronaca anonima stilata attorno 1328: «Si diceva che gli ebrei fossero complici dei lebbrosi in questo crimine: e per questo molti furono bruciati». Peccato che non dilagasse la lebbra. Si radicò comunque l’idea che i lebbrosi fossero gli emissari degli ebrei. Ai tempi di Filippo di Valois si verificò un’eclisse di luna e di sole, si raccontava di un drago infuocato devastava interi campi. Partì una lettera a Papa Giovanni XXII, per chiedere che fare. Semplice: perseguitare gli ebrei, svaligiare le loro abitazioni. Durante queste scorrerie si sarebbe trovato un documento con tanto di sigillo. In esso veniva sancito l’accordo tra ebrei e i musulmani di Granata e con il Sultanato di Babilonia per battere la cristianità con l’astuzia. Sbucava un piano complesso con conseguenze internazionali: gli arabi si sarebbero convertiti all’ebraismo promettendo la restituzione di Gerusalemme. In cambio i mori potevano considerare la Francia come territorio proprio.
Tra gli antecedenti dei Protocolli c’entra anche Napoleone. La tesi di fondo era che dietro le conquiste del soldato corso ci fosse il complotto ebraico. In effetti Napoleone stava aprendo i ghetti dell’Europa. Il ragionamento è semplicemente capzioso: se il condottiero francese osteggiava l’isolamento e la persecuzione degli ebrei, chiaro dunque che a rendere possibile la grande campagna militare di Napoleone erano stati gli ebrei. Il genio militare francese, secondo uno studio apparso nel 1967, pare avesse convocato a Parigi il “Grande Sinedrio” per saggiare la fedeltà degli ebrei alla nazione e a trattare con i giudei il problema dell’usura. Grande, ingenuo errore chiamare quella riunione Sinedrio. Monarchici e clericali non aspettavano di meglio: dunque si stava preparando, dicevano, un governo ebraico! E giù malevolenze e ingiurie: ecco che si stava preparando un vertice mondiale supersegreto, ecco che Napoleone si svelava come il Messia nero giunto a preparare l’Apocalisse. A Mosca il sinodo ortodosse tuonava così: «Oggi (Napoleone, ndr) propone di riunire gli ebrei che la collera di Dio ha disperso sulla faccia della terra, per spingerli a rovesciare la Chiesa di Cristo e a proclamare un falso Messia nella sua persona». Un tira e molla di accuse a scapito degli ebrei, tanto è vero che, quando scoppiò la rivoluzione d’Ottobre, i russi (anche quelli dell’armata bianca) dettero a loro la colpa dei grandi mali del bolscevismo. Ma il colpo più insidioso, il falso per eccellenza si chiama appunto “I protocolli dei Savi di Sion”. Cominciò a circolare nella Russia zarista attorno al 1903 un documento in cui finalmente gli ebrei svelavano il loro grandioso progetto: impadronirsi del mondo, con la complicità dei massoni. Nel 1909 a Charlottenburg, nei dintorni di Berlino, comparve la prima traduzione di quel falso. Traduzioni a Varsavia, a Londra, a New York, Vienna e Parigi. Nel 1921 l’antisemita Giovanni Preziosi lo pubblicò con enfasi grafica nella rivista La vita italiana. Il titolo del periodico era questo: L’internazionale ebraica: Protocolli dei “Savi Anziani” di Sion. Otto edizioni fino alla fine della guerra. Il nucleo del documento si può riassumere così: la natura dell’uomo è malvagia, le masse sono incostanti, non esiste spazio alcuno per la moralità in politica. La conclusione era terrorizzante: “Secondo la legge di natura, il diritto sta nella forza”. Per sanare il mondo, quindi, ci doveva essere una guida squisitamente e segretamente ebraica. Una serie di articoli pubblicati sul Times londinese nel 1921 dimostrarono che il contenuto dei documenti era falso, frutto avvelenato di un plagio di opere precedenti, in gran parte romanzi e libelli di satira politica. Ma la mano che li scrisse di chi era? Pare fosse russa, con l’intento di cacciare gli ebrei.
Nonostante la comprovata falsità dei documenti, questi riscossero comunque ampio credito in ambienti antisemiti e antisionisti con uno strascico, che ancora oggi fa danni immensi, in quanto sono considerati il supporto ideologico dei movimenti fondamentalisti islamici che gridano alla cospirazione ebraica e anche una sorta di bibbia per i movimenti di estrema destra, dall’America al Giappone.
