#dietro ogni grande uomo
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scogito · 26 days ago
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Dietro ogni grande uomo c'è una grande motivazione. Dietro ogni grande donna, pure.
Finirla di credere alla stronzate.
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raccontidialiantis · 4 months ago
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Il dottore
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Avevo un problemino proprio vicino all’ano. Un piccolo bubbone in rilievo che mi dava fastidio. Ero preoccupata e mi sono fatta vedere da mio marito, il quale mi ha detto: “boh... vai a fartelo controllare.” Non che la visione del mio culo completamente aperto lo entusiasmasse eccessivamente. Ho scoperto infatti solo dopo essere sposati che la sua eccessiva affettatezza, i suoi modi gentili che tanto mi avevano affascinato sulle prime erano solo dovuti al fatto che lui si sente… più donna di me! Non mi si accosta praticamente mai. Abbiamo fatto l’amore forse tre volte, in due anni di matrimonio.
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In viaggio di nozze, sulla nave andava dietro ai camerieri. Io l’ho sposato un po’ perché comunque mi piaceva e un po’ perché volevo uscire da una mia situazione familiare di estrema indigenza. E poi ero stata abbagliata dall’idea di andare a vivere finalmente lontano da casa, con un uomo e in una grande città, direttamente in una casa di nostra proprietà. I suoi genitori infatti lo hanno forzato a sposarsi per la facciata e in cambio lui ha ottenuto di gestire in autonomia uno dei negozi della loro catena che tratta scarpe da uomo e donna di alta classe, appunto nella nuova regione e a ben 300 km dalla nostra città d'origine.
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E lui è anche molto bravo: con le donne parla di trucchi e vestiti; spettegola, le consiglia e intanto vende. Quanto vende: guadagna bene! All’inizio pensavo: “questo qui lo cambierò io. Il mio amore basterà per entrambi.” Macché! Comunque sono andata dal dottore che mi hanno consigliato i vicini: un dermatologo molto bravo, con studio a due isolati da casa. Come sono entrata, ultima paziente della giornata, l’ho visto e sono arrossita: un bellissimo uomo brizzolato sui quaranta e molto atletico, con un filo di barba e due occhi azzurri incorniciati da occhiali d’osso.
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Mi ha esaminata in modo discreto da capo a piedi e ha poi posato lo sguardo per un secondo sulla fede che porto alla mano sinistra. Gli ho accennato del mio problema e lui mi ha messa subito a mio agio: “non si preoccupi signora; ora vediamo. Si sdrai sul lettino a pancia sotto e si spogli.” Ha preso la lente luminosa e un paio di attrezzi per esaminare da vicino la zona. Per fortuna ha concluso trattarsi di un semplice pelo incarnato, che comportava comunque un inizio di infezione, con conseguente indolenzimento e arrossamento di tutta la zona anale.
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Andava assolutamente curato e non trascurato. “Adesso applicherò un po’ di questa crema antibiotica, e la cura dovrà proseguire per una quindicina di giorni.” Prese il tubetto, mise un guanto di lattice, se ne spalmò un po’ sul dito e prese a massaggiare sul brufolo e attorno al mio ano. Non so quanto inavvertitamente, mentre mi massaggiava la punta del suo indice per un secondo scivolò al centro esatto dell’ano, che immediatamente si aprì ad accoglierlo, mentre mi scappava un sommesso “oooh…” e il mio bacino si alzava.
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Non potei proprio controllarmi: a ventotto anni una donna ha le sue risposte automatiche agli stimoli. E diventai rossa come un peperone. Lui fece finta di nulla. Poi applicò un cerotto conformato in maniera opportuna, sì che coprisse il bubbone ma non ostacolasse la funzionalità dell’ano. Ovviamente durante la notte o andando in bagno e lavandomi, il cerotto sarebbe saltato. Da rimettere comunque ogni mattina.
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"Si rivesta, signora io intanto le scrivo la ricetta. Nome, cognome, indirizzo e tessera sanitaria… ah, vedo che vive qui vicino…"
"Si, ci siamo trasferiti appena sposati, circa due anni fa. Non conosciamo molte persone."
Mi diede la ricetta, un paio di cerotti, mi disse appunto quali dovevo comperare in farmacia assieme alla crema e mi scrutò a lungo. Io abbassai lo sguardo: era proprio un bellissimo pezzo di manzo. Iniziarono a tremarmi le gambe.
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"Devi applicare la crema e farti la medicazione spesso, perché la parte deve rimanere sempre ben medicata e umida, Angela. Posso chiamarti così, visto che siamo ormai… amici abbastanza intimi?"
E lo disse con un sorriso da vero assassino. Diventai più rossa di un semaforo e gli dissi:
"Certo dottore! Spero di poter fare un buon lavoro, da sola!"
Al che lui replicò:
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"Innanzitutto chiamami Luca e poi domani è sabato; io di sabato non lavoro. Mi alzo un po’ più tardi e vado a fare Crossfit di mattina e Karate di pomeriggio. Sono separato da anni e quindi sono sempre solo. Se ti va, puoi venire qui a studio per le nove; posso medicarti io, non mi costa niente. Anzi: mi fa piacere rivederti. E i giorni a seguire puoi venire prima che apra bottega, attorno alle otto… corsia preferenziale, per te…"
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Avevo la salivazione azzerata: non ci potevo credere. Un maschio maturo, poco sopra la quarantina e bello come un dio greco si interessava a me e mi stava palesemente facendo la corte! L’indomani mattina, calze autoreggenti, gonna di georgette e tanga microscopico, alle nove in punto entrai nello studio. Mi accolse con un sorriso. Era in tuta leggera e aderente. Si intuiva un fisico scolpito. Non mi fece accomodare sul lettino; siccome lo studio era deserto, mi fece mettere con la pancia a cavallo del bracciolo del divano in sala d’aspetto, perché gli avrebbe consentito un miglior spazio di manovra. Scesi le mutandine, sollevai la gonna e mi misi col culo all’insù e le natiche ben divaricate.
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Mi scusai del cerotto vecchio ovviamente saltato, perché avevo cercato di non bagnarlo mentre mi lavavo e di non sporcarlo, ma… Mi disse di non preoccuparmi e iniziò a spalmarmi l’unguento. Stavolta indugiò un po’ più a lungo, visto che non opponevo resistenza e anzi iniziavo ad assecondare il suo tocco e a mugolare, ben rilassata e a occhi socchiusi. D’un tratto, visto che mi stavo palesemente offrendo a lui, allargando le natiche con le mie mani e alzando il bacino verso il suo viso senza una vera necessità, si decise e mi infilò lentamente tutto l’indice, dicendo: “ora mettiamo un po’ di unguento anche dentro, per precauzione.”
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Come introdusse il dito e iniziò a muoverlo, io cominciai a sollevare e abbassare le anche, agevolandolo e mugolando palesemente di piacere. Prese coraggio e infilò anche il medio. Io ormai gli dicevo direttamente “siiiii.” Si fermò un attimo e io fui convinta di aver forse fatto una gaffe… invece s’era sceso con gesto rapidissimo i pantaloni della tuta e ormai sentivo la cappella del suo cazzo dapprima puntare il mio buchino e poi entrare lentamente. Non ero stata scopata spesso, prima; figuriamoci inculata! Mi faceva male e gridai: “Ahia…” e lui disse: “Vuoi che lo tolga?” mi venne di getto un “Nooooo… cazzo noooo! Perdonami, ma sono stufa di non essere trattata come una donna: sfondami questo cazzo di culo e strapazzami, maltrattami. Sii semplicemente il meraviglioso maschio che sei…”
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Restò un attimo interdetto e allora, sempre con il suo cazzo a metà strada nel mio culo, mi calmai e gli spiegai che mio marito non era interessato all’argomento e che lui quindi avrebbe potuto scoparsi come voleva questa ragazza di nemmeno trent’anni. Mi inculò per venti minuti buoni e venne dentro di me. Poi, sempre sul divano, gli salii sopra, me lo mangiai letteralmente. In pratica scopammo per tutta la mattinata. Fanculo il Crossfit e il Karate.
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Questa cosa fece un gran bene al mio matrimonio: mio marito mi dava tutto il denaro che mi serviva, purché non interferissi con la sua vita sessuale privata e non gli rompessi le palle e il mio dottore mi riempiva di quello che lui non poteva darmi. Molto discretamente, spesso andavo da lui anche dopo cena, nel totale disinteresse del mio coniuge. Diventai la sua donna di fatto e grazie a lui finalmente diedi due nipotini ai nonni, che avevano aspettato tanto a lungo!!!
