#comunque incredibile ovviamente ho delle cose da fare
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va’ a vedere che poi in SA siamo tutti italiani. potevamo davvero darci appuntamento a pordenone
#no davvero stavo guardando gli altri panel#e la proporzione di italiani su tutte le altre nazionalità è imbarazzante#siamo davvero dappertutto ma anche basta#comunque incredibile ovviamente ho delle cose da fare#tipo mandare le slide ai francesi ma direi domani#e fare application per la WS#ma INCREDIBILE ho la sera vuota#non devo più pensare a questo paper maledetto in maniera così ossessiva#torno a vivere finalmente#dato che il delirio è cominciato questa primavera col progetto di ricerca etc etc#dai dai dai giulia piano piano ce la si fa✨
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maialedepravato-personal
Incontro con Luna
Noto il blog di Luna tra i like che ricevo a un mio vecchio racconto.
Appena lo sfoglio vedo che non è il genere di blog che solitamente cattura la mia attenzione, ma lo fa comunque.
Scorrendolo vedo gif su gif di ragazze che si masturbano, una delle cose che più mi eccitano, dopo la sottomissione e la degradazione e tutte le cose depravate e porche alle quali do spazio sul mio blog.
Una gif dopo l'altra sento il cazzo diventarmi sempre più duro, mentre immagino la ragazza dietro il blog con le mani in figa a godere ancora e ancora..
Le scrivo.
Chiacchieriamo un poco, e a causa di una "incomprensione" (so già che probabilmente nel leggere queste parole sorriderà o vorrà picchiarmi), subito le nostre strade rischiano di non incrociarsi mai. Per fortuna non sarà così.
Continuiamo a chiacchierare e scopro che la ragazza che si cela dietro quel bel blog non è la solita ventenne, ma una ragazza di ventinove anni molto interessante ed intrigante.
Le chiedo un paio di foto, e subito resto colpito da un bel sorriso e dal suo bel corpo. L'aspetto fisico non è tutto naturalmente, ma anche l'occhio vuole la sua parte.
Le dico quanto mi eccita il suo blog, l'immaginare il suo bel corpo magro e sensuale intento nel masturbarsi, e glielo dico mentre ho il cazzo in mano e gemo per quanto la cosa mi eccita. Mi risponde che quel giorno è già venuta cinque volte e ancora si sta toccando. Sempre più interessante, adoro le ragazze che si masturbano tantissimo, che adorano godere con le dita ad accarezzarsi il clito e a penetrarsi davanti ai porno ore ed ore.
"Dai passiamo su whatsapp" le scrivo, e mi arriva il suo numero.
Una volta li, le mando subito video e audio in cui godo per lei, e lei a sua volta mi dice cose che subito mi fanno capire che sto parlando con una ragazza che sa bene come far godere un uomo.
Iniziamo a confrontarci sulle "differenze di vedute". Le dico che di solito sono abituato a fare tutto io, a usare corpi stupendi come il suo come se fossero giocattolini per le seghe, oggetti per il mio godimento, a usare ed abusare i buchini.
Lei, invece, mi dice che non ama le cose che vede sul mio blog. Sento subito che ha un carattere forte. Mi spiega che le piace essere dominata, ma non sottomessa. Capisco bene cosa intende, e nonostante queste differenze mi eccita comunque moltissimo. Ormai sono anni che faccio solo ciò che mi piace nel letto, abituato a belle ragazze dalle quali mi sento dire "fammi tutto quello che vuoi", per cui so bene che non sarà facile ri-abituarmi a lasciare il controllo a qualcun altro. Ma Luna mi intriga ed eccita, e la voglia di provare qualcosa di diverso cresce dentro di me.
"Dai tesoro vediamoci per godere. Voglio portarti a letto e masturbarmi per te. Facciamo edging insieme, godiamo ore davanti ai porno. Ho voglia di godere insieme."
All'inizio ovviamente non è convinta, anche se sento la voglia salirle mentre facciamo sexting e la eccito continuamente con la mia voce. Per fortuna non ci mette molto a cedere alla voglia.
"E' che non pensavo di sentirti.. cioè di incontrarti.. insomma ci siamo appena conosciuti sai a malapena il mio nome.."
"E già vuoi il mio cazzo dentro mh?" Finisco io per lei. Non dice nulla ma so bene che la sto eccitando.
Torniamo a parlare di porcate, dei toys che possiedo e che mi diverto ad usare sulle ragazze. Le mando delle foto dei miei plug. Mi dice che ne ha uno suo, ma che i suoi buchini sono un po' stretti perchè fuori allenamento.
"Ci penso io ai tuoi buchini piccolina" Le dico.
Provo a organizzare la sera stessa, ma purtroppo ha degli impegni. Continuiamo a godere via messaggi, a mandarci foto, a masturbarci ore approfittando del Sabato pomeriggio libero.
"Senti.. domani sera, se vuoi, sono libera"
"Se voglio piccola? Domani sera sei MIA".
La sera dopo sono davanti al Motel che ho prenotato, aspetto Luna. Arrivo sempre in anticipo nel caso in cui la ragazza arrivi prima a sua volta, in modo che non resti da sola. Mai successo in tanti anni di onorata carriera che qualcuna arrivasse prima, ne tantomeno in orario, ma sono uno che crede nei miracoli visto gli angeli che sono solito scoparmi.
Luna e i suoi geni femminili confermano la regola, mi scrive che è in ritardo. Sorrido mentre le zanzare mi divorano e la voglia di godere già mi fa impazzire.
Dopo un tempo discretamente lungo che per cavalleria non dirò (35 minuti), vedo una macchinina nera arrivare lungo la via del Motel. Si parcheggia qualche macchina più in la e io la raggiungo a piedi.
Dalla macchina scende una ragazza molto carina. Ha un paio di shorts che lasciano vedere dei bei tatuaggi su delle belle gambe, e una maglia rossa che le cade addosso e fa venire voglia di alzargliela e iniziare a baciarla e succhiarle i capezzoli in mezzo alla strada. Indossa grossi occhiali di tartaruga, che la fanno sembrare una timida bibliotecaria che passa le sue giornate sui libri nel silenzio di qualche libreria di qualche paesino sperduto.
Quando arriva le sorrido, la bacio e subito inizio a scherzare con lei. E' anche più carina che in foto. Sono eccitatissimo. Non resisto e mentre la bacio sul marciapiedi le faccio scivolare una mano tra le cosce accarezzandola attraverso il tessuto dei pantaloncini. La sento contrarsi e gemere mentre mi guarda eccitata. Le sorrido e la porto alla mia macchina, dove mi aiuta con le borse. Ho portato il Pc con i porno da guardarci insieme e sui quali masturbarci, le birre, e uno zaino con i toys che pesa più o meno quanto lei. Di quello mi occupo io mentre andiamo alla reception e facciamo il check-in.
Mentre saliamo in camera non resisto, le accarezzo le cosce, le palpo il culo, le mordo il collo. Potrei scoparmela direttamente li in ascensore ma anche l'attesa ha il suo perchè. Una volta in camera mi accorgo che la stanza non è di mio gradimento. So che in quel motel ci sono camere con un grosso specchio a fianco al letto, e una ragazza così bella me la voglio guardare mentre la scopo da dietro.
Torno di corsa giù e me la faccio cambiare. Appena entriamo e mi chiudo la porta alle spalle inizio subito a spogliarmi completamente, mentre lei sta seduta vestita sul letto e mi guarda.
Vado un attimo in bagno e appena esco la trovo a pancia sotto sul letto che guarda il telefono. Su quel corpicino magro il suo culo è incredibilmente tondo e sodo ed è li per me in quei minishorts. Le chiedo se le va di fare qualche foto e video, so bene quanto sia stupendo masturbarsi sulle porcate fatte insieme anche senza dover per forza usare gif e video nei miei racconti, ma preferisce di no e anche se a malincuore rispetto come sempre la scelta della ragazza che è con me.
Subito le salgo sopra appoggiandole il cazzo duro sul culo facendoglielo sentire attraverso i suoi shorts. Glielo passo tra le cosce e sento la sua figa già caldissima mentre la sento gemere piano piano sotto di me. La rigiro come una bambolina, le apro le gambe e inizio a picchiettarle la cappella contro la figa. "Adesso li leviamo questi mh" Le dico mentre le sfilo i pantolincini lasciandola con un bel perizomino nero. E' la perfezione. Avrei voglia di sculacciarla, stringerle quel bel collo fine che potrebbe starmi in una mano, prendere la mia cinghia dai pantaloni e farle tante cose. Ma ricordo a me stesso che questa volta non potrà essere così. E non ci saranno "Cagna" "Troia" ne altri soprannomi. Non è ciò che le piace, e quando ho deciso di incontrarci comunque ho scelto di rispettare la cosa, e un Uomo rispetta le promesse, con le Donne e soprattutto con se stesso.
Le salgo sopra appoggiandole le palle sul suo bel pancino piatto mentre mi sego il cazzo duro davanti a lei. Le strofino su di lei, adoro sentirla così liscia sotto di me. Da qualche parte trovo le forze per scollarmi dal suo corpo.
Piazzo velocemente il portatile a fianco al letto, poi la prendo per mano e la tiro vicino a me alla scrivania nell'angolo della stanza. "Vedi tesoro, guarda che belli" Le dico mostrandole i miei Toys mentre le passo la mano sulla figa facendola gemere.
Sento le mutandine letteralmente fradicie sotto le mie dita.
"Dai andiamo a letto ci pensiamo dopo ai toys" Le dico sollevandola di peso e appoggiandola sul materasso.
In quel momento Luna si leva gli occhiali.
Quello è il momento in cui la vedo davvero. Solo un secondo del suo sguardo e già sento il sangue ribollirmi dentro. I miei occhi cadono totalmente dentro i suoi. E' incredibile, mai visto uno sguardo così. "Ci potresti ipnotizzare la gente con quello sguardo lo sai tesoro?" Le dico mentre la palpo senza mai riuscire a togliere l'eye contact.
Lei sorride, ma non è il sorriso di una timida bibliotecaria, è il sorriso di una Donna che sa esattamente ciò che fa e perchè. E' provocante, sensuale, ma non è solo quello. Quegli occhi dicono che vogliono darmi piacere, farmi godere, e godere del mio piacere. E dicono anche che sa esattamente come farlo.
Anche il suo viso, ora che non ci sono più quegli occhialoni a fare da filtro, è passato da bello, a stupendo, da togliere il fiato.
Il mio cazzo duro le preme sul pancino piatto. Le strofino la cappella sul piercing all'ombelico, poi scendo lentamente più giù. Quando arrivo alle mutandine le trovo fradicie. La mia cappella si bagna completamente. Gliela spingo bene contro al tessuto entrando leggermente, poi quando è bella bagnata di lei risalgo e gliela metto in bocca.
Inizia a succhiarmi il cazzo e lavorarmi la cappella con la lingua e subito sento il piacere salirmi al cervello come un fiume in piena. Si muove sicura sull'asta del mio cazzo succhiandomi le palle di tanto in tanto. Sento il sangue pompare mentre il cazzo mi diventa di marmo.
Non resisto. Le sfilo le mutandine e le appoggio la cappella sul clito, poi inizio a strofinargliela velocemente. Goccioline schizzano subito ovunque. Spingo la cappella appena dentro la figa e la sento strettissima, roba da sborrata immediata. Mi trattengo a fatica e inizio a spingerle il cazzo dentro mentre mi abbraccia dietro il collo. Godo da impazzire, e non riesco a smettere di guardarla negli occhi.
La scopo sempre più forte, cercando di non venire, finchè sento che quella bella fica stretta mi sta letteralmente mungendo la sborra fuori. Le levo il cazzo da dentro senza venire, e mi alzo a prendere il vibratore.
Torno su di lei e inizio a lavorarle il clitoride col vibratore mentre la guardo buttare la testa indietro e lasciarsi andare al piacere. Ho la cappella fradicia di sborra che le cola addosso per l'eccitazione quando glielo infilo dentro e inizio a lavorarle il punto g.
Le poso il mento sul pancino piatto in modo da aumentare la sensazione che le da il vibratore nel punto giusto.
La sento godere sempre di più. Prende un respiro e mi dice "Guarda che lo so che vuoi farmi squirtare." Le sorrido mentre continuo a lavorarla. Non ci vuole molto prima che la veda letteralmente esplodere. Inizia a schizzarmi addosso inondando letteralmente me e il materasso mentre non le do pace passandole il vibratore sul clito godendomi le sue contrazioni di piacere. Quando mi pianta lo sguardo addosso sento l'eccitazione salirmi alle stelle. Ora tocca a me godere, e la determinazione nel suo sguardo mi fa capire che non ammette repliche. La lascio fare mentre mi lavora la cappella con le dita. Sono talmente carico ed eccitato che non ci metto molto ad inondare la sua coscia e il suo bel pancino abbronzato di schizzi di sborra calda mentre godo fino quasi a perdere la testa.
Mi chino su di lei e la bacio accarezzandola. "Guarda che casino che abbiamo combinato e siamo appena arrivati.." le dico facendola ridere.
"Andiamo a darci una sciacquata" mi dice lei.
Dopo qualche minuto di baci e carezze ce ne andiamo in doccia.
Prendo il doccino e glielo passo delicatamente su quello spettacolo di fichetta liscia, poi inizio a insaponarla mentre geme. Le inizio a passare con le dita sul buchino del culo. E' stretto e inizio a giocarci infilandole dentro piano un dito insaponato mentre lei accarezza le mie palle e il mio culo.
Lei geme mentre le allargo il buchino e con l'altra mano le strofino il clito entrandole dentro di tanto in tanto. La giro e mi appoggia il suo bel culetto insaponato contro il cazzo iniziando a strofinarcisi contro . Sono venuto nemmeno 10 minuti prima e sto già godendo di nuovo.
"Dai torniamo a letto voglio farti provare una cosa" le dico suscitando la sua curiosità. Esco dalla doccia e prendo un paio di asciugamani per coprirla perchè l'aria condizionata della stanza è rimasta impostata quasi al massimo.
Ha la pelle d'oca e trema quando si infila sotto le coperte. "Adesso ti scaldo io" Le dico mentre frugo nella mia borsa dei giochi.
Ne tiro fuori il mio vibratore più potente. E' una sorta di MagicWand ma mostruosamente potente con le sue vibrazioni. Funziona solo attaccato alla presa di corrente perchè le batterie non sarebbero abbastanza per dare potenza a quel mostro.
Lei mi sorride mentre lo guarda eccitata.
Mi infilo sotto le coperte con lei, la bacio e ricomincio a strofinarle il cazzo sulla figa e in un attimo la temperatura torna altissima. Quando sono sicuro che sia bella calda sollevo le coperte e mi metto tra le sue gambe aperte.
"Adesso ti faccio impazzire piccola". Le dico mentre accendo il vibratore sulla potenza più bassa e glielo appoggio sul clito. Subito inizia a contorcersi buttando indietro la testa mentre le sorrido godendomi lo spettacolo. Mi abbasso su di lei e alzando leggermente la velocità del vibratore inizio a morderle dolcemente il collo e a baciarla. "Dammi la lingua" Le dico, e lei la tira fuori mentre inizio a succhiargliela e leccargliela. Sono un porco, non è una cosa che si può cambiare. Inizio a leccarle e succhiarle i capezzoli, a giocarci con la lingua mentre aumento quasi al massimo il vibratore e Luna si contrae, si contorce di godimento, la sua figa è un lago. Viene più e più volte nella mia invidia più totale, vorrei tanto riuscire ad avere orgasmi continui come fanno le ragazze ma probabilmente maiale come sono finirei col dimenticarmi di mangiare e morirei di fame.
Quando finisco di lavorarle la figa è esausta ma l'espressione sul suo viso è decisamente stupenda.
"Adesso tocca all'altro buchino piccola".
Sorride. "Ho un plug in borsa." Ne ho diversi anche io, ma preferisco usare il suo al quale è abituata. E poi ha un cuoricino e l'idea di vedere quel bel culetto con un cuoricino che spunta mi alletta non poco.
Stendo un asciugamano sul letto, prendo l'olio dal mio zaino e il plug dalla sua borsa. La sollevo di peso e la appoggio delicatamente sull'asciugamano poi inizio a lavorarle il buchino con l'olio e le dita. Le infilo il plug in quel bel buchino liscio e oliato. E' bellissima mentre mi guarda con quel cuoricino tra le natiche e la figa fradicia. Inizio a lavorargliela col vibratore mentre si contorce e gode. Poi le infilo due dita dentro e inizio a sditalinarla per farla squirtare.
"Se levi il plug squirto di più", mi suggerisce. Glielo sfilo delicatamente e ricomincio a lavorarle la figa con due dita dentro mentre col pollice gioco col suo clito. Ci vuole poco prima che la senta pronta per schizzare. Levo di colpo le dita e puntuale quella bella fichetta inizia a squirtare mentre le lavoro velocemente il clito con le dita mandando gocce di rugiada ovunque.
Le sorrido e lei mi sorride felice di rimando. Ci infiliamo sotto le coperte e ce ne stiamo a parlare un po'. Io su un fianco e lei tra le mie braccia con il culo bene appoggiato al mio cazzo e le mie mani a giocare con le sue tette.
"Voglio vedere come ti masturbi sui porno quando sei a casa." Le dico. Nella mia testa ho immaginato quella scena migliaia di volte. Le ragazze che scrollano il mio blog e con la mano tra le gambe si danno piacere.
Lei sorride, non è una sottomessa, ma mi accontenta comunque in tutto perchè darmi piacere la eccita tanto quanto a me eccita darlo a lei.
Mi appoggio alla spalliera del letto e lei si mette di fronte a me. Cellulare in mano.
Inizio a segarmi mentre ascolto le sue dita lavorare la fichetta bagnata facendo un rumore a dir poco meraviglioso. La guardo scrollare tumblr mentre non smette di toccarsi e godere, è meraviglioso ciò che sta condividendo con me è la sua intimità. E' come se io non ci fossi, come se fossi in camera sua, e potessi guardare una delle ragazze più belle che abbia mai conosciuto mentre si masturba e gode. E' allo stesso tempo la cosa più dolce ed eccitante del mondo, non sono mai stato così vicino al mondo femminile come in quel momento. Inizio a schizzare senza nemmeno rendermene conto, lei se ne accorge e si avvicina a me accarezzandomi la cappella aumentando a dismisura il mio piacere. Sento il mio corpo irrigidirsi, poi rilassarsi, poi irrigidirsi di nuovo, in una serie di contrazioni che accompagnano i miei schizzi fino a togliermi letteralmente il fiato.
Quando mi riprendo Luna è li che mi sorride.
"Vieni qui" le dico mentre la stringo abbracciandola e ci rimettiamo sotto le coperte. Restiamo a baciarci e coccolarci fino a che sforiamo l'orario di riconsegna delle chiavi e a fatica mi scollo da lei andando a sistemare i miei toys e darmi una ripulita.
Quando usciamo dal motel è ormai l'una di notte. Nonostante il caldo di Agosto che c'era di giorno, ora un venticello fresco soffia e mi accarezza la pelle mentre la porto per mano verso la sua macchina.
"Ti va di rimanere mentre fumo una sigaretta? Però non ho l'accendino"
"Certo tesoro vieni andiamo alla mia macchina che ho l'accendisigari" Le dico cambiando direzione.
Arrivati li Luna non accende la sua sigaretta perchè la appoggio alla portiera ed inizio a baciarla. Restiamo a baciarci ed abbracciarci nel silenzio di Milano di notte, che a quell'ora finalmente sembra riposare dopo il casino del giorno.
L'arietta fresca ci accarezza mentre ci coccoliamo e chiacchieriamo.
"Non pensavo fossi così bravo a fare le coccole" Mi dice sorridendo.
"Già.." Le rispondo riflettendo su come dal mio blog io debba sembrare decisamente diverso, ma mi va bene così. "Tu non dirlo in giro mi raccomando che ho una reputazione da mantenere".
Ride. E io guardo il suo sorriso e i suoi occhi e mi rendo conto di quanto stia bene. Un ragazzo normale probabilmente si innamorerebbe di lei in tempo zero. Purtroppo o per fortuna io di normale ho ben poco. Ma sto bene come poche altre volte nella vita e tanto mi basta. Esiste solo il presente, l'aria fresca, il silenzio, i suoi occhi e il suo sorriso e il calore del suo corpo tra le mie braccia.
Quando guardo l'orologio sono quasi le quattro del mattino. La mia sveglia è alle sette.
Senza che dica nulla lei capisce e mi dice di andare.
Me la coccolo un'ultima volta per cercare di stampare nella mia memoria quanto più possibile quel momento perfetto nella mia testa, poi la prendo per mano e la riaccompagno alla macchina.
"Scriverai di me?"
Mi chiede sorprendendomi non poco.
"Non credo tesoro, non ho video per fare le gif, senza contare che avrebbe poco senso per lo stile del mio blog." Le rispondo sincero.
"Ti prego.. adoro il modo in cui scrivi. Mi fa impazzire. Sei un porco e scrivi decisamente troppe porcate, però lo adoro lo stesso".
Rido. Non mi capita mai o quasi di ricevere complimenti dalle ragazze. Ovviamente ho i miei mezzi per vedere se e quanto piacciono i miei racconti che vanno al di là di likes e commenti, e quindi so per certo che sono molto graditi anche ad una buona parte di pubblico femminile, però di solito nessuna ha il coraggio per dirmelo.
"Scrivilo per me se non vuoi scriverlo per il blog."
Ci penso sopra. Ripenso a quanto mi ha fatto godere, a quanto mi sta facendo stare bene. Decido che se lo merita.
"Vedremo." Le dico sorridendo.
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E vabbè, vi racconto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Anni fa, mi sono imbattuto, su Instagram, nel profilo di una ragazza. Lei non è della mia zona, ed inizialmente non sapevo nemmeno il suo vero nome. Capelli rossi, carnagione chiara, occhi verdi e malinconici come i miei, un incredibile gusto per la buona musica, i buoni libri, la natura e la poesia.
Di mestiere - lei - lavora con la sua immagine. Fotografie, pubblicità, video, questo tipo di cose.
Comunque, la seguo, e dopo qualche tempo, le scrivo, ed iniziamo a scambiare, di tanto in tanto, qualche parola.
Più che altro io facevo lo scemo, con qualche battuta, qualche commento, cercavo di strapparle un sorriso, cosa che mi è sempre riuscita molto bene.
Nonostante questo, il rapporto non decolla mai definitivamente come vorrei, ed un giorno, dopo l'ennesima volta che lei dice di apprezzarmi, che le fa piacere leggere i miei messaggi, io, le dico che vorrei di più. Le dico ciò che provo ovvero che, senza nascondere il fatto che esteticamente la trovo incantevole, sono completamente rapito ed ammaliato dal suo lato caratteriale.
Ce le avete presente quelle persone con l'anima in bella vista? Ti basta guardarle negli occhi, ed è tutto lì: la loro stanchezza, la loro insoddisfazione, le loro paure, le speranze, i loro pensieri. Le riconosci quelle persone, o almeno, io le ho sempre riconosciute, e come a me simili.
Le dico che io questo, non me lo voglio perdere, perchè sarebbe un peccato, le dico che io non voglio essere semplicemente un like o un messaggio, le dico che io, vorrei che lei mi concedesse la possibilità di ascoltarla, di condividere pensieri e parole, e di volerle bene.
Lei, dal canto suo, mi dice che, non crede in questo tipo di rapporti a distanza, indipendentemente dalla persona, fa fatica a rapportarsi in questo modo, mi dice che ho fatto bene a dirle cosa sentivo, perchè è giusto così.
Forse, avrei dovuto prendere tutte le mie convinzioni ed i miei pensieri per lei, metterli in un cassetto, e non pensarci più. Ci ho provato, ma non ci sono riuscito.
Non ci sono riuscito perchè qualsiasi cosa lei facesse, io non riuscivo a non vederla per come pensavo che fosse dietro il social network, e non riuscivo a lasciarla andare, sentendola così simile a me. Lei compariva nei miei sogni, stazionava nei miei pensieri. È stata dentro ad ogni canzone, ad ogni lettura, ad ogni film, ad ogni volta che mi sono sentito solo, inadatto, stupido, stanco. Mi sono sempre chiesto se ed in che dose io l'abbia idealizzata, ma ogni volta che parlavamo, lei mi dava segni di essere esattamente come io pensavo fosse.
Le nostre conversazioni, nel frattempo continuano sempre allo stesso modo, fino a quando un giorno, le scrivo una canzone, gliela registro e gliela faccio avere, e lei si commuove, dicendomi "forse un giorno ci incontreremo".
Le cose cambiano un po', iniziamo a parlare con piu' frequenza, e lei mi dice che starebbe ore ad ascoltare la mia voce, e che la faccio stare bene, credo che a questo punto il nostro essere affini non fosse più un segreto, neanche per lei.
A volte diceva delle cose che, mi facevano pensare che in qualche modo, lei tenesse a me, altre volte era così gentile e così formale, da risultare quasi impersonale e fredda nei miei confronti.
Ad un certo punto però, iniziamo sul serio a parlare di noi, di come ci sentiamo, delle nostre vite, di sensibilità, di sfortune e di malinconie, e cazzo, ho sempre avuto ragione: era veramente come me.
Difficile dirvi quanto ne fossi felice. Avrei fatto di tutto pur di non far scappare questa persona, pur di starle vicino.
Sapete, è una di quelle cose che non puoi ignorare, lasciare perdere, sei tu, te stesso, le tue speranze, la tua cazzo di vita. Non importa come, non importa quando, importa lei.
Le chiedo di poterle scrivere una lettara a mano, e per non rompere la sua privacy, le propongo di fargliela avere via mail. Così, per dimostrarle con un gesto, quanto ci tengo ad essere parte della sua vita. Le parlo di quanto lei sia diventata importante per me, dei miei dubbi, le mie paure, e l'impossibilità di fare finta che lei sia una qualunque.
Suppongo che non l'abbia ancora letta, credo sia passato più di un mese ormai.
L'altro ieri, mi ha detto, con la violenza di un pugno in faccia, che ha un ragazzo, ed io le ho scritto "beh, sono contento per te" ed al mio aggiungere "ovviamente sono sarcastico", lei non ha detto più nulla.
È tutto, mi sento uno schifo.
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Campioni d'Europa🇮🇹
Premessa: so che nessuno leggerà queste parole ma non è per questo che le scrivo. Voglio fissare da qualche parte queste emozioni per tornare a rileggerle ogni volta che vorrò.
È il 12 luglio 2021 e sono le 15:56
Ho appena terminato di rivedere le battute finali della partita di ieri sera. La FINALE DEGLI EUROPEI DI CALCIO.
A mente fredda (ma manco tanto) voglio spendere due parole su questa vittoria: innanzitutto bisogna ringraziare sinceramente il Mancio, Luca Vialli, DDR e tutto lo staff perché senza di loro, senza quell'ambiente, quell'armonia, quell'amore fraterno, famigliare, non ci sarebbe stata una base solida su cui costruire un GRUPPO anzi una vera e propria FAMIGLIA e questo ha influito parecchio in questo cammino. Non bisogna mai sottovalutare l'importanza di una coesione forte e del senso di appartenenza alla maglia, alla squadra, al gruppo, perché è ciò che può (e fa!!) la differenza.
Altro ringraziamento, ovviamente doveroso, va ai ragazzi. Ragazzi che davvero ci tengono, ragazzi pronti al sacrificio, ragazzi seri, ragazzi con entusiasmo, voglia, grinta, speranza, ragazzi che non si arrendono, duri da battere, duri a morire, che hanno dato tutto e anche più per la maglia in questo mese.
Quando abbiamo vinto con la Spagna dopo una partita soffertissima fino ai rigori, mi ero quasi messa l'anima in pace, sono sincera. Ho pensato "bene, ora in finale facciano quello che vogliono, non potrei essere più orgogliosa di loro dopo questo cammino". Ma dannazione. DANNAZIONE. Sono riusciti non a rendermi orgogliosa, a farmi proprio VOLARE. VO-LA-RE.
