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LA FEDELTÀ AD UN CAPO – Gianfranco Isetta. Una riflessione poetica sulla cieca obbedienza e la perdita dell'umanità. Recensione di Alessandria today
Gianfranco Isetta, con la sua poesia LA FEDELTÀ AD UN CAPO, ci porta dentro una dimensione inquietante e carica di significato, dove la devozione cieca si trasforma in negazione della propria umanità.
Gianfranco Isetta, con la sua poesia LA FEDELTÀ AD UN CAPO, ci porta dentro una dimensione inquietante e carica di significato, dove la devozione cieca si trasforma in negazione della propria umanità. Il componimento, asciutto e incisivo, scava nel tema del potere, dell’obbedienza assoluta e della menzogna che avvolge coloro che si annullano per seguire un leader, rinunciando alla propria…
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Professore essere come “[tizio] è pimpante o sonnolento a lezione?” io essere come “è abbastanza vivo”
#madonna oggi ho fatto fare una gita dal ferramenta a un professore poi ho vissuto un momento di culto della personalità con francesco costa#e nel mentre mi sono dovuta ricordare di essere una persona debole innamorandomi platonicamente dell’ennesimo uomo biondo#o tutto o niente signora mia eh
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un Re che fa il Re. Dietro, fuori da quadro, un politicante socc'alista già fuggito dalla folla ruggente e incazzata (non indignata, è diverso) verso la quale non sa e non vuole prendere impegni, potrebbe solo menarla col ve l'avevo detto climaterico, a rischio di dovuto linciaggio.
Il punto non è che il primo sia un re e l'altro no - che pure je piacerebbe esserlo, all'aristo-comunista d'elite intriso di culto della personalità hitler-staliniana. E' una questione di cojones e sensibilità.
Le quali non sono solo doti umane e chi non ce l'ha non se le può dare: il personaggetto in fuga è solo il risultato di una precisa SELEZIONE INNATURALE DEI PEGGIORI da parte di un sistema criminogeno in mano al burostato: chi si somija si pija.
Per mitigare, non eliminare del tutto, il danno: socialismus statalis delendum esse.
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La novità degli ultimi anni è quella della proliferazione di un nuovo modello di leadership che non ha più alcun riferimento all’appartenenza ideologica.
I nuovi leader politici sembrano avere adesso come modello gli influencer, i quali esercitano un potere di condizionamento su milioni di persone che però non riguarda più le grandi scelte sociali, le opzioni politiche o il conflitto tra diverse concezioni del mondo, ma che investono invece le forme collettive del consumo, ivi compreso quello elettorale.
È il punto di massima convergenza tra le nuove leadership politiche e gli influencer: la ricerca spasmodica del consenso e la cura della propria immagine, il culto individualistico della personalità che sostituisce il riferimento più ampio ai valori collettivi, l’ammiccamento seduttivo ai contenuti e alle idee.
Si tratta di una leadership disossata, evanescente che non ha più alcun rapporto etico con la parola poiché ne cambia la sostanza seguendo ogni volta la direzione del vento prevalente.
- Massimo Recalcati
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FREUD ERA UN CIALTRONE
Le teorie di Freud sono state ampiamente criticate come non scientifiche, e il trattamento dei disturbi mentali si è sempre più rivolto ai farmaci psicotropi e a terapie efficaci come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). L'impatto di Freud sul pensiero del XX secolo è innegabile, ma ha sbagliato quasi tutto. Crews ha avuto accesso a materiali non disponibili ai biografi precedenti. La vasta corrispondenza iniziale tra Freud e la sua fidanzata, Martha Bernays, è stata rilasciata solo di recente e rivela molto sui difetti di carattere di Freud, le sue attitudini sessiste e il suo uso regolare di cocaina. Freud era formato come scienziato, ma si è allontanato, seguendo intuizioni selvagge, scendendo volontariamente nella pseudoscienza, coprendo i suoi errori e stabilendo un culto della personalità che è sopravvissuto a lungo dopo di lui. Il suo lavoro scientifico iniziale era disordinato e mancava di approfondimento. Ha "criticato abilmente le conclusioni premature raggiunte da altri ma non ha mai testato in modo cruciale nessuna delle sue ipotesi". Era pigro, riluttante a raccogliere prove sufficienti per assicurarsi che una scoperta non fosse un'anomalia; generalizzava da casi singoli, usando persino se stesso come caso unico. In un primo articolo, "On Coca", ha dimostrato scarsa erudizione, omettendo riferimenti cruciali, citando riferimenti da un'altra bibliografia senza leggerli e commettendo errori grossolani (sbagliando nomi, date, titoli e luoghi di pubblicazione). Trattava ricchi mondani viziati. Il suo atteggiamento verso di loro era cinico; fornivano una fonte costante di reddito non guarendo, e in un caso tornò di corsa a vedere un paziente per paura che potesse guarire in sua assenza. Aveva poca simpatia per i suoi pazienti; disprezzava attivamente la maggior parte delle persone, specialmente quelle delle classi sociali inferiori. Era un misogino che credeva che le donne fossero biologicamente inferiori. Trattava sua moglie in modo abominevole. Poche delle sue idee erano originali. Plagiava. Prendeva idee dai rivali ma poi le retrodatava e le trattava come proprie. I suoi debiti verso gli altri erano inizialmente riconosciuti, ma "eventualmente soppressi a favore dell'appeal specioso all'esperienza clinica." Era "attivamente evasivo, malizioso e disonesto" nel coprire i suoi errori. Crews riporta molti casi in cui riscriveva la storia, cambiando la narrazione per mettersi in una luce migliore. Inventava cose al momento, cambiando costantemente le sue teorie e metodi senza fare alcun reale progresso verso un trattamento efficace. Se un paziente non era d'accordo con la sua interpretazione ("No, non sono innamorato di mio cognato."), ciò rafforzava solo la sua convinzione di avere ragione. Violava la riservatezza dei pazienti. Se un ex paziente migliorava dopo aver lasciato il suo trattamento, se ne prendeva il merito. Era cieco ai pericoli del bias di conferma.
