#esperienze formative
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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"Libera-mente": Laboratorio di Filosofia per Bambini a Serravalle Scrivia
Un'opportunità unica per avvicinare i più piccoli alla filosofia attraverso il gioco e la riflessione con Camilla Roncallo
Un’opportunità unica per avvicinare i più piccoli alla filosofia attraverso il gioco e la riflessione con Camilla Roncallo. La Biblioteca Comunale “Roberto Allegri” di Serravalle Scrivia ospiterà nelle giornate di venerdì 8 e 22 novembre 2024 un laboratorio davvero speciale dedicato ai bambini: il Laboratorio di Filosofia “Libera-mente”, pensato per bambini dai 6 anni in su. Con la guida della…
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acribistica · 4 months ago
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Anche oggi tengo a ribadire il mio disgusto viscerale verso il fatto che fare l’Erasmus o laurearsi in corso o, ancora, fare “esperienze formative” durante gli studi (che cosa cazzo significhi di per sé non lo sa nemmeno Nostro Signore) siano tutte cose che danno diritto come per magia a punti extra per il voto di laurea. Mi fa venire da rimettere. Poi ci riempiamo la bocca di democratizzazione degli studi e di meritocrazia quando il primo cretino privilegiato che per puro culo si ritrova a soddisfare tutti e tre i requisiti si becca tre punti in più del povero stronzo che si è rotto il culo andando a prendersi 0,25 CFU per seminario cinque volte l’anno (tanto per contrapporre un esempio banale). Il MIUR deve prendere fuoco.
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susieporta · 13 days ago
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IL SISTEMA FAMIGLIARE HA SEMPRE RAGIONE?
La famiglia ha sempre ragione?
Partiamo dal principio.
Nella prima parte della vita si vive il karma con le figure autoritarie e qui si nasconde il nostro rapporto con queste figure.
Diciamo che, proprio nel momento in cui dovremmo rimanere sempre più agganciati alla nostra Essenza e al nostro potere personale, noi siamo educati a sganciarcene. Ed ecco che creeremo le dinamiche con le forme di potere.
Il karma più pesante poi è con i genitori, sono loro i principali specchi su cose che ci riguardano e che spesso non riconosciamo.
Mi è capitato spesso di sentire la classica frase: “Io non voglio diventare come mia madre, come mio padre, non sarò mai come loro”.
Eppure…
Quasi sempre si diventa esattamente come loro.
Perché accade?
Attenzione a questo passaggio.
Noi non diventiamo come loro, semplicemente eravamo già come loro.
Loro ci fanno da specchio.
I genitori sono espressione di karma nel senso che sono quello che hai fatto a te stesso e che hai permesso agli altri di fare a te stesso.
Tutto quello che hai sabotato o bloccato ti viene riflesso nel genitore.
Questo perché possiedi tre canali energetici:
Il Lunare: Femminile.
Il Solare: Maschile.
E il Canale della coscienza.
All’interno di questi canali ci sono memorie di esperienze con il femminile e con il maschile.
E, in base alle cose irrisolte nel tuo aspetto femminile o maschile, viene attratto quel tipo di genitore.
Tieni presente che considerando il tuo sesso, il canale energetico opposto sarà quello inconscio.
Perciò se hai bloccato il tuo maschile attrarrai un genitore che ti blocca l’evoluzione del tuo maschile. Se hai bloccato il femminile attrarrai una madre anaffettiva, per esempio.
E questo riverbera in generale anche con tutti i membri della famiglia.
Quindi, a un certo punto, non si tiene tanto conto se è la zia, il papà, la nonna il problema, ma se è un problema energetico di tipo femminile o maschile.
E se non risolvi questi problemi con la famiglia cosa accade?
Semplice, tu ti porti dietro quei nodi irrisolti maschili e femminili tanto da riviverle con le altre relazioni interpersonali in base al sesso della persona.
Un altro quesito fondamentale che mi viene posto è se i genitori ci feriscono per primi oppure nasciamo già con delle ferite.
Bisogna considerare che i genitori possono sì ferirti, ma ti feriscono nelle vecchie ferite che tu hai già inflitto a te stesso con il karma.
Dietro una ferita c’è una memoria karmica.
Ed è come se i genitori fossero stati costretti a riaprire vecchie ferite delle tue vite passate.
Sono come rappresentazioni di archetipi, di energie.
Prova a osservare i tuoi genitori, le loro paure e identificazioni e come le proiettano su di te, come e dove cercano di bloccarti, di boicottarti e dove cercano di aiutarti e di stimolarti, invece.
Sono tutti specchi. Specchi di quello che hai fatto e ancora fai a te stesso da chissà quante “vite”.
Per questo è stata scelta questa famiglia piuttosto che un’altra, per permetterti di evolvere.
Proprio perché rappresenta alcuni lati che puoi, ma soprattutto devi trasformare in questa vita.
Cambia la prospettiva adesso o sbaglio?
La famiglia non puoi vederla come il colpevole di tutti i tuoi problemi, come un ostacolo, come la fine della tua felicità, la potrai solo guardare con compassione, come il terreno migliore per la tua crescita.
Ma la maggior parte delle volte questo non accade.
Si verificano due scenari: O ci si attacca e ci si identifica con la famiglia e i suoi modelli oppure ci si ribella e ci si allontana il più possibile.
Nessuno dei due casi ti permette realmente di evolvere e liberarti.
E adesso vedremo perché.
Non basta tagliare il cordone ombelicale alla nascita
Prima di tutto parliamo del primo lato.
Come abbiamo già accennato, il meccanismo di identificazione e attaccamento al sistema familiare e alle dinamiche di famiglia non permette di risvegliarti alla tua coscienza/individualità.
Osserva un animale, per esempio.
Appena è autonomo per la sua sopravvivenza lui si stacca o viene cacciato dal gruppo.
Questo non accade nell’essere umano da ormai tempo. Possiamo dire che il processo di crescita interiore è rallentato.
Siamo in una situazione di forte identificazione con il sistema familiare.
Non ci si stacca dai genitori e loro non si staccano da noi.
E così non riesci a trovare la tua strada e nemmeno a risvegliare la tua coscienza.
Non trovi chi sei davvero, al di là della tua famiglia.
Che vocazione hai?
Che talenti hai?
Queste cose non hanno niente a che vedere con la tua famiglia biologica.
La famiglia è solo un canale per aiutare l’anima a fare la sua strada.
E intendo la sua strada, non quella del sistema familiare.
Agisce fino a quando il sistema corpo, mente ed emozioni sono abbastanza mature per seguire il progetto dell’anima, il motivo per cui è tornato qui (il suo dharma).
Se non accade questo si genera karma.
Guardando ai nostri tempi, i bambini non vengono educati a cavarsela da soli, a trovare la loro strada nella vita.
Addirittura, troppo spesso, la madre educa il figlio con l’idea che non se ne andrà.
Ecco perché poi è così difficile sganciarsi dall'inconscio familiare.
Ed ecco perché non avendo tagliato il cordone ombelicale, noi riviviamo i nostri drammi familiari. Classico copione che si può osservare nelle convivenze.
“Lo stare insieme in una casa” diventa il luogo di manifestazione dei propri modelli vissuti in famiglia.
Allora le persone mi chiedono se fosse la stessa cosa se si ribellassero?
Purtroppo devo darti una cattiva notizia a riguardo.
Perché no, non cambia niente.
Certe informazioni saranno impresse nel campo cosciente anche se te ne vai.
Scendiamo nel dettaglio.
Comprendi che ribellarsi non è essere se stessi. Punto.
Essere se stessi vuol dire liberi dal karma, essere se stessi in ogni relazione.
Tanti pensano mi ribello a tutti o non coltivo nessuna relazione così sono a posto, posso essere me stesso.
No. Non è proprio così.
Tieni presente che il focus, quando subisci qualcuno, parliamo dei genitori in questo caso, sono loro.
Quando ubbidisci, il focus sono ancora loro.
E quando ti ribelli?
Indovina un po’? Sì, sono ancora loro.
Perché?
Perché semplicemente non sei centrato.
Ancora non sei chi vuoi, non fai ciò che vuoi.
Che tu sia accondiscendente o ribelle non cambia niente, il focus ancora una volta sono loro non tu.
Focus su come loro ti vedono, su come ti giudicano, su come ti trattano.
La tua mente è assorbita in questa ribellione e non è ancora libera di fare la sua strada. E questa non è libertà. Non sei ancora focalizzato su ciò che vuoi realmente, su ciò che è legato alla tua coscienza, ma su ciò che non vuoi, che dipende ancora da loro…
Ecco il vincolo.
Che poi, siamo onesti, quando ci si ribella a tutti i costi, cosa si prova?
Si prova un senso di pace interiore? Serenità e spensieratezza?
O ci si fa consumare da rabbia, cinismo, odio e tanto risentimento?
Cosa c’è di liberatorio in tutto questo?
Poi vedremo perché accade, ma basta già iniziare a comprendere che la ribellione, il fare l’opposto di quello che vogliono gli altri, non è ancora fare quello che si vuole. Non è ancora risveglio.
“E se io me ne vado dalla famiglia? Scappo il più possibile?” È possibile che te lo sia chiesto anche tu.
Per risponderti, considera che la distanza fisica può aiutarti in quel momento, certo, ma, come abbiamo visto prima, il legame esiste ancora.
C’è ancora karma, perché dietro c’è la credenza, i pensieri e quindi anche uno stato che comporta un certo tipo di emozioni.
Non c’è ancora accesso alla tua coscienza, non sei ancora te stesso, ma succube del sistema familiare o di quello sociale.
Piuttosto evidente se ci pensi.
Tu puoi andartene anche in Antartide o rinchiuderti in una grotta da solo, ma qualcuno probabilmente lo incontrerai comunque. E, soprattutto, la mente, i tuoi pensieri, le tue credenze, tu te le porti dietro, la testa non la stacchi dal corpo e la lasci in casa con la tua famiglia di origine. O sbaglio?
Per questo dire “Io non sarò mai come mio padre” o “come mia madre” non è garanzia di successo. Anzi, se non fai un lavoro su te stesso per ripulire il karma, tu diventi esattamente come loro invece.
Se sei nato da loro, hai un karma simile al loro.
Le caratteristiche che ti danno più fastidio di tua madre e di tuo padre, di solito, sono anche le tue. O comunque sono lì per farti vedere qualcosa.
Questo è importante capire.
Perché quando cresci e si moltiplicano le interazioni con le persone, sperimenti il karma di relazione.
E tutto quello che non hai lasciato dalla famiglia te lo ritrovi in queste di relazioni.
