#ma INCREDIBILE ho la sera vuota
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va’ a vedere che poi in SA siamo tutti italiani. potevamo davvero darci appuntamento a pordenone
#no davvero stavo guardando gli altri panel#e la proporzione di italiani su tutte le altre nazionalità è imbarazzante#siamo davvero dappertutto ma anche basta#comunque incredibile ovviamente ho delle cose da fare#tipo mandare le slide ai francesi ma direi domani#e fare application per la WS#ma INCREDIBILE ho la sera vuota#non devo più pensare a questo paper maledetto in maniera così ossessiva#torno a vivere finalmente#dato che il delirio è cominciato questa primavera col progetto di ricerca etc etc#dai dai dai giulia piano piano ce la si fa✨
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Coazione a ripetere
Mi domando spesso per quale motivo io mi ritrovo sempre nelle stesse dinamiche sociali che mi arrecano disagio, quali siano i processi interiori, i meccanismi difensivi che mi conducono a situazioni in cui gli altri mi rifiutano, mi ignorano, mi schermiscono. Forse ciò che più mi ha segnato dai 13 ai 18 anni è stato il non avere degli amici, delle presenze fisse nella mia vita, poiché non sono riuscita a creare una connessione profonda con qualcuno, a desiderare di voler rivedere quel qualcuno per approfondire la nostra conoscenza. Mi sono sempre sentita allontanata, guardata sempre un po’ male delle altre persone, a volte con la convinzione che avessero l’idea di me di una persona troppo seria (cosa non del tutto vera, negli ultima anni mi sono riscoperta molto ironica e pronta al gioco) oppure ingenua, facilmente manipolabile, dato il mio modo tranquillo e pacato di approcciarmi alle persone. Anche quest’ultima definizione di me non corrisponde al vero, in quanto sono silenziosa solo a primo impatto, quando sono coinvolta in qualcosa che mi interessa sono un vulcano di idee, considerazioni, proposte che esprimo anche con impeto, tant’è che quando sono coinvolta in una discussione tendo ad accendermi molto facilmente, non per la rabbia come pensano la maggior parte delle persone, ma per il trasporto emotivo che metto nel pronunciare ogni parola che sia sentita. Perciò mi infastidisce quando qualcuno cerca di prevaricarmi, tendo sempre ad addossarmene la colpa, rimproverandomi di non essere stata abbastanza in grado di impormi. Ma poi mi pare che non sia nemmeno quello. Non c’entra l’imporsi, ci sono molte persone più docili di me, facilmente condizionabili, e vedo che con loro non si è così feroci. Noto che talvolta le persona tendono proprio a mettermi da parte, a non interessarsi minimamente a me. Prima ci ragionavo su, mi sono detta “mi starò vittimizzando? Ho fatto qualcosa per provocare queste reazioni? Trasmetto sensazioni negative agli altri”. Forse una mezza risposta ce l’ho. Sono arrivata ad un punto in cui non voglio più colpevolizzarmi per i comportamenti poco carini degli altri. Sì, magari ho fatto qualcosa, magari il mio fare quella cosa era atta al raggiungimento di queste persone: far sì che mi allontanassero da loro, dalle loro chiacchiere, dai loro pettegolezzi. Le persone in questioni, che riguardano questa determinata circostanza, sono persone con cui condivido solo i corsi universitari. Vorrei poter dire che condividiamo l’interesse per la psicologia, ma non gli ho mai sentito fare un discorso riguardo questa disciplina che andasse oltre gli esami e le lezioni. Mai un riferimento ad una loro riflessione in merito ad una vicenda particolare o a ciò a cui ambiscono. Sono tutte immerse in questo sistema senza sapere dove vanno. L’importante è dare gli esami, per interrogarsi sul futuro c’è tempo. Mi stufa sentire “non sapevo cosa fare, ho provato il test e sono entrata”. Nessuna passione, nessun interesse vero. Per non parlare del resto. Con nessuna posso parlare di libri, con qualcuna forse forse di film. La professoressa giorni fa ha consigliato un film, “Family life”, che ho visto la sera stessa. Incredibile quanto mi sia rivista nella protagonista, quante osservazioni facevo tra me e me ad ogni scena, poiché tutto suscitava in me un pensiero o un’emozione più o meno violenta. E alla fine di quelle due ore di film, con la mente piena di pensieri, il vuoto, nessuno a cui dirlo, nessuno con cui parlarne. Il pomeriggio prima avevo cercato delle informazioni riguardo ad una tematica del film, la schizofrenia, in particolare di un dettaglio che la prof aveva citato a lezione e mi aveva molto incuriosita. Nelle ricerche trovo un aspetto che mi colpisce e lo condivido con queste mie colleghe sul gruppo whatsapp. Nessuna risposta. Mi sento così vuota. Non avere nessuno di significativo con cui parlare delle mie idee è ciò che mi abbatte maggiormente.
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Avvertenze: scritto da ubriaco, mai riletto. Pieno di errori.
3 Il francese ribelle
Alla fine ho optato per una variante del negroni di oltr’alpe: il boulevardier. Ci sta, più dolce e rifiuto quell’amarezza che tanto ricerco di solito alla sera. Oggi ho voglia di essere un po’ più dolce, forse perché il mio corpo si sta abituando al benessere dell’alcol e della scrittura; essa da turbinio e vento che sferza e sbatte contro le rocce (come Paolo e Francesca) si tramuta in una dolce brezza malinconica che accompagna queste serate. Forse la dolcezza della scelta del cocktail è data da due ragazze sedute vicino a me, ma distanti di intelletto. Parlano di robe futili, soliti pettegolezzi che riguardano il fare comune. La noia assurda. Forse meglio non parlare del pendolo tra noia e dolore prima che quest’ultimo prenda il sopravvento e rovini la dolcezza della serata. È strana la donna come creatura, seppur da me alcune volte odiata per la perfidia simil medusa… quando entra nei locali con il profumo che l’accompagna va a stimolare il primo nervo e i ricordi di vecchie passioni e scopate. Oh il piccolo Bukowski che esce e del quale mi scuso di evocarlo a cazzo come fanno molti, solo perché fa tendenza l’elemento volgare, la parolaccia, violenza e ubriachezza. La ragazza qua dietro parla di alcol, che dolci parole che pensieri soavi donna mia… qual tempo l’alcol ti toglieva dall’opere studentesche che sedevi assai contenta del passare l’esame. Un giovane di Recanati moderno potrebbe dire questo? Licenza poetica da arresto a mio avviso. Corrompere tali versi per l’alcol? Quale bestemmia della bellezza, ma alla fine questo dissi nel pensiero di prima. Il brutto ci attrae.
Sono abbastanza stanco del tutto ma continuo solo per il piacere di bere. La sedia davanti a me continua ad essere vuota. La dolcezza di cui scrivevo prima è oramai sparita. C’è solo disperazione che deve affogare il prima possibile, prima che impazzisca nella realtà.
È incredibile come possono variare i miei pensieri e stati d’animo così velocemente che è difficile stare dietro a tutto. Ma forse è una benedizione e maledizione il provare e sperimentare tutto lo spetto del piacere e del dolore quasi allo stesso tempo. Ora ho vomito. Vomito della solitudine sapendo che tre ragazze stanno parlando sedute dietro di me, provando ad origliare non trovo nulla di interesse nel quale intromettermi. Ma sempre meglio di questa solitudine. Dietro di me una coppia dell’Est europa credo stia litigando o no, non capisco… ma è una coppia in contrasto con la mia condizione. Osservo il tovagliolo vuoto in attesa del cocktail. Osservo quanto è solo come me. Mi lamento? È vero, sono un continuo lamento perché questo dolore è difficile zittirlo e le parole sono come grida silenziose. Ossimoro azzeccato. Puoi farle gridare nella tua testa quando le scrivi e quando le leggi, tuttavia per loro stato di inchiostro o pixel digitali sono mute. E allora grido il mio dolore ogni secondo. È la mia vita, la mia condizione, magari verrò riconosciuto postumo per quello che scrivo. Magari verrò dimenticato ma tutti noi lo saremo. Ora mi dispero mentre inizierò a bere sperando che qualcuna mi noti, perché forse io noto troppo e non ho più voglia di fare la prima mossa. L’ho sempre fatta è sempre sono stato bastonato. Non voglio più accettare di fallire anche se la vita, per esteso l’evoluzione è un fallimento unico che diventa un adattamento e quindi sopravvivenza. Ma io sono a parte.
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Giovanni 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Giovanni conclude il suo vangelo col giorno della resurrezione, vuole manifestare la pienezza della salvezza nella vittoria di Gesù sulla morte, nel dono del santo Soffio che dà inizio a una nuova creazione in cui la misericordia di Dio ha il primato, regna: per questo c’è la remissione dei peccati del mondo. È questa remissione, questo perdono gratuito e definitivo donato da Dio a cui siamo chiamati.
L’annuncio di Pasqua arriva nel chiuso delle nostre case, proprio come quella prima Pasqua. Giovanni ci racconta che quel mattino solo una donna audace osò recarsi al sepolcro alla ricerca dell’amato perduto. Lei prova a cingerlo, lui si sottrae all’abbraccio: “non mi trattenere”.
Sono arrivati ai discepoli gli echi di quella giornata concitata! È penetrata un po’ di luce nella disperazione per la morte del maestro? Non sembra. A sera, a fine giornata, i discepoli sono insieme, ma non per celebrare, piuttosto per nascondersi, per sottrarsi al pericolo.
Così, più di duemila anni dopo, ci ritroviamo nella stessa situazione, quando rimaniamo chiusi dentro noi stessi, magari intrappolati nei labirinti della nostra interiorità ed emergono tutte le nostre paure, le ansie e le preoccupazioni. Scopriamo di essere ancora più vicini a quella prima Pasqua e sentiamo come la parola di speranza risorga dalle ceneri della paura.
In casa, a porte serrate, il mondo, con i suoi rischi, i suoi contagi, le sue brutture, cerchiamo di lasciarlo fuori. Ci provano i discepoli barricati dentro le mura domestiche. Nessuno di loro è stato ancora arrestato, il loro Signore non lo ha permesso. Si è consegnato senza porre resistenza affinché a nessun altro fosse fatto del male. Più di ogni altro vangelo Giovanni insiste su questo aspetto: quando il gruppo del Nazareno viene fermato, nessuno viene arrestato con Gesù. Tutti i discepoli vengono lasciati andare.
Come una madre fa scudo con il proprio corpo per salvare il figlio, così Gesù si pone nel mezzo della battaglia per salvare i suoi amici. Un atto d’amore, un gesto generoso. “È morto per noi” significa soprattutto questo: ha dato la sua vita per salvare la nostra. Non è strano che per sgominare un gruppo di ribelli rivoluzionari abbiano arrestato solo il capo? Noi chiesa nei secoli ci siamo interrogati sul senso della morte di Gesù, ma Giovanni ci porta già nella direzione del gesto d’amore di una madre: per proteggere i suoi. Se in Gesù vediamo il volto di Dio allora Dio è disposto a lasciarsi arrestare, torturare, pur di farci mettere in salvo. Non un Dio che si aspetta da noi sacrifici, ma un Dio disposto a sacrificarsi per darci la vita. Egli sembra convinto che la nostra vita valga più della sua. Incredibile!
Poi l’annuncio della risurrezione: la tomba vuota, l’incontro con Maria che annuncia: “ho visto il Signore”. Echi lontani, ma a sera, i discepoli sono ancora spaventati, barricati in casa per tenere fuori il pericolo. E Gesù li raggiunge, come raggiunge ognuno di noi, nel chiuso delle loro paure.
La speranza pasquale non teme le chiusure. Gesù oggi, come ieri, viene in mezzo a noi e ci annuncia la pace: Pace a voi. Abbiamo bisogno di pace in questo assedio! La sua pace non nega la difficoltà della situazione: Gesù mostra i segni della crocifissione ai suoi per farsi riconoscere, ma anche per non far finta che nulla sia accaduto. E poi soffia, soffia il suo Spirito. Una strana Pentecoste che non rispetta i tempi liturgici e che richiama la prima pagina della Bibbia: Dio che soffia nelle narici umane. In quel soffio si rigenera la speranza e nasce la chiesa. I paurosi, gli sconfitti, ricevono lo Spirito di Cristo per ritornare a vivere.
E il primo atto? Il primo vagito di questa nuova umanità: il perdono. Perdonarsi a vicenda. Siamo creature fragili, codarde, incoerenti. Sbagliamo, ci feriamo, ma se impariamo a perdonarci reciprocamente e a perdonare noi stessi saremo davvero persone pasquali, rimodellate dal risorto.
Oggi, nel chiuso della tua casa è entrato Dio, nel Risorto. Ha soffiato su di te, ti ha chiesto di far pace con i tuoi errori e ti affida il ministero della riconciliazione. Lasciati perdonare, perdona a tua volta e sarà Pasqua tutti i giorni, Vita ritrovata.
I discepoli di Gesù, che erano fuggiti, sono chiusi nella loro casa a Gerusalemme, oppressi dalla paura di essere anche loro accusati, ricercati e imprigionati come Gesù. Sì, la comunità di Gesù è questa: uomini e donne fuggiti per paura, paralizzati dalla paura, senza il coraggio che viene dalla convinzione e dalla fiducia, dalla fede in colui che avevano seguito senza capirlo in profondità.
Paura e fede combattono il loro duello nel cuore dei credenti, quando Gesù in realtà è in mezzo a loro, finché possono dire: “Venne e stette in mezzo”. Il Signore è presente con la sua presenza di risorto vivente, ma i nostri occhi sono impossibilitati a vederlo, il nostro cuore non ha il coraggio di vedere ciò che desidera e sa essere possibile.
Il Signore è in mezzo a noi: non ci abbandona. Spesso siamo noi che lo abbandoniamo e fuggiamo da lui come i discepoli; siamo noi che di fronte al mondo finiamo per dire: “Non lo conosciamo”, come Pietro nel rinnegamento; siamo noi che continuiamo a diffidare e a nutrire dubbi, come Tommaso.
Eppure appena Gesù “è visto”, dona la pace, la vita piena, e accompagna questa parola con dei gesti. Si fa riconoscere. Sono le piaghe, i segni della croce alla quale è stato appeso; il segno dell’apertura del petto a causa del colpo di lancia, apertura che proclama il suo amore, che come fiume uscito da lui voleva immergere l’umanità per perdonarla.
I discepoli lo riconoscono e gioiscono al vedere il Signore. Finalmente la loro incredulità è vinta e la gioia della sua presenza, della sua vita in loro li invade. Allora Gesù soffia su di loro il suo Respiro, che non è più alito di uomo ma Spirito santo.
Questo respiro del Risorto diventa il respiro del cristiano: noi respiriamo lo Spirito santo! Ognuno di noi respira questo Spirito, anche se non sempre lo riconosciamo, anche se spesso lo rattristiamo e lo strozziamo in gola, nelle nostre rivolte, nei nostri rifiuti dell’amore e della vita di Dio.