I redattori delle lettere di Freud e altri documenti erano membri del suo culto e erano disonesti. Il confronto con i documenti originali mostra che cambiavano parole e omettevano passaggi che pensavano lo avrebbero fatto sembrare male. Hanno "nascosto sotto il tappeto le prove più incriminanti." Per esempio, "Delle 284 lettere che Freud scrisse a Fliess, solo 168 erano rappresentate, e tutte tranne 29 subirono alterazioni diplomatiche e spesso silenziose." Uno dei casi fondamentali della psicoanalisi, il prototipo di una cura catartica, fu il caso "Anna O" riportato in un libro di Breuer e Freud. Dissero che era guarita dopo il trattamento di Breuer, ma non era vero. Infatti, peggiorò e fu ricoverata in ospedale. Dopo aver lasciato il trattamento psicoanalitico, migliorò da sola e alla fine condusse una vita di successo come attivista contro il commercio sessuale. (Questo fu interpretato in termini psicoanalitici come un mezzo per desiderare inconsciamente di impedire a sua madre di avere rapporti sessuali con suo padre!) Probabilmente non aveva nemmeno una malattia psichiatrica, ma piuttosto una fisica, neurologica, e molti dei suoi sintomi più inquietanti furono causati dalla dipendenza da morfina che Breuer le aveva inflitto. L'interpretazione del caso da parte di Freud contraddiceva i fatti: o stava mentendo o esprimeva un suo delirio. Trovò il suo vero mestiere come narratore, usando aneddoti dalla sua storia clinica per illustrare come la sua mente fosse "guarita" dalla confusione sull'origine dei sintomi misteriosi. Descriveva avventure dell'intelletto. Il suo orientamento era più letterario che scientifico. Crews dice: "Freud era una sorta di specialista nel cogliere preziose ammissioni da persone che non potevano essere raggiunte per verifiche." La sua "pratica standard era quella di diffamare i suoi ex associati non appena ponevano un ostacolo ai suoi obiettivi."
testo tradotto da chatgpt (se volete la versione originale in inglese è questo il sito)
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COME SI GESTISCE UNA RELAZIONE CON UN NARCISISTA❓
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Sempre più spesso sentiamo parlare di narcisismo o di personalità narcisista come se, negli ultimi tempi, la diffusione della conoscenza di questo concetto sia in aumento. A cosa possiamo attribuirlo❓
Probabilmente, la diffusione della psicologia, tramite social media ed internet, ha agevolato una presa di coscienza di ciò che c’è intorno e di cosa ci succede; sempre più, termini e concetti propri dell’ambito psicologico emergono con forza nella vita di tutti i giorni e diventano argomento di discussione.
Una delle domande che si sta diffondendo sempre di più riguarda il modo in cui occorre approcciarsi ad un narcisista. Come riuscire ad avere e a mantenere una relazione❓
La figura del narcisista attira e incuriosisce e, nonostante a tutti noi sia capitato di conoscerne uno, per molti non è ancora chiaro chi sia realmente.
Chi è il narcisista❓
Come già accennato, la figura del narcisista è probabilmente una delle figure più affascinanti non solo della mitologia, ma anche della psicologia. Tutti si chiedono realmente chi sia davvero il narcisista, quali caratteristiche lo contraddistinguano e come riconoscerlo in breve tempo. Tutti noi ricordiamo la famosa storia in cui Narciso si innamorò della propria immagine; il fatto che ad oggi ci sia un disturbo con questo termine non è casuale.
Si definisce narcisista chi è affetto da narcisismo e quindi dedito al culto esclusivo di sé e della propria personalità. Effettivamente, c’è un chiaro parallelismo tra il mito di Narciso e il narcisista.
Quello che è necessario sottolineare è che questo tipo di caratteristica è, in un certo senso, “normale”: tutti noi, in un certo modo, siamo narcisisti. Chi non ama essere al centro dell’attenzione o essere ammirato❓Insomma, a tutti noi piace. E proprio per questo, molti possono dedicarsi alla cura di sé e della propria immagine.
Il narcisismo, però, può essere visto come un continuum, fino ad arrivare alla vera e propria patologia. Quindi, effettivamente, la personalità narcisistica può anche essere patologica e caratterizzare il narcisista che si sente, appunto, magnifico, con un’autostima molto alta e in un certo senso “esagerata”; egli crede in ciò che fa e crede che questo suo essere gli consenta di “fare e avere tutto”.
I tratti distintivi del narcisista, infatti, sono l’amore verso se stesso, che si esprime tramite un continuo parlare di sé. Ama essere al centro dell’attenzione e vuole che gli altri parlino continuamente di lui; questo, inevitabilmente, lo porta a non ascoltare nessuno. Insomma la conversazione è su di lui e tenuta da lui. Inoltre, ha bisogno di continue attenzioni: gli occhi devono essere sempre puntati su di lui.
Ha un bisogno continuo di conferme, rispetto alla sua grandiosità: proprio per questo non accetta le critiche, non riflette su se stesso o su ciò che gli viene detto. Tutto ciò di cui ha bisogno❓Un senso di ammirazione e di approvazione dagli altri. Insomma, essere in disaccordo è fuori discussione.
La caratteristica che può lasciarci davvero stupiti❓Il fatto che è incapace di mostrare empatia. Insomma, non è da tutti essere empatici e dare conforto e supporto all’altro. E in questo, il narcisista, è davvero una “frana”; spesso appare crudele, non empatico e soprattutto un manipolatore. Difficilmente riesce a mettersi nei panni dell’altro e a comprendere i suoi stati emotivi.
Come ci si relaziona con chi soffre di narcisismo
Esiste un modo per poter approcciare una persona che appare egoista, crudele, manipolatrice e senza alcun riguardo per l’altro❓
Insomma, un bel dilemma… ed una domanda difficile a cui dare una risposta ben precisa. Sicuramente una relazione con un narcisista non è semplice perché l’altro ha quasi sempre la sensazione che il rapporto sia, in un certo senso, unilaterale. E in questa relazione, il narcisista riceve e basta; infatti, come afferma la criminologa Mammoliti:
“Il narcisista manipola, quindi pensa sempre, anche nella relazione, di ottenere vantaggi propri, che si concretizzano in una vampirizzazione energetica. I narcisisti prendono tutto e all’altro non danno niente, anzi continuano a pretendere di essere ascoltati, seguiti, assecondati in tutto e per tutto. Alla prima ‘disconferma’ provano un’eccessiva permalosità che li porta al ritiro. Più precisamente, quando non sono assecondati si ritirano in se stessi e scartano il soggetto che è nella relazione.”
Da tutto ciò, l’unica soluzione possibile sembrerebbe quella di rompere la relazione con un narcisista e lasciarsi travolgere da un’altra passione.
Molto utile è, invece, cercare di analizzare e capire ciò che può esserci dietro una personalità del genere. Insomma: cosa lo ha reso così❓
È stato dimostrato che, spesso, questo problema è dettato dal DNA, quindi da una parte biologica. Ma non c’è solo questo: fondamentali sono le sue esperienze di vita.
E in questo, il narcisista ha avuto un passato ben chiaro: spesso, infatti, ha avuto un’infanzia caratterizzata da sentimenti di grandiosità, che gli sono stati trasmessi e, in un certo senso, “inculcati”. Probabilmente è stato un bambino sempre super apprezzato, amato e idealizzato e alla fine, anche lui ha creduto in tutto ciò.
Spesso, tutto ciò nasce da un profondo senso di inadeguatezza e da una bassa autostima: in questo caso, il bambino ha vissuto l’infanzia con persone che gli hanno trasmesso questo basso valore di se stesso… e cosa ha fatto, quindi, il futuro narcisista❓Semplicemente si è difeso e si è creato un’autostima alta e un’idea di sé totalmente grandiosa.