Ma come puoi trasformare le cose allora?
Tu trasformi le cose quando lasci andare il passato.
Rimani concentrato perché questo è fondamentale.
Infatti, con “passato” non parlo del ricordo, ma della carica energetica riguardo al passato.
Non basta allontanarsi o aver fatto pace fuori per chiudere i cerchi. I cerchi vanno chiusi interiormente.
È lasciando andare la carica emozionale, che il ricordo non fa più male.
Ripeto: Lasciare andare l’emozione, non tanto il fatto in sé.
Tu non hai chiuso il rapporto, il vincolo, se non hai chiuso bene anche con l’emozione.
Questo è il nocciolo.
Se non lavori sul nodo karmico, su ciò che dovevi vedere e capire in quella relazione, continui a ricreare le stesse dinamiche nelle nuove relazioni. Come un loop indissolubile.
Perché il karma negativo di relazione crea così tanta sofferenza?
Perché non ci lavori. Questo è il negativo.
Se rifiuti di guardare i tuoi problemi e continui a voler cambiare l’altro o a dargli la colpa, non cambierà mai niente.
Tieni presente che noi ci mettiamo un’energia allucinante a proteggere le nostre ferite, facciamo di tutto perché l’altro non tocchi.
Cerchiamo di controllare le persone per tenerle lì nell’angolino.
Cerchiamo di reprimere noi stessi.
E se l’altro fa la stessa cosa? E tranquilli che l’altro fa esattamente la stessa cosa.
Molti miei studenti venivano da me tutti terrorizzati.
“Non riesco più a far pace con il mio ex, voglio chiudere i miei cerchi, ma lui non mi vuole avvicinare, non è disposto a chiarire. Cosa devo fare?”
Non soffermarti a sistemare fuori pensando che questo sistemi dentro.
Ciò che fa la differenza, ciò che ribalta la tua vita è sistemare dentro più che fuori.
Lascia stare il rapporto e la persona in questione, focus nel cuore.
Perché dico questo?
Perché ogni relazione lascia delle impronte energetiche karmiche al tuo interno.
Il problema parte dall’interno verso l’esterno, non il contrario.
Trasforma le tue tracce karmiche e il fuori poi cambierà da solo.
Spesso l’altra persona ti lascia libera e se ne va perché non può più farti da specchio, oppure smette di essere in quel modo lì e cresce anche lei con te.
La tua vita cambia totalmente anche riguardo a chi attrai.
Se ti dovessero arrivare certe persone che non ti stanno bene, tu puoi dirgli semplicemente di no, perché lavorando su te stesso non hai più bisogno di passare per certe esperienze.
Prima ci cadi dentro e non puoi farci niente. Non c’è consapevolezza.
Ma ora sì. Ecco la libertà di dire sì / no. La libertà di scegliere.
Ricevo continuamente domande del tipo: “Cosa devo dire?”
“Come faccio a comunicare meglio i miei bisogni?”
“Come faccio a parlare con un partner che fa muro a ogni mio tentativo di comunicazione?”
Ti rispondo con la verità:
Non è facile comunicare quando c’è di mezzo il karma. Non è affatto facile.
Se in una relazione è importante comunicare i propri bisogni, quando il karma ci fa compagnia, spesso, o non si riesce o magari l’altro non ci ascolta ecc.
La soluzione è partire a lavorare su se stessi.
Perché aspetti che la relazione porti a galla il dolore? Prendi subito in mano la situazione.
Non ha senso scappare senza risolvere.
E non ha senso nemmeno lavorare sulla coppia, sulla famiglia ecc.
Devi lavorare su te stesso, sui tuoi modelli e nodi energetici, karmici.
Non si lavora mai sulla relazione, ma si lavora su ciò che la relazione ti ha fatto vedere di te.
Rifletti che tutto quello che ti circonda è lì per mostrarti qualcosa di tuo.
Per questo è importante vederlo e lavorarci interiormente.
Tagli il cordone ombelicale lavorando sulle ferite, non focalizzandoti su chi te le ha fatte. Continua pure a rimuginare con chi ti ha ferito e non farai altro che rafforzare il vostro legame distruttivo e la ferita stessa.
Roberto Potocniak
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thegianpieromennitipolis · 7 months ago
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUINTO - di Gianpiero Menniti
L'INASPETTATO
Edgar Degas (1834 - 1917) dipinge "Ballerina che fa un saluto", 1878, conservato al Museo d’Orsay a Parigi.
Le forme scompaiono nel colore, riappaiono tra sfumature e contrasti.
Nel 1890 dipinge "Russet Landscape" (Paesaggio color ruggine) e nel 1892 compie sperimentazioni ulteriori con la tecnica del "monotype" che coniuga incisione, disegno e pittura.
Ulteriori poichè già nel 1876 aveva prodotto opere come "Dancer Onstage with a Bouquet" (Ballerina sul palco con un Bouquet, collezione privata).
Potremmo chiuderla qui aggiungendo che si tratti di una direzione di "ricerca" poco nota dell'artista francese.
Qualcosa che nasce nel medesimo contesto dei soggetti tradizionali della sua pittura.
Certo.
Ma perchè?
Ne realizzò circa centoventi di stampe con questa tecnica.
Eppure, negli anni '90 del XIX secolo scompaiono le classiche figurazioni per dare vita a immagini che annullano la forma sondando esperienze visive abissali.
Tuttavia, sullo sfondo delle altre due opere citate, queste rappresentazioni emergevano.
L'irrazionalismo non è una corrente viva nel solo Novecento: è già negli aforismi di Nietzsche, nelle immagini poetiche di Baudelaire e nelle strutture visive dell'Impressionismo.
Degas s'immerge in questa radicale percezione, l'anticipa nell'arte, la rivela facendo segno alla parola del suo tempo.
La realtà non possiede un fondamento e la concezione tragica pervade la lunga stagione che segue alla rivoluzione scientifica e illuminista dei due secoli precedenti.
Per dirla con le parole di Dostoevskij, tratte da "I fratelli Karamazov" (1880):
«Se Dio e l’immortalità dell’anima non esistono tutto è possibile».
Nel 1882, ne "La gaia scienza", Nietzsche afferma perentoriamente:
«Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?».
In entrambi i casi, la fine della "cristianità" - non significa la fine del "cristianesimo" - s'annida nell'espressione figurativa che abbandona ogni certezza e muta in invocazione metafisica: semplicemente, la vocazione alla verità s'infrange con il baratro delle inattingibili origini.
Il '900 comincia da lì, anche da un inaspettato Degas.
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tma-traduzioni · 8 months ago
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MAGP008 - Girando a vuoto
[Episodio precedente] [Indice TMAGP]
[Il computer dell’O.I.A.R. si accende]
NORRIS
Valutazione dell’elaborato 13718BTutor: Joseph Peterson (#ARCSTAF-12) Studente: Terrance Stevens (ID# ARCSTU-39609) Risultato: Bocciato – consegnato in ritardo (28%)
Valutazione:Struttura e Organizzazione – 50% Conoscenze – 40% Comprensione – 30% Analisi – 10% Uso delle fonti – 10%
Giustificato nel caso di: Seri problemi medici, trauma, altro. Commenti del tutor: “Venga a vedermi."
ALLEGATO:
Titolo: La Liminalità Brutale di Forton - un caso di studio dei fattori di stress psicologico indotti dall'architettura come risultato di un'esposizione prolungata agli spazi liminali in modalità brutalista, come mostrato dalla Forton Service Station.
Introduzione:
Questo saggio presenterà un’analisi dettagliata del Forton Services come esempio chiave per lo studio dell'intersezione tra brutalismo e spazi liminali nel design, con un focus secondario sui fattori di stress psicologico che un tale luogo può causare.
Per prima cosa, combinerò i framework teoretici per il brutalismo e la liminalità. Prenderò poi in esame le stazioni di servizio come uno spazio liminale stressante a livello psicologico, prima di proseguire con un’analisi architettonica del Forton Services e la sua storia come luogo brutalista. Il tutto terminerà con un caso di studio degli effetti della mia prolungata esposizione agli spazi liminali con architettura brutalista, tramite il mio impiego al Forton Services.
Per cominciare, stabiliamo un fondamento teorico per questo articolo collegando lo stile architettonico del brutalismo alla teoria antropologica della liminalità. Lo farò fornendo interpretazioni compatibili di entrambi e proponendo il nuovo concetto di “liminalità brutale”.
Brutalismo - ha origine dal Francese ‘béton brut,’ cemento grezzo - è un movimento architettonico che si concentra sullo scopo funzionale. Questo spesso risulta in materiali grezzo a vista, forme nette, forme geometriche ripetitive, e strutture monolitiche. Questo spesso può portare le persone esposte a questo stile a sentirsi sopraffatte o oppresse (Zumthor, P. 2006).
Spazi ‘liminali’, derivato dal termine latino ‘limen,’ che vuol dire ‘soglia,’ sono spazi di transito solitamente occupati per periodi brevi. È stato dimostrato che hanno effetti considerevoli sulla psiche di coloro che sono esposti ad essi, e si è scoperto che l'esposizione a lungo termine suscita risposte ansiose (Augé, M. 1995), (Bachelard, G. 1994) e una sensazione ‘perturbante’( Trigg, D.2012).
La mia ipotesi è che il Forton Services, un luogo di intersezione di questi due elementi psicologicamente significativi, può essere considerato un luogo di quello che ho denominato liminalità brutale, ed è per questo che ha un marcato effetto su coloro che ne sono esposti nel lungo periodo, come dimostrato dalle mie esperienze. Nello specifico, crea un senso di assenza che nonostante la presenza, una sorta di “fame architettonica.”
Le stazioni di servizio come Forton sono state originariamente concepite come un luogo in sè per sè, piuttosto che solo una pausa in un viaggio. Comunque, con il diffondersi delle automobili personali e il conseguente sovrasviluppo dell’infrastruttura stradale del Regno Unito, questi luoghi si sono trasformati in spazi liminali.
Questo aumento nel numero di viaggiatori, ben oltre i parametri della progettazione originale, ha portato a un flusso fugace di persone che transitano nelle stazioni di servizio a tutte le ore, lasciandosi dietro solamente rifiuti.
Non solo, a questi spazi è associata la percezione distorta del tempo, aggravata dalla voluta assenza di orologi (per incoraggiare soste più lunghe) e orari di apertura di 24 ore su 24 con routine di apertura, chiusura, pulizia e rifornimento scaffali.