Voglio essere chiara: era da un pezzo ormai che non provavo così tanta felicità, era da un pezzo che non piangevo di gioia così tanto, era da un pezzo che volevo essere felice e loro mi hanno fatto un regalo enorme, non lo sanno. Mi sono sentita più viva in questo mese che in 20 anni.
Questa vittoria è importantissima. In realtà anche arrivare ai quarti già la consideravo una vittoria, ma essere riusciti a portarla a casa è ancora più bello. È bello per tante ragioni, ma soprattutto per il momento di estrema difficoltà che abbiamo passato lo scorso anno e che ancora stiamo affrontando a causa della pandemia. Questo Europeo, questa vittoria, ha riportato positività, spensieratezza, voglia di tornare come prima e di rialzarsi. È il tornare in piazza a fare casino, ad abbracciarsi a volersi bene e stringersi e gioire insieme dopo più di un anno di sacrificio. E poi è importante, fondamentale, per il movimento calcistico italiano. La mancata qualificazione ai Mondiali russi del 2018 ci aveva letteralmente ammazzati. Feriti nell'orgoglio, spazzati via, delusi, amareggiati, la peggiore sconfitta degli ultimi non so quanti anni.
Mancini (e ora facciamo i nomi) è stato in grado di risollevare il movimento. Gli ha dato una nuova vita, nuova linfa, nuova energia. È stato il miglior "muratore" che potessimo incontrare. Ha rimesso a posto le macerie di quell'Italia-Svezia del 13/11/2017. Da lì è partita la ricostruzione. Con dedizione, con passione, con determinazione e circondato da persone che per lui sono come una famiglia, ha cominciato una graduale ed efficace operazione di rinascita. Pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone, con materiali nuovi e materiali che ce l'avevano sempre fatta e potevano farlo ancora.
Quel tragico 13 novembre 2017 è stato vendicato.
Grazie all'instancabile e straordinario lavoro del Mancio.
E per la serie di "ora facciamo i nomi", mi scuso in anticipo per il fatto che, quando si parla della Nazionale, non si dovrebbero fare preferenze o altro. Non farò preferenze. Ma voglio dire grazie ad alcuni ragazzi che mi hanno veramente fatta sognare.
-Leonardo Spinazzola: esce contro il Belgio ai quarti di finale. Siamo tutti in lacrime quando lo vediamo uscire dal campo in barella devastato e consapevole che per lui il torneo finiva lì e che sarebbe stato un lungo recupero. Leonardo, anzi, "Spina", è stato incredibile. Ammiro tanti calciatori ma pochi mi entrano così nel cuore. Quella fascia apparteneva a lui, che per 90 ma anche 120 minuti non faceva altro che andare avanti e indietro in continuazione, recuperando palloni, creando azioni, senza mai mollare e soprattutto senza fermarsi un attimo e sempre con la stessa intensità. Instancabile, pronto, pericoloso, necessario. Si è sentita la sua mancanza nelle due partite successive, lo sappiamo tutti e lo sa anche lui. Ha dato un contributo davvero troppo importante e se siamo riusciti ad arrivare in fondo, molto del merito in campo è suo. No cap🚫🧢.
-Federico Chiesa: che dire, le mie esperienze al Fantacalcio parlano da sè. Amo questo giocatore fin dal primo momento in cui l'ho visto entrare in campo. E no, non agli Europei. Alla Fiorentina. Mi è piaciuto subito, la grinta e la volontà (oltre che la qualità!!) che lo contraddistinguono, me l'hanno fatto apprezzare fin dai primi passi. Federico ha disputato un Europeo superlativo ed è entrato nel cuore di tutti (soprattutto delle ragazze.. i motivi sono chiari!). Un ragazzo d'oro, figlio d'arte con grandi qualità e tanta tanta voglia. È uscito anche lui ieri sera infortunato (niente a che vedere con Spina però fortunatamente) ed è dispiaciuto a tutti. Giocatore che può e ha fatto la differenza, un vero e proprio asso nella manica. Grazie Fede! Non ho fede nella Chiesa ma ho fede in Fede Chiesa.
-Gigio Donnarumma: non dico che l'ho visto esordire ma l'ho visto esordire. Ricordo quando Miha l'ha buttato nella mischia a soli 16 anni. Mai gesto fu più azzeccato. Gigio è giovanissimo ma con un talento veramente incredibile, un fuoriclasse nel suo ruolo. Ieri sera para due rigori e ne indirizza uno sul palo col pensiero. Anche lui, così come Chiesa e Barella, li conosco da tempo e mi sento come una madre orgogliosa dei suoi figli. Sebbene io continui a tirargli le orecchie per i battibecchi con il Milan, la sua casa, non posso fare a meno di essere fiera di lui. Me lo ricordo quando era un ragazzino alle prime partite con il Milan. Il tempo sembra volato e lui ieri sera, a soli 22 anni, ha alzato una coppa prestigiosa e bellissima, giocando un Europeo veramente coi fiocchi. Senza di lui ieri sera non avremmo vinto. Para il rigore a Saka e noi siamo Campioni d'Europa per la seconda volta nella storia. Immenso Gigione, sai che in fondo ti voglio bene.
-Jorginho: dal Napoli di Sarri al Chelsea. Vince la Champions League e alza la coppa dell'Europeo nello stesso anno. Un delitto non dargli il pallone d'oro, spero vivamente che la mia profezia (no la profezia l'ho fatta dopo il Belgio, mica ieri sera! Troppo facile) si avveri. Si merita anche quel trofeo dopo una stagione piena di soddisfazioni. In campo recupera palloni su palloni e sbaglia pochissimo, veramente niente. Europeo, anche per lui, da incorniciare, giocatore fondamentale a centrocampo. Il professore ♡.
-Bonucci&Chiellini: sisi, la Juve non la sopporto e nemmeno loro in campionato perché sono troppo difficili da aggirare. Ma che Europeo ragazzi. Un'altra volta. Vorrei che potessero giocare a calcio per sempre perché non passa manco l'aria se ci sono loro a difendere. Il prossimo anno ci sono i Mondiali e non ho intenzione di crearmi aspettative perché se gli Europei sono complicati, i Mondiali sono assurdi. Ma comunque sia, spero vivamente che Chiello abbia voglia di disputare un ultimo Mondiale prima di ritirarsi, abbiamo bisogno di Giorgione nazionale!
Menzioni speciali: O TIR A GIR di Lorenzo il Magnifico che trasferisce per una sera il suo potere incredibile a Fede Chiesa. Noi godiamo. Grazie.
Non so se ho detto tutto, bo, però le cose che avevo nel cuore, più che nella testa, le ho scritte e qui rimangono.
Siamo CAMPIONI D'EUROPA, CAMPIONI D'EUROPA, CAMPIONI D'EUROPA!!!!!!!
GRAZIE RAGAZZI, AMO QUESTO SPORT
🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹
IT'S COMING (TO) ROME 💚🤍❤
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Campioni del Mondo (s)
Sono passate due settimane e solo adesso riesco a ripensare a quella sera, a rivederla con occhi più distaccati, e riesco anche a scriverne.
E' la sera della finale dei mondiali di calcio. Domenica sera. Tutti gli amici a casa propria, a vedere la finale insieme alla propria
ragazza, al proprio ragazzo, marito, compagno.
Perché? Per condividere la gioia o l'eventuale dolore durante e dopo la partita, abbracciandosi, baciandosi, gridando insieme, facendo
l'amore. Si, sono convinta che il motivo sia soprattutto questo.
Domenica sera, serata di finale. E Susy con chi la guarda la partita?
Come per altre partite, ci ritroviamo a casa di Stefano. Tutti "singles" (odio questa parola) come me. Io sono l'unica donna. Chiaro, lle altre o sono col partner oppure odiano il calcio.
Non che io sia una esperta, anzi. Tengo per l'Inter, e questo la dice lunga.... Ma quando gioca la nazionale mi prende qualcosa dentro, non
riesco nemmeno a pensare di non gioire o soffrire al fianco della mia squadra, della nostra squadra, della nostra Italia. E poi mi piacciono
i giocatori, anche se hanno dei look assurdi, come Gattuso e Camoranesi. Ma a parte chi si atteggia a prima donna (leggi Totti-DelPiero) gli altri ci mettono il cuore e l'anima e io li adoro tutti.
Domenica sera, a casa di Stefano. Da lui perché ha una TV fantastica, è un maniaco della tecnologia, rinuncia a tutto ma non all' "home
theatre". Sicuramente lo sta pagando a rate. E sicuramente ci guarda i porno. Tra l'immagine e il suono sembra di essere in campo. Iimmagina quando sullo schermo scopano....
Domenica sera, io da sola con quattro ragazzi, Stefano, Marco, Luca e Massimo. Nessun problema. Siamo amici da una vita, ci frequentiamo spesso ma nessuno di loro ha qualche interesse verso di me, né io
verso di loro. Quidi non ci sarà mai nulla tra di noi. Forse anche perché c'è giā stato... in varie occasioni mi è capitato di andare a letto con ognuno di loro. Non proprio tutti, Massimo è il fratello
di Luca, e ha 18 anni appena compiuti. Secondo Luca non è mai stato con una ragazza. A me non interessa, non ho nessuna intenzione di fargli da scuola.
RIpensandoci è curioso che io abbia fatto sesso con tutti e tre... È un caso, non è che mi sono fatta tutti i ragazzi che frequento! Anzi no, non è affatto un caso: probabilmente è il motivo per cui riusciamo a stare insieme cosė bene in gruppo: ci conosciamo bene, non ci sono invidie, desideri nascosti, secondi fini... Abbiamo provato a fare coppia, non è andata, bene, adesso siamo amici.
Forse riesco ad avere con loro una amicizia quasi maschile, una complicità, la cosa risulta lampante quando parliamo di donne... o quando mi invitano per le partite.
Domenica sera, finale della Coppa de Mondo. Una pizza mangiata in fretta e con lo stomaco quasi chiuso, per come stavamo soffrendo, e per il rigore subito. Pizza e birra. Non ci è venuto in mente niente di meglio per una finale di coppa del mondo. Pizza per l'Italia. Birra alla salute dei tedeschi, padroni di casa ma castigati con un due a zero senza appello.
Secondo tempo, di male in peggio. Siamo uno a uno, ma i francesi attaccano, ci pressano nella nostra area per minuti che sembrano ore.
Non può finire così, non deve finire con un gol dei francesi.
I miei amici soffrono. Soffrono nello spirito e nel fisico, è incredibile, si legge sui loro volti la tensione, è come se stessero giocando loro la partita. Doveva essere una bellissima serata, e invece sembra la notte prima degli esami di maturità. Mi guardano con occhi tristi e imploranti, come se io potessi fare qualcosa, come se potessi
cambiare le sorti della partita. In realtà mi rendo conto che sono il loro unico pensiero possibile per non pensare al fatto che stiamo per perdere un'altra finale, e ancora una volta con la Francia.
Un po' per questo, un po' perché il caldo con la tensione è diventato ancora più insopportabile, mi sbottono la camicetta facendo in modo che mi buttino un'occhiata almeno quando la palla va in rimessa laterale o il gioco si ferma per un fallo.
Vedo dei sorrisi, dei timidi accenni di sorriso sui loro volti, e allora mi faccio coraggio e lascio cadere a terra la camicetta, come una consumata spogliarellista.
Sono soddisfatta di quello che sto facendo, la partita resta durissima, sono ancora tesi ma molto meno abbacchiati di prima. Mi sembra che si
siano ricaricati, lo sento dalle grida con cui incitano i nostri
giocatori, sentono che ce la possiamo fare, anche se oggettivamente il possesso di palla è quasi sempre francese. E vediamo ancora molti
passaggi intercettati dai francesi a centrocampo, che ci fanno incazzare da morire.
Senza pensarci tanto su, lascio cadere a terra anche i pantaloncini. In realtà ci ho pensato. Ho pensato che vedermi in reggiseno e slip non è poi tanto diverso dal vedermi in costume. Ed ho un bel completino, colorato, allegro e per niente volgare. Certo, il perizoma lascia il
mio culetto quasi completamente nudo, ma non è una novità per nessuno, ripeto.
Quasi nessuno. Massimo, il diciottenne, è visibilmente distratto dalla partita, ed anche visibilmente eccitato.
Ma non me ne curo, il mio scopo è solo tirare un po' su il morale a questo gruppetto di tifosi sofferenti.
E funziona. Passo in mezzo a loro seminuda e lascio che mi appoggino la mano sul culo: sono diventata il loro portafortuna. Mi siedo sulle
ginocchia di qualcuno, quando il gioco necessita attenzione. Tutti tranne Massimo... solo a guardarmi sembra talmente eccitato che temo che se mi sedessi su di lui non riuscirebbe a trattenere un orgasmo, e
non voglio metterlo in imbarazzo di fronte a suo fratello e ai suoi amici.
Sono la loro mascotte ormai... e la cosa non mi dispiace affatto. So di avere bisogno di attenzioni, e di essere un po' esibizionista, e mi sto
godendo questo momento sperando di poterlo ricordare per sempre insieme alla vittoria.
Ma la vittoria è sempre più lontana... nei tempi supplementari
continuiamo a soffrire, e sembra che basti un niente, una minima distrazione di Cannavaro, perché la Francia chiuda la partita.
Sto soffrendo anch'io, non solo loro. Non se ne rendono conto perché mi vedono fare la cretina, ma ho un'ansia che mi distrugge.
I miei amici cominciano a disperare... se si va ai rigori si sa che ce la prendiamo nel culo ancora una volta, è matematico... iniziano a
girare frasi del tipo "beh, se vinciamo io faccio...", " se vinciamo io smetto... ", "darei tutto per questa vittoria"
Non so da quale parte del mio cervello sia uscita, ma sento la mia voce che dice: "Ragazzi, se vinciamo faccio tutto quello che volete per
un'ora!"
Un attimo di improvviso silenzio, quattro sguardi su di me, ma nessun commento. Un secondo dopo tutti a urlare verso lo schermo. Un fallo,
poi l'espulsione di Zidane portano via definitivamente l'attenzione da quello che ho detto.
Mi ritrovo a pensare che con la Francia in dieci potremmo chiudere la partita, e ho un brivido misto di piacere e di timore per la vittoria e per quello che ho promesso. Ma se vinciamo avranno ben altri pensieri per la testa, posso stare tranquilla, non mi hanno presa sul serio.
Finiscono anche i supplementari, si va ai rigori. Sono rassegnata alla sconfitta, ma contemporaneamente sollevata.
E invece è andata come sapete. Cinque tiri, cinque gol. Come se l'avessero fatto apposta. Per farmi dispetto. Così imparo a uscirmene con certe promesse!
I miei amici comunque pensano a tutto tranne che a me. Nessun accenno alla mia frase.
Siamo Campioni del Mondo!!! Esultiamo, saltiamo, ci abbracciamo, ci baciamo sulla bocca ma in questo momento di gioia nessun altro bacio
sarebbe possibile. Per Massimo è una festa doppia. Sento che per lui questo bacio, questo abbraccio hanno un gusto diverso. Non so se io sono davvero la prima ragazza che tocca, ma sicuramente ricorderà a
lungo questo contatto.
Continuiamo a fare casino per tutto il tempo della cerimonia, stappando bottiglie e riguardando i filmati della partita. Ad un certo punto Marco propone di prendere la macchina e a andare in centro a festeggiare per le strade, e fare il bagno nella fontana di piazza Brà. Sembrano tutti entusiasti dell'idea, ma Stefano li frena:
"primo, ci sono in giro migliaia di persone che guidano ubriache e secondo me in centro non ci arriviamo senza qualche ammaccatura"
"secondo, la Susy deve mantenere la sua promessa. Magari tra un'ora possiamo ripensare di uscire. Ma adesso, chi ce lo fa fare?
L'importante è fare festa, e noi la faremo qui."
Quasi non lo riconosco. Non può aver parlato così, non può essere lo Stefano che conosco...
Invece fa sul serio, e ha convinto tutti, non ha dovuto insistere molto. Luca e Marco cercano di difendermi; penso che non lo faranno, per la nostra amicizia e per la presenza di Massimo. E invece lo faranno proprio per Massimo.
Stefano insiste e ne fa una questione di rispetto delle regole e della parola data. E lascia a me la decisione finale: rispettare la promessa
o sottrarmi perdendo la faccia di fronte a tutti.
Sa quanto sono orgogliosa e sa che sfidandomi accetterò.
E infatti dico "va bene."
Stefano è un leader. In questi momenti tira fuori la sua autorità e comanda tutti a bacchetta:
"le regole sono semplici: abbiamo quindici minuti a testa da passare con Susy e chiederle tutto quello che vogliamo. Siccome nessuno ha piacere che le sue cose si sappiano in giro, useremo quella stanza, e nessuno spierà né origlierà. In questo modo chi vuole potrà anche
passare il suo quarto d'ora a chiacchierare senza essere sputtanato per tutta la vita. E anche Susy immagino sia più felice così"
Annuisco. In fondo gli voglio bene.
"Non ho finito. Abbiamo 15 minuti a testa, ma se qualcuno ha piacere di
condividerli con un amico, i minuti diventano 30. Susy non dovrebbe avere problemi... e comunque la sua promessa non le lascia possibilità di opporsi. I limiti ovviamente ce li poniamo noi, siamo persone civili, siamo suoi amici e le vogliamo tutti bene."
Sono pronta. Faccio solo una richiesta: "voglio scegliere io il primo, e voglio che sia Massimo"
Accettano. Lo prendo per mano, mi sembra quasi che tremi. Ci avviamo verso la porta della camera e la chiudo a chiave alle nostre spalle.
Quello che è successo dopo è un'altra storia....
Ho voluto raccontarvi questa storia perché adesso sapete chi dovete ringraziare se siamo
CAMPIONI DEL MONDO
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Haikyuu Commento
Seconda stagione
Questa seconda stagione l'ho divorata, esattamente come la prima. E, esattamente come la prima, mi è piaciuta un sacco. Non saprei dire quale delle due io preferisca, mi hanno entrambe emozionato e commosso, e in entrambe i personaggi mi hanno resa orgogliosa compiendo delle belle evoluzioni.
Una cosa che ci tengo a dire e che mi sono dimenticata di menzionare nel primo commento, è che grazie ad Haikyuu ho imparato come si gioca a pallavolo: il cartone spiega e mostra molto bene le dinamiche relative a questo sport, in certi momenti ci si ferma proprio a spiegare nel dettaglio che cosa i giocatori stanno facendo.
Questi "tecnicismi" non mi sono mai risultati pesanti, ma forse perché ero completamente ignorante riguardo la pallavolo che io stessa bramavo informazioni per capire come funzionano le cose sul campo da gioco.
Ma ammetto che alcune volte devo tornare indietro di dieci secondi per risentire ciò che è stato detto o rivedere quello che è successo, e questo è un discorso generale. A volte il ritmo di Haikyuu è davvero veloce, e non posso permettermi di distrarmi.
Non che comunque io voglia distrarmi: un grande pregio di Haikyuu è l'adrenalina.
Mi sono ritrovata a pensare: "sì però se parla sempre e solo della pallavolo e mostra sempre questi ragazzi che non fanno altro che giocare, diventerà noioso".
Ma la verità è che le parole "Haikyuu" e "noioso" non possono coesistere nella stessa frase.
Perché anche quando cominci l'ennesima partita, non puoi far altro che spingere continuamente play sull'episodio successivo perché ti stai talmente mangiando le mani che DEVI sapere come vanno le cose (pena l'infarto).
Le partite sono estremamente dinamiche, evolutive, divertenti, emozionanti. È impossibile non guardarle se non con un vivo interesse.
E se sono così interessanti è grazie ai personaggi, grande punto di forza e vera perla di questo cartone:
Hinata e Kageyama
Nella prima stagione ho conosciuto un Hinata appassionato e determinato, ma scarso di tecnica e costretto a schiacciare a occhi chiusi le palle passategli da Kageyama, senza il quale non sarebbe mai entrato in squadra.
Ho sempre sperato che Hinata avesse un'evoluzione, che lo portasse da "sono una pippa e devo solo schiacciare le palle che mi passa lui", a "sono una pippa ma posso migliorarmi e decidere come schiacciare le palle."
Sono stata quindi molto contenta e orgogliosa di lui quando l'ho visto ribellarsi al suo essere sostanzialmente un robot, desideroso di diventare un giocatore consapevole, capace di capire come gestire la palla quando è lassù in aria sopra la rete.
Ho empatizzato davvero molto per lui quando Kageyama e il resto della squadra continuano a ripetergli che non è abbastanza bravo e che deve solo battere le alzate del suo compagno.
Sì ok, ma se non lo fate provare, non migliorerà mai.
Ammetto di essermi anche un po' arrabbiata con gli altri per aver chiuso la porta in faccia a Hinata senza mezzi termini, senza nemmeno provare a dargli una possibilità.
Mi è dispiaciuto quando Hinata e Kageyama arrivano a litigare e a mettersi le mani addosso, ma allo stesso tempo è stata una scena molto bella e potente.
E nonostante Kageyama sulle prime si rifiuti di prendere in considerazione le parole del compagno, è però evidente che Hinata abbia smosso qualcosa in lui, e non posso fare a meno di apprezzarlo quando chiede consiglio a Oikawa (umiliandosi come un ladro), il quale gli risponde in modo sincero e diretto: Hinata ha ragione e dovrebbe ascoltarlo, perché è lui quello che schiaccia la palla, ed è lui che dovrebbe decidere.
Il Kageyama iniziale, quello della prima stagione, non si sarebbe abbassato in questo modo, andando a elemosinare un parere al suo ex maestro, dimostrando quindi di mettersi in discussione. Avrebbe fatto il solito egoista tirannico con Hinata, e tanti saluti.
Ma il bruttissimo ricordo dei suoi compagni che lo abbandonano è sempre molto vivo dentro Kageyama, che non vuole più rivivere una cosa simile. Quindi stavolta agisce in modo diverso.
Dopo un momentaneo periodo di crisi, Hinata e Kageyama tornano a fare coppia sul campo da gioco, più forti, più maturati, più consapevoli.
Continua a farmi molto ridere il loro rapporto super mega competitivo, con loro che si mettono a gareggiare anche per le cose più stupide, come chi va per primo a fare la doccia, o chi raccoglie più palloni a fine allenamento.
Per non parlare del fatto che Kageyama ha un modo di incoraggiare tutto suo XD. Ma lo si ama per questo.
Sono entrambi due bellissimi personaggi e li amo molto tutti e due, ma se devo dire chi preferisco dico Kageyama. In fondo l'ho sempre amato e l'ho sempre preferito, e poi penso che sia un personaggio scritto bene a livello umano, credibile e con una buona introspezione.
A livello di scrittura non sembra quasi un personaggio di un cartone animato, al contrario invece di Hinata, che con i suoi atteggiamenti caricati ed esuberanti si conferma il degno protagonista di questo anime.
Oikawa e la partita.
Lo so, non è un personaggio della nostra squadra quindi dovrei tenerlo per dopo, ma sento l'insistente bisogno di parlare di lui: l'ho amato. Nella prima stagione ai miei occhi era passato in secondo piano davanti alla bellezza di Kageyama o dell'asso Asahi, a questo giro invece ho avuto modo di apprezzarlo.
Stronzetto come solo lui sa essere, orgoglioso, vanitoso, superficiale (più all'apparenza che nella realtà dei fatti), pieno di sé e allo stesso tempo insicuro, e anche lui, esattamente come i nostri protagonisti, un giocatore ardente, instancabile e desideroso di vittoria.
Per non parlare della sua incredibile bravura come alzatore.
Per me Oikawa e Hinata sono i due Re di questa stagione.
Sarò sincera: durante la partita tra la Karasuno e la Seijo a un certo punto ho tifato entrambe.
Una parte di me sospettava che i nostri avrebbero portato a casa la vittoria, perché 1) ci voleva la rivincita, 2) se avessero di nuovo perso dopo tre set sarebbe stata una ripetizione. Ma questo non mi ha impedito di mangiarmi gli episodi nell'arco di un pomeriggio, in preda all'ansia e alle preghiere rivolte a tutti i santi del calendario.
Ovviamente ho fatto il tifo per Hinata & Company fino alla fine, e sono felicissima che abbiano vinto, ma non nascondo che per un paio di episodi mi sono messa a tifare pure per Oikawa e i suoi compagni, primo su tutti Kyotani.
Questo perché anche loro, esattamente come i nostri, ce la stavano mettendo tutta e anche loro volevano vincere.
Vedendo in campo due squadre così, sapevo che chiunque avrebbe perso, ne avrei sofferto.
A livello di tempo, la partita è stata ILLEGALE.
VOLETE SMETTERLA DI PORTARE AVANTI LE PARTITE PER 6/7 EPISODI FACENDOMI RISCHIARE UN ATTACCO DI TACHICARDIA OGNI VOLTA CHE LA PALLA VIENE LANCIATA IN ARIA???
(Tra parentesi, ma non è che la terza stagione dura dieci episodi, perché dieci episodi è la lunghezza della partita finale? Io muoio)
Comunque, quando questa battaglia all'ultimo sangue ha visto la sua fine, io ho pianto. Per felicità e dispiacere insieme. Perché ero incredibilmente contenta per Hinata e gli altri, e allo stesso tempo dispiaciutissima per Oikawa e la sua squadra.
Poi dai, quando mi mettete davanti questi giocatori che non possono fare a meno di piangere dopo che hanno passato mesi a farsi il culo e a sognare i nazionali, scusate ma mi sciolgo pure io.
Questo è un aspetto di Haikyuu che adoro profondamente: il fatto che ti porta a empatizzare per tutti, e non solo per i protagonisti.
La partita è stata molto adrenalinica, emozionante, ricca di belle mosse e strategie, piena di suspance. È stata davvero bellissima e me la sono goduta dall'inizio alla fine.
E anche se alla fine ha vinto la Karasuno e quindi possiamo dire in un certo senso che l'allievo ha superato il maestro, per me Oikawa rimane un alzatore molto più bravo di Kageyama: la sua rapida capacità di comprendere come alzare la palla nel modo giusto a schiacciatori anche di squadre diverse, è spettacolare.
Per quanto riguarda Kyotani, è l'unico della Seijo oltre Oikawa che voglio menzionare. Detto "Cane Rabbioso" per il suo carattere ribelle e focoso, il ragazzo entra in campo completamente a ca**o duro e fa un po' come gli pare, per poi iniziare un'evoluzione carina nel corso della partita, in cui si rende conto dell'importanza della squadra e il valore di avere dei compagni su cui poter contare.
Il resto della Karasuno.
Purtroppo in questa stagione Asahi non ha avuto un ruolo principale e non ha compiuto nessuna evoluzione, ma d'altronde 1) aveva già avuto i suoi bei momenti nella stagione scorsa, e 2) il cartone mette in scena TANTI personaggi, ed è giusto approfondirli tutti un po' alla volta e dare spazio a tutti.
Questo non toglie che io abbia sentito molto la mancanza del mio Asso ❤
In questa stagione, grazie a Hinata che vuole migliorarsi e superare i suoi limiti, tutti i membri della squadra si sentono incoraggiati e spinti a sfidare se stessi. Ed ecco che ognuno di loro comincia ad allenarsi duramente per migliorare le proprie tecniche o per provare cose nuove: ad esempio Nishinoya non si accontenta di fare solamente il libero e allora diventa occasionalmente anche un alzatore di tutto rispetto.
Nella prima stagione questi giocatori si sono conosciuti e avevano cominciato a capire come giocare insieme, qui la squadra diventa giorno dopo giorno più compatta, consapevole, solida, coraggiosa, agguerrita. Sono spaventati dalle sfide che devono affrontare, ma anche incredibilmente carichi. Perché più si allenano, più diventano bravi, e più diventano bravi, più fanno paura alle altre squadre.
