#collegialità
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Video. Non credo la Chiesa sinodale
Puntata pilota della rubrica “Osservatorio sul Sinodo” a cura di Julio Loredo che si terrà tutti i martedì di ottobre alle ore 21.Quali pericoli si celano nella prossima Assemblea Generale del Sinodo sulla Sinodalità? I “signori della sinodalità” propongono un “nuovo modo di essere Chiesa”. Insomma, una nuova Chiesa, quasi una anti-Chiesa. E vogliono utilizzare il processo sinodale per…
#Apostasia#Bergoglio#bergoglionate#cattivi maestri#collegialità#falsi profeti#fumo di satana#idiozie clericali#papa Francesco#sedicenti cattolici#sinodalismo#sinodalità#spirito del concilio
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Fabio Massimo Castaldo
COORDINATORI REGIONALI E PROVINCIALI ELETTIVI E COLLEGIALI: SE NON ORA, QUANDO?
Buonasera a tutte e tutti,
voglio cominciare questo post con due ringraziamenti: il primo a tutti coloro che mi hanno sommerso di auguri ieri, grazie di cuore per il vostro affetto e le vostre parole! Il secondo invece, parimenti sentito, va alle centinaia di attivisti e colleghi ed ex colleghi portavoce a tutti i livelli che hanno voluto sottoscrivere la nostra proposta di vincolo di destinazione obbligatorio del 90% delle donazioni raccolte col 2xmille in favore dei nostri territori, per finanziare formazione, progetti dal basso e un contributo per avere almeno una sede in ogni provincia d’Italia.
A brevissimo lancerò un’iniziativa attraverso uno strumento più efficace per raccogliere tutte le nostre firme e consegnarle ufficialmente al Comitato neocostituito e al Consiglio Nazionale.
Oggi voglio lanciare un’altra proposta che, ad avviso mio e di moltissimi, è tanto urgente quanto fondamentale: la collegialità e l’elezione diretta dei coordinatori regionali e provinciali.
È un’idea che sostengo da sempre. Già durante gli Stati generali del 2020 presentai ufficialmente i nostri “12 punti per riaccendere le stelle”, nei quali proponevo l’introduzione nel nuovo Statuto di coordinamenti regionali e provinciali direttamente eletti da tutti gli iscritti, per un mandato di 5 anni, sotto forma di organi collegiali e con il rispetto di un equilibrio di genere e geografico, idealmente:
- Regioni: 7 eletti per la Lombardia, 5 per le regioni sopra il milione di abitanti, 3 per quelle sotto il milione;
- Province: 5 eletti le città metropolitane, 3 eletti per le province ordinarie.
Sul punto la voce dei nostri iscritti è stata chiarissima. Nelle votazioni del 10 e 11 dicembre il Secondo Quesito su Principi e Valori - “Tutti gli organi del M5S sono improntati, ove possibile, al principio di collegialità” - ha ottenuto ben il 90,2% dei voti favorevoli. Similmente anche il Terzo quesito sulla Governance - “L’elezione dei componenti degli organi collegiali avviene individualmente e sono previste specifiche incompatibilità” - ha ottenuto il 92% dei consensi. Un plebiscito che è facilmente verificabile qui: https://associazionerousseau.s3-eu-west-1.amazonaws.com/...
Purtroppo, tali conclusioni, che avrebbero dovuto essere politicamente pienamente vincolanti, risultano al momento non essere state rispettate e implementate nel nuovo Statuto vigente.
Io non mi sono mai arreso nel corso di questi anni, tenendo viva in tutte le sedi questa proposta democraticamente votata.
Già in una riunione tra noi europarlamentari e Giuseppe Conte, tenutasi in videocall il 16 aprile 2021, ebbi modo di difenderla argomentandola dettagliatamente, insieme a diverse altre. In quella sede chiesi anche di poter prendere visione della bozza di Statuto su cui si stava lavorando, al fine di poter redigere delle proposte di modifica puntuali, e di poter contribuire ai lavori di redazione, che auspicavo potessero essere trasparenti, partecipati e inclusivi. Chiesi anche chi stesse lavorando alla bozza di statuto, giacché non avevamo alcuna informazione in merito. Non ho mai ricevuto alcuna risposta.
In seguito, ho continuato a sottolineare la necessità di una governance territoriale collegiale e democratica, sollevandola sia nell’unica occasione di confronto privata che ho avuto di persona con Giuseppe Conte, sia in diverse riunioni del Consiglio Nazionale. A partire dalla crisi di governo del luglio dell’anno scorso, le riunioni come vi dicevo si sono purtroppo ridotte all’osso: in più di un anno solamente tre, nonostante il ruolo di indirizzo e impulso sulla linea politica che il Consiglio Nazionale dovrebbe avere.