La mia teoria è che poiché questi spazi sono privi di presenza umana costante e una corrente percezione del tempo, si sono così separati dal  panorama psicologico condiviso dall’umanità, e ci sono dei rischi per la salute di natura unica per le persone che sono esposte per periodi prolungati a questo fenomeno. In breve, ritengo che la “fame architettonica” di uno spazio che prova risentimento nei confronti della propria natura di luogo di transito può essere pericolosa, e ho un’esperienza diretta di questo fenomeno semplicemente unica.
Ho accettato la posizione di inserviente per il turno di notte al Forton a seguito di un prolungato divorzio che mi è costato la maggior parte delle mie amicizie. L’episodio di stress che ne è seguito mi ha portato a lasciare il mio lavoro come vice amministratore dei servizi fiduciari. Così ho fatto domanda per un colloquio e ottenuto con successo un impiego a bassi livelli di stress come inserviente, nonostante le mie notevoli qualifiche. Allo stesso tempo mi sono iscritto al Programma di Architettura all’Università di Lancashire, come studente maturo di 51 anni.
Mi sono presto accorto che il Forton Services è un perfetto esempio di liminalità brutale, dato il suo status sia come popolare stazione di servizio sull’autostrada e come monumento di architettura brutalista. E ritengo che questo sia principalmente dovuto alla Pennine Tower,che raggiunge i 20 metri e che è stata messa in vendita nel 2012, nonostante fosse chiusa al pubblico. 
L’area è 17,7 acri, include una zona picnic all'aperto e delle strutture su entrambi i sensi dell’Autostrada M6, con posti a sedere per 700 persone, 101 bagni e 403 parcheggi.
In cima alla torre originariamente c’era un ristorante di classe con una terrazza sul tetto, entrambi avevano una vista senza pari sulla campagna rurale che la circonda su ogni lato.
Sfortunatamente, gli effetti della liminalità brutale hanno presto fatto effetto, con un rapporto del governo che definiva il luogo “un’area fieristica priva di anima,”  il ristorante divenne una lounge per camionisti prima che fosse chiuso al pubblico nel 1989. Sono passati decenni dall’ultima volta che qualcuno ha mangiato lì.
In seguito ci sono stati tentativi fallimentari di dare un nuovo scopo all’area, ma nel 2017, i due ascensori pentagonali al centro della torre sono stati sostituiti, rendendo i piani più alti abbandonati e inaccessibili. 
La torre svetta ancora sulla campagna circostante, l’unico accesso è tramite il Forton Services sottostante, esempio di liminalità brutale. Ma l’ingresso è sbarrato, e questo forse è per il meglio.
Nonostante non potessi entrare nella torre, anche io nel corso dei mesi in cui ho lavorato lì ho accusato un cambiamento psicologico.
Inizialmente era talmente lieve che non me ne sono accorto, e quando è successo, ho pensato che ci fosse una spiegazione razionale. In termini semplici, ogni notte c’erano sempre meno persone. All’inizio ho pensato che fosse un qualche cambiamento che non avevo notato dovuto al periodo, ma ogni giorno diventava sempre più marcato finché alla fine, una notte, non mi sono reso conto che non avevo visto una singola persona.
Questo era ovviamente impossibile, ma era confermato dal mio registro (vedere tavola 1). Mi sono arrovellato, cercando di ricordare se avevo visto o anche solo intravisto qualcuno, ma no, nessuno. Intrigato, sono uscito fuori per controllare il parcheggio. Non c’era nemmeno una singola auto. Ma c’era… qualcos’altro.  
Mentre i miei occhi si abituavano alla distesa ambrata, ho notato delle strisce di luce sospese nell’aria. C’era una foschia luminosa che attraversava tutto il parcheggio, un miscuglio di colori attenuati attraversati da rossi più vividi, bianchi e gialli, ma cosa ancora più curiosa, mi sono accorto che principalmente era sospesa sopra l’asfalto. Le aiuole e i marciapiedi ne erano quasi tutti privi. L'effetto era stranamente familiare, ma non riuscivo a collegarlo. Da allora non sono stato ancora capace di determinare se la causa di questo effetto è di natura psicologica, fisiologica o atmosferica, ma confermo che questo fenomeno era accompagnato da un’inquietante senso di mancanza. Di fame. 
Ho aguzzato nuovamente  lo sguardo, cercando di cogliere dei dettagli in quelle lunghe strisce ondulate e iridescenti. Nel caos potevo distinguere dei percorsi più densi che portavano dalle porte principali alle strutture. Mentre osservavo, un ricordo delle fotografie della mia ex-moglie mi è tornato in mente, la mia foto preferita, che mi aveva regalato per il nostro settimo anniversario: “Uno studio del traffico.”
È stato in quel momento che ho capito perché mi sembrava tutto così familiare. Esposizione prolungata. Se fossi potuto entrare in quella fotografia, l’effetto sarebbe stato questo. Sarebbe stato bellissimo, se non fosse stato così destabilizzante.
Ripensandoci stavo chiaramente avendo un qualche tipo di grave episodio di allucinazioni causato dalla prolungata esposizione a quell'ambiente. Sapevo che probabilmente avrei dovuto semplicemente starmene seduto in silenzio ed aspettare che passasse, ma la nebbia luminosa era già entrata nell’edificio, e sentivo solo l’istinto di nascondermi, di trovare un posto, un posto qualsiasi, purché fossi lontano da quel miasma opprimente che sciabordava avanti e indietro nell’ingresso, minacciano di portarmi via con sé.
Sono tornato indietro, allontanandomi dall’ingresso principale, allontanandomi dalle aree più dense di quel caleidoscopio, nella speranza di trovare un posto meno saturo e schiacciante. 
Ed è stato allora che ho visto la donna.
Era alta, giovane, e magrissima, al punto da sembrare quasi denutrita, vestita come una steward con un gilet blu avvitato, abbottonato sopra una gonna grigia e seria. Stava sorridendo, tenendo la porta dell’ascensore aperta e invitandomi dentro. C’era una targhetta di ottone sul suo gilè, ma invece di un nome c’era scritto solo “Sei qui.” 
Ho esitato per un istante, poi prima che potessi valutare la sua stranezza, una marea di colore particolarmente alta ha invaso il corridoio avanzando verso di me. Sono andato nel panico e prima che mi rendessi conto di cosa stavo facendo ero saltato dentro l’ascensore e avevo schiacciato il bottone per chiudere le porte.
Le ho detto un “Grazie,”con la voce spezzata per il disuso. Lei a quanto pare non l’ha notato e ha continuato a sorridermi con calore quando ha allungato un braccio e ha pigiato il bottone per il penultimo piano etichettato “Ristorante.” Un bottone che sapevo essere disabilitato. L’ascensore ha iniziato a salire.
Ero in piedi, appoggiato contro le porte, e cercavo di riprendere fiato mentre lei ha iniziato a parlare:
“Buonasera!” ha esclamato. “È un piacere darti il benvenuto! Sei qui! Fermati un po’!” 
Ho borbottato qualche domanda indistinta, e il suo sorriso è rimasto largo come non mai, ma non ha detto niente. Poi le porte dell’ascensore si sono aperte con un ding e io sono caduto all'indietro sul pavimento.
“Fermati un po’!” ha ripetuto, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero, lasciandomi nella torre.
Molly, la persona che avevo sostituito, mi aveva fatto vedere che le scale della torre erano sbarrate, e sapevo che sù in cima non c’era niente se non dei mobili rotti e bagnati dall'umidità. O almeno, così sarebbe dovuto essere.
Di fronte a me, però, c’era un ristorante, immacolato e luminoso con un arredamento retrò, stile anni ‘60, e il dolce profumo della carne di maiale sul fuoco veniva verso di me dalla cucina centrale. Sedie e tavoli erano allineati lungo la parete perimetrale, su ogni lato c’erano delle gigantesche finestre che avrebbero mostrato una vista impressionante del paesaggio sottostante, se non fossero state oscurate. Questo non sembrava infastidire gli ospiti, comunque, che erano felicissimi di mangiare mentre chiacchieravano gli uni con gli altri.
C’è stato un attimo di sollievo in quel momento, perché per quanto fosse strana quella situazione, almeno c’erano delle persone. Non ero più intrappolato in quel bizzarro limbo albeggiante e solitario al piano di sotto.
La sensazione è svanita, comunque, quando ho sentito cosa stavano dicendo. O meglio, cosa non stavano dicendo. 
Guardandomi intorno, il ristorante era quasi al completo, con un solo tavolo libero, ma quando ho cercato di ascoltare una sola conversazione, questa era solamente… rumore. Un mormorio ovattato che all’orecchio sembrava un discorso ma non conteneva alcun significato. Le loro bocche si muovevano ma potevo solo sentire un gorgoglio privo di senso, solo l’imitazione della parola, niente di più.
In maniera simile, quando ho guardato gli ospiti stessi con più attenzione, ho notato degli elementi che si ripetevano in maniera strana tra di loro. Tre donne stavano indossando gli stessi tacchi rosso-sangue. Due uomini gli stessi cappotti blu. E peggio, c’erano addirittura dei tratti ripetuti su volti diversi: gli stessi occhi verdi su due donne, baffi identici su tre uomini. Queste erano imitazioni di persone così come il suono era un’imitazione della parola. Ed erano tutti così orribilmente magri.
Uno chef si è girato verso di me, lo stesso sorriso sul suo volto sotto una quarta versione di dei baffi cespugliosi, e la stessa identica targhetta “Sei qui” sul petto. Ha indicato da dietro il bancone l’unico tavolo disponibile:
“Buona sera!” Ha urlato. “Sei qui! Speriamo che ti fermi per un po’!”
Automaticamente mi sono avvicinato al tavolo, prima di fermarmi. Nello stesso istante è sembrato che tutti nella sala si sono inclinati leggermente in avanti per l’anticipazione.
Ed è stato in quel momento che mi sono accorto della brezza che soffiava dalle finestre oscurate, solo che non erano oscurate. Non erano nemmeno finestre. Erano buchi quadrati spalancati e oltre i quali c’era il nulla assoluto. Qualsiasi ospite poteva allungare un braccio, se voleva, e affondare la mano nel vuoto buio, inquietante e completamente privo di dettagli. Non c’era niente. Niente verso l’alto, niente verso il basso, niente di niente. Niente, se non la torre e il ristorante.
Ho sentito l'istinto di allontanarmi da quella terrificante assenza in tutto il corpo, e sono indietreggiato verso l’ascensore. È stato in quel momento che il delicato mormorio di non-parole si è fermato di colpo, per essere rimpiazzato dal più totale e assoluto silenzio.
Stavano sempre tutti sorridendo, ma i loro volti ripetuti si erano bloccati, gli sguardi puntati su di me.
