#esempio genitoriale
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Il posto del bambino nella famiglia
Riassunto: L'articolo parla dei vari conflitti familiari, delle loro cause, degli errori nel matrimonio e delle loro soluzioni.
Riassunto: L’articolo parla dei vari conflitti familiari, delle loro cause, degli errori nel matrimonio e delle loro soluzioni. Parole chiave: codice della famiglia, trauma infantile, diritto di famiglia, educazione fisica, educazione mentale, educazione morale. La famiglia è una fortezza. Non è creata da una persona sola. Quando diciamo famiglia, intendiamo sempre una famiglia con nonni,…
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DIVIETO DI CERVO
Attenzione, questo post parlerà di responsabilità genitoriale ma in un modo leggero e, soprattutto, coinvolgente anche chi genitore non è.
Non che ci fosse bisogno di specificarlo ma io sono tendenzialmente una persona scherzosa che trova motivo per sorridere di tutto ciò che ha attorno.
Esiste, però, un vulnus profondo che il genitore non si rende conto di infliggere alla propria prole, la quale si porterà dentro cicatrici profonde per il resto della propria vita... e per vulnus intendo le cazzate raccontate ai propri figli spacciandole per vere.
Il fatto è che il genitore cazzone (me compreso) sottovaluta la capacità di dirimere la veridicità dei propri racconti da parte dei figli, i quali, giocoforza, ripongono un'incrollabile fiducia epistemica nei pilastri che li hanno messi al mondo.
Per esempio, quando da giovane mi allenavo con la katana o a lanciare coltelli e shuriken, alla domanda delle mie figlie sul perché fossi così bravo, io rispondevo sempre - Perché da bambino i nonni mi hanno mandato al Tempio del Dragone Dorato per l'addestramento da monaco Shaolin.
Idem quando insegnavo loro a sbucciare l'arancia con il Qiúrén Jiǔ Rèn (囚人九刃) cioè la Sacra Tecnica delle Nove Lame del Recluso.
Tutto bene, finché alla mensa della materna figlia piccola non ha comiciato a urlare che voleva un coltello per insegnare questa tecnica ai suoi amici e quando le maestre l'hanno sgridata, figlia grande (la mensa era unica per materna ed elementari) si è alzata e ha detto che era una cosa che il loro papà aveva imparato in un monastero di monaci guerrieri shaolin.
Non capisco perché una volta cresciute non siano venute a pugnalarmi nel sonno.
Comunque io sono sicuro che ognun* di voi abbia una balla traumatica conficcata nel proprio cuore da raccontare qua su tumblr e per quanto possa valere, io ho passato i mesi antecedenti all'esame di teoria per la patente a ripetere ogni giorno alle mie figlie -
Vi prego! Quel cartello non vuole dire che è vietato fare il verso del cervo! Dimenticate quello che vi ho detto, VI PREGO!
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𝐓𝐡𝐞 𝐂𝐡𝐢𝐥𝐝𝐫𝐞𝐧 𝐀𝐜𝐭 - 𝐈𝐥 𝐯𝐞𝐫𝐝𝐞𝐭𝐭𝐨. 𝐄 𝐥'𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐦𝐞𝐬𝐭𝐢𝐞𝐫𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢.
“Tra la sua dignità e la sua vita, ho scelto per la vita”. Questa frase, detta dal pulpito di una Corte inglese, mi risuona ancora nell’animo dopo aver rivisto questo film. Ci sono mestieri impossibili, tra questi probabilmente potremmo annoverare il giudice tutelare (così si chiama da noi), quel giudice che la comunità civile incarica di prendere una decisione a tutela di un minore quando, le normali circostanze non lo permettono, e le conseguenze di una cattiva scelta potrebbero essere tragiche. E’ il caso, affatto infrequente, che tratta il film (ed il bellissimo romanzo da cui è ripreso di Ian McEwan) di un ragazzo ancorché diciassettenne, dunque ancora minore, ammalato di leucemia per cui i medici raccomandano come vitale la trasfusione del sangue ma i genitori, Testimoni di Geova, non vogliono dare l’assenso, in questo influenzando anche il figlio.
Anche il film è molto bello e la protagonista, una magistrale Emma Thompson, ha lo stesso volto, la stessa postura, gli stessi tormenti psichici che mi sono immaginato quando, tempo fa, lessi il romanzo. Uno di quei rari casi in cui il film non sottrae nulla all’opera scritta.
Eppure questo film ogni volta che lo vedo mi emoziona in un modo particolare. Per i profondi ed ineludibili aspetti che tratta nel convocare le funzioni genitoriali (di qualunque essere umano) verso un adolescente. Come spesso capita un ragazzo intelligente, sensibile, affamato di amore e di senso, per quanto disperato. In una parola “adorabile” come dirà tra le lacrime la giudice Emma Thompson.
La storia tratteggia benissimo il profilo del giudice. Una donna integerrima, seria, attenta alla legge ed alle opinioni di tutti. Con un cancellerie a lei devoto, che la stima e la ammira e le piega la toga con una cura quasi sacrale. Per mestiere, occupandomi ovviamente di minori e facendolo da un vertice istituzionale, conosco questo tipo di giudici. Motivati, sensibili, che hanno scelto di occuparsi delle ferite che la società può infliggere anche ad un minore e tentano, ogni giorno, di ridurre almeno il danno.
Eppure questo rimane (non certo il solo) un mestiere impossibile. Come il film mostra è difficile non rimanere impigliati, persino sedotti, dalle richieste o dalla tenacia emotiva di un adolescente. Si deve fare un enorme sforzo interiore tra quello che si potrebbe desiderare, rispetto a quello che potrebbe servire e – persino – danneggiare l’altro. Perché certi adolescenti sanno essere molto convincenti, e ogni essere umano adulto, nel ciclo della sua vita, può trovarsi ad essere più vulnerabile emotivamente di quanto non pensi. Perché la vita dell’adolescente incontra sempre anche la nostra vita nel suo essere e nel suo divenire. Ma l’adulto non può dire in quale condizione si troverà, magari nel suo incontro più difficile. In questo caso una donna in crisi matrimoniale e con un bisogno di maternità forse insoddisfatto.
Ma la complicazione più grande sta nel fatto che, fino in fondo, non puoi sapere mai quale sia la scelta giusta. E qui non mi riferisco solo a quella legale, in parte persino inevitabile, ma a quella che sussegue. Per esempio il non aderire alla richiesta di supporto, di affiliazione, quasi di “adozione” che il ragazzo, oramai diciottenne, fa alla giudice da cui è rimasto folgorato per il tatto, la misura, oltre che il pensiero che ha mostrato verso di lui. Con una scena bellissima dove la integerrima giudice si abbandona, per pochi minuti, nella stanza di ospedale dove era andata a raccogliere il suo parere, a cantare una delicata ballata accompagnata dalla chitarra del ragazzo.
Il film rende il dolore di questa condizione in modo esemplare. Interroga, chi a vario titolo fa mestieri dove la funzione genitoriale è fortemente sollecitata (giudici, psicologi, docenti ecc…), in modo ineludibile. Ci ricorda che siamo in un campo dove non abbiamo “la soluzione”, bensì solo un faticoso approccio artigianale dove possiamo procedere per tentativi ed errori sperando, in ogni caso, che gli errori non siano troppo grandi.
(P.S. lo si può vedere ancora su RaiPlay)
Nicola Artico
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Approfondiamo le interpretazioni psicologiche del #DOPPELGÅNGER:
(fonte: Google Gemini)
Il doppelgänger come proiezione dell'inconscio: * Ombra di Jung: Secondo la psicologia analitica di Carl Gustav Jung, il doppelgänger potrebbe rappresentare l'ombra, ovvero quella parte oscura e inaccettabile della nostra personalità che tendiamo a reprimere. Incontrando il nostro doppio, potremmo essere confrontati con aspetti di noi stessi che rifiutiamo o che non conosciamo. * Aspetti non integrati: Il doppelgänger potrebbe simboleggiare tratti della personalità o esperienze che non siamo riusciti a integrare nella nostra identità. Potrebbe rappresentare un potenziale non realizzato, un desiderio represso o una paura nascosta.
Il doppelgänger e il senso di identità: * Crisi d'identità: L'incontro con il doppelgänger può scatenare una crisi d'identità profonda. Ci costringe a interrogarci su chi siamo veramente e a confrontarci con la possibilità di essere qualcosa di diverso da ciò che crediamo di essere. * Alienazione: Il doppelgänger può suscitare un senso di alienazione da sé stessi. Ci fa sentire estranei al nostro corpo e alla nostra mente, come se fossimo osservati da fuori. Il doppelgänger e la paura della morte: * Anticipatore della morte: In molte culture, il doppelgänger è considerato un presagio di morte. Questa paura potrebbe essere legata all'ansia di perdere la propria identità e di svanire nel nulla. *Consapevolezza della finitezza: L'incontro con il doppio potrebbe essere una manifestazione della nostra consapevolezza della finitezza della vita e della nostra paura di non lasciare un segno duraturo.