Insomma, dietro ogni persona c’è una storia e anche lui ne ha una. La cosa migliore da fare, per avere una relazione con lui, è scoprire chi è realmente e cosa c’è dietro quell’apparente immagine di grandiosità.
Consigli per gestire un rapporto con un narcisista
Quello che dobbiamo chiederci è: “amiamo quella persona"❓Vale la pena affrontare ciò che può sembrarci “troppo grande”❓
Se la risposta è positiva, e sentiamo di amare davvero l’altro, bisogna fare qualche sforzo. Ogni persona ha una storia e ha delle caratteristiche peculiari. Insomma, per fortuna siamo tutti diversi. Ma quindi perché non scoprire la sua storia❓Perché non dargli una seconda possibilità e conoscere realmente chi è e cosa desidera davvero❓
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Lo stile autocrate e personalista del governo di Francesco è macchiato anche del peronismo: il papato viene desacralizzato alla massima potenza, arrivando al culto della personalità dell’uomo.
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Analisi dei fregi ed epigrafi di San Gregorio a Pietracupa
Lo studio di ricerca sul caso insolito, del portale antico di San Gregorio a Pietracupa, procede, e non senza intoppi purtroppo.
Rimane enigmatico il casato al quale appartenga lo stemma, della committenza che commissionò l'intera opera al magister Riccardo di Simone, anche se per questa circostanza, ci sembra opportuno avanzare l'ipotesi possa trattarsi di una personalità del posto, che ebbe a che fare con questo feudo e con il luogo di culto stesso, forse il signore Roberto di Pietracupa, al quale stiamo cercando di collegare i due blasoni muniti di tre caprioli, due rosette ed uno sfondo apparentemente rosso, in base ai residui che si trovano su tutta l'architrave.
Nel rettangolo sottostante, ecco evidenziata meglio l'intera epigrafe che attesta il lavoro di Riccardo, con alcune ipotesi di completamento:
"+ AD • M•C•C•C•L•X • MAGIST(er) • RICCARD(us) (filius) • SYMONI • ME • FECIT "
tradotto:
"nell'Anno del Signore 1360, il magister Riccardo di Simone mi fece"
più ardua è invece la ricerca per trovare un completamento nell'epigrafe dello spigolo destro, abbreviata all'osso.
Dalle lettere evidenziate, grazie ad un calco in carboncino, si è potuta solo identificare la forma e un probabile significato alfabetico.
Dalla nostra ricostruzione, leggesi l'acrostico:
" R • I • TR • I • TR • C^ • G "
Dove le R con annessa dobbiamo lineetta, sono facilmente distinguibili come T ed R consecutive nelle due parole.
Un vero rompicapo!
#arte#italia#medioevo#storia#archeologia#cultura#storia dell'arte#molise#Pietracupa#Regno di Napoli#Agnus Dei#Riccardo di Simone
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La concezione del Diavolo al tempo della caccia alle streghe
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Al centro di molte credenze colte sulle streghe vi era il Diavolo la fonte della magia della strega, il partner col quale essa concludeva il patto nonché l’oggetto della sua adorazione. Dobbiamo dire che lo stesso concetto del Diavolo si era evoluto notevolmente durante il Medioevo . Per tutto il Medioevo si era fatto riferimento al Diavolo come a Satana un termine che compare nella Bibbia e che significa l’avversario. Nel Vecchio Testamento Satana non è una figura di grande rilievo. Il giudaismo essendo una religione monoteistica attribuiva originariamente tutta la creazione e il funzionamento dell’universo all’unico vero Dio. Solo in uno degli ultimi libri del Vecchio Testamento il primo libro delle Cronache Satana assume una personalità distinta e si presenta come il nemico di Dio e come l’incarnazione del male. Nel Nuovo Testamento Satana assume una importanza molto maggiore. A capo di una schiera di demoni a lui subordinati egli non solo tenta Cristo nel deserto ma diviene il potente oppositore della cristianità stessa inducendo gli uomini a rinunciare a Cristo e a respingerne gli insegnamenti. Si originò così una lotta titanica che il regno di Cristo da una parte e il regno di Satana dall’altra un conflitto che molti ritenevano sarebbe durato sino al Secondo Avvento. Una delle tattiche più efficaci adottate dalla Chiesa cristiana nei confronti dei convertiti che continuassero ad adorare i loro dei pagani era quella di demonizzare quegli dei affermando che quelle divinità erano effettivamente demoni travestiti o addirittura il Diavolo stesso. Poiché questa equazione veniva fatta così frequentemente i cristiani cominciarono a rappresentare il Diavolo secondo la visione che i pagani avevano dei loro dei. Di conseguenza molti degli aspetti comunemente attribuiti al Diavolo erano quelli originari delle divinità pagane. La somiglianza tra il Diavolo cristiano medioevale e gli antichi dei pagani sostituiti e demonizzati dalla cristianità è uno delle prove principali fornite dagli studiosi a sostegno della tesi che le streghe degli inizi dell’età moderna avrebbero praticato effettivamente un antico culto pagano della fertilità. In molte confessioni rese da streghe si fa riferimento alla donazione di un dio a forma di animale dotato di corna. Tali confessioni tuttavia non possono essere ritenute attendibili . Quasi sempre suggeriti alla strega dall’inquisitore o dal giudice quei dettagli rispecchiano una visione cristiana del Diavolo che l’inquisitore riteneva le streghe adorassero come loro Dio. Benché Satana fosse il nome più comunemente usato per indicare il Diavolo, ne esistevano anche altri. Talora per designare il Diavolo si usava il nome di Lucifero nome che gli scrittori della Patristica segnavano all’arcangelo che si era ribellato a Dio e che era stato precipitato dal cielo nell’inferno. Al tempo della caccia alle streghe i cristiani credevano che esistesse un gran numero di demoni che assistevano il Diavolo nelle sue opere di male tentazione e distruzione. Il Nuovo Testamento dice che questi demoni erano legioni ma non fornisce una cifra precisa sicché la loro consistenza numerica determinò varie discussioni tra i demonologi poiché si credeva che tali demoni fossero angeli caduti venivano di norma classificati come gli angeli in ordine gerarchico. Alcuni demoni soprattutto quelli di grado più elevato venivano indicati per nome possedevano una chiara personalità e presiedevano a certi peccati. Su tale materia non esisteva nessuna forma di accordo cosicché tutta la questione poteva diventare molto confusa quando i demonologi riferivano al Diavolo usando il nome di uno dei capi dei demoni come ad esempio Belzebù Leviatano e Asmodeo. Tale confusione era anche dovuta al fatto che anche nella Bibbia e nei libri Apocrifi dell’era precristiana