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RDA
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korepersephone · 9 days ago
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Mi sembra di andare in pezzi, come se ogni parte di me stesse lentamente disintegrandosi. Mi sto frantumando, ogni giorno un po' di più, tra le parole che non dico e quelle che non posso dire. Dentro di me c'è una tempesta che mi sta devastando, una guerra tra ciò che sento davvero e ciò che sono costretta a mostrare. La verità mi urla dentro come un tuono che scuote ogni fibra del mio essere, eppure continuo a far finta di non sentirla. Come se potessi ignorarla, seppellirla sotto il peso di un sorriso che non è mai davvero mio.
Le assordanti bugie che sussurro nel silenzio, le faccio diventare la mia maschera, la mia corazza. Mi convinco che così posso andare avanti, che posso sopravvivere. Ma ogni bugia è come un chiodo che entra più profondamente nella mia anima. Ogni volta che dico a me stessa che va tutto bene, che non mi importa, che sono forte, in realtà mi sento più debole. Mi nascondo dietro questa facciata, cercando di convincere il mondo che non ho bisogno di nulla, che posso vivere senza amore, senza affetto, senza lui.
Eppure la verità dentro di me è come un fuoco che non si spegne mai, che brucia e mi consuma. Ogni battito del mio cuore, ogni pensiero che mi passa per la testa, ogni sguardo che lui mi rivolge, sono come scintille che accendono quel fuoco ancora più forte. Mi sembra di non poter più respirare, come se l'aria fosse densa e pesante, intrisa di tutte le emozioni che tento di reprimere.
Mi sento intrappolata in un gioco che non volevo giocare. E la paura più grande non è perdere lui, ma perdere me stessa in questo processo. Perdere la parte di me che credeva in qualcosa di vero, in qualcosa che potesse sopravvivere, in qualcosa che valesse davvero la pena di vivere.
Eppure continuo a mentire. Continuo a cercare speranze come se fossero stelle, ma ciò che trovo sono solo massi, freddi e grigi, che mi cadono addosso con il loro peso insopportabile. Mi illudo che un sorriso, una parola, possano essere qualcosa di più, anche quando so nel profondo che sono solo gesti di un uomo annoiato, di qualcuno che non vede più niente in me se non un passatempo momentaneo. Eppure, li stringo a me come il più prezioso dei tesori, come se fossero l'unico briciolo di felicità che mi è rimasto. E ogni volta che lo faccio, sento una parte di me cedere, perché so che sto solo alimentando una menzogna che mi sta lentamente distruggendo.
Continuo a vivere nella mia farsa, nel silenzio delle mie emozioni che esplodono dentro di me, ma che non osano farsi sentire. Il mio cuore batte impazzendo per te, come se ogni battito fosse una promessa, un grido che tu non ascolterai mai. La mia pelle reagisce appena ci passi accanto, un brivido che scorre come un fuoco sottile, ma che tu non noti mai, perché sei troppo lontano, troppo distratto. I miei occhi si riempiono di lacrime, lacrime che non vuoi vedere, lacrime che non ti importano. Eppure, nonostante tutto, guardo i tuoi occhi, cerco nei tuoi uno spiraglio, un segno che potresti davvero guardarmi come io guardo te. Ma no, i tuoi occhi non mi vedranno mai così. Li guardo, mi perdo in loro, ma non sarò mai quella che accende qualcosa dentro di te, non sarò mai quella che avrai davvero.
Per una volta vorrei riuscire a prendere una di quelle stelle, quelle che cerco invano nel buio della mia solitudine, per dimostrarmi che sperare può davvero far avverare i sogni. Ma ogni volta, quando allungo la mano, mi ritrovo sempre solo con sassi, che si sbriciolano tra le dita, lasciandomi solo con il vuoto. Il vuoto che mi rimane dentro, il vuoto che cresce ogni volta che ti vedo e non ti vedo mai davvero, che mi guarda con indifferenza, mentre io mi perdo nella speranza di qualcosa che non arriverà mai.
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libero-de-mente · 1 year ago
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MOMENTO LETTERARIO
Dal libro: L’amore dura tre anni di Frédéric Beigbeder
I messaggi sono una forma di tortura molto raffinata. Un giorno senza risposta, pensi a una tattica. Due giorni senza risposta, ti offendi. Tre giorni senza risposta... ti innamori.
Così alcune donne aspettano il Principe Azzurro, questo stupido concept pubblicitario generatore di donne deluse e future zitelle inacidite, mentre solo un uomo imperfetto potrebbe renderle felici.
Ma dovete sapere che ogni uomo dopo i trent'anni, ancora in vita, è un coglione.
Non si è mai soddisfatti: quando una ragazza ci piace, vogliamo innamorarcene; quando ne siamo innamorati, vogliamo baciarla; quando l'abbiamo baciata, vogliamo andarci a letto; quando ci siamo andati a letto, vogliamo vivere con lei in un appartamento ammobiliato; quando viviamo con lei in un appartamento ammobiliato, vogliamo sposarla; quando l'abbiamo sposata, incontriamo un'altra ragazza che ci piace. L'uomo è un animale insoddisfatto, esitante tra diverse frustrazioni. Se le donne volessero giocare d'astuzia, gli si negherebbero, per farsi correre dietro tutta la vita.
Nessuno vi avverte che l’amore dura tre anni. Vi si fa credere che è per la vita, mentre, chimicamente, l’amore scompare nell’arco di tre anni. L’ho letto in una rivista femminile: l’amore è una botta effimera di dopamina, noradrenalina, prolattina, luliberina e oxitocina.
La società vi inganna: vi vende il grande amore mentre è scientificamente provato che questi ormoni cessano di agire dopo tre anni. Del resto le statistiche parlano chiaro: una passione dura in media 317, 5 giorni e, a Parigi, due coppie su tre divorziano nei tre anni successivi alla cerimonia.
Perché tre anni e non due, o quattro, o seicento? Secondo me, questo conferma l’esistenza di quelle tre tappe che Stendhal, Barthes e Barbara Cartland hanno spesso distinto: Passione- tenerezza- noia, ciclo di tre stadi che durano ciascuno un anno,  un triangolo sacro quanto la Santa Trinità.
Chi di voi ha letto questo libro del 1997, oppure visto la trasposizione cinematografica del 2011? Che giudizio date?
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chi-va-piano-arriva-dopo · 2 years ago
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“Ti diranno che dietro ogni grande uomo c'è una grande donna.
Spesso è vero.
Quel che non ti diranno è che quest'immagine contiene già l'idea di cui cercheranno di convincerti per il resto della vita: che il tuo compito di uomo sia quello di stare sempre davanti.
Non ti diranno che esistono anche uomini, grandi o piccoli che siano, che coltivano la vocazione dello stare accanto, o quella di scomparire, o altri che di donne non ne hanno mai avute e, forse, mai ne avranno. Non ti diranno che, pure dietro un grande uomo, non c'è che una vita con il suo repertorio di inadeguatezze, di dolori, di inciampi e cadute. Di solitudini e incomprensioni, di giudizi taglienti, di immaginari disattesi e aspettative mal riposte. Figuriamoci dietro un uomo piccolo e ordinario. Figuriamoci dietro uno come me. A volte dietro un uomo non c'è che un'ombra, tutto ciò che avrebbe voluto o potuto essere, e invece. Ci sono scie di rimpianti, una manciata di rimorsi, la sensazione di avere compromesso ogni cosa, di avere mancato il tempismo, di essere stato l'uomo giusto nel momento sbagliato o quello peggiore nel momento perfetto. Di avere deluso una donna o un uomo, un figlio o un genitore oppure sé stesso, continuando a ignorare quale fra queste sia la cosa davvero imperdonabile.
Quello che soprattutto non ti diranno è che a volte vinci proprio quando perdi.
Non ti diranno che ci addestrano alle vette, mentre ci sono vallate meravigliose. Ti sentirai forzato alla retorica della sfida, al culto dell'efficienza, al continuo e inappagato desiderio di un altrove, come se la vita stesse sempre da un'altra parte e mai qui, accanto a te. A vincere il mondo anzichè imparare a camminarci dentro. A sognare il cielo piuttosto che perderti in un filo d'erba.”
— Matteo Bussola, "Un buon posto in cui fermarsi".
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oltreleparole · 4 months ago
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13.12.2024
Davanti a un piatto di tagliatelle al pomodoro mi dici che mi manca una scintilla.
