#poesia e immaginazione
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La poesia “Fiocchi di neve” di Vincenzo Savoca racconta, con delicatezza e incanto, la bellezza nascosta nei gesti semplici. Un omaggio alla grazia quotidiana. Scopri di più su Alessandria today.
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SONO IL CERVELLO SINISTRO.
Sono scientifico. Un matematico. Amo la consuetudine. Categorizzo. Sono accurato. Lineare. Analitico. Strategico. Sono pratico. Ho sempre il controllo. Sono il padrone di parola e linguaggio. Realistico. Calcolo equazioni, coi numeri gioco. Sono ordine. Sono logica. So esattamente chi sono.
SONO IL CERVELLO DESTRO.
Sono la creatività. Uno spirito libero. Sono passione. Desiderio. Sensualità. Sono il suono ruggente di chi ride. Sono il gusto. La sensazione della sabbia sotto il piede nudo. Sono movimento. Colori brillanti. Sono la pulsione a dipingere sulla nuda tela. Sono immaginazione senza limiti. Arte. Poesia. Intuisco. Sento. Sono tutto ciò che volevo essere.
- web
Pur esistendo delle indubbie differenti specializzazioni nei due emisferi, sinergia è la parola chiave, come dire che non potremmo mai avere la creatività e l’arte dell’emisfero destro senza l’aiuto del sinistro e non potremmo egualmente avere la logica e la matematica dell’emisfero sinistro senza l’aiuto del destro.
- Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Io credo
“ Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli.
Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati.
Credo nelle rampe in disuso di Wake Island, che puntano verso il Pacifico della nostra immaginazione.
Credo nel fascino misterioso di Margaret Thatcher, nella curva delle sue narici e nella lucentezza del suo labbro inferiore; nella malinconia dei coscritti argentini feriti; nei sorrisi tormentati del personale delle stazioni di rifornimento; nel mio sogno che Margaret Thatcher sia accarezzata da un giovane soldato argentino in un motel dimenticato, sorvegliato da un benzinaio tubercolotico.
Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell’unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le mie perversioni.
Credo nella morte del domani, nell’esaurirsi del tempo, nella nostra ricerca di un tempo nuovo, nei sorrisi di cameriere di autostrada e negli occhi stanchi dei controllori di volo in aeroporti fuori stagione.
Credo negli organi genitali degli uomini e delle donne importanti, nelle posture di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher e della principessa Diana, negli odori dolciastri emessi dalle loro labbra mentre fissano le telecamere di tutto il mondo.
Credo nella pazzia, nella verità dell’inesplicabile, nel buon senso delle pietre, nella follia dei fiori, nel morbo conservato per la razza umana dagli astronauti di Apollo.
Credo nel nulla.
Credo in Max Ernst, Delvaux, Dalì, Tiziano, Goya, Leonardo, Vermeer, De Chirico, Magritte, Redon, Dürer, Tanguy, Facteur Cheval, torri di Watts, Böcklin, Francis Bacon, e in tutti gli artisti invisibili rinchiusi nei manicomi del pianeta.
Credo nell’impossibilità dell’esistenza, nell’umorismo delle montagne, nell’assurdità dell’elettromagnetismo, nella farsa della geometria, nella crudeltà dell’aritmetica, negli intenti omicidi della logica.
Credo nelle donne adolescenti, nel potere di corruzione della postura delle loro gambe, nella purezza dei loro corpi scompigliati, nelle tracce delle loro pudenda lasciate nei bagni di motel malandati.
Credo nei voli, nell’eleganza dell’ala e nella bellezza di ogni cosa che abbia mai volato, nella pietra lanciata da un bambino che porta via con sé la saggezza di statisti e ostetriche.
Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell’universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell’inesistenza dell’universo e nella noia dell’atomo.
Credo nella luce emessa dai televisori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell’intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte, nell’eleganza delle macchie d’olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell’aeroporto.
Credo nella non esistenza del passato, nella morte del futuro, e nelle infinite possibilità del presente.
Credo nello sconvolgimento dei sensi: in Rimbaud, William Burroughs, Huysmans, Genet, Celine, Swift, Defoe, Carroll, Coleridge, Kafka.
Credo nei progettisti delle piramidi, dell’Empire State Building, del Fürerbunker di Berlino, delle rampe di lancio di Wake Island.
Credo negli odori corporei della principessa Diana.
Credo nei prossimi cinque minuti.
Credo nella storia dei miei piedi.
Credo nell’emicrania, nella noia dei pomeriggi, nella paura dei calendari, nella perfidia degli orologi.
Credo nell’ansia, nella psicosi, nella disperazione.
Credo nelle perversioni, nelle infatuazioni per alberi, principesse, primi ministri, stazioni di rifornimento in disuso (più belle del Taj Mahal), nuvole e uccelli.
Credo nella morte delle emozioni e nel trionfo dell’immaginazione.
Credo in Tokyo, Benidorm, La Grande Motte, Wake Island, Eniwetok, Dealey Plaza.
Credo nell’alcolismo, nelle malattie veneree, nella febbre e nell’esaurimento.
Credo nel dolore.
Credo nella disperazione.
Credo in tutti i bambini.
Credo nelle mappe, nei diagrammi, nei codici, negli scacchi, nei puzzle, negli orari aerei, nelle segnalazioni d’aeroporto.
Credo a tutti i pretesti.
Credo a tutte le ragioni.
Credo a tutte le allucinazioni.
Credo a tutta la rabbia.
Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie, evasioni.
Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.”
Ciò in cui credo
J.G.Ballard
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"I FIORI DEL MALE" (Les Fleurs du mal) di CHARLES BAUDELAIRE è una delle opere più celebri e influenti della letteratura francese, pubblicata per la prima volta nel 1857. Questa raccolta di poesie rappresenta un viaggio profondo e oscuro nell'animo umano, esplorando temi come la bellezza, la decadenza, l'amore, la morte e la ribellione.