Le altre squadre cominciano davvero ad avere timore di loro, perché il loro miglioramento è palese, e questo mi ha resa molto orgogliosa.
"I campioni decaduti", o "i corvi che non riescono a volare" sono ormai soprannomi del passato.
Non posso non parlare di Tsukishima e Yamaguchi. Sono MOLTO contenta che entrambi siano stati approfonditi, sia insieme sia come singoli. È quello che speravo.
Ho finalmente capito perché Tsukishima si mostrava sempre così sfiduciato in partenza, come se allenarsi tanto non avesse alcun senso perché tanto perdiamo, oppure perché "è solo uno sport." La sua sfiducia era legata a suo fratello, i cui sogni sulla pallavolo sono rimasti infranti. Non che ora Tsukishima sia Mister Allegria o colui che motiva tutta la squadra, ma ora ci crede davvero e si impegna seriamente.
Bello il momento in cui Yamaguchi gli fa il "cazziatone", ricordandogli di dover giocare anche solo per il suo orgoglio: le parole dell'amico colpiscono molto Tsukishima.
E Yamaguchi colpisce anche me, perché non mi aspettavo uno scoppio d'ira del genere da parte di questo personaggio sempre in secondo piano e piuttosto insicuro.
E riguardo proprio la sua insicurezza e la sua paura, Yamaguchi impara ad affrontarle e a mettersi in gioco, finendo per diventare un fenomeno della battuta di servizio (4/5 punti di fila contro la Seijo sono WOW).
Voglio poi menzionare il Capitano della squadra Daichi, e il suo "vice", Ennoshita.
Il Capitano non è personaggio particolarmente interessante o complesso, anzi è un po' cliché nel suo ruolo di capitano (lui è il supporto della squadra, dentro e fuori dal campo), ma ci tengo a dire che mi è dispiaciuto tantissimo quando si fa male ed è costretto ad abbandonare il campo. Il senso di colpa di Tanaka mi ha quasi fatto piangere.
E qui entra in gioco Ennoshita, il favorito come prossimo capitano della squadra, ma il ragazzo si vergogna e non si sente degno di un simile onore, essendo fuggito dalla squadra qualche tempo addietro. Ma la lontananza gli ha permesso di capire quanto la pallavolo è importante per lui, e ora non la lascerà più andare.
Per ultima cito la nuova entrata, Hitoka Yachi, seconda manager della squadra, una ragazza che trova la determinazione necessaria per accettare il ruolo offertole. È davvero carina e simpatica, e tra l'altro dà sempre voce ai miei pensieri quando dice che se lei provasse a fermare quelle palle micidiali le si spezzerebbero tutte le ossa.
Comunque il vero motivo per cui l'ho citata è per dire che sono profondamente invidiosa di lei per essere la manager di una squadra di ragazzi che si spogliano tranquillamente a petto nudo davanti a lei (potessi io essere la manager di quella squadra!!).
Le altre squadre
Ordunque, da dove cominciare?
Ammetto di avere un pochino (in realtà non mi ricordo nulla) di confusione in testa, questo perché mi sono maratonata la stagione in tre giorni e ricordare tutti i personaggi e le varie squadre cui appartengono è davvero difficile.
Santa donna @dilebe06 che mi ha aiutato al riguardo passandomi le immagini dei personaggi coi rispettivi nomi, nomi che io non sarei riuscita a ricordare MAI nella vita.
Una delle squadre avversarie che più mi sono piaciute è stata la Johzenji, detti anche "i festaioli". Questo perché i ragazzi non giocano in modo serio mettendo in campo delle strategie precise, loro sono delle mine vaganti che giocano un po' come viene, non si fanno carico di alcuna pressione e prendono il tutto con leggerezza e divertimento.
Solo che questo non è divertirsi davvero. Questo è cazzeggiare. E glielo dice chiaro e tondo la loro manager, che a una certa si arrabbia sul serio vedendoli giocare come se non gli importasse davvero, e parte la lavata di capo.
È ok perdere, ma non è ok perdere perché non si è presa la partita seriamente.
Dopo la sgridata, i ragazzi si fanno sotto e anche se non portano a casa la vittoria dimostrano di saperci fare e di sapere come si combatte sul campo della pallavolo.
Mi sono piaciuti tanto e mi hanno fatto molto ridere.
Tra l'altro la manager mi ha fatto notare che anche lei e le sue colleghe, anche se non sono sul campo a sudare, sono comunque investite emotivamente nella situazione. Sono ragazze sempre presenti per i loro giocatori, li supportano, li aiutano ad allenarsi, li vedono crescere e migliorare, li vedono litigare e abbracciarsi tutti insieme. Queste squadre sono come delle grandi famiglie, e quella scena mi ha ricordato l'importanza delle manager e di come anche loro gioiscono o soffrono a seconda di come finisce la giornata.
Un'altra squadra che cito è la già conosciuta Dateko, che mi ha fatto piacere rivedere. Ho già menzionato Aone la scorsa volta, quindi ora cito solo Koganegawa, il "cazzone" della squadra dal carattere imprevedibile che mi ha fatto molto ridere.
C'è poi la Nekoma con l'altissimo Lev, un mezzo russo dall'aria imponente e a una prima occhiata minacciosa, ma è solo un ragazzo molto alto e anche molto alla mano che come tutti gli altri vuole solo giocare a pallavolo.
Per ultimi cito quelli che mi sono piaciuti di più: Bokuto e Akaashi della Fukurōdani e Kuroo della Nekoma.
Un trio meraviglioso che ho adorato.
Tre ragazzi che pur appartenendo a squadre diverse fanno comitiva insieme, giocano, si sfidano, si allenano e semplicemente cazzeggiano insieme.
La cosa che più mi è piaciuta di loro è stata la capacità di socializzare e interagire con tutti, avversari compresi. Il loro spirito da "camerata" è stato davvero bello.
Mi hanno fatto molto sorridere quando si sono messi ogni sera a stalkerare il povero Tsukishima, la persona meno socievole del mondo.
Ma il bello del ritiro di Tokyo è stato proprio questo: incontrare e conoscere altre squadre, misurarsi con loro, sfidarsi con incontri veri e propri o con "partitelle" a fine giornata, venire in contatto con nuovi giocatori e nuove strategie, rendersi conto dei propri limiti, imparare gli uni dagli altri.
Il ritiro di Tokyo mi è piaciuto tantissimo, è una delle cose che ho preferito di questa stagione.
E del trio sopracitato, Bokuto è di certo quello che ho amato più di tutti. Matto come un cavallo e completamente fuori di testa, mi ha fatto ridere non poco: prima dispensa consigli strategici a Hinata, e poi si meraviglia genuinamente quando lui li mette in pratica.
Cioè... XD
Per non parlare di come entra letteralmente in uno stato di coma nel bel mezzo della partita contro la Karasuno quando schiaccia la palla... contro la rete.
Ho riso assai.
La cosa che più mi piace di Haikyuu è il bellissimo e perfetto equilibrio tra sportività e competitività: non ci sono villain da sconfiggere, questi ragazzi sono tutti sulla stessa barca e sognano tutti la stessa cosa. Questo li porta a saper interagire gli uni con gli altri, chi in modo più amichevole e chi meno, senza poi risparmiarsi sul campo da gioco.
Haikyuu sta davvero facendo un bellissimo, e realistico, lavoro nel rappresentare il mondo dello sport: pieno di fatica e sudore, vittorie e sconfitte, ma sempre bello ed entusiasmante.
Ultima cosa, che avevo già notato nella prima stagione: oltre al modo in cui esultano, a me fa impazzire anche il modo in cui i personaggi chiedono scusa quando commettono un errore, e sopratutto come i compagni non lo fanno pesare e incoraggiano a far meglio la prossima volta.
Credo che Haikyuu sia davvero un ottimo esempio per i ragazzi.
Detto questo, domani mi sparo la terza stagione, e io so già che morirò di ansia.
Questo cartone è altamente consigliato e il mio voto continua a rimanere sull'8 se non di più.
#haikyuu!!#haikyū!!#haikyuu tobio#hinata shōyō#hinata shoyo#nishinoya yuu#azumane asahi#oikawa tōru#oikawa tooru#game#sport#match#volleyball#pallavolo#kotaro bokuto#dateko#nekoma#seijou#karasuno#kegayama tobio#anime#japan anime#japan#cartoon#cartone animato#i love this anime
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Qualcuno vuole sentirsi libero e qualcuno teme che i suoi sentimenti facciano rumore
Parole: 4074 Beta: server di Discord Fandom: Sanremo RPF (Cenone di Natale AU/Sanremo Family AU) Ship: Ancora nessuna (sempre molto tecnicamente) Avvertimenti: ???, I N A M I C I Z I A, alcol, lieve menzioni di comportamenti leggermente autodistruttivi, personaggi molto in background sono lievemente creepy, pubblicità gratuita a Netflix Note autore: Ambientata poco dopo il finale di questa (X). Sì, di questi titoli ne avremo ancora per un po’. Inizia ad essere necessario un masterpost per il Cenone AU (e lo farò, davvero)... Conoscendo gli sviluppi futuri rileggere questa è stato... Interessante.
Cally guarda l’orario dall’orologio della sua camera e si convince finalmente a vestirsi. È assolutamente inutile fare la doccia in anticipo se poi resto mezz’ora a fissare il soffitto. Butta l’asciugamano da una parte e si alza per recuperare la biancheria dalla valigia. Incredibile che non l’abbia ancora sistemata nell’armadio, ormai sono arrivati da una settimana.
Mentre si sta infilando i pantaloni che ha scelto, il suo telefono comincia a squillare. Cally sbuffa e si sposta verso il comodino per recuperarlo e rispondere «Oh ma quindi vieni a giocare a biliardo?» chiede Rancore quasi urlando per sovrastare il vociare dei cugini intorno a lui «Ancora? Eccheccazzo Tarek, te l'ho già detto che c'ho da fa' stasera...» risponde Cally mentre sistema due camicie sul letto per cercare di decidere quale indossare. Nera o bianca? Sente Rancore sbuffare ed una risatina che sembra appartenere ad Anastasio «Sì, sì, me l’hai detto... Ma tu dici tante cose... E poi è una scusa del cazzo "c'ho da fare", dai! Almeno sii più specifico se devi inventarti cazzate, no? Che hai da fare di così segreto, mh? Un appuntamento? Oh. SÌ HO RAGIONE VERO? come ho fatto a non pensarci prima?» si lamenta Tarek «Oh Marco mi sa che Cally se la fa con qualcuna! Ma perché non ti tieni aggiornato sui tuoi stessi parenti?» aggiunge chiaramente rivolto a Anastasio che deve essere a poca distanza da lui. Cally chiude gli occhi e sospira pesantemente prima di iniziare ad indossare la camicia bianca. Tanto vale andare sul classico.
«Non è un appuntamento.» dice secco sopra le esclamazioni di Tarek «Esco con un'amica. È una serata tra amiche.» continua mentre recupera le bretelle da un cassetto prima di chiuderlo forse con un po’ troppa forza. Tarek si fa improvvisamente più curioso «Sto riuscendo a farti rivelare i tuoi piani... Mhhh... Dimmi un po' com'è che tu stai in vacanza con la tua famiglia ed organizzi appuntamenti? E cos’è questa inversione di ruoli tra me e te?» continua a stuzzicarlo «È stata una coincidenza: anche lei è in vacanza con la sua famiglia in questa zona... È arrivata un paio di giorni fa e, dopo aver scoperto che anche io ero qui, mi ha proposto di farci una serata in un locale. E dato che una serata tra amiche è sempre una buona idea, ho accettato. Non si tratta affatto di un’inversione di ruoli. Io se ho un appuntamento, lo chiamo appuntamento. Non mi faccio certo le tue pare mentali… È una serata tra amiche.» spiega Cally mettendosi le bretelle prima di spostarsi verso il bagno per sistemarsi i capelli. «Sì, certo come no. Ma tu con questa ce vuoi prova'?» continua Rancore. Cally deglutisce e poi risponde con il tono più neutro possibile «Tarek vuoi che ti mando a quel paese per telefono o prima di uscire passo al biliardo per farlo di persona?» risponde e Rancore ridacchia «Oh, oh... Okay ho capito. Serata tra amiche. Nessun appuntamento. Peccato comunque... Potevi stare a divertirti con noi, bere un po', stuzzicare Anastasio come fai di solito, magari fare un po' di gossip su Diodato... Ma no, vai vai con la tua amica...» risponde con tono di resa.
Cally è improvvisamente più interessato, ma non vuole darlo troppo a vedere. Prende discretamente un respiro profondo e cerca di far suonare la sua voce disinteressata «Ah sì... Mi sto perdendo proprio una seratona... Fare quello che faremmo di solito con il bonus del biliardo... E dell'inesistente gossip su Diodato che da quando è finita la sua storia con mia cugina non ha fatto assolutamente nulla... Tra un po' potremo mettere un cartonato al posto suo e sarebbe la stessa cosa!» mentre finisce la frase si morde il labbro e trattiene qualche imprecazione cercando di non prendersi a pugni da solo «Come niente gossip su Diodato? Cally pensavo che non vedessi l'ora di parlare della sua nuova acconciatura da quando siamo arrivati! Stiamo facendo teorie sul perché si sta facendo crescere i capelli da giorni ormai! Dov'è finito il tuo spirito investigativo? Vuole essere più Johnny Depp anni novanta o Leonardo Di Caprio anni novanta? È ancora una sua pessima reazione alla rottura? O vuole cercare di rimorchiare qualcuna? Non ci credo che proprio tu non te lo sia chiesto... Mi aspettavo che stessi preparando almeno un centinaio di nuove battute... A meno che tu non sappia già il motivo di questo cambio di look...?» risponde Rancore senza notare il tono forzato di Cally «Ah intendevi quello! No, no... Non so perché l'abbia fatto ma davo per scontato che stesse attraversando una fase Beatles... O cazzate così... Comunque ovviamente ho già pensato ad un nuovo repertorio di battute, per chi mi hai preso?» ribatte Cally e si stupisce lui stesso di quanto la bugia gli esca facilmente. Tarek ride «Adesso ti riconosco! Comunque divertiti con la tua amica… Scommetto quello che vuoi che alla fine te la porti a letto…» dice con tono ironico. Cally si morde il labbro e raccoglie per l’ennesima volta i suoi pensieri «Sì, certo Tarek… Infatti sappiamo quanto sei fortunato con le scommesse… Invece che cercare di combinarmi con le mie amiche, concentrati a cercare di farti Marco per favore. Tre appuntamenti e ancora non l’hai baciato, dai… Che vergogna… Mi sto pentendo di averti combinato con lui, in fondo mio cugino si merita meglio di così, no?» replica con un aspro tono sarcastico prima di salutare mentre Tarek cerca di balbettare qualcosa e riattacca. Cazzo, forse ho esagerato un po’, pensa, ma sa anche che Rancore lo conosce e che non penserebbe mai che dicesse sul serio. Almeno lo spera.
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Cally si piazza a poca distanza dall’ingresso del locale e si accende una sigaretta mentre aspetta. Non c’è esattamente freddo, è estate in fondo, ma c’è una leggera brezza che viene dal mare e gli sta facendo venire i brividi. O forse è solo la sua impressione. Nessuno intorno a lui sembra in alcun modo infastidito o infreddolito. Forse è davvero solo lui. Temevo di arrivare in ritardo io ed invece… A quanto pare la signorina si farà aspettare? Cally sorride tra sé e sé mentre si fa un tiro. Adesso ovviamente l’unica cosa a cui non devo pensare troppo è che sto prendendo una cotta bella e buona per Anita, giusto? Cazzo, di sicuro in questo momento non ha bisogno anche delle mie idiozie… A proposito di Anita… Cally controlla l’orario. È un po’ in ritardo rispetto all’orario prefissato… Magari ci ha messo un po’ di più a prepararsi o… O è stata fermata da qualcuno della famiglia. No, in quel caso avrei già ricevuto qualche chiamata ed almeno cinquanta messaggi. Però… Potrebbe essere rimasta in camera, troppo insicura e troppo agitata per azzardarsi ad uscire. In quel caso non solo Cally avrebbe fallito completamente nel suo intento di farla rilassare, ma avrebbe anche causato più problemi di prima.
Alla fine si decide a provare a chiamarla. Attende qualche squillo e poi si mette subito in allerta quando sente che qualcuno ha risposto «Ehi, ciao.» dice con tono delicato Anita, ma Cally non riesce a capire se sia triste o allegra «Ehi! Non avrai deciso di darmi buca, spero…» risponde Cally con l’intonazione più allegra che riesce ad ottenere e cercando di non sembrare troppo preoccupato. Non è ancora certo che lei stia effettivamente bene. «Mhhh… Sai, non è una cattiva idea…» inizia a dire Anita con tono scherzoso e Cally si rilassa «Quasi quasi resto in camera… Qui ho una buona scorta di caramelle e Netflix a disposizione…» conclude Anita e Cally si sente un po’ meno sicuro, anche se riesce a sentirla sorridere. «Oh wow, se lo dici così allora ti do ragione, dammi buca assolutamente… Però… Posso dire in mia difesa che magari, e solo magari, posso essere interessante quanto Netflix ed una buona scorta di caramelle?» ribatte con un sorriso «Dietro di te, Mx. Interessante.» gli risponde Anita facendosi scappare una risatina prima di chiudere la telefonata. Cally corruga per un momento la fronte confuso, ma poi si volta quasi inciampando su sé stesso. Wow. Altro che troppo insicura. Anita si avvicina in perfetto equilibrio su un paio di tacchi decisamente alti, ondeggiando i fianchi messi in risalto da una gonna molto corta ed attillata. Cally non si aspettava che una con un guardaroba così sobrio e semplice potesse avere qualcosa di quel tipo. Indossa anche una camicetta scollata piena di brillantini ed è riuscita a radersi completamente e a truccarsi… Sta da favola. Non ci sono altre descrizioni possibili. «Sono arrivata puntuale, giuro… Non ti avevo visto e… Poi mi hai chiamata…» spiega appena si trova più vicina e sembra quasi… Timida. Lei. Che riesce a camminare con quella disinvoltura in quei vestiti… Cally scuote la testa per prendere contatto con la realtà e riprende in mano la sigaretta che era rimasta a pendere tra le sue labbra. «Oh, non fa niente figurati… La notte è ancora giovane, abbiamo tutto il tempo del mondo per bere e ballare…» la rassicura con un sorriso ed un occhiolino prima di porgerle il braccio per appoggiarsi e condurla verso l’ingresso «Almeno se cadi da quei trampoli, saremo in due a cadere.» aggiunge «Stai molto bene comunque, scelte di stile approvate dall’amichevole lesbica di quartiere.» Anita ridacchia «Grazie, anche tu non sei male.»
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Scegliere il locale non è stato esattamente facile. Doveva essere abbastanza distante da non rischiare di incontrare per sbaglio qualche membro della famiglia che aveva deciso di non partecipare alle attività di gruppo serali e doveva essere sicuro per due persone LGBT. Cally si è preoccupato più per Anita che per sé stesso ad essere onesti, ma comunque l’obbiettivo era uguale. Per fortuna è riuscito a trovare il locale giusto, che per un’incredibile e fortuita coincidenza ha anche dell’ottima musica. In ogni caso, un ottimo modo per stare più tranquilli è bere, quindi Cally porta subito Anita verso il bancone.
«Allora… Possiamo iniziare con qualcosa di leggero, giusto per dare il via alla serata, oppure direttamente con uno shottino… Anche se non vorrei che tu prendessi subito qualcosa di troppo pesante, magari inizia con una birra… Sei un po’ un peso piuma e non credo che regg-» inizia Cally con un sorriso divertito, Anita alza un sopracciglio e prima che finisca di parlare si rivolge direttamente al barman «Per me un margarita ed uno shottino alla menta, per la mia amica una birra. Grazie.» il barman annuisce e si sposta per mettersi all’opera. Cally si volta verso Anita e la fissa con un’espressione confusa ma divertita, inclinando leggermente la testa «Oh. Okay. La signorina da solo l’impressione di essere tutta casa e chiesa, allora.» commenta con un ampio sorriso ed Anita fa spallucce, poi viene brevemente distratta dalla musica e chiude gli occhi per seguirla con dei leggeri movimenti. Cally la osserva per un secondo senza dire niente. Non ho nessuna battuta di spirito da fare. Dovrei vergognarmi di me. Però sembra che si sia rilassata ed il suo obbiettivo era quello, quindi non importa. Quando Anita ritorna alla realtà si scusa quasi subito «E di che ti devi scusare? Ti ho portato qui per farti ballare, non per bere del tè…» le risponde Cally porgendole il margarita appena arrivato ed offrendo un brindisi con la sua birra. «Alla salute!» esclama Anita prima di bere quasi metà del suo drink in un colpo solo. Cally quasi si soffoca con il suo sorso di birra «Cazzo, Ani, non è uno shottino! Fai piano, ti prego!» esclama con un filo di voce ed Anita guarda il suo bicchiere come se non capisse quale sia il problema «Ah sì, certo.» dice poco convinta e poi porge il bicchiere a Cally «Vuoi assaggiare?» chiede come se niente fosse. Cally fissa Anita e poi il bicchiere «Oh sì, margarita e birra, che buon mix…» commenta sarcastico, ma si avvicina comunque al bicchiere per prendere un sorso alzando appena gli occhi verso Anita. Lei lo guarda per un attimo, ma poi allontana lo sguardo come se stesse pensando a qualcosa «Aspetta… Com’è che mi hai chiamata prima?» chiede mentre Cally ritorna alla sua birra «Ehm… Signorina?» offre mentre ripensa alla conversazione «No, no… Quando mi hai detto di bere più piano…» spiega Anita. Cally spalanca gli occhi per un attimo. Le ho dato un soprannome per sbaglio? Oh no. Non devi mai dare soprannomi, poi ti affezioni. Cazzo. «Mi hai chiamata… “Ani”?» chiede con un sorriso. Non sembra infastidita. «Ehm… Sì… Mi è sfuggito, scusa…» cerca di giustificarsi Cally, ma Anita lo interrompe subito «No, no, non scusarti… Mi piace! È carino… Ho un soprannome per il mio nome adesso! È perfetto!» dice allegra prima di continuare a bere.
Chiacchierano un po’ mentre finiscono i loro drink, principalmente di gossip familiare e poi discutono brevemente di musica «Ah, a proposito… Ti devo fare i complimenti per la scelta del locale… Buona musica… Però mi aspetto anche che tu venga a ballare con me.» commenta Anita facendo un occhiolino. Cally sorride «Certo, l’intero scopo della serata era questo: costringerti ad andare sulla pista da ballo e metterti in assoluto imbarazzo.» risponde ironico finendo il suo ultimo sorso di birra. «Perfetto allora.» dice Anita prima di buttare giù il suo shottino ed afferrare il braccio di Cally per portarlo in pista. Si muove con una disinvoltura sorprendente, considerando i tacchi, l’alcol e la situazione completamente nuova. Sembra quasi che non si renda conto di quello che ha intorno, come se stesse ballando nella sua camera invece che in un locale affollato. Cally non può fare a meno di seguirla nei suoi movimenti a ritmo di musica. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che si è lasciato andare così.
Passano una mezz’ora intera a ballare varie canzoni dance, poi il dj passa ad un repertorio più hip hop. Cally balla con entusiasmo sul beat di una canzone di Eminem e con il labiale ne segue il testo. Quando alza lo sguardo su Anita si rende conto che non solo sta ballando con un entusiasmo pari al suo, ma sta seriamente cantando alla perfezione ogni parola della canzone. Vorrebbe commentare la sua incredibile performance, ma con il volume della musica così alto sarebbe impossibile farsi sentire, quindi si limita a fissarla esterrefatto e fare un cenno di approvazione. La canzone finisce ed Anita si allontana dalla pista per prendere fiato. Cally la segue fino al bancone in tempo per sentirla ordinare qualche altro drink. «Tu vuoi qualcosa?» chiede Anita voltandosi verso di lui «Ehm… No, aspetto che sia passata almeno un’ora… Aspetta vuol dire che hai ordinato solo per te?» chiede Cally confuso. Anita ride «Non temere, non sono un peso piuma come sembro…» dice prima di buttare giù tre shottini di fila e trascinare di nuovo Cally verso la pista come se niente fosse.
Cally continua a ballare con Anita, che non sembra aver subito particolarmente l’effetto dell’alcol. Okay, direi che sta bene. È tutto okay. Si dice mentre cerca di farsi trascinare di nuovo dalla musica. Adesso però c’è più gente in pista e si ritrova a prestare più attenzione a quello che sta accadendo intorno a loro. Qualcuno lancia loro delle occhiate, qualcuno si avvicina non troppo discretamente, qualcuno fissa Anita in un modo che a Cally non piace per niente. Lei tiene gli occhi chiusi per la maggior parte del tempo e sembra non accorgersi di niente. Cally si avvicina un po’ di più e fa in modo di tenere le mani più vicine a lei, senza toccarla troppo, mentre lancia occhiate assassine ad un paio di persone. Dopo qualche tempo Cally torna al bancone ed ordina un’altra birra. Non sa esattamente perché, ma non si sente in vena di bere niente di più pesante. Anita si appoggia al bancone e si sporge verso il barista «Io prenderò un AK-47, grazie.» dice facendo una piccola smorfia divertita. Cally appoggia la sua birra «Ani… È ancora molto presto, sai? Non ci corre dietro nessuno…» prova a suonare scherzoso ma teme che la sua voce sia pregna di preoccupazione e non vuole che ad Anita sembri che la voglia rimproverare. Lei fa un gesto con la mano come per dirgli di lasciar perdere ed inizia a bere il suo drink. Dopo aver seccato un quarto del bicchiere lascia Cally al bancone dicendogli di stare a guardare e torna a ballare. Cally la osserva ballare dalla distanza seguendo i suoi movimenti. Per un momento quasi la perde, quando qualcuno si mette davanti a lei, bloccando la sua linea di vista. Stringe il bicchiere nella mano e cerca di sporgersi per vedere meglio. Riesce a trovare nella folla la sua testa, ma solo per qualche momento. Gli sembra che avesse gli occhi chiusi. Sta buono. Non sei un cane da guardia. Non ha bisogno di te. Lasciala divertire, cazzo. Il tizio che bloccava la sua vista si sposta di qualche passo e adesso Cally riesce a vedere che ci sono due ragazzi vicino ad Anita che stanno chiaramente cercando di avvicinarsi per toccarla, lei ha ancora gli occhi chiusi.
Cally appoggia la birra e si alza di scatto per marciare verso la pista da ballo. Si fa strada nella folla di fretta, probabilmente dando anche qualche spallata a qualcuno. Raggiunge Anita e le prende delicatamente un braccio per spingerla ad aprire gli occhi, appena lo riconosce porta l’altra mano intorno alla sua vita e la spinge lievemente per portarla via dalla pista. «Perché mi hai portata via?» chiede confusa Anita guardando prima la pista alle loro spalle e poi Cally. Adesso si riescono a notare di più gli effetti dell’alcol. Le sue reazioni sono più lente e non sembra più sicura come prima sui tacchi. «Oh, nessun motivo. Mi hai abbandonato così al bancone… Volevo divertirmi con te, tutto qui.» risponde Cally mentre la porta di nuovo vicino al bar sperando che farla appoggiare possa aiutare. Lei lo guarda sospettosa, ma quasi subito ritorna a sorridere. I loro bicchieri sono ancora lì. Anita afferra il suo di colpo e se lo porta alle labbra buttando la testa all’indietro come se dovesse finirlo in un colpo solo. Cally allarmato le ferma le braccia che lei ha già mandato giù due sorsi abbondanti. «Ani!» esclama mentre lei lo guarda sempre più confusa. Appena riesce a toglierle il bicchiere dalle mani, Cally si addolcisce. Con delicatezza prende il suo volto tra le mani e cerca di studiare la sua espressione «Ani…» sussurra. Gli occhi di lei si riempiono di lacrime «Cosa ti prende?» chiede Cally con cautela continuando a guardarla negli occhi. «Non lo so.» risponde con un filo di voce Anita mentre le lacrime cominciano scenderle lungo il volto. Cally le accarezza le guance con delicatezza e riesce ad asciugare qualche lacrima. «Andiamo a prendere una boccata d’aria, okay?» chiede ed Anita si limita ad annuire debolmente.