Lo chef ha parlato di nuovo, e anche se il suo tono non era cambiato, era chiaro che questa non era più una richiesta:
“Fermati un po’!”
Gli ospiti hanno fatto eco alle sue parole, un coro graduale sparso nella sala, che si sovrapponeva e si intrecciava, che mi ha avvolto e mi ha trascinato verso il tavolo.
“Fermati un po’!”
La loro presa su di me si è fatta più stretta, una dozzina di mani mi spingeva e mi tirava come se fossero una cosa sola. Poi un uomo con gli stessi baffi si è chinato verso la mia gamba, ha aperto la bocca, e mi ha morso.
Il dolore mi ha attraversato il corpo, ma i miei tentativi di liberarmi erano invani e poi una donna mi ha affondato i denti nella spalla, e potevo sentire il sangue caldo che scorreva lungo la mia schiena, mentre allo stesso tempo lo chef mi ha strappato un dito, l’osso ha a malapena rallentato la sua mandibola ben definita.
Ho urlato, ma il suono è soffocato, scivolando fuori dalle finestre e nel nulla.
Con una scarica improvvisa di adrenalina, ho spinto e scalciato e combattuto per liberarmi da quella folla emaciata, i loro corpi magri e fragili facevano poca resistenza, nonostante il numero. Ma non avevo vie di fuga. L'ascensore era sparito come se non fosse mai esistito e oltre le finestre c’era, ovviamente, il nulla. “Sei qui,” ho pensato amareggiato.
E così quando mi sono ritrovato di fronte al prospetto di essere mangiato vivo, o di buttarmi da una di quelle finestre nel più completo oblio… non era di una scelta. Mi sono buttato.
[Pausa]
NORRIS
I paramedici hanno attribuito il mio dito mancante e le altre ferite alla caduta dalla torre, e salvo ulteriori prove del contrario (per le quali non ho intenzione di tornare a Forton), sono costretto ad accettare la loro diagnosi di ferita da caduta e trauma associato come il risultato di un episodio psicotico causato dallo stress.
Per concludere, non c’è dubbio che il periodo in cui ho lavorato al Forton Services ha avuto un impatto considerevole su di me. Questa esperienza è prova di un intenso disagio mentale che la liminalità brutale può infliggere a una persona esposta troppo a lungo a una tale “architettura affamata.”
Posso solo scusarmi per la mia non voluta e prolungata assenza. Spero che questo possa fornire un po’ di contesto, anche se sono dolorosamente consapevole che non è stata fatta alcuna denuncia di persona scomparsa alla polizia, poiché a quanto pare nessuno dei miei colleghi, tutor o colleghi studenti si è accorto della mia assenza.
Ciò nonostante, spero che questa possa comunque essere considerata una circostanza attenuante e che quanto ho scoperto meriti uno studio approfondito. Anche se in tal caso richiederei che altri ulteriori lavori vengano assegnati a un altro studente.
[L’audio assume il tono riecheggiante della CCTV della saletta del personale]
[Passi che entrano]
[Qualcosa viene inclinato, senza risultati]
[Qualcosa viene appoggiato con rabbia]
GWEN
Alice.
[Una pausa]
GWEN
Alice.
ALICE
(si toglie un’auricolare) Hm?
GWEN
L’hai fatto di nuovo.
ALICE
Hmmm.
GWEN
Non farmi ‘hmmm’. Eravamo d’accordo che se finisci l’acqua nel bollitore dopo lo devi riempire.
ALICE
(sempre distratta) Non è vuoto.
GWEN
Non c’è nemmeno un terzo di una tazza qui dentro.
ALICE
(a voce più alta, finalmente prende parte alla conversazione) Quindi non è vuoto, giusto, no?
GWEN
Già è grave che cerchi deliberatamente dei casi parlanti e li lasci in play solo per darmi fastidio -
ALICE
Secondo l’accusa.
GWEN
– ma lasciare il bollitore pieno è il minimo!
[Pausa]
[Gwen inizia a riempire il bollitore]
ALICE
Sembri stressata. Problemi nella piramide aziendale? Accusi già il peso del ruolo di Deputata Presidente della Sinergia Esecutiva?
GWEN
“Collegamenti Esterni.”
ALICE
E ovviamente, sappiamo entrambe cosa vuol dire. Giusto?
GWEN
Presumo che gestirò una manciata di subappalti.
ALICE
(Interessata suo malgrado) Subappalti per cosa?
GWEN
Riceverò una spiegazione più dettagliata “a breve.”
ALICE
Cielo! Quanta adrenalina! Spero che deciderai di spiegarlo anche a noi infimi soldati semplici quando Lena avrà finalmente capito qual’è il tuo lavoro. Presumendo che per allora qui sarà rimasto qualcuno di noi.
GWEN
E cosa vorresti dire con questo?
ALICE
Solo che ultimamente qui ci sono stati molti cambiamenti. Non mi esalta. Teddy, Sam, Celia - e hai sentito che Lena ha messo Colin in “congedo per la salute mentale”?
GWEN
(Sorpresa) Cosa?
ALICE
Oh sì, c’è stata una scenata. Ha dato di matto e ha spaccato il telefono di Sam.
GWEN
L’ho sempre detto che era disturbato.
ALICE
Tu dici molte cose, per la maggior parte cagate. Non so… ho la sensazione che qui c’è sotto qualcosa.
GWEN
L’unica cosa che “c’è sotto” è il gigantesco carico di casi che tu non stai facendo niente per recuperare. A tal proposito, dove sono Sam e Celia?
ALICE
Hanno finito i loro casi prima, quindi sono andati via insieme.
GWEN
Non possono andarsene così senza nemmeno timbrare l’uscita!
ALICE
Forse erano troppo impegnati a darci dentro con la voce sexy di Norris in sottofondo e non se ne sono accorti.
GWEN
(fermamente) Non essere disgustosa.
ALICE
Ricevuto, “capo.”
[La CCTV si spegne]
[Suono di un telefono]
[L’audio cambia e ha la qualità metallica del telefono]
[Siamo al chiuso, con dei passi che si avvicinano]
GERRY
(Allegro) Scusate per il disordine, non aspettavo visite.
CELIA
Una tazza vuota non è “disordine”.
GERRY
Oh, sei troppo gentile!
(adesso un po’ più lontano, ad alta voce) C’è del pane a lievitazione naturale, se vi va?
SAM
No grazie mille!
GERRY
(ad alta voce) Sicuri? C’è anche del lemon curd fatto in casa da abbinarci…
SAM
(ad alta voce) Davvero, siamo apposto!
GERRY
(ad alta voce) Tè? Caffè? Succo d’arancia?
CELIA
(ad alta voce) Sei davvero gentile, ma per noi niente, davvero grazie!
GERRY
Beh, se siete sicuri…
[Gerry si siede]
GERRY
Allora. Dove eravamo, mi sa che mi sono perso i vostri nomi!
SAM
Sam.
CELIA
Celia.
GERRY
Piacere conoscervi entrambi. Io sono Gerry!
SAM
(Sorridendo) Lo sappiamo.
GERRY
(ridendo) Oh già, certo! Avete chiesto se ero in casa, ah! Allora, che cosa posso fare per voi?
SAM
Già, beh -
CELIA
Abiti qui da solo?
GERRY
(ridendo) Con gli affitti di Londra? Impossibile! Non fraintendetemi, il padrone di casa è adorabile e tutto il resto, ma no. Devo sempre fare a metà con Gee Gee.
CELIA
Gee Gee?
[Passi che si avvicinano]
GERTRUDE
Sarei io.
GERRY
(Ad alta voce) Ci sono ospiti, Gee Gee!
GERTRUDE
Sì, questo posso vederlo, Gerry. 
(freddamente) A che cosa dobbiamo questa… gradevole visita di prima mattina?
SAM
Oh sì, scusi, lavoriamo di notte, quindi… 
GERTRUDE
Quindi?
[Una pausa]
[Sam si schiarisce la voce]
SAM
Beh… uh… ci stavamo chiedendo -
CELIA
Questo l’hai dipinto tu?
GERTRUDE
Prego?
GERRY
Oh sì! Lo chiamo “Epifania di Camden.” Ti piace?
CELIA
È bellissimo!
GERRY
Se vuoi puoi averlo.
CELIA
Oh no, non potrei…
GERRY
Va bene, onestamente, ne ho molti altri di là. Ci faresti un favore, ad essere sinceri.
[Celia si fa scappare una risata]
GERRY
Gee Gee dice sempre che portano via troppo spazio, no, Gee Gee?
GERTRUDE
Di preciso che cosa avete detto di volere da mio nipote?
CELIA
Uh… Sam?
SAM
Già. Certo. Mi stavo chiedendo se sapevi qualcosa dell’Istituto Magnus?
[Una pausa, nessuno si muove]
[Si schiarisce di nuovo la gola]
SAM
Ero in uno dei loro programmi per bambini precoci e - um - ho trovato un elenco con qualche altro bambino, e ho pensato che sarebbe potuto essere bello se potessimo ritrovarci e scambiare storie e tutto il resto…
GERTRUDE
Capisco. Beh, mi dispiace, ma non credo che Gerry possa aiutarvi -
GERRY
(Con noncuranza) Sì, me lo ricordo a malapena.
[Gertrude fa un leggero sospiro]
SAM
Oh, allora eri un candidato?
GERRY
Oh sì, ma ero piuttosto piccolo. Ricordo di aver riempito una serie di schede e questionari, poi qualche vecchio che mi faceva domande sul genere di libri che mi piaceva leggere, chi ammiravo, quel genere di cose. E poi sono andato via.
SAM
(deluso) Tutto qui?
GERRY
Sì, temo di sì. Oltre che a trovarmi seduto con altri bambini in una stanza che odorava di libri vecchi.
[Una pausa]
GERTRUDE
(alzandosi in piedi) Beh, se questo è tutto, noi davvero dovremmo iniziare la nostra giornata…
SAM
(abbattuto) Ma certo, noi andiamo allora. Ah, beh.
GERRY
Oh, non prenderla troppo sul personale. È una mattina così bella.
[Gerry sembra così felice]
SAM
(Sorridendo) Non ha torto.
GERTRUDE
(aprendo la porta) Non vi tratterremo oltre. È stato un piacere conoscervi.
GERRY
(Allegro) Non dimenticare L’Epifania di Camden.
CELIA
Nemmeno per sogno.
[Le passa il quadro]
GERRY
(sempre allegro) E tornate presto! È sempre un piacere chiacchierare con dei vecchi amici!
GERTRUDE
Non penso ne avranno motivo, Gerry.
(a Sam) Buona caccia, ma altrove.