Mi hai mandato un messaggio all'alba "Pranziamo insieme oggi? Lo so, hai poco tempo, vengo io da te in ufficio, scendi mezz'ora e via."
Quando ti vengo incontro c'è una piogerella sottile, mi aspetti con il cappuccio della felpa tirato su, sembri un liceale a una manifestazione per la pace. Da un locale sulla piazza si sentono note di una canzone dei Beatles, nell'attesa passeggi piano su e giù quasi ballando.
Mi vedi e sorridi appena. "Ho il raffreddore, non ti bacio" dico. "Ma falla finita" e mi tiri in un abbraccio che mi toglie il fiato e mi salva la vita. Lo sai che mi manca l'abbraccio di un uomo e mi tieni stretta un po' di più, mi dai due baci con lo schiocco su una guancia. Sei il solito cuore grande.
"Il posto dove volevo portarti ha gente a strati" mi dici quasi giustificandoti di aver ripiegato sul solito bar. Un piatto di pasta banale, ma chi se ne frega.
Ci sediamo e non metti tempo in mezzo, che tempo non ne abbiamo. "Non hai una bella cera" mi dici, "ti manca una scintilla. Devi smettere di dedicarti sempre agli altri, guarda che gli anni passano". "Sei uno stronzo" ti dico con tutto il bene che ti voglio. "Sì ma dico la verità" chiosi, mentre prendi la prima forchettata.
Ed è così. Sono 15 anni che ti conosco e non mi hai mai detto una bugia, né su di me né su di te. Hai ammesso senza pudore ogni tuo difetto, fragilità, incoerenza, ogni perversione, piccolo crimine, ipocrisia; con me non hai omesso niente, nemmeno le bugie dette agli altri, quelle proprio brutte che potevano farmi cambiare idea su di te. Soprattutto, non hai negato la tua grande passione per le donne, animo da traditore seriale. "Siamo amici, non ti devo vendere niente di me", mi hai sempre detto. E continui ad andare giù dritto senza pietà. Così mi dici la verità anche stavolta, su come sto di merda.
"E fammi capire, dovrei trovare una scintilla a settimana, come qualcuno di mia conoscenza?" dico con un filo di cattiveria. Ti offendi appena, ma lo nascondi dietro un occhiolino da bulletto. "Non ho mai detto di essere un esempio". Fai il duro ma un paio di volte ti sei fatto parecchio male anche tu, ce lo ricordiamo bene tutti e due.
"Non sono pronta, mi sembrerebbe di usare le persone" ti dico mentre cincischio nel piatto. "Sei sempre la solita pesantona" mi guardi dritto nei pensieri "ci sono le vie di mezzo". "Con le vie di mezzo non ho mai fatto pace, lo sai" dico, ma non lo reggo il tuo sguardo, cerco di distrarmi sul tavolo accanto. Tre studenti stanno ripetendo per un esame, stentano un inglese tecnico.
"Non vorrai mica fermarti all'ultima strofa della tua canzone" mi dici. "Invece sono proprio caduta sul mio ultimo metro" ti rispondo, ma sento la tristezza che sale troppo, non la so gestire, devo cambiare argomento. Penso alla canzone, a quante volte l'ho ascoltata in questi anni e a come ogni volta mi sono salite le lacrime.
"Se sono anni che la scegli e me la dedichi, vuol dire che lo sapevi già come sarebbe finita. La mia corona di stelle e di spine" dico e ci scherzo su, ma mica tanto. L'ho pensato spesso, in questi ultimi mesi, che tu forse l'avevi previsto che lui mi avrebbe lasciato così da un giorno all'altro; i tuoi tanti consigli detti o appena abbozzati, e che non ho mai voluto ascoltare, erano profetici.
"Te l'ho già detto mille volte, le canzoni non si scelgono. Semplicemente la ascolto e sei tu" dici fermo. Hai queste grandi certezze, le vorrei anche io.
"Avrò sempre paura" ti dico "anche quando odio averne. Ma mi resta la fantasia". Fai una smorfia. "La solitudine non è mai dolce, come la pioggia nelle scarpe" sussurri appena, e mi fai tenerezza perché lo so cosa intendi, lo siamo un po' tutti, soli. "E comunque" aggiungi "tre anni sono tanti anche per te. Ora basta starci sotto."
"Mezz'ora scaduta" cerco di sdrammatizzare, ma lo so che hai ragione. Ora basta. "Non facciamo che ci rivediamo fra un anno, eh" ti dico mentre, come sempre, litighiamo per chi deve pagare. Ridi di gusto ma già guardi il cellulare e sei di nuovo lontano, di nuovo perso dietro chissà quale amore settimanale. "Almeno l'anno prossimo non sarà di venerdì, io non sono superstizioso ma..." paghi e mi fai la linguaccia. Ti dò un pugno sul braccio, ti rimetti il cappuccio e usciamo sulla piazza dove ancora suonano i Beatles.
Vorrei sentire Santa Lucia in questa luce grigia, per gli amici che vanno e ritornano indietro. E hanno perduto le ali.
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girulicchio · 23 hours ago
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Eco di un lontano ricordo
So benissimo che le allitterazioni allettano gli allocchi, ma io le alloco cinicamente in piccoli loculi nel cimitero della letteratura. I giochi di parole sono un'ossessione necessaria come l'ossigeno per l'aria. Ossa e suoni si combinano scrocchiando le dita prima di iniziare a scrivere: graffi incomprensibili in principio per sciogliere il polso e la china, poi, a testa bassa, lo sguardo si fissa sul foglio e appaiono immagini in formazione, linea per linea. il flusso va da sé come se fosse solo stata questione di tempo. Chi si ferma è perduto: mai staccare la penna dalla tela bianca. Prendono vita gesta immaginarie di miriadi di personaggi, fantastici e fantasiosi, giullari di loro stessi e indovini, maghi, fate, orchi, avvocati, presbiteri, samaritani, marinai e gente comune.
Sullo sfondo un uomo si presenta, dapprima privo di proprie intenzioni. Tendendo lo sguardo al suo volto, sembra contrito, assorto in un pesante groviglio di rimorsi e rimpianti. Ha gli occhi densi di lacrime, arrossati dal rostro di sentimenti cristallizzati e inscalfibili che argina il fiume in piena. Perdiana, parlano di perduta pace: le pupille urlano mute ad un megafono invisibile. Come il silenzio della sua apnea, udibile solo a palpebre calate, mettendosi nei suoi panni. Trasmette un chiaro messaggio per mera empatia: passiva al freddo la pelle per proteggerla da ogni pericolo, pur restando permeabile in un punto, che pare essere il suo vulnerabile tallone d'Achille. La sua dura armatura deriva da una forza interiore, costruita con sforzi erculei per esperita vita. Impugna di nascosto un misterioso orpello, al di là delle spalle. Nell'altra mano dev'esserci un pugno di sale o di sabbia - soltanto granelli di polvere, grossa o fine che sia, potrebbero dare tale conformazione all'estremità dell'arto. Tra l'altro, ad osservarlo attentamente, sembra in bilico, in equilibrio instabile: i suoi piedi poggiano nudi su un manto innevato, scosceso in un raggio appena più grande di un palmo, dove la terra si intravede e le sue dita s'aggrappano per non cadere.
Quell'uomo, dapprima privo di proprie intenzioni, è immobilizzato in un quadro che posso cambiare soltanto io. Un burattino pronto a sciogliersi al sole, se solo volessi invertire lo scenario attuale. Potrei tirarne i fili e fargli gettare dei semi - non sabbia, non sale - dal valore simbolico altissimo, che rappresentino la sua rinascita, pronti a germinare quando la neve sarà sciolta e la terra pronta a custodirli. Potrei fargli mostrare il lungo stelo di tulipano che ha dietro la schiena, per poi porgerlo alla donna amata che ha di fronte - che comparirebbe dopo un altrettanto tedioso specchietto introduttivo.
Non racconto di conti e principi, ma pronuncio ogni parola a mo' di narratore, che sotto mentite spoglie è un pittore dilettante e traccia statici disegni di insignificanti personaggi come iperrealistici ritratti e, in tempi alterni, ritratto le mie inabilità e smentisco, a me stesso in primis, di saper comporre soltanto piani sequenza, sperando che chi mi legge mangi la foglia.