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La temperatura ormai è scesa di qualche grado, ma comunque non è freddo. Cally offre ancora il suo braccio per aiutare Anita a camminare e la porta ad appoggiarsi contro una parete dell’edificio. «Anita… Io non volevo forzarti a fare qualcosa che non volevi… Se non te la senti di stare in pubblico o di andare a ballare va bene… Hai tutto il diritto di fare le cose alla tua velocità…» cerca di cominciare il discorso per rassicurarla. Lei si asciuga la faccia con una mano, scuote la testa e poi la appoggia contro il muro «No… Non preoccuparti… Questo non ha niente a che fare con te… Io… Sono contenta di essere uscita, davvero… E non ho mai potuto dire di aver fatto una “serata tra amiche”, quindi ne avevo davvero bisogno… Solo che le vacanze estive sono già pesanti da sopportare di loro e anche fare qualcosa che voglio e che mi piace diventa… Pesante… Non posso essere me stessa e… Continuo a pensare a quante occasioni ho perso.» spiega Anita cercando di trattenere altre lacrime quando la sua voce si spezza. Cally si avvicina e la trascina silenziosamente in un abbraccio «Va bene. Anche se non hai mai fatto niente del genere prima, va bene… Non vederla come una lista di occasioni perse, vedila più come una lista di possibilità, una lista di straordinarie prime volte. Non qualcosa che avresti potuto fare prima, ma qualcosa che stai facendo adesso e che stai facendo alla grande. Tu non ti sei vista in pista ma eri fantastica… Hai sicuramente il bollino di approvazione di ogni lesbica del locale, me inclusa.» dice Cally a bassa voce. Anita ridacchia «Ah, davvero ce l’ho? Tu non credo, ti muovi da schifo…» risponde ironica e a Cally sfugge una risata che lo costringe ad allontanarsi «Wow! È così che ti voglio! Brutale!» esclama tra una risata e l’altra. Quando si calma ritorna serio per un attimo «Allora dimmi tu cosa vuoi fare, sono assolutamente a tuo servizio. Anche se vuoi rifugiarti in camera tua a guardare Netflix con la tua scorta di caramelle.» dice con calma ed aspetta che Anita ci rifletta sopra. «No, la notte è ancora giovane, torniamo dentro e divertiamoci! Ma tienimi lontana dal bar… E poi come diavolo pensi che sia possibile vedere Netflix nella mia stanza senza farci beccare da almeno mezza famiglia?» risponde lei con un sorriso allegro. Cally fa spallucce «Beh posso sempre entrare ed uscire dalla finestra.» commenta facendo un gesto per invitarla a rientrare.
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Passano il resto della serata a ballare quasi senza accorgersi del tempo che passa. Anita sembra dimenticare con facilità la piccola crisi che ha avuto prima e non si azzarda a bere niente che non sia acqua. Cally si perde di nuovo nella musica lasciandosi trasportare per ore solo dal beat. Quando vorrebbe cedere alla stanchezza e propone di andare via mettono una canzone che Anita sembra riconoscere dalle prime note dal modo in cui si mette in allerta e sorride soddisfatta. «Oh, adesso ti faccio vedere cosa vuol dire ballare!» commenta mentre trascina Cally verso un punto più aperto della pista. Al momento la zona è semi deserta quindi non deve preoccuparsi molto di quello che ha intorno. Cally non riconosce la canzone, ma ha un sound pop leggermente più lento delle canzoni precedenti, un beat molto marcato ed una profonda voce di donna. Anita comincia a muoversi con sicurezza in quella che sembra una coreografia ben definita. È ipnotica. È affascinante. È seducente. Cally si ritrova incapace di muoversi mentre segue con lo sguardo ogni minimo movimento di Anita che sorride rilassata e lo guarda dritto negli occhi. Cazzo. Non riesce a formulare pensieri più elaborati. Anita gli gira intorno, si appoggia a lui, lo porta a ballare con lei guidando i suoi movimenti.
Se prima Cally non si era azzardato a toccare Anita se non per farla spostare da qualche altra parte adesso non riesce a trattenersi dal far scorrere le sue mani lungo il suo corpo mentre balla con lei. E lei continua a sorridere e a guardarlo negli occhi con quell’espressione serena, completamente a suo agio. Cally non riesce a toglierle gli occhi di dosso ed è improvvisamente più conscio dell’ambiente in cui si trovano. Le luci colorate del locale danzano sui suoi lineamenti, i suoi capelli sono scombinati ormai da ore, sul suo collo e lungo la sua scollatura riesce a vedere qualche gocciolina di sudore che scende per sparire sotto i suoi vestiti. Wow. Anita continua a seguire la sua coreografia, senza perdere la contrazione o l’equilibrio nemmeno per un secondo e senza accorgersi minimamente di come Cally la sta guardando finché la canzone non finisce. Cally resta stordito per un momento e riesce a riprendersi solo quel tanto che basta per seguire Anita fuori dalla pista verso l’uscita «Scusami… È una canzone che adoro e mi piace molto quella coreografia non ho potuto fare a meno di ballarla prima di andare via…» si spiega lei quando arrivano fuori «Come? Ah sì, sì… Non preoccuparti, mi fa piacere sapere che mi nascondi anche una carriera da ballerina a quanto pare…» commenta Cally. Quella era la battuta più cretina che potessi fare. Anita ridacchia «Io una ballerina? No, assolutamente no… Ho imparato solo qualche passo… E dato che quella canzone mi piace molto ho voluto imparare una coreografia completa… Per me… Non per esibizioni o cose del genere…» risponde facendosi improvvisamente più timida. Non ci credo è pure arrossita. Lei. «Mah… Se lo dici tu… Credo che potresti considerarla come carriera però, non si sa mai.» dice facendole un occhiolino.
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Il fumo ai tempi del Covid 19 — Elda Dassi
Devo scendere a buttare la carta sperando di non trovare come al solito il cassonetto già pieno, è la quarta volta che torno su senza averlo fatto. Ora è il momento buono, lo sento. Sì, è stato vuotato da poco, è all'interno del condominio da quando è iniziata la differenziata porta a porta, non da molto, qualche mese. Non mi dispiace riprovare a controllare, è sempre una scusa per uscire da quando è iniziata la quarantena; sono a casa dal 9 marzo, quindi da una ventina di giorni, ora dovrei essere in cassa integrazione. Boh, forse, lo spererei.
E insomma, sono davanti al cassonetto della carta, la tengo sciolta e la butto un po' per volta cercando di occultare i pacchetti vuoti, che soltanto ora che li butto vedo quanti sono. Cazzo, ma quanto fumo? Sono tutti lì, non so da quanto, ma sono una quantità incredibile. Mi guardo in giro se c'è qualcuno a guardarmi... Sì, è vero, mi vergogno un po', mi sento molto tossica, cosa che sono fra l'altro, è inutile negarselo. E da quanto poi? 45 anni. Cazzo, ma è una vita! Eh sì, ne ho 60, quasi 62 per l'esattezza, e la prima volta che ho messo una sigaretta in bocca è stato a 14 anni, 14 e mezzo per l'esattezza, nel bagno di una mia amica con sua cugina. Manca poco vomito dallo schifo, la gola si contrae dopo avere inalato, subito una tosse a conato; e noi ridiamo, incoscienti, stupide, e ci passiamo la sigaretta fino alla fine, in un patto di amicizia e complicità.
Da quel momento non ho mai smesso né ho provato realmente a farlo. Il fumo ha sempre misurato il battito delle mie emozioni: si fuma perché si è felici, depresse, nervose, esaltate, ubriache, ansiose. Si fuma dopo il caffè, per andare al bagno, perché non si prende sonno, perché si gioca a burraco...Cazzo, il burraco! Da qualche anno ho il nick name su burraco on line, livello Pegaso col nuovo aggiornamento, drago col vecchio, che era il livello più alto, ora sempre in alta classifica comunque. E' quando gioco che fumo di più: l'adrenalina, l'attesa, la vincita, la perdita, il pareggio. Sì lo so, le solite scuse del giocatore, del tossico, della dipendenza. Come dice parafrasando quel comico: "Ce l'ho tutte".
In realtà c'è stato un momento in cui avevo diminuito, a 32 anni, inizialmente perché avevo la nausea, eh sì, ero incinta, nei primi tre mesi con un senso di schifo, di ipersensibilità olfattiva, poi per senso di responsabilità restando nelle 5 sigarette giornaliere più o meno consentite per tutta la gravidanza e poi fino alla fine dell'allattamento: un anno e mezzo di quasi disintossicazione. Poi non mi aveva più sfiorato nemmeno l'idea.
E insomma sono lì che butto la carta, i pacchetti vuoti della vergogna li nascondo sotto i cartoni più grandi, in modo che non si vedano dall'alto, poi butto tutto il resto della carta e chiudo il cassonetto, E' fatta. Faccio il giro più lungo, passo da dietro dal parcheggio delle macchine e sul retro del giardino condominiale, giusto per fare il giro un po' più lungo e godermi un po' di sole primaverile, piacevole, quasi caldo, con un animo un po' più sereno che non avrei se uscissi dal cancello, sparata nella realtà da incubo con gente frettolosa in mascherina che si scansa anche se a più di un metro da te. Invece dentro ci sentiamo tutti un po' più protetti, si scopre una normalità divenuta insolita. Ci faccio più caso io o nel giardino e nel cortile siamo più di prima? Della quarantena, intendo. Quarantena: che brutta parola, come fossimo tutti appestati. Però è vero. Malati lo siamo un po' tutti: di egoismo, di Ego, di immagine e poi le solite cose, inquinamento, riscaldamento globale, mare di plastica che mangiamo, beviamo, cachiamo. Diventati frasi luogo-comune, ormai ne parliamo come un mantra, e questo vuol dire che ne siamo già assuefatti, e quando diventa normale non è neanche più pericoloso, ce ne scordiamo. Eppure ora che è tutto fermo vediamo dei segnali nuovi: l'acqua dei fossi è trasparente, nei porti accanto alle navi giocano i delfini, i livelli di inquinamento sono calati nelle grandi città e sembra che anche il virus si propaghi meno dove l'aria è più pulita. Chi crede nelle piaghe d'Egitto avrebbe di che pensare, ma anche per noi che non la vediamo come una punizione mandata da un Dio vendicativo, può veramente essere una occasione per riflettere su dove stiamo andando, fermare questa frenesia e cercare di curarci. Curarci: che bella parola. Non per niente la canzone scelta sui Social è proprio "La cura" che dice: "ti proteggerò, ti solleverò, ti salverò, avrò cura di te e guarirai". Se ce ne facessimo tutti carico di questi semplici insegnamenti cominciando da noi, da chi ci sta vicino e dal nostro piccolo mondo, non la faremmo, la rivoluzione? Beh, pensiamoci.
E insomma, sono in giardino, parlo con chi ha portato fuori il cane che è una cucciola di chow chow, mi dicono una seconda Mulan, la prima se n'era andata quest'inverno ed ovviamente aveva lasciato un vuoto da colmare. E' un po' più chiara della prima, è una tombolina tutto pelo, tenerezza e simpatia, come tutti i cuccioli del resto. E in giardino ci sono anche dei padri che giocano con i figli, chi a nascondino, chi a palla, chi ci fa ginnastica insieme o li vede andare in bicicletta. Ci si racconta le cose dai terrazzi: una mia vicina è diventata nonna da poco, ha il figlio a Milano e ha visto la nipote solo in foto; un'altra vede il nipote solo dall'alto del terrazzo e si commuove. Mi sembra che siamo tutti più fragili, più esposti, più vulnerabili ma anche più veri, autentici nelle nostre umanità. Forse ce n'eravamo scordati, ci sentivamo invincibili come dei supereroi. Beh, adesso abbiamo finito le noccioline di SuperPippo, che ci vuoi fare.
Magari cercare di fumare meno e restare entro il pacchetto? Ma quante ne fumo di preciso? No, perché ne tengo un pacchetto in ogni tasca dei giacchetti, nella borsa, uno in cucina, uno in sala accanto al computer, e ho quasi finito la stecca. Cazzo, altri 50 euro in fumo! E non si trovano quasi più, queste maledette Yes-moke-grigie! Prima dal tabaccaio di Via Donnini, il mio pusher di fiducia, arrivavano di venerdì e me ne metteva sempre da parte due stecche con due accendini omaggio, poi mi ha cominciato a dare buca, ma questo già da prima di Natale. Allora ho trovato i napoletani dentro la Pam: sempre riforniti, mai un ritardo, e la garanzie dell'accendino, più o meno a richiesta. Ma stavolta sono in quarantena anche le sigarette ed è la terza volta che rimanda. Ora alterno tra le Rotmans e le Benson, che non sono certo la stessa cosa. Entro dal tabaccaio, ammicco alla signora dietro al bancone, mi fa un cenno di no col capo, ruota il dito per dirmi di tornare... Anche questa devo ammetterlo è un'altra situazione imbarazzante, deludente e però anche molto teatrale. A 60 anni, 62 quasi per l'esattezza, patetica direi, il drogato che non trova la roba, Bella scena, da andarne fieri.
Va bene, qui ci vuole un piano d'azione, trovare strategie, favorire consapevolezze: quindi quanto cazzo fumo? Per saperlo o fare finta di non saperlo il piano è: dividere un pacchetto da 20 sigarette in 4 pacchetti da 5. La strategia è: farseli bastare nella giornata. 5 sigarette per la mattina, 5 prima metà del pomeriggio, 5 l'altra metà, e 5 dopo cena. Sembrano tante? Provare per credere: sveglia alle sette, colazione-sigaretta-bagno. poi Cucina-caffè-sigaretta. Rifaccio la camera poi vado in cucina-sorso di caffè- sigaretta. Toeletta, vestizione, rendersi un minimo presentabile, cucina-pausa cicchino. Che ore sono? Cazzo, le 10 e ho già fumato 4 sigarette in 3 ore. E so già che la sera è anche peggio, se sto lì a giocare poi...Le accendo in automatico senza nemmeno accorgermene. Dopo due ore praticamente ho già il portacenere pieno di cicche. E poi quando mi sdraio? L'inspirazione avviene sempre o con un rantolo o con un fischio. E meno male che vivo da sola, sennò mi ritroverei direttamente sull'ambulanza a sirene spiegate e con la bombola dell'ossigeno attaccata.
E comunque la strategia funziona, ora so quello che già sapevo: un pacchetto di sigarette al giorno non mi basta più, l'ho superato da un pezzo. Potrei addirittura arrivare a due. Cazzo!Allarme, allarme rosso, Houston abbiamo un problema. Eh già, e chi te lo deve risolvere? Perché siamo tutti bravi nella teoria della ragione: il fumo fa male, è cancerogeno, e per chi ancora non lo sapesse lo trova anche scritto sui pacchetti con tanto di foto fra il tragico e l'assurdo, peraltro talmente finte da sembrare telenovele di serie B -sempre che esistano telenovele di serie A- come quella che vedo sul pacchetto di Benson (sigh) "Il fumo può uccidere il bimbo nel grembo materno" con addirittura la foto di una coppia abbracciata accanto ad una piccola bara bianca con tanto di fiore bianco e con una candela...bianca. E poi nel tabacco ci sono pesticidi, diserbanti, antiparassitari, per te che vai a comprare il Bio è una bella contraddizione, non trovi? E vogliamo parlare del costo? Una media di 5 euro a pacchetto si va minimo a 150 euro al mese, e per chi ne guadagna 1200 mi sembra una buona percentuale di spesa. Si può essere più cretini? E poi la smania, la voglia di fumare quando sei al ristorante, al cinema, al lavoro, a teatro, quando devi uscire per forza anche se fuori c'è una bufera di neve, il termometro segna meno 20 e che rischi una bella congestione perché dalla foga non hai preso neanche il cappotto. E quando non ci pensi e hai anche amici tossici come te che ti chiamano per fumare insieme a loro, e te ci vai e rifumi anche se l'avevi spenta da cinque minuti.
Eh già. Per chi fuma lo sa, il problema è grosso, l'impresa titanica, la volontà non è di ferro, la riuscita è incerta, il passo è... Com'è il passo? No, dico, il Primo Passo. Cerco tra gli aforismi "un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo" (Lao Tzu). Sarà un caso che in tempi di virus dalla Cina, m'imbatta proprio in un cinese? Leggo anche che la parte più difficile consiste nel fare il primo passo. Stavolta lo sento, i tempi sono maturi, e se non ora, quando? (Tracy Chapman - if not now) "Dobbiamo tutti vivere la nostra vita, sempre sentendo, sempre pensando che il momento giusto è arrivato".
Sì, è la mia sfida contro il Covid-19, contro l'inquinamento, la mia rivoluzione personale e collettiva, contro le multinazionali del tabacco, il mio sacrificio a questa svolta epocale, nei miei 60 anni, quasi 62 per l'esattezza, di cui 45 da tabagista convinta e recidiva... Scusate ma ho bisogno di una grossa spinta per il primo passo, sono bloccata come quando sull'orlo dell'aereo a 2000 metri, sopra le nuvole ho fatto il primo e unico lancio a tandem col paracadute e quello imbracato a me mi ha dato la spinta per saltare nel vuoto col vento che mi spazzava indietro. Cazzo, che sensazione! Lo volevo fare ma mi cacavo addosso, come ora, lo ammetto. Ma la sensazione di libertà e di esaltazione che ho provato in quel momento non l'ho mai più raggiunta. Breve ed intensa, come tutte le cose belle. E allora proviamo a farlo questo primo passo. Sì, ho deciso, a very very big decision. L'ho detto e lo faccio: da oggi SMETTO.
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Let's talk about LOVE
Visto che è San Valentino e che è d’uso considerare questo il giorno degli innamorati, volevo spendere due parole su qualcosa che da anni mi lascia basita. Forse uno dei pochi sentimenti che non può essere sperimentato attraverso l’empatia.
Almeno io empatizzo su tutto, ma sull’amore no.
Mi è impossibile sperimentare l’amore (quello di coppia) attraverso quello provato da un’altra persona.
Posso scriverlo, posso sentirlo attraverso i miei personaggi o i personaggi che utilizzo nelle mie storie, ma nella vita reale, se anche la persona a cui voglio più bene è innamorata, tutto ciò che provo è felicità per quella persona, ma non ho idea del sentimento che la muove. Ne colgo la potenza, se è sentimento sincero, ma non lo vivo con lei.
Questo perché, così come il sesso, io credo che l’amore sia personalissimo e impossibile da spiegare. Si può provare empatia con la gioia e il dolore, ma l’amore sta su tutto un altro livello.
Ricordo che quando andavo a scuola avevo un’insegnate di religione che un giorno ci chiese qual era lo scopo della vita.
Santa donna che si aspettava una risposta coerente che ancora io non ho trovato più di vent’anni dopo.
Ad ogni modo non voleva una risposta da noi, voleva darci solo la sua e ci disse che lo scopo era: amare ed essere amati.
Allora come adesso mi nascondo dietro il banco ed emetto un suono poco decoroso.
Non perché derida il concetto, ma perché il concetto rischia di mettere in discussione la tua vita per il resto dei tuoi giorni.
Perché sebbene amare ed essere amati dovrebbe essere un diritto di tutti e tutti dovrebbero sperimentare ogni forma d’amore (da figlio/a, da fratello/sorella, da madre/padre se lo desidera, da nipote, nonno, amici, fidanzati…) la vita non sempre funziona così e non sempre ti regala queste belle esperienze. Non sempre si viene amati e si ama e non è qualcosa di scontato e che si ottiene con l’impegno e la determinazione.
A volte non succede.
E allora metterlo come scopo della vita te la può rovinare. Trascorrere tutto il tuo tempo a dirti che se non ti innamorerai mai e se nessuno si innamorerà di te la tua vita non avrà avuto scopo è una cattiveria che non auguro a nessuno.
La mia professoressa di religione non ha avuto grande impatto su di me, che già allora ho considerato quella frase una boiata, e spero col cuore che le mie compagne abbiano sorvolato su quell’affermazione così come ho fatto io, così come facevamo tutti sulla metà del programma di matematica. Non perché non fosse importante, ma perché la professoressa era incomprensibile.
L’amore è una cosa meravigliosa.
Non è retorica e non è banalità.
Lo penso davvero.
Ha infinite forme ed infiniti modi di essere dimostrato. A me basta solo che non si elenchi tra questi la malattia e l’ossessione di alcuni individui che poi sfociano nel danneggiare il compagno o la compagna.
Per me quello non è amore e non lo calcolo nemmeno nel discorso.
Sto parlando del semplice incontrarsi, piacersi e innamorarsi. Che per me non comporta altro che quello, appunto.
Sì, perché è ovvio che ci sono altre forme d’amore come quello della nostra mamma, del papà, del fratello o della sorella, del più caro amico… Ma quando si parla d’amore la prima cosa a cui pensiamo tutti è quello che ci scegliamo noi, quello che capita quando due persone che prima non si conoscevano scoprono di desiderarsi a vicenda. A quell’amore si pensa più spesso, perché è quello forse più incredibile.
Almeno io lo vedo così.
Io lo vedo come un miracolo assoluto ed inconcepibile.
Sento molte persone dire “Sì, ho il ragazzo, ho la ragazza, sono insieme a qualcuno, ho una storia” e dirlo come fosse cosa normale.
Non lo è.
Ciò che voi sperimentate in coppia non è una cosa da dare per scontata, non è semplice, non è da tutti i giorni.
Sto parlando di quel sentimento che ti rende una persona migliore, quel sentimento puro e incondizionato che non si basa né su possesso, né su gelosia, né su controllo, né su una finalità.
Puro amore.
L’incontro con un’altra persona che ti fa dire “Io voglio che questa persona sia felice per il resto della sua vita. Se posso contribuire a questa felicità bene, altrimenti spero che la trovi comunque, in ogni caso”.
Non concepisco amore in nessun altro modo. E se è questo l’amore che voi state sperimentando in coppia allora sappiate che siete delle persone fortunate e non tanto comuni, credetemi.
Voi avete il bonus dalla vita.
Quello non è la prassi, non è comune, non è qualcosa che succede a tutti.
Per quello non può essere lo scopo della vita.
Perché se cerchi quello, se lo cerchi come se la tua vita non avesse senso se non lo trovi e poi non lo trovi ti disperi.
E non ci si può disperare per non aver trovato qualcosa di così incredibile.
Ovviamente io sto parlando dal mio punto di vista.
Ci sono persone che parlano di accontentarsi.
Non ho ancora capito, all’alba della mia veneranda età, che cazzo voglia dire questa frase.
Accontentarsi esattamente di cosa?
Cosa ti fa dire ad un certo punto della vita che bisogna accontentarsi di qualcuno?
È terribile il solo pensiero.
Cioè per non stare da soli ci si accontenta di cosa? Della persona che guardi e non ti fa battere più forte il cuore? Di quella che ti parla e non hai voglia di ascoltare? Di quella i cui difetti ti saltano alla mente prima dei pregi?
Questo per cosa? Per mettere su famiglia prima che sia troppo tardi?
Con una persona che non ti scuote fin nel profondo dell’anima tutti i giorni della tua vita?
No, non firmo per quello.
Allora da sola.
Potenzialmente io sono una che potrebbe amare così per il resto della vita una persona sola. Ogni singolo giorno. Ogni singolo giorno potrei alzarmi e provare un brivido al pensiero della persona che amo. Potenzialmente potrei essere così fino a novant’anni.
E quindi non voglio nulla di meno.
E so perfettamente che ciò che io desidero è impossibile che capiti non per mancanza di persone al mondo, ma per mancanza di tempo. Una vita non basta ad incappare proprio in quella persona lì. Una vita non basta ad incappare in quella persona quando è esattamente quello il momento in cui conoscersi: non un anno prima, non un anno dopo, quell’esatto momento lì.
Magari ho conosciuto la persona della mia vita quando avevo tre anni ed ero troppo piccola, magari l’ho incrociata quando lui era già fidanzato o quando io pensavo ad altro, magari ci siamo parlati una volta sola e ci siamo detti le cose sbagliate e non ci siamo piaciuti.
Ma più probabilmente non ci siamo mai visti neanche per sbaglio.
Più probabilmente siamo separati da chilometri, mari, terre e da una lingua diversa.
Non si può pretendere che in soli cento anni di vita (quando va bene) si verifichi questo grande miracolo che è più difficile di una cinquina al lotto.
Questo è tutto ciò che penso dell’amore.
E siccome io amo la persona che dovrebbe essere destinata a me ma che purtroppo non c’è tempo di incontrare, le auguro tutto il bene possibile e tutta la felicità che questa vita può regalare, perché se è la persona che dico io se la merita tutta e niente di meno.
Io cercherò di fare il possibile per la mia, di felicità.
Ma non posso credere che amare ed essere amati debba essere lo scopo della mia vita, perché per me quello ha meno probabilità di verificarsi che diventare una scrittrice famosa o cantare nel cast di Hamilton.
A tutti voi lì fuori che siete innamorati e che desiderate solo gioia e serenità per la persona amata. A tutti voi che non siete mossi dai sentimenti di gelosia, possesso, controllo e che non mascherate le vostre insicurezze come “troppo amore”, a tutti voi che vi svegliate al mattino e ancora dopo anni e anni e anni la prima cosa che pensate è che avete qualcuno al vostro fianco con cui potrete trascorrere del tempo a chiacchierare e ridere, o magari a piangere se ogni tanto siete tristi. A tutti voi che non date per scontato un sentimento che non si cerca e non si deve lottare per ottenere, ma che semplicemente accade come tutte le cose belle. A tutti voi che dite “Ti amo” perché vi scappa e non potete trattenerlo, perché è la pura e semplice verità…
Buon San Valentino.
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La parte migliore di me
Si lo so ti starai tipo a chiede che è sto coso lungo 20 metri? Eh non lo so nemmeno io però volevo dirti delle cose.
Volevo dirti che nonostante tutto siamo rimaste sempre le stesse.
Volevo dirti che più tempo passa più siamo unite.
Volevo dirti che sei la mia baby.
Nonostante tu sappia tutto di me ed io tutto di te non ci siamo mai separate ed io una domanda me la sono fatta "perché?" Perché nonostante avessimo entrambe molti problemi anzi troppi problemi non ci siamo distaccate?
Forse una risposta credo di averla, credo che a forza di incontrare persone sbagliate nella nostra vita alla fine ci siamo incontrate... Cioè non che alla fine noi siamo giuste. anzi. Però nei nostri sbagli ci siamo trovate, in un giorno di settembre del 2015, cazzo si 3 anni fa, tu al primo banco io all'ultimo, volevi fare la finta secchiona ma non ci sei riuscita(ovviamente) dopo nemmeno un giorno ti sei spostata vicino a me(ottima scelta mia signora) e da li è cominciato tutto, ma proprio tutto.
Ti sei confidata con me, mi hai detto cose che nemmeno avevi detto alla tua migliore amica(o ex?) Comunque ora che ci penso mi hai detto tutto ma proprio tutto.. ed è incredibile che hai avuto così tanta fiducia in me.
Ci hanno bocciato e forse la gente penserà "queste so sceme" "se ne pentiranno" "perché lo hanno fatto" ecc.. ma io non so scema, non me ne sono pentita e lo rifarei, lo rifarei perché ti ho incontrato ci siamo divertite e credo sia stato l'anno più bello della mia vita. Entrambe poi abbiamo scelto di ricominciare tutto dall'inizio questa volta però fino alla fine.