Il doppelgänger e la follia: * Disturbi dissociativi: Alcuni psicologi hanno collegato il fenomeno del doppelgänger a disturbi dissociativi della personalità, in cui l'individuo sperimenta una frammentazione dell'identità. * Stati alterati di coscienza: L'esperienza del doppelgänger potrebbe essere legata a stati alterati di coscienza, come sogni, allucinazioni o trance.
Conclusioni:
L'interpretazione psicologica del doppelgänger è complessa e multiforme. Può essere vista come una manifestazione di conflitti interiori, di paure ancestrali, di una crisi identitaria o di un bisogno di esplorare le profondità della psiche.
Il doppelgänger è una figura affascinante e complessa che ha attirato l'attenzione di psicologi e studiosi di diverse discipline. Confrontare questa figura con altri archetipi può aiutarci a comprenderne meglio le sfumature e le implicazioni psicologiche.Doppelgänger vs. Altri Archetipi * Ombra (Jung): L'ombra è spesso considerata il primo archetipo con cui entriamo in contatto. Rappresenta gli aspetti di noi stessi che rifiutiamo o nascondiamo. Il doppelgänger può essere visto come una manifestazione esterna dell'ombra, un alter ego che incarna le nostre qualità più oscure. * Animus/Anima (Jung): Questi archetipi rappresentano rispettivamente l'aspetto femminile nell'uomo e quello maschile nella donna. In alcuni casi, il doppelgänger può essere interpretato come una proiezione dell'animus o dell'anima, un modo per esprimere aspetti del nostro sé che sono in conflitto con il nostro genere sociale. * Sé superiore (Jung): In contrasto con l'ombra, il Sé superiore rappresenta la totalità della persona, l'unione di tutti gli aspetti della psiche. Il doppelgänger può essere visto come un invito a integrare le parti scisse del Sé, avvicinandosi così alla realizzazione del Sé superiore. * Figura del padre/madre: Il doppelgänger può incarnare aspetti proiettati della figura genitoriale, sia positivi che negativi. Ad esempio, potrebbe rappresentare un padre severo e giudicante, o una madre protettiva e soffocante. * Gemello/sorella: Questa figura archetipica è strettamente legata al doppelgänger. Entrambi rappresentano una duplicazione di sé, ma mentre il gemello/sorella è spesso visto come un'altra persona con cui condividiamo un legame profondo, il doppelgänger è più spesso percepito come una minaccia o un'ombra oscura.Similitudini e Differenze * Duplicazione: Sia il doppelgänger che altri archetipi come il gemello/sorella e l'ombra implicano una duplicazione di sé. Tuttavia, il doppelgänger è spesso associato a una sensazione di inquietudine e disagio, mentre il gemello/sorella può rappresentare un legame profondo e affettuoso. * Proiezione: Il doppelgänger, come molti altri archetipi, è spesso una proiezione degli aspetti inconsci della nostra psiche. Tuttavia, la proiezione nel caso del doppelgänger è spesso più intensa e carica di emozioni negative. * Integrazione: Sia il doppelgänger che altri archetipi possono rappresentare un'opportunità di crescita personale. Integrando gli aspetti negativi rappresentati dal doppelgänger, possiamo raggiungere una maggiore consapevolezza di noi stessi e una maggiore integrità psicologica.
Conclusioni:
Il doppelgänger è un archetipo complesso e affascinante che può essere interpretato in molti modi diversi. Confrontare questa figura con altri archetipi ci aiuta a comprenderne meglio le dinamiche psicologiche e a riconoscere le sue diverse manifestazioni nella nostra vita.
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RELAZIONI SIMBIOTICHE: COME SI MANIFESTANO
Relazioni simbiotiche e funzionamento
Ti è mai capitato di guardarti intorno e avere l’impressione che alcune relazioni fossero troppo perfette per essere reali❓O in altri casi, ti è capitato di osservare una relazione e avere l’impressione che fosse malsana❓
Quello che alcune relazioni trasmettono è proprio questo: una vera e propria simbiosi; per alcuni è il sogno di una vita, per altri il loro peggior incubo.
Tutti noi abbiamo un prototipo di relazione: chi se lo immagina come nei film e chi, invece, ha una visione più realistica del tutto. Le relazioni simbiotiche, in un modo o nell’altro, fanno parte del nostro immaginario comune: utilizziamo questo concetto quando vogliamo indicare un tipo di relazione ben precisa.
Relazione simbiotica: a cosa facciamo riferimento❓
Partiamo dal presupposto che il termine simbiosi fa riferimento ad una forma precisa di pensiero che determina un tipo di comportamento di stretta dipendenza all’altro: infatti, nella relazione simbiotica, il vero e proprio punto centrale è la dipendenza affettiva ed il mancato confine tra i due partner.
Per via di questa dipendenza, i due soggetti si fondono senza possibilità di individualità; questa dipendenza diventa ancor più evidente nel timore della separazione: i partner temono che ciò possa avvenire e vivono continuamente con questa paura.
Sembra un po’ quello che avviene nel rapporto tra bambino-genitore, non è vero❓
In effetti, la relazione simbiotica è una tappa fondamentale nello sviluppo del soggetto ed infatti, quando avviene nelle prime fasi del rapporto genitoriale, è praticamente normale: il bambino, almeno nei primi anni di vita, è dipendente dal proprio genitore, poiché da lui dipende il suo nutrimento e la sua possibilità di vivere.
Questa dipendenza diventa meno presente quando il bambino cresce: col tempo, impara a “vivere” anche a distanza dai propri genitori, anche se ciò può creare non pochi problemi. Il vero e proprio momento in cui avviene la rottura di questo rapporto di vera e propria dipendenza simbolica è quello dell’adolescenza: in questa fase, il soggetto ricerca il suo vero essere e la sua autonomia.
Perché si cercano relazioni simbiotiche❓
Se nell’infanzia il rapporto simbiotico è “normale”, sicuramente non lo è quando ciò avviene nella vita adulta. Si dovrebbe essere in grado di capire che un rapporto sano è dettato da individualità e da unione: la combinazione di questi due fattori è necessaria.
Spesso, però, il soggetto può ritrovarsi a cercare e creare nuovamente relazioni simbiotiche anche da adulto a causa del rapporto che il soggetto ha avuto con i propri genitori: la maggior parte di noi, cerca ciò di cui ha già fatto esperienza e che, in un certo senso, lo ha fatto stare bene. Inoltre, avendo fatto esperienza di quel tipo di relazione, nella sua mente è visto come l’unica possibile.
Per questo, un soggetto che ha vissuto con i propri genitori un rapporto simbiotico, tenderà a cercarlo anche in seguito: ciò avviene, nella maggior parte dei casi, in modo automatico e inconsapevole. Questo avviene, ad esempio, quando il rapporto con il genitore è dettato da iperprotettività: in questo caso, il genitore cercando di proteggere il proprio figlio dalle difficoltà, non fa altro che aumentare la sua insicurezza.
La protezione diventa, agli occhi del bambino, un messaggio ben preciso: “non posso farcela senza mia madre/mio padre”, quindi il figlio si sentirà sempre dipendente dal proprio genitore.
Un altro tipo di rapporto simbiotico è quello in cui il genitore è dominante rispetto al figlio: quello in cui sopprime la sua individualità. Questo è molto pericoloso perché il bambino si sente dipendente dal genitore che non dovrà mai deludere.
Come si manifesta la relazione simbiotica❓
Ciò che ci permette di capire se siamo di fronte ad una relazione simbiotica è sicuramente l’intensa interdipendenza dei partner: la coppia appare come perfetta e i partner sono complici in tutto: stessi hobby, stessi progetti, scambio continuo di effusioni.
Insomma, i due partner sembrano incastrarsi magicamente uno all’altro. Nessun litigio, nonostante la vita di uno sembri essere quella dell’altro: tutto è vissuto insieme in una completa fusione, tipo quello che avviene nelle coppie dei film.
In realtà, ciò che si nasconde dietro questa coppia è ben altro: la fusione c’è ed è reale, ma è davvero malsana e non esistono confini o individualità dei soggetti.
Un rapporto malsano, in cui l’Io scompare, per lasciar il posto al “Noi”, che finisce per diventare più importante di tutto il resto.
Cosa succede, però, se uno dei partner sente il bisogno di autonomia e indipendenza❓Capita, spesso, che uno dei partner colpevolizzi l’altro facendolo sentire in colpa per la bizzarra idea di voler avere spazio e autonomia.
Consigli per chi vive relazioni simbiotiche
Come più volte ribadito, questo tipo di rapporto è disfunzionale perché non c’è una vera e propria maturazione del rapporto che quindi non ha modo di evolvere e di cambiare, col passare del tempo.