Baudelaire utilizza un linguaggio ricco e simbolico per descrivere la sua visione del mondo, spesso caratterizzata da un senso di spleen, un termine che indica una profonda malinconia e noia esistenziale. Le poesie sono suddivise in sei sezioni principali: Spleen e Ideale, Quadri Parigini, Il Vino, I Fiori del Male, La Rivolta e La Morte.
Ogni sezione rappresenta una fase del percorso esistenziale del poeta, dalla consapevolezza della propria diversità rispetto al mondo esterno, alle esperienze nella vita degradata della metropoli, fino al desiderio di fuga nell'alcol e nelle droghe, e infine alla ribellione contro Dio e al rifiuto totale del mondo attraverso la morte.
Baudelaire riesce a trasformare la corruzione e la volgarità della società contemporanea in arte, creando una bellezza che solo la poesia può realizzare. La sua capacità di vedere oltre le apparenze e di rivelare una realtà più profonda e autentica è uno degli aspetti più affascinanti della sua opera.
Charles Pierre Baudelaire nacque il 9 aprile 1821 a Parigi, figlio di Joseph-François Baudelaire, un funzionario pubblico e artista dilettante, e Caroline Dufaÿs. La morte precoce del padre e il successivo matrimonio della madre con il tenente colonnello Jacques Aupick influenzarono profondamente la sua vita e la sua opera.
Baudelaire fu educato al Lycée Louis-le-Grand di Parigi, dove iniziò a mostrare un interesse precoce per la letteratura. Tuttavia, la sua vita scolastica fu irregolare, caratterizzata da periodi di grande diligenza alternati a momenti di indolenza. Durante la sua giovinezza, Baudelaire iniziò a frequentare i circoli bohémien di Parigi, sviluppando un gusto per la vita dissoluta e per le esperienze estreme, che avrebbero poi influenzato profondamente la sua poesia.
Nel 1841, su pressione della famiglia, intraprese un viaggio in India, ma tornò a Parigi dopo pochi mesi. Questo viaggio, sebbene breve, lasciò un'impronta duratura sulla sua immaginazione e sulla sua opera. Al suo ritorno, Baudelaire iniziò a scrivere e a pubblicare poesie, guadagnandosi una reputazione come uno dei poeti più promettenti della sua generazione.
La pubblicazione de "I fiori del male" nel 1857 fu accolta con scandalo e controversie. L'opera fu accusata di oscenità e sei delle poesie furono censurate. Nonostante ciò, "I fiori del male" consolidò la reputazione di Baudelaire come uno dei più grandi poeti del suo tempo. La sua capacità di esplorare i lati più oscuri dell'esperienza umana con una bellezza lirica senza pari lo rese una figura centrale nel movimento simbolista e un precursore del modernismo.
Baudelaire trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni di salute precarie, afflitto da problemi finanziari e da una dipendenza crescente dall'oppio e dall'alcol. Morì il 31 agosto 1867 a Parigi.
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Mi capita spesso di osservare le persone. Molte sono farfalle che svolazzano da un fiore all'altro, senza mai posarsi davvero. Ma, purtroppo, c’è meno poesia. C'è invece un'agitazione frenetica, una reazione a catena che sembra non avere fine. Un grido che ne suscita un altro, un gesto aggressivo che ne innesca una sequenza. È come se stessero recitando una parte, senza un copione ben definito, semplicemente reagendo a uno stimolo esterno. Una strana presenza-assenza sul grande palcoscenico della vita. Una disconnessione tra l'azione e il pensiero, tra il corpo e l'anima.
Mi chiedo: perché? Qual è la molla che spinge gli individui a comportarsi in questo modo? Credo che alla base ci sia una profonda insicurezza, un bisogno spasmodico di affermare sé stessi in un mondo che ci chiede costantemente di essere qualcuno che non siamo. Un mondo che ci promette l'apice del successo, ma ci costringe a indossare maschere sempre più uguali.
E poi c'è la rabbia, un sentimento represso che esplode alla minima provocazione. È la rabbia di chi si sente prigioniero di un sistema che lo soffoca, di chi anela a ribellarsi senza sapere a cosa o come.
Ma la cosa più preoccupante è la perdita di un senso più profondo. Sembra che stiamo vagando alla deriva, senza una bussola, senza una meta. Viviamo in un'epoca di grande incertezza, dove i valori tradizionali sono messi in discussione e le nuove generazioni sembrano smarrite.
Eppure, nonostante questo grande caos, in ognuno di noi c’è una stanza, vuota e silenziosa, che attende solo di essere scoperta. Un luogo interiore dove, al riparo dai giudizi e dalle aspettative, possiamo finalmente guardarci dentro senza filtri. Un rifugio dove chiederci: "Chi sono io, davvero, al di là di ciò che mostro al mondo? Quali sono i miei desideri più autentici, quelli che nascondo anche a me stesso? Perché fuggo da loro invece che corrergli incontro?"
È in questa stanza che possiamo liberarci dalle maschere che indossiamo per paura di essere giudicati, o per conformarci a un'immagine che non ci appartiene. È qui che possiamo smettere di cercare un giusto o uno sbagliato, e semplicemente essere.
Io ho scoperto questa stanza grazie a un amore che mi ha messo a nudo, mostrandomi le contraddizioni e le paure che nascondevo. All'inizio ho provato terrore, ma poi ho capito che quella era la mia occasione per riconnettermi con me stessa.
Un amore che non è possesso, ma dono. Che si trasforma nella capacità di aprirsi completamente all'altro, senza riserve, e insegna che, per farlo davvero, bisogna prima conoscersi a fondo. Bisogna prima entrare nella stanza vuota, trovare il coraggio di farlo.