Sempre e per sempre.
Buon compleanno mia scema.
+17
(Ritrovamenti storici nei miei memo) non cambia nulla da quel 13 settembre 2015.
#migliore amica#sei la parte migliore di me#amica#sorella#2015#forever and ever#forever and always#sempre e per sempre#ti voglio bene#poemi#poema tumblr#poema migliore amica#buon compleanno
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• Mania di perfezione:
“Perché giochi le demi-volée in mezzo al campo?! Chi ti credi di essere, John McEnroe...?”
- “Sul campo da tennis sei solo. Mi chiedono perché mi arrabbio così tanto: la solitudine in campo è una delle ragioni principali. Sentirmi solo, allo sbaraglio. In tutta sincerità, a volte mi chiedo come tutto questo sia potuto accadere. Credo di essere stato spinto verso una carriera che non desideravo affatto. Ovviamente per me il tennis si è rivelato un’avventura incredibile, ma la verità è che non cercai questa carriera fino a quando non fu il tennis a cercare me. Molti atleti amano il loro sport con tutto il cuore. Non credo di aver mai provato un sentimento simile nei confronti del tennis. Non vedevo l’ora di giocare ma la partita in se’ era una costante battaglia contro due avversari: l’altro giocatore e me stesso”. John McEnroe, il braccio sinistro di Dio, il mancino dotato di un talento fuori quotazione che ha rivoluzionato, deliziato, sconvolto l’impettito mondo del tennis; il ribelle che non si è mai vergognato di urlare la propria rabbia in faccia agli arbitri, di disprezzare gli avversari, di insultare il pubblico; ma anche colui che ha portato la magia dentro un campo da tennis, l’uomo che più di ogni altro è stato associato al tennis, che “era il tennis” e che ha lasciato un vuoto incolmabile proprio in nome di quella geniale e irripetibile contraddizione quale era lui, nella sua essenza, nel suo essere John McEnroe.
John Patrick McEnroe Jr nasce il 16 febbraio del 1959 a Wiesbaden, nell’ex Germania Ovest, in una base militare statunitense dove all’epoca il padre prestava servizio come ufficiale della Air Force Statunitense. Figlio di John Joseph McEnroe, che una volta tornato in patria diventa associato in uno degli studi legali più prestigiosi di New York, e di Katherine Tresham, ex infermiera figlia di un vice sceriffo di Long Island; è dalla madre che John ‘eredita’ il carattere, quella “visione del mondo” che tanto lo influenzerà durante le tappe più importanti della sua vita, sia dentro che fuori dal campo da tennis. “La personalità di mio padre è intrisa di umorismo irlandese, infatti non c’è niente che ami di più che ritrovarsi con gli amici e farsi due birre. Mia madre invece è sempre stata una donna molto timida, eccessivamente esigente, diffidente anche verso le persone più miti. Per lei non esistono sfumature: le cose sono bianche o nere. A differenza di mio padre, io non saprei ripetere una barzelletta nemmeno fosse una questione di vita o di morte, ma in compenso tutte le ‘spigolosità di mia madre si sono impresse dentro di me”.
John cresce a Douglaston, la tipica zona residenziale dell’area metropolitana di New York. Suo padre lo iscrive all’Accademia di Port Washington e inizia a giocare a tennis sotto alla guida di due maestri d’eccezione: Antonio Palafox, uno dei doppisti più forti negli anni 60’ ed Harry Hopman; l’uomo che aveva creato Rod Laver, Ken Rosewall, Lew Hoad e Roy Emerson. Proprio come il suo idolo, Rod Laver, il piccolo John usa la stessa impugnatura per ogni colpo: diritto, rovescio, servizio e volée. Non solo i suoi allenatori, anche un noto giornalista sportivo, tale George Lott, riconosce in lui le stigmate del campione, eppure a dodici anni il suo sogno è quello di diventare un giocatore professionista di basket. “Più le cose andavano bene, più diventava difficile anche solo pensare di abbandonare il tennis”; spiega con il senno di poi Mcenroe che ad appena sedici anni viene considerato uno dei migliori juniores degli Stati Uniti. A diciassette anni, quando ancora gli US Open si giocavano sulla terra verde, sfiora l’accesso al tabellone principale, o meglio, per alcuni minuti si qualifica proprio. Sul punteggio di 5-7 7-5 5-4, John va a servire per il match contro il numero 150 del mondo Zan Guerry ed un passante di rovescio sulla riga induce il giudice di sedia a proclamare: “game, set, match McEnroe”. Guerry però non va a stringergli la mano, rimane a fissare il segno, per interminabili minuti richiamando l’attenzione dell’arbitro che, controllato il segno, conferma la sua decisione. John McEnroe invece di uscire dal campo, si intestardisce: vuole che il suo avversario si riconosca sconfitto e gli stringa la mano. Messo al corrente del parapiglia interviene il giudice arbitro, Anita Shukov, che fa ripetere il punto. McEnroe perde le staffe ed il match: da quel giorno arbitri e avversari saranno suoi nemici giurati.
La stella di John McEnroe si staglia in tutto il suo splendore nell’estate del 1977. Partito con 500 $ sponsorizzati dalla USTA alla volta dell’Europa, vince il Roland Garros under 18 juniores e il doppio misto in coppia con Mary Carillo. A Wimbledon supera tre turni di qualificazioni e raggiunge le semifinali, prima di cedere a Jimmy Connors. “Prima del match mi avvicinai per salutarlo. Per me era già uno sforzo alzare la testa e guardarlo negli occhi ma lui non mi guardò nemmeno. Era come se si rifiutasse perfino di riconoscere che esistevo”. Diventato professionista nel giugno del 1978, il mancino americano non riesce a confermare la strepitosa performance di Wimbledon ma scrive il suo nome nell’albo d’oro del Master dove sconfigge in finale Arthur Ashe. Da quel momento McEnroe è inarrestabile: nel 1979 vince dieci tornei, tra cui Dallas dove sconfigge in finale Bjorn Borg e si afferma per la prima volta in un torneo del Grande Slam, agli US Open, dove si sbarazza di Jimmy Connors, in semifinale e, nel match decisivo, di Vitas Gerulaitis.
L’anno seguente John McEnroe, che aveva già osato infrangere il religioso silenzio del “All England Club” con le sue intemperanze, entra nella storia di Wimbledon grazie alla finale, leggendaria, che gioca contro Bjorn Borg. Lo svedese è in vantaggio di due set a uno quando durante il tie-break si vede annullare cinque match point prima che l’americano, al sesto tentativo, porti l’incontro al quinto set. “Quando vinsi il tie-break per 18-16 sentivo di aver vinto il match. Pensai che Borg si sarebbe demotivato. Ma la forza che lo animava era al di là della mia immaginazione”. Borg riesce a prevalere 8-6 al quinto vincendo il suo quinto Wimbledon consecutivo ma, poche settimane dopo, McEnroe difende il suo titolo US Open, sconfiggendo in finale proprio l’orso svedese per 7-6 6-1 6-7 5-7 6-4. “Quando a fine match ci stringemmo la mano vidi che era distrutto. Era come se per la prima volta si fosse veramente sentito sopraffatto da me”. La verità è che dopo quella sconfitta all’interno di quel meccanismo perfetto che anima Bjorn Borg avviene un cedimento, qualcosa si incrina, irrimediabilmente. Ma per attendere il passaggio di consegne definitivo bisogna attendere Wimbledon 1981.
Quando un giudice di linea chiama fuori un servizio che solleva uno sbuffo di gesso, John McEnroe urla verso il giudice di sedia, lo scozzese Edward James, l’accusa che sarà destinata a diventare il titolo della sua autobiografia ufficiale: “Man, you cannot be serious!”. E’ il primo turno della 95ª edizione del torneo di Wimbledon e “Super brat”, sempre durante il match disputato contro Tom Gullikson, arriva ad apostrofare la schiera arbitrale come “la feccia del mondo”. I tabloid inglesi si scatenano ed un giornale riporta il parere di uno psicologo che definisce lo statunitense un “isterico estroverso”. Si scatena pure McEnroe che usurpa il regno di Bjorn Borg prima superandolo in finale a Wimbledon, poi scalzandolo dal primo posto del ranking mondiale. Il trionfo agli US Open, ottenuto proprio sconfiggendo in finale un Borg talmente furioso da disertare la premiazione, consacra John McEnroe come migliore giocatore del mondo. E’ l’inizio del suo regno, è la fine della rivalità con Borg, perché da quel giorno lo svedese inizia a maturare la decisione di abbandonare il tennis.
Il 1982 è un anno complesso per McEnroe, pur rimanendo in vetta al ranking per la maggior parte della stagione deve vedersela con un Jimmy Connors versione lusso e l’ascesa di un nuovo rivale, Ivan Lendl. Se il secondo sigillo a Wimbledon ottenuto nel 1983 prevalendo in finale sul modesto Chris Lewis non è stata una delle sue vittorie più memorabili, l’anno seguente McEnroe non solo trionfa lasciando per strada un solo set durante l’arco del torneo, giunto all’ultimo atto, umilia l’odiato Jimmy Connors battendolo 6-1 6-1 6-2. Una vittoria che, paradossalmente, non riuscirà mai a fare da contrappeso alla delusione rimediata appena un mese prima, al Roland Garros quando cede il passo ad Ivan Lendl dopo essersi trovato in vantaggio di due set a zero. Si tratta di una ferita mai sanata, che John McEnroe definisce: “la peggiore della mia vita, una sconfitta devastante. Quando ci ripenso non riesco ancora a dormire. Persino adesso è un’impresa commentare gli incontri dell’Open di Francia. Quando arrivo a Parigi per un paio di giorni ho la nausea, perché sono lì e torno con il pensiero a quella partita. A ciò che buttai via quel giorno, a come la mia vita sarebbe stata diversa se avessi vinto”. Il 1984 di John McEnroe rimane comunque la sua stagione migliore: dopo Wimbledon vince il suo quarto US Open ed il suo terzo Master chiudendo l’annata con un bilancio di 82 vittorie e 3 sconfitte. Nel 1985 McEnroe raggiunge dieci finali in tornei ATP vincendone otto, ma negli Slam non riesce a trovare il suo tennis migliore. Agli Australian Open perde ai quarti di finale in cinque set da Slobodan Zivonjinovic, al Roland Garros si arrende in semifinale a Mats Wilander ed a Wimbledon viene sovrastato 6-2 6-2 6-4 da Kevin Curren. Gli Us Open rappresentano per il John McEnroe un’occasione di riscatto. “In finale contro Lendl andai in vantaggio 5-2, poi all‘improvviso, dopo il cambio campo mi alzai, raggiunsi la mia parte del campo e avvertii una strana sensazione. Era come se il mio corpo fosse rimasto a sedere. Mi ero spento”. Quel match rappresenta una svolta decisiva, sia per la carriera di John McEnroe che per quella di Ivan Lendl. Se nel 1981 le sconfitte che John McEnroe infligge a Borg prima a Wimbledon poi agli Us Open provocano nella mente dello svedese uno squarcio devastante; la rimonta di Ivan Lendl al Roland Garros nel 1984 e quel 7-6 6-3 6-4 scandito sempre dal ceco agli US Open 1985, fanno sentire il geniale mancino “tagliato fuori. Mi aveva scalzato dalla vetta, il numero uno era lui”.
Nel 1986 John McEnroe si prende una sorta di anno sabbatico, si sposa con l’attrice Tatum O’Neil, diventa padre, nel 1987 ritorna senza però mai essere veramente competitivo, vuoi perché la schiena gli fa spesso male, vuoi perché il tennis ha preso irrimediabilmente un’altra direzione e lui non è più disposto ad adeguarsi a quella nuova dimensione così fisica, ‘robotica’. “Non è stato solo il talento, è stata anche la mia determinazione a portarmi dove ero arrivato. Poi quella ferocia è svanita”. Nel 1989 raggiunge la semifinale a Wimbledon, dove perde contro Stefan Edberg, l’anno dopo è semifinalista agli Us Open e in questo caso a superarlo è il futuro Re degli anni 90’, Pete Sampras. L’ultimo acuto avviene a Wimbledon, nel 1992, quando si issa fino alla semifinale in singolare, e insieme a Michael Stich vince il torneo in doppio.
Settantasette titoli ATP tra cui sette prove del Grande Slam e tre Master. In doppio di successi ne ha totalizzati settantuno: dieci di essi sono Slam; nove nella categoria maschile ed uno nel misto. Addirittura sette sono i trionfi al Master, tutti consecutivi e tutti insieme a Peter Fleming, come del resto la maggior parte dei titoli di specialità. “Fin dall’infanzia con Peter Fleming si instaurò un legame molto forte. Siamo stati compagni di doppio per più di dieci anni, ci completavamo a vicenda”, ricorda John McEnroe nella sua biografia. Accadde però un episodio che “rovina tutto”. Dopo aver sconfitto Yannick Noah ed Henri Leconte nella finale di Coppa Davis nel 1982, un giornalista chiese a Fleming quale fosse la più grande coppia nella storia del doppio e lui rispose “John McEnroe e un tennista qualsiasi”. Forse Peter Fleming ha sempre avuto la sensazione di vivere nell’ombra del leggendario compagno, o forse come ammette John: “Non ho mai potuto sopportare di cedere il passo a qualcuno di cui ero amico e nonostante Peter non sia mai stato un giocatore di alta classifica, lui possedeva doti che io non avevo, come portare empaticamente il pubblico dalla sua parte”. Piccole gelosie, tanti dissapori e altrettante incomprensioni finirono con il separare quello che è stato probabilmente il doppio più forte di sempre.
Dopo il divorzio con Tatum O’Neil, l’ex ‘moccioso’ del tennis vive con la sua seconda moglie, Patty Smyth e con sei figli, tre avuti dal primo matrimonio, due dalla seconda consorte, e uno che Patty ha avuto dal precedente marito. A volte capita che torni ad essere ‘the genius’ e prenda la racchetta in mano per partecipare a qualche torneo senior o esibizione. Ora, ufficialmente, è però un commentatore sportivo per la BBC che si diletta a suonare la chitarra ben figurando quando viene invitato a salire sul palco durante concerti, trasmissioni o eventi benefici. Lui e la musica sono uniti da un legame di lunga data e forse non è un caso che Chrissie Hyde, la cantante dei Pretenders, abbia inserito in un suo noto brano, “Pack it up” la famosissima frase urlata da John McEnroe allo scandalizzato pubblico londinese: “You are the pits of the world!”; siete la feccia del mondo”. Era il 1981, ma John McEnroe immortale lo era già.
Fa un certo effetto leggere una considerazione riportata da John McEnroe nella sua biografia: “Quando raggiungi la vetta da giovanissimo poi una parte di te cerca costantemente di rivivere quelle emozioni travolgenti. Questo è il motivo per cui molti atleti finiscono male. Non riescono più a trovare quell’euforia assoluta ed avvertono un terribile vuoto. La mia vita al contrario, è piena di cose positive, lo è sempre di più, ma per quanto sia fantastica, a volte è difficile dimenticare quelle vittorie esaltanti. In quei momenti devo ricordare a me stesso che non avevo nessuno con cui condividerle. E ripenso a quanto fredda e solitaria fosse la vetta della montagna”.
Dice sul serio John McEnroe. Così come ‘dicono sul serio’ i reduci di quel mitico periodo, quello tra la fine degli anni 70 e il tramonto degli anni 80’, quando ripensano a quelle sfide crudeli, estenuanti, a quegli odi viscerali, esagerati, forse folli. Come possono i tennisti moderni, così ‘politicamente corretti’, regalare le scariche di adrenalina sperimentate con John McEnroe; con Bjorn Borg, lo svedese di ghiaccio; con Jimmy Connors, l’antipatico che come un invasato fomentava le folle; con Ivan Lendl, il profugo che ha osato usurpare il loro regno? E poi, via, via fino ad arrivare a Wilander, a Becker ad Edberg… Certo ora c’è Roger Federer, l’uomo dei record, Mr perfect; c’è Rafael Nadal, il Re della terra che ha superato persino Borg a Parigi; c’è Novak Djokovic, la macchina perfetta. Eppure… eppure se parliamo con i reduci di quegli anni magici, ci diranno che non è la stessa cosa.
Ho un ricordo appannato degli US Open 1992. Non tanto riguardo al torneo: ricordo la vittoria di Ivan Lendl al quinto set contro Boris Becker e la sua successiva sconfitta per 7-6 al quinto contro Stefan Edberg; che poi sarebbe prevalso in finale su Pete Sampras. Ho ben presente pure che John McEnroe perse contro Jim Courier, agli ottavi di finale. Il ricordo appannato riguarda una frase che disse Gianni Clerici. Ero una ragazzina, tifavo per Ivan Lendl e John McEnroe non è che mi stesse tanto simpatico. Ma Gianni Clerici disse qualcosa tipo “ho sempre saputo che il giorno in cui John McEnroe avrebbe giocato la sua ultima partita un pezzo del mio cuore si sarebbe spento per sempre”. Qualcosa di simile. Non so perché non riesco a ricordare precisamente cosa disse Clerici. Ricordo però che lo disse con un tono di voce che mi commosse. Il suo dolore era sincero. E il silenzio che seguì, fu qualcosa di talmente profondo da indurmi ad afferrare il telecomando e ad alzare il volume. Ma non era un problema dell’audio. Gianni Clerici rimase in silenzio e fu come se sopra New York fosse calato un vuoto incolmabile. Sono passati ventuno anni. John McEnroe oggi compie 54 anni. Quel vuoto incolmabile però, resiste ancora.
“So che giocare contro di me poteva essere un’esperienza frustrante, ma ero convinto che il mio modo di giocare fosse avvincente da guardare: credo che anche i miei avversari migliorassero il loro stile, quando erano alle prese con me. Essere un counter puncher richiede una mentalità diversa. Wilander e Borg, due maestri in quest’arte, erano sempre ad attendere la tua mossa successiva, ti aspettavano al varco come se dicessero lo so fare meglio di te.
Io preferivo prendere l’iniziativa: giocare d’anticipo, agire e vedere se gli avversari erano in grado di reagire ai miei attacchi. Li provocavo: secondo me è una strategia molto più interessante. O si vince o si perde. Non c’è bisogno di aggiungere che ho sempre preferito vincere.”
Il più creativo, talentuoso, egocentrico, irascibile tennista di tutti i tempi. Mancino, il genio del serve and volley, fascia rossa e capelli ricci, impossibile dimenticarne la classe, gli eccessi e la spettacolarità del gioco. McEnroe si impone grazie ai colpi imprevedibili, alla grinta, all’anticipo sulla palla, alla sensibilità del tocco – memorabili le smorzate e le rotazioni velenose –, al dritto piatto, allo slice mancino del servizio. La sua personalità e il suo gioco oscurano e intimoriscono gli avversari. McEnroe, soprannominato “The Genius”, sul campo perde spesso la pazienza, contesta le decisioni arbitrali, fa a pezzi le racchette, lancia insulti ai giudici di linea e di sedia, a spettatori a caso tra il pubblico, ai raccattapalle, a un ciuffo dell’erba di Wimbledon, a una nuvola passeggera mentre sta per battere il servizio, a sé stesso. La sua celebre frase “You cannot be serious” (“Non stai dicendo sul serio”) rivolta a un arbitro diventa il titolo della sua autobiografia. Conquista sette titoli del Grande Slam, quattro Us Open e tre Wimbledon, ed è il numero uno del mondo per quattro anni consecutivi, dal 1981 al 1984. Terminata la carriera, rimane nel mondo del tennis come commentatore degli incontri per Nbc e Cbs negli Usa e per la Bbc nel Regno Unito e come allenatore della squadra americana di Coppa Davis. Padre di sei bambini, appassionato di musica rock e amante dell’arte, ha aperto una prestigiosa galleria d’arte a New York nel quartiere di Soho.
John McEnroe non era tanto alto, eppure si può ragionevolmente affermare che sia stato il miglior giocatore di serve and volley di tutti i tempi; ma d’altronde, McEnroe era un’eccezione rispetto a tutti o quasi gli schemi di prevedibilità esistenti. Al suo apice (diciamo dal 1980 al 1984) è stato il più grande tennista di sempre – e il più dotato, il più bello, il più tormentato: un genio. Per me, guardare McEnroe che indossa una giacca blu in sintetico e fa quelle ignobili telecronache colorite, zeppe di luoghi comuni idioti, è come guardare Faulkner che fa uno spot pubblicitario per una catena di negozi di abbigliamento.
In merito al genio di McEnroe sono confortato dall’opinione di Gilles Deleuze, il quale una volta si esercitò nell’ekphrasis di un suo tipico gesto: “Una specie di aristocratico metà egiziano metà russo… ha inventato un colpo che consiste nel deporre la palla, una cosa curiosa, non la colpisce nemmeno, la depone”. Ecco, al di là degli aspetti squisitamente tecnici (il servizio a catapulta, tutto in torsione; la risposta in chip and charge; il metodico, ma ogni volta diverso, serve and volley), è in questa gestualità rituale che consiste il suo genio. Delicato ma micidiale, virtuosistico ma infallibile. Genio non è sregolatezza: al contrario è fondare nuove regole. Di geni autentici il tennis ne ha conosciuti uno a decennio. McEnroe è gli anni Ottanta, Pete Sampras i Novanta, Roger Federer il decennio presente. Se in Mac si incarnanp gli anni Ottanta, suo bacino di coltura sono però i Settanta (esordì nel climaterico ’77, quando a Wimbledon arrivò in semifinale partendo – mai accaduto prima – dalle qualificazioni). Infatti McEnroe fu sì aristocratico, come vuole il filosofo; ma, anche, genuinamente punk. Non perché strimpellasse ogni tanto la Stratocaster, o perché la sua icona riccioluta mettesse a rumore l’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Ma per l’unione di talento impareggiabile e altrettanto sovrana maleducazione. Un’interpretazione buonista vuole che la proverbiale scorrettezza di McEnroe fosse preterintenzionale: che la sua rabbia folle, ai limiti dell’epilessia, fosse dovuta al fatto che non potesse ammettere limiti alla propria infallibilità. No: bisogna avere l’onestà di ammettere che McEnroe fosse insieme sublime e scorretto, angelo e demonio. Non si contano gli incontri nei quali un avversario in vantaggio, scosso da un Vietnam di recriminazioni, abbia finito per arrendersi indecorosamente a Mac.
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GAMES WEEK amore e odio dei fan
Siamo ormai ad Ottobre inoltrato e i maggiori eventi di interesse mondiale sono ormai alle porte, Halloween, Natale, Capodanno e altre situazioni per ubriacarsi e stare in compagnia ... tuttavia, per noi amanti del genere è appena passato, giusto settimana scorsa, un evento ormai caratteristico e indiscutibilmente importante: la Milano Games Week.
Penso che ormai chiunque conosca questo evento, vuoi per chi lo frequenta o magari chi ne ha solo sentito parlare tramite qualcuno o magari su qualche telegiornale, insomma la Games Week è ormai di moda, sono ben più di 6 anni che viene organizzata e ogni volta attira sempre maggior pubblico, ma esattamente di cosa si tratta? Dunque per quei pochi che non la conoscessero, la Games Week è un evento, o per meglio dire fiera, che ogni anno si occupa di portare a tutti gli appassionati al mondo dei videogiochi le ultime novità su prodotti e tutto quello che ne consegue, o almeno così doveva essere in origine.
Mi spiego meglio, i gestori o gli organizzatori della Games Week hanno capito che avrebbero fatto molto più successo se oltre ai videogiochi avessero introdotto anche del "fanservice" e come? Ovviamente sfruttando il media per eccellenza, Youtube e le sue "celebrità" italiane, non fraintendetemi con questo non voglio dire che non dovrebbero esserci, anche perché il più delle volte sono persone che portano su internet contenuti del tutto attinenti ai videogiochi, quindi anche per loro è un mezzo per tenersi aggiornati, tuttavia a differenza, non molti di quelli che li seguono sono interessati ai videogiochi e questo ovviamente si conclude con una fetta di persone che vanno a questi eventi col solo intento di vedere e salutare i loro idoli del web.
Capisco che il mio ragionamento risulta essere molto "chiuso" ed egoistico e per questo ci terrei a sottolineare che chi vi parla qui dietro ha foto e fogliettini autografati da Youtubers, ciò non toglie il fatto che il motivo principale per cui andare alla Games Week sono i videogiochi e non chi li usa come strumento di intrattenimento su Youtube. Giusto per fare chiarezza.
Premesse a parte credo che non si possa negare il ruolo fondamentale che la Games Week gioca nel mondo dell'intrattenimento virtuale, nel nostro campo, i videogiochi. Ogni anno vengono presentati in anteprima titoli che devono ancora uscire, notizie, aggiornamenti e il più delle volte sono anche presenti gli sviluppatori, è possibile inoltre conoscere magari dei gruppi indipendenti che a loro volta stanno creando qualcosa e tutto questo, se mi permettete, è incredibile.
Fino a un po' di anni fa, l'idea di un evento interamente dedicato ai videogiochi e a chi li usa era a mio punto di vista impensabile, i videogiochi sono sempre stati visti più come un evoluzione dei giocattoli per bambini più che un business dedicato ad una fetta di pubblico così ampia, vorrei sottolineare che in media le persone che vanno alla Games Week hanno tra il 16/17 e i 25/26 anni, ed è solo una media.
Questo dimostra che i videogiochi sono ormai uno strumento, per così dire, che attira un numero sempre più vasto e variegato di persone ogni anno.
Personalmente posso dire che frequento la Games Week da ormai un numero di anni rilevanti, e sostanzialmente per 2 motivi il primo è per i videogiochi e il secondo per il marketing, mi spiego, oltre ai videogiochi sono presenti molti stand (sempre più in aumento) che vendono gadget o prodotti a tema come magliette, zaini, borse e tutto questo genere di cose, ora mi permetto di aprire una parentesi, molta gente che per comodità chiamerò i "puristi" del videogioco sostengono che tutto quello che riguarda indirettamente il mondo del gaming sia in realtà superfluo per il vero "videogiocatore" e che quindi sia solo un mero fine per spillare soldi a chi di videogiochi non ne capisce nulla e vuole solo ostentare il suo status di nerd o gamer come dir si voglia per il gusto di far parte di un mondo che in fondo, non comprende.
Mi prendo la libertà di dissentire e oltretutto ritengo a dir poco stupido, se non di più, il fatto di dover "categorizzare" un certo tipo di persona per il semplice fatto che non la pensa come te, dato che è ormai appurato che giudicare prima di conoscere è un segno di poca intelligenza e apertura mentale, è incredibile pensare che nel ventunesimo secolo ci siano ancora persone che ragionano in questo modo.
Detto ciò io credo, come per qualsiasi cosa, non sia importante il prodotto in sé ma quanto più chi lo usa, il fruitore per così dire, perché in cuor mio spero sempre che l'intelligenza di una persona sia sufficiente per scernere le due cose e capire che alla fine i videogiochi come anche tutti i prodotti di commercio a loro dedicati sono solo uno strumento che deve servire, o piacere, a chi ha deciso di acquistarlo, fine nulla di più nulla di meno, chi siamo noi per dire che un vero "gamer" è quello che assiduamente videogioca e ama il prodotto videoludico in sé nella sua interezza escludendo i vari gadget al videogioco collegati?
Personalmente posso dire che oltre ad amare i videogiochi ritengo che sia molto bello poter dimostrare, a se stessi e anche agli altri, di avere una passione e che se ho voglia di comprare una statuetta o una felpa a tema è una mia scelta, anzi a maggior ragione sottolineo un gioco che molto probabilmente ho giocato e che mi è piaciuto talmente tanto che voglio conservare un qualcosa di fisico che mi ricordi quel gioco e sinceramente non ci trovo nulla di male e oltretutto, e qui chiudo, il 99% di quelli che si lamentano di queste cose sono i primi che in camera hanno da qualche parte un qualche articolo preso magari al GameStop a tema videogiochi.