SAM
Di nuovo grazie per il tuo tempo.
[Passi che se ne vanno]
CELIA
Ciao, Gerry!
GERRY
Ciao, Celia!
[La porta si chiude]
GERRY
(ovattato da dentro) Mi piacevano.
GERTRUDE
(ovattato) Ovviamente.
[Suoni di un telefono]
[L’audio continua ad avere un tono metallico quando Sam e Celia escono, passi sul marciapiede]
SAM
Beh è stato -
CELIA
Niente male!
SAM
(diverto dal suo entusiasmo) – un vicolo cieco.
CELIA
Già. Però c’è il quadro gratis!
SAM
(inizia a camminare) Come pensi di portarlo sulla Metro?
CELIA
Mi inventerò qualcosa.
SAM
…Grazie per essere venuta con me, Celia. So che lavoriamo insieme solo da poche settimane.
CELIA
Hey, è stata una mia idea, ricordi?
SAM
So che Alice vuole che lasci perdere questa cosa del Magnus, ma, beh, dovevo provarci.
Non che faccia alcuna differenza. Vicolo cieco dopo vicolo cieco.
CELIA
Beh… forse puoi aiutarmi con il mio mistero?
SAM
E che mistero sarebbe?
CELIA
Sto cercando di indagare… nelle cose strane dal punto di vista fisico: viaggi nel tempo, altre dimensioni, teletrasporto, tutte quelle belle cose. Freddy a quanto pare non fa ricerche, quindi potresti tenere gli occhi aperti e farmi sapere se succedono nei tuoi casi? 
SAM
Uh, sembra un po’ fantascientifico rispetto alle solite cose. Per cosa ti serve? (divertito) Non è che stai facendo ricerche per quel podcast a cui hai partecipato, no?
CELIA
(Sorpresa) Lo conosci?
SAM
Potrei averti googolata.
CELIA
Allora… sì. Sto facendo un favore a Georgie.
SAM
Okay.
[Una pausa]
CELIA
Allooora…. Abbiamo un accordo? Ci aiutiamo a vicenda con i nostri misteri?
SAM
Sì, va bene. Affare fatto.
CELIA
Fantastico.
Inoltre, come parte dell’accordo, devi portare questo dipinto sulla Metro.
SAM
Ehi aspetta -
[Il telefono si spegne]
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio successivo]
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pensieripronfodi · 11 days ago
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Mi domando se hanno un senso, un fine, uno scopo tutte le cose brutte e spiacevoli che mi capitano nella vita. Intanto so che sono esperienze formative, caratteriali, eppure alcune fanno soffrire come cani. Ma perché? Non posso imparare dalle esperienze negative senza soffrire? Si impara anche quando si è felici, ma non so più cosa sia la felicità.
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academybdsm · 1 year ago
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Poliamore e Bdsm 👑
Il termine Poliamore fu introdotto da Morning Glory Zell-Ravenheart che introdusse il termine «relazione poliamorosa» nel suo articolo A Bouquet of Lovers nel 1990. Jennifer Wesp creò su Usenet il newsgroup alt.polyamory nel 1992: da allora, si è diffuso come idea e come filosofia di vita, in molti paesi occidentali.
Recentemente, si sente sempre più spesso parlare di poliamore (dal greco antico: πολύ, poly, «molti» e dal latino: amor, «amore»), ma per evitare di fraintendere il reale significato della realtà che rappresenta, può essere utile cercare di approfondire di cosa si tratta e capire come integrarlo con le idee di relazione a cui siamo culturalmente abituati.
Si tratta di una relazione amorosa consensuale caratterizzata dalla libertà di ciascun di avere contemporaneamente più rapporti d’amore. Viene per lo più descritto come una forma di non monogamia etica, caratterizzata da consensualità e responsabilità.
Infatti, ed è bene ricordarlo, esistono anche altre forme di non monogamia etica: la coppia aperta, lo scambismo, l’anarchia relazionale. Tutte queste forme relazionali implicano una gestione consapevole della gelosia e rifiutano l’idea che l’esclusività sessuale sia indispensabile per costruire rapporti profondi, impegnati e a lungo termine.
La non esclusività affettiva.
Nel caso specifico del poliamore e dell’anarchia relazionale, questa non-esclusività consensuale si estende anche al piano romantico e/o affettivo, oltre che a quello sessuale.
Le relazioni poliamorose sono basate sul consenso di tutte le persone coinvolte, che devono essere opportunamente informate delle varie situazioni relazionali e sentimentali in cui si trovano inserite. Non possono in alcun modo definirsi poliamorose le relazioni caratterizzate da clandestinità, come, ad esempio, quelle adulterine.
Il consenso delle parti, inevitabilmente, implica perciò la necessità di comunicazione trasparente tra i partner e totali rispetto e accettazione dei sentimenti di ognuno.
Nella dinamica poliamorosa, inoltre, non esistono differenze rispetto al genere e all’orientamento sessuali, quanto piuttosto la libertà di condividere volontariamente e consensualmente l’esperienza dell’amore.
Seguendo questo principio, ne consegue che le relazioni possibili all’interno di questa “nuova” dimensione sesso-sociale, possono essere varie e diversificate. Si parla di relazioni aperte, relazioni poli-mono, scambismo, giochi BDSM e altre tipologie spesso di non facile comprensione immediata. Queste hanno in comune dei principi ben definiti: il rispetto dell’altro diverso da sé e la consensualità nel vivere l’esperienza affettivo-intimo-erotico-relazionale.
Chi pratica il poliamore porta avanti il principio di valenza etica: poiché ogni partner è a conoscenza e approva le varie relazioni dell’altro, tutto ciò che accade ai singoli partner è all’insegna della trasparenza e della condivisione.
Ci si basa dunque sul concetto che ogni individuo accetta e condivide che altre persone possano soddisfare bisogni e desideri del proprio partner, così come i propri.
Appare adesso più evidente come i principi che stanno alla base di questo stile relazionale debbano essere il consenso e la condivisione di regole che disciplinano i rapporti, come precedentemente accennato. Ovviamente, tali regole possono essere più o meno rigide, in base alle scelte e alle esigenze condivise dei vari partner.
L’essere umano è, per la sua natura animale, poligamo. Il concetto e l’esperienza della monogamia sono stati costruiti e definiti nelle diverse culture, tendenzialmente per garantire alla prole una paternità certa e costante, introducendo così un nuovo concetto di relazione intima esclusiva (e non promiscua) e, più avanti, di famiglia.
In realtà, però, nella storia abbiamo sempre assistito a esperienze di poliamore all’interno di gruppi di individui che condividevano questa pratica in armonia e con grande rispetto reciproco.
Potremmo quindi affermare che il concetto di poliamore è molto lineare, e allo stesso tempo complesso.
Alla base della sua semplicità, appare chiaro il desiderio di volere rappresentare se stessi in una relazione di non monogamia etica, dove l’assoluta consensualità tra i partner permette di avere contemporaneamente più rapporti di tipo affettivo-intimo-erotico e sessuale, in armonia e rispetto reciproco.
La complessità che allo stesso tempo però caratterizza il concetto di poliamore è rivolta primariamente alla società, che difficilmente accetta e comprende e apre le porte all’altro diverso da sé, etichettando come “sbagliato” o “malato” tutto quello che si discosta dal complesso mondo della normatività (concetto ben diverso da “normalità”) e da quello che viene considerato il modello dominante, ossia l’idea di una relazione monogama.
Benché nella società occidentale il modello monogamo sia il più ampiamente diffuso e sposato, dai dati che circolano attualmente sembra che negli Stati Uniti siano almeno 500.000 le persone che praticano questa forma di amore libero, anche se come sempre risulta molto complesso fare delle stime accurate o fornire i numeri precisi.
Il fenomeno è comunque in forte crescita anche in Italia, soprattutto nelle principali città, dove è inizialmente più possibile sdoganare i modelli culturali abituali.
Esattamente come per tutte le altre realtà relazionali che nel tempo hanno dovuto faticare per integrarsi nella mentalità sociale, anche per il poliamore occorrerà probabilmente tempo e soprattutto corretta informazione. Così da allontanarsi sempre di più da una visione limitata e rigida, per fare spazio all’individualità e, pur sempre nel rispetto dell’altro, al diritto alla libera scelta personale, aprendo anche in qualche modo la strada ai complessi concetti di polifamiglia e polifedeltà 👑
Tratto da un articolo della Dott.ssa Eleonora Stopani
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fashionbooksmilano · 2 years ago
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Manolo Blahnik
The Art of Shoes. La ricerca della perfezione
Cristina Carrillo de Albornoz
Skira, Milano 2017, 128 pagine,  21 x 30cm, 100 ill.colori, cartonato, ISBN  9788857234991
euro 42,00
email if you want to buy [email protected]
Eleganza raffinata, genio architettonico, stile inconfondibile: le scarpe di Manolo Blahník sono considerate capolavori del design contemporaneo. Sono oggetti al tempo stesso femminili e forti, d’avanguardia e senza tempo, e attingono a una vasta gamma di forme, colori e materiali.A cosa si ispirano le visioni creative apparentemente illimitate di Manolo Blahník? Pubblicato in occasione di una grande mostra internazionale, questo libro esplora attraverso una serie di voci in ordine alfabetico le fonti d’ispirazione e le passioni che si celano dietro le celebri creazioni di Manolo Blahník. Il volume offre uno sguardo inedito sull’arte e l’artigianalità delle scarpe di Blahník, ma anche sulle relazioni e le esperienze che influenzano il suo lavoro: dall’amata famiglia e dai preziosi ricordi dell’infanzia trascorsa alle isole Canarie, fino alle sue muse – Anna Piaggi, Diana Vreeland, Julie Christie, Paloma Picasso – e alla passione per l’architettura, la letteratura e il cinema. Aneddoti molto personali, tratti dalle conversazioni con l’autrice Cristina Carrillo de Albornoz, curatrice della mostra, offrono al lettore la rara opportunità di scoprire dalle parole di una leggenda della moda la visione che sta dietro un paio di calzature.
Milano, Palazzo Morando 26 gennaio – 9 aprile 2017 San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage 28 aprile – 21 luglio 2017
14/04/23
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Alessandria: Laboratorio di Formazione Gratuita “Il Futuro che Vorrei” per Giovani Attivisti
Un percorso formativo rivolto a giovani attivisti, in programma il 26 ottobre 2024 presso il Centro Giovani Giardini Pittaluga ad Alessandria.