Sono grata di quell’amore. Quello che ho vissuto è stato un incontro unico, un regalo inaspettato che mi ha permesso di cambiare prospettiva. Non c'erano le aspettative e i desideri della passione, solo una profonda volontà di dare e di essere autentica.
Vorrei che tutti potessero provare questa esperienza: la fortuna di provare un sentimento così intenso da spingerli a mettersi a nudo. Vorrei che tutti voi riceveste lo stesso dono che ho ricevuto io. Ma se non dovesse arrivare, se fosse in ritardo, andatelo a cercare voi. Che sia un qualcuno o un qualcosa, non importa, cercatelo e non vi arrendete. Ne vale la pena. È l’accesso alla vostra stanza vuota, la soglia di quel luogo di verità e di autenticità in cui trovare finalmente le risposte che cerchiamo.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare
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“L’Infinito” di Giacomo Leopardi Idillio introdotto, letto e commentato da Lapo Lani
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Museo Casa Rurale di Carcente
Comune di San Siro (CO)
Sabato 1 luglio, ore 21:00
(In caso di maltempo la lettura verrà rinviata a sabato 8 luglio, ore 21:00)
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«Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso» [1]. Il linguaggio della poesia si muove attraverso l’immaginazione [2], esprimendosi con un linguaggio vago, incerto, indeterminato, servendosi di metafore, metonimie, paragoni, catacresi, figure di dizione. Il poeta fa fatica a esprimere la bellezza e la forza della natura, e non può farlo se non con parole quasi accidentali. Il 18 luglio del 1821, Leopardi scrive nei “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura” [3]: «Il principio delle cose, e Dio stesso, è il nulla. Giacché nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v’è ragione assoluta perch’ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo» [4]. Solo l’immaginazione, portando il pensiero dell’uomo verso l’indeterminato e l’infinito, dà conforto e sollievo. «Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un’anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggiamento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, raccendono l’entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta. E così quello che veduto nella realtà delle cose, accora e uccide l’anima, veduto nell’imitazione o in qualunque altro modo nelle opere di genio, apre il cuore e ravviva» [5]. Credere che le cose siano nulla, significa credere che il divenire, ovvero ciò che appare esistente, sia niente. Questo pensiero – fondamento del nichilismo, l’essenza della modernità – segna il confine più estremo mai raggiunto dalla filosofia dell’Occidente. Leopardi apre la strada che verrà percorsa dalla cultura contemporanea nell’ultimo suo atto. La scienza e la tecnica sono i due maggiori interpreti di questo orizzonte, in cui il divenire è un processo che esclude la relazione tra le cause e gli effetti degli accadimenti: ogni cosa nasce dal nulla e ritorna nel nulla. La tecnica ha come scopo l’incremento indefinito degli scopi, senza poterli prevedere né conoscere; la scienza procede con metodi statistici, probabilistici, considerando presunto e ipotetico l’evento che accadrà. In ambedue i casi si opera all’interno del concetto di soggettività, profondamente radicato nel pensiero moderno: il “sistema” [6] delle cose che noi conosciamo è la loro relazione, il loro co-esistere. Questa convinzione ha sostituito quella per cui il sistema delle cose che noi conosciamo è epistème [7], ovvero lo scenario in cui è possibile giudicare e conoscere le cose al di là del puro fatto reale. L’epistème è la conoscenza “vera” di ciò che sta sopra l’accadimento dei fatti. Per un lungo periodo l’oggetto dell’epistème si è chiamato Dio: quell’Essere immutabile ed eterno che comprende e giustifica il divenire, ed è “sempre salvo” dal nulla. Come scrive Leopardi, la modernità è l’era del disincanto, in cui la ragione, nella sua forma più radicale, mostra l’impossibilità di sperare: «Il tempo delle grandi illusioni è finito» [8]; «Questa vita è una carneficina senza immaginazione» [9]. Se l’indeterminatezza e l’incertezza sono, per natura, le maggiori fonti della felicità, la scienza, avendo definito i confini delle cose, avendo quindi oltrepassato l’indefinito, limita la speranza, le illusioni, la vita. La scienza distrugge l’indeterminatezza, quindi porta all’infelicità e alla noia. Questa è la vita nell’èra moderna, nell’èra della matematica: «Che piacere o felicità o conforto ci può somministrare il vero, cioè il nulla?». Poi Leopardi prosegue, con un tono tanto inquietante quanto profetico: «Le quali cose [la ragione e il pensiero matematico, che rendono evidente la nullità di tutte le cose] se ridurranno finalmente gli uomini a perder tutte le illusioni, e le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere davanti agli occhi continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro che le ossa, come di altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di qui a cent’anni. Non abbiamo ancora esempio nelle passate età, dei progressi di un incivilimento smisurato, e di uno snaturamento senza limiti. Ma se non torneremo indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno posteri» [10]. E ancora: «Si dice con ragione che al mondo si rappresenta una Commedia dove tutti gli uomini fanno la loro parte. Ma non era così nell’uomo in natura, perché le sue operazioni non avevano in vista gli spettatori e i circostanti, ma erano reali e vere» [11]. «Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare» [12]; ovvero: «Sunt lacrimae rerum: et mentem mortalia tangunt» [13]. («Sono le lacrime delle cose, e le cose mortali toccano i cuori».) Lapo Lani Milano, febbraio 2023
Note: [1] Giacomo Leopardi, “Dialogo di Timandro e di Eleandro", scritto nel 1824. Il dialogo fu pubblicato come epilogo della 1ª edizione di "Operette morali"; editore Antonio Fortunato Stella, 1827. [2] Dal latino imaginatio -onis, forma di pensiero che, senza seguire regole predeterminate o nessi logici, si esprime attraverso l’elaborazione di immagini in grado di rappresentare una realtà affettiva. [3] “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, altrimenti conosciuto come “Zibaldone” o “Zibaldone di pensieri”, scritto da Giacomo Leopardi tra il 1817 e il 1832. La numerazione relativa ai pensieri citati, riportata tra parentesi a termine delle note di seguito elencate, fa riferimento all’edizione Feltrinelli del 2019: “Zibaldone di pensieri. Nuova edizione tematica condotta sugli indici leopardiani”. [4] Giacomo Leopardi, “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, pensiero scritto il 18 luglio 1821 (1341,1). [5] Giacomo Leopardi, “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, pensiero scritto il 4 ottobre 1820 (259,1). [6] La parola deriva dal greco ed è composta dalla preposizione sýn- (“con”, “insieme”) e dal verbo histemi (“stare”); quindi “stare insieme”. [7] La parola epistème deriva dal greco (ἐπιστήμη) ed è composta dalla preposizione epì- (“su”) e dal verbo histemi (“stare”); quindi “stare sopra”. L'epistème designa la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che intende porsi “al di sopra” di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti. [8] Giacomo Leopardi, “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, (83,3). [9] Giacomo Leopardi, “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, pensiero scritto il 26 giugno 2020 (137,1). [10] Giacomo Leopardi, “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, pensiero scritto tra il 18 e il 20 agosto del 1820. [11] Giacomo Leopardi, “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”, pensiero scritto il 21 agosto del 1820. [12] Giacomo Leopardi, epilogo dell’idillio “L’Infinito”, 1818-1819. [13] Virgilio, “Eneide”, Libro I, verso 465.