Questo Soffio che entra in noi e si unisce al nostro soffio ha come primo effetto il perdono dei peccati. Questo Soffio è un abbraccio che ci mette “nel seno del Padre”, ci stringe a Dio in modo che non siamo più orfani ma ci sentiamo amati senza misura di un amore che non abbiamo meritato né dobbiamo meritare ogni giorno.
“Ricevete lo Spirito”, dice Gesù, cioè “accoglietelo come un dono”. È il dono della vita piena; il dono dell’amore che noi non saremmo capaci di vivere; il dono della gioia che spegneremmo ogni giorno; il dono che ci permette di respirare in comunione con i fratelli e le sorelle, confessando con loro una sola fede e una sola speranza; il dono che ci fa parlare a nome di tutte le creature come voce che loda e confessa il Creatore e Signore: spetta a noi ricevere lo Spirito santo per respirare.
La Pentecoste è la festa della liberazione che la Pasqua ci ha donato, liberazione che raggiunge le nostre vite quotidiane con le loro fatiche, le loro cadute, il male che le imprigiona.
Possiamo davvero confessarlo: il cristiano è colui che respira lo Spirito di Cristo, lo Spirito santo di Dio. Grazie a questo Spirito è santificato, prega il suo Signore, ama il suo prossimo.
(scuolaapostolica)
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rossoscarlatto.net
Tatuata
"Allora hai deciso..."
"Sì".
"E se poi ti stancassi ? Volessi levarlo ? Non ti piacesse più..."
"Non credo...e in ogni modo, lo sai, non do peso al mio corpo, non mi guardo allo specchio..., non m'importa cosa ne penserò domani o fra vent'anni, ho solo bisogno di un segno..."
"Un segno...?"
"Devo segnare questo tempo...ricordarlo..."
"Ricordarlo ? Puoi farlo comunque...perché sulla pelle ?"
"Definitivo..., questa fuga non è con la testa nel sacco, so che sto fuggendo e da cosa..."
"Tu hai troppi uomini..."
"In questo periodo ? Sì...sempre... quando sono così..."
"Tu li usi..."
"E loro usano me...normale...".
"Non sei innamorata, è vero...?"
"Ho bisogno di sogni, lunghissimi, interminabili..."
.................
Ore 16.35. Sono in anticipo.
"Ciao..."
"Ho appuntamento alle 17.00..., posso aspettare ?"
"Accomodati, lui è di là...nel frattempo puoi guardare i cataloghi, hai già un'idea ?"
"No. Nessuna."
Il divanetto è molto piccolo, e davanti una tendina trasparente, nera su un vetro. Dietro intravedo un'ombra. E un rumore, quasi un ronzio. Forte, insistente. Che cosa succede di là ? Nessuno parla...solo il ronzio.
Sfoglio le pagine piene di simboli scuri, linee, curve, punte, e piccoli totem, simbologie di mondi passati, qualche animale, e piume, ali. Che fare ? Che tipo di segno sul mio povero polso ? Un sole ? Questo piccolo pesce ? Questa spirale appuntita ?
"Hai bisogno d'aiuto ?"
Lei è vestita di nero, come me. Al naso, sopracciglia, e labbro inferiore anelli e altri piccolissimi oggetti.
"Fra poco tocca a te... è quasi pronto..."
Arriva. E' qui vicino. Mi guarda. Lo guardo.
Alto. Magro abbastanza. Le maniche corte della maglietta blu, larga, scoprono ogni forma incisa, e incredibile, sulle sue braccia. E colori. Anelli ad ogni suo dito. E il viso. Rugoso, ma giovane, con occhi chiari e una bocca grande, non ben delineata. Senza barba.
"Ciao...che cosa posso fare per te...?"
Huuummm, che cosa puoi fare per me ?...devo dirtelo subito... o dopo?
"Credo che un occhio...forse...ma molto stilizzato...una forma semplice, pulita...non troppo grande..."
"Ok, vieni..."
Si muove piano e sparge in giro un po' del suo profumo di muschio. La sala degli orrori ora è davanti ai miei occhi. Arrivandoci senza sapere cos'è può essere scambiata per lo studio di un dentista. Ma la musica ovunque, e forte, i disegni alle pareti, le sue foto nudo con esibizione d'ogni piccola e grande opera d'arte, mi fanno sentire finalmente a casa.
"Siediti qui...vicino a me..."
Mi accomodo, un po' timorosa sulla poltroncina vicino al tavolo, dove lui sta disegnando il mio occhio. Con la matita su una velina trasparente.
"Così... ti piace ?"
"Sì.....va bene..."
Si alza. Più in là la poltrona da esecuzione, il patibolo, quasi un lettino, di pelle imbottita rossa. Mi allungo, e lui prende il mio polso. Non parla, e da un cassetto tira fuori un rasoio. In un attimo graffia via i pochi peli sul mio braccio fino alla mano. Io tremo, sono già spaventata.
"Posso... scappare... se...?"
"Scappare ? e dove...stai tranquilla... ci penso io... non sentirai male... non troppo...sopporterai...vedrai..."
La decalcomania ora è sul mio polso, bella disegnata, e blu.
"Ecco...questa è la giusta posizione... potranno vederlo bene, tutti..."
Comincio a sudare, la ghigliottina è lì davanti a me, e sta iniziando il suo ronzio terribile.
L'ago. Mio dio. L'ago.
Punge. Punge e colora la mia pelle. E lui preme, e striscia per seguire il tratto del suo disegno, il mio occhio.
Non voglio scappare. Sono immobile e senza respiro.
Il mio braccio sulla sua gamba, e lui curvato a tenerlo fermo. E incidere.
"Ti fa male...?"
La sua voce adesso è bassa, e lenta. Tutta la pelle del mio capo freme.
So che la mia spina dorsale sta iniziando a gioire. La sento.
Il piacere che sale dai miei fianchi sino alla nuca, e poi scende sino all'interno delle mie cosce.
Ancora immobile.
Ma con la mente sono già ad accarezzare la lampo dei suoi pantaloni, e tutta la meraviglia che gli sta sotto.
"Ti fa male...?"
Sì. Mi fa male. Tu sai che mi stai facendo male. E anche come.
Conosci il tipo di dolore che procuri alle tue vittime.
E sono certa che la tua erezione è già cominciata.
Non mi chiedi se voglio sospendere per un attimo. No. Non lo fai.
E io non vorrei. Non devi fermarti, ora. Non più.
Che bello. E' bellissimo. Non potevo immaginarlo, sai ? Proprio non ne avevo sospetto.
Il segno che lasci sulla mia pelle vergine, è il tuo segno.
Il passaggio di te, su di me.
Molto più di una prima penetrazione. Altro tipo di verginità persa.
Quella di un angolo della mia testa, che ti lascia entrare dentro di me, e modificare il mio corpo.
Perché ho sempre sfuggito ogni mostra di body art ?
Stupida. Molto stupida. Ora capisco il piacere infinito.
E ne sto vivendo solo una piccola goccia.
E il senso di potere. Gigantesco. Voglio coprire il mio corpo di segni. Non smettere mai.
Aaaahhh... il tuo ago...come spinge... e striscia....e colora...
Ancora. Non fermarti. Non smettere mai. Fammi bruciare, ancora.
E incidi. Segnami. E segnami ancora...
"Ancora... un po' di grigio...qui...è troppo vuota...questa forma..."
Sì...ancora. Grigio...azzurro...rosso...verde....Tutti i colori che vuoi. Riempi i miei pori. Senti che vuoti ? Senti che voglia di essere pieni... di te... e dei tuoi colori...?
Perché non mi tagli, ora ? Potresti...sai ? Non scapperei. No.
Qualsiasi lama nelle tue mani.
Oltre ogni pene, oltre ogni lingua e ogni mano.
Potresti farmi scoppiare, sai ? E sono già molto vicina. E la schiena mi trema.
E le gambe sono spalancate sai? Senti come sono bagnata ?
Allagata. Per te.
Potresti tirare fuori il tuo pene mentre continua il ronzio ?
Oppure allungare la tua terza mano, quella con le dita sensibili, e infilarmele tutte, una per una, e riempirmi ? Le sento già tutte dentro di me. Vuoi farmi venire ? Così ?
E allora anche la tua lingua. Ti prego. Non risparmiarti. Dammi tutto di te.
Lo prenderei, sai ? Il tuo tutto, e anche di più...
Ma...non hai ancora finito ? Allora anche tu non vuoi smettere. Ti piace.
Allora... sei sadico... è per questo che il tuo pantalone è così gonfio, qui proprio davanti a me ? E io sono masochista ? non so... Ma che piacere sottile... e inciso sulla mia pelle...
"Ti rifaccio questa riga... perché..."
Perché ? Hai capito quanto mi piace ? Grazie. Sei buono. Continua allora. Forse riesci a farmi venire. Mi piacerebbe sai ? Cosa direbbero quelli di là, che stanno aspettando, se ad un tratto oltre al ronzio del tuo ago, sentissero anche l'urlo ? Il mio urlo, quello più forte, e lungo. Quello che stai costruendo sulla pelle del mio povero polso. Lo vuoi ? Vuoi sentire il mio urlo ? E poi che faresti ? Lasceresti ogni cosa...? Smetteresti... per allargare le mie gambe ancora di più ? E affonderesti dentro di me ? Lo vorresti ? O forse è già troppo il piacere che senti nella tua mente mentre mi incidi... incidi il tuo segno su di me ?
"Ti piace ?"
"Sì...è bellissimo...sei stato bravo"
"Posso fotografarti ?"
Puoi fare quello che vuoi, lo sai.
Sei il mio cavaliere, ora... il cavaliere degli aghi.
E asciugami ora. Non posso uscire da qui, tutta bagnata.
"Torna, per ogni eventuale... io sono sempre qui...".
Sono troppo bagnata. Aspetta. Non mandarmi via, adesso, solo perché c'è qualcuno che deve entrare ora, e al mio posto.
"Ciao, ti aspetto allora..."
Esco. Ma piano. E i sogni sono ancora con me.
Sta piovendo una pioggia discreta, e non ho ombrelli da aprire.
Cosa faccio ? Vado subito in auto ? O forse è meglio camminare un po'. Sì magari sulla riva del mare. E' sempre bello in inverno, e con la pioggia tutto sembra più morbido.
La piccola ferita che brucia sotto la fasciatura... non stavo sognando, ora c'è un tatuaggio sul mio povero polso. Povero ? Superbo, come dice il mio amante migliore, "superba giornata amica mia".
E sono bagnata, è vero. E non solo di pioggia. Bagnata di me.
E ho voglia. La reprimo ? Perché...?
Ricordo una volta, da ragazzina...l'amore sulla spiaggia, sotto una barca capovolta. Era sera come ora. E le luci lontane da noi, passavano appena da sotto, giusto per farci vedere le nostre mani che si toccavano. E le risate. "Ci avrà visto qualcuno...? ...e se ci fosse qualcuno qui fuori...?" Nessuna paura allora. Ma adesso ? Mi infilerei sotto una barca capovolta per darmi piacere ? No. E non ci sono più le barche dei pescatori su questa spiaggia. Ora è un porto di lusso. Ma le panchine, quelle sì, ci sono.
Vado più in là, dopo l'ultimo lampione. Quella panchina isolata proprio vicino allo scoglio.
Eccola. Perfetta.
E la pioggia mi aiuta. Questa mano destra, così libera, che mi cerca. Se la lascio entrare sotto lo slip, potrà aiutarmi ? Sì. Penso di sì. Di solito è il mio letto il posto migliore, e meglio sotto il piumone d'inverno. Posso allargare le gambe nude e sentirmi tutta. Riconoscere ogni pelo, e bagnarmi le dita di miele. Ma ora arrivo subito e soltanto alla mia clito. E' qui, proprio qui sotto, e già mi fa male. La scopro, la apro, nel punto più impazzito di tutto il mio corpo. Da lì è impossibile tornare indietro. Quando arrivo su quella punta di piccolo cazzo infuocato, la testa mi scoppia.
E allora, sì. Mi lascio scoppiare.
E' stata una bella giornata.
E qui la pioggia è diversa dal solito. Calda, caldissima tra le mie cosce.
Dedicato ad Alex Tatu, tatuante in Sanremo.
FalcoSirene
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Immagino.
Posso solo immaginare.
Farei pazzie.
Ho tanti pensieri in testa, tanti quasi da impazzire davvero.
Mi sveglio pensando a un bacio su una guancia e una carezza sul viso, apro gli occhi vedendola che mi sorride affianco a me, ancora sotto le coperte e appena sveglia. I suoi occhi brillano nonostante la poca luce nella stanza, sorridono e mi guardano arrivandomi a toccare l'anima.
Penso che vorrei alzarmi prima, poterla svegliare io, ma sono il solito dormiglione, lei lo sa. Allora esco, e senza dirle niente corro a comprare la colazione e un fiore da lasciarle, come per ringraziarla per quel piccolo, ma lunghissimo per me, momento quella mattina. Non avrei bisogno di parole, mi basterebbe guardarla, solo uno sguardo al mio gesto mi farebbe capire quanto sia stato apprezzato.
Immagino una mattina e un pomeriggio di lavoro e di studio, l'una e per l'altro, impegnati ma con la consapevolezza di trovarci in ogni momento libero della giornata, con la consapevolezza di trovarci sempre a fine giornata.
Immagino un pranzo, con me ai fornelli, preparando qualcosa, niente di speciale, ormai entrati in una routine. Lei che si avvicina per rubare qualcosa da mangiare, ancora vestita da casa, con i capelli scompigliati e struccata, fermarla, e per giocare prenderla in braccio per portarla sul divano, riempirla di solletico mentre si dimena, e ridiamo, ridiamo come due bambini, con le risate più sincere di questo mondo.
Immagino un pomeriggio di sabato, insieme, uscire tenendoci la mano, sentire le sue dita tra le mie e sentirmi tutt'uno con lei, che mi tira per portarmi a destra e sinistra per seguirla nella nostra passeggiata, senza vergognarci di nessuno, contiamo solo noi. Passando l'intero pomeriggio fuori tra amici comincia a far freddo, e mentre gli altri si chiudono sempre più nei loro cappotti, lei si stringe a me e infila le nostre mani nella mia tasca, non lasciandomi mai. Lascerei il mio cappotto a lei pur di raffreddarmi e farla stare al caldo. Gesto che farei con naturalezza, come tutti d'altronde, senza sguardi o cose particolari. Tornando a casa in macchina non la farei guidare, e tornando verso casa appoggiare la mia mano come per tenerle la coscia, farle delle piccole carezze mentre sono concentrato sulla strada, vederla con la coda dell'occhio che mi guarda ogni tanto, come per vedere se è tutto ok, ormai sa leggermi, sono un libro aperto.