Pier Mario Fasanotti
*Pier Mario Fasanotti ha lavorato all’Ansa e a La Stampa ed è stato inviato per Panorama. Tra i suoi libri, ricordiamo i romanzi “Soledad” e “Matto da morire” e la biografia di Salvador Dalì (“Io non sono pazzo”, il Saggiatore). “Tra il Po, il monte e la marina” racconta “I Romagnoli da Artusi a Fellini”, ed è stato edito da Neri Pozza.
**In copertina: i possedimenti del Prete Gianni in una mappa di Abraham Ortelius (1527-1598), “Presbiteri Johannis, sive, Abissinorum Imperii descriptio”
L'articolo La Grande Civiltà delle “fake news”: dal Prete Gianni ai Protocolli dei Savi di Sion, le bufale che hanno fatto la storia proviene da Pangea.
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Dizionario dell'esoterismo. Storia, simbologia, allegoria. Gnosi
Dizionario dell'esoterismo. Storia, simbologia, allegoria
Gnosi
La gnosi è una ricerca, dell sapere salvifico e ricerca di sé. Più che una dottrina, è la rivelazione continuamente approfondita di tale dottrina. E' la dimensione storica delle figure culturali della tradizione. Prestarle i tratti di una compilazione eterogenea significa negare la dinamica che ne fa la ricercadi una sintesi, non la riproduzione di un tutto compiuto, e neppure di un corpo informe. E' destinata infatti da un lato a ridurla a una delle sue espressioni culturali; la gnosi cristiana con cui la si è confusa a lungo ne è un esempio. Può confondersi con una generalità di intenti vuota di senso perché troppo imprecisa, che la astrazione di ciò che H.C. Puech ha definito 'stile gnostico', in grado di assicurare la coerenza e l'unità di orchestrazione di ciascuna delle sue dottrine. Ora, l'atteggiamento gnostico si rivela precisamente come <<coerente, unico e costante, tale quindi da costituire un tipo distinto e originale e di religiosità>>. Anche se la gnosi esiste solo nella pluralità delle sue espressioni, il solo fatto che essa accompagna tutte le religioni e tutte le culture basta a dimostrare che interessa la stessa storia delle religioni. La gnosi è la ricerca costante di una tradizione che, si fa carico del confronto degli insegnamenti acquisiti con le nuove possibilità del Sacro. Esistono due sensi ben distinti del termine gnosi: uno che nasce con ognuna delle sue possibilità storiche, l'altro, più vasto, che consente uno stile, una 'fenomenologia' glostica, riconoscibile nella sua struttura come 'realtà significativamente ordinata' e sempre di attualità. Ma ogni iniziato, è insieme a <<elaborare un suo sistema personale di gnosi, oppure, all'interno di una stessa scuola, a interpretare alla sua maniera la dottrina iniziale, a modificarla, a riformarla in modo diverso>>. E' questo movimento di ripensamento e di apertura che costituisce l'unità della gnosi. E' inevitabile che il carattere diversificato dei suoi insegnamenti caratterizzi la sua dialettica. Ciò che è considerato come un influsso o un residuo di un'altra religionene costituisce uno dei poli, mentre il sistema della religione dominante sarà decifrato, rifuso, renterpretato alla luce di questa aquisizione, allo scopo di verificarne la compatibilitàe rifonderne la storia in un'unità vivente e in un amalgama. E' per tale ragione che la gnosi registra la sua tenace presenza nel cuore delle religioni, che gli gnostici hanno sempre avuto dei rapporti conflittuali con i depositari del dogma ufficiale o con i protagonisti di una nuova religione. Si consocono gli insegnamenti gnostici soprattutto attraverso la segnalazione dei loro presunti errori fatta dai Padri della Chiesa. I rappporti tra gli apostoli e Simon Mago mostrano assai bene la loro opposizione nei confronti di Gesù, mentre due secoli dopo Clemente di Alesandria e Origene definiscono i grandi trattati di una gnosi cristiana, destinata anch'essa a evolversi, con Gioacchino da Fiore o Basilio Valentino. L'accusa di sincretismo maschera dunque di proposito l'ermeneutica. Le tracce di motivi gnostici in culture eterogenne non riescono a giustificare l'amalgama. Il metodo comparativo può contribuire molto efficacemente alla delimitazione degli stati eterogenei, ma non può spiegare il tutto attraverso la somma delle parti, quando tale tutto è esso stesso in costante evoluzione e i vari strati non sempre sono presenti in ogni corrente gnostica. Se si è ogni volta di fronte a una <<gnosi originalmente pagana più o meno impregnata di iranismo>>, la sua <<culla è in un primo tempo il basso paese babilonese e in seguito l'Asia Minore e la Siria>>. Se si nota l'esiistenza di una componente ebrea, si deve constatare una successiva quasi genrale della gnosi nei confronti del giudaismo. Gli arcanngeli