Tornando alla Games Week, in quanto fan dei videogiochi mi piace rimanere sempre aggiornato sulle novità che riguardano questo piccolo grande mondo, e consiglio a chi non ci fosse mai stato di quanto meno provare una volta nella vita a farci un salto, anche solo per curiosità non ve ne pentirete e comunque nulla a che vedere con le "fiere del fumetto" tanto discusse ... ma quello è un altro articolo.
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I Ferormoni hanno firmato uno dei dischi più belli degli ultimi anni. Li abbiamo intervistati tra estasi, elettronica, Amelia Rosselli e Garbo
I Ferormoni – cioè, Tommaso Crisci e Monica Marini – non hanno eguali in Italia. L’ho già affermato e lo riaffermo a muso duro. Sono coraggiosi; la loro musica non teme alcuno scontro. E il loro esordio, Un segno più forte, è uno dei dischi più belli degli ultimi anni italiani.
Come e quando è nato il progetto Ferormoni?
Tommaso: “Abbiamo creato Ferormoni nel 2014, quasi senza accorgercene; è nato come una sorta di scherzo, una scommessa quasi impossibile da vincere. Il progetto ha mosso i primi passi tra disordini e distanze geografiche colmate da una grande affinità artistica che si è stabilita in modo immediato tra noi. La curiosità, la voglia di infrangere le barriere tra la poesia e la musica, la passione viscerale sono stati gli ingredienti che hanno permesso che vivesse e crescesse fino ad oggi”.
Monica: “Inizialmente è stato un lanciarsi in una serie di sperimentazioni sonore e poetiche sul filo del rasoio, senza avere un’idea precisa di cosa sarebbe potuto scaturire dal nostro connubio. Sia io che Tom abbiamo dovuto quasi spontaneamente imparare una dimensione creativa del tutto nuova: lui a scrivere musica per la lettura delle mie poesie e io a leggere parole in brani che avevano una struttura ben precisa”.
Tommaso: “Andando avanti è venuto fuori questo strano essere, il nostro primo CD che abbiamo chiamato Un segno più forte: un calderone di emozioni, umori, turbamenti, estasi, rumori elettronici e tango, ritornelli cantati (con e senza parole) e poesia detta tra i denti con dolcezza spietata”.
I vostri punti di riferimento. Le vostre stelle polari, per così dire. Le fonti di ispirazione e i modelli. Una domanda che mi preme, perché la vostra proposta musicale – unire letteratura alta e musica elettronica, in chiave dance o sperimentale – a oggi non ha paragoni in Italia.
Monica: “Le mie “stelle polari” sono piuttosto eterogenee. Le prime armi poetiche sono state influenzate dalla musica e dalla scrittura di artisti come Nick Cave e Fabrizio De Andrè. A seguire sono passati in tanti, da Sylvia Plath ad Amelia Rosselli, da Antonio Machado a Bukowski”.
Tommaso: “Il mio travagliato percorso musicale è costellato da una miriade di artisti di ogni genere che mi sono piaciuti; quelli che mi hanno fatto veramente vibrare l’anima sono legati al periodo di fine anni ’70 e gli ‘80: Tuxedomoon, Cure, Television, Talking Heads, Echo & The Bunnymen potrebbero essere validi esempi. Ho amato molto anche classici come Doors, Pink Floyd e i Beatles – questi ultimi soprattutto nel periodo psichedelico. Tuttavia, se dovessi legare questo discorso a Ferormoni, penserei più a Garbo e Subsonica per gli umori elettronici, ai Baustelle per certe atmosfere surreali e ai Gotan Project per il palese background latino presente in molti pezzi”.
Un segno più forte, il vostro disco appena uscito, ha il suo punto di forza nella produzione. Un lavoro certosino per quanto riguarda arrangiamenti e soluzioni sonore; incredibile, se si pensa che il disco è autoprodotto e senza nessuna grande etichetta alle spalle. Qual è stato il lavoro produttivo? Come è avvenuto?
Monica: “Il periodo in cui nacque questo progetto fu per noi davvero molto intenso come emozioni e morbosa curiosità di ricercare, di provare se le poesie su brani strutturati potessero funzionare. La distanza geografica ci costringeva a inviare il materiale via e-mail, ma non fu mai un problema. Ricordo che Tom mi mandava la traccia musicale e io registravo la mia voce con il cellulare e gliela rimandavo. Veniva fuori una sorta di voce inscatolata, lo-fi che ci impressionò e ci piacque da subito. Ma lo capimmo per bene quando per la prima volta Tom provò a mettere insieme la musica di Tenera è la notte, brano di apertura dell’album, con le mie parole: rimanemmo sbalorditi, tant’è che in molti pezzi del CD (Lovers in Hotel, Spaccami il Monitor, Tangata) lasciammo la voce registrata da me a Bologna con il telefonino, aggiungendo qualche minimo effetto ed accorgimento tecnico. Gran parte del lavoro è stato svolto così”.
Tommaso: “Ho prodotto questo disco senza pensarci. Quasi senza accorgermene. Eppure io e Monica abbiamo macinato anni di lavoro, andando dritti e senza tentennamenti. Perché ci piaceva molto quello che stavamo facendo, era passione allo stato puro, senza minimamente preoccuparci se tutto questo avesse avuto un futuro e l’eventuale gradimento da parte di qualcuno. Mezzi molto semplici: il disco è stato registrato nel nostro studio casalingo, mettendo insieme, su un programma multi-traccia digitale, tutte le registrazioni telefoniche di Monica, i miei arrangiamenti, le linee melodiche, i suoni strani e gli umori di quei tempi sparpagliati. Ricercavo i suoni e le melodie, traendo ispirazione dal singolarissimo modo di leggere (e di scrivere) di Monica. Mi sono occupato anche del mixaggio. La fase finale di mastering abbiamo invece preferito affidarla a mani esperte ed è stata effettuata da Andrea “Jim” Ravasio al Frequenze Studio di Monza”.
Il video ufficiale di Armi di Distrazione di Massa, che potrei classificare come il primo “singolo” tratto dall’album. Raccontatemi un po’ di questo pezzo e di come sono nate le idee per realizzarlo.
Tommaso: “Armi è, secondo noi, è uno dei brani più musicali del CD nel senso più stretto del termine. Si discosta infatti molto dall’idea poesia-musica diventando un brano di stampo rock-elettropop, pur mantenendo, nella telefonata e nelle strofe iniziali, il parlato tipico di Ferormoni. Il testo (di strofe e ritornello) è stato da me scritto in una giornata uggiosa di fine ottobre del 2013 e li è rimasto nel cassetto per molti mesi. Monica invece si è occupata della parte centrale in cui c’è la telefonata tra l’utente medio e l’uomo che c’è dietro ai bottoni della sfavillante e spaventosa macchina dei media odierni. Il testo è molto esplicito: parla, in modo ironico ovviamente, di come certi canali informativi vogliano ucciderci mentalmente e psicologicamente. Ci distraggono dalle cose importanti, con notizie che oscillano, tra orrore e angoscia, tra la banalità e l’amore come oggetto di consumo. Il video? Girarlo è stato esilarante! Uno spazietto 2 metri per 2, davanti a un muro completamente bianco. In realtà a me sulle prime veniva da ridere ed ero quasi rassegnato a pensare che girare e montare un video da soli sarebbe stato al di sopra delle nostre possibilità. Invece, come al solito, la passione e il grande divertimento ci hanno subito fatto venire qualche idea. Prendemmo un vecchio televisore e un telefono démodé per mettere in scena la telefonata, qualche faccia attonita e sottotitoli per i versi più importanti”.
Monica: “Non riuscivamo a smettere di ridere mentre tentavamo di mettere insieme un barlume di scenografia che avesse anche un minimo di coerenza con il testo del pezzo. Alla fine, in effetti, il televisore sullo sfondo e quel vecchio telefono kitsch ci hanno fatto capire quale poteva essere la direzione giusta e siamo riusciti a raggiungere un bel risultato, considerato che ci stavamo riprendendo e andando in scena da soli. Riuscire a seguire Tom non è stato facile: si arrampicava su una scala per fare riprese dall’alto, si contorceva sotto e sopra i tavoli; è stata comunque una cosa divertente e oserei dire pirotecnica”.
Testi e musica sono indivisibili nel vostro lavoro: nascono a priori o può capitare che si adattino poi alla musica? Cioè che nascano successivamente a una determinata melodia, a un certo refrain? Raccontate il vostro metodo compositivo.
Monica: “Non ci sono regole! A volte l’incipit parte dalla musica e a volte dalla poesia o dal testo. Per esempio Tenera è la notte, il brano d’apertura del CD, è nato partendo dai miei versi e successivamente Tom ha ideato la musica, cercando ispirazione da quello che le parole gli evocavano. La stessa cosa è avvenuta con Tangata e Nuda. In altri pezzi invece il metodo compositivo è molto simile a una sorta di brainstorming: per quanto riguarda Lovers in hotel, una storia rubata a due amanti, Tom aveva in mente il titolo e l’insistente riff musicale che accompagna tutto il brano. E ricordo che mi disse di provare a scrivere una storia partendo da questi soli due elementi”.
Tommaso: “Anche Sentimento Nudo è nato più o meno così, anche se il processo è stato in questo caso il contrario: io avevo già quasi tutta la musica, con strofe e ritornello cantato e Monica ha poi aggiunto tutte le altre parole. Comunque è proprio così: non è facile raccontare come nasce uno dei nostri pezzi. In genere è come un dialogo, una escalation di emozioni che procedono in obliquo, a ritroso, tra grandi accelerazioni in avanti e brusche frenate. Questo per dire che il tutto può partire da un arrangiamento sul quale si sviluppa la musica, o viceversa da un’ossatura sul quale poi si costruisce tutto il resto”.
Progetti attuali e futuri?
Monica: “Per quello che ci riguarda, adesso il nostro obiettivo è di portare questo progetto dal vivo e presentarlo al pubblico. Infatti, anche se ci sono state serate memorabili come l’apertura al concerto di Garbo e Luca Urbani all’OFF di Modena in occasione del loro tour ‘Un graffio coerente’ , la nostra esperienza live è ancora molto esigua e, almeno secondo noi, dovrebbe crescere molto di più e affinarsi attraverso le esibizioni ai concerti. E devo dire che abbiamo constatato che (per ora) non è stata un’impresa facile, ma noi ce la metteremo tutta per farci sentire”.
Tommaso: “Produrre e pubblicare Un Segno più forte è stato per noi un traguardo che – ai tempi della nascita del progetto – nemmeno pensavamo di poter raggiungere. E invece ci siamo arrivati e con il minimo storico di contributi esterni. Ne siamo entusiasti e orgogliosi, ci siamo divertiti; ci siamo anche sfiancati macinando ore e ore tra mix, registrazioni e prove ed è stato anche un impegno economico non da poco. Nonostante questo, concordando pienamente con Monica sul suonare il più possibile ovunque, il progetto Ferormoni non si fermerà di certo al primo album. Ci sono bozze e demo di molti altri pezzi che non potevamo inserire in questo primo CD, ma sicuramente faranno parte del prossimo e del prossimo ancora”.
Gabriele Galloni
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The Untamed, Al Tempio di Yunping (episodi dal 47 al finale)
PRIMA PARTE.
Sto riscrivendo l'incipit del commento perché avevo pensato di fare una tirata fino al finale, ma scrivendo il commento mi sono accorta di essere la persona più prolissa sulla faccia della terra, quindi, avendo fallito miseramente all'idea di buttare giù un commento sintetico degli episodi finali, dovrò dividere la cosa in due parti: questa prima parte sono gli episodi 47 e 48, poi farò il 49 e il 50.
Senza contare che ho finito il numero delle gif disponibili.
Avvertenza: consiglio di aver comunque già visto tutto il finale prima di continuare la lettura.
Iniziando a scrivere, ci sono due cose che NON devo fare: mettermi le mani nei capelli pensando a tutto lo spettacolino di Jin Guangyao che dovrò raccontare tra poco; e cercare di non ricordare la parte finale della novel perché altrimenti inizio a porconare pensando a come avrei voluto vedere CERTE COSE.
Evito di mangiarmi le mani, e partiamo.
Dunque, Lan Zhan e Wuxian si dirigono nella città di Yunping per raggiungere il luogo segnato sull'atto di proprietà trovato nella stanza segreta di Jin Guangyao. Con loro, ovviamente, c'è anche Wen Ning, che li segue ovunque vadano come un cagnolino. Guardando come viene infastidito da alcuni bambini per la strada, Wuxian desidera che Wen Ning riesca a staccarsi da lui e vivere una vita più indipendente. Ormai non è più il ragazzino balbettante di una volta, è giusto che prenda la sua strada. Non può dipendere da Wuxian per sempre, non è giusto né per lo stesso Wen Ning, e nemmeno per la nostra coppietta preferita, che vorrà pure un po' di privacy.
Wuxian e Lan Zhan scoprono che il luogo di cui Jin Guangyao è il proprietario, è un tempio situato in città, piuttosto frequentato. Entrano a dare un'occhiata, e sentendo una conversazione vengono a sapere che quella notte, per tre giorni, il tempio rimarrà chiuso per lavori di restauro.
Lavori di restauro. Come no.
I due decidono di tornare sul posto una volta calata la notte, in modo da intrufolarsi all'interno quando non ci sarà nessuno, E IO DEVO SFORZARMI DI NON PENSARE A COSA SUCCEDE A QUESTO PUNTO NELLA NOVEL.
Quella notte, Wuxian non lascia venire con sé anche Wen Ning. Lo lascia sulla porta, prima di tutto perché penso voglia proteggerlo, e poi se lui e Lan Zhan non dovessero più uscire Wen Ning dovrà correre al Pontile del Loto e chiamare Jiang Cheng.
E Wuxian non mette in dubbio quello che potrebbe fare o non fare il fratello. Non pensa "se le cose dovessero mettersi male speriamo che Jiang Cheng arrivi". No. Wuxian è sicuro che arriverà. Per quanto possa mostrarsi sempre arrabbiato e scontroso, Wuxian sa che il fratello non lo lascerebbe morire se dovesse sapere che lui è in pericolo.
Wen Ning rimane quindi fuori, quando d'un tratto vede dell'energia nera (?) all'orizzonte, nel cielo della notte, e come un razzo vi corre incontro (qualcuno mi spieghi please).
Wuxian e Lan Zhan si arrampicano sui tetti del tempio e nel cortile interno, tra vari uomini, vedono anche Lan Xichen. Prima che possano capire cosa sta succedendo, Fata guida Jin Ling alle porte del tempio, e il ragazzo, incuriosito, si mette a bussare. L'arrivo del nipote non facilita certo le cose a Wuxian, che si mette a pregare tutti i santi affinché il ragazzo se ne vada.
E invece cosa fa Jin Ling?
SI ARRAMPICA SUI TETTI ANCHE LUI.
Nel bel mezzo della notte, da solo, giovane e inesperto, si arrampica sulle mura per sbirciare in questo tempio dall'aria sinistra. Jin Ling, vuoi morire? A quanto pare sì, perché gli arcieri, ignorando bellamente le parole di Lan Xichen di non fare del male al ragazzo, sono pronti a puntare su di lui, e sarebbe davvero morto se Wuxian non avesse deviato le frecce in tempo. Wuxian gli grida di scappare e il nipote se la svigna, ma ormai lui e Lan Zhan sono stati scoperti: da vera serpe qual è, Jin Guangyao sguscia dall'ombra e prende in ostaggio Wuxian immobilizzandolo con una corda attorno al collo.
Zan zan zaaaaaaaan.
Perfetto modo di prendere in pugno la situazione.
Tenendo tra le mani la vita di Wuxian, Jin Guangyao costringe Lan Zhan ad abbassare la sua spada e sigillare i suoi poteri spirituali, il tutto mentre il Signor Sono Stato Ingannato (non dire che non eri stato avvertito) assume sempre di più un'aria da "ma dove diavolo sono finito..."
Jin Guangyao ci mette poco a creare tensione con le persone che ha tra le mani. Abilissimo manipolatore, si mette a fare riferimenti alla morte di Wuxian e di come i due una volta fossero nemici, parole mirate a risvegliare brutti ricordi e far bruciare i rimorsi di Lan Zhan, che si vede costretto a esaudire le richieste del nemico. Wuxian invece lo spinge a scappare e a cercare aiuto, rassicurandolo di non averlo mai incolpato di nulla, ma a nulla valgono le sue parole: Lan Zhan rimane al suo fianco, cosa che colpisce Wuxian al punto da fargli salire le lacrime agli occhi.
La situazione si fa ancora più interessante nel momento in cui Jin Ling viene catturato e portato dentro (sento Wuxian porconare internamente). Jin Guangyao ordina di trovare e uccidere il cane, cosa che sorprende e allarma il nipote, visto che Fata gli è stata regalata proprio dallo zio e gli è molto affezionato.
Lan Xichen è sempre più sconcertato: "Jin Ling è solo un bambino, ed è tuo nipote."
Ancora non hai capito quanto sa essere subdolo e crudele questo caso umano che è Jin Guangyao? Quest'ultimo approfitta della situazione per tenere un altro prezioso ostaggio con sé, assicurando a Jin Ling che se si comporterà bene non gli succederà nulla di male.
Con tutto il rispetto, Jin Guangyao, ma ormai non sei più molto affidabile.
Fulmini e saette rombano nel cielo. Una tempesta si sta avvicinando, così entrano tutti all'interno del tempo, dove Jin Guangyao, che si dimostra un individuo sempre più macabro ogni minuto che passa, sta facendo scavare la terra per dissotterrare qualcosa, non si sa bene cosa, ma a quanto pare molto importante per lui.
Mentre Jin Guangyao è occupato con gli scavi archeologici, i prigionieri si siedono per terra mentre fuori si scatena il temporale. Wuxian approfitta del momento di pace per rivolgersi a Lan Zhan, dicendogli che non è costretto a stare al suo fianco, che non è mai stato arrabbiato con lui e che non gli deve niente.
"Non ho mai pensato di doverti qualcosa."
"Allora perché lo hai fatto?"
SECONDO TE PERCHÉ??! Wuxian sarà il più grande genio di questo mondo, ma quando si tratta di sentimenti diventa improvvisamente uno scemo (e nella novel è pure peggio!). A parte gli scherzi, Wuxian è abituato a combattere da solo e per troppo tempo ha pensato di non meritare nulla di più che indifferenza e ritorsione; inoltre, dopo che Lan Zhan gli ha confessato di avere i suoi rimpianti, teme che stia agendo solo perché sente di avere un debito nei suoi confronti. E invece no. Lan Zhan l'ha fatto perché...
"Perché andava fatto."
E perché ti ama, certo, ma questo non si può dire.
Intanto Lan Xichen se ne sta seduto a occhi chiusi a meditare (perché non sono sorpresa?), mentre Jin Ling stringe al petto la sua spada. AMOREEEEEE. Jin Ling sarà anche scontroso e altezzoso a volte, ma guardalo, ora se ne sta seduto visibilmente impaurito e a disagio, tenendo stretta a sé la spada di suo padre. Questo dice tanto di lui.
Per rallegrare l'atmosfera arriva Su She, recante con sé uno svenuto Nie Huaisang. Per Jin Guangyao è ancora meglio: ora ha un altro Capo Clan tra le mani (tra poco riderai di meno perché sta per essere sganciata una bomba INCREDIBILE).
NIE HUAISANG, IO LO SO CHE NON SEI DAVVERO SVENUTO!!!
Ma non è ancora il momento di parlare di lui.
Jin Guangyao rassicura Lan Xichen che non farà del male al povero Nie Huaisang, lo ha sempre trattato bene, e se tutto andrà per il verso giusto, tutti quanti potranno uscire da quel posto sani e salvi. Lan Xichen pare confuso e sconcertato:
"Dovrei crederti?"
MA ANCORA TE LO CHIEDI???!!?!?
Per amor del cielo, l'ingenuità di quest'uomo deve pur avere un limite!
"Dipende da te. Che tu mi creda o no, non puoi far niente comunque. Giusto?"
Della serie: sticazzi. Vedo lo schiaffo in faccia che queste parole provocano sul volto di Lan Xichen. Ma cosa ti aspettavi? Quest'uomo sta sprofondando nel più profondo fallimento ogni minuto che passa. Io ti voglio bene però, insomma... hai voluto vedere solo quello che volevi tu fino all'ultimo, quando ormai è impossibile negare l'evidenza.
Mentre Lan Xichen fa i conti con la sua ingenuità, Su She si lancia nel suo passatempo preferito: cagare il cazzo ai due protagonisti. Innanzitto cerca di vantarsi perché loro sono in ostaggio, al che Wuxian gli fa notare che il suo padrone è piuttosto nella merda in questo momento, poi se la prende con Lan Zhan lamentandosi della sua perenne aria da superiorità.
Su She, la verità è che sei invidioso.
Quando Wuxian difende l'amato affermando che le regole del Clan Lan vietano di essere arroganti, lo scambio di battute tra lui e Jin Ling mi fa sempre ridere:
"Come fai a conoscere le regole del Clan Lan?"
"Perché le ho ricopiate tante volte."
"E perché le avresti ricopiate tante volte?"
"Pensi che mi piacesse? Era... una punizione."
"Che vergogna".
Il modo in cui Jin Ling volta la testa dall'altra parte con aria indignatissima mi fa morire. Giuro che Jin Ling e Wuxian insieme sono un'accoppiata meravigliosa.
Dopo la piccola umiliazione davanti al nipote, Wuxian torna a rispondere a Su She in un modo che mi rende molto orgogliosa di lui:
"Dovreste essere lieto di non aver studiato al Clan Jiang di Yunmeng. Altrimenti, vi avrei fatto arrabbiare a morte. Quando ero giovane, ero sinceramente convinto di essere un prodigio. E non solo ce l'avevo nel cuore, lo sbandieravo anche ovunque."
Amore mio, sei cresciuto. Ci sono cose e aspetti di Wuxian che rimarranno per sempre gli stessi: la sua generosità, la bontà di cuore, la sua insolenza, la sua lingua sciolta, il suo eterno sorriso da bambino che ti scalda il cuore. Ma quello che è cambiato in lui è la consapevolezza. Quella presa di coscienza che prima gli mancava. Wuxian qui parla al passato, di quanto si sentiva un prodigio quando era giovane. Ora giovane non lo è più, e si rende conto di quanto dannatamente sia stato arrogante nella sua vita precedente.
E c'è Su She che si incazza e tenta di attaccarlo, e Lan Zhan entra nel mood "non osare toccare mio marito" nel giro di un nano secondo:
A questo punto le cose si fanno davvero interessanti. Su She è colto da istinti omicidi verso Wuxian, che però non ci tiene proprio a morire.
"Non è che ho paura della morte. È che non voglio morire."
Questo è un altro cambiamento in Wuxian. Appena tornato in vita non mi sembrava felice di essere ancora in questo mondo: non aveva nessuno ed era odiato da tutti, la sua sola compagnia erano i traumi del passato con cui dover fare i conti. Fino a quando non ha incontrato Lan Zhan, che gli ha letteralmente salvato la vita non solo in senso fisico: ha reso la sua vita degna di essere vissuta di nuovo. Senza Lan Zhan, Wuxian sarebbe rimasto uno scarto della società per sempre, e non avrebbe trovato mai più la gioia di vivere.
Quello che ha fatto la differenza tra presente e passato, è che adesso Lan Zhan sta dalla sua parte qualunque cosa accada. E questo è stato sufficiente per Wuxian per ritrovare la pace perduta. Lo ha detto lui stesso: un compagno di vita è sufficiente. Non importa se Lan Zhan dovesse essere l'unica persona sulla faccia della terra che crede in lui, Wuxian non ha mai avuto bisogno di molti alleati per trovare la forza di combattere. Un alleato come Lan Zhan e una coscienza pulita, e Wuxian vive che è un piacere.
A questo punto mi viene da dire solo una cosa: Dio benedica Lan Zhan.
Ma andiamo avanti. Ho detto che le cose si fanno interessanti, infatti prima che Su She possa attaccare di nuovo le porte del tempio vengono buttate giù da uno sfrigolante colpo di frusta violaceo:
IL NOSTRO TSUNDERE PREFERITO È ARRIVATO!!! (E in tutta la sua bellezza).
CHE BADASS.
Guardate che stile.
Jiang Cheng porta con sé anche Fata, che si precipita dentro abbaiando contro Su She, cosa che terrorizza Wuxian. Jin Ling incita il cane ad attaccare, e anche Wuxian si mette ad incitare mentre si nasconde dietro il braccio di Lan Zhan, prontamente protettivo.
Ora, due cose:
Uno: apprezzo moltissimo come in una scena del genere, che dovrebbe essere stressante, ansiosa e ricca di tensione (e lo è), riescano ad alleggerire l'atmosfera qua e là usando trucchetti come quello di Wuxian spaventato dal cane, o lo scambio di battute tra lui e Jin Ling. Questa serie ha sempre avuto un ottimo equilibrio tra leggerezza, ansia, dolcezza, tensione, horror, divertimento, lacrime (ok, di lacrime ce ne sono state tante, ma è comunque una serie equilibrata per quanto mi riguarda).
E due: possiamo parlare di quanto sia prepotentemente potente la presenza di Lan Zhan nonostante non pronunci praticamente parola? Da quando è iniziato l'episodio avrà pronunciato tre parole, e per tutto il tempo che staranno al tempio, lo passerà per la maggior parte in silenzio, eppure non ci si dimentica della sua presenza nemmeno per un istante, perché riesce comunque a parlare col corpo e con gli sguardi.
Mi ricordo di aver visto un'intervista di Wang Yibo in cui faceva riferimento al quasi assoluto silenzio di Lan Zhan nelle vicende del tempio, e raccontava la difficoltà di interpretare un personaggio del genere, e di come si fosse chiesto in quali altri modi poteva farlo "parlare". So che Lan Zhan è un personaggio che parla poco proprio di base, ma le vicende del tempio mi hanno colpita perché sono gli ultimi momenti della serie, è dove si decidono le sorti dei personaggi, è dove tutto viene concluso, c'è molta tensione e ci si aspetta che i personaggi buttino fuori quello che si portano dentro, mentre Lan Zhan rimane quasi muto, e l'attore ha dovuto lavorare su questo.
Dunque, appena entrato lo sguardo di Jiang Cheng cade subito sul fratello, uno sguardo ancora molto scosso per via della recente scoperta sul Nucleo (Wuxian ancora non sa che lui sa). Jin Guangyao, dall'occhio attento come una serpe, se ne accorge subito e ne approfitta, cominciando a creare tensione tra i due fratelli.
Nel duello che parte con Jiang Cheng, guarda un po', si lascia casualmente scappare di aver sentito di un certo trambusto al Pontile del Loto, con Jiang Cheng che è corso da tutte le parti come un pazzo chiedendo a chiunque di provare a estrarre Suibian manco fosse la versione cinese di Excalibur.
Faccia di Jiang Cheng: YOU MOTHERFUCKER.
Faccia di Wuxian: PANICO.
Faccia di Jin Guangyao: OH YES BITCHES!
"Ho saputo che nessuno è riuscito ad estrarre quella spada, ma che tu ne sei stato capace. Che strano. Sedici anni fa, quando raccolsi quella spada, si sigillò da sé. Oltre allo stesso Patriarca di Yiling, nessun altro fu in grado di estrarla."
Faccia di Wuxian: SUPER MEGA PANICO.
Faccia di Lan Xichen: ma di cosa stiamo parlando?
Jiang Cheng: TI AMMAZZO BASTARDO!!!