Consapevolezza
Prima cosa da fare è assumere consapevolezza rispetto alle proprie fragilità e quelle del proprio rapporto.
Questo può emergere quando, appunto, il proprio partner chiede autonomia e indipendenzao quando manifesta il bisogno dei propri spazi, oppure quando siamo noi a desiderare di voler avere più tempo e spazio per le nostre cose.
In questo momento è cruciale capire il rapporto che stiamo vivendo: cosa ci sta dando❓Ma soprattutto, cosa ci sta togliendo❓
Queste sono domande a cui, anche se con sofferenza, dobbiamo dare risposta, perché solo così possiamo capire ciò che davvero sta succedendo nel nostro rapporto: solo così possiamo parlarne con il nostro partner e, quindi, collaborare per una “soluzione”.
“Quando in una coppia, i due partner sono sempre d’accordo su tutto, uno dei due sta pensando per entrambi.” (Freud)
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Nuovo diritto di famiglia: quale fu l'impatto della legge 151/75?
Il "nuovo" diritto di famiglia del 1975 in Italia è stato un importante momento di riforma nel campo del diritto della famiglia. Quale fu, quindi, per la società italiana l'impatto che questa riforma ebbe? Lo andremo ad analizzare in questo articolo. Cos'è la legge 151/75? Il "nuovo" diritto di famiglia La legge n. 151 del 11 marzo 1975, nota come "Legge sul divorzio", è stata una delle riforme più significative. Questa legge ha introdotto il divorzio come forma legale di scioglimento del matrimonio, eliminando la necessità di provare la colpa di uno dei coniugi per ottenere la separazione. Inoltre, ha reso possibile il divorzio consensuale, che può essere richiesto da entrambi i coniugi senza dover dimostrare alcun tipo di colpa. La legge sul divorzio Altro importante aspetto introdotto dal diritto di famiglia del 1975 riguarda l'affidamento dei figli durante la separazione o il divorzio. È stata stabilita la necessità di tutelare l'interesse superiore del minore, garantendo a entrambi i genitori il diritto e il dovere di mantenere un rapporto significativo con il figlio anche dopo la separazione. Ciò ha portato all'introduzione della figura della responsabilità genitoriale congiunta, che prevede la condivisione dei doveri e dei diritti dei genitori nei confronti dei figli anche in caso di separazione o divorzio. Figli e coniugi Inoltre, la legge armonizzò le norme sul mantenimento dei figli e dei coniugi con il Codice Civile, stabilendo che sia il padre che la madre devono contribuire in modo proporzionato al loro tenore di vita, alle esigenze dei figli, alle risorse economiche a disposizione, così come ai contributi economici ricevuti da entrambi i genitori. Infine, la riforma del 1975 ha introdotto anche alcune misure volte a promuovere l'uguaglianza di genere e a mitigare gli effetti negativi della separazione o del divorzio sui coniugi più deboli economicamente. Ad esempio, nella divisione dei beni nella separazione dei coniugi è stata introdotta la cosiddetta "comunione di sopravvivenza", per garantire un equo riparto del patrimonio accumulato durante il matrimonio. L'impatto sulla società italiana L'approvazione di questa legge portò a un cambiamento radicale nelle dinamiche familiari italiane. I tassi di divorzio iniziarono a crescere rapidamente e le separazioni divennero molto più comuni. Questo ebbe un impatto significativo sulla struttura della famiglia italiana tradizionale, che era caratterizzata da un forte imperativo sociale per il mantenimento del matrimonio e della famiglia. Tuttavia, la legge sul divorzio del 1975 suscitò anche controversie e opposizione da parte di gruppi conservatori e della Chiesa cattolica, che consideravano il divorzio una minaccia alla famiglia tradizionale e ai valori religiosi. L'approvazione della legge sul divorzio portò a divisioni sociali e politiche all'interno del paese. In copertina foto di ANURAG1112 da Pixabay Read the full article
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Comunque il mio stato depressivo, la fase maniacale e autodistruttiva, insonnia e isolamento, nessuna di queste cose mi ha fatto male come una misera litigata di 20min con mia madre. Per cui prendo appuntamento con lo psichiatra prima di sparire.
“quando i miei colleghi o amici mi chiedono dei miei figli non dico mai niente, come se non esistessero, perché non sono fiera di voi per niente; proprio nulla ho mai ottenuto da voi”
E poi si chiede perché non voglio mai avere figli o perché ho l’impianto da anni (mi ha augurato che mi venga un cancro perché ce l’ho) e perché fosse per me dai 12 anni mi sarei fatta sterilizzare come il peggiore dei cani randagi piuttosto che mettere al mondo un bastardo da considerare come lei considera me e mio fratello, che per carità signore e signori, noi siamo delle merde, nessun dubbio, io lo ammetto e lui pure… delle merde messe al mondo da due adulti che però non si sono mai chiesti ma noi cosa cazzo siamo?
Che tristezza enorme sapere che quelle parole non me le scorderò mai, perché ancora non mi scordo le tante altre crudeltà dette da lei. Ancora mi fa male l’abbandono totale di mio padre, ancora commetto errori generati da queste ferite. Non voglio giustificare adesso tutti i miei sbagli con questa premessa però
Però
Che tristezza, che tristezza sapere che ho imparato da loro il disprezzo e l’odio e l’abbandono e la rabbia e la delusione e il silenzio che sa di rancore e che merito solo il peggio del peggio, perché non valgo niente, assolutamente nulla può ottenere da me un altro essere umano
So che alcuni figli fortunati imparano altro da chi li mette al mondo per cui oggi concedetemi di confessare che i miei genitori io non li amerò mai, prima di tutto perché non so come si faccia, fino ad ora non ne ho avuto un buon esempio. E semmai imparassi cos’è l’amore sano, se non fosse troppo tardi per loro o per me, forse non ci riuscirei lo stesso
#Pasquale è un’altra storia#unico esempio di figura genitoriale decente che ho#e non abbiamo lo stesso sangue#ciò mi rattrista ancora di più
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Per dirvi il livello a cui galleggiamo. Sapete, per dirne una, che “Genitore 1” e “Genitore 2” non sono mai esistiti? Nel senso proprio di mai? Non è mai esistita una legge, un progetto di legge, un documento, un decreto, uno straccio di carta recante le diciture “Genitore 1” e “Genitore 2”. Mai. Eppure da anni in Italia, periodicamente, i soliti due tizi raccattano voti urlando contro la sinistra che per cancellare l’idea di famiglia ha sostituito sui documenti dei minori le parole “padre e madre” con “Genitore 1” e “Genitore 2”. Mai successo. Mai esistito. Ma tutti sono convinti che sia vero. Quando nel 2015 - come ha verificato Pagella Politica - fu introdotta la Carta d’Identità elettronica, il ministero dispose che, nel compilare la richiesta per un minore, fossero indicati i nomi dei “genitori o del tutore Non di “Genitore 1” o “Genitore 2”. Che è una cosa proprio inventata di sana pianta. Completamente. “Sì, ma ma comunque non ci sono padre e madre”. E verrebbe da aggiungere grazie al cazzo. Questo perché il Garante della Privacy, che evidentemente tiene più a tutelare i minori dei deliri sovranisti, ha fatto notare che mettere su un documento le parole “padre e madre” viola la privacy dei bambini che una mamma o un papà non ce l’hanno. Così come, cosa ancora più allucinante, se due persone che hanno la “responsabilità genitoriale” su un bambino (per esempio adottato all’estero) firmassero accanto alla voce “padre e madre” commetterebbero un reato, non essendo il padre e la madre biologici. Costringendo così dei bambini a non avere il proprio documento. Perché per Salvini e Meloni è più importante far credere a milioni di italiani che la parola “genitore” sia una bestemmia. Quando invece la parola “genitore” è quanto di più dolce, divino e miracoloso esista. Perché deriva da “generare”: che è qualcosa di cui sono capaci appunto solo Dio e i genitori. Lo stessa Chiesa Cattolica, in cui credono gli elettori di Salvini e Meloni, nasce sulla parola “generare”. Perché prima del 325 i cristiani si dividevano tra chi credeva che Gesù fosse stato “creato” e chi “generato”. Alla fine si decise che il vero cristiano, quindi cattolico, era colui che credeva - come recitano ogni domenica a messa nel Credo milioni di sovranisti - che Gesù è “generato, non creato”. Eppure milioni di cattolici si sono fatti convincere da due politici che la parola più divina e cattolica in cui credono, genitore, sia frutto del demonio. E questo è davvero il segno di tutto. Emilio Mola
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La verità, vi prego, sulla violenza domestica.
L’Italia è una Paese pieno di femminicidi. Soprattutto se, come contesto di paragone, teniamo il “Mondo occidentale”, o il “Nord del mondo”. Ultimamente l’attenzione su questa tematica si è fatta più intensa, se ne parla in TV, sui giornali, ci sono campagne informative e ci sono state diverse iniziative legislative sull’argomento. Do per buono, quindi, che condividiamo l’informazione “In Italia molte, troppe, donne vengono uccise da chi diceva di amarle” non occorre che anche io mi metta a snocciolare dati.