In questo senso, do pienamente ragione - e come potrei fare altrimenti - all'uomo che ha spiegato cosa significa scrivere in un efficacie decalogo: questi esercizi di stile servono soltanto ad impressionare chi non conosce l'arte, chi comprerebbe fagioli magici solo perché venduti bene. Valgono quanto un palleggio di una foca ammaestrata, quanto rime baciate in differita di una sola lettera, quanto le calende greche. Sono un pavoneggiante sfoggio di giocoleria di un illusionista che propina sempre gli stessi trucchi, vecchi come il cucco.
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klimt7 · 1 year ago
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PAST LIVES
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CINEMA
Film: "Past Lives" \\ 18 febbraio 2024
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Recensioni ufficiali / personali
Recensione liberamente tratta e adattata dal sito MyMovies.
" Che dici? Lo vado a vedere Past Lives?” mi scrive un amico su Whatsapp.
“Sì, vallo a vedere”.
“Dici? Perché?”.
E così mi passa davanti agli occhi, il film che ho appena visto anch’io. E gli rispondo:
- " Perché ti fa percepire quante storie si possano nascondere dietro le facce delle persone qualunque. Come quei tre che vedi, proprio all’inizio del film, da lontano, come spiandoli un po’, guardandoli appena.
Una donna orientale, un uomo probabilmente dello stesso paese. E un bianco. Un ragazzo americano.
Dietro ogni faccia qualunque, c’è una storia. Ma che storia, quella che racconta questo film qui.
Una grande storia d’amore, una grande storia di rimpianti, una grande storia di destino.
E una piccola storia di silenzi, di occasioni mancate, di vite che scorrono, "sliding doors" che passano, che se ne vanno. E alla fine tu dai a quel percorso, a ciò che è stato e a ciò che non è stato, il nome di destino.
È un film su tre destini, Past Lives.
Ed è un film sull’identità.
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Lei, per esempio. Guarda lei.
Quella ragazza coreana, con le sopracciglia grandi e il sorriso come una sciabolata. Lei rappresenta una persona diversa, per il ragazzo coreano alla sua destra, e per l’uomo americano alla sua sinistra. Per uno, è una donna che se ne va: che se ne va dalla Corea, da un paese piccolo per le sue ambizioni. Per l’altro, è una donna che è arrivata, è approdata. Che ha posato le ali a New York. Forse per rimanere, chissà. Ma quello che è straordinario, è che il film disegna la stessa donna. Eppure sono due. Siamo tutti, forse, così. Diversi, secondo chi ci guarda. Immensamente diversi. Non per caso lei ha due nomi: Na Young in Corea, ma Nora Moon appena l’aereo atterrerà sul continente americano.
Non gli ho detto tutto questo, al mio amico su WhatsApp. Il resto, l’ho pensato soltanto. E ho continuato a pensare. Mentre il film continuava a scorrermi in testa. Perché in questi giorni tante persone stanno andando a guardarlo? Non ci sono attori famosi, non ci sono effetti speciali, anche la pubblicità non è stata martellante. Non è Barbie, non è Oppenheimer.
Ma è un film illuminato da una grazia speciale.
È bello, Past Lives, per come costruisce l’amore, il sentimento dell’amore, la sensazione di un legame forte che stringe i due protagonisti coreani. Da quando erano bambini, in quelle strade minuscole di una Corea che sembra tanto l’Italia del dopoguerra, o il mondo di Parasite (guarda la video recensione). I parchi pubblici, strane sculture di pietra. Due bambini che giocano. L’immagine semplice, wendersiana, della felicità.
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E poi il tempo, stacchi di tempo di dodici anni, aerei che portano via. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”, dice la madre della ragazzina coreana, che sta per andare via, nel continente americano. Lasciare, trovare. L’impossibilità di tenere tutto insieme. Il tema del film. I destini. Come quella parola che il film accarezza, dissemina, lascia colare lungo le scene del film: quella parola coreana che vuol dire “provvidenza”, ma anche destino: “In-yun”. Destino d’amore. Un destino che ci porta a incontrarci, dopo innumerevoli vite precedenti. E senza bisogno di credere alla reincarnazione, è semplicemente una possibilità infinitesimale che, dopo un numero enorme di incroci del Dna, due persone si trovino nello stesso luogo, nello stesso momento, e si accorgano l’una dell’altra.
Destini che si consumano, dolorosi, ferite interiori brucianti, impercettibili agli altri. Mentre guardi il film, hai la netta sensazione che se incrociassi uno qualunque dei tre protagonisti, per strada o in metropolitana, non ti accorgeresti di niente.
È bello, il film, perché mette in scena una New York inedita, non alleniana e non scorsesiana, non struggente e malinconica, niente foglie su Central Park, e neanche notti buie, luride e feroci. È una New York piovosa, bigia, malinconica come la Bretagna d’inverno, o come Stoccolma nei film tratti da Stieg Larsson.
È bello perché parla della caduta delle illusioni. Lei vuole vincere il Nobel, poi – dodici anni dopo – vuole vincere il Pulitzer. Poi il Tony Award. Capisce che, probabilmente, non lo vincerà. Ma non è quello che conta. Vincere un proprio posto nel mondo è già qualcosa di importante, e lei lo ha capito.
bello, Past Lives, per come costruisce l’amore, il sentimento dell’amore, la sensazione di un legame forte che stringe i due protagonisti coreani. Da quando erano bambini, in quelle strade minuscole di una Corea che sembra tanto l’Italia del dopoguerra, o il mondo di Parasite (guarda la video recensione). I parchi pubblici, strane sculture di pietra. Due bambini che giocano. L’immagine semplice, wendersiana, della felicità.
E poi il tempo, stacchi di tempo di dodici anni, aerei che portano via. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”, dice la madre della ragazzina coreana, che sta per andare via, nel continente americano. Lasciare, trovare. L’impossibilità di tenere tutto insieme. Il tema del film. I destini. Come quella parola che il film accarezza, dissemina, lascia colare lungo le scene del film: quella parola coreana che vuol dire “provvidenza”, ma anche destino: “In-yun”. Destino d’amore. Un destino che ci porta a incontrarci, dopo innumerevoli vite precedenti. E senza bisogno di credere alla reincarnazione, è semplicemente una possibilità infinitesimale che, dopo un numero enorme di incroci del Dna, due persone si trovino nello stesso luogo, nello stesso momento, e si accorgano l’una dell’altra.
Destini che si consumano, dolorosi, ferite interiori brucianti, impercettibili agli altri. Mentre guardi il film, hai la netta sensazione che se incrociassi uno qualunque dei tre protagonisti, per strada o in metropolitana, non ti accorgeresti di niente.
È bello, il film, perché mette in scena una New York inedita, non alleniana e non scorsesiana, non struggente e malinconica, niente foglie su Central Park, e neanche notti buie, luride e feroci. È una New York piovosa, bigia, malinconica come la Bretagna d’inverno, o come Stoccolma nei film tratti da Stieg Larsson.
È bello perché parla della caduta delle illusioni. Lei vuole vincere il Nobel, poi – dodici anni dopo – vuole vincere il Pulitzer. Poi il Tony Award. Capisce che, probabilmente, non lo vincerà. Ma non è quello che conta. Vincere un proprio posto nel mondo è già qualcosa di importante, e lei lo ha capito.
È bello perché riesce a raccontare così bene, nel segmento ambientato negli anni dieci del nostro secolo, la difficoltà e l’emozione delle relazioni a distanza, via Skype. L’improvvisa vicinanza fra continenti che le videochiamate hanno regalato. E, insieme, la concreta, tangibile distanza che ancora rimane. La nevrosi, la schizofrenia che domina anche i nostri anni: essere vicini, così facilissimamente vicini, ed essere ancora lontani, così impenetrabilmente lontani.
È bello perché mostra uomini che soffrono. L’amico coreano che piange, nel gruppo di ragazzi a Seoul, perché è stato lasciato dalla sua ragazza: piange senza ritegno, come un bambino. E non è che un primo segnale della sofferenza vera dei personaggi maschili: quella dei due protagonisti, che si trovano ad amare la stessa donna. E per rispetto, per senso dell’onore, per gentlemen’s attitude, o forse per la vergogna di fare qualcosa di meschino di fronte alla donna che amano, non impediscono all’altro di fare le sue mosse. Il ragazzo coreano frenato da un senso del pudore quasi sacro, e l’ebreo americano liberal, che non può andare contro ai suoi princìpi. Entrambi possono solo attendere che sia lei a scegliere.