Immagino una cena fuori, noi che ci rivestiamo e ci prepariamo come per far colpo l'uno sull'altra per l'ennesima volta, ma con la nostra poca fortuna, non avendo prenotato, non trovare nessun ristorante con dei posti disponibili, ritrovandoci a mangiare al McDonald's anche quella sera, mangiando come se avessimo una fame incredibile, senza preoccuparci di far brutte figure, di sporcarci e nonostante ci fossimo preparati così bene. Io che rubo alcune sue patatine ridendo e lei che si arrabbia, che con la bocca piena mette il grugno e me ne ruba il doppio per dispetto. Facciamo un disastro, tanto da esser guardati male da tutti, ma ci divertiamo come matti.
Immagino una serata sotto le stelle su un tetto, su un giardino o su delle scale. Una serata a chiacchierare, a pensare al futuro senza preoccuparci di altri problemi, lasciando tutto fuori, ci siamo solo io e lei.
Guardando le stelle mi perdo come mio solito a immaginarmi di attraversare l'universo, come fossi un fantasma, ammirare i colori stupendi del cosmo, avvicinarmi alle stelle per sentirne il calore. Torno sulla terra per un attimo e mi rendo conto di avere la stella più calda e bella al mio fianco, proprio lì vicino a me, persa anche lei a fantasticare chissà cosa nel nostro piccolo silenzio di stanchezza.
Immagino una notte a letto, con lei che mi abbraccia come per sentirsi protetta, si rilassa e chiude gli occhi stanca della giornata. Io mi rendo conto di guardarla con sguardo colmo d'affetto, le sposto i capelli dal viso e le accarezzo la guancia, la coccolo, a lei che scappa un sorriso e si addormenta come se le avessi dato la sicurezza che cercava, come se ne volesse ancora una volta la conferma e la certezza.
Immagino tantissimi baci, baci ovunque, in ogni luogo e in ogni momento, piccoli e lunghi, come piccole dimostrazioni di affetto durante tutto il giorno, come se ci mancasse.
Immagino tantissimi abbracci, improvvisi, di coccole o di conforto, come se non riuscissimo a stare soli, come se non fossimo già adulti e autonomi, come per dirci che fossimo la mancanza di una vita.
Immagino tantissimi sorrisi, risate, risate a squarciagola e interminabili, prenderci in giro, come bambini che giocano e che con la loro genuinità non devono preoccuparsi di niente e di nessuno.
Immagino in questa giornata vuota una giornata piena di vita.
Immagino.
Posso solo immaginare.
Per ora.
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CRONACHE DI YUUEI - GROUND ZERO Capitolo 2 - Fuochi, esplosioni e...
PARING: KIRISHIMA X BAKUGO RATING: +18 GENERE: FANTASY AU
P.O.V. KIRISHIMA
Eijiro iniziò a pensare di stare sognando.
Era stato portato a fare un bagno caldo, lavato con cura, asciugato con i panni più soffici che avesse mai toccato e vestito con abiti morbidi e caldi. Ora, davanti a lui, c'era una tavola enorme coperta di pietanze fumanti. E il suo padrone l'aveva appena invitato a servirsi.
"Posso...posso mangiare quello che voglio?" chiese incredulo.
"Sì, idiota. Mangia quello che vuoi e quanto ne vuoi" rispose il Re, indeciso se ridere dello shock del ragazzo o battere la testa sul muro dall'esasperazione.
Decise che se avesse trovato chi aveva cresciuto questo ragazzo l'avrebbe strozzato con le sue mani.
"Non ti consiglio di esagerare" gli disse Uraraka dall'altra parte del tavolo "se non sei abituato a mangiare tanto e all'improvviso ti riempi di cibo finirai con star male. Avrai tutto il tempo di ingrassare per bene vivendo qui" ridacchiò.
Kirishima decise che gli piaceva questa ragazza. Era gentile e divertente.
"Come te dici, Guance tonde?" la stuzzicò Bakugo, con un ghigno diabolico.
La mora gonfiò le guance e lo guardò irata.
"Villano" sibilò.
"Grazie" mormorò Kirishima con voce rotta.
Bakugo, che stava per infilarsi in bocca un grosso pezzo di montone, lo controllò con la coda dell'occhio, in tempo per vedere una piccola goccia scivolare fino al mento, seguita da altre.
"Stai...sta piangendo?" chiese a bassa voce, guardando la ragazza per conferma.
"Secondo te?" mimò lei con le labbra, facendogli cenno con la testa verso il ragazzo.
Bakugo la guardò perplesso e lei scattò in piedi spazientita.
"Parla con lui o, non lo so, fa qualcosa!" sibilò vicino al suo viso, prima di afferrare un paio di tortini di carne e andarsene.
Bakugo la seguì con gli occhi che mandavano lampi. Non era bravo a consolare le persone.
"Capelli di merda? Perché stai piangendo?" sbottò, usando il soprannome che aveva coniato per lui dopo il bagno.
Il ragazzo gli aveva chiesto se in una delle bottigliette c'era qualche mistura per sistemare i capelli. Dopo aver chiesto ad un domestico gli era stata portata una pasta traslucida e appiccicosa, che aveva usato per sollevarsi le ciocche in delle ridicole punte.
Eijiro sussultò alla domanda e si affrettò ad asciugarsi il viso con le maniche.
"Mi dispiace, non volevo, scusa" balbettò imbarazzato "E' solo che...sei così buono, così gentile...nessuno mi ha mai trattato con tanta cura prima...mi sento così fortunato..." singhiozzò.
Bakugo non seppe esattamente come rispondere, mentre un calore intenso gli risaliva lungo il collo.
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi sbatté i pugni sul tavolo e brontolò un "vaffanculo" mentre lasciava la stanza.
Kirishima rimase a fissare il punto in cui era sparito con gli occhi sbarrati, ancora umidi dal pianto. Si chiese se avrebbe dovuto seguirlo.
La porta da cui era uscito il Re si riaprì e Uraraka rientrò con sguardo preoccupato.
"Continua pure, non preoccuparti per lui" sospirò, vedendolo lì.
"Ma..." mormorò lui, indicando la porta.
"Tranquillo, non hai fatto nulla di sbagliato, immagino. Bakugo non è bravo a gestire le sue emozioni" spiegò, riprendendo il suo posto davanti a lui "sarà andato a schiarirsi le idee"
Kirishima annuì, comprensivo, e si riempì il piatto con piccole porzioni di ogni cosa, desideroso di assaggiare tutto.
Senza fare complimenti si ficcò in bocca alcuni pezzi di carne e gemette sorpreso dal gusto, leccandosi pure le dita. Non aveva mai assaggiato una carne così saporita e succosa, chiunque l'avesse cucinata sapeva il fatto suo.
"Ti conviene abituartici, si mangia sempre così da queste parti" lo informò la mora divertita, spalmando una generosa quantità di crema su una crostatina di mele.
Kirishima le rivolse un sorriso grato e si ficcò altra carne in bocca.
"Bravo ragazzo, mangia quanto vuoi, guarda quanto sei magro, devi rimetterti in forze! Al Re non piacciono i tipi fragili e gracilini" tuonò un'enorme donnona, grande come una montagna, entrando da una porta nascosta.
Eijiro sbarrò gli occhi vedendo che tra le mani reggeva un vassoio pieno di altro cibo.
"E a proposito, dove diavolo è quello scellerato di un ragazzo?" sbraitò, indicando la sedia vuota con una mano grande come la faccia di Kirishima.
"Fuori ad allenarsi, probabilmente. Amane, ti presento Kirishima Eijiro, da oggi vive qui, prenditi cura di lui mi raccomando, ha bisogno di mettere su un bel po' di peso. Kirishima, lei è la signora Amane, la cuoca del palazzo" spiegò Uraraka con un sorriso divertito.
"Benvenuto a bordo giovanotto, rimpinzati senza fare complimenti"
"Grazie, tanto piacere di conoscerla. E complimenti, questo cibo è straordinario" rispose lui, chinando il capo.
La donna gli rivolse un sorriso amichevole e gli tirò una pacca sulla spalla che quasi lo fece finire con la faccia nel piatto.
"Buon appetito ragazzi. E mi raccomando, in qualsiasi momento tu abbia fame sentiti libero di venire in cucina, ragazzino, c'è sempre qualcosa di pronto da sgranocchiare"
Per non parlare con la bocca piena, Kirishima la salutò con la mano.
Dopo che se ne fu andata, bevette un bicchiere d'acqua e si rivolse a Uraraka.
"Perdonami se te lo chiedo ma...quella donna non è umana, vero?"
"No, hai ragione, è una mezza gigante. La famiglia di Bakugo l'ha accolta quando era bambino, dopo che il suo villaggio fu sterminato da dei cacciatori" spiegò lei sbalordita "complimenti per averlo capito, hai buon occhio"
"Buon naso, più che altro. Non odora di umano" precisò lui, continuando a mangiare come se niente fosse.
La mora lo guardò per un momento con sospetto, poi scrollò le spalle e tornò al suo dolce. Avrebbe avuto tempo di parlare più tardi con il Re dei suoi dubbi.
Dopo due piatti pieni di carne, una porzione di verdure piccanti e diversi pezzi di pane, Kirishima si lasciò ricadere sulla sedia con un sospiro.
"Sono così pieno che non so se riuscirò a muovermi" esclamò.
Uraraka scoppiò in una sonora risata.
"Ti avevo avvertito di non mangiare troppo, sciocco! Su, alzati, facciamo due passi, ti aiuteranno a sentirti meglio"
Dopo essersi pulito le tracce di sugo dal viso con quello che Uraraka gli disse essere un "tovagliolo", cioè un pezzo di tessuto fatto per pulirsi dopo mangiato, Kirishima la seguì incuriosito in una nuova ala del castello.
Camminarono lungo un altro corridoio, anch'esso pieno di porte, tanto che Eijiro iniziò a domandarsi quante stanze avesse esattamente quel palazzo.
Questa volta si fermarono subito in fondo al corridoio. Questa porta era più grossa delle altre. Accanto ad essa c'era una fila di pesanti mantelli, appesi al muro. Uraraka ne prese uno e glielo porse, poi ne indossò un'altro lei stessa.
"Perché devo metterlo?" chiese perplesso.
"Perché stiamo uscendo in giardino e fuori fa freddo"
"Oh...va bene"
Si gettò il capo sulle spalle e armeggiò cercando di allacciarlo, ma le sue dita erano piuttosto goffe quindi alla fine fu lei ad aiutarlo.
"Non preoccuparti, Kiri, ti abituerai in fretta"
Il ragazzo sorrise al nomignolo, c'era qualcosa nel fatto di avere un soprannome che lo fece sentire a casa più che mai.
La osservò girare una grossa chiave nella toppa e spalancare finalmente la porta. Oltre l'uscio c'era il panorama più incredibile che Kirishima avesse mai visto. Le mura del castello cingevano un enorme giardino, con un prato rigoglioso e pieno di bellissimi fiori, cespugli e alberi da frutto. Mosse qualche passo esitante all'esterno, grato del caldo mantello che lo riparava dall'aria fredda della sera, ma un boato lo fece quasi cadere dallo spavento.
"Ma che diavolo..." esclamò, guardandosi attorno terrorizzato.
Quei suoni come di cannoni gli portavano alla mente orribili ricordi.
"Tranquillo Kirishima, non è nulla di pericoloso, guarda" esclamò la sua nuova amica, prendendogli il braccio con dita gentili e trascinandolo poco più in là, verso la fonte del tremendo suono.
Prima di poter spiccicare parola, Eijiro rimase ancora più sbalordito di prima. In una specie di piazzola, ricavata in mezzo al prato, stava il Re, con i biondi capelli che si agitavano nel vento e un ghigno a dir poco feroce. Era circondato di soldati grossi il doppio di lui, ma non era minimamente in difficoltà. Davanti agli occhi increduli del nuovo arrivato, Bakugo scagliò una potente esplosione, direttamente dalla sua mano, contro uno dei soldati, mentre ne allontanava un altro con un potente calcio.
"Incredibile" esclamò Kirishima senza fiato, seguendo ogni singolo movimento del Re e non osando sbattere le palpebre per paura di perdersi qualche altra meraviglia.
Quando tutti i soldati furono a terra stremati e Bakugo si erse sopra di loro con un ghigno trionfale, Eijiro non poté più contenere la sua ammirazione ed esultò.
Bakugo lo guardò con un ghigno ancora più ampio e camminò verso di loro.
"Hai mangiato abbastanza, Capelli di merda?" chiese.
"Sì, sono così pieno che mi meraviglio di poter camminare. Posso sapere come hai fatto quelle esplosioni? E' stato incredibile" chiese, con occhi luccicanti.
Bakugo sorrise soddisfatto, crogiolandosi nella sua ammirazione. Niente gonfiava il suo ego più di essere applaudito e ammirato.
"E' la magia della mia tribù" spiegò, incamminandosi nel giardino e facendogli cenno di seguirlo.
Kirishima guardò la mora intimorito, ma lei gli fece un sorriso rassicurante e gli indicò di seguire il Re.
"Fai parte di una tribù di maghi?" chiese perplesso.
"No, idiota, non esistono tribù di maghi. Vengo da una tribù di guerrieri. Vivevamo su a Nord, vicino ai ghiacciai, prima che io conquistassi questo regno. La leggenda dice che i miei antenati si incrociarono con i draghi di fuoco, per questo ho la magia, ma è successo molti secoli fa. Sono l'ultimo ad averla ereditata, nessun'altro della mia generazione ce l'ha" spiegò, con una punta di orgoglio e una di rammarico.
Alla menzione dei draghi, gli occhi di Kirishima si allargarono. Studiò a lungo il Re mentre camminavano, domandandosi fino a che punto poteva fidarsi di lui. Decise di pensarci ancora un po'.
"Riguardo a quello che è successo prima...durante il bagno..." bofonchiò Bakugo, senza guardarlo "sappi che non devi preoccuparti di me. Non ho intenzione di...fare quelle cose"
Kirishima lo guardò per un secondo, perplesso, per poi realizzare.
"Aspetta, cosa? E allora perché sono qui?" esclamò.
Non che gli dispiacesse, ma perché tenere uno schiavo sessuale se non aveva intenzione di...farci sesso?
"Sei qui perché stavano per venderti a qualche nobile maiale, ma i miei uomini ti hanno tratto in salvo. Puoi restare finché vorrai, se hai una famiglia o un villaggio a cui tornare posso fornirti ciò che ti serve per il viaggio. Altrimenti puoi restare e trovarti qualcosa da fare nel castello, come tutti" spiegò il Re, calciando un sasso.
"Il sesso è l'unica cosa che so fare e non mi dispiacerebbe farlo con te. Non sei brutto, viscido e cattivo come quelli con cui sono cresciuto..." rifletté Eijiro.