La rilanciai con grande chiarezza in particolare anche durante la penultima, il 02 marzo del 2023, riunione che avevo più volte chiesto per fare un punto politico alla luce dei deludenti risultati delle regionali in Lombardia e nel Lazio. Anche qui nessuna risposta.
Lo Statuto attualmente vigente prevede, infatti, all’art. 11 lettera g) che la designazione di Coordinatori a livello territoriale (regionale, provinciale, comunale) sia una facoltà (non un obbligo!) esclusivamente in capo al Presidente.
Questa situazione a mio avviso deve essere urgentemente superata. E questa non deve essere letta in alcun modo come una critica ai colleghi che sono stati nominati da Giuseppe Conte in tale ruolo, che nella maggior parte dei casi (non tutti, a quanto mi dicono da alcuni territori) hanno profili d’esperienza adeguata e stanno lavorando con abnegazione tra mille difficoltà. Né tantomeno vuol essere, sia chiaro, un attacco di natura personale al Presidente Conte o una critica non costruttiva. E posso anche comprendere che, in una primissima fase transitoria, si potesse immaginare una nomina diretta temporanea, solo per avviare il processo di riorganizzazione. Ma non può essere un sistema strutturale.
Peraltro credo che sia anche nell’interesse dei coordinatori stessi condividere questo onere gravoso in modo collegiale, e ricevere una piena legittimazione democratica dal basso, che li metterebbe al riparo da rischi di critiche interne e divisioni.
E sono sicuro che coloro che stanno lavorando egregiamente verrebbero agevolmente riconfermati: ho fiducia nel giudizio dei nostri attivisti.
Certamente tra gli eletti il Presidente potrebbe affidare il compito a uno di assicurare il coordinamento dei lavori stessi e di garantire una interlocuzione rapida in caso di necessità. Magari anche a rotazione, come un tempo si faceva anche con i capigruppo. Ma grazie alla collegialità questa figura avrebbe sempre il dovere di confrontarsi con gli altri componenti e di assicurare una piena e larga condivisione, sia nel coordinamento stesso che con gli attivisti della regione/provincia. Una bellissima garanzia di democrazia e partecipazione!
Se siete d’accordo vorrei includere anche questa proposta nella raccolta firme che intendo lanciare in questi giorni sull’obbligo del 90% del 2xmille ai territori. Insieme siamo riusciti a far iniziare a smuovere il dibattito sull’aiuto ai nostri gruppi, insieme possiamo rilanciare anche quello sulla governance! Intelligenza e determinazione collettiva.
Che ne pensate? Fatemi sapere nei vostri commenti chi vuole appoggiarla e ulteriori consigli su come svilupparla!
In alto i cuori!
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https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0H846DKJC9mLQUmB144uuopWxLsLNAmRar92Ufmn6MpKNptvuCtF4tZJSaKbrnC6Nl&id=1021326961&sfnsn=scwspmo
"Le Botteghe Storiche Fiorentine"
di Elena Tempestini
In Via De’ Ginori tra Piazza San Lorenzo e via Guelfa nelle antiche strade che ancora oggi ospitano l’artigianato artistico fiorentino di eccellenza, ho visitato la bottega d’arte @cornicimaselli.
Entrare e respirare la bellezza, l’armonia della tradizione artistica fiorentina.
La Bottega d’arte Maselli fa parte del Associazione Esercizi Storici Fiorentini, la quale
riunisce più di sessanta aziende storiche fiorentine formate da artigiani, commercianti, attività ricettive, della ristorazione e dell’enogastronomia che hanno deciso di riunirsi in Associazione al fine promuovere, qualificare, tutelare e valorizzare le proprie attività storiche sia quali singoli che nella loro collegialità.
L’obbiettivo è quello di far conoscere a livello nazionale ed internazionale le attività quale patrimonio culturale, sociale, caratteristico e tradizionale della città di Firenze.