era presente tale confusione. La stessa confusione era presente non solo nell’opera dei demonologi ma anche nei resoconti delle streghe sul sabba in cui spesso non è chiaro se il Signore della cerimonia è spesso descritto come un’animale cornuto fosse il Diavolo oppure uno dei suoi principali demoni. I frequenti riferimenti durante il periodo storico della caccia alle streghe hanno l’aspetto fisico del Diavolo e gli altrettanti frequenti riferimenti al fatto che abitasse il corpo di essere umani solleva l’importante questione della sua natura metafisica e dei suoi poteri. Secondo gli scolastici i demoni come gli angeli erano puri spiriti non possedendo né carne né sangue. Essi potevano tuttavia assumere l’apparenza di un corpo umano o animale mescolando l’aria e vari vapori della terra in modo da creare corpo aereo o non corporeo. Tale corpo essendo composto di elementi naturali possedeva una realtà fisica e poteva svolgere certe funzioni corporee come la danza o l’atto sessuale. Secondo alcuni demonologi il Diavolo poteva anche procreare utilizzando il seme preso da un’ altro uomo ma ciò era molto controverso. Le qualità peculiari dei corpi demoniaci spiegano anche perché il Diavolo e i suoi numerosi demoni incubi e succubi siano descritti come freddi durante l’atto sessuale. Per spiegare tale fatto basta l’opinione dei teologi secondo la quale il diavolo non aveva sangue. Oltre ad assumere l’aspetto di un essere umano o di un animale il Diavolo e i suoi demoni subordinati potevano impossessarsi o abitare il corpo di un essere umano. Racconti di simili possessioni si trovano nella Bibbia e continuano per tutto il periodo della caccia alle streghe. Secondo i teologi quando il Diavolo possedeva una persona non aveva bisogno di comprimere o ispessire l’aria per creare un corpo aereo. Egli semplicemente occupava il corpo della persona. La possessione di individui da parte del Diavolo poteva giocare ed effettivamente giocò un ruolo importante nella stregoneria giacché la possessione poteva essere la conseguenza delle azioni di una strega. Infatti secondo i teologi di quel periodo la strega poteva ordinare al Diavolo di possedere una persona in seguito al patto da lei concluso con il Diavolo stesso. Non di meno la possessione poteva anche verificarsi senza l’intervento di una strega e per puro capriccio del Diavolo nella misura in cui Dio glielo avesse permesso. Uno dei principali poteri del Diavolo era quello di creare illusioni. Così come era in grado di comprimere e ispessire l’aria poteva anche impossessarsi di immagini contenute nella mente degli uomini e sovrapporre alle loro facoltà mentali cosicché essi avevano l’impressione di vedere cose che in realtà non esistevano. Da questo esame dei poteri del Diavolo dovrebbe risultare chiaro che egli non possedeva secondo il punto di vista della Scolastica nulla di simile a un potere sopra il mondo fisico. Qualunque cosa il Diavolo facesse era per esplicita autorizzazione di quel Dio che riservava molti poteri al suo uso esclusivo. Affermare che il Diavolo fosse in qualche modo uguale a Dio che creasse la materia o ne dominasse il funzionamento era una eresia dualista ovvero la dottrina di gruppi eretici come i manichei e i catari. A volte i cristiani ortodossi arrivarono quasi ad aderire a queste idee. Tutte le volte che parlavano del regno di Satana che esprimevano il dubbio che la lotta fra Cristo e Satana non si concludesse con la vittoria di Cristo oppure avevano la sensazione di non poter impedire l’apparente dominio che il Diavolo aveva su di loro essi si avvicinavano al punto di attribuirgli poteri che la dottrina ufficiale che la Chiesa condannava. Una delle più importanti limitazioni dei poteri del Diavolo era di non poter dominare la volontà egli poteva indurre in tentazione illudere e ingannare ma non poteva costringere una persona a rinunciare alla sua fede cristiana o a fare il male in alcuna forma. Affermare il contrario avrebbe significato negare la dottrina cristiana del libero arbitrio. Anche quando il Diavolo o qualche demone minore possedeva il corpo di un uomo l’indemoniato non perdeva mai il suo libero arbitrio o la sua coscienza . Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
#Asmodeo.#BelzebùLeviatano#cacciaallestreghe#Diavolo#inquisizione#Lucifero#Patristica#Satana#stregoneria
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La migliore
“….è la persona migliore tra di noi e ci tiene tutti uniti”, cosi la sorella Arianna, a proposito di Giorgia Meloni. Sembrano tornare sull’altra sponda – ma non è sorprendente che gli estremi si tocchino o almeno si lambiscano – le intonazione del “centralismo democratico” che in Togliatti, inneggiavano al Migliore. Quando si giunge ad un palmo dal “culto della personalità” o addirittura ci si…
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Il mondo post globalizzazione, lucidamente descritto dalla canzone più visionaria dell’anarchico Fabrizio De Andrè, La domenica delle salme, ha resettato il senso di bene e male, ha sintetizzato questi tempi in una frase terribile e colma di verità: «Voglio vivere in una città, dove all’ora dell’aperitivo non vi siano spargimenti di sangue o di detersivo».
La pace capitalistica, la pace del mercato e della Finanza spregiudicata si deve vestire di un’idea nobile per poter continuare a manipolare, ma non ha nessun valore reale, solo cosmetica paraideologica.
Questo scenario si preparava da 30 anni. Da quando è caduto il muro di Berlino e tutto l’apparato dell’impegno politico e idealista è stato ficcato dentro lo stesso condotto fognario affinché non nuocesse più all’economia.
Il primo alleato di questa maxi operazione di persuasione diabolica è stata la creatività applicata al marketing. L’imposizione di modelli amorali di successo, di personalità ciniche e anaffettive dedite al culto del successo e del potere.
Tutta la carriera di personaggi come Oliviero Toscani ricalca perfettamente il disegno finale. Il messaggio sottotraccia è: io penso, io faccio cultura, io sono un eroe del mio tempo. E tutto questo mentre un flusso di denaro assurdo riempiva i suoi conti correnti (come quelli di fotografi una volta geni e ora alla gogna, ma sostanzialmente maniaci sessuali).
Ma ci sarà indiscutibilmente un vantaggio: non sentiremo più nessuno prendersela con trotzkisti, nazisti, sionisti, sovranisti, fashionisti. Non perché questi non abbiano colpe in quantità, ma perché saranno lettera morta. Confuse e felici si aggireranno solo scimmie schiave con una regressione nel linguaggio, che speriamo almeno sia sufficiente a evitare la scrittura di qualsiasi post sui social.