"Poi me ne sono ricordato. Allora, Wei Gongzi era così ostinato. Non portava mai con sé la propria spada. Ogni volta dava una scusa diversa. Lo trovai singolare. Capo Clan Jiang, sei davvero straordinario. Il più giovane dei Capo Clan, capace di ricostruire il Clan Jiang di Yunmeng da sé. Lo rispetto davvero molto. Ma ricordo che in passato non sei mai stato capace di superare Wei Gingzi. Puoi spiegarmi come hai fatto ad ergerti tanto in alto dopo la Campagna dell'Eclissi? È stato forse merito di una pozione per il Nucleo D'oro?"
Wuxian: OH MIO DIO OH MIO DIO OH MIO DIO.
Lan Xichen e Jin Ling: confusione totale.
Jiang Cheng: fase trigghered completata.
Lan Xichen ha provato ad avvertire Jiang Cheng di stare attento e di non parlare con la serpe, che con le sue parole riesce a distogliere la tua attenzione e manipolare le tue emozioni (ed è vero cazzo!), ma Jin Guangyao è riuscito comunque a vincere questo primo round.
Sarò sincera: rivedendo la scena, devo ammettere che AMO il modo in cui Jin Guangyao mette in piedi il suo spettacolino. È un manipolatore così fottutamente abile che non posso fare a meno di ammirarlo. Le mie parole o le mie gif non possono descriverlo come si deve, bisogna vederlo in azione per capire quanto è bravo.
E QUANTO CAZZO È BRAVO L'ATTORE!
Decisamente si merita un applauso. Amo il modo in cui prende palesemente per il culo Jiang Cheng, assumendo un'aria innocente e disinvolta mentre gli butta veleno addosso. Ora, approfittando del suo stato sconvolto, torna all'attacco. Mentre combattono, Jiang Cheng salva Wuxian deviando la spada di Jin Guangyao, risultando per una volta addirittura più veloce di Lan Zhan. Il fatto che lo protegga senza esitare dice tutto.
Jiang Cheng esce dal combattimento ferito, e sono sicura che non sia riuscito a dare il massimo perché la sua concentrazione è stata abilmente manipolata. Quindi si siede per ristabilire la sua energia spirituale, mentre gli occhi di Jin Guangyao si riempiono di eccitazione vedendo che gli scavi stanno per volgere al termine (ma ancora non ci hanno detto di cosa si tratta).
In questo momento di "calma", Wuxian si rende conto che Wen Ning ha raccontato tutto a Jiang Cheng e Lan Zhan. Non fa di certo i salti di gioia nel saperlo, e capisco la sua preoccupazione perché sa già come sta per reagire Jiang Cheng, ma a questo punto è inevitabile, e ora c'è solo una cosa da fare: chiarirsi.
OK.
NON SONO PRONTA PER LA BOTTA EMOTIVA TRA I DUE FRATELLI.
Rivedendo la scena, ho pianto.
Maledetti, vi odio.
No non è vero, in realtà vi voglio bene, ma quanto mi fate esasperare!
Jiang Cheng si rivolge a Wuxian nell'unico modo in cui sa rivolgersi al fratello: arrabbiato. Solo che ora c'è una differenza: ora Jiang Cheng è arrabbiato anche con se stesso. Ma sappiamo come è fatto, fa fatica ad ammetterlo, è uno che per evitare una dolorosa verità si sfoga con la rabbia e il risentimento.
E così Jiang Cheng si sfoga, mostrando la sua rabbia verso le grandi azioni eroiche di Wuxian, su quanto si sia sempre sentito oppresso da lui sotto qualsiasi aspetto, di come il padre lo preferisse, di come la sua famiglia sia morta per colpa sua (questo ormai è un must). E poi tira fuori quello che lo ha fatto soffrire DAVVERO in tutti questi anni:
"Wei Wuxian, chi è quello che ha davvero rotto per primo la sua stessa promessa e tradito il nostro Clan Jiang? Avevi detto che quando in futuro sarei diventato Capo Clan, tu saresti stato il mio braccio destro. Che mi avresti supportato per sempre. Quindi che importa se Gusu ha le Due Giade? Noi di Yunmeng abbiamo le Glorie Gemelle! Non tradiresti mai il nostro Clan Jiang. Chi ha detto tutto ciò? Ti sto chiedendo chi l'ha detto! Te le sei rimangiate tutte?"
È importante capire quanto Jiang Cheng avesse preso a cuore quella promessa, e quanto si sia sentito ferito in seguito quando Wuxian l'ha "abbandonato". Wuxian lo lascia sfogarsi mentre lui rimane in silenzio, con le lacrime agli occhi. Sono abbastanza sicura che a questo punto della storia, data l'evoluzione del personaggio, Wuxian non faccia più sua la colpa della morte delle persone che ha perso. Voglio dire, è ovvio che quelle perdite lo faranno sempre soffrire e i sensi di colpa probabilmente ci saranno sempre, ma credo che ora Wuxian abbia raggiunto quella consapevolezza del "non è davvero colpa mia" e riesca a vivere in modo più sereno. Non risponde nulla a Jiang Cheng su queste cose, sa che il fratello dice cose del genere quando è arrabbiato, l'unica cosa che può fare è lasciare che si sfoghi.
"Che è successo alla fine? Invece, sei andato a proteggere degli estranei. Oltretutto membri del Clan Wen. Hai disertato senza esitazione. Cosa credi che sia la mia famiglia? Hai fatto tutte le buone azioni. Quelle cattive erano sempre tutte involontarie. Quali sono esattamente queste tue ineffabili situazioni difficili? Situazioni difficili? Non mi hai mai detto nulla. Mi hai trattato come uno stupido!"
Jiang Cheng si trascina verso il fratello, quasi incespicando per via delle ferite, ignorando totalmente il nipote e Lan Xichen che lo avvertono di fare attenzione.
"Wei Wuxian, visto quanto devi al nostro Clan Jiang, non dovrei forse odiarti? Non posso odiarti? Perché? Perché sembra che io ora debba scusarmi con te? Perché devo sentirmi come se per tutti questi anni io sia stato solo un buffone!? Cosa sono io? Meritavo semplicemente di essere messo in ombra dalla tua radiosità fino al punto di non riuscire più ad aprire i miei occhi? Non dovrei odiarti?!"
Jiang Cheng ormai è in ginocchio davanti a Wuxian, stravolto e devastato. E qui Jiang Cheng parla chiaro: vorrebbe odiare il fratello con tutto il cuore, ma non ci riesce. Non ci è mai riuscito davvero, e sopratutto ora non riesce e non può odiarlo, non dopo il sacrificio che Wuxian ha fatto per lui.
"Perché? Perché, Wei Wuxian? Perché non me l'hai detto?"
"Perché non volevo vederti agire come stai facendo ora."
Questo è comprensibile. Wuxian ha sempre saputo come avrebbe reagito il fratello se lo avesse scoperto, perché lo conosce. Ma alla fine tenere il segreto non è stata la soluzione migliore: Jiang Cheng aveva bisogno di sapere.
Jiang Cheng è quasi consumato. La scoperta della verità, la rabbia, il senso di colpa, la tensione, tutto ha contribuito a rendergli i nervi estremamente tesi. Dopo lo sfogo, sembra essersi finalmente svuotato del peso che portava dentro da troppo tempo, ma la tristezza per i tempi passati ormai svaniti, rimane:
"Avevi detto che in futuro, quando sarei divenuto Capo Clan, tu saresti stato il mio braccio destro. Che mi avresti supportato per sempre. Non avresti mai tradito il nostro Clan Jiang di Yunmeng. Queste sono cose che hai detto tu stesso."
"Mi dispiace. Ho infranto la mia promessa."
Jiang Cheng sorride in modo quasi triste, ironico, amaro. Non è un sorriso soddisfatto per aver finalmente ricevuto delle scuse.
"La situazione è già così e voglio comunque che tu mi dica scusa. Che persona preziosa sono? - pausa - "Mi dispiace".
Wuxian lo guarda con una sfumatura di sorpresa nello sguardo, come se non si aspettasse delle scuse da parte del fratello. Persino Lan Zhan pare sorpreso.
"Non devi scusarti con me. Prendila solamente come mia ricompensa per il Clan Jiang." - si avvicina al fratello mettendogli una mano sul braccio per consolarlo - "Questa questione... Non prendertela a cuore. Dimenticala. Anche se so già che con la tua personalità, continuerai a ricordarla. Ma come dovrei dirlo? In questo momento, sento come se fosse tutto nel passato. Tutte quelle questioni sembrano cose di una vita passata. Lasciale andare. Non invischiamoci più."
Wuxian sorride e asciuga le lacrime del fratello. Per un attimo sembrano tornare quei due fratelli che erano una volta, quando Wuxian metteva protettivamente un braccio attorno alle spalle di Jiang Cheng. Certo, ora è tutto diverso, e ammetto che in un primo momento Wuxian non sembra sciolto come una volta nell'avvicinarsi a Jiang Cheng, ma il modo in cui gli sorride rassicurante e come gli asciuga le lacrime mi fa ricordare quel fratello maggiore che proteggeva suo fratello minore. E Jiang Cheng per un attimo non è più quell'uomo duro e aggressivo di sempre, ma sembra quasi un bambino che si lascia consolare dal fratello maggiore.
E, di nuovo, Wuxian dimostra di aver superato i traumi del passato. Ora riesce a conviverci, a lasciarsi il dolore alle spalle. Quel dolore appartiene alla sua vita precedente, la sua vita presente ora è un'altra ed è felice di viverla.
Ora, ho rivisto la scena due o tre volte e ho letto dei commenti in giro, e penso di aver capito piuttosto bene la posizione di Jiang Cheng. C'è ancora una questione che lo riguarda, ma ci arriverò dopo. Per ora, posso dire che:
Jiang Cheng si è sempre sentito inferiore a Wuxian, oppresso da lui, come se fosse stato la sua ombra. Sempre un passo indietro a lui. Da giovane si sentiva inadeguato, vedeva il padre preferire il fratello e si sentiva messo da parte e non adatto.
Jiang Cheng è una persona estremamente insicura, con un forte complesso di inferiorità e grossi problemi di autostima (sopratutto in passato. Ora potrà costruire il suo equilibrio).
Aveva fatto affidamento sulla promessa di Wuxian. Ci credeva davvero. Con la sua insicurezza, per lui era molto importante avere il fratello al suo fianco, sentire il suo supporto. E invece Wuxian se ne è andato via, lasciandolo da solo ad occuparsi del Clan. Ora, sappiamo tutti che Wuxian ha avuto le sue ottime ragioni e che Jiang Cheng abbia sbagliato a non salvare i sopravvissuti Wen, ma questo suo sfogo ci fa capire quanto abbia sofferto nel suo senso di abbandono.
Per anni non ha nutrito altro che rabbia, risentimento, amarezza e "odio" verso il fratello (non penso che lo abbia mai davvero odiato). Perché? Perché si è sentito messo da parte, si è sentito messo al secondo posto. Perché ai suoi occhi Wuxian ha preferito stare e salvare altre persone. Lan Zhan, i Wen. Mentre lui l'ha messo in un angolo, ignorando la loro fratellanza, tutto quello che la famiglia Jiang ha fatto per lui, e la promessa che lui stesso aveva fatto.
Ora Jiang Cheng ha scoperto che Wuxian non l'ha mai messo in un angolo, non l'ha mai davvero messo da parte o considerato al secondo posto rispetto a qualcun altro. Perché gli ha dato il suo Nucleo per salvarlo. La cosa più preziosa che potesse dargli. Come può ora Jiang Cheng pensare di non essere importate per Wuxian? Come può essere ancora arrabbiato con lui? Ci credo che ora si sente un buffone! Anche io mi sentirei così. Ci credo che sente di dovergli delle scuse. Il suo discorso ha perfettamente senso.
Ora Jiang Cheng potrà cominciare a ritrovare quell'equilibrio interiore che gli è mancato in questi sedici anni.
Dopo questa botta emotiva direi di tornare ai piani malefici di Jin Guangyao. Innanzitutto, Nie Huaisang si risveglia dopo essere rimasto svenuto per tutto quel tempo, trovandosi stordito in quel tempio assieme a tutti gli altri. Delle grida di dolore si levano nell'aria: Jin Guangyao, Su She e gli uomini che stavano scavando rimangono feriti. Sembra che ci sia del fumo che sprigiona dagli scavi, e a quanto pare è velenoso. Jin Guangyao viene contagiato a una mano, e questa è la prima ferita che si procura. E io comincio a chiedermi perché nessuno dei presenti lo uccide.
Comunque, la cosa che Jin Guangyao ha fatto dissotterrare è una bara, ma quando la vanno ad aprire non contiene quello che si aspettava, bensì trovano al suo interno il cadavere di Nie Mingjue, la cui testa è stata ricucita al corpo.
Faccia di Jin Guangyao: COMPLETAMENTE TRIGGHERATO.
Si ritrae sconvolto, scioccato, indietreggia quasi in preda al panico. Ops. Paura? Credo che per la prima volta da quando sono entrati al tempio Jin Guangyao abbia paura: del fantasma di Nie Mingjue. Ha paura di essere tormentato dal fantasma del fratello giurato che ha ucciso.
Lan Xichen si arrabbia con Jin Guangyao perché non capisce che cosa ci fa lì il corpo del suo fratello giurato, ma Wuxian, col suo solito sangue freddo e la tipica sfacciataggine che lo contraddistingue, intuisce che non è stato Jin Guangyao a mettere lì dentro quel corpo. Perché avrebbe dovuto scavare una fossa, seppellire Nie Mingjue, per poi farlo disseppellire? A questo punto è Wuxian che si approfitta delle emozioni del suo nemico, facendogli notare che c'è certamente qualcuno che ormai da tempo sta agendo nell'ombra contro di lui e che ha fatto in modo di rovinargli la reputazione.
"La persona che vi sta osservando, in questo momento, potrebbe persino nascondersi in qualche angolo ad osservare ogni vostra mossa. Forse non è nemmeno umano."
Jin Guangyao è sempre più triggherato. L'atmosfera notturna, in questo tempio sinistro, con la tempesta che imperversa al di fuori, di certo non aiuta. Per il momento Jin Guangyao riesce comunque a mantenere un certo autocontrollo (ma pure lui comincia ad avere i nervi a pezzi), e consegna a Su She una medicina da applicare sulle sue ferite. Questo permette a Lan Zhan di notare una piaga sulla pelle di Su She, piaga che si presenta come tanti fori e che altro non è che il riflesso di quella stessa maledizione lanciata su Jin Zixun e di cui Wuxian fu accusato.
ZAN ZAN ZAN.
Ora l'atmosfera si scalda davvero.
Lan Xichen chiede spiegazioni (non lo capisci da solo?), Jiang Cheng comincia a sputare fuori il suo disgusto per quello che Jin Guangyao ha fatto per ottenere il potere, e Wuxian dal canto suo è comprensibilmente scosso e punto sul vivo.
Quando Su She sente gli insulti che Jiang Cheng rivolge al suo padrone, si lancia sulla difensiva indignato.
"Chi vi credete di essere per dare del pezzente al Capo Clan? Voi, gentaglia... Vi descrivete come individui generosi e giusti. Ma lo siete solo perché siete nati in delle buone famiglie. Perché vi è lecito sminuire gli altri? Non sono forse i discepoli esterni alla famiglia come noi anche degli esseri umani? Se avessi saputo come proteggermi, avrebbero forse osato minacciarmi? Per il vostro Clan Lan sarei forse stato come una foglia secca da recidere e gettare via a quel modo?"
E Lan Zhan risponde nel modo più secco, diretto e sincero possibile: "Sì. Il Clan Lan di Gusu non accetta coloro che si tradiscono nelle parole e negli obblighi."
"Han Guang-Jun, non sopporto il tuo atteggiamento arrogante e prepotente! Non mi hai perdonato neppure il più piccolo degli errori. Come se fossi considerato inferiore per nascita. Eccetto il Capo Clan, chi di voi mi ha mai mostrato rispetto? Statemi a sentire. Chiunque sia arrogante tanto quanto quel Jin Zixun, lo ucciderò senza pietà, ucciderò ciascuno di loro!"
Che paura. Ho i brividi guarda.
Innanzitto, ti sei drogato? Perché a me risulta che sei stato tu a tradire e abbandonare il Clan Lan per fondare il tuo nuovo Clan copia incolla. Stavi così male nel Clan Lan? Odiavi così tanto il loro senso di superiorità? Davvero non ti portavano alcun rispetto? O forse il tuo complesso di inferiorità ti ha reso talmente invidioso da volerti staccare e provare a superarli fallendo miseramente?
La scusa dell'essere nati in una famiglia non rilevante è stata usata anche da Jin Guangyao con Nie Mingjue. È un discorso che capisco, ma che non regge. Prima di tutto, mi vengono in mente Xiao Xingchen e Song Lan che, pur non appartenendo ad alcun Clan rilevante, si sono coltivati e hanno fatto strada con l'impegno e la pratica. Su She, pur non essendo nato in una nobile famiglia, avevi la possibilità di studiare al Clan Lan e diventare un prestigioso cultore, ma hai SCELTO di voltare le spalle.
Esattamente come Meng Yao era stato accolto nel Clan Nie ed era pure stato promosso vice comandante, ma poi ha scelto di tradire la fiducia di Nie Mingjue e di pugnalarlo alle spalle.
Ok. Il discorso del senso di superiorità dei cultori è giusto, questo devo ammetterlo. Ho sempre detto che in questa storia non esiste il bianco o nero, il torto e la ragione non sono distaccati in modo chiaro. Qui tutti i personaggi sono grigi, e ognuno di loro ha i suoi torti e le sue ragioni.
Ma definire Lan Zhan prepotente e arrogante mi pare ingiusto e fuori luogo. Su She forse ti sei dimenticato di quella volta in cui Lan Zhan si è sacrificato, quando si è consegnato al Clan Wen cedendo il pezzo di Metallo Yin e facendosi rompere una gamba, tutto per proteggere voi altri discepoli e per fermare la distruzione dei Meandri delle Nuvole? Forse ti sei dimenticato di come sia andato alla ricerca del Metallo Yin mettendo a rischio la sua vita per proteggere il mondo della coltivazione? Lan Zhan è uno dei più famosi e richiesti cultori quando si tratta di combattere il male, questo è quello su cui fonda la sua vita. Strano che tutto questo non venga nominato da Su She.
Credo che Su She si sia reso conto che non avrebbe mai raggiunto i livelli di coltivazione di Lan Zhan, di Lan Xichen, di Wuxian, e di tanti altri cultori, e abbia deciso di tradirli alleandosi con Jin Guangyao, con cui è riuscito a rispecchiarsi e da cui si è sentito compreso e mai giudicato. Alla fine la rabbia repressa e l'ambizione ha fatto agire entrambi.
Capisco i punti di vista di Su She e Jin Guangyao, e apprezzo che ci mostrino le cose anche dalla loro prospettiva in modo da renderli personaggi più di spessore. Posso capirli, ma non posso ovviamente appoggiarli. Avere umili origini o aver avuto un'infanzia difficile non possono essere delle giustificazioni per rovinare la vita delle altre persone.
A questo punto, trovando la cosa ridicola, Wuxian si mette a ridere:
"Non avrei mai immaginato che voi due aveste ucciso così tanta gente solo per... solo per questo motivo?"
In effetti se pensi che hanno agito perché ci sono persone che li hanno guardati con superiorità... la cosa fa ridere. Non fa ridere però Jin Guangyao, che prima gli lancia un'occhiata fulminante, poi si avvicina a lui con la sua aria da serpe e comincia a giocare con lui:
"Wei Gongzi, ti senti tradito? In realtà non dovresti. Ripensa a quell'anno. Se anche non avessimo maledetto Jin Zixun, prima o poi avresti subito un assedio per altre ragioni." -la risata di Wuxian si spegne, e Jin Guangyao gli sorride in faccia- "Perché è questo il genere di persona che sei. Per dirlo graziosamente, sei un eroe coraggioso, galante e indomito. Tuttavia, spiacevolmente, arrechi offese alla gente ovunque tu vada. Fino a quando queste persone vivono felici e serene la propria vita, non succede nulla, ma non appena accadrà loro qualcosa, la prima persona di cui sospetteranno sarai tu, e la prima persona di cui vorranno vendicarsi sarai tu! E tutto questo... non puoi assolutamente evitarlo. Anche se quella volta nella Città Senza Notte tu non avessi perso il controllo, avresti forse potuto garantire che nel corso della tua vita non sarebbe mai accaduto? Ecco perché le persone come te sono destinate ad una morte prematura. Capito? Vederla in questo modo non ti fa sentire molto meglio?"
Non posso fare altro che APPLAUDIRE. Adoro il modo in cui sta chiaramente giocando con Wuxian, ferendolo di proposito per vendicarsi che abbia riso di lui. Jin Guangyao impiega due secondi per congelare il sorriso sulla faccia di Wuxian, che riesce soltanto a incassare i colpi senza riuscire a replicare. La cosa bella è che il discorso di Jin Guangyao... lo condivido anche. Ok. Sta chiaramente parlando per colpire Wuxian e fargli del male, ma:
1) Il fatto che Wuxian sia il bersaglio della gente è assolutamente vero. Ora che la verità sta venendo a galla le cose potranno migliorare, ma finora è stato così. E comunque non penso che la figura del Patriarca di Yiling sarà mai vista in modo positivo.
2) "Arrechi offese alla gente ovunque tu vada" questo lo intendo come Wuxian sia capace di far cadere la maschera di ipocrisia delle persone, come metta in discussione il mondo della coltivazione, come riesca a far vedere cosa c'è che non va. Questo non rende gli altri felici, e appena ne avevano l'occasione, di tutte le disgrazie del mondo hanno sempre accusato Wuxian.
3) "se anche quella volta non avessi perso il controllo, puoi garantire che non sarebbe mai accaduto?". Assolutamente no. Wuxian non può garantirlo. Se non ci fosse stato Jin Guangyao, o ci sarebbe stato qualcun altro, o sarebbe stato lui stesso a perdere il controllo (come nella novel).
Mentre Lan Xichen si limita a scuotere la testa in silenzio (unico mood della sua vita), Jiang Cheng interviene, non sopportando tutte quelle cattiverie rivolte a suo fratello.
"Quello a morire sarai tu! Figlio di una prostituta! Senza alcuna vergogna solo per scalare i ranghi."
JIANG CHENG TI ADORO. E GIURO CHE LA FACCIA DI JIN GUANGYAO FA PAURA.
MAI chiamarlo "figlio di una prostituta". A questo scattano gli istinti omicidi che manco a un serial killer.
"Capo Clan Jiang, calmati. Capisco quello che stai provando in questo momento. Sei tanto sconcertato solo perché hai scoperto la verità. E se rifletti sul tuo comportamento degli anni passati, il tuo animo orgoglioso prova del rammarico. Ecco perché sei ansioso di trovare un colpevole per ciò che è accaduto a Wei Gongzi, un cattivo a cui accreditare tutto ciò che accadde a quel tempo."
Il modo in cui Jin Guangyao riesce a comprendere le emozioni degli altri e a manipolarle come più desidera, è strabiliante. Ha capito perfettamente la situazione, e ha ragione. Jiang Cheng non parla solo in difesa del fratello, ma anche perché si sente in colpa. Dopo aver scoperto del sacrificio del Nucleo, non può fare a meno di provare rammarico per tutta l'ingiusta rabbia che ha sempre scaricato sul fratello.
"Capo Clan Jiang, se dare la colpa a me di tutto ti fa sentire meglio, sentiti libero di farlo. Tuttavia, devi capire che quello che è accaduto a Wei Gongzi, è anche colpa tua."
Questo è un colpo basso. Ed è anche vero, questo devo ammetterlo.
"In effetti, hai avuto un ruolo prominente. Perché così tanta gente voleva a ogni costo uccidere il Patriarca di Yiling? Perché tutti hanno mostrato il loro supporto, che fossero coinvolti o meno? Perché è stato isolato mentre gli altri facevano fronte comune? Volevano solo salire sul carro del vincitore? Certo che no! Parte della responsabilità... è di certo tua."
Questo fa male.
"Al tuo fianco avevi lo straordinario e temibile Wei Wuxian. Credi che gli altri Clan fossero felici di vedere un giovane Capo Clan con un sostegno tanto potente ed invincibile? Quindi, Capo Clan Jiang, se ti fossi comportato meglio nei confronti di tuo fratello, mostrando a tutti la solidità del vostro inscindibile legame, e non avessi dato agli altri una scusa per seminare discordia, le cose non sarebbero andate in quel modo."
Quando parla, Jin Guangyao sembra voler entrare nella testa della persona a cui si rivolge per poter cambiare la direzione dei suoi pensieri ed emozioni e rigirare tutto come vuole lui. Ma quello che dice... è vero. Ho sempre detto di come Jiang Cheng abbia sbagliato (COSÌ COME CHIUNQUE ALTRO LÀ DENTRO, COMPRESO LAN ZHAN) a non schierarsi con Wuxian, e mi sono anche sempre chiesta come sarebbero andate le cose se avesse portato il Clan Jiang al fianco del Patriarca di Yiling, invece di dichiararlo un traditore e renderlo il nemico pubblico numero uno agli occhi di tutti.
E comunque c'è da dire che gli altri Clan fecero molta pressione al giovane Jiang Cheng, appena uscito dalla disfatta del Pontile del Loto e dalla Campagna dell'Eclissi, ma di questo, ovviamente, Jin Guangyao non fa menzione.
(Tra parentesi, una parte di me continua a chiedersi perché nessuno dei presenti tenti di ucciderlo. Lasciamogli pure fare i suoi discorsetti).
Wuxian rimane certamente scosso da quei discorsi, arriva addirittura a versare qualche lacrima per tutto il dolore che Jin Guangyao ha risvegliato. Lan Zhan lo guarda preoccupato, ma Wuxian non si lascia manipolare, e invece che arrabbiarsi con Jiang Cheng, si rivolge a Jin Guangyao con la massima calma, facendogli vedere in faccia che i suoi giochetti con lui non funzionano:
"La semplice menzione dell'appellativo 'figlio di una prostituta' ha scatenato una tale replica. Pare che essere chiamato in questo modo sia il tallone d'Achille del Capo Clan Jin. Non mi stupisce che abbiate ucciso Nie Mingjue."
In una sola frase, Wuxian cita le due cose che fanno triggherare malissimo Jin Guangyao appena ne viene fatta menzione. Jin Guangyao cerca di non prestargli attenzione e si prepara a partire, ma Wuxian non gliene dà il tempo.
"Non avete forse paura? Paura che... torni a cercarvi."
Jin Guangyao ha fallito nel cercare di dividere i due fratelli, mentre Wuxian riesce a terrorizzarlo completamente, facendo concentrare la sua attenzione su un'unica cosa: il fantasma di Nie Mingjue. Jin Guangyao ha tormentato per mesi lo spirito del suo fratello giurato quando era in vita, lo ha fatto impazzire, voleva usarlo come burattino d'ombra e alla fine è morto di morte violenta. La possibilità che il suo fantasma torni per vendicarsi è molto alta.
E quello che fa adesso Wuxian è semplicemente spettacolare: cominciando a fischiare (ebbene sì, Wuxian usa i suoi poteri anche solo fischiando), risveglia gli spiriti, e non degli spiriti qualunque: gli spiriti delle persone che hanno abitato in quel posto prima che fosse costruito il tempio.
(Una volta quello che era un bordello dove lavorava la madre di Jin Guangyao e dove lui è cresciuto, e questo lo so perché ho letto la novel, la serie non si è mai degnata di dirlo).
E, top del top, Wuxian richiama anche lo spirito di Nie Mingjue facendo apparire la sua sciabola. Questa scena è meravigliosamente inquietante e accattivante: il temporale, il tempio sinistro, la pioggia, i fulmini, gli spiriti, i ricordi del passato, lo sguardo in preda al terrore di Jin Guangyao, le inquadrature sugli sguardi e sulle labbra di Wuxian. Mette quasi i brividi. E con la sua aria fredda e sorridente, Wuxian mi ricorda quando si vendicò di Wen Chao. Wuxian è tanto buono e caro, ma devo ammettere che quando si vendica dei villain non ci va molto per il sottile, e lo adoro.