Firenze 23; febbraio 2023
Associazione esercizi storici fiorentini
Bottega d'Arte Maselli Alessia Bettini Cecilia Del Re
Sara Funaro Eugenio Giani Città di Firenze Città di Firenze Cultura I&f Arte Cultura Attualità
Ministero della Cultura Ministero del Turismo Ministero delle Imprese e del Made in Italy
Italia&friends Regione Toscana Toscana Promozione Turistica Etpress Comunication
Riccardo Rescio
#firenze #artigianato #artigianatofiorentino #arte
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10225237787184677&id=1021326961
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Grillo e Conte: leaderismo populista e collegialità - di Domenico Galbiati
Grillo e Conte: leaderismo populista e collegialità – di Domenico Galbiati
Conte se lo poteva aspettare che l’Elevato avrebbe preteso di imporgli perlomeno una diarchia, anzi di riservare di fatto, in ogni caso, l’ultima parola a sè stesso: per ribadire – ad esempio, con il limite del doppio mandato – i caratteri originari e distintivi dei “grillini” che tali restano. Eppure, mai avrebbe immaginato che Grillo lo mettesse sotto schiaffo, fino ad umiliarlo, cosicché…
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Una domanda
C'è un costituzionalista qui su Tumblr? Avrei un quesito pregnante.
I Maneskin Presidenti della Repubblica italiana. Tutti e quattro. Come età ci saremmo. C'è anche la famosa donna sul colle (nessun doppio senso). Autorevolezza, capacità, prestigio internazionale: che vogliamo di più?
L'unico dubbio è la collegialità della funzione: si può fare? Secondo me sì.
Chi sa parli, chi non sa laiki (metta like)
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Fa bene Conte a blindare il Recovery Fund dall’assalto dei partiti! Vogliono dire la loro sui fondi europei. Contestano l’idea di una cabina di regia di esperti che faccia capo al governo. Minacciano addirittura una crisi di governo, forse nel momento storico più tragico che l’Europa abbia avuto dal dopoguerra in poi. Sto parlando, soprattutto, di Matteo Salvini e Matteo Renzi, ma neanche il Pd, purtroppo, è escluso da questo gioco al massacro, se è vero che non fa altro che parlare di un presunto necessario “rilancio” del governo, che niente davvero significa se non il solito desiderio di potere e di contare di più. L’intera discussione potrebbe avere un senso se i partiti che stanno chiedendo di mettere le mani sui fondi per la transizione verde e la ricostruzione fossero partiti normali. Ovvero persone elette con un sistema elettorale che premia le competenze, persone laureate, formate, esperte dei problemi che bisognerà affrontare e risolvere con quei fondi, come quello, enorme del cambiamento climatico e della decarbonizzazione della nostra economia. E invece chi abbiamo di fronte? Gente non solo spesso non laureata, non solo spesso priva di competenze ma che, addirittura, rispetto al tema più importante legato al Recovery Fund, ovvero il cambiamento climatico e la decarbonizzazione, a cui dovrà essere dedicato quasi il 40% dei fondi, non solo non sanno né hanno fatto nulla (vedi Renzi) ma addirittura sono stati negazionisti del clima e detrattori di Greta Thunberg fino a ieri (vedi Salvini). Dico fino a ieri perché ho sentito negli ultimi giorni sempre Salvini balbettare ogni tanto la parola “ambiente“. Deve aver capito che c’entra qualcosa col Recovery Fund e che quindi gli conviene far finta di esserne interessato, ma forse dimentica che il suo partito in Europa ha sempre vergognosamente votato contro l’innalzamento dei tetti di riduzione delle emissioni (e in generale contro le leggi di contrasto al cambiamento climatico). Quanto a Renzi, basti ricordare che si è opposto ad una fondamentale e necessaria plastic tax, mentre la sua ministra Teresa Bellanova ha approvato ed esaltato la nuova Pac, politica agricola comune, che è stata pesantemente criticata da tutte le associazioni ambientaliste, perché ancora favore di agricoltura e allevamenti intensivi. Non va molto meglio con il Partito Democratico, che pure ha competenze maggiori, anche in ambito ambientale e climatico. Ma che comunque continua ad avere dei leader, vedi Nicola Zingaretti, che quando si tratta di discutere del contrasto al riscaldamento globale balbettano, e al massimo arrivano genericamente a parlare di “crescita verde”, senza sapere neanche bene cosa sia, e dell’importanza generica dell’ambiente, un po’ come un tempo esaltavano i giovani (dal “youngwashing“, al “greenwashing“). Non è senza colpe anche il Movimento 5Stelle, nato con un’anima ecologista fortissima smarritasi evidentemente nel tempo, se è vero in Europa proprio