Chi diceva di amarle. Si usa spesso questa espressione in questi casi, non è vero? È su questo che voglio scrivere, oggi. Voglio scrivere di questo perché con il mio lavoro mi trovo a essere testimone privilegiata di questo fenomeno e la riflessione che voglio fare non l'ho letta né sentita da nessuna parte. Spesso i casi che seguo, infatti, casi di tutela minori, sono casi di violenza domestica -e do per buono che condividiamo anche il concetto che una donna uccisa dal proprio compagno o ex compagno spesso, se non sempre, è stata prima maltrattata dalla medesima persona. Non pensiamo, infatti, che tutti questi femminicidi intervengano improvvisamente in relazioni serene e sane, giusto? Questo tipo di casistica può esistere, e per quanto ne so esiste, ma si tratta di una sparuta minoranza. Nella maggioranza dei casi, il femminicidio è preceduto da qualche forma di violenza, abuso e maltrattamento: aggressioni fisiche, violenze verbali e psicologiche, abusi economici, persecuzioni, minacce. E nemmeno questi ci piacciono, giusto?
Se diamo per buoni questi due concetti, quindi:
- in Italia i femminicidi sono un problema
- i femminicidi sono in gran parte preceduti da altre forme di abuso
posso arrivare ad affrontare l’argomento come mi propongo di fare ormai da tempo.
Le coppie (genitoriali quantomeno) con cui lavoro e ho lavorato io, sono tutte coppie, per fortuna, in cui la parte femminile è vivente: non si sono verificati femminicidi, quindi. E sono tutte coppie che sono “scoppiate”: i due non hanno più una relazione sentimentale, bensì condividono solo la genitorialità -pare poco. Voglio prendere a esempio tre di queste coppie, cui attribuirò nomi di fantasia:
- Maria e Romeo
- Gianna e Francesco
- Rita e Donato
tutte italiane.
Ve le racconto brevemente. Penso possa servire, calare nel reale qualcuna di queste storie.
Maria e Romeo oggi hanno intorno ai 40 anni. Lui è un ufficiale, lei fa la commessa. Lui è di una cittadina del sud provinciale, lei di una grande città, dove lui è migrato. Si conoscono qualche anno fa, e la loro relazione procede velocemente: presto vanno a convivere, presto si sposano, presto hanno un bambino, poi un altro. Lui le mette le mani addosso, cerca di isolarla, la controlla, la umilia -questo, almeno, è quello che racconta lei, sia a noi che alla magistratura, anche se a uno degli episodi assistono due poliziotti. Pare che lui facesse così anche davanti ai bambini, che sono piccoli quando lei decide di separarsi definitivamente. Un primo ricorso congiunto per affidamento condiviso dei minori, poi un altro episodio di violenza. Ora lui è sottoposto a un procedimento penale per aggressione e minacce, e vede i suoi bambini solo alla presenza di un operatore specializzato, mentre lei è stata refertata in pronto soccorso. Entrambi devono rendere conto ai servizi sociali del loro essere genitori. Lui rischia la decadenza dalla responsabilità genitoriale, che in soldoni significa che rischia di non essere più, legalmente, padre dei suoi figli.
Gianna e Francesco, invece, sono una ex coppia più giovane, intorno ai 30. Entrambi vengono da paesi della provincia e da un ceto socio-culturale basso. Lei faceva l’operaia, ora si arrangia con lavoretti; lui dice di fare trasporti, ma non sappiamo molto di questo, perché è tutto a nero. Anche la loro storia procede velocemente: si conoscono, si innamorano, usano un po’ di sostanze insieme -ci sarà anche un procedimento penale per questo, a carico di entrambi- vanno a convivere, hanno un bambino. Lui le mette le mani addosso, insulta lei e la sua famiglia -o così sostiene lei con noi e con la magistratura. Si separano, poi tornano insieme. Lei resta nuovamente incinta e quando decide di abortire, lui la prende a calci in pancia -o così dice lei- dopodiché si separano definitivamente. Un primo ricorso per affidamento congiunto del loro bambino, poi un ricorso per affidamento esclusivo di lui, poi uno di lei, poi il Tribunale per i Minorenni (di seguito, affettuosamente, “T.M.”), e noi. Oggi i due genitori aspettano le decisioni del T.M., e noi con loro. Nel frattempo cerchiamo di mediare tra i due, dato che il conflitto tra loro è ancora caldissimo -l’ultima denuncia da parte di Gianna è di qualche giorno fa.
Infine, Rita e Donato. Rita e Donato sono la coppia più anziana del nostro piccolo campione. Ultraquarantenni entrambi quando si conoscono, vanno per i 50 oggi. Entrambi dipendenti comunali di una città, ceto medio. Anche la loro storia procede veloce: si conoscono sul lavoro, si innamorano follemente, vanno a convivere, hanno una bambina. Rita scopre che Donato ha avuto un problema con la cocaina in passato, ma sospetta che ce l’abbia ancora, perché a volte lo trova depresso e chiuso in un mutismo che non gli appartiene. Quando lo trova tutto sudato con in braccio la loro bambina di tre anni, Rita decide che basta. Donato non le pagherà mai gli alimenti, si impunterà in polemiche sterili con i giudici -ricorso per affidamento congiunto anche per loro- e verrà denunciato più volte da lei per le sue mancanze materiali e morali (lei sostiene che lui sia del tutto inaffidabile come padre). Alla fine arriva anche per loro la richiesta di indagine da parte del T.M., e ora anche per loro aspettiamo disposizioni. Anche Donato rischia di perdere la propria responsabilità genitoriale, ed entrambi, probabilmente, dovranno rispondere a noi per un bel po’.
Cosa hanno in comune queste tre coppie? Perché, mi sono chiesta tante volte, una donna maltrattata resta con chi la maltratta? Mica è scema! La risposta me l’hanno fornita proprio i più anziani tra i nostri genitori: Rita e Donato. Al primo colloquio, non conoscendoli, li invito insieme: di solito, se ci sono motivi per non voler presenziare congiuntamente, uno dei due o uno degli avvocati, ce lo farà presente dopo aver ricevuto la convocazione. Rita e Donato però vengono insieme, anche se Donato arriva in ritardo. Una cosa mi colpisce subito di questa “coppia”: si amano, mi dico! Durante tutto il colloquio c’è una straordinaria sintonia tra i due, che non possono fare a meno di sorridersi quando si guardano negli occhi. Ridono, perfino, insieme, di questa situazione così poco simpatica. Sembrano due ragazzini innamorati che ridono, imbarazzati ed eccitati, per il solo fatto di essere l’uno alla presenza dell’altro. Si amano, si stanno simpatici, si piacciono, e questo sentimento è palpabile per me, una totale sconosciuta. E Gianna e Francesco? Che sono tornati insieme e hanno concepito un altro bambino dopo che già c’erano state violenze? Qualcosa, anche tra loro due, deve esserci o esserci stato. Una elettricità, una energia, una carica erotica. E così anche tra Maria e Romeo. Lui che arriva e si presenta come un principe azzurro, un uomo un po’ all’antica che la conquista con i suoi modi galanti e il suo desiderio di fondare una famiglia, in una società così slabbrata, in cui i legami sono così ambigui e deboli. Qualcosa, in ciascuno di questi “altri” ha promesso a quella donna o a quella ragazza quel qualcosa che lei desiderava nel profondo di se stessa: sicurezza, eccitazione, amore. E i maschi? Lo stesso per loro, ma certo! Sentimenti, sensazioni, promesse di cura e di vicinanza. L’unica differenza, l’unico problema, è che ai maschi insegniamo che non è loro concesso essere fragili -solo forti, quindi arrabbiati o indifferenti; e alle femmine insegniamo a ignorare sistematicamente le proprie esigenze e a fingere che tutto vada bene.
Cosa abbiamo di fronte, allora? Tre donne che hanno fatto “le crocerossine”?
Questa è un’altra cosa che si dice spesso, quando una donna sta con un uomo fragile e poco consapevole. Io, per indole, mi ribello sempre un po’ a questi concetti pret-a-porter. Sono donne che volevano salvare uomini fragili, queste? Quando ci innamoriamo di persone fragili stiamo agendo una nostra parte narcisista che si sente bene ad assistere un bisognoso? Chi di noi non si è presa una cotta per un tipo un po’ borderline, “sbagliato”, che nel migliore dei casi ci dava un circuito sadomaso di piacere-e-dispiacere? Eravamo crocerossine -quindi sciocche, illuse, dotate di bassa autostima- o magari quella persona e non un’altra ci dava, in quel momento, lo stimolo di cui avevamo bisogno, per quanto questo potesse essere difficile da capire per gli altri?