È un film bello perché non ha fretta, non ha fretta di fare accadere le cose. Perché si prende il tempo necessario, il tempo necessario a camminare sotto Manhattan Bridge, il tempo necessario a scivolare dal volto di lui al volto di lei, senza tagliare, senza ricorrere al campo/controcampo. Il tempo necessario a percorrere quei metri, quelli che vanno da una casa a un angolo di strada, dove un Uber sta per arrivare. È un film fatto di piani sequenza, un film che respira il respiro dei suoi attori.
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Perché questo film sommesso, di una regista al suo esordio, staavendo un successo inatteso, di passaparola? Perché piace sentir parlare della nostra vita, delle nostre paure, del nostro modo di sentire e di amare, anche se nessuno parla in romanesco.
È bello, infine, perché l’amore lo racconta mostrando due persone che stanno nel letto insieme, rannicchiati, con le gambe intrecciate, e non mostrando una scena di sesso, corpi che si avvinghiano, sudore, bagliori e buio.
L’amore può essere anche rifugio, nido, tepore, parole.
“Non ho il diritto di essere arrabbiato”, dice lui, il ragazzo americano, anche se sa che quel ragazzo venuto da un altro mondo, venuto da un altro tempo, ha aperto una voragine enorme nell’anima della sua compagna.
“Tu rendi la mia vita tanto più grande, e mi chiedo se io faccio lo stesso con te”, le dice, mentre sono insieme nel letto. Non c’è forse miglior modo per dire ti amo.
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Il film di Celine Song è sottile, sofisticato, e allo stesso tempo semplice, diretto.
Scorre fluido e denso di trasalimenti, di rimpianti, di sguardi al passato e di afflati di futuro come Before Sunset di Richard Linklater – anche lì due mondi, due persone che si ritrovano, e una grande città da attraversare, nella quale perdersi fino a un taxi da prendere – e ricorda, in qualche modo, lo smarrimento e l’oceano di non detti di Lost in Translation di Sofia Coppola: anche quel film perduto nella invalicabile distanza che separa due anime che si riconoscono, e si desiderano.
È anche un film sugli amori adolescenti, sulle vite non vissute, sul sapore amaro del rimpianto.
È un film sull’esperienza, di sconvolgimento e di rinascita, del migrare da un paese all’altro, da una lingua all’altra, da una sé da abbandonare, come una crisalide e una sé adulta, nella quale abitare.
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Ed è un film che senti estremamente sincero
Splendide le performance dei tre attori, Greta Lee – non dimenticheremo il suo volto – Teo Yoo e John Magaro.
Lei, che ci fa correre fra i suoi doppi, quando passa dal parlare coreano al parlare inglese, dall’identità coreana a quella “americana”. Lui, Teo Yoo, che da una parte è l’impacciato
Poi leggi che Celine Song è al suo esordio. E ti si rovescia addosso, come una pioggia, la speranza.
Nel cinema, e forse anche nelle sorprese che la vita ti può riservare.
Sì, vallo a vedere il film, amico mio! "
Aggiornamento del 21 febbraio :
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crazy-so-na-sega · 2 years ago
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l'inutile scuola delle "persone"
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Né rossi, né neri… Una volta almeno c’erano i liberi pensieri. Oggi, invece, abbiamo un sottoprodotto de-ideologizzato di scuola, dove gli studenti devono vivere come in un centro di rieducazione, scontando non si sa quale “peccato originale” legato al sesso, individualizzati e separati da quella comunità-branco tanto odiata dal mainstream ed osteggiata dalla politica istituzionale.
Valditara vuole mettere al centro la “persona”. Nella storia mai termine fu più generico per qualificare un individuo: si è passati dall’oplite greco al cittadino romano, per arrivare dopo secoli alla “persona”. Un termine neutro che non qualifica alcun progetto dietro le apparenze: nessuna personalità giuridica, sociale, nazionale. La persona altro non è che un oggetto costruito a tavolino, rieducato alle varie culture del pensiero dominante antifascista, fuori dalla storia.
La Scuola Fascista è una scuola al “servizio dello Stato” nel senso in cui Stato non è un apparato burocratico elefantiaco ma espressione di una volontà e di un progetto comunitario. All’individuo astratto, non-cittadino – come fa un individuo così formato a percepire le sue responsabilità rispetto alla Res Publica? – e indebolito dalla “scuola costituzionale” e “rieducativa” che vorrebbe Valditara, il Fascismo oppone una visione di uomo/donna non solo come espressione economica, ma totale: popolare, sociale, associazionistica, comunitaria, solidale, nazionale, eroica.
Il pensiero debole di questi soggetti è il peggior antifascismo, perché costruisce nella Scuola una diga tra le nuove generazioni e la costruzione di una Patria italiana ed europea forte, coesa, non dipendente da nessuna “Carta” che non sia prima da essi scritta. È la scuola della subordinazione alla sconfitta, dell’abdicazione alla volontà, dell’abbandono di ogni progetto di grande politica. È la scuola globalizzata e precarizzante.
Ecco: avremmo preferito un commissario sovietico a Viale Trastevere piuttosto che questo deboluccio funzionario della fine della storia.
-Sergio Filacchioni (Kulturaeuropa)
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lea-mattioli · 1 month ago
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Buongiorno principesse, oggi risveglio traumatico come lo è sempre questa "festa". Invito a essere solidali tra di noi altrimenti non si finisce più di portarci dietro questo dramma dei maschi. Litigare sul femminismo è controproducente, datevi o non datevi le etichette che volete, ma vi prego stiamo sulla stessa linea di pensiero... Chi deve pagare il conto? Facciamo che in realtà non mi va di uscire e che in generale non c'ho una lira. Scherzo naturalmente, non so, il conto fatelo come volete, siate generosi (pago io paghi tu?). In generale non diamo troppa importanza agli uomini anche nelle piccole cose, impariamo che non ne abbiamo mai avuto veramente bisogno e che a stare da sole si impara come vivere veramente. Quei pochi uomini che hanno qualche neurone funzionante oggi fatevi un minimo avanti ma senza esagerare mi raccomando. Quello che voglio fare davvero è circondarmi di donne incredibili e con la testa sulle spalle. Ho molto dispiacere quando vedo donne dopo i 30 avere ancora misoginia interiorizzata, pensare a questo oggi mi deprime perché costituiscono una grande fetta di popolazione, e probabilmente della vita di ogni ragazza giovane che vuole sinceramente cambiare. Vorrei non vedere donne che sprecano la loro vita e il loro tempo per un uomo: fatemi felice, se non oggi da domani, liberatevi. In conclusione questo lo dico perché per mia sfortuna conosco fin troppo bene la mente maschile, dopo anni di discriminazioni e sofferenze, vi dico non ne vale la pena. Dedicato a tutte le incredibili donne che ho incontrato in questi ultimi anni e con cui sono cresciuta e ho compreso me stessa.
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iosonoblu · 1 month ago
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S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
S’i’ fosse papa, serei allor giocondo, ché tutti cristiani embrigarei; s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei? A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; s’i’ fosse vita, non starei con lui: similemente faria da mia madre.
S’i’ fosse N, com’i’ sono e fui, dimostrerei la totale innocenza di Pietro Pacciani nel caso de "Il mostro di Firenze"
Pietro Pacciani non poteva essere il Mostro di Firenze perché le prove a suo carico erano deboli, frammentarie e spesso contraddittorie. Non esisteva alcun collegamento diretto tra lui e la scena del crimine: nessuna impronta, nessun DNA, nessun testimone oculare che lo avesse visto nell’atto di uccidere. L’unico elemento concreto era il racconto dei cosiddetti "compagni di merende", che però cambiarono versione più volte, adattando la loro storia a seconda delle esigenze dell’accusa.
Pacciani era un uomo violento, questo è innegabile: aveva un passato segnato da aggressioni, violenze domestiche e persino un omicidio per gelosia. Ma essere un bruto non significa essere un killer seriale con un modus operandi chirurgico e metodico. Il Mostro di Firenze colpiva con precisione, usando sempre la stessa Beretta calibro .22, e seguiva un rituale quasi maniacale. Pacciani, invece, era impulsivo, rissoso, privo della freddezza e della lucidità necessarie per compiere omicidi così studiati.
Il processo stesso confermò l’incertezza attorno alla sua colpevolezza: condannato in primo grado nel 1994, venne assolto in appello nel 1996 per insufficienza di prove. Se davvero fosse stato il Mostro, com’è possibile che la condanna sia stata ribaltata con tanta facilità? L’arma del delitto, il vero fulcro della questione, non venne mai trovata. Nessuno poté dimostrare che fosse in possesso della Beretta usata per tutti gli omicidi.