"Cazzo, ma non ti rendi conto di quanto sia sbagliato?" sbottò Bakugo fermando il suo passo e guardandolo con indignazione "Kirishima, non me ne frega un cazzo di cosa ti hanno insegnato, non si fa sesso con qualcuno perché "è l'unica cosa che so fare" o "perché non sei brutto, viscido e cattivo"." sibilò.
"E perché si fa, allora?"
"Perché una persona ti piace, perché lo vuoi, o perché...perché ami qualcuno" rispose il Re, rosso come un peperone.
"Ma se non facciamo sesso...come posso ripagarti? Mi hai accolto nella tua casa, sei stato così gentile...ci sarà pur qualcosa che posso fare per te" chiese Kirishima con aria triste.
"Ci deve pur essere qualcos'altro che sai fare, no? Hai mai combattuto? I buoni guerrieri non sono mai abbastanza" rispose Bakugo, guardandolo in attesa.
Kirishima guardò il Re nei suoi brucianti occhi rossi. Perché si fidava così tanto di lui? Perché sentiva di poter dare la sua anima a questo bizzarro uomo biondo, conosciuto da poche ore? Suo padre gli diceva sempre di ascoltare il suo istinto. Dopo aver perso lui e sua madre non l'aveva fatto e si era ritrovato in catene in una gabbia. Forse era il momento di ascoltare quel consiglio.
"Bakugo?" mormorò, evitando per la prima volta di metterci il Re davanti.
Il biondo grugnì per fargli intendere che aveva la sua attenzione.
"Bakugo...c'è una cosa che vorrei dirti ma...se qualcuno lo venisse a sapere..."
"I tuoi segreti sono al sicuro con me...ma non dovresti fidarti tanto di qualcuno che conosci da poche ore" osservò l'altro.
"Lo so...ma il mio istinto mi dice che posso fidarmi di te, e poi sei stato gentile e io voglio darti qualcosa di utile in cambio, o almeno lo spero..." mormorò imbarazzato.
Bakugo gli fece cenno di continuare.
Kirishima si guardò attorno con ansia, poi mosse qualche passo più vicino al Re, al limite della distanza accettabile tra due uomini, e si sporse verso il suo orecchio.
Il Re si irrigidì al movimento, ma capì che non voleva essere udito e si sforzò di non farlo esplodere via.
Quando fu abbastanza vicino per essere udito, Kirishima si disse che era ora o mai più, quindi aprì la bocca e parlò con la voce più lieve che riuscì a fare.
"Sono un drago"
#my hero academia#fanfiction#kiribaku#bakushima#italiano#fantasy AU#yaoi#dragon!kirishima#barbarian!bakugo
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11 Aprile 2020 (quinta pagina)
Caro Diario,
Arrivati di nuovo a zia lisa ma questa volta leggermente più grande e senza sentimenti oltre la rabbia, inizia la terza media, alla carducci.
Ho riconosciuto qualche compagno delle elementari, almeno vedevo qualche volto familiare anche se tanto non ci parlavo, almeno così non dovevo fare nuove “conoscenze” e farmi prendere da altre persone per il culo.
Bhe qui conobbi Michelangelo e Gabriele, mi parlavano stranamente e mi volevano far giocare assieme a loro, solo che qualche volta mi insultavano come se erano superiori a me, io non rispondevo, perchè pensavo fosse normale come se si scherzasse ma non erano scherzi, ogni volta che finita la scuola mi invitava a casa sua gabriele, michelangelo saliva ma a me dicevano di rimanere sotto, perchè dovevano “sistemare” casa, in realtà è che non voleva farmi vedere dai suoi genitori, perchè ero trasandato, anche se mi lavavo avevo gli stessi vestiti, mia madre non mi comprava niente.
Il mio armadio era composto da 2 o 3 mutande, accompagnate da 2 magliette, un jeans ed una tuta, a scuola andavo con gli stessi indumenti, e non passò molto tempo che oltre agli insulti di loro due si aggiunse tutta la classe, tranne di un ragazzo Natanaele oppure ora in francese nathanael, perchè ora è in francia a seguire il suo sogno di suonare pianoforte, era molto bravo, nelle ore di musica si sentiva quanto era bravo, sapeva suonare molte canzoni con una pianola, incredibile, era il mio compagno di banco e non mi trattava con superficialità anzi mi parlava normalmente anche se ero trasandato, forse non lo notava oppure aveva visto dentro di me qualcosa che non capisco tutt’ora.
In classe sentivo bisbigliare il mio nome ogni volta durante la ricreazione, mi sentivo osservato e criticato, volevo urlargli contro cosa subivo ogni giorno da mia madre e cosa stavo passando, ma mi fermavo perchè tanto in fondo non mi importava, non erano miei amici, ero abituato a questa situazione e a me andava bene così.
Comunque durante l’anno circa dopo due mesi dall’inizio della scuola, incominciai ad andare al doposcuola, da una ragazza universitaria, molto carina, era pure dolce, migliorai i voti un pò, mi insegnò a ripetere seguendo uno schema logico e non a pappagallo come ho sempre fatto.
Il doposcuola iniziava alle 15:00 e la scuola finiva alle 13:15, in quel lasso di tempo non tornavo a casa a mangiare, mia madre si seccava a venirmi a prendere e fare avanti e indietro, quindi ogni giorno mi dava un euro per mangiare un pezzo di tavola calda e andavo nel bar sotto casa del doposcuola, alla cassiera dopo un pò di tempo iniziò anche a regalarmi uno o due pezzi, forse di tasca sua, penso che gli facevo pena vedermi lì ogni giorno ad aspettare 2 ore, e quando non andavo al bar e volevo dormire, mi nascondevo a vulcania e mi sdraiavo in una panchina, una volta si avvicinò un barbone e mi chiese se avevo una cartina, non sapevo cosa fossero vi giuro, all’inizio pensavo chiedesse una cartina dei calciatori panini, risposi di no a prescindere, non so chi era e non volevo parlare con lui, volevo continuare a dormire.
Quando finivo al doposcuola verso le 18:00, certe volte mia madre non mi veniva a prendere quindi ero costretto a farmela a piedi, da catania a zia lisa, bhe d’altronde come ogni mattina, oppure certe volte riuscivo a prendere un bus che passava di lì e mi risparmiava un sacco di fatica.
Una sera che tornavo nel condominio si avvicinò un ragazzo, mi ricordavo di lui, abitava di sotto, ora non so, mi ricordo di lui perchè ogni domenica metteva canzoni napoletane e cantava a squarcia gola ahah, comunque mi disse se gli potevo dare una mano per una cosa che gli faceva prendere soldi senza fare niente, mi sembrava un ottima occasione per poter prendere qualcosina e mangiare un pò di più, pensavo solo a mangiare in quel tempo, nessun gioco, nessun amico con cui uscire, niente di niente, quindi volevo fare qualcosa e poi ha detto senza fare niente, caspita come ero curioso, il mio vicino di casa che mi chiedeva una mano? anche senza conoscermi bene, mi vedeva solo uscire di casa e tornare tardi.
Mi portò da un gruppo di ragazzi, mi presentai, ero nervosissimo, a prima vista erano zaurdissimi, parlavano solo il siciliano, ci credete che imparai il siciliano da loro? Comunque mi spiegarono cosa dovevo fare assieme al ragazzo, dovevo solo portare dei “pacchetti” dove dicevano loro, delle persone mi avrebbero pagato, non dovevo dire niente, e in questo ero molto bravo, d’altronde la mia vita è stata piena di bugie, e mi dissero ti daremo una parte di questa cifra, così potrai comprarti tutti i giochi che vuoi, non sapevo manco dove comprarli i giochi ma dissi di si, accettai l’offerta era come se per una volta la fortuna mi avesse visto, quasi ogni sera, tornato dal doposcuola andavo da questi ragazzi, mi facevano portare dei “pacchettini”, dopo aver inserito sul mio telefono la via da raggiungere, così col gps mi sarei sbrigato prima ad arrivare in quel punto, inoltre mi spiegavano chi dovessi aspettare, mi dicevano il colore del giubbotto e dei pantaloni della persona a cui avrei consegnato quel pacchetto, quando mi guardarono alcuni avevano la faccia sorpresa o stranita, come se non si aspettassero un ragazzino.
Quando mi davano i soldi in mano e caspita quanti soldi, non ne avevo mai visti così tanti, sopratutto per un pacchetto che non sapevo neanche cosa contenesse, ad oggi penso proprio che quello che portavo era della droga e anche pesante da quanti soldi mi davano, si parla di centinaia di euro se non anche di più a pezzi di 50, 20 caspita, certe volte pensavo di prendermi qualche soldino, però mi fermavo da questo impulso perchè sapevo che mi sarebbe finita molto male, anche perchè quando tornavo dalla consegna mi accorgevo che nascosto c’era sempre un ragazzo del gruppo, come se mi tenesse d’occhio.
Alla consegna mi davano 5 euro o certe volte 10, per me erano tantissimi, per la prima volta potevo prendermi da mangiare qualsiasi cosa senza limitarmi in quel cazzo di bar ero felicissimo . Tanto mia madre non si accorgeva di quanto avevo in tasca, non controllava mai il mio zaino (il tutto tra andata, consegna e pagamento durava 15/20 minuti) mi chiamavano con un soprannome i ragazzi, il corriere, mi sentivo speciale cazzo, quanto era bello, anche se oggi so che rischiavo il carcere e la morte forse, il cliente poteva sempre accoltellarmi e prendere tutto, d’altronde avevo 13 anni non sapevo manco come difendermi.
Tornando a casa, vedevo mia madre sempre al pc a giocare ai giochini di facebook, almeno quando non ero con lei il pomeriggio non andavo al bingo ad aspettarla. Certe volte anzi spesso e volentieri si arrabbiava per qualsiasi cosa e se la prendeva con me, ricordo che mi difendevo anche con la sedia, e lei mi rideva in faccia come se era divertita da quello che vedeva. Una sera mi svegliai, perchè stavo sognando che questa storia non sarebbe più finita, ero stanco, volevo farla finita, andai in cucina, presi un coltello enorme, come quelli che vendono coi set knife per cucina, e guardai mia madre pensando solo di accoltellarla mentre dormiva, avevo pensato ad un piano in 3 minuti, forse era pure un piano perfetto, che ora vi spiegherò, dopo averla accoltellata, avrei sminchiato la serratura facendo pensare ad uno scassinamento, messo qualcosa fuori posto, sparire per qualche giorno, far nascondere il coltello dai ragazzi per cui lavoravo e un giorno prima di andare dalla polizia farmi picchiare da loro facendo pensare ad un rapimento, si forse nemmeno qualcuno di malato avrebbe pensato ad un piano così però non lo feci tornai in cucina e lo posai perchè se mi avrebbero preso, non avrei migliorato la mia situazione. Dopo qualche giorno da questo episodio pensai una volta di volermi suicidare, buttandomi dal balcone, abitavamo al terzo piano, non so se era sufficiente per morire, era un momento che avevo la testa vuota, non pensavo a niente guardavo dal balcone ,sopra ad una sedia, dritto, un passo bastava un passo ma fui interrotto dalla voce di mia madre che mi chiamava, mi sedetti immediatamente come se non fosse successo niente a guardare quel panorama di palazzi di cemento.
Ma tornando al discorso della scuola e tralasciando tutto questo per non dilungarmi troppo, l’anno stava finendo e quella del doposcuola mi "aiutava” a fare la tesina d’esame, cioè ha fatto tutto lei al pc, io ho solo cercato di studiare, e sempre alla fine dell’anno mi aspettò una sorpresa inaspettata, alla mia insaputa si stava muovendo qualcosa di grosso, qualcosa che ha cambiato la mia vita, il compagno di mia madre, ha contattato mio padre, forse per vendetta verso mia madre che l’ha lasciato o non so, sta di fatto che una volta me lo trovai davanti la scuola, assieme alla sua compagna, quanto ero felice di vederlo, non lo vedevo da anni cazzo, ci sedemmo al C&G per parlare, mi chiesero se volessi andare da loro, forse perchè avrei fatto 14 anni e potevo decidere da chi stare, comunque sta di fatto che prima degli esami scritti, io scappai di casa, ero partito la mattina per fare la prima parte degli esami scritti, dopo averli finiti dovevo andare dal doposcuola, la chiamai e gli dissi che non ci sarei andato perchè stavo andando a casa.
Non andai a casa, mi passò per la testa che volevo solo andare da mio padre e finire di vivere quell’inferno, mi feci catania -battiati a piedi, ricordavo ancora dove abitava, l’unica cosa buona che vedo in me tutt’ora è la memoria, penso che non scorderò mai qualsiasi cosa veda e senta, comunque arrivato a battiati, tutto sudato suonai a casa di mio padre, mi aprì giovanna, rimase a bocca aperta, chiamò mio padre e pure lui non fù da meno, mi feci una doccia, gli parlai di tutto quello che avevo passato e nel frattempo denunciammo la mia “scomparsa” ai carabinieri perchè su facebook c’era il mio annuncio della mia presunta scomparsa e l’ultimo posto dove mi avevano visto era vulcania, leggevo le chat in tempo reale di mia madre che usava il mio facebook dal suo pc e parlava con quella del doposcuola che gli diceva che le avrei chiamato dicendo che ero andato a casa e i post che stavano inviando i miei presunti “amici” “preoccupati” della mia scomparsa pezzi di merda fasulli.
I carabinieri dopo che avvertirono mia madre, ci dissero di andare dai carabinieri, davanti al palazzo di giustizia e di andarci assieme ad un avvocato, anche a lei raccontai tutto questo.
Arrivati sul posto, non so come, fu in meno di un secondo, attorno alla macchina di mio padre c’erano un sacco di agenti di polizia che volevano far scendere mio padre dalla macchina perchè mia madre aveva detto loro che mi aveva rapito, l’avvocato non ricordo cosa gli disse ma li fermò, e ci dirigemmo dal comando dei carabinieri, dove mi fecero rilasciare una “testimonianza” che fu storpiata dal collega di mia madre che faceva entra ed esci, lo scoprì dopo che l’avvocato mi chiese: “(nome mio) ma hai detto tutto?” ed io risposi ovviamente di si dato che stesi 2 ore a parlare, “lei mi fece vedere il foglio e mi disse, allora perchè qui c’è la tua firma su queste due riga?”
Oggi so come hanno fatto, perchè sotto a quel foglio che io firmai ce ne era un altro, ed essendo molto sottili non ci feci caso che erano due, e firmai quella falsa.
L’avvocato disse ai miei genitori che sicuramente c’era qualcosa che non andava e infatti era così.
Comunque quel foglio non contava così tanto ,perchè andai lo stesso da mio padre e successivamente fui ascoltato da altri avvocati e psicologi che confermarono quello che stavo dicendo, tolsero la patria potestà a mia madre e iniziai a vivere con mio padre.
E qui continuerò dopo
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Me l’hanno prescritto per calmare le crisi suicide, 20 gocce al bisogno, “vedrai ti aiuterà”, “prendilo quando hai i brutti pensieri e vuoi farti male”. Ho detto okay, in fondo sono solo 20 gocce di sta cosa, manco me ne accorgo se le prendo, tanto non cambierà nulla.