israeliti diventeranno solo deglin dèi inferiori, gli Arconti, a forte ispirazione egiziana. La gnosi cristiana risale alla gnosi ebraica, per quanto riguarda le gerarchie mediatrici tra l'uomo e Dio. La spiegazione dovrebbe risalire alla diaspora ebrea da Babilonia al contatto con la cultura persiana di Alessandria il sincretismo ellenistico formatosi in Egitto, il giudaismo dell'Aasia Minore, perfino della stessa Palestina. Spiegare la gnosi attraverso le influenze storiche delle varie culture equivale a dare un'idea della gnosi che vede una contaminazione reale là dove vi è solo una sorta di 'rivestimento'. Così il Cristo storico è per la gnosi tutto è stabilito in precedenza: il concetto della passione di Cristo è esteriore: l'incontro del Gesù storico con il Soter mitico è di fatto un'articolazione difficile, e, secondo Valentino, l'impresa non rivela solo l'influenza di una nuova ermeneutica, ma una sua rielaborazione. La spiegazione basata sulla contaminazione non rende giustizia al profondo lavoro di rifacimento effettuato dalla gnosi. Dà l'illusione di una storia sedimentata, di cui l'archeologia è una retrospettiva fatta da uno studioso di storia comparata. In realtà la disperisione degli elementi non è riducibile a un sincretismo artificiale: non tutti gli elementi vi figurano necessariamente. La storia della gnosi è, ellittica. Tutte le tendenze che lo gnosticismo cristiano unisce solo parzialmente, ci appare vano, se non azzardato, fondare l'idea di una tradizione gnostica sulle precarietà un solo esempio storico. Si troverà tuttavia in quella gnosi<<lo schema dei miti gnostici più primitivi>>: il dualismo 'del re della luce' e della 'grande diavolessa', l'esistenza dei sette figli, i sette pianeti attraverso cui l'anima deve elevarsi, degli altri dodici figli, i segni dello Zodiaco, un salvatore preesistente. Quest'ultimo 'estraneo al mondo' discende al tempo di Pilatus (Pilato), predica il re della luce, fa dei miracoli, risuscita i morti, libera la vita dalla morte, risale in cielo e tornerà alla fine dei tempi. Puech. La precisione di certi dettagli non fermerebbe la <<datazione antica attribuibile al fondo primitivo di tutti questi libri sacri>>, al punto che il cristianesimo stesso sarebbe 'un ramo dello gnosticismo', il paradosso del mandeismo sta nella sua esistenza tardiva e nel fatto che solo gli strati più recenti di queste compilazioni (quinto o settmo secolo) portano traccia di Giovanni Battista. Il mandeismo ha come base la tradizione evangelica. L'unità di tutte le ricerche gnostiche sta nel reiterare le stesse domande e nel porre in rilievo pazientemente degli itinerari di salvezza basati su elementi simboligi eterogenei. Se è diventata classica l'affermazione che la gnosi è dualistica, che sviluppa una concezione pessimista del mondo e negativa della sotria, che il suo unico fine è la reintegrazione dell'anima che i suoi mezzi fondano un'etica in prevalenza individualistica, non si è insisitito abbastanza sul ruolo che il fatto di attingere ai vari insegnamenti svolge nel processo interiore in cui il lavoro gnostico si impegna, quindi nella sua psicagogia. Questo lavoro consiste in una rifusione, un ritorno all'unità attraverso la disperazione o dissoluzione e la sintesi o coagulazione. E' un'alchimia mentale il cui fine è la metemorfosi dello psichico nella conoscenza pneumatica, in una nuova creatura. L'eterogneità è questo ritorno alla materia prima in cui si trovano tutte le possibili opere del futuro. Questa è solo l'Opera al Nero, a cui si arresta il metodo dei soli confronti storici. Lo gnostico non fa che fornirsi in tal modo del materiale simbolico necessario per la realizzazione delle altre due tappe: Opera la Bianco, la conversione dello sguardo dell'anima, e l'Opera del Rosso, la rinascita, la gnosi della vita'. La gnosi suppone dei percorsi necessariamente differenti, sempre più orientati. Da qui quel pofilo, quell'atteggiamento comune, concesso o riconosciuto a tutti gli gnostici. Da qui anche i suoi rapporti con l'ermetismo, consentiti, anzi richiesti, delle strutture isomorfe delle scienze sacre e quelle dell'uomo primordiale. La gnosi rappresenta per il bramanesimo, il tempo della riappropriazione umana della loro rispettiva tradizione esoterica. Equivale a dire anche che in questo ritorno a sé e al sacro lo gnostico impegna virtualmente tutta quanta la tradizione, e che il suo sforzo per raggiungere la conoscenza consiste in un'evoluzione nella forma universale che sottende tutti i particolari storici. La gnosi è dunque il campo degli abbozzi, incessantemente rielaborati, della tradizione stessa.