In più, aleggiava la teoria che dietro il Mostro ci fosse qualcosa di più grande: un gruppo organizzato, forse persino un circolo esoterico, gente influente e intoccabile. Pacciani, con la sua figura da contadino ignorante e rozzo, sembrava il perfetto capro espiatorio. E come in ogni storia torbida che si rispetti, quando arrivò il momento del nuovo processo, Pacciani morì improvvisamente nel 1998. Morto per cause naturali, dissero. Ma per molti fu una morte comoda, un modo per mettere la parola fine a una vicenda che rischiava di scoperchiare qualcosa di troppo grande.
Forse Pacciani era coinvolto, forse no. Ma la certezza che fosse davvero il Mostro di Firenze non c’è mai stata. E forse mai ci sarà.
Che anonimi acculturati che ho… e ligi alla giustizia.
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raccontidialiantis · 5 months ago
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La zia Lucia
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Lucia era la quinta di sei fratelli. Antonia era la maggiore di tutti e tra le due donne c'erano quindici anni di differenza. Vicende vollero che Lucia avesse ormai quarant'anni e fosse stata lasciata da suo marito cinque anni prima, perché invaghitosi di una sgualdrinella più giovane.
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In occasione di un matrimonio in famiglia, Filippo, l'universitario figlio ventenne di Antonia, con galanteria aveva invitato a ballare sua zia Lucia. Che era bellissima, come sempre. Il ragazzo la adorava letteralmente e dalla pubertà poi le era praticamente devoto: ella infatti rappresentava il suo massimo sogno erotico. Zia Lucia delle sue notti insonni.
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Vivendo a poche decine di metri di distanza, ingressi delle case sullo stesso marciapiede, se l'era spessissimo vista in giro per casa; altre volte invece era stato lui ospite a casa sua. Talvolta aveva intravisto nell'intimità casalinga, grazie alle vesti slacciate o a qualche porta socchiusa, le sue forme perfette di donna matura ma soda. E senza un uomo: che spreco, aveva pensato.
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Ma ora in quella sala e vestita in modo così provocante lei era un vero splendore. Lui ne era attratto magneticamente, perciò l'abbracciava di continuo e la stringeva a sé. Lei gli diceva: “ehi ragazzino, ora basta”, ma dopo cinque minuti lei stessa gli ronzava attorno di nuovo. E gli faceva dei piccoli dispetti: minimi tentativi di seduzione subliminale. Solletico dietro le orecchie. O magari gli soffiava sul collo, gli accarezzava teneramente la testa.
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Lei quella sera si sentiva strana: non aveva mai pensato veramente al suo nipotino come a un uomo, ma ora lo vedeva forse per la prima volta sotto una luce molto diversa dal solito e quindi lo stuzzicava, flirtava per un po’ palesemente e poi si faceva invitare a ballare di nuovo. Dopo un po' si stringeva spudoratamente a lui. Era proprio un gran bel pezzo di gnocco, nel vestito che calzava come fosse un fotomodello. E odorava del caratteristico profumo di dopobarba misto a deodorante maschile di marca che a lei faceva girare la testa.
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Anche se da fuori nessuno poteva notarlo, lei ballando gli si stringeva oltre la decenza: gli premeva forte il bacino contro. Poi, scansando i suoi capelli bellissimi e profumati, apriva con nonchalance il suo collo nudo al contatto della bocca del ragazzo e ogni qualvolta egli “casualmente” per un istante vi poggiava sopra le labbra, lei gemeva di piacere al suo orecchio, carezzandogli la nuca e premendogli più forte il bacino contro.
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Filippo stava per scoppiare, travolto dal profumo e dal contatto intimo con quel corpo meraviglioso di donna in pieno rigoglio a sua disposizione. Lei lo invitò per l'indomani a casa, perché voleva parlargli di alcune cose. Per il suo bene, naturalmente. Perché oramai era un uomo fatto. E ci sono certe cose che… Perciò, di mattina Filippo si recò da lei. I due figli piccoli di Lucia erano entrambi fuori a scuola e lei aveva preso un giorno di ferie apposta. Lo fece sedere di fronte a lei e si tolse pian piano tutti i vestiti di dosso.
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Il ragazzo era paralizzato da quello spettacolo meraviglioso, dal piacere ma anche dal pensiero di star forse commettendo peccato. Non ci poteva credere! La zietta a lungo sognata, uno specchio di virtù coniugale, era invece una vera e grande porca. Allora, pensava, forse tutte le donne lo sono… Lucia infine restò nuda sul divanetto davanti a lui e gli sorrise, maliarda e irresistibile, con le gambe allargate e la fica completamente aperta.
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Lui poteva sentire il profumo delle sue parti intime e goderne. Stava per svenire. Da ultimo, la donna si sfilò le mutandine e gliele lanciò. Gli ordinò: “chiudi gli occhi e odorale. Sentirai l’aroma di una donna che ti vuole. E capirai da quel profumo di cosa ha bisogno una bella donna come me.” Dopodiché iniziò a sgattaiolare sul pavimento verso di lui. Nuda, bellissima e sensualissima…
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Lo raggiunse, gli slacciò i pantaloni e gli tirò fuori l'uccello. Gli disse che stava scoppiando di voglia, che erano anni che non prendeva il cazzo di un uomo e che di fatto solo lui, oramai uomo maturo ma ancora non impegnato, poteva capirla e aiutarla.
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Perché lei non desiderava certo farsi una cattiva nomina in paese, sporcare ulteriormente il buon nome della sua famiglia. Che con lui le cose sarebbero rimaste in un certo senso molto riservate e assolutamente segrete… “mi raccomando: neppure tua madre lo dovrà mai sapere, mi sembra ovvio, no?”
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E poi era proprio ora che lui facesse pratica, per non far brutta figura con le ragazze che presto sarebbero arrivate nella sua vita. Non disse altro e quindi, non resistendo più, si tuffò golosa sull'asta del giovane che quasi scoppiava. Lo inghiottiva tutto e lo lavorava sapientemente di lingua. Ma dopo alcuni minuti:
"Zia Lucia, basta per favore…"
"Che c'è: non ti piace come ti spompina la zia? Devo aumentare il tiraggio, tesoro mio?"
"No, no… Va tutto bene, per carità! Ma il fatto è che da quando ero adolescente io non desidero altro che scoparti; lo sogno, lo voglio con tutta l'anima…"
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Lucia allora rise di gola. Lo prese per mano, lo portò in camera, lo fece spogliare nudo e intanto lei si mise sul letto a pancia sotto. Filippo si gettò su quella grazia divina e la infilò in culo quasi a freddo. Il dolore per la penetrazione secca, fatta soltanto con un poco di sputo, in lei subito mutò in lunghi e crescenti brividi di piacere. Mentre pompava, il giovane prese a giocare con quelle grosse mammelle calde. Poi la girò e baciandola con trasporto la scopò da davanti: le leccava le tette, se ne infilava una tutta in bocca, mentre strizzava e titillava dolcemente il capezzolo di quella libera.
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Poi invertiva il gioco dei seni. Lucia godeva, godeva e godeva. Finalmente aveva un cazzo nella fica. E che cazzo! Dopo tutti quegli anni. Mentre Filippo le sussurrava con voce roca dall’eccitazione: “sei una vera porca, una puttana da riempire di sborra, zia Lucia. E io ti sfonderò, ti farò dire basta…”
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Lei in cambio gli diceva: “oh, caro, caro… nipote mio! Fottimi, sfondami, fammi tua. Fai godere la tua zietta come solo tu, giovane stallone ventenne, puoi fare. In seguito cercheremo il modo per continuare, noi due: ti farò scopare e godere spesso, vedrai. Ti darò le chiavi del paradiso.”
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A sentire quelle parole, il ragazzo prese a montarla con foga maggiore e una furia tale che Lucia a un certo punto ebbe un orgasmo talmente forte che urlò, perse il controllo e allagò il letto. Lui in quel frangente le sborrò dentro: lentamente ma continuamente, per due interi minuti.
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Con fiotti regolari. Sembrava inesauribile. Si riposarono un po’. Si prepararono un tè. Dopodiché lei per ringraziarlo gli riprese a lungo in bocca l'uccello, lo portò di nuovo a morire di piacere e lo fece sborrare dentro la sua bocca. Ingoiò di gran gusto il suo seme fresco.