di recente altri quattro parlamentari eletti con il Movimento sono confluiti nella coalizione verde, stanchi di vedere ignorati temi fondamentali come, anche, il contrasto al cambiamento climatico. Ma insomma davvero: come pensiamo che questa gente, specie l’asse Salvini-Renzi, possa prendere in mano e gestire 209 miliardi di euro facendo davvero le cose giuste? Soldi che sono fondamentali per salvare il nostro paese e che probabilmente rappresentano l’ultima chance diventare finalmente un paese moderno? Che senso ha chiedere collegialità quando è del tutto evidente che sia a Salvini che a Renzi del bene comune (vedi lotta al cima necessaria per la sopravvivenza di noi tutti), non importa nulla (d’altronde, non sanno neanche di che si tratta)? Di fronte a un simile spettacolo, di fronte al rischio che i partiti facciano un vero e proprio assalto alla diligenza ai fondi europei, fa benissimo Giuseppe Conte a blindare la gestione di questi fondi e delegarla a una cabina di regia di esperti. Se i partiti sono questi, non c’è altra alternativa. Altro che collegialità. (...) Elisabetta Ambrosi, giornalista
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Convegno "Vecchio e nuovo Modernismo: radici della crisi nella Chiesa" (23 giugno)
Convegno “Vecchio e nuovo Modernismo: radici della crisi nella Chiesa” (23 giugno)
La Fondazione Lepanto presenta il Convegno:
Vecchio e nuovo Modernismo: radici della crisi nella Chiesa
Roma Hotel Massimo d’Azeglio via Cavour, 18
sabato 23 giugno 2018
(more…)
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#collegialità#modernismo#neomodernismo#Nouvelle Theologie#papa eretico#paradigma#prassi#progressismo#relativismo#Romano Amerio#Summorum Pontificum
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Comunicato UNCM-Unione Nazionale Camere Minorili sulla riforma in materia di giustizia di famiglia e minorile
Comunicato UNCM-Unione Nazionale Camere Minorili sulla riforma in materia di giustizia di famiglia e minorile
comunicato dell’Unione Nazionale Camere Minorili del 19 settembre 2021 “Riforma si, ma nel rispetto dei principi di specializzazione, collegialità e multidisciplinarietà”vai aComunicato UNCM su riforma in materia di giustizia di famiglia e minorile
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Le volevo chiedere se si può essere critici nei confronti del Concilio, dell'ecumenismo e della collegialità episcopale
Le volevo chiedere se si può essere critici nei confronti del Concilio, dell’ecumenismo e della collegialità episcopale
Quesito Salve Padre Angelo,sono un ragazzo di 14 anni Cattolico e mi reputo abbastanza praticante, recito il Rosario e la liturgia delle ore tutti i giorni, ultimamente mi stanno crescendo dei dubbi. Io mi sento molto conservatore, infatti quando posso vado alla Messa Tridentina, le volevo chiedere si può essere critici nei confronti del concilio? O si è fuori dalla Chiesa? Ad esempio criticando…
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Video. Dobbiamo imparare dagli eretici o da Cristo?
Il documento del Dicastero per l’Unione dei Cristiani “Il vescovo di Roma” insinua che la Chiesa dovrebbe imparare la sinodalità dagli ortodossi e dai protestanti. Ma il nostro Maestro non è Cristo? Perché dovremmo emulare esperienze fallimentari?
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#.sinodalità#Apostasia#cattivi maestri#collegialismo#collegialità#falsi profeti#fumo di satana#idiozie clericali#sedicenti cattolici#sinodalità#spirito del concilio#Youtube
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Il Governo Draghi ha iniziato il suo cammino. L’Italia è in buone mani. Dopo l’irresponsabile crisi, che ha portato alla caduta del Governo Conte, sono soddisfatto si sia giunti a un’ottima conclusione. Negli ultimi due anni il Partito Democratico, dopo la drammatica sconfitta del 2018, è tornato politicamente centrale, è salvo e più forte, ha governato l’Italia con risultati positivi e, grazie a donne e uomini straordinari, è tornato a vincere in molti Comuni e Regioni. Un Pd autonomo e forte in coalizioni competitive. Questa è stata ed è la strategia da perseguire. La vocazione maggioritaria che dobbiamo coltivare, non significa isolamento o settarismo. Ciò che si è realizzato in questi anni costituisce un patrimonio di tutti. Eppure puntuali, quando le cose stavano migliorando, sono tuttavia tornati i soliti rumori di sottofondo e permanenti. Nessuna reale proposta politica alternativa, ma un lungo e strisciante lavorio distruttivo che stava allontanando il PD dalla realtà. Non c’entra niente il pluralismo o la collegialità, che rappresentano