X A N A X
Ho iniziato a prenderlo e mi sono ricreduta, funzionava davvero. Quella roba trasparente come l’acqua funzionava, wow incredibile, mi calmava, mi rilassava tantissimo, mi faceva sentire leggera, leggerissima, la testa vuota, non riuscivo a pensare e questa cosa mi piaceva, mi piaceva eccome, quella sensazione di stordimento era bellissima, riuscivo persino a dormire di notte. 20 gocce al bisogno sono diventate 20 gocce al giorno, alla sera prima di andare a letto. Ma funzionava quindi perché non prenderle anche al mattino? 2 volte al giorno, poi 3, poi 4, poi quelle 20 gocce non faceva più effetto. Così ho iniziato ad aumentare, sempre di più, perché funzionavano per un po’ ma poi ne avevo bisogno ancora, di più. Le buttavo giù, nel giro di una decina minuti stavo meglio, passava qualche ora e poi? Poi dovevo riprenderle, non potevo stare senza. Quello sbalzo, quando finiva lo stordimento, tornava tutto. I brutti pensieri, la voglia di farmi male, di uccidermi, cazzo l’ansia, un’ansia immensa, tachicardia, panico. Panico. 100 gocce, 3 flaconi a settimana, non mi basta, ho bisogno di più, allora ho iniziato a prendere le pastiglie, ma ne ho bisogno di più. Poi una sera esci e bevi e scopri che assumendo alcol è tutto amplificato. Meglio. Prendi quello, bevi, fuma così è ancora più forte, fino a collassare, fino a non capire più nulla, fino ad andare in black out e non ricordarti nulla. Ci sono giorni in cui davvero non ricordo niente. E’ inquietante, cos’ho fatto in quelle ore? Non lo so. Quando non lo prendo: astinenza. Mi sento svenire, mi gira la testa, tremo, soffoco, giuro che soffoco, mi manca l’aria, tremo, mi agito, mi sento impazzire. E’ un pensiero fisso, “prendi lo xanax”, è un tatuaggio nella mia mente, “prendi lo xanax”, qualsiasi cosa io faccia “prendi lo xanax”.
E ora piango.
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Sogni di Spade - capitolo 2
Capitolo 1 - Il Colpo di Fulmine Neil Young - A Man Needs a Maid Nick Cave - Are you the one that I've been waiting for? Poets of the Fall - Shadow Play Tra i tanti compiti da serva che Gaulyn doveva svolgere, pulire e riordinare gli appartamenti di Kaiern Avlakaj era l’unico che svolgeva con piacere. Un pomeriggio particolarmente silenzioso le venne ordinato di rassettare un ripostiglio che non veniva aperto da mesi, se non da anni, pieno di cose vecchie di cui il governante voleva fare l’inventario. Gaulyn si ritrovò quindi a doversene stare rinchiusa tra cianfrusaglie polverose per un intero pomeriggio. Inaspettatamente, mentre si rigirava tra le mani un oggetto che non riusciva veramente a capire cosa fosse, la porta alle sue spalle si aprì e fece capolino la testa di un ragazzino. “È permesso? Sei tu Gaulyn?” domandò. “Sì.” rispose lei. “Il mio signore vorrebbe parlarti.” “E chi è il tuo signore?" “È il Condottiero di Tattica, il Maestro Avlakaj." Per un istante pensò di aver sentito male, ma poi si rese conto che no, aveva sentito bene, e non seppe cosa dire o cosa fare: era pietrificata. Fissò per qualche silenzioso secondo quello strambo ragazzino lentigginoso, poi tornò in sé e appoggiò da qualche parte il congegno misterioso. “Adesso?” domandò balbettando, mentre si ripuliva le mani nel grembiule. Doveva vederlo ora, in quelle condizioni? “Sì, per favore." “Ma la capocameriera non…" “Le ho già parlato io, è tutto a posto." “Ah." Evidentemente non aveva scelta. Seguì il giovane valletto, che la condusse alle stanze del Maestro che lei conosceva molto bene, tanto che quando entrarono non si sentì per niente a disagio. Solo che di solito, quando ci andava, la casa era vuota. Invece adesso lui era lì a pochi metri da lei, in piedi davanti al camino che armeggiava con le spade appese sul muro. Quando si accorse della loro presenza lasciò perdere quello che stava facendo e si voltò per salutarli. “Oh, quindi questa sarebbe Gaulyn?” disse in tono allegro. Il valletto annuì “Sì, signore."
Il ragazzino fece un inchino e si dileguò. Il gerarca si avvicinò al divano e le fece cenno di sedersi. “Vieni, mettiti comoda." Gaulyn obbedì, pallida come se avesse visto un fantasma. Era certa di avere un’espressione veramente stupida, ma non riusciva a farci niente. Si sedette sul divano piano, stando attenta a non urtare niente. Il Maestro si accomodò su una poltrona davanti a lei. Era la prima volta che lo vedeva così da vicino e le fece tremare il cuore. Lo sfregio che lo storpiava era terribile, ma non era quello che attirò l’attenzione di Gaulyn. Quello che l’aveva colpita la prima volta, che la attraeva come un magnete, era il carisma che trasudava, la profondità abissale del suo stupendo occhio grigio, la fermezza dei suoi movimenti. Involontariamente si soffermò a osservarlo forse un po’ troppo a lungo, tanto che lui sorrise divertito. Imbarazzata, distolse lo sguardo immediatamente. “Scusa se ti ho strappata al tuo lavoro, spero che non sia stato un disturbo." “Oh,” bofonchiò Gaulyn “non era niente di così importante…" “Ti ho fatta cercare perché mi hanno detto che sei tu a occuparti della pulizia delle mie stanze. Sai dirmi qualcosa riguardo a quei fiori che ultimamente trovavo sempre sulla credenza? Eri tu a portarceli?" Gaulyn cominciò a sudare freddo “Non erano di vostro gradimento?" “No, no, erano molto belli” la rassicurò lui, “però non riesco a capire cosa significassero. Chi ti ha detto di portarmeli?" Annusando un possibile fraintendimento, Gaulyn tornò immediatamente in controllo delle sue facoltà verbali. “Oh, nessuno, mio signore. Ero io a lasciarveli, è stata una mia iniziativa. Ho pensato che la vista di un bel fiore vi avrebbe conciliato il riposo, quindi li raccoglievo ogni mattina apposta per voi. Purtroppo ora non lo posso più fare perché... - non poteva certo dirgli che li rubava dal giardino privato della Regina - li ho finiti.” Non le venne in mente niente di meglio. L’ufficiale sgranò l’occhio, incredulo “Li raccoglievi apposta per me? Quindi nessuno ti ha detto di farlo?" “No, certo che no.” ribadì convinta. “Ah. Capisco… Allora ti ringrazio, è stato un bel gesto." “Quindi vi sono piaciuti!” esclamò, forse con troppo entusiasmo. Aveva avuto ragione e finalmente i suoi sforzi stavano dando i loro frutti “Ne sono veramente contenta." Il suo piano aveva funzionato. Non solo era riuscita ad avvicinarsi a lui, l’aveva fatto in modo da lasciare su di lui un’impressione positiva. Molto gentilmente, il Maestro di Spada la lasciò tornare al suo triste ripostiglio pieno di cianfrusaglie antiquate che ora non le sembrava più così triste. Niente di più che un insignificante momento nel tempo che la separava da un nuovo, emozionante incontro con il suo amore. Con un sospiro languido cominciò a riflettere su un nuovo stratagemma per comunicargli il suo interesse, qualcosa che non contemplasse il furto e che non le facesse rischiare la prigione. Se non poteva avere dei fiori veri, pensò, ne avrebbe creati di finti. Elettrizzata per l’illuminazione che aveva avuto sulla via di casa, Gaulyn corse da suo padre e gli chiese di scolpire per lei dei fiori. Il vecchio vetraio era un artigiano stimato, ma i lavori che gli venivano commissionati di rado gli permettevano di esprimere la sua vena artistica; per questo motivo accolse subito con entusiasmo la curiosa richiesta della figlia. Gaulyn provò a insistere che le facesse delle rose e dei gigli, ma lui non le diede retta e dopo qualche giorno le presentò davanti una meravigliosa composizione di fiori di magnolia dai petali sfumati di azzurro, viola e rosa. Il lavoro era di una delicatezza tale che Gaulyn rimase a bocca aperta, perché avrebbe giurato che quei fiori fossero veri e li dovette toccare per accertarsi che si trattasse di semplice vetro. Meravigliata, trovò un sistema per trasportarli fino all’Hasvaraja senza danneggiarli e, raggiunte le stanze del Maestro di Spada, li sistemò sulla credenza. Avrebbe voluto lasciargli anche un messaggio, ma non sapeva scrivere bene e aveva paura di fare una brutta figura con i suoi errori da plebea.
Dopodiché si limitò ad aspettare. Ogni giorno entrava e spolverava i fiori con cura, ma non c’erano indizi che suggerivano che il Maestro avesse apprezzato il regalo. Poi, una sera che stava ritirando delle lenzuola stese al sole ad asciugare, mentre ripiegava l’ultimo lembo di tessuto sentì il clangore delle spade riecheggiare tra le mura. Seguirono delle voci concitate, poi altre spade; Gaulyn si sporse da un terrazzo che dava sul lato opposto dell’edificio. Nel cortile vide Kaiern in compagnia di altri due soldati impegnati in quello che sembrava un allenamento. Si soffermò a studiare il modo in cui si muovevano, e non potè fare a meno di notare quanto i movimenti di Kaiern fossero più fluidi e rapidi di quelli dei suoi allievi. E questo, pensò, nonostante avesse un solo occhio! Era incredibile, riusciva a schivare fendenti che non aveva modo di vedere. La sua bravura la rendeva orgogliosa di essersi innamorata proprio di lui; più lo conosceva più trovava incomprensibile che nessuna donna in quella corte se lo fosse già preso. Ma aveva già capito che il problema era la sua faccia, una vera stupidaggine.
Alcuni giorni dopo il valletto del Maestro tornò a chiamarla, dicendole che il suo signore le voleva parlare ancora. Questa volta Gaulyn cercò di prepararsi qualcosa da dire. Era quasi certa che volesse ringraziarla per i fiori di vetro, ma voleva provare a raccontargli la sua storia. Come la volta prima andarono agli alloggi del Maestro Avlakaj e lo trovarono che studiava una grande mappa aperta sul tavolo. Accolse Gaulyn con molta cortesia, offrendole una sedia per sedersi mentre lui restava concentrato sulla mappa e prendeva appunti su un quaderno. Per un po’ restò in silenzio a guardare quello che faceva, sentendosi un po’ a disagio, ma a un certo punto lui chiuse il quaderno, arrotolò la mappa e disse: “Vieni, andiamo fuori." Si spostarono sul terrazzo che dava su un cortile interno dell’Hasvaraja. Sotto di loro i soldati andavano e venivano. L’ufficiale chiese al valletto di far portare del tè. “Quei fiori di vetro che hai lasciato nella mia camera sono molto belli.” disse “Dove li hai presi?" “Visto che i fiori freschi vi erano piaciuti volevo trovare un modo per farveli avere lo stesso. E visto che non sapevo dove andare a prenderli ho chiesto a mio padre di scolpirne alcuni con il vetro. Forse sono anche meglio di quelli veri, non trovate? Non profumano, ma almeno non appassiscono." Lui la osservò con curiosità: aveva uno sguardo affilato, come di una volpe che studia la preda, ma il tono della sua voce era suadente. “Perché lo fai? Perché mi porti questi fiori?" Una cameriera arrivò a portare il tè e dei pasticcini. Gaulyn la conosceva, non le stava simpatica, ma la ringraziò per non sembrare maleducata. “Perché è il mio lavoro, farvi trovare una camera pulita e accogliente." “Ed è per questo che la Regina quasi ti metteva in prigione?" Gaulyn sbiancò “Ma allora vi hanno raccontato tutto?" Kaiern si lasciò scappare una risata “Le voci corrono, sai." “Però è tutto vero. Ho fatto quello che ho fatto perché voi mi piacete molto. Volevo attirare la vostra attenzione." Lo spadaccino sembrò sorpreso da tanta sincerità “Sono lusingato." “Vi ho visto esibirvi per i festeggiamenti del trentennale e sono rimasta molto colpita. Volevo conoscervi e ho pensato che trovando lavoro qui come cameriera avrei avuto più possibilità di avvicinarmi." “Ma cosa speravi di ottenere?" “Volevo solo conoscervi” disse lei arrossendo “Nient’altro." “Bene, credo che te lo sia meritato. Cosa vuoi sapere?” disse lui, lasciandola spiazzata perché non si era aspettata certo tanta apertura da parte sua. “Niente in particolare, sire, vorrei solo poter passare un po’ di tempo con voi e magari darvi una mano come posso." “Vuoi prendere il suo posto?” chiese facendo cenno al valletto fermo immobile a pochi passi da loro, che si era già irrigidito al sentire quella proposta. “Oh, no, per carità, non sarebbe giusto." “Stavo scherzando, non potrei fare a meno di lui." Gaulyn era ancora un po’ confusa “Quindi potrò rivedervi?" “Ci prenderemo del tempo per conoscerci un po’, magari alla fine diventeremo amici." Fu così che Gaulyn e il Maestro di Spada cominciarono a incontrarsi quando lui aveva tempo. La faceva assistere agli allenamenti, la mandava a fare commissioni assieme al suo valletto - il cui nome, scoprì, era Peiur - e a volte facevano merenda assieme, e lui la inondava di domande sulla sua famiglia, sulle sue aspirazioni e a volte le faceva anche domande molto difficili e strane di natura più filosofica. Una sera cercarono i fiori che Gaulyn aveva rubato alla regina su un libro pieno di bellissime illustrazioni botaniche; un’altra rimasero seduti sul terrazzo a guardare un’eclissi di Luna sorgere e tramontare sopra i tetti di Ranaan. A volte capitava che Peiur venisse a chiamarla, ma quando si presentavano da Kaiern lui era ancora impegnato con il lavoro e la lasciava libera di sfogliare i suoi libri seduta sul divano. Una volta in particolare, Kaiern era talmente preso dal lavoro e la fece aspettare così tanto che lei si addormentò come un sasso, cullata dalla morbidezza di quel divano pregiato. Quando si risvegliò si trovò addosso una coperta, e l’unica luce ancora accesa era una lanterna appoggiata sul tavolino. Appena realizzò dove fosse e cosa fosse successo saltò in piedi imbarazzata, balbettando qualche scusa, ma Kaiern le disse che era lui a doversi scusare per il ritardo: infatti lo trovò che ancora scriveva e scartabellava tra documenti e mappe. Non voleva disturbarlo, quindi decise che era meglio tornare a casa. In cambio, lei poteva chiedergli tutto quello che le passava per la testa. “Come avete perso l’occhio?” osò domandargli. “È successo tanto tempo fa,” aveva risposto lui tranquillamente, senza alzare lo sguardo dal piatto "durante la Guerra delle Tre Valli. Ero ancora giovane e inesperto e mi sono trovato davanti l’avversario sbagliato." “Chi?" “Conosci il Signore della Steppa?" Il nome non le diceva niente. “È il re del Blegodas.” spiegò lui. Gaulyn era ammirata “Siete riuscito a tenere testa a un re, è incredibile!" “Se ci incontrassimo oggi le cose andrebbero diversamente. Non che abbia importanza, è comunque il segno della sconfitta che porto indelebile sulla mia faccia. Se non altro serve a ricordare a tutti i miei allievi che nessuno, tranne forse qualche Ideale, nasce invincibile." Gaulyn non sapeva cosa dire. Era molto dispiaciuta per la sofferenza che doveva aver provato, e avrebbe voluto poterlo aiutare in qualche modo. “Come ti trovi qui?” chiese Kaiern, cambiando argomento. Lei scrollò le spalle “Non c’è male. Non ho conosciuto nessuno di particolarmente interessante tranne voi, ovviamente." “Tu mi sembri una persona molto curiosa e molto sincera, due cose che non credo vengano molto apprezzate tra la servitù." “Non mi trattano male, ma lo vedo da come si comportano che non sto molto simpatica alle altre domestiche. Non vengono mai a cercarmi, non mi includono nei loro capannelli quando raccontano pettegolezzi… non che mi interessino." “E cosa ti interessa?" “Non ho un interesse in particolare, ma mi faccio tante domande." “Per esempio?" “Per esempio... posso farvi una domanda che mi ha sempre incuriosita? Come fate a sapere in tempo se l’esercito agrate si muove? Come fate a saperlo prima che raggiungano Tirsi o il Sati?" “Beh, abbiamo spie, ovviamente." “All’interno della corte di Valkaya?" “Certo, come sono convinto che loro ne abbiano qui. E poi ci sono i corpi marittimi di stanza sullo stretto di Vebivolene e a Monrabi, e poi ci sono i forti di guardia sul confine edele." “Quindi il nostro esercito può avere delle basi anche negli altri Regni?" “Certo, sono nostri alleati." Kaiern le spiegò che per far fronte all’esercito