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Copertina: "L’infinito”.
Disegno di Lapo Lani, realizzato con colori acrilici su carta bianca, e successivamente elaborato con processi digitali. Dimensioni: cm 26x34. Anno: febbraio 2023. Collezione privata.
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Ieri ho letto la considerazione di un filosofo [Emil Cioran] che rimpiangeva il tempo trascorso in "conversazioni insipide",
affermando che avrebbe potuto impiegarlo meglio imparando il cinese o il sanscrito. Tu, invece, non hai mai definito insipida una conversazione: non assumi un atteggiamento di sufficienza e chiusura, neppure per vezzo. E sai perché, secondo me, niente nella tua vita è "insipido"? Perché il sale sei tu, sei tu stesso il sapore della vita, intesa come ininterrotta osservazione e pensiero.
In una letterina a Ranieri, la tua adorata Fanny Targioni-Tozzetti si definiva "insulsa", invece tu vedevi in lei meraviglie: l'hai quasi deificata e trasferita nel nostro immaginario come una donna sensualissima che con un solo bacio avrebbe risolto la tua vita: tu sei "il sale della terra"...
Tu vedi negli altri delle bellissime qualità, perché hai uno sguardo vivido e un cuore buono. Tu esalti il valore della realtà. Per questo è oltremodo piacevole stare con te.
Avversando una pletora di critici e di giornalisti che addirittura te lo fanno rinnegare, a me piace moltissimo il tuo canto "Consalvo", perché in esso dici delle cose "normali": parli di come ti fa sentire l'amore, senza eccessive sovrastrutture filosofiche. Immagini che Fanny ti baci, e per quel bacio consideri la tua vita non vissuta inutilmente; vorresti un amore lungo e tranquillo e accetteresti serenamente la vecchiaia; quel bacio cambia tutta la tua visione della vita e della morte. Che dolcezza, che semplicità! Esprimi un amore "sano", equilibrato, "normale". Nel "Consalvo" dai un saggio di come sarebbe stato Leopardi se fosse stato amato.
Pensa che uno psichiatra [Mariano Luigi Patrizi], in uno studio su di te, ha asserito che tu, se ricambiato, saresti stato "tirannico" con la tua donna. Evidentemente non ha capito niente di te.
[...]
Posso descrivermi fisicamente?
Ho i capelli lisci castani, gli occhi castani scuri, la pelle chiara, sono alta 1,64 m, porto la taglia italiana 42-44, non sono grassa né magra, ho il viso rotondetto con una particolarità che mi accomuna a te, ovvero la parte centrale del viso (zigomi e naso) più avanzata rispetto al resto del volto: si chiama "prognatismo alveolare", l'ho letto in un trattato di Cesare Lombroso. Se mi avessi vista, forse avresti detto anche di me che sono bella. Di solito, quando si vede una persona simile a sé, almeno per qualche particolare, la si ritiene bella. Ho il naso simile al tuo, ma in miniatura; il tuo è ovviamente più grande perché è un naso maschile. Se ti piacciono le statue delle dee classiche, purtroppo io non sono come loro; ma se ti piace il tuo volto, ti piacerà anche il mio.
Ho appena scoperto che tu, a 18 anni, nel 1816, hai predetto l'avvento dell'arte cinematografica, nonché la poesia di Aldo Palazzeschi fatta di suoni onomatopeici. E questo non lo dice nessuno storico della letteratura, l'ho scoperto io leggendo un tuo scritto. Tu non sei un uomo dell'800, sei un uomo di tutte le epoche: nella tua immaginazione c'erano frammenti di tutte le epoche a venire.
A te non andava mai bene niente.
Mi spiego: eri critico su tutto, tranne su ciò che possiede bellezza e valore essenziali e fondamentali, come la classicità, con l'eroismo e le altre sue virtù, l'antichità primigenia, la natura non modificata dall'uomo. Giudichi persino il cinema, che immagini, "una diavoleria". A me, questo tuo ipercriticismo e il tuo saper discernere, nel gran caos, ciò che è essenziale, connaturato all'uomo e a lui veramente utile, piace moltissimo. Credo che avresti da ridire su tutto, ma sempre con una saggezza che non è cattiveria, anzi è profonda bontà, e mi piacerebbe ascoltare i tuoi pareri, che mi manterrebbero viva e mi divertirebbero. Un famoso intellettuale, Umberto Eco, scrisse che probabilmente tu avresti pareri banali sull'attualità: niente di più inverosimile, secondo me. Credo che Eco, per quanto fosse coltissimo e ti avesse studiato, non si fosse connesso, emotivamente, con il tuo spirito. E quando non c'è connessione emotiva, non c'è vera comprensione.