condizioni essenziali di un partito e che anzi in questi due anni hanno avuto nel PD una nuova cittadinanza: quello che si è affermato è stato il rifiuto di sviluppare il confronto nelle sedi proprie per poi promuovere continue polemiche pubbliche. Mentre gli altri partiti rilanciavano il loro progetto, noi rischiavamo di implodere. Non si poteva andare avanti così. Non si poteva perché ora ci aspettano sfide importanti e il Pd, grazie al lavoro fatto, può affrontarle a testa alta. Dobbiamo contribuire e sostenere il Governo Draghi, ricostruire una nostra visione e progetto comune in un mondo totalmente cambiato, riaprire una grande discussione con un congresso politico, possibile grazie alle modifiche che abbiamo apportato allo statuto. Occorre scommettere sul Pd, un partito di donne e di uomini, suscitare orgoglio rilanciando il suo ruolo nella democrazia italiana, pensare e radicare la nostra forza nei territori, rilanciare una prospettiva politica adeguata per governare, arginare e battere le destre. 👉IL SEGUITO SU Pd Asti e Provincia di Facebook. (presso Asti) https://www.instagram.com/p/CMSW2uhhbRL/?igshid=8hi1ij2zpznj
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Verso le elezioni a Città di Castello: Arcaleni (Castello Cambia) Procelli (La Sinistra) "progetto che vuol ricostruire il centro sinistra, serve andare oltre la politica di palazzo, basta personalismi e uomini soli al comando"
Verso le elezioni a Città di Castello: Arcaleni (Castello Cambia) Procelli (La Sinistra) “progetto che vuol ricostruire il centro sinistra, serve andare oltre la politica di palazzo, basta personalismi e uomini soli al comando”
“Vogliamo che la politica torni al centro del parlamentino tifernate. Serve collegialità, stretta collaborazione con associazioni, cittadini, imprese, per costuire un tavolo di lavoro che rilanci il centro storico, l’artigianato, il turismo, la viabilità le infrastrutture. Città di Castello deve tornare al centro del territorio, abbiamo i mezzi per uscire da questo stallo, ma lo dobbiamo fare…
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Dal leaderismo alla collegialità - di Domenico Galbiati
Dal leaderismo alla collegialità – di Domenico Galbiati
Quando parliamo di “collegialità” del partito, il riferimento è duplice. Concerne la fisionomia, la “cifra” distintiva di un partito nuovo, la ricerca di una forma adatta al nostro tempo, che contrasti il leaderismo oggi imperante, alternativa al “pensiero unico” ed insindacabile del capo politico o del guru di giornata. Ma anche la relazione, non più collaterale, come succedeva nel secolo…
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Don Divo Barsotti, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, monaco e scrittore, mistico e maestro spirituale, figura grandissima. Un cristiano autentico, animato da fede profonda, un credente capace, anche grazie al suo carattere di toscanaccio verace.
di Aldo Maria Valli (11-03-2018)
«Non c’è peggior retorica della retorica della pietà. Cosa intendi quando parli di amore?».
Sapete di chi sono queste parole? Sono di don Divo Barsotti (1914–2006), il fondatore della Comunità dei Figli di Dio, monaco e scrittore, mistico e maestro spirituale, figura grandissima eppure ancora poco nota. Un cristiano autentico, animato da fede profonda, un credente capace, anche grazie al suo carattere di toscanaccio verace, di dire pane al pane e vino al vino, senza mai nascondersi e senza mai indulgere all’ecclesialmente corretto.
Benvenuto è quindi il libro Oceano di fuoco. Commentari su Divo Barsotti (Chorabooks), con il quale Aurelio Porfiri continua nella sua meritoria opera di diffusione del pensiero di questo maestro della e nella fede, morto novantaduenne nel suo eremo di San Sergio a Settignano dopo una vita da cattolico spesso solo e incompreso, perché sempre in controtendenza rispetto alle mode del momento. Basti dire che nel 1971, quando Paolo VI lo chiamò in Vaticano per predicare gli esercizi spirituali di inizio Quaresima, mentre nella Chiesa cattolica dilagavano la contestazione e l’anarchia, non ebbe timore di dire che «la Chiesa ha un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, e allora deve usarlo». Parole che anche oggi fanno certamente balzare dalla sedia tanti vuoti profeti della sinodalità e della collegialità.
Barsotti profeta lo fu sul serio, perché mise sempre Gesù Cristo al centro e non smise mai, in profonda sintonia con san Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI, di proporre la questione della verità in relazione alla libertà dei figli di Dio e della chiamata alla santità.