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Anche qui finalmente di nuovo il sapore che preferiva di un uomo: quanto le era mancato! Adorava farsi venire in bocca e ingoiare un carico di sana e salutare sborra. Stavolta la venuta di quel cazzo benedetto fu più breve, ma il piacere sia del ragazzo che della donna fu ugualmente intenso.
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Lei a quel punto gli spiegò il programma della prossima volta: lei avrebbe indossato il collare. Lui l'avrebbe dovuta tenere al guinzaglio e portarla in giro per casa, dandole degli ordini e facendosi leccare spesso l'uccello, le palle. Ordinandole infine di spompinare. Poi, una volta venuto, l'avrebbe dovuta sculacciare forte. Molto.
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Quando avrebbe pianto e le natiche le si fossero arrossate completamente, solo allora lui gliele avrebbe dovute leccare e baciare. Per raffreddargliele e lenirne la sofferenza. Quella donna a lungo repressa voleva soffrire, piangere di dolore e quindi gioire. Voleva essere dapprima umiliata e infine posseduta. Dopo averle baciato e leccato le natiche, sarebbe dovuto passare con la lingua a lubrificarle a lungo l'ano. Per poi finalmente incularla e spaccarle il culo.
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"Voglio che tu mi rompa il culo, con vigore. Mi prenderai per i capelli e non potrò sfuggirti. Anche se ti implorerò, anche se vedrai che piango, tu sfondami pure tranquillo. Io sogno di farlo così. Voglio sentirti sborrare nelle mie viscere. Da stasera mi preparerò, tenendomi lubrificata ogni giorno e cercando la sera di allargarmi l'ano con un dildo per facilitarti. Terrò dentro di me un plug di dimensioni XL ogni notte: lo farò solo per te, tesoro."
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Al marito non aveva mai consentito di entrarle nel culo, ma ora che c'era lui, quel bel pezzo di ragazzone sexy, lo voleva ovunque nel suo corpo e con tutte le sue forze. Per legarlo ancor di più a sé, gli si sedette in grembo, gli diede i seni sul viso e se li fece di nuovo succhiare a lungo; lo nutrì di sé. Il ragazzo fu infatti felice, quando alcune gocce di latte si depositarono sulla sua lingua.
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Filippo la succhiò avidamente per una mezz’oretta. Quindi si inginocchiò, le leccò rapidamente i piedi, poi decisamente più a lungo le mangiò la fica e così Lucia venne un'ultima volta. Prima di uscire, le diede un casto bacio sulla guancia e le disse semplicemente: “grazie, zia Lucia.” La donna arrossì timidamente. In fondo, lei era soltanto un altro essere umano, seminascosto dietro un portone. Con un grande cuore, semplicemente in cerca di risposte e di un po' d’amore.
“Sei sulla Terra, non c’è una cura per questo” (Samuel Beckett)
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RDA
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gregor-samsung · 8 months ago
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“ Scoprii che i pasti caldi mi avevano cambiato la vita: adesso, infatti, per mangiare ci voleva molto meno tempo, e ciò mi dava agio di mettere ordine nei miei pensieri. Oswald usava il tempo così risparmiato per andare a caccia, papà per fare i suoi esperimenti; io lo dedicavo in buona parte all'introspezione. E mi resi conto, con un certo sbigottimento, che sopra le mascelle e dietro gli occhi avvenivano tantissime cose, indipendentemente da ciò che poteva avvenire al di fuori. Così indipendentemente, in verità, che gli eventi interiori continuavano anche mentre dormivo, e ancor più vividi: ma allora perdevo ogni controllo su di essi, che diventavano una specie di immagine riflessa, come su uno specchio o sull'acqua, del mondo spaziale in cui si muovevano le membra esterne. Ma anche in quell'altro mondo avevo un corpo: un corpo ombra, che talvolta sfrecciava da un punto all'altro a cento chilometri all'ora, e altre volte sembrava radicato al terreno, quando volevo disperatamente scappare per salvarmi da un leone. Non era sufficiente liquidare tutto ciò come sogno, perché faceva parte della realtà con altrettanta concretezza della mia ascia di selce. Una cosa che succedeva. Imprevedibile e spaventoso era il mondo esterno; ancora di più lo era quello interiore.
Una notte, ad esempio, nella terra dei sogni, un leone mi inseguì per ore e ore, e alla fine riuscì a mettermi con le spalle al muro. Disperato, gli scagliai contro la lancia… ed eccola diventata una leggerissima canna! Pure, vola rapida nell'aria e trafigge il leone come se fosse il gibbone che avevo mangiato arrosto la sera. In qualche modo assurdo, inoltre, il leone era il gibbone. E proprio in quella il leone disse allegramente: «Finalmente, Ernest, hai fatto qualcosa per la specie! Hai sconfitto il re degli animali. Ora le possibilità sono magnifiche: ben sfruttate, condurranno la subumanità ai vertici dell'evoluzione.» «Gloria, gloria, alleluia! I miei occhi vedono la fine del Pleistocene!». Mi svegliai tutto sudato e tremante, sotto le stelle, con la voce di papà che mi risuonava nelle orecchie. “
Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, traduzione di Carlo Brera, Adelphi (collana Gli Adelphi n° 185), 2003⁴, pp. 129-130.
[Edizione originale: The Evolution Man, 1960]
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mestruazioni · 2 years ago
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dissonanza cognitiva
io: si va beh mamma ma adesso non mi pare il caso di fare un lutto nazionale per il berlusca
mia mamma: era un grandissimo imprenditore, amava tutti i suoi dipendenti, il fidanzato di X quella che mi faceva le unghie lavorava per lui e diceva che stringeva la mano a tutti e li conosceva tutti per nome. anche quelli che lavoravano dietro le quinte come costumisti e sarti. era un grande uomo buono
io: ma scusa questo conosceva per nome tutti i suoi dipendenti e non era a conoscenza di chi gli entrava in casa, soprattutto se minorenni?
mia mamma: AH PERCHE' TU ADESSO TI METTI A CHIEDERE LA CARTA DI IDENTITA' A TUTTI QUELLI CHE PORTANO I TUOI AMICI EH
io: ma onestamente siamo quasi 30enni nessuno dei miei amici -
mia mamma: SEI PROPRIO UNA POVERA COMUNISTA GUARDA
io: ma mamma io e i miei amici all'alba dei 30 anni non conosciamo ragazzini di 18 e 17 anni e in ogni caso non entrerebbero in casa mia, cioè, [mia cugina di 17 anni] te la guardi in faccia e la scambieresti per una 20enne? anche no dai. perchè noi che abbiamo 30 anni non usciamo neanche con i 18enni figurati i minorenni ma uno di 70 anni se li portava in casa o si portava in casa amici che poi portavano i ragazzini?
mia mamma: SMETTILA CHE QUELLE GLI SI LANCIAVANO ADDOSSO. NON ASPETTAVANO ALTRO
io: ma come fai a vedere il problema nella 17enne che non sa neanche da che parte è girata ma che vuole sfondare e fare i soldi in qualche modo e non vedere i problema nel maiale 70enne che se la vuole scopare
mia mamma: ADDOSSO GLI SI BUTTAVANO. IL PROBLEMA SONO I GENITORI
io: ho capito concordo ma anche il maiale che se le scopa o se le vuole scopare è il problema
mia mamma: HA FATTO TANTO BENE A QUESTO PAESE
io: okidoki mamma vado al lavoro tvb ciao
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sussurri-neon · 7 months ago
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Peaky Blinders
Lettera di Thommy a Grace:
È notte Grace. Una silenziosa e interminabile notte. Una piccola luce illumina questo pezzo di carta che timidamente tengo tra le mani. Mani che tremano, sussultano a ogni pensiero che ho di te. Avrei voluto dirti tante cose e solo ora, dopo la tua morte, mi rendo conto che è tutto svanito, consumato dal tempo. Eppure qui, seduto su questa scrivania, la mente vaga, svuotata da ogni discorso provato, ogni parola analizzata, ogni emozione sentita.
L’averti persa è stato un imperdonabile errore. Un martellante dolore che mi logora giorno dopo giorno.
L’ultimo schiaffo di una vita che mi consuma, alla quale ho ceduto per mettermi in costante discussione. Sebbene abbia deciso io stesso di vivere così l’esistenza, la mia attuale inadeguatezza nei confronti degli affari e della gestione familiare mi attanaglia. La guerra è ancora oggi un demone che non riesco a uccidere, lo è per tutti qui. Dopo la tua morte sono in bilico e non riesco a perdonarmi.
Io mi odio Grace.