La verità è che la razionalità ci ha preso un po’ la mano. E l’ingegneria sociale che su essa si fonda, anche. Stiamo nutrendo una narrazione secondo la quale occorre costruirci una vita la più sana e la più sicura possibile, come se il nostro compito evolutivo fosse solo la conservazione eterna. Ma vi do una notizia: anche morire è un compito che la natura ci ha affidato. L’essere umano è anche -soprattutto, direi- irrazionalità. La razionalità è uno strumento che abbiamo sviluppato in un secondo momento per proteggerci. Ma cosa succede quando ha il sopravvento?
Il più naturalista degli scienziati, Darwin, scrive nella sua autobiografia, che, se potesse tornare indietro, dedicherebbe dei giorni della settimana alla musica e all’arte, per coltivare la sua “anima” -irrazionale- in quanto questo avrebbe reso più completa e “potente”, ricca,la sua mente razionale.
No: Maria, Gianna e Rita non sono pazze, né sceme -non più di tante altre. Sono donne che si sono innamorate di uomini che davano loro un tipo di stimolo che a loro serviva e che non trovavano, in quel momento, in nessun altro. A volte un cocainomane, un depresso o un “fragile” sono semplicemente più interessanti degli altri, e questo è quanto. Hanno qualcosa in più da dire. Hanno qualcosa di profondo e complesso da condividere, e noi di quella complessità, a volte, abbiamo bisogno.
“Uccisa da chi diceva di amarla”, allora, o “Uccisa da chi la amava a modo suo, come riusciva”? So che probabilmente queste parole scandalizzeranno qualcuno. Però è così, se depuriamo il pensiero da moralismi. Non stiamo a sindacare, quindi, su come gli altri amano, signori, e scendiamo un po’ da sto piedistallo, che non serve a nessuno, tanto meno alle vittime di violenza. No: riconoscere la bontà, la verità, dei sentimenti coinvolti in queste situazioni è il primo passo perché razionalità possa instaurarsi in tutti i protagonisti, tramite un processo di autodeterminazione e riappropriazione dei propri “poteri della mente” -come avrebbe detto il buon Bruner- con il risultato di proteggere se stessi e gli altri. Perché più cerchiamo di escludere l’irrazionale dalla nostra vita e più quello ci tornerà addosso come un boomerang per prenderci a schiaffi.
No, la violenza sulle donne non si combatte negando i sentimenti loro e dei loro compagni ed ex compagni, né degradandone i comportamenti -e con “comportamenti” non intendo le violenze, che vanno ovviamente stigmatizzate, ma i comportamenti che ciascuno ha in amore. La violenza (tutta e in particolare quella domestica e di genere) si combatte educando tutti a non censurare le proprie esigenze ed emozioni, e usando la razionalità come strumento protettivo.
E la tutela dei minori? Come la perseguiamo? Magari, non dico non procreando con tale velocità, ma almeno essendo preparati alle onde di un destino che è tutto fuorché razionale.
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Ed eccoci qui, di nuovo, con un aggiornamento su tutta la situazione. Devo iniziare nuovamente a guardare alle cose positive, perché in questo periodo mi stanno riassaltando quelle negative in massa. Prima di tutto:Il cambio di casa. Sapevamo che, quest’anno, ci sarebbe scaduto il contratto d’affitto. Ma, con la situazione covid e tutto quanto, avevamo pensato che tutto ciò sarebbe slittato e che il padrone di casa ci avrebbe fatto rimanere. Spoiler, non è stato così. Con un preavviso di 5 mesi e qualche giorno, ha mandato una raccomandata (ci abita di sotto,poteva avvisarci di persona) dove ci chiedeva di liberare casa entro luglio (termine del contratto). Non vi dico neanche la fatica di trovare casa in relativamente così poco tempo, per 5 persone, ad un prezzo decente per la mia famiglia e che potesse accontentare le aspettative di tutti i membri. (Mia madre, suo marito, il figlio del marito di mia madre, mia sorella minore e me). L’abbiamo trovata,si, ma anche con tutte le raccomandazioni del mondo che ho provato a fare a mia madre (ovvero di non decidere per il panico della fretta o cose) purtroppo credo proprio avremmo potuto trovare soluzioni migliori. Andremo ad abitare più in periferia e questo ci debiliterà molto di più che il resto. Prima di tutto,il mio lavoro principale. Sarò molto più incapacitata come animatrice e, per quanto abbia provato a farlo capire, non vengo mai ascoltata. Qualsiasi spostamento sarà più difficoltoso. Spero almeno che la linea internet vada a migliorare e non a peggiorare, di modo da potermi focussare un po’ su twitch se per colpa della posizione il mio lavoro dovesse calare. Tutto il disagio (anche nella ricerca della casa) è stato amplificato dal fatto che la casa dove siamo ora ha rappresentato tanti cambiamenti nella mia vita, oltre che i ricordi in bene o male che mi ci legano. Sarà un duro colpo da digerire, una dura separazione e dura abituarsi nuovamente a tutto. Purtroppo,però, non si può fare altrimenti. Secondo:La NON ripresa del mio lavoro La situazione del covid ha lasciato un sacco persone in pieno disagio sul lavoro, chi più chi meno. A settembre avevo riniziato un po’ a lavorare, ed ero soddisfatta e un pochino più tranquilla. Fino a che non hanno richiuso tutto. E allora lì è tornato tutto un disagio. Mi manca lavorare. Mi faceva sentire utile e staccare un po’ la mente dai pensieri, di modo da concentrami totalmente sul lavorare bene. Ed invece non ho né lo stacco del cervello né il modo di guadagnarmi da vivere. Questa cosa mi spaventa e mi rattrista. Terzo:Il non poter vedere i miei amici. Ho amici che sono per la maggior parte fuori dal mio comune o dalla mia regione. La mia migliore amica,ad esempio, vive in toscana. Purtroppo con tutto ciò che è successo non ho potuto fare la solita “capatina ristoratrice” che faccio ogni anno (durante il lucca comics). Ovvero prendermi una settimanella con lei e guardare cose stupide assieme, staccando un po’ la mente da tutto ciò, sia per me che per lei. Ormai è un anno che non la vedo, e questa cosa mi pesa assai. Idem per tanti altri miei amici, che magari sento ogni giorno su discord, ma il desiderio di un abbraccio quando sono triste, o di ridere insieme per la qualsiasi, o semplicemente di uscire per fare qualcosa...purtroppo è tutto limitato. Anche una delle mie poche amiche di roma non sto riuscendo a beccarla... E’ avvilente. Quarto:Il palese odio del marito di mia madre. Vivo con il costante rifiuto della mia persona in casa da sempre, certo. Ma quando cerchi di migliorare il rapporto con l’unica figura genitoriale, e si mette un uomo in mezzo a fare da scudo, mi cadono proprio le braccia. Purtroppo a questa persona non va mai bene quel che faccio. Si definisce un artista, ma quando mostro i miei risultati con i cosplay o qualsiasi altra cosa li categorizza come inutili. Si definisce aperto di mente, ma appena venuto a sapere del mio canale twitch mi ha preso a parole, dicendomi che stavo facendo una cosa sbagliata e che “dovevo andare a zappare la terra.” Qualsiasi cosa io faccia, non va bene. Non andrà mai bene... E mi fa vivere col costante stress di non poter dire nulla, anche una stupidata su come va il twitch o robe, perché certi argomenti sono diventati tabù. Ogni cosa che faccio è diventata un tabù. Quinto:Il non potermi curare in modo decente. Ho vari problemi col sangue. Ovvero:Sono microcitemica, anemica ed ho un problema con il ciclo mestruale che sto cercando da ANNI di risolvere. Mi avevano dato varie diagnosi per l’ultimo, di cui una addirittura un cancro alle ovaie (mia nonna l’aveva, quindi erano sicuri al 90%). Fatto sta che mi porta ad essere debole e a sentirmi male per quasi 14 giorni al mese, e ci sono stati negli ultimi mesi casi in cui mi tornava più volte, rendendomi un vegetale. Col covid tutto si è bloccato. Per fare altri test per capire cos’ho dovrei stare quasi 24 h in un ospedale, facendo prelievi a distanza 1 ora dall’altro. Ma non si può,eh eh. Quindi per ora rimango ancora così, con tutti i disagi che comporta. Inoltre dovevo fare dei controlli, migliorare in caso la terapia per la depressione che mi avevano dato di prova. Invece sono bloccata anche lì, perché con tutto il trambusto e l’emergenza chi cazzo ha avuto il tempo di andare dal medico? Ce ne sarebbero anche altri di punti, ma questi sono quelli principali e meno sciocche (come il fatto che m’infatuo sempre di teste di cavolo. YE). Le uniche cose che posso dire che vanno bene sono: -I miei amici, che fortunatamente ho sempre accanto e mi supportano nel bene e nel male -Le campagne di dnd, che mi fanno respirare quando penso di affogare -Twitch, che mi salva dall’apatia e mi aiuta a dire “Ok,devo alzare il culo, vestirmi, truccarmi e andare live. Perché si,devo”. e mi aiuta a mantenere un attimo di self control, oltre che farmi passare qualche ora concentrandomi solo su quello. Spero che per voi vada tutto bene sul fronte occidentale. Spero che la vostra vita sia in miglioramento. Egoisticamente, spero che viri su quella direzione anche la mia. Non so chi lo leggerà, non so nemmeno se interessa a qualcuno. Io lo faccio per buttare fuori i pensieri. Potranno sembrare alcune cose stupide, ma per me sono importanti. Vi prego di non commentare con odio, questo è il mio piccolo angolo dove cerco di fare un backup mentale. Un bacio stellare.