Con quest’ultimo libro Aurelio Porfiri presenta una serie di pensieri sparsi che Barsotti, scrittore prolifico ma non sistematico, affidò a diverse opere, e così compone un mosaico nel quale rifulge la figura di Gesù, perché, come scrive Antonio Livi nella prefazione, l’impostazione di Barsotti fu sempre cristocentrica, nella consapevolezza che la vita del cristiano deve essere tutta incentrata sul mistero di Cristo, mediante il primato assoluto della preghiera articolata in adorazione, contemplazione e partecipazione alla liturgia.
In Divo Barsotti la parola è sempre precisa, spesso tagliente o addirittura acuminata. Nel suo pensiero non c’è mai traccia di sentimentalismo. Niente di più lontano da lui di certo cristianesimo dolciastro e consolatorio, tutto teso a cercare il compromesso tra il Vangelo e la mentalità dominante nel mondo. Ed ecco allora, a proposito della parola amore, l’invito a usarla con parsimonia e riserbo, perché «il vero amore non può parlare di sé», come sa bene l’innamorato sincero, e dunque «se uno parla d’amore segno è che non lo possiede e il suo linguaggio fastidisce e pesa come tutto quello che è falso».
Tutti i pensieri di Barsotti raccolti nel libro di Porfiri andrebbero citati, tale è la loro ricchezza e la capacità di aprirci orizzonti nuovi. Come succede quando ci si accosta a un mistico, si ha l’impressione di essere innalzati verso una dimensione tutta diversa da quella quotidiana, nella quale viviamo come irretiti e bloccati. Ci si sente attratti verso il Cielo, partecipi dell’azione creatrice.
«Quando parlo di bellezza intendo un valore che non ha bisogno di giustificazione: è la perfezione, la volontà di Dio».
«Sento che il problema di Dio è connesso al problema della libertà umana».
«L’uomo in generale non vive un vita cosciente: sono rarissimi coloro che veramente vivono. In quale profondità abissale vivrebbero colui che crede e colui che non crede se vivessero nella verità la loro fede! Perché anche l’ateismo è una fede. La santità divina dell’amore infinito o la santità demoniaca della solitudine assoluta: non si danno per l’uomo vero altre alternative di vita. Qualcosa che dà le vertigini».
Si diceva prima del rapporto con Giovanni Paolo II e della stima di Barsotti per il papa polacco. Non si creda però che la stima fece velo alla lucidità di pensiero. Quando ne sentì il bisogno, il monaco espresse le sue critiche, sempre in modo diretto e chiaro, anche a Karol Wojtyła, come nel caso del grande raduno inter-religioso di Assisi, che secondo Barsotti si prestava all’equivoco, e come nella lettera con la quale arrivò a rimproverare il papa per le troppe citazioni del Concilio Vaticano II, dato che, in fondo, quel Concilio ha «messo solo delle virgole al discorso continuo della tradizione».
Don Divo nel 1990.
Insomma, con Barsotti si torna alle radici, ai fondamenti della fede, a ciò che conta davvero. Leggendolo viene in mente la teologia di Cornelio Fabro, «e ciò spiega – scrive Antonio Livi – come egli si opponesse strenuamente a quella illegittima e nefasta interpretazione del magistero conciliare che io denomino “umanesimo ateo” e che si immiserisce la figura di Cristo, ridotto ormai a icona del moralismo sentimentale».
«Ho sentito la Comunione come il gettarsi dell’anima in un Oceano di fuoco», scrive Barsotti in La fuga immobile. È il pensiero dal quale Aurelio Porfiri ha preso spunto per dare il titolo al suo libro e qui si coglie tutto lo sforzo del mistico che cerca di esprimere l’inesprimibile, di descrivere ciò che può soltanto essere vissuto nel profondo dell’anima. Giustamente, in proposito, Porfiri cita la Lettera agli artisti di san Giovanni Paolo II (1999), quando il papa sottolineò l’analogia tra l’artista e il credente, entrambi partecipi del divario incolmabile tra la limitatezza umana e lo splendore della bellezza assoluta, eppure entrambi tesi a colmare quella distanza lasciandosi attrarre dall’abisso di luce o, appunto, dall’oceano di fuoco.
In una cultura come l’attuale, nella quale, anche fra cattolici, si è dominati dalla prospettiva orizzontale, fino a immaginare che esista un dovere di Dio alla misericordia e un diritto della creatura a riceverla, Barsotti va controcorrente e ripropone la prospettiva verticale: «La grandezza ma anche la tragicità della vita è che noi possiamo pregare, ma solo nella fede la nostra parola raggiunge Dio e ha una risposta. Sei tu che entri misteriosamente nel mondo di Dio, non è Dio che entra nel tuo».