La parola “padrone” è stata rimpiazzata da molti eufemismi (forse il più corrente è “azionista di maggioranza”), quasi a dire che il concetto è arcaico. Fa pensare ai capitalisti in cilindro e marsina nelle vignette socialiste dei primi del Novecento. O al capitalismo paternalista del boom italiano, con il re delle lavatrici che, con forte accento lombardo, dice agli operai “siete tutti miei ragassi”, a patto che non rompano troppo le balle con le rivendicazioni sindacali: basta rivolgersi direttamente al padrone-papà, e tutti i problemi si risolvono. Roba vecchia, insomma. Di un paio di generazioni fa, almeno. Poi però, a rinverdire la figura del padrone a tutto tondo, è arrivato Elon Musk, che sotto la patina incantatrice della tecnologia reinterpreta, con vigore quasi ossessivo, la figura padronale classica: decido tutto io, niente sindacati in azienda, il licenziamento come pratica ordinaria, tutti al servizio dell’azienda e l’azienda al servizio solo di se stessa (il capitale come solo vero motore del mondo, così come lo raccontava Karl Marx). È da considerarsi un atto chiarificatore il suo arrivo in pompa magna alla festa di Fratelli d’Italia. La destra sta con i padroni, da che mondo è mondo, e nessuno meglio di Musk, oggi, incarna quella figura. Musk è l’uomo più ricco del mondo. Può permettersi di stabilire da solo ciò che un tempo stabilivano gli Stati (la conquista dello spazio, per esempio). L’annosa disputa su “cos’è la destra, cos’è la sinistra” trova, grazie alla sua presenza a Roma, una risposta chiarificatrice: la destra è quella che invita e applaude l’uomo più ricco del mondo. Alla faccia del populismo, l’applauso va ai miliardi.
Michele Serra
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comunque all’evento con francesco costa si è generata istantaneamente una tale fila di gente che chiedeva autografi selfie etc che pareva la fila per l’eucaristia. in attesa per il corpo di cristo. okay!
#piacevolissimo evento lui proprio un cuore etc etc#detto ciò io proprio non riesco a calarmi in alcun modo nel livello di culto della personalità verso qualsiasi genere di personaggio#che si tratti del mega vip della minor celebrity del giornalista autore scrittrice sportivə etc etc#stima rispetto interesse ti seguo ti leggo ti ascolto MA#interagire con tali personaggi non solo non è tra le mie priorità ma proprio geneticamente non riesco#poi mi ricordo degli usamericani che sull’interazione con gente mediamente famosa hanno costriuito l’industria delle convention e dico boh#could never be me
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Fumetti fascisti: come diffondere la propaganda tra i giovani
I fumetti fascisti rappresentano una pagina oscura nella storia dei fumetti e del regime fascista che ha dominato l'Italia tra gli anni '20 e '40 del secolo scorso. Questi fumetti, prodotti e diffusi durante il periodo del regime fascista, erano strumenti di propaganda e ideologia, utilizzati per promuovere e diffondere il pensiero politico del regime. Fumetti fascisti: propaganda e ideologia All'inizio del XX secolo, l'Italia era un Paese segnato da instabilità politica e problemi economici. Nel 1922, Benito Mussolini e il suo movimento fascista salirono al potere, stabilendo un regime totalitario con l'obiettivo di restaurare l'ordine, l'autorità e la grandezza dell'Italia. La propaganda, compresi i fumetti, divenne uno strumento chiave per diffondere l'ideologia fascista e rafforzare il controllo del regime sulle masse. Questo tipo di fumetto era veicolo di propaganda che promuoveva il culto della personalità di Mussolini, esaltava il nazionalismo e l'idea della superiorità della razza italiana. Gli eroi dei fumetti rappresentavano valori e virtù fasciste, come la lealtà al regime, il coraggio militare e l'abnegazione per la patria. Allo stesso tempo, i nemici dei fumetti erano spesso rappresentati come individui negativi, stereotipati e degradanti, come gli ebrei o gli oppositori politici, al fine di alimentare l'odio e la discriminazione. Il ruolo dei fumetti nella società: controllo dell'informazione I fumetti fascisti avevano un ruolo importante nella cultura popolare dell'epoca. Essi raggiungevano un vasto pubblico, inclusi i giovani, che erano particolarmente suscettibili all'influenza della propaganda. La semplicità del medium rendeva i fumetti accessibili anche a coloro che non sapevano leggere, diffondendo così rapidamente i messaggi del regime. Il regime fascista esercitava un rigido controllo sull'editoria e sui contenuti mediatici. I fumetti dovevano seguire linee guida precise e venivano utilizzati per promuovere l'immagine positiva del regime e dei suoi leader. Tutti gli aspetti della vita quotidiana, compresa l'arte e la cultura, erano soggetti a censura e controllo, con l'obiettivo di creare una società uniforme e omogenea. Il simbolo della vergogna Dopo la caduta del regime fascista alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i fumetti fascisti divennero simboli di vergogna e rimasero un argomento delicato nella cultura italiana. Gli italiani cercarono di fare i conti con il passato e l'impatto devastante della propaganda fascista sulla società. I fumetti fascisti furono gradualmente abbandonati e sostituiti da altri generi e stili di fumetti più aperti e critici. Oggi, questi fumetti rappresentano un importante capitolo della storia italiana. Essi servono come monito sui pericoli della manipolazione mediatica e della propaganda politica, stimolando riflessioni sull'importanza della libertà di espressione e della democrazia. È fondamentale preservare la memoria storica di questi fumetti per evitare di ripetere gli errori del passato e per promuovere una società aperta e inclusiva. In copertina foto di Сергій Марищук da Pixabay Read the full article
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Festival di Bayreuth 2023