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Abbracci, coccole e carezze: nutrimento per una crescita sana
I bambini hanno un cervello estremamente plastico, ragion per cui le reazioni emotive attivate dalle coccole ricevute hanno un effetto duraturo sul loro sviluppo
L’antropologo Ashley Montagu diceva: «Un essere umano può trascorrere la vita cieco e sordo o completamente privo dei sensi dell’olfatto e del gusto, ma non può sopravvivere senza le funzioni proprie della pelle». Un abbraccio di pochi secondi è in grado di scatenare nel nostro cervello una serie di reazioni chimiche che si traducono in una cascata di effetti benefici: dona una percezione di benessere e sicurezza, diminuisce i livelli d’ansia, fortifica il sistema immunitario, rafforza la fiducia negli altri e l’autostima (soprattutto nei bambini).
Un effetto così potente attraverso un un gesto così semplice
Il tatto è il primo senso a svilupparsi nell’utero materno. Già dalla 7° settimana si attiva la prima forma di sensibilità cutanea attorno all’area della bocca, mentre alla 15° è estesa a tutto il corpo. Nello specifico, la pelle ha origine dall’ectoderma, il più esterno dei tre foglietti germinativi dai quali si svilupperà il feto; è interessante notare come si tratti della stessa base cellulare dalla quale nascerà il sistema nervoso. Il fatto che arrossiamo quando proviamo vergogna o impallidiamo dopo un gran spavento ci conferma il profondo legame esistente tra il cervello, sede delle emozioni, e la parte più esterna del corpo, che è la nostra interfaccia con il mondo.
Il tocco affettivo
La pelle è l’organo più esteso dell’organismo. Essa è cosparsa, in misura diversa, di un gran numero di recettori sensoriali che inviano al cervello informazioni inerenti il caldo, il freddo, la pressione, il tatto e il dolore. Sono messaggi che viaggiano velocemente e ci permettono di reagire prontamente, mettendoci al riparo dai pericoli. Di recente, i ricercatori hanno individuato delle particolari fibre nervose (fibre C-tattili), che si attivano solo con un movimento che oscilla tra 1 e 10 centimetri al secondo: più o meno la velocità delle carezze. Questo tipo di informazione arriva in altre zone del cervello, facendoci percepire una sensazione di piacevolezza e attivando risposte emotive che promuovono il comportamento affiliativo, fondamentale all’inizio della vita per il rapporto tra madre e figlio e poi da adulti per tutte le relazioni sociali.
Il “contatto buono”, i gesti affettuosi, sono un bisogno essenziale che ci accompagna per l’intero arco dell’esistenza. Esiste, tuttavia, una finestra temporale, quella dell’infanzia, in cui la loro importanza è ancora più grande. In questo periodo il cervello è estremamente plastico, è in grado cioè di cambiare strutturalmente e funzionalmente in base alle esperienze vissute. Questo significa che il modo in cui ci prendiamo cura del nostro piccolo influenza direttamente il suo sviluppo. Per esempio la pratica del massaggio fin dai primi mesi aiuta i bambini non solo a percepire gradualmente il proprio corpo nella sua interezza, ma stimola anche la crescita dei vari sistemi: circolatorio, respiratorio, digerente, nervoso, immunitario, ormonale, linfatico e vestibolare, oltre a influire positivamente sulla relazione.
Dal “curare” al “prendersi cura”
I benefici derivanti dal contatto affettuoso sono ancora più importanti per i bambini prematuri, costretti a lunghi periodi di degenza nelle unità di Terapia Intensiva Neonatale (TIN). Stare vicino ai propri piccoli in queste situazioni di forte stress fisico ed emotivo porta cambiamenti significativi dei loro parametri vitali, tra cui: aumento di peso, miglioramento dello sviluppo neuromotorio, del battito cardiaco e dei livelli di ossigenazione sanguigna.
Da qualche anno stanno diffondendosi, anche in Italia, modalità innovative per l’assistenza dei neonati pretermine che mettono al centro proprio il coinvolgimento attivo della famiglia, che diventa parte integrante del team di cura. Sono modalità che derivano dai concetti del modello NIDCAP (Newborn Individualized Developmental Care and Assessment Program), nato negli USA negli anni ’80 grazie alla dottoressa Heidelise Als, neuropsicologa e ricercatrice. Apertura della Tin 24 ore su 24, percorsi di accoglienza, tocco dolce, metodo marsupio (Kangaroo Mother Care), sostegno all’allattamento e assistenza guidata da un’attenta osservazione del comportamento del neonato sono solo alcuni dei punti di forza di questo approccio.
Cosa fare dunque?
Un proverbio africano dice che per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio; questo per significare che i genitori hanno un bisogno fisiologico di ricevere sostegno, consigli, indicazioni, specialmente nei primi mesi successivi alla nascita dei loro piccoli. Un tempo era la famiglia allargata ad assolvere questo compito, oggi invece è la società che tenta di occuparsene. Tuttavia, nonostante le evidenze scientifiche, le informazioni che si ricevono da educatori, esperti e consulenti vari sono talvolta in contraddizione tra loro, soprattutto in tema di cure prossimali (tenere in braccio i piccoli per molto tempo, sonno condiviso, allattamento a richiesta e prolungato…), creando così confusione e disorientamento.
Parte di queste incertezze potrebbe risolversi lasciandosi guidare dalle proprie emozioni e dal proprio istinto, senza necessariamente rincorrere la “cosa giusta”, tra l’altro mai assoluta, e recuperando inoltre la propria capacità critica. Consideriamo anche che cercare la vicinanza dei propri figli, abbracciarli, coccolarli, vezzeggiarli, non è un atteggiamento universale, dunque non aderire a questo stile non pregiudica e non mette in discussione automaticamente le capacità di accudimento. Un carattere introverso o rigoroso, scelte educative orientate a non “viziare”, culture a “basso contatto”, creano ad esempio minori occasioni di contiguità. In conclusione, la cosa importante è cercare di vivere il proprio ruolo genitoriale in maniera “sufficientemente buona”: forti delle proprie certezze e tolleranti con le proprie fragilità, ricordando, come diceva Montagu, che si impara ad amare non perché ce lo insegnano, ma per il fatto stesso di essere amati.
Stefania Netti, psicologa
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Genitori ansioni
L’ansia viene definita come uno stato emotivo che provoca una reazione decisamente spropositata in relazione ad una situazione, una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, nella ricerca di spiegazioni di un avvenimento. Una condizione non poco diffusa soprattutto se si tratta di genitori, e su questo sono stati addirittura scritti dei libri proprio in relazione alla figura genitoriale prettamente ansiosa che spesso si associa all’iperprotezione nei confronti dei propri figli, in maniera maniacale. Questo si traduce in controllo totale di qualsiasi aspetto della vita del bambino, dalla scuola alle attività extrascolastiche e alle amicizie. Una presenza costante che cerca di intervenire in ogni momento soprattutto alle prime difficoltà che il piccolo affronta. Da una parte può di certo essere giustificato dalla consapevolezza del fatto che la società di oggi sempre più incerta e difficile mette alla prova i nostri piccoli sin da subito e il non sapere o il fatto che la vita sia diventata ancora più difficile faccia credere al genitore che sostituirsi al bambino o proteggerlo in qualsiasi situazione lo possa aiutare a superare le difficoltà. Questo è comprensibile ma purtroppo non ha un effetto positivo per le nuove generazioni.
“Helicopter parenting”, così vengono definiti i genitori ansioni e iperprotettivi, cioè genitori elicottero, una presenta costante sia fisica che psicologica, sia qualitativa che quantitativa, pronta a sferrare i colpi decisivi alla prima difficoltà. Sono davvero moltissimi i genitori che si trovano in queste situazioni e che incidono poi in maniera irreversibile sullo sviluppo della personalità sana del bambino che poi avrà serie difficoltà ad affrontare la vita vera, adulti inconsapevoli probabilmente che hanno una paura viscerale che il proprio figlio soffra per un motivo o per l’altro e per amore tendono a fare le guardie del corpo più che i genitori.