di Valkaya c’era bisogno di addestramenti speciali a causa dei deformi. Lei non ne aveva mai visto uno, ma sembrava che fuori dai territori dell’Alleanza la loro presenza fosse cosa comune. Si trattava di creature mezze umane e mezze bestia, incarnazioni dell’Anamepsi per le quali il culto Nahiraavij riservava solo la condanna a morte. Le avevano raccontato che, uscendo dalla città, lungo le strade di campagna, ogni tanto si potevano incontrare delle forche con queste creature impiccate. Servivano per mostrare a tutti l’oscenità dell’Errore e ricordare che la sua esistenza non poteva essere tollerata. “Queste persone sono cattive? - domandò Gaulyn a Kaiern - Sono possedute?" “Non chiamarle persone, sono bestie. La maggior parte di loro non esita a uccidere, se può. Se prendiamo come esempio il Generale Shula…" “E chi è?" “È il Generale dell’esercito di Valkaya… la sua ferocia è celebre. Non tutti i deformi sono come lui, ma di solito hanno un’indole simile a quella delle bestie selvatiche. Non pensano come noi e non sono capaci di provare empatia, obbediscono alla Luce di Valkaya come segugi ammaestrati. Pensa che forse, addirittura, lei stessa è un deforme." “Sono contenta che qui non ci siano cose del genere - decise Gaulyn - anche se non fossero così cattivi, sarebbe difficile convivere con uomini-ragno o donne-ratto." Non avendone mai visto uno, Gaulyn si immaginò mostri spaventosi, enormi e sproporzionati, che sibilavano nelle ombre. Solo a pensarci le venivano i brividi. Però era affascinata da queste cose dall’aria così esotica, e sebbene si augurasse di non incrociarle mai le piaceva sentirne parlare. “Mi piace sapere come funziona il mondo. Io non sono mai uscita da Ranaan. Voi siete nato qui?" Kaiern scosse la testa “Sono originario del confine sud. Mia madre ha origini blegodi." In effetti, il Maestro di Spada non aveva i tratti tipici della gente malagia; il suo aspetto le evocava le steppe brulle del sud di cui aveva sentito parlare nei racconti. Gaulyn scoprì che Kaiern era il Condottiero di Tattica dell’Esercito Malagio. Il nome di Maestro di Spada si riferiva al suo ruolo di primo spadaccino e insegnante degli ufficiali. Con il passare del tempo, i due scoprirono di andare molto d’accordo. Non provavano alcun disagio neanche quando rimanevano soli nelle grandi stanze vuote, i momenti che passavano assieme sembravano volare. Questa affinità aveva sorpreso entrambi, che mai avrebbero pensato, o sperato nel caso di Gaulyn, che una persona così distante nella gerarchia sociale potesse rivelarsi una compagnia piacevole. All’interno dell’Hasvaraja si cominciò a vociferare che il Maestro di Spada si fosse invaghito di una cameriera.
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Insaziabile.
Sono qui nella mia stanza, piena di noi fino a stamattina ed estremamente vuota adesso che non ci sei. Incredibile come la tua presenza possa rivoluzionare tutto. Dopo quasi un anno e mezzo che stiamo insieme ancora me ne stupisco. Io ancora non lo so cosa mi fai, come fai, ma quando arrivi spazzi via ogni briciolo di tristezza. Sparisce tutto quanto e rimani solo tu. Come quando ti sono venuta a prendere giovedì sera e vedendoti arrivare ho sentito quella stretta allo stomaco che ormai conosco più delle mie tasche. C’eri tu, finalmente, e tutto andava bene. Poi la pizza, la finale di X Factor che abbiamo visto insieme, abbracciati sul divano. I regali di Natale che ci siamo scambiati in anticipo, tu che non stavi più nella pelle e volevi che aprissi il tuo pacco. Mi hai fatto accendere le lucine attaccate sotto al soppalco per creare l’atmosfera giusta... natalizia. Eri sicuro che il tuo regalo mi piacesse ed avevi ragione, mi conosci bene. “Per poter rivedere i nostri ricordi ed emozionarci insieme”, così hai scritto nel biglietto. Avrei voluto che quell’abbraccio sul letto durasse per sempre. Poi la mattina seguente sono dovuta andare a tirocinio e tu sei venuto a prendermi all’uscita. Potrà sembrare sciocco agli occhi di chi non sa, ma finalmente ho visto uno dei miei desideri diventare tangibile. Sono uscita ed eri lì, con un sorriso a trentadue denti. Avvolto nel giubbotto, l’ombrello in mano, i capelli un po’ scompigliati per l’umidità. Eccolo un altro abbraccio che avrei voluto durasse per sempre. Pioveva a dirotto, abbiamo pranzato da McDonald e mentre smadonnavamo per le scarpe bagnate abbiamo anche comprato un paio di panettoni per la mia famiglia. Il pomeriggio è volato con la musica in sottofondo. Di sera abbiamo visto un film di Harry Potter, mi hai raccontato di quanto lo hai amato da bambino e io mi sono intenerita guardandoti e immaginando uno scricciolo con la tua faccia. Il sabato mattina lo abbiamo dedicato al sonno profondo. Di sera cenetta sfiziosa e poi cinema. Mi hai preso le caramelle gommose e in un attimo sono tornata piccola piccola. Inoltre mi ero dimenticata di quanto fosse bello stare in macchina con te, il buio fuori e la musica della radio che esce dalle casse. Sabato sera è stato bello, sabato sera mi sono sentita volare. Domenica tempo di partita della tua Juve, poi abbiamo rinunciato ad uscire perché faceva troppo freddo. Mercatini di Natale? No grazie. Magari la prossima volta. La sera abbiamo iniziato un film ma dopo 20 minuti ci siamo addormentati entrambi come dei giovani vecchi. In un battito di ciglia è arrivato oggi, lunedì. Tempo di partire, per te. Feste di Natale in famiglia e poi io ti raggiungo fra una decina di giorni. Il tempo passa sempre troppo in fretta e io sono sempre troppo insaziabile. Insaziabile delle risate che facciamo, del senso di leggerezza che sento quando siamo insieme, del tuo odore inconfondibile che mi fa sentire a casa in ogni momento. Insaziabile di dormire abbracciati, di svegliarmi con te accanto, di poter essere semplicemente io, senza filtri. Insaziabile di guardarti e stupirmi ogni santissima volta della luce che emani, di parlare, parlare sempre di tutto, di poter fare gli scemi insieme e prenderci in giro. Insaziabile di camminare con te, mano nella mano e di condividere piccole e grandi cose. Insaziabile di emozionarmi, emozionarti ed emozionarci. Insaziabile di te e di noi. Il tuo aereo è atterrato più di un’ora fa, io sono ancora qui nella mia stanza ma con la mente insieme a te.
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6 ottobre 2017 Anche questo mese, per il new book club, un disegno e un racconto. - Mi sto annoiando a morte, posso venire con te? - Disse Giulia - Non sai nemmeno dove sto andando. - Ok dove stai andando? - Sto andando qui al museo a chiedere quali posti storici si possono visitare. - Non c’è bisogno. Sono preparatissima, ci sono Villa Giulia, le Cisterne Romane, il carcere dell’isola di Santo Stefano. Ci pensai un attimo: - Il carcere, voglio vedere il carcere. - Ok ti faccio io da guida, - disse Giulia guardando l’orologio - vieni, corri, c’è una barca che parte alle dieci giù al porto. # La barca ci lasciò al piccolo porto dell’isola di Santo Stefano. Era uno sputo di roccia lavica. Circolare. Del diametro di 500 metri. Ogni lato che riuscivo a vedere, era a picco sul mare. Niente spiaggia. - Vedete quella scalinata? Fatela tutta, in cima ci sarà la guida, - disse l’uomo al timone. Sulla scalinata si bolliva, sentivo il calore della pietra attraversare le suole delle scarpe. Già dopo pochi scalini i rivoli di sudore mi solleticavano la schiena. Giulia era dieci metri più in alto quando si chinò su un cespuglio. Iniziò a gesticolare indicando qualcosa. E così continuai a fingere di non far fatica su per i gradini finché la raggiunsi insieme al gruppo degli ultimi. - Guarda un cardo, - disse Giulia indicando il cespuglio. - E sì, fa caldo, molto caldo, - disse un uomo sulla sessantina mentre ci stava superando. Trattenni le risa a stento. Giulia, dopo qualche singhiozzo convulso, scoppiò a ridere in un modo sconsiderato. Misi una mano sulla sua bocca, ma non servì a niente. Quel uomo mi guardò malissimo. Mi asciugai il sudore. Giulia si tamponò le lacrime con la manica. Colse un fiore. Lo infilò nei miei capelli e disse: - Che bel ragazzo “accardato” che sei, - e riprese a ridere. - Andiamo, guarda che distacco che ci hanno già dato. Adesso quel signore mi guarderà male per tutta la gita. Poi non ho capito perché ha guardato male solo me, - mi lamentai pensando al pezzo di salita che mancava. La guida era lì, nella piazza all’ombra di grandi alberi tra un edificio rettangolare, la dimora del direttore del carcere e l’ingresso del carcere stesso. Sembrava la piazza di un paese abbandonato. Dopo una breve introduzione ricca di cenni storici, la guida ci fece entrare in quel luogo di antiche sofferenze. L’isola era disabitata da tempo. Il carcere era a forma di ferro di cavallo con celle larghe tre passi per quattro passi di lunghezza circa, disposte su tre piani. Se ci fosse stata una finestra sulla parete esterna la vista sarebbe stata incredibile. Invece c’era una sola finestra, sopra la porta, che dava sul cortile interno. Una torre posta in centro al cortile con un unico colpo d’occhio vedeva, in stile grande fratello di Orwell, tutte le celle. In realtà la torre centrale era una chiesa che simboleggiava la redenzione e l’occhio di Dio che tutto vede, ma questa era un’altra storia. Vi racconto uno spaccato di com’era la vita nel carcere nel 1957, otto anni prima che fosse definitivamente chiuso. In quel anno, Stefano di Filippo venne assunto dal ministero di grazia e giustizia come maestro. Arrivò ad ottobre con il “vapore” la barca che collegava Ventotene con Santo Stefano. C’era circa un centinaio di carcerati sull’isola. Tutti “Fine pena mai” una forma poetica per indicare la pena dell’ergastolo. Le lezioni di scuola ai carcerati iniziavano alle 7.30 fino alle 11:00 per poi proseguire nel pomeriggio. Gli appartamenti del Direttore del carcere erano riservati alle famiglie delle guardie. Le guardie scapole utilizzavano alcune celle come camera da letto. Così al nostro maestro diedero una cella vuota. Sua moglie, anche lei maestra, insegnava e viveva a Ventotene. Stefano di Filippo dava lezioni di italiano, matematica, storia e geografia. Gli alunni erano tutte persone con reati che andavano dall’omicidio alla strage. Tra questi vi erano tre componenti della banda Giuliano. Il maestro li notò subito perché erano persone “scafate” (ben istruite). Con il vice di Giuliano, Terranova e Don Pisciotta ci faceva discorsi alti. I detenuti istruiti andavano comunque a scuola per impegnare il loro tempo. Avevano materiale scolastico e giornali. Passavano ore a discutere anche su temi attuali come i russi che in quell’anno andarono in orbita con lo Sputnik 1. In classe c’era una guardia per proteggere il Maestro. Secondo Stefano non era necessario. L’ambiente era tranquillo. I detenuti giravano liberi. Ognuno aveva un compito. C’era chi lavorava nel laboratorio tessile, chi faceva opere di muratura, chi aggiustava scarpe. Altri lavoravano nella casa colonica fuori dal carcere. Coltivavano lenticchie. Per questi lavori ricevevano la “Mercede”: soldi che per buona parte spedivano alle famiglie. Un giorno un uomo della banda Giuliano chiamò la guardia usando un soprannome. Quando il Maestro gli chiese il motivo lui rispose che i carcerati venivano chiamati con un numero e lui li ripagava usando un contranome. Il segretario del direttore era un ergastolano. Tra i suoi compiti c’era quello di ricevere le persone quando il direttore era impegnato. Praticamente era il suo uomo di fiducia. Il direttore stesso lo aveva scelto. Ora vi starete chiedendo cosa ha fatto questo bravo uomo per prendere l’ergastolo. Faceva l’alunno d’ordine delle ferrovie. Una sera decise di scassinare la cassaforte della stazione dei treni e scappare con i soldi. Sfortunatamente il capostazione lo scoprì e lui lo uccise. Durante la permanenza del Maestro non c’erano detenuti politici. Anni prima durante il fascismo il carcere era pieno di uomini dell’opposizione. Antifascisti. Tra questi c’era il politico Settembrini. Il maestro, le guardie e i detenuti mangiavano insieme. Pasta e polvere di piselli o di fave. Secondo il maestro non si mangiava bene. Nemmeno allo spaccio. Le celle erano aperte. I detenuti giravano liberi. I veri carcerati erano le donne delle famiglie delle guardie che per sicurezza rimanevano chiuse in casa. I detenuti non parlavano mai dei reati commessi dagli altri, al massimo parlavano dei propri. Lo facevano quasi per giustificarsi. Quelli della banda Giuliano invece non parlavano mai dei loro reati. Lungo la passeggiata verso il cimitero c’era un’immagine, vicino al muro, detta l’incompiuta. Due detenuti, bravi a dipingere, avevano ottenuto il permesso dal direttore per fare questa opera. Il vero obiettivo era un altro. Dopo poco tempo i due scapparono. Nuotarono fino a Ventotene. Rubarono una barca e furono catturati mentre andavano verso Ischia. Peccato, il dipinto rimase incompiuto. Il cimitero era chiuso ai carcerati. sul cancello c’era la scritta “Qui finisce la giustizia umana, qui comincia la giustizia divina”. A detta del maestro il posto era bello, tranquillo. Ci si stava bene. Dopo tre mesi prese il tifo, lasciò il carcere e il suo incarico. Torniamo alla gita guidata, dopo aver visitato la cella di Sandro Pertini, uscimmo dal carcere per una passeggiata sull’altro versante dell’isola. Arrivammo su un promontorio con una dozzina di tombe, ormai niente più che cumuli di terra con una croce di legno. Mi adagiai su una roccia. Lo sguardo fisso sul mare tra le croci di legno. Giulia si mise a sedere al mio fianco: - che bella vista che c’è. Non mi ero nemmeno accorto di lei. - C’è qualcosa che non va? - Mi disse. - Tutto ok. - Dico sul serio, cosa c’è? - Vuoi veramente conoscere i miei Demoni? Giulia annuì. - Anni fa ho conosciuto questa ragazza Sara. - E com’era questa Sara? - Era incredibile. Una giraffa. Sottile. Agile, capelli lunghi e lisci. Occhi oceano. Non avevo speranza con Sara. Questo, un giorno, mi diede il coraggio di parlarle. Così diventammo amici. Amava i libri. - Tipo? - John Fante, Jerome David Salinger, Charles Bukowski. Passavamo ore a discutere su chi fosse il migliore. Non ne venivamo mai a capo. - Hai fatto anche a lei un ritratto? - Non sapevo ancora disegnare, ma Dio mio quanto avrei voluto fargliene uno. Non ero mai stato a Ventotene. Sono venuto qui con lei la prima volta. Questa è la seconda. Non sai che fatica ho fatto a ritornarci. Giulia cominciò a intuire che la storia non sarebbe finita bene. - Quella è stata anche l’ultima volta che l’ho vista viva. Non le ho mai detto quello che provavo e a volte, come sto facendo adesso, mi chiedo se le cose sarebbero potute andare diversamente. - Io penso che il destino… cazzo dov’è la guida? dove sono gli altri? Vieni corri. - Urlò Giulia Coprimmo a ritroso tutto il sentiero fino al carcere e poi giù per la scalinata che termina al porticciolo. Io arrivai per ultimo. Vidi Giulia sdraiata a pancia in su. La barca non c’era. Cedetti sulle mie ginocchia, cercando di recuperare un po’ di ossigeno, poi mi arresi indietro sulla schiena. Respiravamo tutti e due intensamente. Non c’era il fiato per parlare. Nemmeno per dirsi che eravamo rimasti da soli sull’isola. Restammo lì, per diversi minuti a guardare le nuvole e a respirare. - Secondo me è il signore del “Cardo”, - dissi. - Cosa? - Chiese Giulia. - Sì è stato lui, per vendetta ha detto alla guida di andare che non mancava più nessuno. Giulia cominciò a ridere sotto voce. Cercando di trattenersi. - Cosa ridi, cazzo, siamo probabilmente gli unici due pirla nella storia di questo posto ad aver perso la barca del rientro. - Dissi. La guardai sorpreso. E anche la mia bocca si spalancò. Ridevamo, sempre più forte. Ridevamo e guardavamo le nuvole passare sopra di noi. Sembravamo due folli.