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San Francesco d'Assisi e il Primo Presepe: Origini di una Tradizione Millenaria.
La storia del presepe e il suo legame con il Natale attraverso i secoli.
La storia del presepe e il suo legame con il Natale attraverso i secoli. Il presepe è uno dei simboli più amati e rappresentativi del Natale. Ma chi ha avuto l’idea di realizzare il primo presepe? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo fino al XIII secolo, quando San Francesco d’Assisi, con la sua semplicità e devozione, diede vita a una tradizione che oggi è…
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Il mistero di Edith Stein: sopravvisse davvero un anno in più?. Un enigma storico che intreccia fede, resistenza e nuovi documenti sulla tragica vicenda della filosofa e martire Edith Stein
Il mistero di Edith Stein: un anno in più nel buio della storia?
Il mistero di Edith Stein: un anno in più nel buio della storia? La vita di Edith Stein, filosofa, suora carmelitana e martire cristiana, è da sempre avvolta in un’aura di spiritualità e mistero. Tuttavia, nuove ipotesi e documenti storici sembrano aggiungere un intrigante tassello alla sua storia: la possibilità che Edith Stein sia sopravvissuta alla deportazione ad Auschwitz un anno in più…
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Recensione dettagliata: “The Power of Words 2” di Binod Dawadi e Sydnie Beaupre. A cura di Alessandria today
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Ricordo di Riccardo Coppo: dieci anni dopo, un incontro al Museo Civico di Casale Monferrato. Un grande amministratore e una persona vera: l’omaggio dell’Associazione Paolo Ferraris
Un evento per celebrare la memoria di Riccardo Coppo
Un evento per celebrare la memoria di Riccardo Coppo Domani, venerdì 29 novembre 2024, alle ore 21:00, il Salone Vitoli del Museo Civico di Casale Monferrato ospiterà un evento in ricordo di Riccardo Coppo, stimato amministratore e figura di spicco del territorio casalese. L’incontro, intitolato “Un impegno per la città”, è organizzato dall’Associazione Paolo Ferraris e vuole onorare la memoria…
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Artemisia: Una Storia di Donna – Un Viaggio nell'Arte e nella Resilienza Femminile. Cinzia Perrone esplora la vita e l'arte di Artemisia Gentileschi, simbolo di forza e talento nel Seicento. Recensione di Alessandria today
Nel suo articolo intitolato "Artemisia: una storia di donna", pubblicato su Alessandria Today il 24 novembre 2024, Cinzia Perrone offre un'intensa riflessione sulla vita e l'opera di Artemisia Gentileschi, una delle pittrici più influenti del XVII secolo.
Nel suo articolo intitolato “Artemisia: una storia di donna”, pubblicato su Alessandria Today il 24 novembre 2024, Cinzia Perrone offre un’intensa riflessione sulla vita e l’opera di Artemisia Gentileschi, una delle pittrici più influenti del XVII secolo. Una narrazione che intreccia arte e biografia Perrone guida il lettore attraverso la complessa esistenza di Artemisia, evidenziando come le…
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