I bambini soprattutto oggi nel mondo moderno devono per forza di cose affrontare le difficoltà della vita, cominciando proprio da quelle più piccole, che sia un brutto voto a scuola o un litigio, devono imparare a cavarsela da soli ed essere piano piano sempre più indipendenti. Affrontare le delusioni e trovare le soluzioni opportune per superare i fallimenti ma soprattutto saperli accettare anche attraverso le critiche per costruirsi un’identità forte e consapevole per poter camminare da soli anche in mezzo al nulla. Il genitore spesso offuscato dall’amore e dall’ansia diventa invadente e tende a non comprendere l’importanza che ha il fallimento nella vita di un uomo, il saperlo poi gestire e superare è fondamentale soprattutto in prospettiva di una vita adulta.
Un esempio palese oltre alla scuola è lo sport per bambini, quante volte vediamo i piccoli disperati per aver perso una partita, o genitori infuriati con gli allenatori per non aver fatto giocare il figlio o che inveiscono contro gli albitri, sono tutti esempi lampanti di genitori elicottero, iperprotettivi e invadenti che non si rendono conto del danno psicologico che provocano ad un bambino e alla formazione della sua personalità.
#sport per bambini#genitori ansioni#ansia ereditaria#cos'è l'ansia#ansia per i figli#avere genitori ansiosi#genitori iperprotettivi#cause genitori ansiosi
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Caro Doc, ma cosa c'è dietro a sti famigerati vaccini svizzeri a differenza dei nostri italici? Ha un minimo senso farseli spedire/mandare ? Solo perché sono "mono virus" ? Non so più come rispondere all'altra ex metà genitoriale... .. grazie in anticipo.
Sinceramente non sapevo nemmeno che ci fosse una polemica sui vaccini svizzeri ma se questa è avvenuta su canali mediatici di (contro)informazione ‘classica’ tipo Le Iene o Report non mi stupisce che il mio cervello animale abbia cancellato per istinto di sopravvivenza.
Comunque penso che tu ti sia già risposto da solo: sono ‘monovirus’ o meglio, si tratta di vaccini con un solo antigene/virus attenuato contro una sola malattia, cosa che in Italia non è prevista perché è molto più economico e funzionale raggrupparli in trivalente, tetravalente, esavalente etc
Il busillis non è tanto nei vaccini per l’infanzia (0-6 anni) dove bene o male nessun soggetto è mai stato infettato e quindi l’inoculazione è funzionale all’immunizzazione primaria ma nei richiami che vengono fatti negli anni successivi, dove magari un bambino si è già beccato il morbillo perché ha saltato (incoscientemente) quelle 0-6 anni e i genitori, obbligati a vaccinarlo per farlo andare a scuola, si trovano costretti a fare il trivalente morbillo-parotite-rosolia senza poter scegliere solo le ultime due monovirus.
Ti dico subito che non solo è completamente innocuo ricevere una vaccinazione per una malattia per cui abbiamo già gli antigeni ma che, anzi, per molte patologie infettive questo costituisce un boost, cioè un potenziamento alla memoria immunitaria che giova al controllo da parte del nostro sistema anticorpale.
Sulla liceità di tale pratica, prima di tutto dal punto di vista legale non ci si può fidare della parola dei genitori quando affermano che una certa malattia il loro figlio l’ha già avuta e d’altro canto andare a fare dei costosi esami del sangue per la ricerca delle immunoglobuline specifiche per una malattia passata è dispendioso e laborioso.
Per ciò che mi riguarda, per esempio, quando ho dovuto fare il richiamo decennale per l’antitetanica, mi sono inoculato quello trivalente pure per difterite e pertosse, malattie assolutamente loffie per un adulto ma già che c’ero non ho disdegnato.
Per concludere, se poi esistono altre nobili motivazioni per scegliere l’efficienza immunitaria svizzera, rigiratemi le info e io farò quanto in mio potere per vederci chiaro insieme a voi.
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"Il paradosso della domanda nella clinica dell'anoressia restrittiva"
Il paradosso della domanda nella clinica dell'anoressia è costituito dal fatto che il binomio tipico che struttura ogni domanda di cura e che prevede che la domanda sia fondata su un sintomo, sulla sofferenza del soggetto provocata dal sintomo, si disfa o, meglio, non si struttura. Nel binomio tipico, un sintomo — per esempio un'insonnia persistente — produce una domanda — "voglio poter dormire" — che si indirizza all'Altro della cura [...] Nella clinica dell'anoressia si verifica invece una scissione tra la domanda e il sintomo, poiché chi domanda — solitamente i genitori — non ha il sintomo, ma solo angoscia, e chi, invece, ha il sintomo — il soggetto — non domanda nulla, né sembra provare angoscia. Abbiamo, dunque — ecco il paradosso clinico —, una domanda senza sintomo, una domanda scorporata dal sintomo e un sintomo — l'anoressia restrittiva — scorporato dalla domanda [...] In questi casi siamo chiamati a esercitare una doppia operazione: dove c'è domanda senza sintomo — lato dell'Altro — deve prodursi una sintomatizzazione (della coppia genitoriale, per esempio, o di uno dei due genitori); mentre dove c'è sintomo senza domanda — lato soggetto — deve potersi produrre una domanda soggettiva [...] Questa scissione paradossale tra la domanda e il sintomo è un tratto costitutivo, in particolare, della clinica dell'anoressia, ma si ritrova frequentemente anche nella clinica dell'età evolutiva dove il soggetto può trovarsi a incarnare il sintomo della famiglia o la verità rimossa del desiderio dei suoi genitori. "Alimentare il desiderio. Il trattamento istituzionale dei disturbi dell'alimentazione", M. Recalcati, M. A. Rugo (a cura di), Raffaello Cortina, Milano 2019, pp. 94-95
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Uno dei momenti più emozionanti e sorprendenti che si possano vivere: quello in cui si ha la notizia che presto si diventerà genitori! Un insieme di forti emozioni che travolgono, che sorprendono, che aprono le porte a una nuova vita, a nuovi sentimenti, che sappiamo essere il preludio ad un inevitabile cambiamento nella nostra vita e in quella di coppia, che ci fanno sentire completamente nuovi e diversi e che ci mettono anche di fronte a nuovi ruoli, a nuovi pensieri e a nuove e importanti responsabilità. Diventare genitori è un percorso complesso, fatto di momenti di immensa felicità e di amore, ma anche di momenti altrettanto critici e delicati, di esperienze inaspettate, mai provate fino a quel momento, ricche di emozioni completamente nuove, che portano a nuovi assetti di vita personale e di coppia e che necessitano di grande consapevolezza e senso di responsabilità verso il proprio bambino ma anche verso la propria coppia e se stessi. Un momento che ci fa mettere in dubbio se si sia davvero pronti a gestire un cambiamento così importante nella propria vita e in grado di affrontare una serie di responsabilità e di adattamenti inevitabili dal momento in cui nostro figlio verrà alla luce, soprattutto nel caso in cui ci si trovi ad affrontare un ruolo genitoriale da soli, senza il sostegno di un compagno al proprio fianco. I cambiamenti, dopo la nascita di un bambino, soprattutto se poi si tratta del primo figlio, sono davvero molti. Cambiamenti nelle proprie abitudini, minor tempo da poter dedicare a se stessi, maggiori spese economiche ed anche un carico diverso di intense emozioni che, quando si annuncia una nascita, ci chiediamo se sapremo affrontare e gestire in modo sereno ed efficace. Affrontare il ruolo genitoriale, soprattutto se si è single, non è facile. Per una donna, gestire da sola una gravidanza, in special modo se non si può contare su un appoggio concreto e fidato di persone care, può già rappresentare un momento davvero delicato. Non poter condividere né la propria gioia né le proprie ansie, dubbi e timori con un compagno che ci sostiene, come ad esempio nel momento in cui si avesse la necessità, durante la gestazione, di avvalersi di un servizio di pediatria prenatale per accertarsi dello stato di salute del nascituro, possono causare uno stress davvero notevole in una futura mamma e rendere poco sereno ed appagante un momento così ricco di significato come quello della gravidanza. Oggi la genitorialità, se vissuta in coppia, fortunatamente non coinvolge più soltanto le donne come in passato. La tendenza, infatti, è quella di una partecipazione attiva anche dei papà e non soltanto a partire dal momento della nascita del bambino, ma anche durante il periodo della gravidanza. Un ruolo, quello genitoriale, che oggi viene condiviso e che vede l’uomo coinvolto nella nascita del proprio figlio e successivamente nella sua cura e nella sua educazione tanto quanto la futura mamma. Se infatti è indubbio che il legame naturale che esiste tra la mamma e il bambino che porta in grembo è unico e speciale, oggi ai padri non è delegato unicamente come in passato il ruolo di sostentamento economico della famiglia, ma anche quello di sostenere la genitorialità unitamente alla mamma. Una presenza fondamentale, quella del papà, di grande sostegno e di partecipazione per la donna durante la gravidanza, il parto e nella gestione di momenti delicati come ad esempio quello immediatamente successivo al parto, quando i nuovi ritmi, le nuove dinamiche, le nuove responsabilità, i timori e le preoccupazioni possono portare la neomamma a dover affrontare periodi difficoltosi, i quali, se affrontati insieme da entrambi i genitori, con coinvolgimento e comprensione, potranno essere superati con molta più facilità e serenità. Oggi i papà partecipano ai corsi di accompagnamento al parto assieme alle proprie compagne, si informano su come potranno prendersi cura del piccolo allo stesso modo in cui lo fanno le mamme,
cercano di essere presenti alle ecografie e agli accertamenti di routine, condividono con le loro compagne ogni momento di gioia ed anche di ansia che potrebbe precedere il momento della nascita, anche quando si rendano necessarie visite specialistiche e consulenze di pediatria prenatale, seguono il momento del travaglio, entrano in sala parto, accolgono assieme alla mamma il piccolo appena venuto alla luce... Un ruolo diverso e davvero importante, quello dei papà, che gli ultimi studi hanno evidenziato sia fondamentale anche per il benessere e la serenità del neonato e che dà la possibilità ad un padre di vivere ed esprimere emozioni come fino a non molto tempo fa non faceva, in quanto non considerate adeguate ad un ruolo tipicamente maschile. Un compito senza dubbio arduo, quello di diventare genitore e quello di fare il genitore, che non si esaurisce, né per il papà né per la mamma, con i primi anni di vita del bambino e che non andrebbe mai preso alla leggera, che comporta davvero un grande cambiamento e forti responsabilità. Una scelta che, sia si sia giovani sia si decida di affrontare l’evento in età più adulta (al momento, infatti, l’età media in cui si ha il primo figlio è statisticamente aumentata: se fino a qualche anno fa erano più le neomamme tra i venti e i venticinque anni, oggi vediamo molte donne partorire per la prima volta a più di trenta), sicuramente rappresenta un importante passaggio ad una fase diversa, tutta nuova, della propria vita, che soltanto se vissuta in piena consapevolezza e responsabilità ci permetterà di affrontare tutti quei piccoli e grandi momenti faticosi che, come sa bene chi ne ha già avuta l’esperienza, senza dubbio accompagneranno la nostra vita da genitore, ma che allo stesso tempo ci permetteranno di vivere le occasioni più gioiose della nostra vita.