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LA MIRABOLANTE STORIA DELLA PATATA
Sempre riproporre questa gemma che una volta era su Splinder.
LA NOIA Martedì grasso dei primi anni 2000. Io e tre coinquilini, che per rispettare la privacy chiameremo il Metallaro, Rocco, e TP (noto vip del punk italiano) passiamo una serata noiosissima in casa guardando fiction. Neppure una bottiglia di vino. Niente. Noia totale. Palla de fieno che rotola. Le vicine di casa, dirimpettaie di finestra, invece fanno festa per il carnevale. YEAH YEAH tutte mascherate con i loro amici vanno verso piazza maggiore a festeggiare non si sa cosa. Questo innervosisce non poco il mio coinquilino Metallaro, che affacciandosi alla finestra decide per scorno di lanciare loro una cipolla. Purtroppo il lancio non va a buon fine, e non solo non le colpisce, ma loro manco se lo cagano perché non si accorgono di niente. Scorno. Niente. Palla di fieno, e guardiamo la fiction di canale 5, che non so ma forse era Ultimo con Raoul Bova. Noia totale. Misantropia. Alle una sentiamo per strada i rumori dell’allegra combriccola mascherata delle coinquiline del cazzo che ritornano dal loro festeggiare non si sa cosa con un buonumore non si sa perché, e l’infastidimento precedentemente manifestatosi con la cipolla si ripalesa ma di grado estremamente superiore. Dunque il Metallaro dice “tiriamogli qualcosa”, ma mentre Rocco cerca un oggetto qualsiasi, la carovana già è entrata nel portone davanti al nostro e sta già salendo le scale verso casa.
L’IRREPARABILE Cazzo, frustrazione. Ma: ecco che il Metallaro si pone a cavalcioni del davanzale della finestra della cucina (rischiando la vita, secondo piano, 60% del corpo fuori dalla finestra sullo strapiombo) mentre io ho trovato nella credenza una patata di all’incirca 1 kg con le dimensioni di un grosso sasso. Porgo la patata al Metallaro, ignaro di quello che sta per succedere. Le vicine entrano in casa, si vede dalla finestra accendersi la luce. Il Metallaro scaglia con una potenza inaudita a 200 km all’ora la patata-sasso che frantuma il vetro della finestra delle vicine facendo schizzare tutti i vetri sulla parete opposta.
Il gelo.
TP guarda con occhi pallati Rocco. E’ immediata la consapevolezza di doversi ritirare dalla cucina, spengendo la luce, fuggendo in un'altra stanza per decidere il da farsi.
IL SUMMIT La riunione al buio del corridoio verte su due punti: la paranoia di aver ucciso qualcuno e la necessità di mantenere una linea di difesa da qui all’eternità dei tempi, senza contraddizioni. La paranoia si basa sulla certezza che arriveranno le teste di cuoio e verremo incarcerati per mille anni come pena esemplare per scoraggiare eventuali imitatori di chi ha inventato il fenomeno teppistico del 2000, cioè (dopo i sassi dal cavalcavia) la patata nella finestra senza alcun motivo. Per la strategia di difesa, decidiamo all’unanimità di non confessare e di negare l’evidenza in stile noi non abbiamo fatto niente, maccosa io dormivo. E’ altresì vero che possiamo essere stati solo noi a lanciare la patata, in quanto davanti alla finestra delle vicine c’è solo la nostra finestra e quella di una vecchia di 89 anni, e che per sfondare un vetro dalla strada ci sarebbe voluto Hulk sbronzo che però dà il giro all’ortaggio facendogli compiere una traiettoria balisticamente improbabile attorno ad un albero con caratteristiche da medaglia d’oro delle olimpiadi, per violenza e parabola. E’ necessario intanto chiudere la finestra della cucina che è rimasta aperta: Rocco striscia come un marine in cucina al buio e con manine segrete chiude le persiane, peccato che ovviamente se c’era qualcuno affacciato di fronte avrebbe visto una stanza buia vuota con due manine spuntate non si sa da dove che chiudono le persiane pianissimo. E’ necessario in secondo luogo nascondere sotto le coperte il coinquilino TP che già suda senso di colpa dagli occhi, essendo incapace di fare cose che comportino malafede. Ma soprattutto è necessario, per dindirindina, nascondere l’arma del delitto, in questo caso TUTTE le patate presenti nell’appartamento, ma la modalità con cui farlo è discutibile. E viene discusso, sottovoce in una tempesta di paranoie: a) mangiamo tutte le patate? No, se entrano le teste di cuoio ci trovano all’una e mezza di notte che mangiamo 5 chili di patate ci colgono in flagrante b) nascondiamo le patate nelle giacche negli armadi? No, in caso di perquisa delle forze dell’ordine saremmo parimenti spacciati. c) nascondiamo le patate nelle buche delle chitarre e rimontiamo le corde? Maccosa. d) diamo la colpa alla vecchia di 89 anni lasciando il sacco di patate fuori dal suo pianerottolo? Non credo che i Ris di Parma ci cascherebbero. e) buttiamo le patate nel water? La mozione e) sembra a tutti la più convincente. Solo che le patate non vanno giù nel water, ci tocca tagliarle a pezzi sulla lavatrice, ma ancora non vanno giù, non passano dallo scarico. Cristo.
LA SOLUZIONE E’ evidente: tutte le patate debbono essere sbucciate velocemente sulla lavatrice, masticate una ad una crude per essere ammorbidite, dopodichè sputate nel cesso e tirare l’acqua. E così viene fatto, io, Rocco, il Metallaro e TP (nel panico) mastichiamo le patate e le sputiamo nel cesso fino alla nausea, certi che questa sia la mossa migliore per passarla liscia con quelli di C.S.I. che stanno arrivando. Purtroppo, giunti a due patate dalla fine, dobbiamo arrenderci allo schifo e decidiamo di nascondere le ultime due prove della nostra colpevolezza. Ma dove?
L’IGUANA Al tempo un nostro coinquilino abruzzese (quel giorno assente) possedeva un’ iguana che viveva in un televisore svuotato adibito a ternario, da cui il nome della bestia era Grundig. Non stupitevi, aveva i rasta. (Il coinquilino, non l’iguana). Noi comunque decidiamo che le ultime due patate vanno nascoste dietro al tronco di legno dove dorme Grundig, e cosi facciamo. Ecco fatto, adesso è il momento della fase b, cioè mettersi a letto e simulare di stare dormendo dalle ore 21. Io divido la camera con l’inquilino TP, che trovo mummificato e sudante sotto le coperte, non proferisce parola e sta già pensando al pigiama per il carcere. Passiamo qualche minuto a immaginarci il clamore mediatico di questo nostro gesto, e i commenti di Umberto Galimberti su questa gioventù priva di valori. Passiamo qualche altro minuto a temere l’imminente arrivo delle teste di cuoio. Quand’ecco.
IL NAPOLETANO Dlin dlon. Suona il campanello. Sono ormai le due e un quarto. Vado in pigiama a chiedere “chi è”, simulando di essere stato svegliato. “siamo le ragazze, le vicine di fronte”. Argh. Apro. Entrano due ragazze e un tipo vestito militare, taglio parà, accento direi partenopeo. “Che è successo?” dico stropicciandomi gli occhi dal sonno. Arrivano anche Rocco e il Metallaro, TP rimane nella cripta. “Ci hanno sfondato una finestra con una patata” “Eeeeh?” Simuliamo incredulità. Forse siamo davvero increduli, il gesto che abbiamo fatto è effettivamente incredibilmente senza senso. Iniziamo a sproloquiare cose tipo “Ma chi è stato? E soprattutto perché? Ma potevano uccidervi! Ma è assurdo! C’era qualche messaggio con la patata? Avete dei nemici? Noi troveremo i colpevoli! Ma soprattutto: che senso ha tirare una patata in una finestra” eccetera. Facce a culo così, viste poche volte nella vita. Diamo loro anche del cartone da imballaggio per coprire la finestra. Il napoletano non è tanto convinto, noi siamo anche un po’ offesi perché hanno pensato a noi come colpevoli, dato che facendo tutte le ipotesi del caso, potremmo essere stati solo noi. Le salutiamo raccomandandoci di tenerci informati su questo incredibile caso. Torniamo a letto, sapendo che non la passeremo liscia.
LA PULA Passa mezz’ora, e verso le 3 suona il campanello. Rocco chiede al citofono chi è, ma una voce già di qua dalla porta dice “apra: carabinieri” Argh. Entrano due carabinieri, uno che fa le domande e uno che si guarda attorno (secondo noi cerca tracce di patate) prendendo appunti. Noi aggrediamo subito: “Agenti venite per quella cosa della patata? E’ una cosa incredibile, assurda, ma chi può essere stato?” “Ehm, ragazzi.. c’è stata una festa qui stasera?” iniziano a cercare tracce di spinelli, bottiglie di vino o resti di festeggiamenti e baldoria. Non c’è niente. Niente. Sono basiti, vedono solo 4 stolti in pigiama che si arrampicano sugli specchi, ma non hanno prove. Vedono anche tanti poster dei Dimmu Borgir e degli Immortal. Il Metallaro è amico di Attila Cshar dei Mayem. Proviamo con la tattica “In effetti possiamo esere stati solo noi: ma agente, mi dica: per quale motivo? Non c’è alcun motivo sensato per un gesto del genere!” Era vero. Il Metallaro tira fuori a questo punto la perla: “Vede, agente, in questo quartiere succedono cose strane. Pensi che l’altra settimana qualcuno ha lanciato un portacenere a della gente che cenava sul balcone. Incredibile, no?” Era stato lui.
I carabinieri se ne vanno. Li sentiamo dalla finestra dire alle ragazze, in strada, qualcosa tipo “Possono essere stati solo loro, ma non c’è traccia di niente”. Passa la nottata, con sogni strani a base di tribunali e inquisizioni. TP è immobile. Gli provo la febbre, ha 31°. E’ ormai di marmo.
IL GIORNO DOPO Nessuno crede di averla scampata. Usciamo di casa dopo ore di tentennamenti, ma usciamo a scaglioni e tutti con gli occhiali scuri. Io e il Metallaro, in un bar, vediamo avvicinarsi due poliziotti. Ansia. Penso alla fuga modello tetti di palazzi in film americani. I poliziotti ordinano un cappuccino.
L’IGUANA 2 Torno a casa, verso sera suona il campanello. Sono di nuovo le ragazze. Argh. “Siamo venute a SCUSARCI per ieri. Vi abbiamo dato la colpa subito, ma voi siete stati cosi gentili verso di noi. Non capiamo chi possa essere stato, ma vi volevamo invitare a cena per scusarci.” Ah-ah. Il crimine paga. Arrogantemente, mi dichiaro un po’ offeso ma so perdonare, e gli mostro la nostra casa. “venite di qua, vi mostro la nostra iguana Grundig”
Musica di Simonetti.