Io mi piaccio. Quando mi guardo allo specchio, vedo che il mio volto esprime la mia interiorità, è in armonia con essa. Ricordo che un ragazzo che mi piaceva e che non mi ricambiava, mi suggerì ironicamente di gettarmi da uno scoglio denominato "degli innamorati infelici". Un po' come fece Saffo dalla rupe di Leucade. Questo ragazzo era quasi arrabbiato perché ero innamorata di lui.
L'innamoramento non ricambiato è una sorta d'inimicizia.
Quando passa, si fa intimamente pace con quella persona dalla quale volevamo qualcosa che non era in grado di darci. Quando guardo le sue foto e ricordo che lo trovavo bello, penso che dovevo essere sotto l'influsso di una qualche forma di pazzia.
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Recensione non richiesta
Tra tanto parlare, tra altrettanto ricordare, rimemorare, molto si perde e ben poco si aggiunge alla cognizione che potremmo farci dell’infinito dolore che ha attraversato il Novecento europeo. Varlam Šalamov non permette inganni di sorta.
La descrizione di cosa è stato il Gulag, esteso per tutta la Siberia, fino all’estremità orientale della Kolyma, per i milioni di persone che l’hanno popolato con la loro sofferenza e morte, non si fa stemperare e addolcire da qualche giorno di lettura o da qualche fremito emozionale su schermo, come è stato fatto, purtroppo, con la Shoah. No. Non si può. Non lo permette la scrittura di Šalamov che il lettore italiano, attento, ma non sempre e non per tutto ciò per il quale val la pena essere attenti, dovrebbe conoscere per i libri pubblicati da Adelphi e da Einaudi. Due le versioni dei Racconti della Kolyma, nel 1995 quella della casa editrice di Calasso; nel 1999 quella einaudiana di ben 1300 pagine. Adelphi ha proseguito pubblicando altri suoi testi: La quarta Vologda e Višera, per arrivare a questa raccolta di testi scritti, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, dal titolo Tra le bestie la più feroce è l’uomo. Libro che testimonia la grandezza letteraria di Šalamov, se ce ne fosse stato bisogno, e il suo incardinarsi nella grande, grandissima tradizione dei narratori/poeti russi, ma soprattutto a superarla, a percorrere una strada nuova.
Oltre l’appagante sortilegio di Adorno, quando afferma che dopo Auschwitz non è più possibile fare poesia, ci sono i racconti della Kolyma che dicono il contrario perché «Kolyma, Auschwitz e Hiroshima non si possono comprendere restando dentro la struttura psichica dell’auro secolo XIX», come scrive Irina P. Sirotinskaja curatrice del libro.
Šalamov non è un memorialista, o meglio, lo è nell’unico modo consentito da chi ha attraversato l’orrore. Il danno maggiore, e voluto dal sistema staliniano, del Gulag poteva essere stato quello di sottrarre alla cultura russa ed europea un poeta per consegnarci un testimone, al quale si può sempre rimproverare la sua inattendibilità, la sua immaginazione. Ma la radice poetica di questa testimonianza, e quindi la sua verità – perché la poesia è in rapporto essenziale con la verità – è riemersa, forse, con ancora più forza e determinazione. Basterebbe leggere le intense e straordinarie pagine dedicate a Boris Leonidovič Pasternak e ai suoi ultimi anni per accorgersi di cosa il terrore rivoluzionario ha comportato per la cultura russa, quali valori ha scardinato, quali potenzialità ha sopito e quali ha scatenato. È un ritratto commosso quello dell’autore del Dottor Zivago, ma privo di qualsiasi compiacimento. La stessa contiguità di molti intellettuali con il terrore è affrontata sine ira, come dato naturale dell’umano procedere nella Storia, a contrastare il quale non potrà essere l’astratta enunciazione di principi e programmi politici, sociali ma solo la consapevolezza che «il fondo dell’animo umano è sfondato, c’è sempre qualcosa di più brutto, un’abiezione ancora peggiore di quelle che già conoscevi, che avevi visto e compreso».
«Quand’è che si perde l’ultima parvenza umana? Come si scrive tutto questo?». Šalamov si è domandato a più riprese. Ed è per tentare di rispondere a questa domanda che ha scritto: «la differenza fra il carcere e il lager» è che il primo «rinforza il carattere», il secondo «fa marcire l’animo umano». La bellezza di Šalamov sta in una scrittura che non rivela soltanto la natura tremenda del lager ma riesce a trascenderla senza per questo rendere la scrittura una sorta di blasfema sublimazione. Il peggio sarebbe comprendere il tremendo del lager, nazista o staliniano poco importa, per restituircelo come un concetto astratto, un semplice dettaglio nella e della Storia. In fondo l’insensatezza senza requie e confini, senza tregua, da cui è nato e prodotto è stata anch’essa un’astrazione, un programma, un’idea.
«Una volta chiesi a Varlam Tichonovič Šalamov: “Come vivere?”. Mi rispose: “Con i dieci comandamenti. Lì è detto tutto”».
Varlam Šalamov, Tra le bestie la più feroce è l’uomo, Adelphi, pp. 468, € 24,00
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Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio di Tiziano Fratus
BOSCHI MINIATI* Poesia: vista con garbo Parole che tracciano una mappatura simbolica tra musica e silenzi, di frutti, fiori, foglie, fiumi, radici, forme, nelle quali si aprono boccioli di immaginazione entro cui prendono vita quelli che l’autore, Tiziano Fratus, chiama “boschi miniati”. “La poesia è la radice prima della mia scrittura, ha segnato i miei acerbi esordi giovanili, alimentando…
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#TEST: "WHAT DO YOU KEEP INSIDE YOUR BAG?"