«Non è Lui che entra in te; sei tu ed è tutta la creazione che entra in Lui. Egli è più vasto della creazione, è più profondo dell’abisso». E quando l’impresa si fa talmente difficile da sembrare impossibile, il mistico non può che arrendersi all’evidenza e abbandonarsi totalmente:
«Tutto, tutto è vuoto, è falso. L’unica Realtà è Dio».
«La fede diviene sempre più inconcepibile, per questo diviene sempre più vera. Come potrebbe essere fede in Dio se non superasse infinitamente ogni pensiero dell’uomo?».
«Il cammino della santità passa necessariamente attraverso gli abissi. Tutti i santi sono uomini che hanno rischiato la pazzia, la dissoluzione interiore, che hanno dovuto conoscere e superare l’angoscia senza fondo».
Don Divo nel 2001.
Come si vede, ritorna l’idea dell’abisso e c’è questa consapevolezza della tragicità insita nell’esperienza di fede quando è vera, non superficiale o di maniera. Il che porta Barsotti a dire: «La fede è sempre miracolo. Pretendere che siano molti i credenti è assurdo. È già inconcepibile che v ne sia qualcuno, ma bastano pochi a dare a tutti gli uomini una speranza, una ragione di vivere, a essere sostegno dell’universo».
Chiara è anche la consapevolezza che, oggi più che mai, credere in Cristo determina una separazione dal mondo e condanna alla solitudine: «Il problema è sempre lo stesso, ma oggi è divenuto estremamente grave: possiamo credere nel Cristo? Tutta la cultura moderna lo nega. Chi crede deve dunque negare la cultura moderna. Chi crede deve accettare di essere solo».
Numerosissime, ripeto, sono le citazioni che meriterebbero di essere riportate e che Aurelio Porfiri commenta di volta in volta collegandole alla sua esperienza, ad altre letture, alla realtà del nostro tempo.
Trovo bellissima la citazione relativa al silenzio («Il silenzio di Dio è il silenzio che segue la morte in croce; in quel silenzio precipita e affonda tutta la creazione accolta nella pace di Dio. È in quel silenzio che l’umanità di Gesù entra nella gloria. Il silenzio stesso è la risposta del Padre al grido di Gesù») e, specularmente, mi sembra alquanto pertinente questa riflessione, che è anche un monito, su certa sterile verbosità diffusa in una Chiesa che non sa più indicare e riproporre l’essenziale: «Credo che siamo rimasti in pochissimi, ma forse, probabilmente, più nessuno legge i documenti emanati dalla s. congregazioni, dalla Conferenza episcopale italiana, i discorsi del santo padre. La parola tanto più perde di efficacia quanto più si moltiplica».
(fonte: aldomariavalli.it)
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Nell’oceano di fuoco di Divo Barsotti Don Divo Barsotti, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, monaco e scrittore, mistico e maestro spirituale, figura grandissima.
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La "Chiesa sinodale" di papa Francesco e dei suoi compagni gesuiti
La “Chiesa sinodale” di papa Francesco e dei suoi compagni gesuiti
Fin dagli albori del suo pontificato, papa Francesco ha usato molto il termine “sinodalità”. Inizialmente qualcuno, anche presso la Sala Stampa, pensava che si trattasse di un lapsus e che il Papa si riferisse alla “collegialità”. È vero che qualche volta, specialmente quando parla a braccio, si lasciare sfuggire qualche parola di troppo, soprattutto con i giornalisti, ma egli sa sempre quello…
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28 mag 2020 13:10
TUTTO QUELLO CHE DOVETE SAPERE SUL CASO PALAMARA: ''LE INTERCETTAZIONI SI PUBBLICANO PER I NEMICI, SI RIASSUMONO PER GLI AMICI E SI OMETTONO PER I COLLEGHI. CON SPECIALE ATTENZIONE PER VICINI DI SCRIVANIA, FONTI PRIVILEGIATE E AFFETTI STABILI DEL DIRETTORE. ANCHE SE IL CASO HA MANDATO IN TILT IL SISTEMA, LA REGOLA VIENE RISPETTATA. QUANDO A ESSERE INGIUSTAMENTE SPUTTANATO, RICATTATO, MOSTRIFICATO SARÀ STATO IL 100% DEI GIORNALISTI, DEI MAGISTRATI E DEI POLITICI, FORSE SI POTRÀ PENSARE A UNA RIFORMA''
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Francesco Cundari per www.linkiesta.it
Si sa che in Italia le intercettazioni si pubblicano per i nemici, si riassumono per gli amici e si omettono per i colleghi. Con speciale attenzione per vicini di scrivania, fonti privilegiate e affetti stabili del direttore (categoria in cui rientrano per funzione tutti i componenti della compagine editoriale, con i rispettivi parenti fino al dodicesimo grado, amici anche non tanto cari, amanti e affini).