Un percorso formativo rivolto a giovani attivisti, in programma il 26 ottobre 2024 presso il Centro Giovani Giardini Pittaluga ad Alessandria. Il prossimo sabato 26 ottobre 2024, dalle ore 10:00 alle 16:00, Alessandria ospiterà un importante laboratorio formativo gratuito intitolato “Il Futuro che Vorrei”, rivolto a giovani attivisti e attiviste desiderosi di esplorare il proprio potenziale e di…
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kon-igi · 2 years ago
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Ciao, ti leggo da anni e ne approfitto (a scopo informativo ovviamente). Hanno diagnosticato a mia madre un carcinoma b5a, quindi in situ (cdis-g2/din2). Lei voleva togliere già tutto il seno ma la Dott.ssa l'ha convinta che non serve. Ora farà l'asportazione a Maggio. Con la premessa che i tumori al seno non sono tutti uguali e neanche le dinamiche familiari... Ci sono cose che non potevo chiedere davanti a lei alla visita le avrebbe messo troppa ansia. Io sono brava ad alleggerire gli altri ma sono un bradipo nell'elaborazione personale... non per drasticità ma ho bisogno di uno schiaffo di realtà medica. Che percentuali si hanno per metastasi anche se ora non è infiltrante? Posso solo aspettare i risultati post operazione per sapere se serviranno le pillole o la chemio? Ho sentito dire che ci sono posti dove fanno le radiazioni proprio durante la prima operazione e io boh, su mio padre non posso contare e ho l'aspettativa di tutti addosso come se potessi prendere decisioni migliori ma non è così, non sono in grado di prendermi responsabilità normali, fare del proprio meglio insomma come un'adulta, sono tagliata fuori dal mondo e non sono la persona ideale a cui affidarsi per capire, cercare. Qualcuno ha voglia di condividere esperienze? Ho proprio bisogno di immaginare quello che la aspetta, fosse anche il percorso peggiore, per centrarmi.
Ti rispondo volentieri ma bada bene che QUANTO ANDRÒ A DIRTI HA VALORE PURAMENTE ESPLICATIVO PER DELINEARTI UN QUADRO DI INSIEME E GUAI SE DOVESTE PRENDERE DECISIONI CHE NON SIANO AVALLATE DALL'ONCOLOGO.
In sintesi, quel tipo di manifestazione a quella stadiazione è considerata una lesione PREcancerosa con ottima probabilità di non recidiva a 10 anni (96% con chirurgia conservativa seguita da radioterapia).
Per recidiva, oltretutto, non si intende che tua mamma scopre improvvisamente di essere diventata una malata terminale piena di metastasi ma che la neoplasia si è riformata, con un percorso che a quella stadiazione sarebbe sempre ben controllabile.
Per fortuna se n'è accorta per tempo e si può quindi intervenire con una serenità discreta... sempre considerando l'argomento, eh!
Ti linko un articolo di pubmed in merito, in cui è evidente la levità rispetto ad altre forme, con un testo tecnico ma non troppo (traduci in italiano con tasto destro se ti sembra un inglese faticoso)
Se ti farà piacere aggiornarmi in privato e chiacchierarne, puoi contattarmi su telegram cercando kon_igi
Ciao!
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ombrafurtiva · 1 year ago
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Solitamente non sono tipo da donazioni, le forme d’altruismo e gentilezza dovrebbero prescindere i soldi; ma viviamo in un sistema in cui il denaro è apripista e direttore delle nostre esistenze.
Sono inoltre sicuro che molti, se non tutti qui abbiamo conosciuto il dolore della perdita: che sia un caro, un amico, un genitore, un fratello, un compagno: definizioni che non prescindono la specie secondo me, in alcun modo.
Ho perso quel che volgarmente si è soliti definire ‘animali domestici’ ma che per me erano tutta la mia vita, parti imprescindibili della mia anima e sebbene sia passato del tempo questo breve riferimento è tutto quel che sono capace di fare, l’unico sguardo oltre la voragine dentro di me oltre cui sono capace di sporgermi. Sono sicuro che un tale attaccamento non sia estraneo ad alcuno di voi.
Inoltre non mi piace fare appelli emotivi; sono tremendamente vicini a scatenare pena e pietà ancor prima che partecipazione al sentimento, e sono anche il primo a valorizzare la morte come parte integrante della vita, aspetti del Cambiamento: unico Dio di qualsiasi religione e di qualsiasi scienza; tuttavia non posso che dedicare un pensiero ai primi interessati di questa raccolta, alla sofferenza, un pensiero che diventa ricordo di esperienze passate che nessuno augurerebbe.
Vi chiedo infine di canalizzare questa mia riflessione nei vostri di ricordi e di immedesimarvi per un attimo: che l’animo puro di un gesto di gentilezza possa lordarsi per un attimo del vil denaro, ma il cui fine possa redimerlo e restituirlo alla sua originaria tenerezza, di ognuno di voi.
Se potete, aiutate Bastet.
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susieporta · 5 months ago
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IL SISTEMA FAMIGLIARE HA SEMPRE RAGIONE?
La famiglia ha sempre ragione?
Partiamo dal principio.
Nella prima parte della vita si vive il karma con le figure autoritarie e qui si nasconde il nostro rapporto con queste figure.
Diciamo che, proprio nel momento in cui dovremmo rimanere sempre più agganciati alla nostra Essenza e al nostro potere personale, noi siamo educati a sganciarcene. Ed ecco che creeremo le dinamiche con le forme di potere.
Il karma più pesante poi è con i genitori, sono loro i principali specchi su cose che ci riguardano e che spesso non riconosciamo.
Mi è capitato spesso di sentire la classica frase: “Io non voglio diventare come mia madre, come mio padre, non sarò mai come loro”.
Eppure…
Quasi sempre si diventa esattamente come loro.
Perché accade?
Attenzione a questo passaggio.
Noi non diventiamo come loro, semplicemente eravamo già come loro.
Loro ci fanno da specchio.
I genitori sono espressione di karma nel senso che sono quello che hai fatto a te stesso e che hai permesso agli altri di fare a te stesso.
Tutto quello che hai sabotato o bloccato ti viene riflesso nel genitore.
Questo perché possiedi tre canali energetici:
Il Lunare: Femminile.
Il Solare: Maschile.
E il Canale della coscienza.
All’interno di questi canali ci sono memorie di esperienze con il femminile e con il maschile.
E, in base alle cose irrisolte nel tuo aspetto femminile o maschile, viene attratto quel tipo di genitore.
Tieni presente che considerando il tuo sesso, il canale energetico opposto sarà quello inconscio.
Perciò se hai bloccato il tuo maschile attrarrai un genitore che ti blocca l’evoluzione del tuo maschile. Se hai bloccato il femminile attrarrai una madre anaffettiva, per esempio.
E questo riverbera in generale anche con tutti i membri della famiglia.
Quindi, a un certo punto, non si tiene tanto conto se è la zia, il papà, la nonna il problema, ma se è un problema energetico di tipo femminile o maschile.
E se non risolvi questi problemi con la famiglia cosa accade?
Semplice, tu ti porti dietro quei nodi irrisolti maschili e femminili tanto da riviverle con le altre relazioni interpersonali in base al sesso della persona.
Un altro quesito fondamentale che mi viene posto è se i genitori ci feriscono per primi oppure nasciamo già con delle ferite.
Bisogna considerare che i genitori possono sì ferirti, ma ti feriscono nelle vecchie ferite che tu hai già inflitto a te stesso con il karma.
Dietro una ferita c’è una memoria karmica.
Ed è come se i genitori fossero stati costretti a riaprire vecchie ferite delle tue vite passate.
Sono come rappresentazioni di archetipi, di energie.
Prova a osservare i tuoi genitori, le loro paure e identificazioni e come le proiettano su di te, come e dove cercano di bloccarti, di boicottarti e dove cercano di aiutarti e di stimolarti, invece.
Sono tutti specchi. Specchi di quello che hai fatto e ancora fai a te stesso da chissà quante “vite”.
Per questo è stata scelta questa famiglia piuttosto che un’altra, per permetterti di evolvere.
Proprio perché rappresenta alcuni lati che puoi, ma soprattutto devi trasformare in questa vita.
Cambia la prospettiva adesso o sbaglio?
La famiglia non puoi vederla come il colpevole di tutti i tuoi problemi, come un ostacolo, come la fine della tua felicità, la potrai solo guardare con compassione, come il terreno migliore per la tua crescita.
Ma la maggior parte delle volte questo non accade.
Si verificano due scenari: O ci si attacca e ci si identifica con la famiglia e i suoi modelli oppure ci si ribella e ci si allontana il più possibile.
Nessuno dei due casi ti permette realmente di evolvere e liberarti.
E adesso vedremo perché.
Non basta tagliare il cordone ombelicale alla nascita
Prima di tutto parliamo del primo lato.
Come abbiamo già accennato, il meccanismo di identificazione e attaccamento al sistema familiare e alle dinamiche di famiglia non permette di risvegliarti alla tua coscienza/individualità.
Osserva un animale, per esempio.
Appena è autonomo per la sua sopravvivenza lui si stacca o viene cacciato dal gruppo.
Questo non accade nell’essere umano da ormai tempo. Possiamo dire che il processo di crescita interiore è rallentato.
Siamo in una situazione di forte identificazione con il sistema familiare.
Non ci si stacca dai genitori e loro non si staccano da noi.
E così non riesci a trovare la tua strada e nemmeno a risvegliare la tua coscienza.
Non trovi chi sei davvero, al di là della tua famiglia.
Che vocazione hai?
Che talenti hai?
Queste cose non hanno niente a che vedere con la tua famiglia biologica.
La famiglia è solo un canale per aiutare l’anima a fare la sua strada.
E intendo la sua strada, non quella del sistema familiare.
Agisce fino a quando il sistema corpo, mente ed emozioni sono abbastanza mature per seguire il progetto dell’anima, il motivo per cui è tornato qui (il suo dharma).
Se non accade questo si genera karma.
Guardando ai nostri tempi, i bambini non vengono educati a cavarsela da soli, a trovare la loro strada nella vita.
Addirittura, troppo spesso, la madre educa il figlio con l’idea che non se ne andrà.
Ecco perché poi è così difficile sganciarsi dall'inconscio familiare.
Ed ecco perché non avendo tagliato il cordone ombelicale, noi riviviamo i nostri drammi familiari. Classico copione che si può osservare nelle convivenze.
“Lo stare insieme in una casa” diventa il luogo di manifestazione dei propri modelli vissuti in famiglia.
Allora le persone mi chiedono se fosse la stessa cosa se si ribellassero?
Purtroppo devo darti una cattiva notizia a riguardo.
Perché no, non cambia niente.