1. LIPSTICK 💄 (or other cosmetics)
You always carry body care and cosmetics in your bag because you know how important it is to look good, even though you may not feel that way.
Communicating with you is pleasant, you have many admirers, but there are also some who envy you.
2. BOOKS 📚
You are an introverted person.
You think that age doesn't matter and that you should always improve and develop.
You are very erudite, educated and can take part in any topic of conversation.
You also can't understand how people can waste their time on nonsense.
3. DIARY 📙✍️
You're smart.
People can count on you in every situation.
You like to plan, keep everything under control, and you don't like surprises.
The perfect gift for yourself is something practical.
4.NOTES 📝
You are a very creative person.
Your head is full of ideas and everyone envies your imagination.
It is always important for you to have a pen and a notebook at hand to write a poem or draw something.
5. FOOD, DRINKS 🧃🍏
You are a very caring person.
Think about every eventuality.
If you have children you will shower them with care and love.
You will be a good parent.
6. SMALL WASTE 🚮
(tissues, candy and chewing gum wrappers, receipts, etc.)
You care a lot about the environment, you don't understand why people pollute it.
Your bag is full of small waste because you feel responsible and don't want to throw it anywhere.
In general you are very clean and tidy, and you strive for perfection.
#psychology

#TEST: "COSA TIENI DENTRO LA BORSA?"
1. ROSSETTO 💄 (o altri cosmetici)
Porti sempre in borsa la cura del corpo e i cosmetici perché sai quanto sia importante avere un bell'aspetto, anche se potresti non sentirti così.
Comunicare con te è piacevole, hai tanti ammiratori, ma ci sono anche alcuni che ti invidiano.
2. LIBRI 📚
Sei una persona introversa. Pensi che l'età non abbia importanza e che dovresti sempre migliorare e svilupparti. Sei molto erudito, istruito e puoi prendere parte a qualsiasi argomento di conversazione.
Inoltre non puoi capire come la gente possa perdere tempo in sciocchezze.
3. DIARIO 📙✍️
Sei intelligente. Le persone possono contare su di te in ogni situazione. Ti piace pianificare, tenere tutto sotto controllo, e non ti piacciono le sorprese.
Il regalo perfetto per te è qualcosa di pratico.
4.NOTE 📝
Sei una persona molto creativa. La tua testa è piena di idee e tutti invidiano la tua immaginazione.
Per te è sempre importante avere una penna e un taccuino a portata di mano per scrivere una poesia o disegnare qualcosa.
5. CIBO, BEVANDE 🧃🍏
Sei una persona molto premurosa.
Pensi a ogni evenienza.
Se avrai figli li ricoprirai di cure e amore. Sarai un bravo genitore.
6. PICCOLI RIFIUTI 🚮
(fazzoletti, carte di caramelle e gomme da masticare, scontrini, ecc.)
Ti preoccupi molto dell'ambiente, non capisci perché le persone lo inquinano.
La tua borsa è piena di piccoli rifiuti perché ti senti responsabile e non vuoi gettarli da nessuna parte.
In generale sei molto pulito e ordinato, e cerchi la perfezione.
#psicologia
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Dino Campana: la vita tormentata e l’eterno viaggio nella poesia
Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1° marzo 1932) è stato un poeta italiano che ha segnato un profondo solco nella letteratura del Novecento grazie alla sua opera intensa e visionaria. La sua produzione, spesso incentrata sulla poesia, rappresenta una fusione unica tra musica, colori e suoni, espressione di un animo irrequieto e travagliato.
Le origini e la giovinezza
Campana nacque a Marradi, un piccolo borgo situato nella Romagna fiorentina, il 20 agosto 1885. Figlio di Giovanni Campana, un insegnante remissivo, e di Francesca Luti, una donna dal carattere severo e affetta da disturbi compulsivi, Dino trascorse un’infanzia apparentemente tranquilla ma segnata da un rapporto complesso con la madre e dalla nascita del fratello minore Manlio. Sin dall’adolescenza, Dino manifestò i primi segni di disturbi nervosi, che avrebbero segnato profondamente la sua esistenza e la sua poesia.

Frequentò diverse scuole, tra cui il collegio dei Salesiani di Faenza e il liceo Baldessano di Carmagnola, dove conseguì la maturità nel 1903. Nonostante le difficoltà personali, proseguì gli studi universitari a Bologna e Firenze, dove si iscrisse prima a Chimica pura e poi a Chimica farmaceutica. Tuttavia, la sua irrequietezza lo spinse a intraprendere una vita errabonda, lontana dai binari tradizionali.
Il viaggio come metafora della poesia
La poesia di Dino Campana è intrisa del suo irrefrenabile desiderio di fuggire e scoprire il mondo. I suoi viaggi, sia reali che immaginari, sono al centro della sua opera. Durante la sua vita, si spostò in vari paesi europei e in Sud America, affrontando spesso situazioni difficili e vivendo ai margini della società. La poesia divenne per lui un mezzo per esprimere il suo rapporto conflittuale con la realtà e per esplorare le profondità della sua anima.
Nel 1907, Dino intraprese un viaggio in Argentina, probabilmente per sfuggire all’oppressione familiare e alla monotonia di Marradi. Questo viaggio, avvolto nel mistero, ha contribuito a creare il mito del “poeta dei due mondi”, anche se alcuni critici, come Giuseppe Ungaretti, hanno messo in dubbio la reale presenza di Campana in Sud America. Tuttavia, l’esperienza del viaggio rappresenta un tema centrale nella sua poetica, dove il movimento fisico si intreccia con un’esplorazione interiore.