Spunta una patata da sotto il tronco. Prendo di forza le ragazze per il braccio, le trascino via dalla stanza dell’iguana, e dico “Ma no, venite di qua: vi mostro la cucina.”
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Ci si domanda spesso ''Cosa farò senza di lui?'' e ci si sente persi, ma io a questa domanda ho una risposta perfettamente dettagliata. Innanzitutto io mio orgoglio mi permetterà di restare in piedi. Testa alta, sguardo affillato. Non farò nessun discorso patetico, ho compreso che non c'è nessuna parola magica che possa convincere una persona che non ti ama più ad amarti, anzi, mentre gli dirai che lui è tutto per te sarà proprio quella la frase che lo convincerà che non vuole te. Quindi resterò impassibile, andrò via senza nessuna parola come se non me ne importasse nulla. Voglio essere ricordata così, con il dubbio se ti volessi bene oppure no. I dubbi rimangono per sempre. Una notte ci penserai, guarderai la parte vuota del letto e io ti assicuro che mi penserai. Spero di essere vestita bene quel giorno, con il mio solito sorriso marcato e che avrai un po' di esitazione a lasciare una come me. Perchè si, ho imparato a non sminuirmi, a non pensare che la persona con cui sto insieme mi faccia un favore quasi fossi un peso morto. Ricordo sempre che ho scelto un uomo tra tanti altri uomini, mai perchè mi sopporta/ è l'unico a volermi bene / mi sento sola. E se colui che ho scelto andrà via io tornerò alla mia vita. Cosa farò senza di lui? Tornerò ai miei fine settimana con altri amici, su questo non c'è dubbio. In tv trasmetteranno i film visti insieme e io sarò presa dalla nostalgia. Vorrò mandargli un messaggio ma non lo farò. Mi metterò a scrivere ma non a lui, scriverò per me. Se mi lascerà non è vero che non saprò cosa fare, mi creerò degli impegni. La vita andrà avanti, starò studiando o cercherò lavoro, a questa età non puoi dire che non hai voglia di andare a scuola perché hai il cuore spezzato, ti devi alzare e cercare la tua autonomia, porta con te degli occhiali da sole grossi e stai in mezzo alla gente come se non fosse capitato nulla. Succede mi dirò. È già successo e si va avanti lo stesso. Se mi lascerà il giorno dopo sarò ancora bella. Se mi lascerà leggerò le frasi che ho sottolineato dei libri che mi hanno sempre aiutato dopo le storie finite, se mi lascerà respirerò ancora, se mi lascerà avrò più tempo per altre cose da fare. Nulla di troppo poetico quindi. ''Cosa faresti se ti lasciasse?'' La gente la fa troppo melodrammatica. La gente dice che ne morirebbe ma poi il giorno dopo sono ancora lì. La gente dice che non s'innamorerà più e poi s'innamora di nuovo. La gente poi di questa epoca cambia status in ''single'' a ''fidanzati ufficialmente '' con una facilità incredibile. Alla gente piace dire solo frasi romantiche a cui non credono, ma io non ho mai provato a fare la persona sensibile e quindi vi dirò che senza di lui l'indomani mi alzerò alle sei del mattino e farò quello che faccio ora, solo che alla sera non potrò raccontarlo a nessuno e quello sì mi mancherà, ma un giorno non ne sentirò più la nostalgia. Troverò altre persone a cui raccontarlo.
#citazioni#amore#sola#andare avanti#citazioni belle#frasi d'amore#frasi#frasi belle#mi manchi#manchi#sfogo#amore a distanza#amore mio#tumblr#ti amo#stanca#frasi stronze#frasi tumblr
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1. Si
2. Perdonare è facile, dimenticare no
3. Si
4. Cibo
5. No
6. Troppo
7. Tantissime volte
8.
9. Pochi ma pressanti
10. Finché funziona
11. Assolutamente no, come sempre
12. Non ho idea
13. Un gatto
14. Quello fisico dopo un po' passa, quello emotivo resta sempre
15. Museo d'arte ovviamente
16. Sempre
17. Da 4 anni
18. "È complicato
19. Tutti ci pensano
20. Più di un anno fa
21. Le giornate di primavera, seduta sul bus con le cuffie, il finestrino aperto e i fiori che scorrono fuori
22. Certo
23. Due presi a capodanno
24. "Se non puoi cambiare una brutta cosa, almeno rendila interessante" (cit. me)
25. Futuro?
26. No ma ne vorrei troppi
27. Non ne ho uno preferito, mi piacciono più o meno tutti
28. Venerdi
29. Alle persone che possono aiutarmi in questo momento
30. Si troppo
31. Cassandra è uno stile di vita
32. Ne ho avute tante, troppo importanti quanto passate
33. Preferirei di no
34. Me lo dicono spesso
35. Probabilmente muoio. O muore lei.
36. No
37. Certo
38. Quando si sentono coraggiosi
39. Certo
40. "L'ho fatto"
41. Da sola
42. In un paesino
43. Ogni giorno. Però non più da sola
44. Il mio ragazzo
45. Anche se non le porto più,le DVS
46. Mi piacciono un sacco ma mi schiacciano troppo i capelli
47. Tantissimo
48. Si
49. Si
50. Tumblr, Instagram e Pinterest
51. Si ma non ho mai soldi per farlo
52. Cioccolato fondente e amarena
53. Penso sia la cosa più difficile per me in assoluto
54. No io mai
55. Indefinibili
56. Controllo le notifiche
57. Lo spero tantissimo
58. Poco
59. Uno dei miei libri preferiti è "The Host"
60. Abbracci ahahahahaha
61. Desidererei essere esattamente qui, ma non così lucida
62. Troppi ma mai quelli che vorrei
63. Mi sarò appena alzata
64. Sul bus
65. Esattamente chi amo adesso
66. Incredibile ma vero si
67. No
68. Vedi domanda n. 9
69. È la storia della mia vita. Se ne rendono conto tutti dopo
70. Solo quella di Word. Che poi chiudo perché resta vuota
71. Chi non lo fa?
72. Il senso dell'odio di Salmo
73. Troppi e ogni tanto troppi pochi
74. Ne ho tre
75. Non mi ricordo neanche chi è
76. No
77. Solo di quelle importanti
78. "I don't want to talk about it"
79 . No
80. Si, ed è bellissimo
81. Troppe. Seriamente.
82. Si
83. Si come ogni sera
84. Probabilmente qualcuno a cui devo dire delle cose orribili. O me stessa.
85. Ci sono abituata.
86. Non ne ho uno, ma quando sono giù guardo "Rock of Ages"
87. Il mio ragazzo
88. Che ci creda o no, non lo farei mai
89. Aver dato troppo. Veramente troppo.
90. Sempre. Ogni volta ci ricasco.
91. No
92. Solo con alcune, generalmente capisco meglio i ragazzi
93. No, non ho paura di farmi vedere per come sono. O meglio, ho paura ma non mi piace tenere segreti con le persone a cui tengo.
94. Nono io mai
95. Non chiedo altro
96. Si
97. Dormo da sola. "Dormo"
98. Sto ancora cercando di capirlo
99. Si 100. Quelle sugli altri sempre. Quelle su di me mai.
TEST n. 1 (specificare il numero del TEST)
1. C’è un ragazzo o una ragazza nella tua vita?
2. Pensa all’ultima persona che ti ferito. La perdoneresti?
3. Hai mai fatto l’amore?
4. Cosa vorresti in questo momento?
5. Hai paura di innamorarti?
6. Ti piace il mare?
7. Hai mai dormito con qualcuno?
8. Che immagine hai come sfondo del telefono?
9. Hai qualche rimorso?
10. Ti piace il tuo telefono?
11. Onestamente, le cose stanno andando come avevi previsto?
12. Chi è stata l’ultima persona che hai aggiunto nella rubrica?
13. Preferiresti avere un Carlino o un Rottweiler?
14. Fa più male il dolore fisico o quello causato dalle emozioni?
15. Preferiresti visitare un museo d’arte o uno zoo?
16. Sei stanco/a?
17. Da quanto tempo conosci la prima persona nella tua rubrica?
18. Com’è il rapporto con i tuoi genitori?
19. Hai mai pensato di tornare insieme ad un/a tuo/a ex?
20. Quando è stata l’ultima volta che hai parlato con un/a tuo/a ex?
21. Racconta un tuo ricordo felice.
22. Vorresti baciare di nuovo l’ultima persona che hai baciato?
23. Quanti braccialetti indossi ora?
24. C’è una citazione che ti ispira?
25. Che progetti hai per il futuro?
26. Hai qualche tatuaggio?
27. Qual è il tuo colore preferito?
28. Quando sarà la prossima volta che bacerai qualcuno?
29. A chi mandi messaggi?
30. Pensa all’ultima persona che hai baciato, ti manca?
31. Hai mai avuto quella sensazione quando sai che sta per succedere qualcosa di brutto e avevi ragione?
32. Hai una persona del sesso opposto con cui confidarti?
33. Pensi che qualcuno sia innamorato di te?
34. Qualcuno ti ha mai detto che hai dei bellissimi occhi?
35. Cosa faresti se l’ultima persona che hai baciato, stesse baciando un’altra persona davanti i tuoi occhi?
36. Eri single quest’anno a San Valentino?
37. Sei amico/a dell’ultima persona che hai baciato?
38. I tuoi amici ti chiamano per confidarsi con te?
39. Qualcuno ti ha deluso/fatto del male nell’ultima settimana?
40. Hai mai pianto per un messaggio? Se sì, cosa c’era scritto?
41. Come ti sei fatto/a male l’ultima volta?
42. Dove abiti?
43. Quando è stata l’ultima volta che hai desiderato di andare via?
44. Chi è stata l’ultima persona che hai chiamato?
45. Hai un paio di scarpe preferito?
46. Indossi i capelli in inverno?
47. Ti piace andare in discoteca?
48. Dai una mano in casa?
49. Hai uno specchio nella tua stanza?
50. Elenca i tuoi 3 siti preferiti
51. Ti piace fare shopping?
52. Il tuo gusto di gelato preferito?
53. E’ difficile dire addio per te?
54. Ti sei mai ubriacata/o?
55. Come sono i tuoi capelli?
56. Cosa fai di solito la mattina appena ti alzi?
57. Pensi che una relazione possa durare in eterno?
58. Pensa al 2007, eri felice?
59. Il tuo libro preferito?
60. Quando è stata l’ultima volta che qualcuno ti ha abbracciato forte?
61. Desideri essere da qualche altra parte in questo momento?
62. Ricevi molti messaggi?
63. Dove sarai fra 5 ore?
64. Cosa facevi alle 8 di stamattina?
65. Ricordi chi ti piaceva/amavi un’anno fa?
66. C’è una persona nella tua vita che riesce sempre a farti sorridere?
67. Hai baciato o abbracciato qualcuno oggi?
68. Qual è il tuo ultimo pensiero la notte?
69. Hai mai fatto tutto il possibile e poi non è bastato?
70. Quante finestre tieni aperte sul tuo computer?
71. Ti masturbi?
72. Qual è la tua suoneria?
73. Quanti anni hai?
74. Hai un’animale domestico?
75. Parli ancora con la prima persona di cui eri innamorata/o?
76. Hai tenuto per mano qualcuno negli ultimi 3 giorni?
77. Sei ancora amico/a delle persone che consideravi amici due anni fa?
78. Racconta un tuo ricordo di quando eri piccolo/a
79. Conosci qualche persona famosa?
80. Ti sei mai addormentato/a nelle braccia di qualcuno?
81. Quante persone hai conosciuto negli ultimi tre mesi?
82. Qualcuno ti ha mai visto in intimo?
83. Parlerai con la persona che ti piace stanotte?
84. Sei ubriaco/a e stai urlando cose orribili ad una persona. Chi è questa persona?
85. Se il tuo/a ragazzo/a si drogasse, cosa faresti?
86. Il tuo film preferito?
87. Chi è stata l’ultima persona che ti ha chiamato?
88. Se qualcuno ti desse 1.000 euro per bruciare una farfalla viva, lo faresti?
89. Hai qualche rimpianto?
90. Ti sei mai fidato/a troppo di qualcuno?
91. Dormi con la finestra aperta?
92. Vai d’accordo con le ragazze?
93. Hai un segreto?
94. Hai mai fatto sesso?
95. Sei chiuso a chiave in una stanza con l’ultima persona che hai baciato. E’ un problema? Cosa potrebbe succedere?
96. Hai mai baciato qualcuno con un piercing?
97. Condividi la tua stanza o dormi da sola/o?
98. Sei felice?
99. Credi nell’amore a prima vista?
100. Mantieni le tue promesse?
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Chi l'avrebbe mai potuto dire? Non io. Non ci avrei mai sperato. Eppure ieri sera ero stesa accanto a te, e sonnecchiavi. Non mi ero resa del tutto conto di quanto mi rendi felice fino a quando non mi sono accorta che avevi gli occhi chiusi e respiravi più lentamente, del respiro largo e tranquillo che si ha nel sonno. Mentre contemplavo lo spicchio del tuo viso illuminato dalla luce del pc ho capito che non potrò mai avere felicità più grande di quella che provo standoti accanto. Ero stanca, ma per nulla al mondo avrei potuto perdermi un solo secondo delle tue ciglia nere, della linea dolce del tuo sopracciglio sinistro, della curva della tua guancia, o dell'ombra che un ciuffo di capelli ti gettava sulla fronte. Ti guardavo dormire, ti accarezzavo, e sorridevo pensando al privilegio di essere nella tua stanza vicino a te, tre anni dopo. Siamo stati lontani tre anni, ma ora siamo insieme. Forse è la paura di perderti di nuovo che mi teneva stretta a te, col fiato sospeso per evitare di svegliarti, o forse è solo che averti di nuovo della mia vita è una fortuna tanto grande che a pensarci mi vien da piangere dalla gioia. E guardarti dormire, ignaro del mio sguardo traboccante d'amore, mi sembrava un privilegio; era per me come spiare un segreto, assistere ad un rito sacro, al miracolo di te che dormi, e vivi, e respiri piano sulla mia spalla, e sentire le tue braccia attorno ai miei fianchi, e vederti sorridere quando ti svegli e ti accorgi che ti sto guardando.
Da quando ho di nuovo te ho di nuovo voglia di suonare, di studiare, di cantare, di scrivere pagine e pagine quanto ti amo, quanto mi hai cambiato la vita, quanto era vuota la mia vita "fra" di te (non prima né dopo, proprio "fra" di noi, in questi tre anni). Incredibile come non me ne sia mai resa conto! E guardo il mondo sotto altri occhi, perché tu sei per me la luce di una nuova prospettiva.
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