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Dal 25 luglio al 28 agosto torna in Germania il Festival di Bayreuth, che attrae ogni anno un pubblico internazionale di appassionati di musica da tutto il mondo per assistere alle rappresentazioni di Wagner in uno dei teatri più prestigiosi del mondo. Si tratta di un'esperienza di culto per gli appassionati, che si immergono completamente nella musica e nell'atmosfera magica del festival. Ritrovo annuale di tutti gli appassionati di Richard Wagner, il Festival di Bayreuth iniziò la sua storia nel 1850 quando il celebre compositore ebbe l'idea di creare una rassegna musicale dedicata alle sue opere e aperta al maggior numero di persone, pensando ad un festival a prezzi popolari se non gratuito. L'amicizia con Ludwig II di Baviera, suo devoto ammiratore e mecenate, gli permise di realizzare il suo sogno, infatti il sovrano, oltre ad assicurargli una sicurezza economica e regalargli una villa prima a Monaco e poi a Bayreuth, gli finanziò la costruzione di un teatro, noto come il Festspielhaus. Basato su un precedente progetto di Gottfried Semper per un teatro a Monaco, mai realizzato per le opposizioni dei ministri del regno, il teatro di Bayreuth fu costruito tenendo conto dei suggerimenti di Wagner, infatti l'orchestra viene nascosta sotto il palco in modo che il pubblico non venga distolto dal seguire l'opera, sono eliminati i palchi per non creare distinzioni di ceto sociale ed economico e inseriti alcuni accorgimenti tecnici e strutturali per rendere l'acustica perfetta. La prima edizione del festival si svolse dal 13 al 30 agosto 1876 con la rappresentazione, per la prima volta, del ciclo delle quattro opere che compongono L'anello del Nibelungo, L'oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido e Il crepuscolo degli dei Il successo fu immediato, dato che non solo nel regno di Baviera ma in tutti i salotti della Germania non si parlava che del Festival di Bayreuth. Alla morte del compositore, avvenuta a Venezia nel 1883, la direzione passò alla moglie Cosima (1886-1906) e al figlio Siegfried (1908-1930). Alla morte di Siegfried, subentrò la moglie Winifred, che lo diresse fino al 1944. Il festival riprese nel 1951 sotto la doppia direzione di Wieland e Wolfgang Wagner, figli di Winifred e nipoti di Richard, e la lunga pausa fu dovuta non per la ricostruzione post-bellica ma anche alle polemiche sorte dall'amicizia che legava Winifred a Hitler, che visitò spesso il festival. Alla prematura morte di Wieland nel 1966, unico direttore rimase, e lo fu fino al 2008, il fratello Wolfgang. Tra le personalità presenti al festival ci furono re Ludwig II, gli imperatori Guglielmo I di Germania e Pietro II del Brasile, Pyotr Ilyich Tchaikovsky e, negli anni più recenti, Angela Merkel e numerosi esponenti della vita politica e del jet set tedesco. Arturo Toscanini fu il primo direttore non tedesco del festival nel 1930-31, ma non fece più ritorno a Bayreuth dopo l'avvento del nazismo. Read the full article
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Arte, genio e creatività
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Arte, genio e creatività Arte, genio e creatività, un articolo sul fenomeno della creatività e del genio, sia nell'arte, sia nella personalità dell'artista, che partendo dal Rinascimento arriva fino al brain storming delle moderne aziende. La salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti. Martin Luther King L’uomo che non può creare vuole distruggere. Erich Fromm La creatività è contagiosa. Trasmettila. Albert Einstein Non esiste grande genio senza una dose di follia. Aristotele Se il vero genio è sconosciuto e gli stupidi sono invece così popolari, allora bisogna di certo riequilibrare un po’ le sorti. Carl William Brown La genialità è la capacità di vedere dieci cose dove gli altri ne vedono una. Ezra Pound Le menti creative riescono a sopravvivere anche ai peggiori sistemi educativi. Anna Freud La differenza tra un genio e uno stupido è che il genio ha dei limiti. Albert Einstein Le condizioni per la creatività si devono intrecciare: bisogna concentrarsi. Accettare conflitti e tensioni. Rinascere ogni giorno. Provare un senso di sé. Erich Fromm Il genio anche se si trova in paradiso, ha sempre l’inferno dentro. Carl William Brown Possiamo conversare tutta una vita senza fare altro che ripetere indefinitamente il vuoto di un minuto, mentre il cammino del pensiero nel lavoro solitario della creazione artistica avviene nel senso della profondità, la sola direzione che non ci sia preclusa, in cui possiamo progredire, con più fatica, è vero, verso un risultato di verità. Marcel Proust La creatività richiede il coraggio di sbarazzarsi delle certezze. Erich Fromm
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Il David di Michelangelo Due grandi novità del Rinascimento sono proprio l’idea del genio e l’opera come espressione di una personalità. L’artista infatti non deve più imitare i maestri, e il genio è un dono di Dio, ma è connesso al singolo artista, innato e irripetibile, quindi non può essere insegnato o trasmesso ad altri. L’artista ha la libertà e al tempo stesso l’obbligo di assecondare con ostinazione la propria unicità. L’espressione diventa il punto di partenza, la soggettività il punto di arrivo, non conta più l’oggettivo "cosa fare", ma il soggettivo "come farlo." Non è quindi la maggiore abilità tecnica a fare dell'artigiano un artista, ma i contenuti umani che riesce a far vivere nell'opera. La tecnica passa quindi in secondo piano; Cellini era ben contento di ricevere elogi per la propria abilità, ma non voleva essere apprezzato solo per quello, essere insomma un valido artigiano, egli ci teneva a imporsi come artista. Nel Medioevo, segnato da scarso interesse per l'artista, la bellezza dell'opera d'arte era pari alla sua perfezione tecnica; nel Rinascimento, che rende l'artista un genio, è l'unicità del talento a fare la differenza, più che la perizia tecnica. Maggiore è la considerazione di cui l'artista gode in una società, minore sarà la competenza tecnica a lui richiesta, e viceversa; da aggiungere inoltre che questa formula rimarrà valida per tutti i periodi precedenti alla nascita della fotografia, che, in seguito, complicherà un bel po' le cose, soprattutto con l'arrivo dei software di intelligenza artificiale. Col Rinascimento l'artista non è più qualcosa che si fa, un lavoro che si svolge, ma qualcosa che si è, un modo di essere. Diventa però un isolato; se nel Medioevo lavorava in un contesto, ora, anche quando lavora con altri è in realtà solo a combattere col mondo e col proprio stesso talento nel tentativo di vincere nell'opera. L’artista diventa di moda, più della sua arte, da strumento di culto diventa oggetto di culto, la sua opera più che celebrare la grandezza del potente celebra la propria; il mecenate brilla di luce riflessa. Il mito del genio sposta difatti l’attenzione dall’opera all’artista, e dal risultato all’idea; lo si nota anche dall’interesse per gli schizzi, i bozzetti, per ciò che è incompiuto, che testimonia la convinzione che il genio non è mai esprimibile fino in fondo. Il genio impossibilitato a esprimersi a pieno è il primo passo verso il genio incompreso, idea che diventerà un cliché nei secoli successivi. Lo schizzo, il tratto passionale, l'abbozzato, il non finito, diventano valori aggiunti, e ancora oggi molti preferiscono un'opera incompiuta - o che abbia l'aria di esserlo -, a una rifinita alla perfezione.