L’opera: i “Canti Orfici”
La raccolta “Canti Orfici”, pubblicata nel 1914, è il capolavoro di Dino Campana e rappresenta una delle più alte espressioni della poesia italiana del XX secolo. Il titolo evoca gli inni orfici dell’antica Grecia e suggerisce un legame profondo tra poesia e mito. Nei “Canti Orfici”, Campana amalgama suoni, colori e immagini, creando una sinfonia di emozioni che riflette il suo tormento interiore.
Il manoscritto originale dell’opera, intitolato “Il più lungo giorno”, andò perduto dopo essere stato consegnato ai redattori della rivista Lacerba. Dino, disperato, riscrisse l’intera opera affidandosi alla memoria e alle bozze sparse, un processo che richiese un immenso sforzo mentale. Questo episodio evidenzia il legame viscerale tra Campana e la sua poesia, intesa come un atto di creazione e rinascita.
Nei “Canti Orfici”, la città di Genova assume un ruolo simbolico: il porto diventa il luogo del continuo movimento, delle partenze e dei ritorni, metafora della condizione umana e del viaggio esistenziale. La poesia, per Campana, è un mezzo per trascendere la contingenza e raggiungere una dimensione superiore, un percorso conoscitivo che coinvolge memoria, sensi e immaginazione.
La relazione con Sibilla Aleramo
Un altro capitolo significativo nella vita di Dino Campana è la sua relazione con la scrittrice Sibilla Aleramo. L’intensa corrispondenza tra i due, raccolta nel carteggio “Un viaggio chiamato amore”, testimonia una storia d’amore tormentata e appassionata. La loro relazione, durata dal 1916 al 1918, fu segnata da incomprensioni e tensioni, ma anche da una profonda condivisione intellettuale.
Nelle lettere, emerge il desiderio di Campana di essere compreso e accettato, ma anche la sua difficoltà nel gestire i rapporti umani. La poesia, ancora una volta, diventa l’unico strumento attraverso cui il poeta riesce a esprimere i suoi sentimenti e la sua visione del mondo.
Gli ultimi anni e la morte
Gli ultimi anni di Dino Campana furono segnati dal progressivo aggravarsi dei suoi disturbi psichiatrici. Dopo essere stato internato in vari ospedali psichiatrici, nel 1918 venne ricoverato presso l’ospedale di Castelpulci, vicino a Scandicci. Qui trascorse gli ultimi anni della sua vita, trovando una sorta di pace nella routine del manicomio.
Campana morì il 1° marzo 1932, probabilmente a causa di una setticemia. Le sue spoglie furono inizialmente sepolte nel cimitero di San Colombano, ma nel 1946 furono traslate nella chiesa di San Salvatore a Badia a Settimo. La sua figura è stata successivamente rivalutata da numerosi intellettuali, tra cui Eugenio Montale e Carlo Bo, che hanno riconosciuto l’importanza della sua poesia.
La poetica di Dino Campana
La poesia di Campana è caratterizzata da un linguaggio visionario e musicale, che mescola immagini potenti e simboli suggestivi. Il poeta cercava una “poesia europea musicale colorita”, capace di unire la tradizione latina con la speculazione filosofica e la cultura mitteleuropea. La poesia, per Campana, non era solo un’arte ma una via di conoscenza e redenzione, un mezzo per esplorare il rapporto tra l’uomo e il mondo.
La parola poetica si intreccia con i suoni e i colori della natura, creando un universo sensoriale in cui il vento, il mare e le attività umane si fondono in un’unica sinfonia. La poesia diventa un faro che illumina le tenebre dell’esistenza, guidando l’uomo verso una dimensione più alta.
Conclusione
Dino Campana rappresenta una figura unica nel panorama letterario italiano, un poeta che ha saputo trasformare il dolore e il tormento della sua vita in poesia. La sua opera, seppur limitata, continua a ispirare lettori e studiosi, dimostrando l’eternità del suo messaggio. La poesia, per Campana, non era solo un mezzo espressivo ma una vera e propria filosofia di vita, un viaggio senza fine verso la conoscenza e la bellezza.
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“Fammi un quadro del sole” di Emily Dickinson è un invito poetico a proteggersi attraverso la bellezza e l’immaginazione. Una lirica luminosa e malinconica. Scopri di più su Alessandria today.
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Porto Raro incanta con “The Window”: una riflessione musicale sul tempo e l’amore
Un singolo toccante disponibile dal 15 novembre sugli store digitali e dal 27 dicembre in promozione radiofonica nazionale

Il progetto musicale Porto Raro offre una profonda esplorazione di emozioni universali attraverso un suono che unisce radici classiche, flamenco, jazz, ed elettronica. Con il nuovo singolo “The Window”, pubblicato il 15 novembre 2024, si rappresenta un momento importante nel percorso artistico dei Porto Raro, anticipando l’uscita dell'EP prevista per gennaio 2025. “The Window” è molto più di una semplice canzone d'amore. È un viaggio emotivo che mescola chitarre acustiche rock, pianoforti eterei e synth oscuri per raccontare la storia di due anime che si separano mentre il tempo scivola inesorabilmente. Il testo invita l’ascoltatore a riflettere su quanto il tempo possa essere sia un limite illusorio che un’opportunità di introspezione. Come afferma il duo, “L'uomo che non ha paura del tempo riesce a guardarsi dentro senza timori o rimpianti”, un tema centrale che rende il brano profondamente toccante e universale.