Certe informazioni saranno impresse nel campo cosciente anche se te ne vai.
Scendiamo nel dettaglio.
Comprendi che ribellarsi non è essere se stessi. Punto.
Essere se stessi vuol dire liberi dal karma, essere se stessi in ogni relazione.
Tanti pensano mi ribello a tutti o non coltivo nessuna relazione così sono a posto, posso essere me stesso.
No. Non è proprio così.
Tieni presente che il focus, quando subisci qualcuno, parliamo dei genitori in questo caso, sono loro.
Quando ubbidisci, il focus sono ancora loro.
E quando ti ribelli?
Indovina un po’? Sì, sono ancora loro.
Perché?
Perché semplicemente non sei centrato.
Ancora non sei chi vuoi, non fai ciò che vuoi.
Che tu sia accondiscendente o ribelle non cambia niente, il focus ancora una volta sono loro non tu.
Focus su come loro ti vedono, su come ti giudicano, su come ti trattano.
La tua mente è assorbita in questa ribellione e non è ancora libera di fare la sua strada. E questa non è libertà. Non sei ancora focalizzato su ciò che vuoi realmente, su ciò che è legato alla tua coscienza, ma su ciò che non vuoi, che dipende ancora da loro…
Ecco il vincolo.
Che poi, siamo onesti, quando ci si ribella a tutti i costi, cosa si prova?
Si prova un senso di pace interiore? Serenità e spensieratezza?
O ci si fa consumare da rabbia, cinismo, odio e tanto risentimento?
Cosa c’è di liberatorio in tutto questo?
Poi vedremo perché accade, ma basta già iniziare a comprendere che la ribellione, il fare l’opposto di quello che vogliono gli altri, non è ancora fare quello che si vuole. Non è ancora risveglio.
“E se io me ne vado dalla famiglia? Scappo il più possibile?” È possibile che te lo sia chiesto anche tu.
Per risponderti, considera che la distanza fisica può aiutarti in quel momento, certo, ma, come abbiamo visto prima, il legame esiste ancora.
C’è ancora karma, perché dietro c’è la credenza, i pensieri e quindi anche uno stato che comporta un certo tipo di emozioni.
Non c’è ancora accesso alla tua coscienza, non sei ancora te stesso, ma succube del sistema familiare o di quello sociale.
Piuttosto evidente se ci pensi.
Tu puoi andartene anche in Antartide o rinchiuderti in una grotta da solo, ma qualcuno probabilmente lo incontrerai comunque. E, soprattutto, la mente, i tuoi pensieri, le tue credenze, tu te le porti dietro, la testa non la stacchi dal corpo e la lasci in casa con la tua famiglia di origine. O sbaglio?
Per questo dire “Io non sarò mai come mio padre” o “come mia madre” non è garanzia di successo. Anzi, se non fai un lavoro su te stesso per ripulire il karma, tu diventi esattamente come loro invece.
Se sei nato da loro, hai un karma simile al loro.
Le caratteristiche che ti danno più fastidio di tua madre e di tuo padre, di solito, sono anche le tue. O comunque sono lì per farti vedere qualcosa.
Questo è importante capire.
Perché quando cresci e si moltiplicano le interazioni con le persone, sperimenti il karma di relazione.
E tutto quello che non hai lasciato dalla famiglia te lo ritrovi in queste di relazioni.
Ma come puoi trasformare le cose allora?
Tu trasformi le cose quando lasci andare il passato.
Rimani concentrato perché questo è fondamentale.
Infatti, con “passato” non parlo del ricordo, ma della carica energetica riguardo al passato.
Non basta allontanarsi o aver fatto pace fuori per chiudere i cerchi. I cerchi vanno chiusi interiormente.
È lasciando andare la carica emozionale, che il ricordo non fa più male.
Ripeto: Lasciare andare l’emozione, non tanto il fatto in sé.
Tu non hai chiuso il rapporto, il vincolo, se non hai chiuso bene anche con l’emozione.
Questo è il nocciolo.
Se non lavori sul nodo karmico, su ciò che dovevi vedere e capire in quella relazione, continui a ricreare le stesse dinamiche nelle nuove relazioni. Come un loop indissolubile.
Perché il karma negativo di relazione crea così tanta sofferenza?
Perché non ci lavori. Questo è il negativo.
Se rifiuti di guardare i tuoi problemi e continui a voler cambiare l’altro o a dargli la colpa, non cambierà mai niente.
Tieni presente che noi ci mettiamo un’energia allucinante a proteggere le nostre ferite, facciamo di tutto perché l’altro non tocchi.
Cerchiamo di controllare le persone per tenerle lì nell’angolino.
Cerchiamo di reprimere noi stessi.
E se l’altro fa la stessa cosa? E tranquilli che l’altro fa esattamente la stessa cosa.
Molti miei studenti venivano da me tutti terrorizzati.
“Non riesco più a far pace con il mio ex, voglio chiudere i miei cerchi, ma lui non mi vuole avvicinare, non è disposto a chiarire. Cosa devo fare?”
Non soffermarti a sistemare fuori pensando che questo sistemi dentro.
Ciò che fa la differenza, ciò che ribalta la tua vita è sistemare dentro più che fuori.
Lascia stare il rapporto e la persona in questione, focus nel cuore.
Perché dico questo?
Perché ogni relazione lascia delle impronte energetiche karmiche al tuo interno.
Il problema parte dall’interno verso l’esterno, non il contrario.
Trasforma le tue tracce karmiche e il fuori poi cambierà da solo.
Spesso l’altra persona ti lascia libera e se ne va perché non può più farti da specchio, oppure smette di essere in quel modo lì e cresce anche lei con te.
La tua vita cambia totalmente anche riguardo a chi attrai.
Se ti dovessero arrivare certe persone che non ti stanno bene, tu puoi dirgli semplicemente di no, perché lavorando su te stesso non hai più bisogno di passare per certe esperienze.
Prima ci cadi dentro e non puoi farci niente. Non c’è consapevolezza.
Ma ora sì. Ecco la libertà di dire sì / no. La libertà di scegliere.
Ricevo continuamente domande del tipo: “Cosa devo dire?”
“Come faccio a comunicare meglio i miei bisogni?”
“Come faccio a parlare con un partner che fa muro a ogni mio tentativo di comunicazione?”
Ti rispondo con la verità:
Non è facile comunicare quando c’è di mezzo il karma. Non è affatto facile.
Se in una relazione è importante comunicare i propri bisogni, quando il karma ci fa compagnia, spesso, o non si riesce o magari l’altro non ci ascolta ecc.
La soluzione è partire a lavorare su se stessi.
Perché aspetti che la relazione porti a galla il dolore? Prendi subito in mano la situazione.
Non ha senso scappare senza risolvere.
E non ha senso nemmeno lavorare sulla coppia, sulla famiglia ecc.
Devi lavorare su te stesso, sui tuoi modelli e nodi energetici, karmici.
Non si lavora mai sulla relazione, ma si lavora su ciò che la relazione ti ha fatto vedere di te.
Rifletti che tutto quello che ti circonda è lì per mostrarti qualcosa di tuo.
Per questo è importante vederlo e lavorarci interiormente.
Tagli il cordone ombelicale lavorando sulle ferite, non focalizzandoti su chi te le ha fatte. Continua pure a rimuginare con chi ti ha ferito e non farai altro che rafforzare il vostro legame distruttivo e la ferita stessa.
Roberto Potocniak
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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SENSI DELLARTE - di Gianpiero Menniti 
L'INASPETTATO
Edgar Degas (1834 - 1917) dipinge "Ballerina che fa un saluto", 1878, conservato al Museo d’Orsay a Parigi. Le forme scompaiono nel colore, riappaiono tra sfumature e contrasti. Nel 1890 dipinge "Russet Landscape" (Paesaggio color ruggine) e nel 1892 compie sperimentazioni ulteriori con la tecnica del "monotype" che coniuga incisione, disegno e pittura. Ulteriori poichè già nel 1876 aveva prodotto opere come "Dancer Onstage with a Bouquet" (Ballerina sul palco con un Bouquet, collezione privata). Potremmo chiuderla qui aggiungendo che si tratti di una direzione di "ricerca" poco nota dell'artista francese.  Qualcosa che nasce nel medesimo contesto dei soggetti tradizionali della sua pittura. Certo. Ma perchè? Ne realizzò circa centoventi di stampe con questa tecnica. Eppure, negli anni '90 del XIX secolo scompaiono le classiche figurazioni per dare vita a immagini che annullano la forma sondando esperienze visive abissali. Tuttavia, sullo sfondo delle altre due opere citate, queste rappresentazioni emergevano. L'irrazionalismo non è una corrente viva nel solo Novecento: è già negli aforismi di Nietzsche, nelle immagini poetiche di Baudelaire e nelle strutture visive dell'Impressionismo. Degas s'immerge in questa radicale percezione, l'anticipa nell'arte, la rivela facendo segno alla parola del suo tempo. La realtà non possiede un fondamento e la concezione tragica pervade la lunga stagione che segue alla rivoluzione scientifica e illuminista dei due secoli precedenti. Per dirla con le parole di Dostoevskij, tratte da "I fratelli Karamazov" (1880): 
«Se Dio e l’immortalità dell’anima non esistono tutto è possibile».
Nel 1882, ne "La gaia scienza", Nietzsche afferma perentoriamente:
«Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?».
In entrambi i casi, la fine della "cristianità" - non significa la fine del "cristianesimo" - s'annida nell'espressione figurativa che abbandona ogni certezza e muta in invocazione metafisica: semplicemente, la vocazione alla verità s'infrange con il baratro delle inattingibili origini. Il '900 comincia da lì, anche da un inaspettato Degas.
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eugeniofalco · 7 months ago
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Eugenio Falco - Il potere delle testimonianze video per costruire credibilità
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Nell'era digitale di oggi, stabilire credibilità è fondamentale per le aziende che cercano di prosperare in mercati competitivi. Uno strumento potente emerso negli ultimi anni sono le testimonianze video. Queste autentiche espressioni di soddisfazione da parte di clienti soddisfatti possono migliorare significativamente la reputazione di un'azienda e influenzare i potenziali clienti. Eugenio Falco, pioniere nell'utilizzo delle testimonianze video, ne sottolinea il profondo impatto sulla costruzione della credibilità. Analizziamo in che modo le aziende possono sfruttare questo potente strumento.
1. Autenticità che risuona
Le testimonianze video offrono un livello di autenticità che le recensioni scritte tradizionali semplicemente non possono eguagliare. Vedere e ascoltare clienti reali condividere le loro esperienze crea una connessione emotiva più profonda con il tuo pubblico. L'autenticità genera fiducia e quando i potenziali clienti vedono reazioni e testimonianze autentiche, è più probabile che credano nella credibilità del tuo marchio.