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Arte e genialità L'apprezzamento per il non finito michelangiolesco ne è una dimostrazione, ed è inoltre uno dei casi più eclatanti di rilettura “sentimentale” dell'arte del passato. È vero che circa i tre quinti delle sculture di Michelangelo sono incompiute, ma il concetto di “non-finito” con ogni probabilità a lui non era mai passato per la testa; gli è stato incollato addosso a posteriori. Herbert von Einem arrivò a sostenere che alcune di queste sculture Michelangelo le avrebbe lasciate incompiute perché talmente sorprendenti nel loro stato di abbozzo da non riuscire a immaginarle completate. Pensare di sapere cosa un artista come Michelangelo fosse o non fosse in grado di immaginare è di una presunzione indescrivibile, oltre a essere una violenza alla sua memoria. Lo scultore Henry Moore rinforzò questa convinzione, affermando che il non finito rappresentasse la fase più convincente di Michelangelo, e che fosse scorretto definire incompiute quelle opere, perché non erano destinate a essere completate. Tutto questo è però solo folklore, un fatto certo invece, perché riportato da varie fonti attendibili, è che Michelangelo prima di morire ha distrutto una grande quantità di disegni preparatori e cartoni, risparmiando solo i migliori, "per non apparire se non perfetto", come scrive Vasari. Già questo spiega la sua mentalità, e come sia improbabile che potesse di proposito lasciare delle sculture incompiute. Sempre sull'onda del genio, nel Rinascimento l'originalità diventa un fattore cruciale, e secondo R. e M. Wittkower l'arte consentiva agli artisti un'autonomia maggiore rispetto all'artigianato proprio perché puntava sull'originalità, che contraddistingue le persone solitarie, isolate. Una delle distinzioni che vengono fatte tra arte e artigianato è proprio questa: l'arte è una pratica solitaria, unica e originale, l'artigianato è una pratica tradizionale, anonima e collettiva. Forse però è più corretto considerare l'artigianato un'industria manuale, il prodotto artigianale è un prodotto industriale fatto a mano, e del resto le prime industrie non erano che grandi botteghe artigianali. In questo senso, non può discostarsi dalla produzione in serie, e dall'adesione a precisi parametri, di forma, funzione, contenuto, stile, materia e moda di volta in volta stabiliti dal gusto corrente. L'arte invece può permettersi di ignorare del tutto questi parametri, o persino adottarne di antitetici, che sia fatta in solitudine o in gruppo. Altra distinzione è quella del rapporto con il tempo: nell'artigianato i tempi di cambiamento sono lenti, perché è legato alla tradizione e al gusto diffuso; nell'arte invece possono essere rapidissimi, perché è legata alla soggettività e all'originalità. Questa inclinazione all'originalità crea però sin dall'inizio del '500 una frattura con il grande pubblico. Se prima l’arte era almeno in parte comprensibile ai più, ora non ha più alcun rapporto con la massa, per la quale le sibille michelangiolesche o la Scuola di Atene di Raffaello sono enigmi indecifrabili. L’arte più celebrata, rappresentativa della classicità e del valore universale del Rinascimento è in realtà un’arte che si rivolge a un’élite culturale, a un pubblico selezionato e specializzato.
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Arte moderna i Murales In tutta la fasi della vita comunque, per sviluppare pensiero originale sono di grande aiuto alcuni fattori: la solitudine è uno di questi. Mass media e vita di gruppo, per quanto formativi, non sempre consentono dì sfruttare in pieno le proprie possibilità e di provare quel senso assoluto di libertà che favorisce la nascita di idee. Ma è necessaria anche la disciplina, che permette di applicare la propria rraatività in situazioni pratiche. Non è vero infatti che per essere creativi bisogna sempre e soltanto fare ciò di cui si ha più voglia. "Uno degli stimoli maggiori alla creatività è semmai lo stato di necessità", spiega il naturalista Sergio Angeletti. Ciò vale per gli uomini come per gli animali. I delfini, per esempio, per comunicare tra loro e farsi riconoscere compongono un motivo musicale individuale, che rinnnovano di tanto in tanto mantenendo invariata la base. Gli uccelli della seta, che vivono in Nuova Zelanda, costruiscono invece nidi decorati di fiori, pezzetti di conchiglia, rametti. Sono praticamente delle opere d'arte, che servono ad attirare le femmine". Ma c'è chi pensa che la creatività individuale si possa incrementare anche con esercizi pratici e quotidiani, come quelli che vengono insegnati nei corsi dell'istituto Cirm di Milano, frequentati da manager. Si tratta in tutto di 250 tecniche, metà fisiche e metà psichiche. "Io parto dal presupposto che la creatività sia un processo ultimo, cioè una sintesi di vari elementi che già possediamo", spiega Nicola Piepoli, direttore del Cirm. "Gli esercizi servono pertanto a tenere in allenamento il cervello nel suo complesso. Il mio esercizio preferito, per esempio, è semplicemente passeggiare. Aiuta a irrorare l'area cerebrale di sangue e a utilizzare così al cento per cento le proprie risorse. E pare che funzioni. Psicologi e psicanalisti, tra i quali anche Erich Fromm e Carl Gustav Jung, hanno individuato nell'atto creativo una componente emotiva molto forte e decisiva. Oggigiorno grazie ad esami come la Tac o la risonanza magnetica, è possibile capire quali aree del cervello vengono utilizzate durante un'azione o un pensiero. Da considerare ino9ltre che la creatività non ha necessariamente un rapporto diretto con la quantità di intelligenza dell'individuo. Si può semmai immaginare come un guizzo di energia in più, che in ciascuno di noi può essere più o meno presente. Riportiamo infine quelli che secondo lo psicologo Erich Fromm sono cinque i requisiti per definire creativa una personalità: 1) Possedere la capacità di essere perplessi. Ce l'hanno i bambini davanti ad una nuova esperienza, mentre l'adulto tende generalmente a non porsi troppe domande neppure di fronte ad un fatto insolito. 2) Accettare i conflitti interiori: non reprimere desideri ed emozioni man mano che affiorano. 3) Rinascere ogni giorno: per il creativo ogni giorno è il primo di una nuova vita. 4) Essere capaci di concentrazione: vivere cioè molto intensamente ogni istante, concentrandosi esclusivamente su quello che si sta affrontando in quel momento. 5) Essere originali: avere pensieri e stili che nascono da sé e non mutuati sempre dalla realtà esterna. Il momento più propizio per creare, secondo lo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung, sarebbe invece caratterizzato dalla noia. Questa infatti favorirebbe la creatività perché abbassa le barriere tra conscio e inconscio. Secondo alcuni sessuologi francesi, infine, il grande creativo conduce una vita sessuale più intensa rispetto agli altri. Il suo cervello infatti ha bisogno di stimolazioni maggiori e le riceverebbe da un ormone che si produce proprio durante l'atto sessuale, e che svolgerebbe la funzione di un'anfetamina naturale.