Ascolta il brano
Porto Raro nasce nel 2020 dall'incontro tra Pantaleo Rizzo, chitarrista e cantante con una formazione in chitarra classica, e Roberto Pinto, pianista jazz con una passione per l’elettronica. Le loro influenze si intrecciano per creare un sound unico, dove le armonie flamenco incontrano le suggestioni spaziali dei synth e le improvvisazioni jazz. Il progetto si ispira alla filosofia artistica del Duende, celebrata da Federico García Lorca, cercando di trasformare immaginazione ed emozione in un viaggio musicale evocativo. Dopo aver vinto il Premio Aniello De Vita con il brano “Estrella en el mar”, Porto Raro si conferma una realtà musicale innovativa e ricca di poesia. Con “The Window”, il duo dimostra quanto intimità emotiva e sperimentazione sonora possano diventare un linguaggio universale.
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Pantaleo Rizzo: https://www.instagram.com/pantaleo.rizzo_music.page Roberto Pinto: https://www.instagram.com/rpntmusic_/
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IL calendario dei desideri di ROSA MANNETTA
I desideri sono il motore silenzioso che muove la nostra vita. Sono quelle scintille intime, a volte fragili, a volte impetuose, che illuminano il percorso della nostra esistenza. Desiderare è un atto profondamente umano: significa guardare oltre ciò che è, immaginare ciò che potrebbe essere, e lasciare che la nostra immaginazione si intrecci con la realtà. Essi ci spingono a crescere, a esplorare, a sperare. Alcuni desideri si avverano, e ci colmano di gioia; altri ci lasciano delusi, ma ci insegnano qualcosa di importante su noi stessi e sul mondo. La vera magia non è solo nel raggiungere ciò che desideriamo, ma nel viaggio che intraprendiamo per farlo e nelle persone e esperienze che incontriamo lungo il cammino. Cosa sono i desideri? Siamo noi con le nostre emozioni, siamo noi con ciò che siamo dentro. La dott. Graziella Di Grezia, ha descritto il “CALENDARIO DEI DESIDERI” con la poesia del suo animo…lei poeta gentile del nostro tempo. Walt Whitman scriveva: “La poesia rinasce come un filo di erba”.
ROSA MANNETTA

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"I fiori del male" (Les Fleurs du mal) è una delle opere più celebri e influenti della letteratura francese, pubblicata per la prima volta nel 1857. Questa raccolta di poesie rappresenta un viaggio profondo e oscuro nell'animo umano, esplorando temi come la bellezza, la decadenza, l'amore, la morte e la ribellione.
Baudelaire utilizza un linguaggio ricco e simbolico per descrivere la sua visione del mondo, spesso caratterizzata da un senso di spleen, un termine che indica una profonda malinconia e noia esistenziale. Le poesie sono suddivise in sei sezioni principali: Spleen e Ideale, Quadri Parigini, Il Vino, I Fiori del Male, La Rivolta e La Morte.
Ogni sezione rappresenta una fase del percorso esistenziale del poeta, dalla consapevolezza della propria diversità rispetto al mondo esterno, alle esperienze nella vita degradata della metropoli, fino al desiderio di fuga nell'alcol e nelle droghe, e infine alla ribellione contro Dio e al rifiuto totale del mondo attraverso la morte.
Baudelaire riesce a trasformare la corruzione e la volgarità della società contemporanea in arte, creando una bellezza che solo la poesia può realizzare. La sua capacità di vedere oltre le apparenze e di rivelare una realtà più profonda e autentica è uno degli aspetti più affascinanti della sua opera.
Charles Pierre Baudelaire nacque il 9 aprile 1821 a Parigi, figlio di Joseph-François Baudelaire, un funzionario pubblico e artista dilettante, e Caroline Dufaÿs. La morte precoce del padre e il successivo matrimonio della madre con il tenente colonnello Jacques Aupick influenzarono profondamente la sua vita e la sua opera.
Baudelaire fu educato al Lycée Louis-le-Grand di Parigi, dove iniziò a mostrare un interesse precoce per la letteratura. Tuttavia, la sua vita scolastica fu irregolare, caratterizzata da periodi di grande diligenza alternati a momenti di indolenza. Durante la sua giovinezza, Baudelaire iniziò a frequentare i circoli bohémien di Parigi, sviluppando un gusto per la vita dissoluta e per le esperienze estreme, che avrebbero poi influenzato profondamente la sua poesia.
Nel 1841, su pressione della famiglia, intraprese un viaggio in India, ma tornò a Parigi dopo pochi mesi. Questo viaggio, sebbene breve, lasciò un'impronta duratura sulla sua immaginazione e sulla sua opera. Al suo ritorno, Baudelaire iniziò a scrivere e a pubblicare poesie, guadagnandosi una reputazione come uno dei poeti più promettenti della sua generazione.
La pubblicazione de "I fiori del male" nel 1857 fu accolta con scandalo e controversie. L'opera fu accusata di oscenità e sei delle poesie furono censurate. Nonostante ciò, "I fiori del male" consolidò la reputazione di Baudelaire come uno dei più grandi poeti del suo tempo. La sua capacità di esplorare i lati più oscuri dell'esperienza umana con una bellezza lirica senza pari lo rese una figura centrale nel movimento simbolista e un precursore del modernismo.
Baudelaire trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni di salute precarie, afflitto da problemi finanziari e da una dipendenza crescente dall'oppio e dall'alcol. Morì il 31 agosto 1867 a Parigi.
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Una poesia piena di emozioni e di luminosità " nell'offuscamento della nostra immaginazione" scritta dal poeta greco Christos Dikbasanis
Foto cortesia di Christos Dikbasanis, Alla mia meravigliosa nipotina Che il Signore sia sempre con tebambina della speranza di domaniIl tuo pianto silenzioso iniziaa lacerare il nostro cieloMelodia di un bellissimo mondo angelicoche arriva con i piedininudi, carini,con uno sguardo accecante e puroche s’inchioda dolcementecome un coltello nella nostra animaChe il Signore stia sempreal tuo fianco,…
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