Mi odio perché dopo tanti anni hai distrutto ogni mia certezza. Dopo tanti anni mi hai reso debole, scioccamente fragile. Mi hai dato un motivo per credere che la vita potesse ancora sorprendermi. Ero accecato, vivevo un’illusione. Nel mio lavoro, nel mio ambiente, non esiste spazio per cedere alla gioia. Non esiste spazio per credere all’amore. Ho ceduto lo ammetto, e con l’amore mi son trascinato dietro il rimpianto.
Nei loro occhi ti vedo, Grace. Negli occhi di tutti.
Posso osservare Il loro dispiacere, Il loro malcontento, i loro dubbi sulle mie decisioni e sul mio stato fisico. Se solo mi vedessi ora, saresti spettatrice di un uomo distrutto. E adesso non so davvero cosa fare. Tuttavia ho deciso di non mentire più, né a te né a me stesso.
La verità è che l'odio non è altro che un pretesto.
Un silenzioso rifugio per non ammettere a me stesso la verità. È semplicemente una maschera.
Una proiezione di quello che penso nei miei riguardi. Della mia arroganza e spavalderia.
Ti ho sempre amata Grace, questa è la più grande delle verità.
Ed è con questa verità che urlo con disperazione il tuo nome. Con questa verità hai riportato in vita una parte di me, distrutta dalla guerra. Una fenice che risorge dalle ceneri. Perché in questa casa, ogni cosa è un ricordo di noi. Ogni muro, quadro, tavolo e tappeto. Questa casa siamo noi, in un mortifero dipinto che svanisce. I colori sembrano sempre più grigi e io sto perdendo lucidità, Grace.
Non riesco ad affrontare come dovrei gli affari di famiglia. Sono pilotato dalla rabbia e dalla frustrazione.
Il mio freddo raziocinio brancola nel buio, lo stesso buio nel quale vivo dopo la tua scomparsa. Sei stata sfortunata a incontrarmi Grace, è la terrificante storia della mia vita. Chiunque sia vicino a me, prima o poi paga un prezzo per le mie azioni. In questo mondo crudele dove viviamo non esistono il bene e il male, la guerra me lo ha insegnato molto bene. In questa vita esistono solo il rispetto, gli affari e la famiglia, l'unica cosa realmente importante e da difendere.
La famiglia. Eri parte della mia famiglia. Lo ammetto, seppur in ritardo. E mi maledico.
Maledico l'esserti stato lontano per tutti questi anni. Oggi, nel buio, riesco ancora a osservare i tuoi occhi. Riesco a vederti come se fosse la prima volta. Di fronte a me sei nitida, danzi con addosso ancora quei vestiti, camicetta bianca e gilet rosso. Un tulipano, splendente e solitario.
Riesco a sentire la tua voce e tu che canti per me.
Un canto meravigliosamente triste. Quelle lacrime, ieri come oggi, solcano ancora il mio viso e annacquano il mio whisky. Maledetto whisky, mi brucia in gola come un fuoco. Un implacabile incendio che mi tormenta e allieta al contempo.
Non mi fa pensare, non mi fa ricordare.
Eppure è giunto il momento di ricordare. È giunto il momento di affrontarti, per l'ultima volta e da uomo.
il momento di affrontarti, per l'ultima volta e da uomo.
Nostro figlio Charles assomiglia sempre più a te.
È un ragazzino in gamba, combatto e combatterò sempre per lui, un giorno prenderà con fierezza il mio posto. Anche per lui ti scrivo, anche per lui ti ricordo, con un ultimo tributo.
Questa sarà l'ultima notte in cui mi torturerò. Una lettera dall'America minaccia me, i Peaky Blinders e le mia famiglia. Queste poche parole sono il mio addio per te. Spero tu possa capire, solo tu ne sei in grado. Devo lasciarti alle spalle, per il bene di nostro figlio e dei nostri cari. Questo piccolo e insignificante sfogo rimarrà un segreto tra me e te, silenzioso, come le parole e i gesti che hanno caratterizzato la nostra storia.
Ti ringrazio per avermi ascoltato ancora, per l'ultima volta. Ti ringrazio per aver fatto parte della mia vita e ti ringrazio per avermi fatto dono della capacità di poter vedere il mondo con altri occhi. Poter vedere Thomas Shelby prima della guerra. Ricordarlo e ammirarlo. Lasciare dentro al mio cuore il giusto spazio che merita. Con questa consapevolezza ti ringrazio e ti lascio andare.
Ti ringrazio, addio Grace.
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susieporta · 10 months ago
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Grandi parole di Albert Einstein:
"Non sono arrivato a capire le leggi fondamentali dell'universo attraverso la mia mente razionale. ”
"Per quanto riguarda il caso, ci siamo sbagliati completamente. Ciò che chiamiamo materia è energia, le cui vibrazioni sono talmente basse che si nota ai sensi. La materia è ridotta alla visibilità della mente. Non importa. ”
"Il tempo e lo spazio non sono condizioni in cui viviamo, ma condizioni in cui pensiamo.
I concetti fisici sono creazioni libere della mente umana e non sono, comunque possa sembrare, determinati dal mondo esterno. "
"Il tempo non esiste - l'abbiamo inventato noi. Il tempo è quello che dice l'orologio. La differenza tra passato, presente e futuro è solo una testarda illusione. ”
"Penso 99 volte e non trovo niente. Smetto di pensare, nuoto in silenzio, e la verità mi viene in mente. "
"L'intellettuale ha poco da fare sulla via della scoperta. C'è un salto di coscienza, chiamala intuizione o come ti pare, la soluzione ti arriva e non sai come e perché. ”
"Una persona sperimenta se stessa, i suoi pensieri e sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una sorta di movimento di consapevolezza ottica. Questa illusione è per noi una sorta di prigione, che ci limita ai nostri desideri personali e all'affetto per poche persone a noi più care. Il nostro compito deve essere liberarci da questa prigione allargando il nostro cerchio di compassione per abbracciare tutti gli esseri viventi e tutta la natura nella sua bellezza. "
"La nostra separazione l'una dall'altra è un'illusione ottica. "
"Quando qualcosa vibra, tutti gli elettroni dell'universo risuonano con esso. Tutto è collegato. La più grande tragedia dell'esistenza umana è l'illusione della separazione. ”
"La realtà è solo un'illusione, anche se molto persistente. ”
"Siamo anime vestite di abiti biochimici sacri e i nostri corpi sono gli strumenti con cui le nostre anime suonano la loro musica. ”
"Come percepisci la vita di alcune delle persone più influenti che abbiano mai camminato tra noi, scoprirai un filo che le attraversa tutte. Si adattano prima con la loro natura spirituale e prima dopo con il loro io fisico. ”
"Il vero valore di una persona si trova nella misura in cui ha raggiunto la liberazione da se stesso. ”
"Gli antenati sapevano qualcosa che sembra aver dimenticato. ”
"Più imparo sulla fisica, più sono attratto dalla metafisica. ”
"Ho imparato una cosa in una lunga vita: che tutta la nostra scienza, misurata dalla realtà, è primitiva e infantile. Ancora non conosciamo il millesimo dell'uno per cento di ciò che la natura ci ha rivelato. È abbastanza possibile che dietro la percezione della nostra mente si nascondano mondi di cui non siamo a conoscenza. ”
"Non sono ateo. Il problema è troppo grande per le nostre menti limitate. Siamo nella posizione di un bambino che entra in una grande biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto dei libri. ”
"L'idea generale che io sia ateo si basa su un grosso errore. " Chi interpreta le mie teorie scientifiche in questo modo non le ha comprese. "
"Ogni cosa è determinata, ogni inizio e fine, da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. È determinato per l'insetto e per la stella. Persone, verdure o polvere cosmica, tutti danziamo su una melodia mistica, accordata in lontananza da un pipone invisibile. "
"La religione del futuro sarà una religione cosmica. Andrà oltre un Dio personale ed eviterà dogmi e teologia. ”
"L'energia non può essere creata o distrutta, può solo essere trasformata da una forma all'altra. ”
"Tutto è energia e questo è tutto quello che c'è. Regola la frequenza della realtà che vuoi e non puoi che riceverla. Non può essere altrimenti. Questa non è una filosofia. Questa è fisica. ”
"Sono felice perché non voglio niente da nessuno. Non mi importa dei soldi. Decorazioni, titoli o premi non significano nulla per me. Non voglio elogi. Non mi prendo il merito di niente. Un uomo felice è troppo soddisfatto del presente per preoccuparsi troppo del futuro. "
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