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Arte, genialità e creatività Tuttavia la creatività può anche essere stimolata dal gruppo, anche se in questo caso possiamo avere delle idee originali, ma non siamo realmente in presenza della produzione di grandi geni, i quali si servono certamente della cultura e delle conoscenze dello scibile umano condiviso, ma poi rielaborano e creano in genere in solitudine. Il lavoro di gruppo è oggigiorno molto diffuso in certe aziende che considerano finita l'epoca degli "yes men", ovvero le persone che dicono sempre di sì al capo e non prendono mai iniziative personali. Le aziende tedesche o americane ad esempio, eoggi cercano dipendenti "ribelli": hanno infatti scoperto che il loro apporto è fondamentale per la crescita dell'economia, perché creano un clima di competizione e di vivacità molto favorevole alla produzione. Alcuni dirigenti d'azienda tedeschi hanno persino fondato un'Accademia per pensare storto (Querkdenker Akademie), dove, in undici mesi di corso, e un costo di iscrizione piuttosto elevato, si insegna appunto a diventare dei veri bastian contrari. Teorie di questo tipo non sono tuttavia nuove. Negli Stati Uniti le aziende fanno ricorso a consulenti di creatività da almeno trenta anni, proprio per stimolare la nascita di idee nuove. Il primo a formulare teoricamente l'applicazione del pensiero creativo in economia fu appunto un americano, Alex Osborn, che nel 1938 escogitò una delle tecniche ancora oggi più in voga per produrlo, il "brain storming" (cioè tempesta di cervelli). Il procedimento è semplice: si riunisce un gruppo di dodici-quindici dipendenti, per un'ora circa, coordinato da un animatore. Si pongono alcune regole formali come quella, fondamentale, di non stroncare le opinioni altrui ma di utilizzarle semmai come base per crearne altre, e quella di non rispondere mai con frasi del tipo "costa troppo", "gli altri non lo accetteranno mai". A quel punto parte la "tempesta" e cioè la produzione di idee a ruota libera. L'importante è poter dare libero sfogo al proprio pensiero non razionale, cioè divergente. Così hanno fatto per esempio i partecipanti a un "brain storming" della 3M, l'azienda che ha tra l'altro inventato i Post it (i bigliet gialli adesivi). Il quesito era: trovare nuovi impieghi per il prodotto. L'animatore ha sollecitato la ricerca di libere associazioni, e quella vincente è stata tra Post it (che si attacca e si stacca) e il fare l'amore. Da qui sono stati evidenziati i due concetti di "massima adesione" e "durata". Alla fine della seduta sono emersi ben 60 suggerimenti concreti, tra i quali l'utilizzo di Post it come segnalibro, vestitino perle bambole, spunto per un nuovo packaging alimentare. La creatività dunque è anche il motore dell'economia. A periodi particolarmente fervidi se ne alternano però altri più statici. "Nelle fasi di recessione, come quella che viviamo, è ancora più sentito il bisogno di nuove idee, ed è anche più facile che un manager accetti di uscire da una visione personalistica e di lavorare in équipe".
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Arte e intelligenza artificiale Confrontarsi e lavorare insieme è dunque fondamentale perché è dal gruppo che, secondo le tecniche messe a punto dai maestri del settore (Alex Osborn, Edward de Bono, Fritz Zwicky) nascono gli spunti creativi più efficaci. Il gruppo infatti funziona come un macro-cervello, al quale ogni individuo fornisce il proprio apporto creativo e dal quale trae a sua volta spunti per arricchire le sue proposte. "La nostra tecnica prevede una serie di esercizi preliminari all'interno del gruppo (selezionato secondo le esigenze della ricerca) per avere le condizioni ideali per la creatività, e cioè l'abbattimento dei freni sociali di ciascun componente. Alla fine si vedono gli altri partecipanti sotto una luce diversa, meno formale. Il coinvolgimento emotivo infatti è una premessa necessaria alla fase creativa vera e propria". Sul genio e la genialità potete anche leggere: Evaristo Galois, il Rimbaud della matematica. Cervello, creatività e stranezze Introduzione alla Daimonologia Matematica, educazione e creatività Aforismi e citazioni sull'arte Pensieri e riflessioni Articoli e Saggi Aforismi per autore Aforismi per argomento Read the full article
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“ Gettando manate di cavoli nella pentola che bolliva Filomena silenziosamente piangeva, piangeva la sua croce di avere un marito che non credeva né a Dio né ai Santi. - Piangi sulla tua ignoranza, che è più nera della morte. - I miracoli - insorse Filomena - ci sono i miracoli: i miracoli non li può negare nessuno… - Questo è il bello della storia: che ci sono i miracoli… Io mi ricordo quando tua madre vide in sogno santa Filomena, e aveva tre numeri in mano: e la vecchia li giuocò e vinse il terno. Santa Filomena che porta i numeri del lotto, già la cosa era da ridere… Ma c'è di peggio: c'è che un prete, che aveva visioni di santa Filomena, per queste visioni è diventato quasi Santo; un prete francese, non ricordo come si chiamasse… - Lo vedi che santa Filomena c'è? - Caspita, che testa! Santa Filomena non c'è, bestia che sei: ed è il Papa stesso che te lo dice… E che interesse può avere il Papa, in questo caso, a dirti una cosa per un'altra: per far nascere cagnara?… Santa Filomena non esiste: e basta… Ed il bello è che pur non essendo mai esistita quel prete francese e tua madre, e tanti altri preti, e tante altre donne l'hanno vista così come io vedo te. - C'è - disse Filomena, ferma come una roccia. - Non c'è, non c'è mai stata - disse Michele - e la caleranno giù dall'altare: e al posto di santa Filomena metteranno un'altra Santa e tu continuerai a portare i ceri in chiesa, a far dire messe, a votare secondo il consiglio dell'arciprete… E tua madre vincerà qualche altro terno, coi numeri che le darà la nuova Santa… Finché non verranno a dirvi che un tizio aveva sbagliato ancora a leggere una lapide… Uscì dalla cucina e sedette a tavola, aspettando che Filomena gli portasse i cavoli e l'uovo bollito. Tirò dalla tasca il giornale come ogni sera; lo aprì. Se ne era dimenticato: invece di fare quella discussione inutile, ché discutere con una donna è come lavare la testa all'asino, avrebbe potuto leggersi in pace «L'Unità». Il suo occhio corse per i titoli: Registrata dagli osservatorii di tutto il mondo Esplosa nella Nuova Zemlija la «superbomba» sovietica Disarmo generale! «Quando ci vuole ci vuole: ora lo sanno che la nostra bomba è più forte della loro.» Al XXII Congresso del PCUS Decisa la rimozione di Stalin dal mausoleo. - Gli occhiali - gridò - portami gli occhiali - che per lo scritto piccolo ne aveva bisogno. Filomena portò subito gli occhiali. Michele si immerse nella lettura. Il piatto dei cavoli gli fumava davanti. Continua a p. 9 col. 3. Squassò freneticamente il giornale in cerca della pagina nove, della terza colonna. Eccola: «se accaduto per colpa di Stalin… che sia riconosciuto come irrazionale conservare la tomba di Stalin nel mausoleo… La risoluzione è messa ai voti. I delegati alzano il mandato rosso. La proposta di rimozione della salma di Stalin è approvata alla unanimità.» Violentemente la mano di Michele Tricò lanciò il giornale verso il soffitto; i fogli planarono parte sul pavimento, parte sulla macchina da cucire. - Che c'è? - domandò Filomena. Michele affondò la forchetta nel piatto dei cavoli. La moglie lo guardava, preoccupata che si riprendesse la questione della Santa. - Niente - disse Michele - niente. “
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Leonardo Sciascia, La rimozione, racconto contenuto in:
Id., Il mare colore del vino, Einaudi (collana Nuovi Coralli, n° 82), 1980⁵; pp. 86-87.
NOTA: La terza raccolta di scritti brevi dell'autore siciliano comparve dapprima nel 1966 col titolo Racconti siciliani, pubblicata in appena 150 copie impreziosite da una acquaforte di Emilio Greco, edite dall’ Istituto statale d'arte per la decorazione e la illustrazione del libro di Urbino. Nel 1973 Einaudi ripropose l’opera ampliata e commentata da una nota dello stesso Sciascia che la considerò quasi un sommario della propria attività letteraria.
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