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Recensione: Moonlight
Un film che non sono proprio riuscito a farmi piacere. C’è qualcosa ce non va. Scelte registiche discutibili, una trama troppo sterile e un canovaccio opprimente. Cominciamo dall'analisi della trama riepilogando quanto accade nel film:
Capitolo I. Piccoletto
Chiron è un bambino afroamericano e vive con la madre in un quartiere nella periferia di Miami. La sua vita non è per niente facile. Quotidianamente subisce in silenzio i dispetti e le prese in giro dei coetanei che lo chiamano "checca" per via dei suoi comportamenti effeminati. Isolato dai suoi compagni, Chiron trova conforto nell'amicizia con Kevin, un ragazzino con cui lega molto e che sembra voglia essergli amico. La madre è una tossicodipendente e si prostituisce ogni sera per racimolare quei pochi spiccioli che le servono a comprarsi la dose successiva. È una madre divorata dalla dipendenza, che quotidianamente sfoga le sue frustrazioni sul piccolo Chiron il quale, incapace di reagire, spesso scappa di casa. Lega molto con Juan e Teresa un'altra coppia di afroamericani del suo quartiere che gli offrono asilo e protezione ogni qualvolta il piccolo scappa da casa. Juan è uno spacciatore di droga che controlla il quartiere e prende Chiron in simpatia, rassicurandolo che non deve incolpare nessuno per come è. Una sera sulla spiaggia Juan racconta a Chiron di quando era ancora bambino e scorrazzava per le strade di Cuba; una sera una donna anziana gli disse che i bambini di colore diventano blu quando vengono illuminati dai raggi della luna. Questa scena rappresenta un punto fondamentale per la narrazione. In ogni sequenza narrativa le scene in cui Chiron può essere realmente se stesso sono al chiaro di luna, come se il colore blu lo alleggerisse dal peso che ogni giorno è costretto a sopportare. Come se si spogliasse della maschera che ogni giorno è tenuto a indossare per poter essere finalmente se stesso. È solo illuminato dai raggi lunari che Chiron può sentirsi fragile senza paura di rompersi.
Capitolo II. Chiron
Salto temporale. Chiron è un adolescente e frequenta il liceo del suo quartiere. Anche lì è preso di mira dai bulli e l'unica persona di cui si fidi rimane Kevin. Juan è morto, presumibilmente per via della vita pericolosa che conduceva. La madre di Chiron è ancora nell'abisso della tossicodipendenza, ha toccato il fondo, è disperata al punto da rubare i soldi al suo stesso figlio per comprarsi la droga. Nel frattempo Teresa continua a prendersi cura di Chiron. Una sera, soli, sulla spiaggia Chiron e Kevin si incontrano e parlano delle loro vite, si divertono, fumano uno spinello e il tempo sembra volare. Tra i due c'è sintonia e si lasciano andare in un bacio appassionato sotto la luce della luna. A quel punto Kevin masturba Chiron, che gode della sua prima esperienza omosessuale. Ma la notte passa in fretta e col sorgere del sole l'atmosfera surreale di quella sera sembra svanire. Il giorno dopo un bullo a scuola convince Kevin a picchiare Chiron, il quale sentendosi tradito dall'amico di cui era innamorato, accumula rabbia e sensi di colpa che sfociano in un gesto disperato. Il giorno successivo alla rissa Chiron spacca una sedia sopra il bullo che ha convinto Kevin a picchiarlo, il tutto di fronte agli occhi increduli della sua classe e del professore che terrorizzato chiama la polizia. Chiron viene arrestato e spedito in riformatorio.
Capitolo III. Nero
Secondo salto temporale. Ormai adulto, Chiron è diventato un nerboruto spacciatore di droga in un quartiere afroamericano di Atlanta. Conduce le stessa vita che faceva Juan, unico esempio genitoriale maschile che abbia mai avuto. L'unico che potrebbe considerare come un padre. Chiron ora è autonomo, ma infelice. Cerca disperatamente di dimenticare il passato, le angherie della madre, il bullismo e il riformatorio. Ma al tempo stesso ripensa a Kevin, l'unico che lo abbia mai toccato. Talvolta lo sogna, per poi svegliarsi di soprassalto in seguito a polluzioni notturne. Un giorno riceve una telefonata che lo sconvolge. Kevin è riuscito a procurarsi il suo numero, vive ancora a Miami e vorrebbe vedere il suo vecchio amico. Chiron torna a Miami per trovare la madre, la quale si sta apparentemente riprendendo in un istituto per tossicodipendenti. Ma Chiron non ha più bisogno di lei. Ormai è solo uno spettro di pentimento e rimorso per non essere stata una brava madre. Ha reso la sua vita un inferno, e non c'era ad assisterlo nei momenti cruciali della sua vita. La sera Chiron va a trovare Kevin nel locale in cui lavora come cuoco. I due parlano delle loro vite, Kevin è divorziato con un figlio ed ora vive da solo. Kevin invita l'amico a ritirarsi a casa sua per la notte, lì lontani da occhi e orecchie indiscrete possono finalmente parlare liberamente delle proprie emozioni. In camera da letto Kevin masturba Chiron per la seconda volta. Chiron, a dispetto del suo aspetto imponente, si lascia andare sulla spalla di Kevin, e gli sovviene alla mente un immagine di lui da bambino in riva al mare illuminato sotto i raggi della Luna. Finalmente Chiron è felice e può sfogare le sue pulsioni. È libero tra le braccia dell'amico che ha sempre amato, come se fosse al chiaro di luna.
Il film ha una narrazione, sebbene marcatamente divisa in 3 sequenze, non molto intrigante e non sono riuscito a trovarci qualcosa di realmente interessante. Vuole presentarsi come un pellicola profonda, introspettiva e romantica. Ma risulta più asfissiante che romantica. Improduttiva più che introspettiva. Non abbastanza profonda. È la storia cruda e tristemente verosimile dell'esistenza soffocata di questo ragazzo omosessuale alla ricerca di un posto nel mondo. Ogni personaggio è tendenzialmente piatto, senza una vera caratterizzazione. Solo al chiaro di luna il protagonista ritrova se stesso. Abbandonando le ipocrisie e i pregiudizi. Un agnello travestito da lupo che può finalmente mostrarsi fragile senza paura. Non sto dicendo che è un film da gettare nel dimenticatoio, ha i suoi punti di forza, è tremendamente realistico. Ma non condivido il fatto che sia stato definito il miglior film #lgbt della storia del cinema. È una pellicola che non cattura e le vicende si susseguono passivamente. Un film che non lascia niente allo spettatore se non l'amaro in bocca.
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