Jin Guangyao è completamente scosso, scioccato e spaventato. Arriva addirittura a sputare sangue e crollare a terra gridando (ma ucciderlo no?). Quando si rialza cerca di ricomporsi.
"Il Patriarca di Yiling è davvero degno del suo nome."
OH YES BITCH. CI PUOI SCOMMETTERE.
Ed ecco che Lan Xichen pare avere un improvviso attacco di senno quando sfodera la spada e la punta alla gola di Jin Guangyao. Ah, Mister Fesso si è svegliato! Ma non abbastanza da ucciderlo.
Poi, non so bene perché, Su She cerca di attaccare Wuxian (... ancora ci provi?), ma Lan Zhan lo respinge in un baleno ferendolo al polso.
A questo punto i buoni prendono pieno controllo della situazione. Wuxian sottrae la spada a Jin Guangyao e si fa consegnare il Sigillo della Tigre (cioè, quella metà rifatta da Xue Yang). Quando Jin Guangyao gli chiede spiegazioni sulle origini del Sigillo della Tigre, mi aspettavo uno spiegone da parte di Wuxian su come abbia creato la sua famosa arma.
E invece NIENTE.
NON SAPRÒ MAI COME WUXIAN HA CREATO IL SUO SIGILLO, MALEDETTI!!!
L'ha forgiato attraverso la spada? Ma se con solo un pezzo di Metallo Yin è riuscito a creare il Sigillo, perché Xue Yang con il suo pezzo è riuscito a copiarne solo una metà?
C'è una parte di me che mi dice che c'è una spiegazione logica a tutto questo, e che io sono troppo scema per capirlo.
Comunque, Lan Xichen finalmente mostra la sua rabbia e indignazione verso Jin Guangyao, colpevole di aver messo in piedi i piani più malefici di questo mondo.
"Hai collaborato con Xue Yang e fatto cose terribili, solo per avere il Sigillo della Tigre?"
"Non è solo quello."
Ci credo. Jin Guangyao non ha fatto tutto quello che ha fatto, per il solo e unico scopo di ottenere il Sigillo della Tigre e conquistare il mondo. È un personaggio molto più complesso di così. Tuttavia Lan Xichen non gli chiede quali altri motivi lo hanno spinto. Con aria fallita, abbassa la spada e la rinfodera.
"Non è che prima non sapessi cosa avevi fatto, ma pensavo che per ogni tua azione ci fosse una spiegazione logica. Ma ora... hai oltrepassato il limite. Non so più se dovrei crederti."
L'unico amico/complice/compagno che poteva essergli rimasto, ora gli volta le spalle anche lui. Ora Jin Guangyao è solo, con le spalle al muro. Le parole del suo fratello giurato sembrano essere una pugnalata per lui. Con aria sconfitta e devastata crolla in ginocchio.
"Erge, ho sbagliato. Noi ci conosciamo da molti anni. A dispetto di ciò che ho fatto, sai come mi sono sempre comportato con te. Non ho più interesse nella carica di Cultore Capo. Ho già consegnato il Sigillo. Dopo stanotte me ne andrò e non farò mai più ritorno. Per amore di tutto ciò, potresti lasciarmi andare?"
COL CAVOLO!!!
Hai ucciso gente, hai ucciso il tuo fratello giurato, il tuo stesso fratello, hai rovinato la vita di Wuxian, reso orfano tuo nipote, hai ingannato Lan Xichen rendendolo un completo fallito, hai ucciso tuo padre nel modo più perverso possibile, hai consapevolmente sposato tua sorella, hai difeso e collaborato con Xue Yang, hai compiuto le azioni più crudeli e deplorevoli per ottenere potere, per scalare la scala sociale, per vendicarti. Capisco le tue ragioni, ma dopo tutto quanto come puoi avere il coraggio di chiedere di lasciarti andare?
E guarda caso si rivolge a Lan Xichen cercando di mostrarsi nel modo più pietoso possibile ai suoi occhi: in ginocchio, con aria sconfitta e dispiaciuta, chiede scusa, riconosce di aver sbagliato, fa leva sull'affetto che li ha sempre uniti, finge di non avere più alcun interesse nella politica e nel potere. Sa che con Lan Xichen può avere una possibilità, il suo buon cuore a questo punto è la sua unica speranza.
E sì, quella di Jin Guangyao è certamente una recita. Non credo sia davvero pentito, le sue scuse non hanno valore. Non credo che non sia più interessato al potere. E sopratutto non credo nemmeno per un minuto che davvero non tornerà mai più. Vivere come uno straccione in terra straniera per il resto della sua vita? Come no!
Per inciso: anche se Jin Guangyao fosse davvero pentito, non sarebbe comunque giusto lasciarlo andare senza punirlo. Non facciamo i buonisti alla My Country Style.
Tuttavia, siccome seguo la teoria che i personaggi di questa storia siano grigi e che nessuno, nemmeno quelli che sono etichettati come villain, sia completamente nero o completamente nel torto, credo che qui Jin Guangyao, almeno una parte di lui, si sente davvero abbandonato dal suo unico amico, la sola persona che in tutti quegli anni gli ha mostrato rispetto e offerto la sua amicizia in modo assolutamente sincero e genuino.
Ora che anche Lan Xichen smette di credergli e gli volta le spalle, Jin Guangyao capisce di aver rovinato la sola, unica e vera cosa bella che gli era capitata nella vita. E tutto per la sua ambizione, la sua rabbia e la voglia di vendetta.
Quando crolla in ginocchio, Lan Xichen lo guarda sorpreso e colpito da quel gesto, e la cosa mi preoccupa.
Wuxian invece fa una faccia del tipo: serio? Wtf?? E propone di piantarla con quello spettacolino imbarazzante e cominciare a uccidersi a vicenda.
Se Jin Guangyao fosse stato da solo con Lan Xichen, sono sicura che sarebbe riuscito a cavarsela. Anche con Jin Ling se la sarebbe cavata, perché anche se gli ha ucciso il padre, Jin Ling è giovane e manipolabile, nasconde un cuore buono nonostante tutto, e Jin Guangyao è sempre stato uno zio più che gentile con lui.
Per fortuna sono presenti Wuxian, Jiang Cheng e Lan Zhan: di certo loro non vogliono lasciarlo andare impunito.
E NON DIMENTICHIAMOCI DI NIE HUAISANG!!!
LA BOMBA STA PER SCOPPIARE.
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Risveglio
Parole: 1763
No beta, we die like men
Fandom: Sanremo RPF
Ship: Borgan
Avvertimenti: angst, menzione di alcol, velata menzioni di uso di droghe
Note autore: Questa fic fa riferimento a questo (x) background che ho scritto, ma dovrebbe essere comprensibile anche senza averlo letto. Non rispondo di eventuali danni psicologici che possono essere causati dalle mie fic su questa ship (ma se proprio ne avete bisogno vi posso risarcire)
Marco sente la luce del mattino arrivargli dritta sulla faccia e non può evitare di aprire gli occhi. Dopo qualche secondo di disorientamento si rende conto di non essere nella sua camera. Grugnendo riesce a rigirarsi verso l’interno del letto appoggiando il suo peso su un braccio. Non ha bisogno di vedere il volto della figura sdraiata di spalle davanti a lui per sapere che è Cristian. Segue con lo sguardo la curva della schiena scoperta trattenendosi dal tracciare il percorso delle vertebre appena visibili con le dita. Sa che la sua pelle è calda, come lo era la notte prima, come lo era la sera prima, come lo era ogni altra volta che si sono trovati in questa situazione. Man mano che si sveglia Marco riesce a sentire il mal di testa che preme contro le sue tempie. Improvvisamente riesce a sentire il sapore dell’alcol in bocca come se avesse bevuto fino a pochi secondi fa e gli fa venire voglia di vomitare. Non tanto perché gli dia fastidio, beve talmente tanto che non potrebbe mai dargli fastidio, ma perché si fa schifo da solo. Non riesce nemmeno a richiamare alla memoria i ricordi completi della nottata appena passata. Anche se sa benissimo come è andata. È sempre la stessa storia con lui e Cristian.
Morgan chiude gli occhi mentre cerca di pensare a cosa è successo questa volta. Era uscito con i suoi amici, forse aveva preso qualcosa prima di raggiungerli al locale, anzi sicuramente perché i suoi ricordi sono leggermente distorti, sbagliati, non al posto giusto. Cristian era lì. Ovviamente Cristian era lì. E che cosa poteva fare lui se non bere e mormorare qualche insulto sottovoce, quando era abbastanza vicino a lui da poter essere sentito. A fine della serata, quando i loro amici se n’erano andati ognuno in una direzione diversa Cristian lo aveva trovato nel vicolo accanto al locale e lo aveva trascinato verso il suo appartamento. Puzzava di alcol ed aveva lo sguardo stravolto e chiaramente non capiva che cosa stava combinando perché non ha mai portato Morgan nel suo nuovo appartamento: sono sempre andati nel lor- nell’appartamento di Marco.
Morgan è sicuro che Cristian lo abbia coperto di graffi e di morsi fino a renderlo insensibile, perché è quello che fa sempre. Un breve sguardo al proprio petto gli conferma che ha ragione. Traccia con un dito i contorni dei segni che riesce a vedere sulla sua pelle e pensa all’immagine di Cristian nel momento in cui glieli ha lasciati. Può immaginarlo, ma non riesce veramente a ricordarlo. Sa che può aggrapparsi solo a quei ricordi perché una volta sveglio Cristian non gli darà alcun tipo di attenzione, non gli parlerà, non lo stringerà, non lo bacerà. E detesta non riuscire a tenersi stretti quei momenti nella memoria perché sa che sono gli unici momenti di intimità e di vicinanza che ha con lui, quando Cristian è troppo sbronzo o troppo distratto dalla frustrazione per un’altra relazione finita per curarsi veramente di quello di cui ha bisogno Marco o anche solo per accorgersi della sua esistenza probabilmente. E la cosa che fa più male è che Morgan farebbe esattamente lo stesso se fosse al posto di Cristian. Sa benissimo che essere trattato come un semplice oggetto è quello che si merita, ma allo stesso tempo non può fare a meno di desiderare che Cristian voglia di più. La verità è che a Cristian manca solo il contatto, non lui.
Cristian inizia a muoversi leggermente ed in quel momento Morgan realizza che questa volta è a lui che tocca andarsene, che questa volta si trova in casa di Cristian e dovrà trovare la forza di uscire dalla porta. Lo sente mugugnare mentre scaccia a forza il sonno e si mette a sedere sul letto continuando a dargli le spalle. Cristian butta lo sguardo oltre la sua spalla senza guardarlo negli occhi e mormora un “sei ancora qui?”. Morgan vorrebbe replicare che “Sì, ovviamente sono ancora qui e voglio restare qui, con te. Voglio restare qui per sempre. Perché ho sbagliato. Perché sono uno stronzo. Perché avevi ragione tu. Perché senza te io non ci so stare. Perché mi manchi da morire. Perché la nostra fede ce l’ho tatuata sul dito e questo vuol dire che non ci potremo separare mai perché non è un anello che si può buttare via. Perché voglio solo ricominciare. Perché tu mi rendi migliore ed io voglio essere migliore per te.”, ma no, non dice niente di tutto ciò. Finge una mezza risata mentre si mette i pantaloni e poi si accende una sigaretta «Dopo tutte queste volte pensavo di iniziare a chiederti dei soldi.» commenta facendo ballare la sigaretta tra le sue labbra e subito si odia per quello che ha detto. Ma è la sua reazione naturale a tutto quello che dice. Cristian si volta raccogliendo le gambe di lato, con le lenzuola che cadono ed ormai non coprono quasi più il suo corpo. Morgan si sforza di non farci caso, di non pensare a quanto una cosa del genere fosse normale quando erano ancora sposati, ma allo stesso tempo non può fare a meno di fissare l’immagine nella sua testa. Peccato che l’espressione di quello che non può che essere odio di Cristian rovini la visione.
«Non ti preoccupare non ci saranno altre occasioni. E spegni quello schifo non voglio odore di erba in casa mia.» replica Cristian con la voce carica di veleno, e subito si rivolta dall’altra parte e comincia a vestirsi. Marco non ha notato se anche il suo sguardo ha vagato lungo il suo corpo, ma non crede che sia successo. «Questa?» dice sollevando la sigaretta anche se Cristian gli sta dando le spalle «L’ho rollata io, ma è tabacco te lo assicuro. Non rischierei mai di contrariarti più di tanto, altrimenti non avresti più nessuno da scopare quando ti spezzano il cuore.» risponde cercando di suonare altrettanto carico d’odio e intanto si rimette la maglia che è stata buttata in angolo della stanza. Cristian gli lancia la sua giacca mentre esce dalla stanza «Come ho detto, non ci saranno altre volte. Levati dalle palle, in fretta.» gli dice senza incrociare il suo sguardo. Marco si accorge che anche sulla sua pelle ci sono tracce della notte precedente. Non si ricorda di aver cercato di marchiarlo, ma riesce ad immaginare di averlo desiderato e se lo ha desiderato, nella foga del momento e senza i suoi freni inibitori deve averlo anche fatto.
Dopo essersi assicurato di aver raccolto tutte le sue cose dal pavimento Morgan esce dalla camera da letto e trova Cristian in piedi vicino alla tavola della cucina. Vorrebbe scusarsi con lui. Per qualsiasi cosa. Anche per quello che non è colpa sua. Vorrebbe scusarsi perfino per l’esistenza dell’universo perché si sente in colpa come se lo avesse trascinato in un mondo in cui lui non vuole stare. Ironico. Si rende conto di essere lui stesso quello sempre in fuga dal mondo. Ma invece che scusarsi fa una battuta, perché non riesce a trattenersi «Come non mi offri nemmeno un caffè?» dice mentre si infila la giacca e si aspetta che Cristian risponda in maniera simile a prima, che faccia un commento, una battuta o che lo insulti in un qualche modo. Invece no, Cristian deglutisce e risponde in un sussurro, forse pensando di non poter essere sentito «Eri tu che mi preparavi il caffè.». Marco si blocca. Ha sentito. Non sa se gli conviene fare finta di non averlo fatto però. Perché questo è fuori dalla loro solita routine. Nella loro routine di solito neanche si parlano perché Cristian scappa prima che lui si possa svegliare. Si caccia le mani in tasca ed inizia a scorrere con l’unghia del pollice su ogni polpastrello per tenersi ancorato alla realtà. Non lo ha immaginato. È abbastanza certo di essere sveglio e sobrio in questo momento. Potrebbe anche non esserlo però. Potrebbe non essere neanche uscito la sera prima ed essere buttato da qualche parte sul pavimento di camera sua perché ha trovato una foto di Cristian di cui pensava di essersi liberato.
«Ci vediamo la prossima volta che qualcuno ti lascia.» dice Marco mentre si dirige verso la porta per uscire. Se davvero se lo sta solo immaginando non ha senso dire quello che pensa davvero perché non sarebbe reale… E se non se lo sta immaginando, non ha senso comunque perché non aggiusterebbe le cose o forse perché non avrebbe mai il coraggio di parlare. Cristian sta continuando a provare ad andare avanti e lui è solo una distrazione temporanea tra un tentativo e l’altro. «Incredibile.» inizia a dire Cristian e si sposta per appoggiare la testa contro il muro accanto alla porta «Posso ripeterti anche cento volte che non ci sarà una prossima volta, ma tu continui ad insistere che tornerò da te… Quando? Dai fai qualche stima.» nella sua voce non c’è rabbia né disprezzo, suona più che altro sconfitto. «Quando la tua prossima relazione fallirà di nuovo.» dice di riflesso Morgan, perché è quello che pensa, ma mentre si ritrova a fissare ancora una volta la schiena di Cristian adesso riesce a notare qualche graffio che deve avergli lasciato la notte scorsa. «Quando non riuscirai più a sentirmi sulla pelle.» si corregge allora Morgan, ma quasi non crede alle proprie parole. Cristian sospira «Sei uno stronzo, Morgan.» dice prima di voltarsi di scatto, afferrarlo e spingerlo contro il muro dove prima si era appoggiato lui. Marco ha appena il tempo di registrare quello che è successo prima che Cristian lo baci. Si arrende subito al bacio perché come potrebbe non farlo? Lascia che le labbra di Cristian scivolino sulle sue con una voglia che non sembra appartenergli e poi lascia che morda le sue labbra con una delicatezza che si trasforma presto in un desiderio furioso. Questo momento più di qualsiasi altro sembra frutto della sua immaginazione ed allo stesso tempo la cosa più vera che sia accaduta negli ultimi giorni, negli ultimi mesi, negli ultimi anni.
In un attimo Cristian lo lascia andare, come se si fosse improvvisamente bruciato e quasi lo spinge fuori dalla porta. Morgan ha giusto una frazione di secondo per osservare ancora la sua faccia nello spiraglio della porta prima che si chiuda. Nota un paio di lacrime che scendono lungo le sue guance e le sue labbra che si muovono per dire qualcosa che Morgan non capisce. Il suono della porta che si chiude di colpo lo fa quasi sussultare. Si chiede che cosa abbia detto Cristian. Probabilmente non saprà mai la risposta.
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19 mar 2021 10:40
“CREDO NELL'ANTIMAFIA SERIA, DI SERVIZIO E NON QUELLA CHE SI TRASFORMA IN MANIPOLAZIONE E CONTROPOTERE” - L’ATTACCO DEL CAPITANO “ULTIMO”, SERGIO DE CAPRIO, OGGI ASSESSORE ALL'AMBIENTE IN CALABRIA: “QUANDO PRESI RIINA, UN PROCURATORE M'ACCUSÒ DI AVERLO "UMILIATO". I PM DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA HANNO MINATO IL NOSTRO IMPEGNO E SPEZZATO IL FRONTE DELLA LOTTA ALLE COSCHE - HO LASCIATO UN MESSAGGIO ALLA SEGRETERIA DEL MINISTRO GUERINI PER CAPIRE COME SI STA IMPOSTANDO LA LOTTA ALLA 'NDRANGHETA, MA NON HO AVUTO RISPOSTA, EVIDENTEMENTE DEVE ESSERE ALLE PRESE ALTRE PRIORITÀ…”
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Antonello Piroso per “la Verità”
Anche gli eroi vanno in pensione. Sì, è vero: la qualifica è abusata, spesso usata a sproposito, ma come altro si può definire l'uomo che ha catturato l'allora nemico pubblico numero 1, il capo dei capi, il mammasantissima di Cosa Nostra, l'artefice della strategia stragista mafiosa che stava facendo tremare l'Italia tutta intera, ovvero Totò Riina?
Ha compiuto 60 anni il 21 febbraio scorso, il capitano Ultimo, che io continuo a chiamare così anche se nel frattempo il suo nome e cognome sono diventati di dominio pubblico (Sergio De Caprio, nda) e il suo grado nell'arma dei carabinieri è diventato quello di colonnello. Ma non sparisce dalla vita pubblica: è assessore all' Ambiente della regione Calabria, voluto in quel ruolo dalla scomparsa presidente Jole Santelli, che «si è battuta fino alla fine come una leonessa contro la sua malattia, con spirito di sacrificio e di amore per la sua terra: onore a lei».
Però il suo appendere virtualmente la divisa al chiodo (molto virtualmente: il suo non indossarla sempre - come i vertici, le «giacche blu» come li chiama lui, avrebbero voluto - è uno dei tanti motivi per cui Ultimo o lo si ama o lo si contesta) è l'occasione per fare un piccolo bilancio, professionale ma anche esistenziale.
Capitano, prendiamo subito il toro per le corna. Lei e i suoi uomini, dopo mesi di appostamenti, tirate giù dalla macchina e catturate Riina, lo portate in caserma, gli fate le necessarie foto di rito, e già per quello fioccano le polemiche: lo scatto del boss sotto la foto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (una sua vittima, tra l'altro) viene giudicata una provocazione.
«Una situazione incredibile: un procuratore ha detto che era rimasto colpito da quella immagine, perché avevamo "umiliato" Riina. Naturalmente massimo rispetto per quel magistrato come per tutti i magistrati, però diciamo che siamo rimasti, come dire?, spiazzati».
Certo, ovviamente deferenza anche per quelli che l'hanno mandata a processo, dopo aver posto fine alla latitanza di Riina, per aver smesso di fare la guardia al suo covo. Accusandola di favoreggiamento. Risultato? Lei viene assolto, senza che poi la stessa Procura di Palermo faccia appello.
«La Procura ha sostenuto non li avessimo avvertiti, invece avevamo condiviso tutte le scelte. Un altro passaggio paradossale, che segna il declino di un modo di fare la guerra alla mafia, che poi era quello di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ma anche della dottoressa Carla Del Ponte, l'Antimafia dei combattenti costruita con il sangue delle vittime, l'Antimafia seria, di servizio e non quella che si trasforma in manipolazione e contropotere».
Una vicenda comunque grottesca, quella del suo processo, in America l'avrebbero portata alla Casa Bianca per una foto con il Presidente.
«Con il risultato di indebolire l'immagine e la forza di uno Stato unito come un sol uomo nella guerra alla criminalità, quasi legittimando in maniera implicita la sottovalutazione, la minimizzazione del ruolo di Cosa Nostra nelle stragi, perché non funzionale a una certa narrazione».
Si sta riferendo alla cosiddetta trattativa Stato-mafia?
«Non mi permetto di entrare nelle dinamiche processuali, o di giudicarle. Faccio una riflessione di ordine generale, al di là delle inchieste. Una trattativa postula l'esistenza di due parti (che nel caso specifico sarebbero emissari di Riina e funzionari dello Stato, i quali spontaneamente o "spintaneamente" l'avrebbero avviata o recepita) e di un oggetto che possiamo definire "accordo", le cose cioè su cui le medesime parti convengono. Ma qui cosa succede?».
Che quasi tutti i killer e i capi mafiosi (in libertà è rimasto il solo Matteo Messina Denaro) o hanno iniziato a collaborare con la giustizia, penso a Giovanni Brusca, o sono finiti in carcere e, come Riina, ci sono morti.
«Bene, seguo il suo ragionamento: significa che una delle due parti non avrebbe mantenuto fede agli accordi. Ma questa "violazione" contrattuale, chiamiamola così, viene forse impugnata, fatta valere dai boss detenuti o dai loro avvocati? No: se ne fa carico una parte terza, alcuni pm che appunto hanno ritenuto sussistano elementi a suffragio di tale ricostruzione. Fatto strano, incomprensibile, gravissimo perché ha contribuito a minare quell' impegno che è stato profuso con lutti e dolore nella guerra alla mafia, a spezzare il fronte».
Come se si volesse o dovesse dimostrare un teorema. Tanto più che poi i magistrati (penso per esempio ad Antonio Ingroia, che nel frattempo si è perso nel «labirinto degli dei») si sono ritrovati con il cerino in mano, affidandosi a un personaggio come Massimo Ciancimino, la cui credibilità è stata demolita dalle condanne per riciclaggio, calunnia, detenzione di esplosivi. Lasciamo la Sicilia per la Calabria, terra di 'ndrangheta, una delle più potenti organizzazioni criminali al mondo, dove tutela dell' ambiente vuol dire occuparsi di traffico di rifiuti, cementificazione selvaggia, acque, depuratori e reti fognarie.
«È un onore essere qui. La gente di Calabria è splendida. Sono stato accolto con affetto e rispetto, ma non posso negare che a livello organizzativo scontiamo lacune, inefficienze, ritardi. Partiamo da una situazione di assenza della capacità operativa della struttura deputata a occuparsene, l'Arpa Calabria, l'agenzia per il monitoraggio ambientale, anche per la scarsità di risorse a disposizione».
Pochi soldi?
«Be', tenga conto che l'ente ha a disposizione un budget di 15 milioni di euro, quando ne servirebbero altrettanti per arrivare a quei 30 milioni che sono poi il bilancio dell' Arpa dell'Umbria. Ora, le pare possibile che l'attuale stanziamento sia la metà, in una regione che ha, tanto per dirne una, 800 chilometri di coste? Abbiamo chiesto al commissario straordinario, reitereremo la richiesta anche al ministro della Salute Roberto Speranza, perché in tutto questo i calabresi non hanno da anni l'autodeterminazione, ma sono controllati "da remoto". Speriamo che ci rispondano, altrimenti faremo sentire la nostra voce insieme a quella dei sindaci di questa regione, spesso dimenticata e trattata come l'ultima delle province dell' impero».
Senza dimenticare che se è vero che non tutti i calabresi (uno per tutti: mio padre) sono 'ndranghetisti, tutti gli 'ndranghetisti sono calabresi: le cosche sono vive e vegete.
«Solo pochi giorni fa sono andato a Cetraro, un comune in provincia di Cosenza, dove c'è stato un grave atto di intimidazione ai danni del maresciallo a capo della locale stazione dei carabinieri, cui è stata mitragliata l'auto. Ho chiesto anche a nome loro di poter parlare con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ho lasciato un messaggio alla sua segreteria, anche per vedere di aprire un tavolo tecnico insieme al ministro dell'Interno per capire come si sta impostando la lotta alla 'ndrangheta, ma non ho ancora avuto risposta, evidentemente deve essere alle prese con tante altre priorità».
Non ultima forse il rilancio del suo partito, il Pd, ma non voglio maramaldeggiare. La Calabria è alle prese con la gestione dei vaccini anti-Covid, campagna che sta andando a rilento (i medici di base dicono che su 130.000 ultraottantenni, ne sono stati vaccinati solo 30.000). So che non è di sua competenza e non è materia sua, ma le chiedo se le risulta questo stallo, aggiungendo che, come testimoniato da più parti, a fine giornata le dosi inutilizzate vengono buttate e non utilizzate per altri soggetti.
«Non mi sono ancora vaccinato, aspetto il mio turno quando sarà, perché ci sono persone - gli anziani, i malati, i fragili - che ne hanno bisogno prima di me e prima dei politici. Quanto al problema, io non sono calabrese ma difendo la Calabria perché la sanità è stata commissariata e si sono deresponsabilizzate le persone del settore. Vengono commissariati i comuni, dove viene mandato un impiegato per la gestione degli affari correnti, il quale lavora 18 ore la settimana. Ma come si fa a parlare di task force a Roma o a Bruxelles, quando poi sul territorio siamo messi così? Senza pianificazione, senza uomini, senza mezzi».
La trovo battagliero come sempre, ma non avevo dubbi. So anche che la casa famiglia da lei fondata a Roma, i «Volontari del Capitano Ultimo», dove vengono portati avanti progetti di solidarietà a sostegno degli ultimi, lavora come e più di prima. Soprattutto in tempi di pandemia. Un' esperienza anche spirituale. Crede in Dio, Capitano?
«Con molti dubbi e errori, non sono perfetto. Cerco di applicare gli insegnamenti di Nostro Signore, ho fede nell'atto del dono, perché in ogni gesto di aiuto e generosità nei confronti degli umili, dei deboli, dei dimenticati, c'è Gesù. Credo nella Chiesa dei poveri, perché se siamo tutti in mezzo alla stessa tempesta, non siamo tutti sulla stessa barca. Dobbiamo impedire al virus di allargare ancora di più il divario e le disuguaglianze».
In conclusione, Capitano: ha dato di più l'Arma dei Carabinieri a Ultimo, o lei all'Arma?
«L'Arma mi ha dato tutto, e io ho restituito pochissimo rispetto a quello che ho ricevuto. Mi hanno insegnato a essere, ancora prima che un combattente, un uomo, e che prima vengono il bene comune e la sicurezza dei cittadini e poi le esigenze personali. L’ho imparato da tutti i carabinieri che ho incontrato, rispetto al quale io sono niente. Io sono Ultimo».
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