Fatta questa doverosa cernita informale, non c’è giornalista, o quasi, che risparmi al lettore la puntigliosa trascrizione di ogni genere di insinuazione, calunnia o semplice pettegolezzo sia stato propalato al telefono, anche sul conto di terzi che nulla hanno a che fare con niente (né con l’inchiesta, né con alcuno degli interlocutori) e si ritrovano sbattuti in prima pagina, con tanto di foto e didascalia segnaletica, per l’unica colpa di essere stati nominati. Non di rado semplicemente perché uno dei due intercettati riferiva quello che gli aveva raccontato qualcun altro, che magari a sua volta l’aveva sentito dire da non si sa chi, e così via.
Questa consolidata prassi comune della stampa italiana, questa cultura condivisa del diritto allo sputtanamento del prossimo, lascia comunque ampio spazio per importanti distinzioni, come dimostra abbondantemente il modo in cui i diversi giornali hanno raccontato quanto emerso dai brogliacci dell’inchiesta su Luca Palamara (ex presidente dell’Anm, membro del Csm e capocorrente della magistratura associata).
Da un lato ci sono infatti quotidiani che hanno passato l’intero ventennio berlusconiano a indignarsi per l’indegno mercato delle intercettazioni, impegnati da giorni a pubblicare virgolettati, con tanto di nome-cognome-e-foto, di qualunque cronista abbia parlato con Palamara anche semplicemente per chiedergli un’intervista; dall’altro lato ci sono i quotidiani che hanno passato l’intero ventennio berlusconiano a difendere fino allo stremo il diritto-dovere di pubblicare regolarmente ogni privata conversazione da loro insindacabilmente giudicata una «notizia» (con tanto di «Pronto, chi parla?», «Eh? Che hai detto? Non ti sento…») e adesso infilano a pagina 147 anodine ricostruzioni da cui non si capisce nemmeno cosa sia successo, né con chi ce l’abbiano l’editorialista indignato o l’intervistato contrito della pagina accanto.
In verità, trattandosi di intercettazioni che riguardano prevalentemente magistrati che parlano tra di loro, e qualche volta giornalisti, si capisce che il meccanismo, pur così rodato, sia andato occasionalmente in tilt. Va detto però che le regole fondamentali del genere sono state rispettate.
Per quanto riguarda ad esempio le persone del tutto estranee ai fatti oggetto dell’inchiesta ma tirate ugualmente in ballo nelle intercettazioni, in nove casi su dieci si è seguito comunque il protocollo standard. Protocollo che a seconda del grado di prossimità (vedi schema illustrato all’inizio) prevede, per i nemici, che il loro nome «spunti» nelle intercettazioni; per i non-amici, i quali faranno bene a rigare dritto, che le intercettazioni proiettino imprecisate «ombre» su di loro; per gli amici carissimi e le altissime cariche istituzionali, laddove non sia proprio possibile tacerne, che dal caso emergano nauseabondi «veleni» contro di loro.
Dal punto di vista fattuale, com’è ovvio, stiamo parlando della stessa identica cosa. Ma se provate ad associare mentalmente il vostro nome a un titolo come «Scandalo X, spunta il nome di Tizio», o invece «ombre su Tizio», o meglio ancora «veleni su Tizio», capite subito la differenza.
La stessa che passa tra una carezza, un buffetto e un cazzotto. E che permette di distinguere la «doverosa collegialità» dall’«indegno mercanteggiamento», gli «accordi alla luce del sole» dai «patti inconfessabili», il «fondamentale pluralismo» dal «correntismo deteriore» di cui traboccano editoriali e interviste di questi giorni. Non diversamente da tutti gli altri giorni, salvo rare pause, degli ultimi quindici anni.
Quando a essere ingiustamente sputtanato, ricattato, mostrificato sarà stato il cento per cento dei giornalisti, dei magistrati e dei politici, l’ipotesi di una riforma che metta davvero fine a un simile andazzo avrà qualche possibilità di essere realizzata. Ai ritmi attuali, non dovrebbe dunque mancare molto.
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