2. Umanizzare il tuo marchio
Dietro ogni azienda ci sono persone vere con storie vere. Le testimonianze video umanizzano il tuo marchio dando un volto e una voce alle esperienze positive dei tuoi clienti. Questo elemento umano aiuta a colmare il divario tra la tua azienda e il tuo pubblico, favorendo un senso di empatia e relazionalità. Quando gli spettatori possono connettersi a livello personale, sono più propensi a fidarsi e a interagire con il tuo marchio.
3. Contenuti visivi coinvolgenti
Nel frenetico panorama digitale di oggi, catturare e mantenere l'attenzione è fondamentale. Le testimonianze video forniscono contenuti visivi accattivanti che affascinano il pubblico e mantengono il loro interesse. A differenza delle testimonianze testuali, i video consentono una narrazione dinamica attraverso immagini, musica ed emozioni. Sfruttando la potenza dei video, puoi creare narrazioni avvincenti che risuonano con il tuo pubblico e lasciano un'impressione duratura.
4. Prova sociale e aumento della credibilità
Nell’era dei social media, le raccomandazioni dei colleghi hanno un peso significativo. Le testimonianze video fungono da potenti forme di prova sociale, dimostrando ai potenziali clienti che altri hanno avuto esperienze positive con il tuo marchio. Questa convalida aiuta ad alleviare dubbi e obiezioni, aumentando la credibilità della tua attività agli occhi dei consumatori. Man mano che sempre più persone condividono le loro storie autentiche attraverso testimonianze video, la credibilità del tuo marchio continua a crescere, consolidando la sua reputazione sul mercato.
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archinterni · 1 year ago
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UNA VITA DA ARCHITETTO
Interessante incontro con Gian Carlo Malchiodi che, introdotto dall'amico Ugo la Pietra, curatore del volume per i tipi di Prearo Editore e da Antonio Monestiroli, racconta la feconda vita professionale all'insegna di un razionalismo della scuola milanese.
Presiede l'incontro il Presidente dell'Ordine Arch. Daniela Volpi.
GIAN CARLO MALCHIODI: UNA VITA DA ARCHITETTO
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DANIELA VOLPI Il Presidente dell’Ordine Daniela Volpi dà il benvenuto e ringrazia per aver scelto la sede dell’Ordine per la presentazione del bel libro su Gian Carlo Malchiodi, uno dei protagonisti della rinascita della città del dopoguerra. Milano è ricca dei suoi edifici nei quali, ancora oggi si può riconoscere la sua ricerca nel declinare la modernità mantenendola all’interno delle identità storiche della scuola razionalista. Una modernità “progettata”, sintesi creativa tra passato e futuro. UGO LA PIETRA L’Architetto e Artista Ugo La Pietra, curatore del libro prende la parola e racconta di aver accettato il difficile incarico di scrivere questo testo, non come storico, ma come appassionato di architettura. Con questo approccio, infatti, ha scritto diversi saggi: nel 1985 ha scritto il primo libro su Gio Ponti, fino ad allora autore dimenticato. Successivamente ha scritto di Ulrich e poi stava apprestandosi a fare la monografia di Tomaso Buzzi e del suo maestro, Vittoriano Viganò. Noi tutti passiamo davanti alle case di Malchiodi, senza saperlo. Questo libro dovrebbe portare alla luce queste mirabili opere degli ani 40 e 50. In quegli anni, se ci fossero stati più architetti del suo livello, la città avrebbe oggi un altro aspetto. Malchiodi è anche fine designer, basti guardare le cassette delle lettere, i corrimano, le maniglie, le lampade e tutti i piccoli dettagli che pazientemente disegna, senza lasciare nulla la caso. La sua architettura è colta e attenta, dal disegno equilibrato e ricco di modulazioni, ritmi, soluzioni spaziali innovative e trasparenze. Le soluzioni progettuali sono rese da arditi accostamenti di materiali, caldi e freddi, colorati o sobri. ANTONIO MONESTIROLI Antnio Monestiroli inquadra l’opera di Malchiodi nello scenario culturale dell’epoca, che vedeva come protagonisti Gardella, Albini, BBPR, generazione di maestri molto poco conosciuta, forse anche perche’ poco trattata dalle riviste, trascurata dalla storia dell’architettura.
E’ un movimento di cultura, che crede nella ragione e vede anche l’architettura come una disciplina conoscitiva. Sviluppando un progetto, si andava alla radice del problema, cogliendo gli elementi essenziali e organizzandoli in modo razionale. Il grande amore per la casa in cui si vive bene, in cui vige un buon rapporto con la natura e il sole, l’attenzione verso le condizioni igieniche, la distribuzione spaziale logica, hanno come risultante la semplicità della forma. Un altro aspetto importante riguarda il rapporto tra la vostra generazione e quella dei progettisti più giovani. Oggi sembra ci sia una riscoperta di forme pure e razionali a voi care. Intanto si sta abbandonando l’hi-tech, momento di forte ideologia delle macchine architettoniche come il Beaubourg. GIAN CARLO MALCHIODI Malchiodi comincia il suo intervento ringraziando tutti gli attori della serata: l’Ordine, l’editore e i relatori. Quando ha cominciato a progettare in Italia c’era ancora la famosa architettura del regime. Tutte le riviste italiane portavano esempi quali Piacentini, salvo qualche eccezione come Ridolfi. Uno stile che non lo convinceva. Nella sua vita professionale ha avuto diverse esperienze e anche la fortuna di avere avuto come maestro Gio Ponti e di essere andato a lavorare nel suo studio. Dopo il lavoro spesso Ponti gli parlava di architettura, insegnandogli molti principi che ancora usa. Diceva: “l’edificio deve essere un oggetto finito, completo, composto da base, corpo e coronamento. Se lo progettate così non si potranno attaccare dei pezzi”. Achille Castiglioni faceva l’esempio dell’uovo, forma naturale perfetta e pertanto intoccabile. Lo stesso Castiglioni diceva che nulla doveva essere lasciato al caso. Se ne è ben accorto Malchiodi, nella professione, quando, omettendo di disegnare dei particolari, essi venivano malamente interpretati dal costruttore. Alle volte basta un particolare sbagliato, per rovinare tutta una composizione. Malchiodi è sempre partito dalla pianta, cercando sempre di perfezionarla, perchè la casa risultasse funzionale, rispondendo alle esigenze del fruitore. Le sue piante sono come delle macchine e da esse deriva la forma dell’edificio esterno. Per quanto riguarda i committenti, egli non ha mai avuto clienti ricchi e altisonanti, che lo chiamavano per progettare una villa. La casa di via De Amicis, per esempio è fatta di balconcini, come quella progettata da Viganò in Viale Piave, pannellati, in origine, color carta da zucchero. Malchiodi avrebbe voluto che ogni pannello dei balconi fosse dipinto con un quadro astratto, e che tutti i pannelli insieme formassero un enorme dipinto. Cosa impossibile, se vediamo cosa è venuto fuori. Una delle case che gli piace ancora ora è quella di via Cassolo, una delle ultime. Una casa con un fronte di oltre 60 metri molto stretto. Ha voluto arretrare la casa, progettato un giardino sul fronte e innalzato la casa maggiormente, rompendo questo volume in quattro elementi sfalsati e collegati dai corpi scale e ascensori. Questi edifici avevano perso il loro parallelismo con la strada, che è stato poi recuperato mediante l’allineamento dei balconi.
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mindfulness75 · 1 year ago
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LA PAURA DI ESSERE OSSERVATI (SCOPTOFOBIA): STRATEGIE PER SUPERARLA
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Chiunque abbia provato il timore di essere osservato o di diventare il centro dell'attenzione comprende quanto possa essere scomodo. Sebbene molte persone cerchino l'ammirazione e l'attenzione altrui, esiste una parte della popolazione che vive esperienze completamente diverse.
Uno dei loro incubi più intensi è la sensazione di essere costantemente osservati, una paura che è stata identificata clinicamente come una fobia: la scoptofobia.
Cos'è la Scoptofobia❓
Il termine "scoptofobia" deriva dal greco "kopéo", che significa osservare, e "fobia", che significa paura. Questo concetto rappresenta una fobia specifica, la paura di sentirsi osservati, che si manifesta anche quando non vi è alcun motivo oggettivo per sentirsi in questo modo.
A differenza della semplice introversia o timidezza, chi soffre di scoptofobia sperimenta una paura irrazionale e ingiustificata di essere osservato, anche da sconosciuti o per puro caso. Questa fobia rientra nelle fobie sociali ed esiste in diverse forme e livelli di gravità.
Sintomi della Scoptofobia
I sintomi principali di questa fobia includono ansia, sudorazione eccessiva, emozioni negative quando ci si sente osservati, tremori, palpitazioni e difficoltà a mantenere la lucidità mentale. Mentre alcuni sintomi possono sembrare simili a quelli dell'introversia, l'intensità della reazione è molto più elevata e può impattare significativamente la vita quotidiana.
Interventi per Affrontare la Scoptofobia
La psicoterapia è l'approccio più efficace per trattare la scoptofobia. È essenziale riconoscere questa fobia come una patologia e comprendere il suo impatto sulla vita quotidiana. Una terapia condotta da un professionista esperto aiuta a individuare le cause e i fattori scatenanti e a ridurre gradualmente i sintomi legati a questa fobia.
Approcci terapeutici come la terapia cognitivo-comportamentale possono essere particolarmente utili in questo percorso di trattamento. Questi approcci aiutano il soggetto a identificare i pensieri e i comportamenti distorti legati alla fobia e a sostituirli con quelli più funzionali.
Consigli per Superare la Scoptofobia
Riconoscere la Fobia: Il primo passo è riconoscere la scoptofobia come una patologia che impatta la tua vita. Tenere un diario per registrare la frequenza dei sintomi può aiutarti a valutarne l'entità.
Conoscere Se Stessi: La scoptofobia può variare in base al contesto, alle situazioni e alle persone specifiche. È importante conoscersi e comprendere i fattori che scatenano i sintomi. Tenere traccia delle situazioni in cui sperimenti la fobia può aiutarti a identificarli.
La scoptofobia può essere una sfida significativa, ma con il giusto supporto e l'impegno personale, è possibile affrontarla con successo.
"Pronto a liberarti dalla paura di sentirsi osservato❓Contattami ora per iniziare il tuo percorso verso la sicurezza e il benessere. Lascia che la tua nuova vita inizi oggi❗️
Tito Bisson
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